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Pagina 1 “IL BURATTINO SENZA FILI” Il giornale degli studenti del Liceo Classico e Linguistico Mariano Buratti Italia, mondo Numero 2 A.S. 2018/2019 Dicembre 2018

Italia, mondo · 2019. 1. 28. · Il Viadotto Polceera, meglio conosciuto come Ponte Morandi, ponte autostradale che attra Àersa il torrente Polce Àera e i quartieri di Sampierdarena

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“IL BURATTINO SENZA FILI”

Il giornale degli studenti del Liceo Classico e Linguistico Mariano Buratti

Italia, mondo

Numero 2 A.S. 2018/2019 Dicembre 2018

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PONTE MORANDI: UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA? La pioggia a Genova cadeva scrosciante quella disastrosa mattina del 14 agosto. Da quelle parti purtroppo, essendo abituati al maltempo, si percepiva ugualmente quell’aria di serenità e tranquillità che caratterizza una giornata di piena estate, una delle ultime, prima di tornare alla quotidiana e spesso noiosa routine lavorativa. Molti sono in viaggio per raggiungere parenti o amici, con cui passare il Ferragosto; sembra una giornata come tutte le altre. Nessuno avrebbe potuto immaginare quello che, di lì a pochi minuti, sarebbe successo. Alle ore 11.36 la giornata, l’estate, la vita di tutti i genovesi, di tutti gli italiani in fondo, non è più la stessa di un attimo prima. Un boato assordante, del quale non si capisce subito la provenienza, squarcia la città. Dopo il boato, come sempre, il silenzio. Il Viadotto Polcevera, meglio conosciuto come Ponte Morandi, ponte autostradale che attraversa il torrente Polcevera e i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano, è improvvisamente crollato, provocando 43 morti e 566 sfollati. E pensare che il sorgere della nuova infrastruttura, a suo tempo, generò un diffuso entusiasmo nella stampa e nell’opinione pubblica del Paese. La copertina del giornale La domenica del corriere il 1° marzo1964 ritraeva un disegno del ponte sul Polcevera corredato dal titolo: Genova risolve il problema del traffico. E se è vero che per qualche anno ha risolto questo problema, è riuscito a crearne di nuovi e ben più seri, trascinando la città in un vortice di negativismo e malcontento dal qualche sarà veramente complicato uscire, soprattutto per quelle centinaia di famiglie che da un giorno all’altro hanno perso tutto e che forse non sentiranno mai più quell’aria di serena tranquillità di una giornata di fine estate.

Tommaso Bacheca, V C classico

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“MODELLO RIACE”

Il 2 ottobre del 2018 il sindaco di Riace, Domenico Lucano, è stato arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per aver combinato matrimoni di convenienza tra cittadini riacesi e donne straniere e per affidamento fraudolento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative della zona. Di questi fatti si sta occupando la Giustizia. Il sindaco, conosciuto per aver creato il "modello Riace", nel 2016 è stato inserito nella lista dei 50 leader più influenti al mondo. Questo “modello” consiste in una sorta di gestione dell’enorme risorsa umana derivante dagli sbarchi di immigrati sulle coste italiane, non solo accogliendoli, ma offrendo loro un lavoro; in questo modo si è riusciti a trovare una soluzione ad un problema molto diffuso negli ultimi anni in tutta Italia. Domenico Lucano, utilizzando i 35 euro assegnati ad ogni migrante, ha creato delle borse lavoro che sono state girate a cooperative per far lavorare i migranti sotto compenso economico ed ha introdotto dei bonus spendibili nel territorio comunale per stimolare l’economia locale. Dopo 5 anni di perfetto funzionamento del “modello Riace”, il Servizio centrale del sistema protezione (Sprar) ha deciso di bloccare i fondi. Da quel momento il sindaco ha introdotto delle banconote raffiguranti il volto di personaggi come il Mahatma Gandhi, Che Guevara o Peppino Impastato utilizzate come moneta locale, spendibile solamente a Riace. In questo modo la politica di Lucano ha portato ad un grande cambiamento per Riace che nel 1998 contava all’incirca 900 abitanti, mentre oggi ne conta oltre2000, di cui 400 stranieri. Attraverso la sua politica, quindi, Mimmo Lucano è riuscito a risollevare il paese che negli ultimi 20 anni ha ospitato circa 16mila richiedenti asilo. Però il cosiddetto "modello Riace" ha destato scalpore, mettendo in evidenza le posizioni contrapposte sia nella politica che nel giornalismo. Da una parte troviamo l'opinione del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha attaccato il sindaco definendolo “uno zero”; in sua difesa Domenico Lucano ha risposto affermando: “È vero che appartengo alla classe degli ultimi, praticamente zero. In tutti questi anni abbiamo unito le nostre debolezze con tanti altri disperati di ogni parte del mondo. Abbiamo condiviso un sogno di una nuova umanità libera dalle mafie, dal razzismo, dal fascismo e da tutte le ingiustizie”. Ma il parere del ministro Salvini non si discosta da quanto dichiarato in precedenza. Dall'altra parte lo scrittore e giornalista Roberto Saviano ha preso le parti del sindaco ricordando che: “La verità è che nelle azioni di Mimmo Lucano non c’è mai finalità di lucro, ma disobbedienza civile. […] Disobbedienza civile: questa è l’unica arma che abbiamo per difendere non solo i diritti degli immigrati, ma i diritti di tutti." Avendo una visione complessiva dei fatti, analizzando le opinioni contrapposte che sono state suscitate da questo caso, tutti noi possiamo farci una nostra idea a riguardo. Il fatto che il "modello Riace" sia stato preso come riferimento in tutto il mondo ci fa capire che il progetto del sindaco, tutto sommato, aveva ed ha tuttora delle potenzialità che bisognerebbe saper sfruttare.

Martina Falci, Flavia Fortuna, V A Classico

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DESIREE MARIOTTINI: S. LORENZO NON DIMENTICA La sedicenne Desiree Mariottini è sparita la mattina del 17 ottobre dopo un’ultima telefonata alla nonna materna. Due giorni dopo è stata ritrovata morta in un locale di S. Lorenzo, al centro di Roma, occupato abusivamente e già noto alle forze dell’ordine come luogo di spaccio. Sul corpo della giovane verranno trovare tracce di stupefacenti e segni di un rapporto sessuale. La ragazza viveva a Cisterna di Latina con la madre e la nonna, con cui era cresciuta, e una sorella più piccola. “La chiamata del 17 ottobre - ha spiegato l’avvocato della famiglia - è arrivata stranamente da un'utenza privata, che ha subito messo in allarme la famiglia". Il giorno dopo la telefonata, il 18 ottobre, la mamma e la nonna si sono quindi messe alla ricerca di Desirée, ma senza esito, e l'unica notizia arrivata è stata quella, tragica, del ritrovamento del corpo il 19 ottobre. I magistrati della Procura di Roma hanno aperto le indagini per omicidio e stupro e nei giorni seguenti sono stati fermati 6 sospettati, accusati inizialmente di omicidio volontario e stupro di gruppo. Le indagini hanno subito una svolta dopo la testimonianza di un ragazzo senegalese che ha dichiarato che Desirée era stata drogata e violentata. Il ragazzo avrebbe visto Desirée moribonda, o forse già morta, sdraiata con una coperta sopra. "Una ragazza urlava - ha detto il giovane - Ho guardato quella che urlava e c'era un'altra ragazza a letto: le avevano messo una coperta fino alla testa, ma si vedeva la testa. Non lo so se respirava ma sembrava già morta, perché l'altra ragazza urlava e diceva che era morta". I risultati dell’autopsia del 23 ottobre hanno fatto emergere tracce di stupefacenti e segni di uno o più rapporti sessuali. Il 13 novembre, tuttavia, è caduta l'accusa di omicidio volontario per Chima Alinno e Brian Minthe, due dei cinque stranieri finiti in manette per la morte di Desirée Il Tribunale della Libertà, infatti, ha accolto le istanze dei difensori e ha derubricato anche l'accusa di violenza sessuale di gruppo in «abuso sessuale aggravato dalla minore età della vittima» riconoscendo però il reato di spaccio per entrambi. Le notizie trapelate hanno indicato che inizialmente le indagini sono state svolte con superficialità il che ha fornito numerosi appigli legali alla difesa: nella prima annotazione della Polizia c’era scritto che Desirée era «vestita», poi si è scoperto che qualcuno l’ha rivestita per sviare le indagini Inoltre c’è il mistero su una telefonata anonima al 118 alle 3 di notte. Quando il personale dell’ambulanza è arrivato, è rimasto bloccato all’esterno del cancello di ingresso, sbarrato da catena e lucchetti. Solo l’arrivo dei Vigili del fuoco ha consentito di raggiungere il corpo senza vita della ragazza. San Lorenzo è uno dei quartieri della movida romana, frequentato tutte le sere da migliaia di ragazzi, vicino all’Università La Sapienza. Tuttavia molti sono i luoghi di degrado e dove lo spaccio e la delinquenza sopravvivono nonostante gli interventi delle forze dell’ordine. Davanti al rudere dello scempio, il cancello è stato dipinto di bianco e riempito di cuori. Sul muro campeggia la scritta «Giustizia per Desirée, San Lorenzo non ti dimentica».

Enrico Alessandro Gasbarri, Andrea Pampana, III A Classico

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LA STORIA DI MALALA “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo: l’educazione è l’unica soluzione, l’educazione per prima cosa.” Questa è una celebre frase della famosa attivista pakistana Malala Yousafzai. Nata il 12 luglio 1997 in una delle valli più pericolose del Pakistan, la Swat Valley, in cui gli estremisti impediscono l’educazione alle ragazze con le armi, all’età di undici anni iniziò a scrivere un blog per la BBC in cui raccontava la sua esperienza da adolescente. Frequentava una scuola che suo padre aveva fondato, sia per ragazzi sia per ragazze; compiuti i 14 anni, Malala e la sua famiglia appresero che i talebani avevano emesso una minaccia di morte contro di lei. Nel 2013, tornando a casa con il bus, fu colpita in testa da un proiettile di un talebano; per la profonda ferita, fu portata prima in un ospedale militare di Peshawar, in seguito, per le condizioni critiche, fu trasferita a Birmingham, in Inghilterra. Le Nazioni Unite le diedero il premio “Messaggera di pace”. Nel giorno del suo compleanno nel 2013 tenne un discorso durante un congresso dell’ONU a New York: i giornali riempirono le loro pagine raccontando la storia di Malala. Nel 2014 è stata insignita del premio Nobel per la pace, la motivazione del Comitato per il Nobel norvegese è stata: “per la lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”. Nel 2015 dalle Nazioni Unite viene lanciata l’iniziativa The Global Goals, che vede Malala una delle protagoniste insieme a tanti altri attivisti tra i quali: Leonardo Di Caprio, Stephen Hawking, Kate Winslet, Bill Gates, Meryl Streep, Angelina Jolie e molti altri. Nel 2017 è stata ammessa all’università di Oxford per studiare filosofia, politica ed economia. Nell’estate 2018 visitò le Favelas in Brasile per intervenire sull’assenza di educazione per 1,5 milioni di ragazze, finanziando alcune scuole per far partecipare più ragazzi alle lezioni. La sua lotta continua ancora grazie alla sua associazione no-profit Malala Fund. Quello avviato da Malala è un processo lento ma indispensabile per il conseguimento di una nuova visione di libertà.

Elisabetta Centamore, III D Classico

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“Art must be beautiful”, Marina Abramović a Firenze

Marina Abramović si può definire come una delle maggiori personalità che hanno segnato e stanno segnando ancora oggi la storia dell’arte, una donna che attraverso le sue opere denuncia gli aspetti controversi dell’uomo e della società in cui vive. Nasce a Belgrado durante il secondo conflitto mondiale, da genitori partigiani. Fin dall’infanzia si interessa all’arte in modo particolare, trovando l’appoggio anche dei suoi famigliari. La mostra “Marina Abramović, The Cleaner”, esposta a Firenze a Palazzo Strozzi, ripercorre la sua intera vita attraverso le sue opere, riuscendo a far addentrare il visitatore nel clima in cui l’artista viveva, tanto da farlo riuscire a sentirsi parte integrante del messaggio che Marina voleva comunicare. Il primo periodo artistico è segnato da un particolare interesse nei confronti degli incidenti di camion e del cielo, soprattutto delle nuvole. Qui si possono osservare le sue poche opere su tela. Il resto del percorso è dedicato a ciò che l’artista ritiene sia la forma d’arte più coinvolgente, la performance. Le performance consistono in una sorta di spettacoli in cui l’Abramović presenta se stessa come una tela, dal vivo, davanti a degli spettatori, riprendendosi con una videocamera. Gli scopi di queste performance sono vari, ma il principio di base è sempre lo stesso: la denuncia sociale e la denuncia delle convenzioni con cui l’uomo è costretto a vivere. Questi video riescono a far evocare allo spettatore emozioni contrastanti: si passa dallo stupore all’ansia, dalla paura all’ammirazione. In primo momento non ci si sente a proprio agio, ma successivamente si sente una sorta di necessità nel capire perché quella donna si stia mettendo a nudo, il perché dei suoi gesti di cosa voglia comunicare con essi, si avverte come una specie di bisogno. Lo spettatore, all’inizio ignorante davanti a quest’arte, riesce poi a capirne a pieno il significato, semplicemente perché anche lui ne fa parte. Abbiamo deciso di riportare qui le performance che più ci hanno colpito, quali: Rhythm 0 del 1974, in cui Marina Abramović si presenta praticamente nuda per sei ore in pubblico, con accanto diversi strumenti di piacere e di dolore. In un primo momento i passanti utilizzano su di lei gli oggetti meno invasivi, attraverso gesti delicati. Col passare delle ore però la performance diventa scena di pericolo incontrollato. L’artista viene ferita più volte, fino ad arrivare alla fine, quando le viene puntata alla tempia una pistola. Il pubblico si divide in protettori ed istigatori, e la donna viene portata via. Il messaggio che voleva trasmettere era quello dell’affrontare le proprie paure legate al corpo, quasi estraniandosi da esso. “Art must be beautiful” del 1975, in cui l’artista si espone davanti alla telecamera spazzolandosi i capelli con una spazzola nella mano destra e pettinandosi con un pettine in quella sinistra, mentre ripete senza interruzione “l’arte deve essere bella, l’artista deve essere bello”. Arriva a rovinarsi i capelli e a sfregiarsi il volto. Tutto ciò per denunciare la morale dell’arte perfetta, che deve essere canonicamente bella. Fondamentale nella sua vita è l’incontro con Ulay, artista tedesco che diventa suo collaboratore e l’amore della sua vita. Con lui realizza una serie di performance, come “imporandebilità”: gli artisti, entrambi nudi, in piedi ai lati della porta della Galleria d’arte moderna di Bologna. Chi vuole entrare deve passare per forza tra i corpi, decidendo irrazionalmente se volgersi verso il nudo maschile o quello femminile.

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I due decidono di mettere fine alla loro relazione con un’ultima opera: si rincorrono per un ultimo saluto per tutta la Muraglia Cinese, partendo da due direzioni opposte. La mostra ricrea dal vivo alcune queste performance in modo tale che il visitatore possa viverle di persona, nel concreto. Proprio per questo vi consigliamo di andarci e di lasciarvi trasportare da tutte le emozioni opposte e contrastanti che solo un’artista come lei, oggi, riesce a trasmettere con il proprio corpo, rispondendo a una serie di domande che ci poniamo senza darci una risposta.

Benedetta Morucci, Michela Travaglini, V A Classico

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Viterbo, o cara

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VITERBO NELLA STORIA DEL RISORGIMENTO Questo sunto capitulatim delle vicende del Risorgimento viterbese vuole essere un invito alla scoperta dei fatti e dei numerosi e valorosi eroi della nostra città, troppo spesso dimenticati. La Viterbo risorgimentale è stata una città rivoluzionaria per eccellenza. Prima della definitiva annessione al Re-gno d'Italia la città si affrancò dal governo pontificio per ben tre volte (nel '49, nel '60 e nel '67). Centinaia di viter-besi combatterono nelle guerre di indipendenza o furono costretti all'esilio ad Orvieto, Perugia, Siena, Firenze, Bologna e Genova ogni volta che, svanite le speranze di libertà, veniva restaurato il governo pontificio. Tra gli esuli viterbesi si erano delineate due diverse tendenze: quella sabauda a favore di una via diplomatica all'u-nità d'Italia e quella democratica che auspicava l'azione dei volontari. Una delegazione di viterbesi, guidata dall’avvocato Francesco Carnevalini (tra i capi del Comitato insurrezionale viterbese), si recò fino a Parigi per so-stenere l'ammissione della città all'Italia e un plebiscito per l'unificazione fu tenuto clandestinamente durante l'occupazione dei francesi e dei pontefici. Si possono citare nomi di famiglie patriottiche come Mangani, Bazzichelli, Vanni, Papini, Carnevalini, Battaglia, Lomellino D’Aragona e Polidori. Testimonianza del fermento che serpeggiava in città è la persecuzione che colpì parenti e amici dei patrioti esuli. Vanno ricordati alcuni nomi del centinaio di viterbesi che già nel '48 erano accor-si in aiuto delle popolazioni insorte del Nord fra i quali: Cesare Bertarelli, Francesco Canevari, Giovanni Pagliacci, Luigi Savini. Il 9 febbraio 1848, anno delle Rivoluzioni in Europa e in Italia, a Roma il triunvirato Mazzini-Armellini-Saffi procla-mò la Repubblica Romana, che cadde il 4 luglio ’49 dopo una disperata resistenza contro tutte le potenze cattoli-che cui Pio IX aveva fatto appello. Alla difesa di Roma partecipò un pugno di viterbesi fra cui Prospero Selli, Giu-stino Giustini, Evaristo Casanova e il marchese Giacomo Lomellino D’Aragona colonnello della Repubblica Romana definito un “mazziniano arrabbiato”. Caldo repubblicano senza prender però parte attiva fu anche Angelo Man-gani primo sindaco di Viterbo, cui seguì lo stesso Lomellino D’Aragona. In questo breve periodo Viterbo era stata proclamata “Provincia della Repubblica Romana”. Ma il 20 luglio il governo del Sovrano Pontefice fu ristabilito e i viterbesi accorsi vennero disarmati. All'Amministrazione Comunale furono preposti due deputati ecclesiastici e quattro canonici: questo ordinamento, tranne per le brevi parentesi del ‘60 e ‘67, rimase invariato fino all'unifica-zione al Regno d'Italia. Molti erano gli affiliati al Circolo Popolare (la cui sede era il Gran Caffè Schenardi) e, secondo un verbale dei Cara-binieri Pontifici nel "caffè al Corso n. 101" e in case private si leggevano giornali "incendiari" quali l'Opinione di Torino e l'Avvenire Toscano. Il 7 settembre veniva proibita al Teatro Genio la continuazione dell'opera lirica La Vestale, perché le allusioni all'antica Repubblica Romana avevano dato (il 6 settembre ‘49) eccitamento a qualche disordine “da lato di alcuni individui di ancora troppo calda reminiscenza della estinta ultima repubblica". Dopo l'Armistizio di Villafranca seguirono le annessioni per plebiscito della Toscana e dell'Emilia. Il Papa, lancian-do scomuniche, preparò un esercito di mercenari stranieri. Con l’impresa dei Mille (1860) e l'unificazione del Re-gno d'Italia (17 marzo '61), Roma venne acclamata capitale. Il 17 settembre '60 il comandante militare pontificio proclamò lo stato d’assedio nella provincia di Viterbo. Il 21 settembre il colonnello Masi comandante di una colonna di volontari (Cacciatori del Tevere), avendo già occupato Orvieto, entrò in Viterbo annunciando la costituzione di una Commissione Municipale .

(continua alla pagina successiva)

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Provvisoria per il Governo della Provincia. Il 22 settembre il Comitato segreto di insurrezione della Città e Provincia di Viterbo dichiarò decaduto lo Stato Pontificio. Il 9 ottobre la Commissione Municipale protestò contro l'intervento delle truppe francesi ma l'11 ottobre queste rientrarono in Viterbo. La spietata repressione contro i patrioti che seguì e la redazione di liste di sospetti rivoluzionari costrinse nuovamente molti all’esilio. Anche il tentativo di Garibaldi di marciare su Roma nel novembre del 1867 ebbe ripercussioni su Viterbo. Nel corso di queste vicende Viterbo fu libera per la terza volta (28 ottobre-7 novembre). Venne costituita una Giunta Comunale composta dal Conte Francescano Gentili, da Francesco Carnevalini, Ermenegildo Tondi, C. Vitarelli, F. Papini, A. Polidori, P. De Rossi e G. Giustini. Il tentativo di Garibaldi venne sostenuto da un contingente di volontari comandati dal generale Acerbi che in poche ore raggiunse e occupò Soriano, Bomarzo, Grotte S. Stefano, Ischia di Castro e Farnese, Canino e Valentano. Importante fatto d’armi fu quello che tenne impegnati per tre giorni i soldati pontifici a fronteggiare i garibaldini asserragliati in Bagnoregio. La colonna Acerbi tentò di occupare Viterbo il 26 ottobre, dopo che una deputazione di progressisti viterbesi si era dichiarata pronta ad insorgere nel Piano di Faul in appoggio al contemporaneo attacco notturno dei garibaldini. Ma ben pochi cittadini furono presenti al convegno, né la campana del Comune fece udire i suoi rintocchi a stormo in segno di rivolta. I dragoni pontifici si scontrarono con i garibaldini sulla via Teverina; il disordinato attacco ad alcuni punti della città fu respinto a colpi di fucile, dal lancio di pietre e dal getto di secchi di acqua bollente. Allora i garibaldini incendiarono i battenti di porta della Verità, aprendo una breccia nella sommaria difesa. Grazie all'improvviso richiamo a Roma della guarnigione pontificia la sera del 28 ottobre, preceduti dalla banda cittadina, i garibaldini fecero ingresso a Viterbo. Il generale Acerbi dichiaratosi "prodittatore di Garibaldi" invitò i cittadini a pronunciarsi attraverso un libero voto. Il plebiscito del 4 novembre vide 4.697 voti favorevoli all'insurrezione. Il 12 settembre 1870 le divisioni italiane entrarono nel viterbese comandate da Cadorna e Nino Bixio. Otto giorni dopo il corpo di spedizione sarebbe entrato a Roma da Porta Pia. Il 2 ottobre furono fatte le votazioni per l'annessione il cui esito fu comunicato al popolo il 3 ottobre dalla loggia del Palazzo del Comune tra suono di campane, sventolare di bandiere e luminarie. Il Plebiscito diede per la città di Viterbo i risultati seguenti: circa 250 astenuti; votanti 4.284; favorevoli 4.251; contrari 32; voti nulli 1. Il 24 dicembre Angelo Mangani fu eletto primo sindaco italiano di Viterbo.

Maria Elena Carlomagno, V C Classico

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LA MANCATA VALORIZZAZIONE DEL NOSTRO PATRIMONIO CULTURALE, OVVERO: PERCHE’ A VITERBO I TURISTI SCARSEGGIANO

Strade vuote e sporche, sampietrini divelti, negozi chiusi, servizi assenti. E’ questa la situazione in cui versa la città di Viterbo, l’antico Castrum Viterbii, già formato nel VIII secolo, plausibilmente sopra a un più antico insediamento che da molti ha ricevuto la denominazione di Vetus Urbs, etimologia che appare però poco credibile. Questa città, che attualmente conta circa 67.000 abitanti (comprendendo anche le frazioni), può vantare una storia di una certa importanza, che va dagli Etruschi ai re Longobardi, al periodo Medioevale, quando ormai faceva parte dello Stato della Chiesa, e al tentativo di conquista di Federico II. Insomma, non si tratta di certo di un luogo senza aspetti interessanti. Per rendersi conto di ciò basta prendere in mano l’agile libretto di Cesare Pinzi “ I principali monumenti di Viterbo - guida pel visitatore” e constatare come l’indice dei luoghi di interesse consti di ben sei pagine piene; si spazia dal quartiere di Pianosca-rano a quello di San Pellegrino, dal colle del Duomo alla Sala Regia del Palazzo dei Priori, dal Santuario della Madonna della Quercia alla Villa Lante di Bagnaia, senza scordarsi delle terme del Bullicame, citate da Dante. Siamo circondati dalla storia, perché i turi-sti scarseggiano? Non si tratta di una domanda a cui si possa dare facilmente una risposta, ma sicuramente si possono elencare e analizzare alcuni aspetti importanti.

Da non sottovalutare, e quindi non trascurabile, è la ridotta di-stanza dalla Capitale, che con il suo enorme potere di richiamo “assorbe” gran parte dei turisti e vacanzieri che si recano nella regione. Secondo notevole punto a sfavore per la città e causa primaria dello scarso afflusso è l’ assenza di collegamenti. Viterbo non è infatti collegata direttamente alla rete autostradale e per poter raggiungere la prima uscita che serve il territorio della Tuscia occorre recarsi ad Attigliano con venti minuti circa di tragitto. Le ferrovie impiegano una media di due ore e dieci minuti per com-piere il tragitto Roma-Viterbo, con un estensione che varia dagli 88 ai 101 chilometri di percorso. Gli autoservizi extraurbani, ge-stiti dal Consorzio Trasporti Lazio (Co.Tra.L.), dalle Ferrovie dello stato e dall’ ATAC ricalcano per lo più il percorso delle linee fer-roviarie, proponendo un’alternativa al treno, forse apparente-mente più versatile ma più inquinante. Ultimo punto che desidero prendere in esame è l’assenza di un vero e proprio piano di valorizzazione e promozione turistica, limitato a qualche timido tentativo degli anni Novanta e dei primi anni 2000 che tuttavia è caduto nel dimenticatoio. Ma il turista attuale perché dovrebbe venire a Viterbo? Siamo nell’età del turismo definito come “mordi e fuggi”, ovvero un voler vedere più cose possibili e scattare magari una fotogra-fia da pubblicare sui social network. E’ scomparso il “turista interessato”, colui che apprezza e appro-

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fondisce la storia dei luoghi che visita ed è stato rimpiazzato dal vacanziere “gobbo” sul cellulare, ignaro della storia che lo circonda e attratto dalla modernità. Di questa realtà bisogna prendere atto e farne una sorta di trampolino di lancio. Mi spiego meglio. Iniziative quali il festi-val estivo “Caffeina” e il “Christmas Village” portano ogni an-no a Viterbo centinaia e centinaia di turisti. Certo, l’interesse di chi arriva è focalizzato sulla manifestazione. Tuttavia sulla presenza del turista in città si potrebbe e dovrebbe lavorare. Se si arriva a Viterbo per visitare il popolarissimo e super “social” Christmas Village ma poi si scopre che in centro c’è un concerto al Duomo o ancora un tour con guida delle princi-pali fontane viterbesi sono sicuro che molti turisti decideran-no di ampliare i loro orizzonti. E’ quindi tutta questione di strategie. Non si può più pensare di fare turismo come lo si faceva 50 anni fa. Il mondo è cambiato e soprattutto i canali comunicati-vi sono cambiati. Sarebbe d’ uopo che l’assessorato alla Cultu-ra esplorasse nuovi orizzonti. Esistono realtà dove questo è stato ben compreso e dove si sono ottenuti strepitosi risultati in termini di crescita turistica. Nella nostra provincia ad esempio l’ esperienza di Bagnoregio la dice lunga. In pochi anni questo paese di sole 4000 anime al confine con l’Umbria, è diventato uno dei siti turistici più visi-tati d’Italia con ben 850 mila presenze all’anno. Era il 1986 quando il noto animatore e scenografo giapponese Hayao Miyazaki creò la città incantata di Laputa ispirando-si a Civita di Bagnoregio e lanciò questo pase, destinato all’oblio, verso un successo planetario. E’ indubbio però che tale successo non avrebbe resistito così a lungo e non si sarebbe così ampliato senza le scelte politiche lungimiranti ed innovative dell’amministrazione locale. Chi vive e Bagnoregio sa bene che in-numerevoli sono le iniziative promosse ogni anno dalla Giunta comunale. Si spazia dal cinema all’arte, dalla cucina all’artigianato. Conferenze di ogni genere ed anche di rilevanza internazionale si svolgono nel piccolo paese che ha potenziato e incredibilmente innovato la sua struttura ricettiva. Passeggiando per le vie del pae-se, per altro pulitissime e sempre ben tenute, si incontrano spesso personaggi famosi, di certo invitati dalle autorità per dare risonanza alle varie iniziative. Tutto questo viene inoltre sapientemente e strategicamente pubblicizzato in tempo reale sia in lingua italiana che in lingua inglese e lanciato in Internet. Tuttavia va detto che non basta avere una pagina Facebook e dotarsi dei più moderni mezzi di comunicazione bisogna saperli utilizzare in modo corretto, con le professionalità giuste e qualificate. A Bagnoregio lo sanno fare e se ne vedono i risultati. Sapiens in verbis paucis!

Matteo Santoni, III C Classico

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PIAZZA CRISPI “Ti passo a prendere a piazza Crispi” , questa è una delle frasi più utilizzate dai genitori viterbe-si quando devono riportare a casa il proprio figlio da scuola o dall’uscita pomeridiana con gli amici. A una prima lettura si po-trebbe pensare a piazza Crispi come un punto di ritrovo, e così era fino a pochi anni fa. Negli anni 70’ e 80’ dello scorso secolo Piazza Crispi si identificava come luogo di ritrovo della gioventù viterbese, dove vari gruppi si riunivano in specifici punti della piazza per trascorrere i propri pomeriggi o le proprie serate; molto spesso il termine “piazzacrispino” veniva usato per contraddistinguere i ragazzi che frequentavano la zona ed erano soliti ostentare la propria condizione agiata. Ma questo era vero solo in parte: tra i vari gruppi c’erano tantissimi ragazzi, spesso anche appartenenti a fazioni politiche differenti, che si posizionavano in punti della piazza diversi, chi davanti al bar, chi davanti al benzinaio, e trascorrevano i loro pomeriggi insieme. Ma piazza Crispi è molto più di questo; troviamo infatti la chiesa di Santa Maria della Verità e il Museo Civico, polo museale di grande rilievo nel Lazio, conosciuto per l’arte etrusca e nel quale tra l’altro é conservata la famosa “Pietá” di Sebastiano del Piombo. In generale piazza Crispi si configura come un luogo importante per Viterbo, un luogo che ha accompagnato la “Città dei Papi” in tutto il suo percorso di crescita. Passeggiando per piazza Crispi ci si rende conto di cosa sia

la “viterbesità”, il sentimento di appartenenza a questa città, che trova in piazza Crispi un simbolo, un punto di riferimento a cui tutti sono legati, chi per qualche ricor-do, chi per semplice affezione.

Leonardo Santini, V A Classico