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Informazioni generali:
DURATA DEL VIAGGIO: 19 – 20 giorni. (24- 25 giorni se vorrete raggiungere il Lago Turkana).
PERIODO DEL VIAGGIO CONSIGLIATO: Agosto – Ottobre.
COME ARRIVARE DALL’ITALIA: In aereo. Vi consigliamo di adoperare sia per l’andata che per il ritorno lo scalo
aeroportuale di Nairobi.
FUSO ORARIO: + 2 ore rispetto all’Italia.
DOCUMENTI NECESSARI: Necessario il passaporto con validità residua di almeno 6 mesi unito a un biglietto
aereo per il ritorno (espatrio). E’ altresì necessario essere in possesso del visto
(rilasciato dalle ambasciate keniote in Italia o all’aeroporto di arrivo in Kenya) che può
essere, per motivi turistici, il classico Visto Turistico della durata di uno o tre mesi
allungabile fino a 6 mesi oppure l’East African Tourist Visa che permette di viaggiare
per 90 giorni in Kenya, Uganda e Ruanda. Con apposita documentazione si possono
importare fino a 10.000 $ in valuta corrente mentre è vietato e punito anche con
l’arresto l’esportazione di avorio, corni di rinoceronte, coralli, tartarughe marine,
madrepore e pelli di rettili. Se sconfinerete in Tanzania sarà necessario anche il visto
per motivi turistici tanzaniano che va richiesto all’ambasciata o al consolato
tanzaniano in Italia.
PATENTE RICHIESTA: Necessaria la patente internazionale. Noleggiate auto robuste (meglio se fuoristrada)
visto la condizione non sempre agevole della rete stradale, spesso sterrata. E’
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obbligatorio stipulare un’assicurazione locale per circolare (in genere ci penserà a
questo già l’autonoleggio). Si guida a sinistra.
RISCHI SICUREZZA E SANITARI: La sicurezza in Kenya rimane un problema tangibile che può coinvolger ein maniera
rilevante anche i turisti. La situazione politica è instabile, visto il non riconoscimento
bipartisan dei risultati delle elezioni del 2017. Nella grandi città (Nairobi e Mombasa)
la criminalità è diffusa e si manifesta con rapine violente in maniera abbastanza
frequente con atti che possono coinvolgere chiunque indiscriminatamente. Problema
molto importante per la sicurezza in Kenya è quello legato alla presenza di numerose
cellule terroristiche di matrice islamica che agisce principalmente lungo le coste
oceaniche (specie nelle località frequentate dai turisti) e nelle aree poste nei pressi del
confine con la Somalia. Nel 2013 un grave attentato ha causato decine di morti,
compresi molti occidentali, in un centro commerciale di Nairobi. Prestare attenzione
alle tensioni tribali e alla presenza di bande armate nelle aree settentrionali del paese
(specie zona del Lago Turkana). Adoperare telefoni cellulari satellitari per la
scarsissima copertura di rete mobile. Nei parchi nazionali la presenza della fauna
selvatica è massiccia e ci sono forti rischi di incontri ravvicinati con i grandi carnivori
e animali pericolosi se vi muoverete senza l’ausilio di guide locali fornite di armi di
difesa immediata.
Sotto un profilo sanitario la copertura ospedaliera in Kenya è sufficiente solo nelle
principali città (Nairobi, Mombasa, Malindi), ma è sotto gli standard occidentali,
mentre nelle aree rurali è pressoché nulla. Stipulate sempre un’affidabile
assicurazione che vi copra le necessarie cure sanitarie immediate in loco (altrimenti
costosissime) e che vi permetta un rimpatrio sanitario aereo in caso di necessità.
Cercate di evitare di consumare cibi crudi, acqua non imbottigliata (non aggiungete
ghiaccio) e sono consigliati i vaccini contro colera, tifo, epatite A e B, tetano, difterite e
poliomielite, nonché la profilassi antimalarica. Tra le malattie particolarmente diffuse
in Kenya si ricordano l’amebiasi, la giardia, le parassitosi intestinali, il tifo, la
shigelliosi, il colera, la biliharziosi, la tripanosomiasi e la malaria.
MONETA: SHILLING (scellini) del KENYA.
TASSO DI CAMBIO: 1 € = 116,64 Scellini del Kenya.
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Descrizione del viaggio:
1° giorno: trasferimento fino a Nairobi
Il Kenya è uno di quei luoghi al mondo che hanno il sapore del mito: un posto che praticamente ogni abitante del pianeta identifica con gli
straordinari safari volti alla scoperta della meravigliosa fauna selvatica africana ma che al contempo saprà sanare le pulsioni anche dei
viaggiatori più scafati del Continente Nero con la possibilità di raggiungere laghi pullulanti di vita della Rift Valley, alcune delle vette più
alte dell’Africa, metropoli moderne come Nairobi e persino luoghi che furono una delle culle dell’umanità come il Lago Turkana. In questo
contesto strabiliante non bisogna dimenticare poi che il Kenya è la patria di una serie di popoli tribali ancora fortemente ancorati alle loro
usanze millenarie. Se infatti i suoi ormai oltre 40 milioni di abitanti hanno alcuni tratti in comune come la tolleranza, l’attaccamento alla
famiglia, il culto degli anziani, l’esuberanza, la spiccata tendenza a socializzare e una vera predilezione per il calcio (ancor prima della
corsa di mezzofondo come sport nazionale) esistono spiccate diversità tra le 40 tribù classiche del Kenya moderno. Innanzitutto bisogna dire
che queste tribù sono state storicamente suddivise in tre ceppi a seconda della loro radice linguistica: ci sono idiomi derivati dal bantù
(kikuyu, meru, embu, akamba e luyha), parlate di ceppo nilotico (masai, turkana, samburu, pokot, luo, kalenjin), lingue cuscitiche (el-molo,
somali, rendille, galla) e anche parlate frammiste alla cultura araba, specie lungo la costa oceanica (swahili, che però sono una netta
minoranza nella nazione, appena l’1% del totale). Per quanto concerne la diffusione di questi gruppi tribali il più numeroso è quello dei
kikuyu (22% della popolazione) originari della regione del Monte Kenya ma oggi diffusi a macchia d’olio in molte città e ormai legati da
moltissimi matrimoni misti ai masai, dopo di essi come diffusi ci sono i luhya (14%) di origine bantù e concentrati sugli altopiani occidentali.
Essi hanno fama di essere abili metallurghi e grandi coltivatori di arachidi, sesamo e mais e credono ancora fortemente alla stregoneria.
Altri gruppi numerosi sono poi quelli dei luo (12%), abili musicanti e politici (l’origine della famiglia Obama è di etnia luo) che vivono per lo
più nei pressi del Lago Vittoria, degli akamba (11%) concentrati tra Nairobi e i parchi di Tsavo a est che sono noti per le abilità guerresche
(ampiamente sfruttate dagli inglesi nel corso del periodo coloniale) e per le loro sculture makonde intagliate nell’ebano e dei kalenjin (11%)
di origine sudanesi che si sono fatti un nome come fornitori di campioni di corsa da mezzofondo per la bandiera del Kenya. Nessun gruppo
etnico però è tanto identificativo del Kenya come quello dei Masai, che nonostante siano solo il 2% della popolazione, sono divenuti un vero
mito. Fortissimi come guerrieri sono riusciti a sfuggire alla modernizzazione e pascolano ancora i loro greggi a cavallo del confine con la
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Tanzania, vestiti con i loro abiti rossi a forma di mantello (shuka) e con una società imperniata su rigide classi a seconda dell’età
dell’individuo.
Come sarete indotti a pensare da questa breve trattazione etnografica sul Kenya moderno questa nazione vanta radici storiche antichissime
che si fanno ricondurre proprio all’alba della specie animale Homo. Non è infatti un caso che la zona delle Tugen Hills (nei pressi del Lago
Bogoria) sia stato uno dei siti di ritrovamenti principali di scheletri a livello mondiale di australopitechi e scimmie antropomorfe risalenti a
quel periodo compreso tra i 14 e i 4 milioni di anni fa durante il quale si attuò il decisivo salto di differenziazione rta i primati e i progenitori
della specie Homo. Solo i siti di Olduvai (in Tanzania) e di Hadar (in Etiopia) hanno visto una tale concentrazione di reperti e si è indotti a
credere che proprio su questi altopiani kenioti milioni di anni fa vide la luce l’uomo moderno. In realtà dal livello di australopiteco a quello
di Homo Sapiens Sapiens si sarebbero dovute oltrepassare ancora plurime fasi e un passo decisivo nella comprensione di queste sono stati i
ritrovamenti di ominidi particolari (poi identificati come Homo Habilis e Homo Erectus) avvenuti nel XX secolo nei pressi del Lago Turkana,
nel parco di Sibiloi (vedi oltre). Non sorprenda che queste terre oggi così aride e torride siano state la culla dell’umanità: qui fino a 10.000
anni fa la vegetazione cresceva lussureggiante e solo negli ultimi 5.000 anni si è andati incontro a un fenomeno di desertificazione massiccia.
Per quanto concerne la storia delle popolazione keniote moderne invece uno snodo fondamentale si registrò tra il 2000 e il 1000 a.C. quando
le genti San originarie della zona furono sospinte verso meridione (oggi vivono nell’Africa australe) da ondate migratorie di diverse origini:
le tribù cuscitiche provennero dall’attuale Etiopia, quelle nilotiche dal Sudan, mentre le genti bantù dall’area del delta del Niger. Tutto
rimase abbastanza stabile finché queste nuove popolazioni non entrarono in contatto con le civiltà medio orientali e mediterranee che nel
frattempo si erano ampiamente sviluppate e che videro in queste terre ancora arretrate e vergini ottime occasioni per depredare in oro,
schiavi e pelli di animali esotici. L’unica cosa che davvero si modificò per circa mille anni fu l’insorgenza delle cultura swahili (un misto tra
tradizioni arabe e locali) lungo la costa oceanica che portò relativa ricchezza e apertura verso il mondo alle terre keniote ma il vero
cambiamento si assistette con l’arrivo in massa dei coloni europei (portoghesi e inglesi soprattutto) tra il ‘500 e l’800. Armati fino ai denti
queste popolazioni si stabilirono al vertice del potere locale e inasprirono la politica di depredazione, specie in termini umani (la tratta degli
schiavi nell’Africa orientale ammontò a più di due milioni di individui in soli 300 anni). Il risultato fu la creazione di aree di influenza dei
principali stati europei sull’est Africa con gli inglesi che assunsero il controllo del Kenya (ma nel 1873 abolirono la tratta degli schiavi)
spostando la capitale dalla caldissima Mombasa a Nairobi, complice il clima decisamente più abbordabile. Si iniziarono nei primi anni del
‘900 la diffusione di nuove specie botaniche per l’agricoltura in massa ma lo scoppio delle due guerre mondiali frenò decisamente tale
ondata di modernità. Per lo meno in seguito alle vicissitudini belliche si posero i presupposti per la nascita di fronti nazionalistici interni che
negli anni ’50 combatterono per l’indipendenza dal giogo britannico (celebre la rivolta dei Mau-Mau), cosa che venne sancita nel 1963 con
la nascita del Kenya moderno con a guida Jomo Kenyatta. Questo leader rimase molto legato alla ex potenza coloniale inglese e iniziò un
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processo di modernizzazione e crescita del paese mai visto prima. Dalla sua morte, avventa nel 1978, salì al potere Daniel Arap Moi che
seguì la linea politica del suo predecessore ma che si macchiò anche di totalitarismo conducendo il Kenya a un dubbio monopartitismo.
Tuttavia il leader rimase in sella alla nazione almeno sino al 2002. Successivamente si assistette a un periodo di ostilità e tensioni tra le varie
forze politiche nazionali, movimenti che sfociarono nelle ormai tristemente note ribellioni post elettorali del 2007. In quell’occasione furono
trucidate in strada migliaia di persone e solo l’intervento dell’ONU per mano dell’allora portavoce Kofi Annan riuscì a sedare gli scontri.
Oggi, dopo le elezioni del 2017 svolte finalmente in clima pacifico, è stato eletto presidente Uhuru Kenyatta, figlio di Jomo, con una
stragrande maggioranza che varà il compito di condurre il Kenya nel futuro tra tensioni interne e la dilagante piaga dell’estremismo islamico
di matrice somala che sta destabilizzando le aree orientali e settentrionali del Kenya.
Sotto un profilo dell’itinerario proposto, ad ogni modo, vi ricordiamo che questo viaggio si snoderà nelle aree più interne della nazione
keniota e che qui il punto di riferimento logistico insostituibile per la vostra esperienza sarà l’aeroporto internazionale di Nairobi.
Nonostante il Jomo Kenyatta International Airport con i suoi oltre 7 milioni di transiti annuali sia il settimo aeroporto africano per
passeggeri sappiate però che ad oggi esso non presenta alcun collegamento aereo diretto con l’Italia. Che voi partiate dagli scali milanesi o
da quelli romani dovrete infatti necessariamente fare almeno uno scalo intermedio o in terra d’Africa (Casabalanca, Il Cairo, Mombasa,
Addis Abeba) o nel medio oriente (Doha, Dubai, Abu Dhabi, Mascate, Istanbul) o nei principali hub europei (Zurigo, Francoforte,
Amsterdam, Parigi) per completare la tratta. Avendo cura di scegliere un volo che parta di mattino presto dall’Italia, vista la lunghezza
media del viaggio di andata (10-13 ore) potreste pensare di completare tale tratta anche all’interno di una singola ma lunga giornata di
trasferimento.
2° - 3° - 4° giorno: NAIROBI
Principale metropoli dell’Africa orientale Nairobi con i suoi quasi 5 milioni di abitanti è la realtà dominante non solo del Kenya ma di tutta
quella costellazione di nazioni che fanno capo al Corno d’Africa e alla costa oceanica indiana del Continente Nero. Nairobi deve la sua
fondazione nel XIX secolo ai coloni bianchi che decisero di creare un avamposto lungo la linea ferroviaria che congiungeva Mombasa
all’Uganda. Di lì a poco quel centro di approvvigionamento sarebbe diventato il quartier generale della costruzione della ferrovia e si
sarebbe attestato come città principe della regione con l’appellativo di Nairobi dal termine masai che significava “luogo dell’acqua fredda”
a ricordare come questo insediamento posto a 1600m sul livello del mare godesse di un clima più favorevole e meno torrido di molte altre
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regioni limitrofe. Nel 1905 Nairobi venne quindi scelta come capitale dell’Africa Orientale Britannica al posto di Mombasa dagli inglesi e
sempre più bianchi vi si trasferirono depredando i territori storici dei kikuyu e dei masai per ampliare le loro fattorie e i loro campi da
coltivare. Il risultato fu una progressiva tensione razziale che sfociò nella rivolta dei Mau Mau e nei movimenti che portarono nel 1963 il
Kenya all’indipendenza. Da allora la popolazione di Nairobi è passata dalle 300.000 unità a oltre 5 milioni di abitanti e questo repentino
incremento demografico ha fatto sì che la città abbia vissuto e viva ancora pesanti problemi di mancanza di accesso agli elementari servizi
pubblici (i black out e il blocco della rete fognaria in certi quartieri sono ancora frequenti) e di criminalità diffusa. Non a caso sin dagli anni
’90 Nairobi (o Nairobbery come è stata tristemente soprannominata) gode di una pessima fama in quanto a sicurezza con intere zone in mano
alla malavita, indici di aggressioni a mano armata e truffe elevati e il dubbio primato dei essere stata più volte menzionata tra le città meno
sicure dell’Africa (in ascesa è anche il fenomeno del terrorismo islamico con i macabri casi emblematici dell’attentato all’ambasciata
statunitense del 1998 che causò oltre 200 vittime e al centro commerciale Westgate Mall del 2013 nel quale si contarono 67 morti). Anche se
tutto questo corrisponde a verità vi ricordiamo però che in genere gli atti criminosi avvengono principalmente di notte e negli slum periferici
e non nei quartieri più benestanti. Nairobi non è però solamente una metropoli allo sbando: è il centro predominante dell’economia
dell’Africa orientale, è un hub del turismo internazionale legato ai safari, è stata la culla dei generi afromusic benga e soukous, è sede della
vita notturna più eclettica e sfrenata del Kenya, nonché la sede dei principali quotidiani dell’Africa orientale (Daily Nation e The Standard).
• Una visita a Nairobi dovrebbe necessariamente iniziare con l’esplorazione del suo centro metropolitano, un’area pressoché
triangolare compresa tra il Nairobi River a nord, la Nairobi Railway Station a sud e l’Uhuru Park ad ovest. Cuore della capitale
keniota è probabilmente il City Square, un’area dominata dalla mole del Kenyatta Conference Centre, una sorta di grattacielo che
fonde in sé stili architettonici moderni con i gusti africani tradizionali e che possiede una delle terrazze panoramiche più rinomate di
tutta Nairobi da cui godere lo skyline cittadino dall’alto. Una volta dopo aver posto il vostro sguardo sulla fitta e congestionata
ragnatela urbana di Nairobi ridiscendete a livello strada e non dimenticate di toccare un paio di siti interessanti: giusto a nord della
City Square si colloca infatti la moschea Jamia, un capolavoro in stile arabo carico di marmi e decorazioni (ma difficilmente aperto ai
non musulmani), mentre a sud della City Square ecco sorgere il Railway Museum, un’area espositiva incentrata sulla East African
Railway a cui Nairobi stessa deve la sua fondazione. I modelli dei treni, le locomotive storiche e gli interni dei mezzi ferrati qui
custoditi forse non sono indimenticabili ma sono una testimonianza storica chiave della capitale keniota.
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In prima immagine la fisionomia della City Square di Nairobi, cuore pulsante del moderno quartiere centrale della capitale keniana.
Al centro quindi la silhouette tipicamente araba della Jamia Mosque, il principale luogo di culto islamico della città, ed infine uno dei
convogli ferroviari custoditi al Railway Museum, che ripercorre la storia della linea ferroviaria a cui Nairobi deve la sua nascita.
Giunta quindi l’ora di pranzo ci preme ricordarvi che il centro di Nairobi è il cuore pulsante della cucina keniota (specie lungo
Kenyatta Avenue, Kimathi Street, Moi Avenue e River Road) dove si affollano trattorie tradizionali e anche fast food di stampo
prettamente occidentale. Praticamente ogni locale comunque serve il nyama choma, il piatto nazionale keniano costituito da capra
alla brace, una vera leccornia (esistono anche varianti con carne di struzzo, cammello o coccodrillo). Sempre in queste medesime aree
si concentrano poi i negozi più interessanti di Nairobi con una spiccata prevalenza ad articoli al dettaglio come souvenir o oggetti di
arte rurale (sculture in legno, tamburi, lance, scudi, gioielli e capi di abbigliamento tribali), i migliori dei quali potreste
accaparrarveli presso il City Market. Nel pomeriggio potrete quindi completare la vostra visita del centro di Nairobi portandovi
dapprima presso il National Museum, lungo il Nairobi River, un museo che ospita le collezioni più pregiate di gemme, storia naturale,
ritratti tribali ed espressioni culturali del Kenya intero, e quindi muovendo verso il vasto e verdissimo Uhuru Park, un autentico
polmone verde molto amato dagli autoctoni che di giorno amano percorrere i suoi camminamenti e fermarsi per pic-nic sull’area
all’ombra della Parliament House, la sede del parlamento nazionale. La zona è invitante, ma abbandonatela prima del tramonto
quando diventa insicura e covo di criminalità.
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In queste due immagini sono ritratti due simboli della capitale keniana: in prima istanza una delle griglie su cui viene cotto
l’onnipresente nyama choma, il piatto nazionale, una sorta di grigliata mista di tagli di carne (principalmente di capra). Di seguito
invece uno scorcio dell’Uhuru Park, area verde prediletta dagli abitanti di Nairobi.
• La seconda giornata di stanza a Nairobi vive invece di un duplice canovaccio: si articola infatti sulla contrapposizione tra la visita dei
ricchi e sicuri quartieri di Karen e Langata e l’esplorazione del gigantesco slum di Kibera. Il fatto poi che questi quartieri coesistano
a soli pochi isolati tra loro di distanza a sud-ovest del centro cittadino non farà altro che esternare maggiormente e tangibilmente i
livelli di disparità sociale ancora oggi presenti in Kenya. Karen e Langata son da sempre i sobborghi in cui vivono i ricchi discendenti
dei coloni inglesi originari, caratterizzati dalla presenza di grandi ville in stile tipicamente british. Qui abbondano le ristorazioni
raffinate (imperdibile per gli amanti della carne è la sosta per pranzo al Carnivore dove si servono i barbecue migliori di Nairobi da
anni), ma non mancano anche i siti di interesse come il Karen Blixen Museum (ospitato nella casa originale che fu dell’autrice che
passò alla storia per la scrittura del best seller La Mia Africa), l’Utamaduni (un emporio che vende ogni tipologia immaginabile di
arte africana con botteghe artigiane al suo interno) o il centro culturale Bomas of Kenya che inscena spettacoli di canti e danze tribali
delle diverse tribù keniane ad uso e consumo dei turisti, ma che al contempo risulta essere un ottimo modo per entrare in contatto con
la cultura più intima e tradizionalista della nazione africana.
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Se Karen e Langata vi terranno occupati tranquillamente per tutta la mattinata, se non oltre, riservatevi almeno alcune ore per
intrufolarvi tra le bidonville della vicina Kibera, il più grande slum africano (conta circa un milione di abitanti che vivono in
condizioni disagiate e in baracche fatiscenti) dopo quello di Soweto, presso Johannesburg. Non fraintendeteci, visitare Kibera (solo e
unicamente con personale affidabile e del posto, mai per proprio conto) non è un tentativo sadico di rendere il posto un’attrazione
turistica, bensì un modo di comprendere sino in fondo la vera realtà di Nairobi vivendo per qualche ora la realtà povera e priva di
ogni modernità che caratterizza la vita di queste persone meno fortunate. Purtroppo qui i problemi sociali sono davvero tangibili:
manca la fognatura, la disoccupazione raggiunge livelli record (oltre l’80%) così come il tasso di sieropositività (incredibile il valore
del 60% di diffusione rilevato nel sobborgo di Mitumba), mentre la scolarizzazione raggiunge appena il 10% dei bambini e il reddito
medio è di meno di un dollaro al giorno pro capite. In compenso, se sarete accompagnati da personale illuminato, avrete modo anche
di familiarizzare con qualche famiglia del posto e persino giocare con i ragazzi del posto, un’esperienza che non potrete di certo
dimenticare. Attenzione però a farvi accompagnare fuori da Kibera entro il tramonto, la zona è decisamente off limits con l’avvento
della notte. Per la serata è decisamente meglio fare rotta sul centro città o verso Karen o Langata.
Le botteghe artigiane e le bancarelle dell’emporio di Utamaduni, sono una vera mecca per gli appassionati di souvenir ed arte
africana keniana in quei di Nairobi. In seguito poi alcuni ballerini in costumi tribali tradizionali presso il Bomas of Kenya ed infine
una vista aerea sulla distesa sterminata di baracche dell’enorme, e degradato slum di Kibera, l’anima povera e rude di Nairobi.
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• Situato solo a una decina di chilometri più a sud in linea d’aria dal centro moderno di Nairobi il Nairobi National Park costituisce il
primo approccio per quasi ogni amante dei safari nella natura selvaggia del Kenya, oltre ad essere un rarissimo esempio a livello
mondiale di parco nazionale ubicato nei pressi di una megalopoli contemporanea. La ragione di questa particolare collocazione del
Nairobi National Park va ricercata nella storia, molto recente, della capitale keniana. Essendo stata fondata solamente nell’800 qui,
sino ad allora, vivevano solamente i masai i kikuyu attorniati da branchi sterminati di impala, zebre e gazzelle i quali dovettero subire
passivamente l’avanzata della metropoli venendo man mano confinati in questa riserva (dapprima di caccia) e dal 1946 naturalistica.
Oggi il parco si articola su 117km2 che comprendono essenzialmente due habitat distinti: la foresta fluviale che cresce attorno al
corso del fiume Athi e le lande di savana che vi si estendono attorno. Insospettabilmente, vista l’efficiente rete di guardaparco e
sistemi di sicurezza anti bracconaggio, il Nairobi National Park serba al suo interno una concentrazione di fauna tra le più
rappresentative del Kenya intero. Qui vivono infatti leoni, bufali, leopardi, rinoceronti neri (moltissimi), rinoceronti bianchi, giraffe,
gazzelle, gnu, eland, zebre oltre a ben 400 diverse specie ornitologiche che potrete ammirare in un singolare contesto che prevede la
vista dello skyline ricco di grattacieli del centro città sullo sfondo e il volteggiare in cielo di rumorosi jumbo jet che decollano e
atterrano ciclicamente dall’aeroporto di Nairobi (il parco è delimitato ad ogni modo dalla città da una serie di recinzioni). Il clou di
una visita al Nairobi National Park è costituito dai classici safari che lo esplorano da cima a fondo, in genere in mezza giornata.
Questi safari avvengono secondo la modalità automobilistica nella stragrande maggioranza dei casi ma ultimamente si sta assistendo
al proliferare anche di offerte di compagnie turistiche specializzate nei più intriganti safari a piedi. Nel corso della terza giornata
dedicata alla visita di Nairobi e del suo parco nazionale omonimo vi suggeriamo caldamente infine anche di visionare altre due
attrattive del luogo: il David Sheldrick Wildlife Trust e il Giraffe Centre. Il primo è un ente no profit che da decenni si occupa del
recupero e della proliferazione di specie a rischio, come quelle dei rinoceronti neri e degli elefanti, che potrete avvicinare moltissimo
durante la vostra visita, mentre il Giraffe Centre si occupa del ripopolamento in sede selvatica delle rare giraffe di Rothschild che
contano di poche centinaia di capi residui in tutto il territorio keniota.
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Nelle prime due immagini si possono ammirare due delle specie più iconiche del Nairobi National Park (i rinoceronti neri e i leoni)
che si muovono libere tra le praterie del parco con sullo sfondo il moderno skyline del centro metropolitano della capitale keniana. In
terza immagine invece una delle numerose giraffe di Rothschild presso il centro di ripopolamento dello Giraffe Centre.
5° giorno: LAKE NAIVASHA NATIONAL PARK
Con la quinta giornata dell’itinerario proposto giunge quindi l’ora di lasciare Nairobi, le sue incongruenze e le sue bellezze, per iniziare ad
esplorare il vero e proprio cuore della nazione keniota, immergendosi subito nel mitico scenario della Rift Valley, la vallata creata dai
possenti movimenti tettonici che stanno ormai da qualche milione di anni plasmando il territorio di questa porzione africana allontanando
man mano il centro del continente dalla sua sezione orientale comprendente il Corno d’Africa. Il primo approccio che avrete con questi
maestosi scenari sarà costituito dal minuto ma interessante Lake Naivasha National Park, raggiungibile peraltro in sole 2 ore di autovettura
(100km) da Nairobi. Il Lago Naivasha è una sorta di oasi appartata della regione: il bacino di acqua dolce è un invaso pressappoco sferico
di 6-7km di diametro circondato da papiri e acacie che offre riparo a numerose specie ornitologiche e una popolazione ben rappresentata di
ippopotami. Sfortunatamente data la sua vicinanza con la capitale keniota negli anni ’30 e ’40 il Naivasha fu utilizzato come aeroporto per
idrovolanti e questo compromise molto la sua integrità naturalistica, unendoci il fatto che molti coloni stranieri decisero di costruire qui le
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loro case keniote e che si affermò rapidamente come buen retiro per molti anziani inglesi emigrati. Le peripezie del lago però non
terminarono di certo qui: essendo uno dei pochissimi grandi bacini di acqua dolce della Rift Valley il Naivasha nella seconda metà del ‘900
fu ampiamente sfruttato per alimentare i sistemi di irrigazione verso le campagne circostanti alimentando le produzioni ortofrutticole e le
floricolture che tanto hanno aiutato l’economia locale ma che inevitabilmente hanno man mano ridotto (se non in alcuni anni quasi
prosciugato) il lago che peraltro è divenuto celebre anche per la pesca sportiva. Solo nel 1995 si decise quindi un’inversione di tendenza
netta verso l’approccio con cui interfacciarsi al Naivasha che venne messo sotto tutela e divenne quindi sito Ramsar come certificato di oasi
ornitologica nel volgere di pochi anni. Una visita al Naivasha dovrebbe articolarsi lungo la sua sponda meridionale lungo la quale si
collocano i due principali ambienti del parco: ad est si trova la Crescent Island Wildlife Sanctuary, un affioramento del lago costituito dal
bordo di un antico cratere che oggi ospita giraffe, gazzelle e numerosi tipi di uccelli, ad ovest invece si trova il Crater Lake Game Sanctuary
dove abbondano bufali, zebre e si possono arrivare ad osservare fino a 150 diverse specie ornitologiche. Vista la limitata estensione
territoriale del Lake Naivasha National Park una giornata intera di visita può risultare più che sufficiente per coglierne gli aspetti basilari,
inoltre vi raccomandiamo di pernottare in una delle sue numerose strutture ricettive che si affollano lungo il suo lato perimetrale
meridionale, sia per la bontà dell’offerta delle stesse sia perché da qui l’indomani vi sarà comodissimo (5km di distanza) accedere al
limitrofo Hell’s Gate National Park.
Alcune immagini iconiche del Lake Naivasha National Park: dagli esemplari della ricchissima fauna ornitologica che volteggiano
costantemente sopra le acque del lago (in terza immagine la Crescent Island, vero santuario in tal senso) passando per i giganteschi e solo
apparentemente mansueti ippopotami, le vere star tra gli animali del parco nazionale.
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6° giorno: HELL’S GATE NATIONAL PARK
Se possibile ancora più piccolo del Lake Naivasha National Park l’Hell’s Gate National Park è un minuscolo parco nazionale keniota di
forma vagamente rettangolare (68 km2) che si dirama sulle alture immediatamente a sud del lago della Rift Valley. Dominato a sud-est dalla
mole dell’ex vulcano Longonot l’Hell’s Gate è un luogo geologicamente attivo come testimoniano le sue sorgenti geotermali (che alimentano
diverse centrali geotermiche) ed è un gioiellino tanto accattivante che persino la Disney decise di prendere spunto da alcuni dei suoi luoghi
per ambientare uno dei suoi lungometraggi più famosi: Il Re Leone. Quello che caratterizza l’Hell’s Gate rispetto agli altri parchi nazionali
kenioti è il fatto che qui viene incoraggiato caldamente il safari in bicicletta, una modalità di approcciarsi alla natura selvaggia inedita ma
incredibilmente accattivante, vi sarà possibile infatti imbattervi nei grandi animali africani direttamente in maniera frontale e naturale.
Bufali, gazzelle, giraffe, zebre ma anche predatori come leopardi, ghepardi e leoni sono diffusi a macchia d’olio, così come i possenti avvoltoi
e l’emozione di averceli di fronte senza le protezioni oggettive date dai telai delle automobili decuplicherà la vostra esperienza di safari.
L’ambiente in cui vi muoverete è altrettanto ammaliante: dalla savana si passa a rupi di basalto color ruggine e, a livello di spettacolarità,
nulla è secondo all’Hell’s Gate Gorge, la gola situata nella sezione orientale del parco a cui si accede oltrepassando la Fisher’s Tower, un
affioramento basaltico di 25m che ricorda un esploratore tedesco che nel 1882 fu qui sconfitto pesantemente dai popoli masai. Percorrere la
gola, sempre caratterizzata da giochi di luce e da slanciati monoliti rocciosi che si arrampicano verso il cielo è d’obbligo (ci sono anche
diversi percorsi facilitati scavati nella roccia) ma siate accorti da tenervi sufficiente tempo a disposizione per i safari in bicicletta prima
menzionati, almeno nel pomeriggio. Vi consigliamo di prendevi tutto il tempo a vostra disposizione per questa attività, prolungandola sino al
tramonto (un momento topico per l’osservazione della fauna selvatica), è di pernottare così ancora una volta nelle strutture ricettive situate
appena oltre i confini del parco nei pressi del Lake Naivasha.
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In queste tre immagini si riassume il meglio che abbia da offrirvi il piccolo ma strabiliante Hell’s Gate National Park: un parco dove vi
imbatterete in gole fluviale scavate da agenti erosivi millenari incredibilmente scenografici, un luogo in cui la fauna selvatica si muove libera
tra queste stravaganze geologiche e uno dei rari posti in Africa in cui provare l’emozione di un safari in bicicletta vis a vis con gli animali.
7° giorno: LAKE NAKURU NATIONAL PARK
Situato immediatamente a sud del congestionato centro urbano di Nakuru (quarto insediamento urbano del Kenya per dimensioni, 90km, 2
ore dal Lake Naivasha, luogo ideale per fermarsi per la notte), il Nakuru National Park è un’area protetta che tutela l’omonimo lago della
Rift Valley che per dimensioni e abbondanza di fauna presente hanno consentito al parco il privilegio di diventare la seconda area protetta in
termini di presenze turistiche del Kenya. Anche se la biodiversità è notevole all’interno dei confini del parco (ci sono diversi facoceri,
gazzelle, zebre, bufali, iraci, babbuini e leopardi) sono però essenzialmente due gli animali simbolo del Nakuru National Park: i rinoceronti e
i fenicotteri. Dopo la loro reintroduzione nella seconda metà del XX secolo i rinoceronti hanno trovato qui un habitat a loro particolarmente
congeniale per proliferare e oggi ci sono decine di esemplari sia della specie bianca che di quella schiva dei rinoceronti neri. Le migliaia di
fenicotteri rosa che volteggiano e si posano sulle acque salmastre del Lake Nakuru sono però oltre ogni ragionevole dubbio la cartolina
simbolo del parco. Attratti dalla presenza massiccia di alghe blu-verdi presenti nel lago i fenicotteri da sempre fanno a gara per raggiungere
questo bacino per loro particolarmente florido (specialmente nella stagione secca che va da agosto ad ottobre), sebbene vada ribadito che
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l’ecosistema del Nakuru in tal senso sia incredibilmente instabile e delicato. Se da un lato la vicinanza estrema con Nakuru città sottende
rischi elevati di contaminazioni con rifiuti, scarichi e pesticidi agricoli dell’invaso dall’altro va ricordato come il Lake Nakuru sia delicato
anche sotto il profilo naturale intrinseco. Essendo alimentato per lo più solo dalle piogge, annate particolarmente siccitose hanno comportato
quasi l’evaporazione del lago mentre periodi di intense precipitazioni possono far scendere talmente la salinità del lago da non permettere la
crescita delle alghe blu-verdi e quindi mancando il cibo necessario al loro sostentamento i fenicotteri possono addirittura decidere in alcuni
anni di non raggiungere il Nakuru. La modalità di visita consentita in questo parco nazionale è solo quella dei safari automobilistici (ma la
situazione potrebbe variare nel corso dei prossimi anni) e quindi, vista l’estensione limitata dell’area protetta, vi sarà più che sufficiente una
giornata per una sua esplorazione soddisfacente. Non mancate in tal senso di riservarvi tempo a sufficienza sia per godere del contatto
ravvicinato con la fauna selvatica sia per ammirare gli splendidi tramonti sul lago dal bellavista della Baboon Cliff, un’altura
incredibilmente spettacolare con le luci del sole calante. Come preannunciato per la notte invece usufruite senza problemi delle strutture
presenti a Nakuru città.
Una delle gemme naturalistiche più note e celebrate del Kenya, il Lake Nakuru, non tradirà di certo le vostre aspettative essendo uno dei
santuari più importanti al mondo per l’osservazione dei fenicotteri nel loro habitat naturale (sono decine di migliaia gli esemplari che si
radunano qui annualmente ricoprendo di un tappeto rosa le acque saline de lago) e anche uno dei poli per la conservazione dei sempre più
rari rinoceronti bianchi e neri del Continente Nero.
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8° giorno: LAKE BOGORIA NATIONAL RESERVE
Meta di una meravigliosa escursione giornaliera da Nakuru (ma svegliatevi di buon ora’ dovendo almeno dedicare 2 ore e mezza per
raggiungere il posto, 85km più a nord di Nakuru) il Lake Bogoria si sta attestando come la nuova mecca per gli appassionati di ornitologia
del Kenya, essendo arrivato a contare negli anni ’90 su una popolazione migratoria di fenicotteri di ben due milioni di esemplari, attratti in
questo bacino in seguito ai mutamenti microclimatici del Lake Nakuru. Tutelato da un parco naturale locale il Lake Bogoria è completamente
diverso da qualsiasi altro bacino lacustre della Rift Valley: incastonato tra verdi colline esso presenta infatti sponde aride e una marcata
attività geotermale con sorgenti calde e geyser che sbuffano vapore ciclicamente. La vegetazione rada facilita poi l’osservazione della
avifauna (oltre 200 specie recensite), che gli sono valsi l’inserimento nella lista internazionale Ramsar, ma anche di specie diverse come il
cudù. Più rari e confinati al settore meridionale del Lake Bogoria sono invece i grandi capi selvatici tipici dell’Africa come leopardi, antilopi,
caracal, bufali e gazzelle. Sorgendo in un’area quasi di frontiera e comunque lontano dai principali itinerari turistici il Lake Bogoria non è
semplicissimo da visitare e vista anche la precaria condizioni delle piste (indispensabili ottimi fuoristrada) vi consigliamo per visitarlo di
ingaggiare un accompagnatore fidato a Nakuru, tramite agenzie conosciute. Sarete ricompensati da questi disagi logistici da una meta
remota, ancestrale e in cui davvero potrete avere tutta la natura selvaggia keniana solo per voi. Non essendoci strutture ricettive valide in
zona e anche per questioni meramente logistiche vi invitiamo per la notte a soggiornare ancora a Nakuru.
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Remoto, primordiale, incredibilmente pullulante di vita il Lake Bogoria è una delle gemme meno note e più spettacolari di tutto il Kenya: un
bacino lacustre salino della Rift Valley che offre nutrimento e riparo a milioni di fenicotteri che lo ricoprono di un manto rosa nella stagione
secca (agosto-ottobre). Qui però contrariamente al Lake Nakuru anche la terra dà spettacolo con geyser e sorgenti termali numerose.
9° - 10° - 11° giorno: ABERDARE NATIONAL PARK
I Monti Aberdare possono essere considerati un po' come la spina dorsale della sezione centrale del Kenya estendendosi per circa 160km
giusto a settentrione di Nairobi e raggiungendo elevazioni che sfiorano i 4000m (4001m precisamente l’Ol Donyo Lesatima, la massima
asperità). Questa catena montuosa dalle tonalità marroni e grigie e spesso ricoperta da una coltre nebbiosa insistente svolse un ruolo
fondamentale sia durante le lotte per l’indipendenza del Kenya (i guerriglieri Mau Mau erano soliti rifugiarvisi) che come culla
dell’agricoltura nazionale, nella sua sezione orientale, mentre la porzione più occidentale e scoscesa è da sempre lasciata al libero pascolo
delle specie selvatiche (rinoceronti, bufali, facoceri, elefanti, leoni e leopardi).
L’approccio classico all’Aberdare National Park da Nakuru avviene mediante la statale B5 che lo circumnaviga a nord raggiungendo in
prima istanza il villaggio di Nyahururu (65km, 90 minuti da Nakuru). Questo avamposto altro non è che il più alto insediamento del Kenya
(2360m) e la porta di accesso ai sentieri che nel volgere di 30 minuti vi condurranno alla base delle Thomson’s Falls, cascate alte 72m che
precipitano tra rocce taglienti sorvegliate da un’incessante viavai di babbuini. Questo assaggio di Aberdare sicuramente vi rimarrà impresso
nella memoria ma una volta scattate le foto di rito non dimenticate lungo la via del ritorno di fare sosta presso uno dei numerosi villaggi
agricoli tradizionali della zona, perfetti per entrare in contatto con le tribù locali. Una volta fatto rientro alle vostre autovetture guidate
quindi da Nyahururu sino alla cittadina di Nyeri (105km, 105 minuti), il centro nevralgico degli Aberdare che risulta essere costituito da una
mistura sociale in cui domina l’etnia kikuyu (gruppo sociale principale del Kenya moderno caratterizzato da un passato guerriero spiccato)
affiancata a numerosi bianchi kenioti. Qui nei numerosi mercati all’aria aperta potrete provare diverse specialità della cucina da strada
keniota (mais, banane, fecola di marante, caffè o noci di macadamia) ma non dimenticate di fare un salto alla vicina (20km) Solio Game
Reserve, un centro di recupero e ripopolamento sorto per tutelare il futuro dei rinoceronti neri, una specie a lungo stata fatta oggetto di
bracconaggio indiscriminato e ridotta sull’orlo dell’estinzione anni or sono. E’ bello pensare che questo centro abbia svolto un ruolo
essenziale nel recupero del patrimonio animale dei rinoceronti, basti pensare che molti degli esemplari oggi in libertà nei parchi nazionali
sono in realtà figli della Solio Game Reserve. Per la nottata ad ogni modo pernottate a Nyeri.
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Nei restanti due giorni che vi invitiamo a trascorrere nel cuore dell’Aberdare National Park vi invitiamo caldamente a farvi accompagnare in
trekking nella natura selvaggia da parte delle guide locali. Contrariamente a molti altri parchi nazionali kenioti l’Aberdare si caratterizza,
specie nella sezione orientale detta Salient, da una serie di colline ricoperte da una lussureggiante vegetazione percorsa da corsi d’acqua
scroscianti nel quale è frequentissimo imbattersi nella fauna selvatica, ma siate lesti con la vostra macchina fotografica. La selva è così
intricata che persino gli elefanti potrebbero pararvisi dinnanzi agli occhi inaspettatamente. Oltre ai pachidermi qui è comune l’avvistamento
anche di babbuini (a centinaia), iene, bufali, maiali giganti della foresta, rinoceronti, antilopi e persino rare pantere nere. La sezione
occidentale del parco è invece costituita da una brughiera d’alta quota perennemente spazzata da freddi venti, il Kinangop, dove si elevano le
vette principali degli Aberdare. La salita all’Ol Donyo Lesatima non è tecnicamente complessa ma dovrete affidarvi a esperte guide locali
anche solo per condurvi alla base della montagna su apposite piste per fuoristrada stagionali (mettete in conto almeno due giorni in tutto). Il
periodo migliore per muovervi all’interno dell’Aberdare National Park va da giugno a febbraio, evitando almeno i mesi delle più importanti
piogge annuali, comunque distribuite su tutto l’arco dell’anno.
In prima immagine la roboante Thomson’s Fall, la cascata più spettacolare di tutta l’area delle Aberdare Mountains e primo vero approccio
con questa regione montuosa centrale e lussureggiante del Kenya. Quindi alcuni rinoceronti presso la Solio Game Reserve di Nyeri, centri di
ripopolamento pensato per questa specie vulnerabile, ed infine alcuni arditi trekking tra gli altopiani (Kinangop) delle Aberdare.
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12° - 13° - 14° - 15° - 16° giorno: MT KENYA NATIONAL PARK
Dimora usuale secondo le popolazioni locali Kikuyu di Ngai, la loro divinità predominante che qui avrebbe il suo trono, il Monte Kenya con i
suoi 5199m risulta essere la seconda montagna più elevata di tutta l’Africa e nonostante si trovi in vicinanza della linea dell’Equatore è
ancora oggi sede di una dozzina di ghiacciai che resistono indomiti al surriscaldamento globale. La genesi di questo gigante si deve alle sue
antiche eruzioni (fu uno strato vulcano attivo sino a 2,5-3 milioni di anni fa) e quindi lungo le sue pendici potrete gustarvi il progressivo
passaggio di diversi biomi come foreste lussureggianti (dove si muovono persino leoni, leopardi, iene, iraci, elefanti, bufali, rinoceronti e
colobi), foreste di bambù, brughiere d’alta quota caratterizzate da muschi, licheni, gladioli, lobelie e seneci giganti, sino a risolversi in un
deserto freddo e arido sopra i 3800m. La vetta, essendo stata a lungo sacra per le popolazioni locali, fu invece scalata per la prima volta
dall’inglese Mackinder nel 1899. Inutile dire che l’emblema stesso di una visita al Monte Kenya sia l’ardente desiderio di provare a
raggiungere questa maestosa vetta dall’altezza vertiginosa. Innanzitutto dobbiamo erudirvi sul fatto che il Monte Kenya possiede tre sommità
distinte: le due più elevate (Baitan 5199m e Nelion 5188m) sono appannaggio solo di alpinisti esperti e con dimestichezza con tecniche di
arrampicata, progressione su ghiacciaio e forte abitudine alle quote estreme, più abbordabile e in genere obiettivo dei gruppi organizzati è
invece la terza asperità del gruppo, la punta Lenana che raggiunge ad ogni modo i 4985m. In qualsiasi caso per muovervi in sicurezza su
questa montagna dovrete necessariamente affidarvi a tour operator locali e affidabili che vi forniscano guide esperte (in grado di intervenire
anche ai primi sintomi di mal di montagna come nausea, vomito, capogiri) che sappiano farvi muovere nella direzione corretta, prevenendo i
mutamenti meteorologici (le nebbie sommitali sono assai frequenti) e che vi mettano a disposizione tutta l’attrezzatura da montagna e scalata
necessaria allo scopo (nonostante siate quasi all’Equatore in vetta si raggiungono senza problemi i -10° / -15°. Utile può essere anche
l’ingaggio di un portatore che vi libererà di gran parte del peso degli equipaggiamenti lungo la salita facendovi risparmiare fondamentali
energie per tentare l’attacco finale alla vetta.
La via di ascesa che vi consigliamo di intraprendere per raggiungere le vette del Monte Kenya, dopo attenta analisi, è quella settentrionale
nota come Sirimon (peraltro la tecnicamente più semplice), tralasciando il classico percorso di Naro Moru (sul versante occidentale, meno
bella paesaggisticamente e con un avvicinamento basale estenuante) o varianti solo apparentemente suadenti come la via orientale di
Chogoria (che si svolge per lo più su pietrisco e terreni infidi e faticosi). La via di Sirimon invece si snoda tra gli anfratti più spettacolari che
il Monte Kenya abbia da offrirvi e, cosa di cui tener bene conto, nel tratto basale con l’apertura di una buona pista per fuoristrada tra i
campi e le foreste poste a quote inferiori potrà farvi risparmiare tempo e energie non indifferenti. Il punto in cui vi condurranno i mezzi
motorizzati sarà un parcheggio posto 23km a sud del villaggio di Nanyuki (85km, 105 minuti da Nyeri) nel cuore della lussureggiante foresta
primaria basale. Da qui con una camminata di 3-4 ore (9km) potrete risalire sino all’Old Moses Hut (3300m) per trascorrere la prima notte.
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La seconda giornata di ascesa vi condurrà invece tra le meravigliose brughiere di alta quota della Valle del Liki sino allo Shipton’s Camp
(4200m), l’ultimo rifugio in ordine di vicinanza alla vetta del Monte Kenya sul percorso di salita, Una notte a queste quote è oltremodo
impegnativa e dovrebbe essere presa in considerazione con queste tempistiche ristrette solo a chi, nei giorni precedenti, sia era acclimatato
facendo trekking a quote elevate nei Monti Aberdare. Il terzo giorno di questa escursione coincide con l’attacco alla vetta della Punta Lenana
(4985m, 3-5 ore per raggiungerla). Il percorso di salita può essere duplice passando per l’Harris Tarn (un laghetto situato nei pressi delle
vette Batian e Nelion) o per il più veloce ma scosceso Simba Col (4620m) ma è fortemente consigliabile svolgere ancora con le tenebre della
notte per giungere in vetta per l’alba godendovi sia questo spettacolo che anticipando la quasi giornaliera risalita di nubi che da metà
mattina in poi cingono inesorabilmente il gruppo sommitale del Monte Kenya. Dalla Lenana solo i più esperti e chi non soffre affatto il mal di
montagna potrà provare l’ascesa ai picchi di Batian e Nelion, ancora almeno un chilometro di percorrenza. Sulla via di discesa, se avrete
tempo ed energie ancora a disposizione, potreste anche passare per il Tooth Col percorrendo un breve tratto del circuito sommitale (in caso
di necessità c’è un riparo in quota noto come Austrian Hut) ma sarebbe consigliabile far rientro per cena all’Old Moses Hut piuttosto che
allo Shipton’s Camp. In ultima e quarta giornata completate quindi la discesa fino a Nanyuki e di qui fino ad Archer’s Post (110km, 2 ore)
che fungerà da vostra nuova base per il proseguo del viaggio. Sebbene tecnicamente fattibile in quattro giorni l’ascesa può essere effettuata
in queste tempistiche solo se nei giorni precedenti avrete sviluppato abitudine alla quota negli Aberdare, altrimenti predisponetevi un giorni
in più per l’impresa anche se una giornata di riserva per eventuali condizioni meteorologiche avverse sarebbe saggio predisporla.
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Alcuni scenari indimenticabili con cui potrete entrare in intimità seguendo i sentieri che risalgono le sommità del Monte Kenya: in prima
fotografia lo strano e unico paesaggio delle brughiere di alta quota con una vegetazione rada ed endemica. Quindi al centro il gruppo
centrale del Monte Kenya con la facile Punta Lenana sulla sinistra e le irte Baitan e Nelion al centro. Infine una vista dei panorami che si
godono all’alba dalla Punta Lenana, meta delle più numerosi escursioni su questo gruppo montuoso.
17° - 18° giorno: SHABA – SAMBURU – BUFFALO SPRINGS NATIONAL PARK
Piccoli, limitrofi e spesso ignorati dal turismo internazionale i parchi nazionali di Shaba, Samburu e Buffalo Springs sono una sorta di
costellazione naturalistica ancora largamente inesplorata e per questo quanto più possibile conforme alla realtà storica del Kenya
tradizionale ancestrale. Nonostante la loro posizione remota lungo la principale direttrice stradale (la statale A2) che si dirige spedita verso
nord in direzione di Marsabit e del confine etiope questa zona è ancora scevra dei rischi che si incentreranno man mano che si percorrerà
questa strada verso il desolato settentrione keniano e quindi non diffidate dal fatto di recarvisi in buona sicurezza. Punto nodale dei tre
parchi è l’abitato anonimo e polveroso di Archer’s Post popolato da genti Samburu, strettamente imparentate coi Masai, che vivono ancora
in regime semi nomade e grazie ai proventi derivati dal loro bestiame. La società samburu si articola in gruppi di 5-8 famiglie basate su un
patriarcato ferreo all’interno del quale si pratica la poligamia e la circoncisione. Bellissimi sono invece gli abiti con le donne che sfoggiano
collane di perline fantasiose e gli uomini che si muovono in compagnia dei loro cammelli con capelli impastati di ocra rossa. Alternativa ad
Archer’s Post per soggiornare in zona è la vicina cittadina di Isiolo, più grande, che ha una miscellanea maggiore di genti con folte
rappresentative di somali e turkana. Ritornando ai parchi essi meritano almeno un paio di giorni del vostro viaggio, destinando uno dei quali
al solo Shaba National Park. Questo parco che sorge ad oriente è caratterizzato da colline (kopje) isolate che si stagliano tra fantasiosi
affioramenti rocciosi naturale e sparuti gruppi di palme dum creando un ambiente davvero da suggestione. Esistono alcune impervie piste
per fuoristrada che lo girano completamente ma nonostante l’anello principale si allunghi per soli 50km dovrete mettere in conto almeno 5-6
ore per percorrerlo. I parchi occidentali di Samburu e Buffalo Springs invece sono un mix intrigante di savane, zone desertiche e vegetazione
fluviale, che creano i presupposti ideali per l’osservazione della fauna selvatica. Oltre ai classici animali che avrete già avuto modo di
incrociare nei giorni precedenti sappiate che qui dimorano alcune specie particolari come gli struzzi somali dalle zampe blu, le zebre di
Grevy, impala, orici, giraffe reticolate e il gerenuk. Anche in questo caso esistono piste sconnesse per fuoristrada che si addentrano nelle
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aree protette per circa 50km ma per percorrere le quali dovrete necessariamente predisporre un’intera giornata a disposizione. Se proprio
infine voleste provare un’esperienza wilderness sappiate che i parchi sono dotati di spartani campeggi nella natura che offrono solo i più
basilari agi della modernità.
In queste tre istantanee si raggruppano alcune delle scene più iconiche che potrete gustarvi muovendovi tra le riserve naturalistiche di Shaba,
Samburu e Buffalo Springs nel cuore del Kenya centro-settentrionale. Qui lontano dalle folle dei parchi nazionali meridionali avrete a
disposizione ottimi punti di osservazione nella classica savana africana per rubare scatti di leopardi, orici e molti altri singolari specie.
19° - 20° giorno: trasferimento fino in Italia
Fare rientro dal cuore della natura incontaminata del Kenya sino ai principali aeroporti italiani non è impresa semplice ed agevole ma, tutto
sommato, nemmeno improponibile come potrebbe apparire in prima istanza. Innanzitutto nella prima delle due giornate dedicate al viaggio
di ritorno dovrete necessariamente predisporre tutta la mattinata (se non oltre) al trasferimento automobilistico da Archer’s Post sino
all’aeroporto di Nairobi lungo l’interminabile statale A2 (320km, 5 ore e mezzo di guida effettiva). Una volta raggiunto lo scalo
internazionale ricordate che al momento non esistono collegamenti aerei diretti con l’Italia e che dovrete necessariamente fare uno scalo
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intermedio presso o i maggiori aeroporti nordafricani (Addis Abeba, Mombasa o Il Cairo) o nei principali hub della penisola arabica (Dubai,
Abu Dhabi, Doha) o ancora nei maggiori scali europei (Parigi, Francoforte, Istanbul, Amsterdam) per uno sviluppo complessivo della tratta
di 10-20 ore totali. Questo fattore, unito al preliminare tratto di trasferimento automobilistico in terra keniota, renderà quindi necessario
predisporre non meno di due giorni al viaggio di rientro, prima di porre nuovamente piede sul suolo italico.
Note a margine dell’itinerario:
Vista l’estensione della nazione keniota e al contempo il fatto che man mano che ci si inoltra verso i confini settentrionali della nazione ci si
avvicina a regioni del globo particolarmente insidiose sotto un profilo di sicurezza per il viaggiatore indipendente (specie nei pressi delle
frontiere con il Sud Sudan e la Somalia) le regioni settentrionali del Kenya non sono state incluse in questa trattazione. Oltretutto dopo
attenta analisi ci preme informarvi che l’uniformità del territorio e la mancanza di siti di attrazione reali rende queste lande davvero poco
interessanti per il turista internazionale. Ad ogni modo, come in tutte le cose, vi è l’eccezione che conferma la regola e in questo caso ci
stiamo riferendo al Lago Tukana, enorme bacino idrico della Rift Valley keniana. Se mai decideste di spingervi ai confini degli itinerari
usualmente presi in considerazione dai viaggiatori “classici” sappiate che per raggiungere questi avamposti dovrete necessariamente avere
tempo, soldi e plasticità mentale a disposizione. L’unico modo per avvicinarsi in questi territori in modo regolare è usufruire dell’aeroporto
di Lodwar che è collegato o direttamente all’aeroporto di Nairobi (90 minuti di volo) oppure mediante un veloce scalo intermedio presso la
pista di Eldoret (nell’ovest del Kenya), in questo caso due ore di volo complessive. Esisterebbero anche piste di atterraggio in quei di
Lokitaung (estremità nord-ovest del Lago Turkana), Loiyangalani (costa orientale dello stesso), Kalokol o Eliye Springs (riva occidentale) ma
in questo caso nessun operatore nazionale propone voli di linea schedulati e potrebbero essere presi in considerazione solo se disporrete di
velivoli privati. Ricordate che andrete a muovervi in territori davvero remoti, senza alcuna copertura telefonica, agio della modernità, con un
livello di sicurezza sotto la soglia della sufficienza e senza la possibilità di soccorsi sanitari rapidi in caso di necessità.
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LAGO TURKANA:
Collocato all’estremità nord-orientale della nazione keniana il Lago Turkana è un immenso bacino lacustre di 6405 km2 che appartiene quasi
completamente al Kenya, eccezion fatta per la sua estrema propaggine settentrionale, nei pressi della foce del fiume Omo, che è in territorio
etiope. A lungo conosciuto con l’appellativo di Lago Rodolfo (nel 1888 il principe austro ungarico Rodolfo d’Asburgo-Lorena fu il primo
occidentale a raggiungerlo) ha oggi ritrovato il suo nominativo originario che trae la sua genesi dalla popolazione dei Turkana, genti di
origine ugandese che storicamente vivono di allevamento e pesca, i quali amano coprirsi con indumenti di lana (nonostante il clima torrido),
tatuarsi il corpo e hanno uno stile di vita ancora molto tradizionale avvalendosi di cure fornite da stregoni locali, basandosi sul patriarcato
ma rifuggendo volontariamente la pratica diffusa in buona parte dell’Africa della circoncisione. Essendo un lago senza emissari collocato in
una regione caldissima il Turkana è divenuto col tempo un lago alcalino a causa della forte evaporazione presente e a lungo ha sofferto di
una contrazione tale del suo livello da far pensare a un rischio di prosciugamento nel prossimo futuro. Dopo possenti alluvioni portatrici di
cospicue dosi d’acqua da parte del fiume Omo a partire dal 2006 il lago ha però ripreso profondità e vigore e questo ha salvaguardato anche
le grandi colonie di coccodrilli che lo abitano. Come i coccodrilli del Nilo abitino questo lago oggi immerso in area desertica è presto detto:
10.000 anni fa il lago aveva una profondità di ben 100m superiore e alimentava direttamente il grande fiume africano: ecco come fu possibile
la migrazione di questi alligatori preistorici così intimamente legati all’acqua.
Sono diversi i siti di interesse legati al Lago Turkana e se vorrete venire in zona dovrete necessariamente scegliere tra le diverse opzioni che
vi andiamo ad elencare. La sezione meridionale del lago ruota attorno al villaggio di Loiyangalani, un avamposto dalle tinte forti abitato da
genti che amano vestire di rosso acceso, con lance sempre a portata di mano e con copricapi composti da piume colorate. Non sono solo i
Turkana però a popolarlo ma anche il ristrettissimo gruppo sociale degli El-Molo, ormai ridotti a poche migliaia in tutto il Kenya, che vive
oggi come un tempo di pesca e caccia di grossa fauna locale (ippopotami, coccodrilli). La collocazione di Loiyangalani è particolarmente
spettacolare grazie alla sua vicinanza sia con il Monte Kulal (a est, oasi botanica coperta di foreste nella desolazione del panorama arido
tipico del Turkana) che con il perfetto cono vulcanico del Teleki (a sud). E’ tuttavia la possibilità di accedere all’isola lacustre di South
Island, oggi parco nazionale, in soli 30 minuti di barca a motore la principale attrattiva di Loiyangalani. Quest’area protetta anche
dall’UNESCO di 39 kmq è un paradiso di natura selvaggia: spoglia e riarsa dal sole è abitata da popolazioni di serpenti velenosi, coccodrilli
e capre selvatiche e muovendovi su di essa o nei suoi pressi avrete come l’impressione di aver raggiunto una sorta di inferno sceso in terra.
Purtroppo l’unico accesso valido per Loiyangalani ad oggi rimane la sua pista per aeroplani privati, non esistono possibilità di voli di linea
interni per raggiungerla.
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Una vista aerea dell’estremità meridionale del remoto Lago Turkana dominata dal perfetto cono ex vulcanico del Teleki che si erge in un
territorio inospitale, arido e largamente disabitato. Quindi due istantanee che ritraggono le genti Turkana nei pressi del villaggio di
Loiyangalani nelle loro tipiche vesti variopinte e in compagnia dei cammelli, indispensabili per il trasporto locale.
Più comoda da raggiungere è invece la sponda occidentale del Turkana che ha in Eliye Springs (65km, 2 ore da Lodwar) il suo centro di
maggiore interesse. Eliye Springs è nota in zona per le sue sorgenti che sgorgano da rocce scoscese e che permettono la crescita lungo le
anonime, rocciose e desolate sponde del Lago Turkana di un piccolo palmeto che fa ricordare scenari tropicali. I bambini del luogo sono
soliti giocare e sguazzare nelle calde acque presenti e per tutti sarà un’oasi di refrigerio in questo paesaggio altrimenti davvero ostile. Da
Eliye Spings potrete quindi dirigervi in direzione dell’abitato di Karakol (40km, 1 ora) e al limitrofo Golfo di Ferguson dove si possono
noleggiare imbarcazioni, rigorosamente a motore, per raggiungere la Central Island del Turkana. Anche questo affioramento lacustre è sede
di parco nazionale ed ha una genesi vulcanica come testimoniano le recenti fumarole di zolfo e vapori su di essa presenti. I diversi crateri che
la caratterizzano le donano poi un’atmosfera quasi ultraterrena corroborata dal fatto di ospitare un’immensa colonia di famelici coccodrilli
(oltre 14.000 la stima) compresi alcuni esemplari davvero da guinness per quanto concerne la grandezza. I più avventurosi potranno perfino
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decidere di campeggiare su questa terra tormentata.
L’ultima zona degna di nota collegata al Lago Turkana è infine quella del Sibiloi National Park, luogo magico ma difficilissimo da
raggiungere se si pensa che l’unico accesso (ma solo nella stagione secca) è un’impervia pista sterrata per cui ci vogliono 7 ore di guida
(sola andata) da Loiyangalani, a sua volta raggiungibile solo con voli privati. Quello che rende speciale il Sibiloi National Park sono i suoi
ritrovamenti paleontologici in esso effettuati: scheletri di Homo Habilis e Homo Erectus sono stati dissotterrati qui in quantità elevata e di
grande qualità storica anche se probabilmente solo i grandi appassionati del genere potranno emozionarsi per una visita in queste terre di
confine. Ironia della sorta quella che è stata una delle culle dell’umanità è oggi uno dei luoghi più remoti e inospitali che il pianeta proponga
a noi umani, tanto che quasi nessuno si inoltra in questi territori straordinari.
In prima immagine una delle tipiche costruzioni tradizionali dei Turkana in paglia collocata tra i palmeti alimentati dalla sorgente naturale
nei pressi di Eliye Springs, lungo la costa occidentale del Turkana. Quindi al centro una vista aerea della Central Island, sede di parco
nazionale e uno dei posti al mondo dove si registra la massima concentrazione di giganteschi coccodrilli del Nilo allo stato brado.