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PAGINA 6 NOVEMBRE 2016 Notizie idee e opinioni dall’Oratorio La Bambina e la Montagna Tanto tempo fa, in una terra arida e calda, nota come Deser- to Rosa, si trovava un minusco- lo villaggio di pastori, chiamato Miraggio, dove tutti gli abitanti si conoscevano per nome. C’era stato un tempo in cui Mi- raggio era una delle meraviglie del mondo, famosa per le enor- mi palme da dattero, così alte da fare il solletico alle nuvole, e i cui frutti erano dolci come il miele più prelibato; allora l’acqua fre- sca scorreva in abbondanza dalla cima della Montagna nei cana- li costruiti attorno al villaggio e ogni viaggiatore che si rispettasse doveva fare tappa a Miraggio per assaggiarla. Poi però gli abitanti si arricchirono così tanto per la bel- lezza del loro paese che divennero cattivi, violenti ed egoisti. Allora il Signore, che conosce- va bene quel posto incantevole perché era stato Lui a progettar- lo, decise di togliere loro l’acqua ed incendiare la foresta di palme come punizione: avevano infatti dimenticato di ringraziare ogni giorno per quello che possedeva- no e nessuno di loro pregava più. Allora un mattino, stanchi di mo- rire di sete e diventare di giorno in giorno sempre più poveri, gli anziani del villaggio si riunirono in assemblea e capirono che l’uni- ca soluzione era mandare l’uomo più forte sulla Montagna e toglie- re dalla sorgente il macigno che bloccava il flusso d’acqua. Se fosse riuscito nell’impresa, sarebbe stato incoronato Maragià, che nella lingua del Deserto vole- va dire più o meno “grande re”. Razan, il campione del villaggio, che si diceva discendesse da una stirpe di Giganti, tutto muscoli e mani così grandi da oscurare il Sole, fu il prescelto. Per arrivare alla Montagna era necessario sopravvivere alla di- stesa infinita del Deserto Rosa, con i suoi pericoli e demoni in agguato dietro ogni duna. Ma proprio la notte in cui Razan doveva partire per la missione, si fece avanti Asya, una bambina piccola e fragile, che si reggeva a malapena su due stampelle di legno, i cui capelli neri erano in- garbugliati peggio di un groviglio di rovi. Tutti la evitavano a Miraggio, perché sapevano che era malata e credevano che Dio l’avesse ma- ledetta: aveva le ossa cave, come gli uccelli, non abbastanza robu- ste per permetterle di camminare come chiunque altro. – Salverò io il villaggio.- disse Asya senza timore nella voce. I suoi com- paesani scoppiarono a ridere e le tirarono addosso uova marce, continuando a scherzarla. Razan finse di non averla sentita e partì alla volta della Montagna. Asya, ignorando le risate di scherno, uscì dal villaggio, dietro il Gi- gante. Durante il viaggio verso la Montagna i due viandanti fecero strani incontri: Razan era sempre in testa, Asya costantemente in ritardo. All’inizio del percorso Razan il Gigante vide un antico cedro tutto spoglio e le cui foglie d’argento erano sparse intorno alle sue radici come lacrime di un vecchio triste; l’uomo passò oltre, calpestandole con furia, preso com’era dalla cor- sa. Asya la Bambina, al contrario, si fermò e raccolse pazientemente ogni foglia, persino la più picco- la, poi la appese ai rami del cedro con ago e filo, perché l’albero non fosse più infelice. Nel frattempo Razan catturò una volpe e le rubò il pelo caldo e soffice per proteg- gersi dal gelo delle notti stellate. Quando Asya si accorse della cre- aturina nuda e tremante ne ebbe compassione: si tolse la misera e sgualcita veste che indossava e la donò alla volpe. Infine, giunto ai piedi della Montagna, Razan, stanco e af- famato, entrò nella capanna di un contadino e, dopo averlo pic- chiato, divorò tutto il suo miglio, l’unico pasto che il pover’uomo potesse concedersi. Mentre il Gigante si preparava a scalare la Montagna, finalmente sazio, Asya entrò nella casa del contadino per chiedere un po’ di ospitalità, ma quando le raccontò cosa gli fos- se successo, la bambina gli porse l’ultima briciola di formaggio che le fosse rimasta. I morsi della fame Un racconto per ragazzi/e aspiranti lettori Qualcosa che non c’è Una canzone di Elisa per riflettere e meditare “Tutto questo tempo a chie- dermi cos’è che non mi lascia in pace; tutti questi anni a chie- dermi se vado veramente bene... così. Come sono... così... così un giorno. Ho scritto sul quaderno, io farò sognare il mondo con la musica... Non molto tempo dopo quando mi bastava fare un salto per raggiungere la felicità. E la verità è che ho aspettato a lungo qualcosa che non c’è. Invece di guardare il sole sorgere. Questo è sempre stato un modo per fermare il tempo e la velocità. I passi svel- ti della gente, la disattenzione, le parole dette senza umiltà. Senza cuore così… solo per far rumo- re. Ho aspettato a lungo qualcosa che non c’è. Invece di guardare il sole sorgere E miracolosamente non ho smesso di sognare. E mi- racolosamente non riesco a non sperare. E se c’è un segreto è fare tutto come se vedessi solo il sole...” Ci è capitato a tutti noi di tro- varci in particolari momenti della vita in cui vogliamo cercare delle risposte, il più delle volte senza avere neanche troppo chiaro qua- li siano le domande, o forse solo come porle. Ci si sente come so- spesi in una sorta di limbo, altale- nando momenti di euforia accom- pagnati dalla sensazione di essere vicini ad afferrare la soluzione a momenti di frustrazione in cui ci sembra di imboccare solo vicoli ciechi o di aver girato in tondo. È come se fossimo in mare aperto con la nostra bella tavola da surf sottobraccio, lo sguardo all’orizzonte, aspettando l’onda che si sa arriverà prima o poi. Poi man mano che vediamo l’acqua salire ci facciamo prendere dal- le paure, dai dubbi, iniziamo ad analizzare, a fare verifiche, a fare e disfare e poi finalmente deci- diamo di buttarci ma… l’onda è andata, ci ha oltrepassati e chi la sta cavalcando sono quelli che hanno saputo coglierla al volo, senza porsi tante questioni. A cer- care risposte chissà dove uno può anche perdere di vista la propria vita, la propria strada e soprattutto il proprio scopo. Giri, giri e rigiri attorno a quel vortice che hai cre- ato come una trottola, senza avere il tempo di focalizzarti su nulla, se non il turbine stesso. Non ap- parirebbe tutto molto più sempli- ce se ci fermassimo anche solo un istante? Almeno non avremmo le vertigini. Dobbiamo semplicemente ama- re ogni momento del nostro vis- suto. Momenti che hanno al loro interno tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Senza attendere qual- cosa che crediamo ci faccia stare meglio, volendo sempre di più, senza “accontentarci” di quel mo- mento semplice ma intenso, uni- co... che nella sua semplicità dà tutta l’energia alle cose. Questa canzone è un vero e proprio inno al godere delle pic- cole e grandi emozioni. Ci invita a compiere quel salto di qualità nella nostra vita. Quel sole che abbiamo dentro e a cui dobbiamo dare spazio è quel sole che illumi- nerà il tutto anche attorno a noi. Questo è il segreto... cogliere, as- saporare, gustare e amare quello che c’è senza aspettare qualcosa che non c’è. Matteo la stancavano e il freddo notturno le pungeva il debole corpicino, però sapeva che sarebbe morta di dispiacere se non avesse aiutato il contadino derubato. Quello che non sapeva era che la vittima di Razan era in realtà il Custode della Montagna, il qua- le le suggerì:- Dormi all’ombra della Montagna stanotte e vedrai che al sorgere del sole vincerai!-. Asya, seppur con qualche dubbio, si rannicchiò esattamente sotto la Montagna. Era sicura che le sue ossa da uccellino non l’avrebbero aiutata ad arrivare in cima. Non le restava che pregare. Intanto la Montagna continuava a tremare per scrollarsi di dosso Razan, che non si dava per vinto e ogni volta che cadeva, riprova- va ad arrampicarsi. Per fortuna la Montagna era amica del Signore e voleva che fosse Asya ad avere la meglio, perché, con la sua bon- tà illimitata, si era dimostrata più forte del più forte degli uomini. Così, quando Asya si svegliò, sulla sua schiena comparvero due bellissime ali da colomba e, gra- zie alle leggere ossa da uccellino, volò in cima alla Montagna, dove liberò la sorgente dal macigno. Miraggio tornò ad essere ricca di corsi d’acqua e alberi da frutto e gli abitanti non persero mai più la fede. Asya fu nominata Gran Sultna del Deserto, poiché aveva conquistato il favore di Dio per merito della nobiltà e della forza d’animo. Si sa, non c’è muscolo più potente di quello del cuore. Per quanto riguarda Razan...beh, lui è ancora là, che cerca inutil- mente di scalare la Montagna. Alice Busnelli Betlemme: casa del Pane Passo dopo passo verso la mangiatoia Avvento: tempo di attesa, di gioia, di spe- ranza. Il Signore viene a visitarci dove siamo, nella nostra vita scandita dal ritmo del tempo. E noi, come l’antico Israele, viviamo l’attesa e custodiamo la speranza. Anche all’Oratorio San Luigi è tempo di partire ed alla fine di questo mese immerger- ci nel cammino verso la grotta di Betlemme in comunione con tutta la nostra parrocchia, per contemplare e adorare il Verbo fatto carne. Spesso non ci accorgiamo però che lo stes- so Verbo, di cui tanto sentiamo parlare, ha una caratteristica fondamentale: Lui è concreto. La sua concretezza è qui, davanti a nostri occhi, nell’Eucaristia. Ma andiamo per ordine: raccontando la na- scita di Gesù, l’evangelista Luca annota che “anche Giuseppe... dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davi- de, chiamata Betlemme” (Lc 2,4). Non si tratta solo di un’informazione bensì l’indicazione di un percorso che anche noi siamo chiamati a fare per vivere bene il S. Natale del Signore. Salire a Betlemme, la “città del pane”, per puntare lo sguardo su quella mangiatoia dove è adagiato il “pane disceso dal cielo”: Betlemme come il luogo dal quale partire per riflettere e capire. Bèt-lehem significa proprio “casa del pane”: sarà compito di tutti allora non dimen- ticarci che il Bambino di Betlemme è Colui che dirà: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. An- che in questo avvento quindi tutti i ragazzi e le ragazze dell’Oratorio tenteranno di guardare Gesù come dono di Dio a Natale. Spesso, dobbiamo riconoscerlo, sorge an- che in noi spontaneo il desiderio di fare dei doni alle persone cui vogliamo bene ma è ne- cessario non dimenticare che la bellezza del dono è data dalla sobrietà, mai dallo spreco né dall’esaltazione del superfluo. Il dono può essere qualcosa di piccolo ma di prezioso… come un bambino. L’Avvento vorrebbe anche essere occa- sione per guardare a Gesù che si fa pane e necessariamente pensare a chi non ha pane per nutrirsi, vestiti per coprirsi, farmaci per curarsi... Solo aiutando, coloro che ci stanno accanto, sentiremo anche noi da lontano il coro degli angeli che canteranno “gloria a Dio nei cieli e pace agli uomini in terra...”; ci lasceremo illuminare dalla luce che proprio Lui emana e chiede a nostra volta di essere luce nel mondo e sale della terra. Avvento e Natale verranno allora tutte le volte in cui Gesù sulla mensa dell’Eucarestia si fa pane per noi e noi facciamo “Comunio- ne” con Lui e con i nostri fratelli. Buon Avven- to a tutti. don Mario

La Bambina e la Montagna - La Cordata OnLine · restava che pregare. Intanto la Montagna continuava a tremare per scrollarsi di dosso Razan, che non si dava per vinto e ogni volta

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PAGINA 6 NOVEMBRE 2016

Notizie idee e opinionidall’Oratorio

La Bambina e la MontagnaTanto tempo fa, in una terra

arida e calda, nota come Deser-to Rosa, si trovava un minusco-lo villaggio di pastori, chiamato Miraggio, dove tutti gli abitanti si conoscevano per nome.

C’era stato un tempo in cui Mi-raggio era una delle meraviglie del mondo, famosa per le enor-mi palme da dattero, così alte da fare il solletico alle nuvole, e i cui frutti erano dolci come il miele più prelibato; allora l’acqua fre-sca scorreva in abbondanza dalla cima della Montagna nei cana-li costruiti attorno al villaggio e ogni viaggiatore che si rispettasse doveva fare tappa a Miraggio per assaggiarla. Poi però gli abitanti si arricchirono così tanto per la bel-lezza del loro paese che divennero cattivi, violenti ed egoisti.

Allora il Signore, che conosce-va bene quel posto incantevole perché era stato Lui a progettar-lo, decise di togliere loro l’acqua ed incendiare la foresta di palme come punizione: avevano infatti dimenticato di ringraziare ogni giorno per quello che possedeva-no e nessuno di loro pregava più. Allora un mattino, stanchi di mo-rire di sete e diventare di giorno in giorno sempre più poveri, gli anziani del villaggio si riunirono in assemblea e capirono che l’uni-ca soluzione era mandare l’uomo più forte sulla Montagna e toglie-re dalla sorgente il macigno che bloccava il flusso d’acqua.

Se fosse riuscito nell’impresa, sarebbe stato incoronato Maragià, che nella lingua del Deserto vole-va dire più o meno “grande re”. Razan, il campione del villaggio, che si diceva discendesse da una stirpe di Giganti, tutto muscoli e mani così grandi da oscurare il Sole, fu il prescelto.

Per arrivare alla Montagna era necessario sopravvivere alla di-stesa infinita del Deserto Rosa,

con i suoi pericoli e demoni in agguato dietro ogni duna.

Ma proprio la notte in cui Razan doveva partire per la missione, si fece avanti Asya, una bambina piccola e fragile, che si reggeva a malapena su due stampelle di legno, i cui capelli neri erano in-garbugliati peggio di un groviglio di rovi.

Tutti la evitavano a Miraggio, perché sapevano che era malata e credevano che Dio l’avesse ma-ledetta: aveva le ossa cave, come gli uccelli, non abbastanza robu-ste per permetterle di camminare come chiunque altro. – Salverò io il villaggio.- disse Asya senza timore nella voce. I suoi com-paesani scoppiarono a ridere e le tirarono addosso uova marce, continuando a scherzarla. Razan finse di non averla sentita e partì alla volta della Montagna. Asya, ignorando le risate di scherno, uscì dal villaggio, dietro il Gi-gante. Durante il viaggio verso la Montagna i due viandanti fecero strani incontri: Razan era sempre in testa, Asya costantemente in ritardo.

All’inizio del percorso Razan il Gigante vide un antico cedro tutto spoglio e le cui foglie d’argento erano sparse intorno alle sue radici come lacrime di un vecchio triste; l’uomo passò oltre, calpestandole con furia, preso com’era dalla cor-sa. Asya la Bambina, al contrario, si fermò e raccolse pazientemente ogni foglia, persino la più picco-la, poi la appese ai rami del cedro con ago e filo, perché l’albero non fosse più infelice. Nel frattempo Razan catturò una volpe e le rubò il pelo caldo e soffice per proteg-gersi dal gelo delle notti stellate. Quando Asya si accorse della cre-aturina nuda e tremante ne ebbe compassione: si tolse la misera e sgualcita veste che indossava e la donò alla volpe.

Infine, giunto ai piedi della Montagna, Razan, stanco e af-famato, entrò nella capanna di un contadino e, dopo averlo pic-chiato, divorò tutto il suo miglio, l’unico pasto che il pover’uomo potesse concedersi. Mentre il Gigante si preparava a scalare la Montagna, finalmente sazio, Asya entrò nella casa del contadino per chiedere un po’ di ospitalità, ma quando le raccontò cosa gli fos-se successo, la bambina gli porse l’ultima briciola di formaggio che le fosse rimasta. I morsi della fame

Un racconto per ragazzi/e aspiranti lettori

Qualcosa che non c’èUna canzone di Elisa per riflettere e meditare

“Tutto questo tempo a chie-dermi cos’è che non mi lascia in pace; tutti questi anni a chie-dermi se vado veramente bene... così. Come sono... così... così un giorno. Ho scritto sul quaderno, io farò sognare il mondo con la musica... Non molto tempo dopo quando mi bastava fare un salto per raggiungere la felicità. E la verità è che ho aspettato a lungo qualcosa che non c’è. Invece di guardare il sole sorgere. Questo è sempre stato un modo per fermare il tempo e la velocità. I passi svel-ti della gente, la disattenzione, le parole dette senza umiltà. Senza cuore così… solo per far rumo-re. Ho aspettato a lungo qualcosa che non c’è. Invece di guardare il sole sorgere E miracolosamente non ho smesso di sognare. E mi-racolosamente non riesco a non sperare. E se c’è un segreto è fare tutto come se vedessi solo il sole...”

Ci è capitato a tutti noi di tro-varci in particolari momenti della

vita in cui vogliamo cercare delle risposte, il più delle volte senza avere neanche troppo chiaro qua-li siano le domande, o forse solo come porle. Ci si sente come so-spesi in una sorta di limbo, altale-nando momenti di euforia accom-pagnati dalla sensazione di essere vicini ad afferrare la soluzione a momenti di frustrazione in cui ci sembra di imboccare solo vicoli ciechi o di aver girato in tondo.

È come se fossimo in mare aperto con la nostra bella tavola da surf sottobraccio, lo sguardo all’orizzonte, aspettando l’onda che si sa arriverà prima o poi. Poi man mano che vediamo l’acqua salire ci facciamo prendere dal-le paure, dai dubbi, iniziamo ad analizzare, a fare verifiche, a fare e disfare e poi finalmente deci-diamo di buttarci ma… l’onda è andata, ci ha oltrepassati e chi la sta cavalcando sono quelli che hanno saputo coglierla al volo, senza porsi tante questioni. A cer-care risposte chissà dove uno può

anche perdere di vista la propria vita, la propria strada e soprattutto il proprio scopo. Giri, giri e rigiri attorno a quel vortice che hai cre-ato come una trottola, senza avere il tempo di focalizzarti su nulla, se non il turbine stesso. Non ap-parirebbe tutto molto più sempli-ce se ci fermassimo anche solo un istante? Almeno non avremmo le vertigini.

Dobbiamo semplicemente ama-re ogni momento del nostro vis-suto. Momenti che hanno al loro interno tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Senza attendere qual-cosa che crediamo ci faccia stare meglio, volendo sempre di più, senza “accontentarci” di quel mo-mento semplice ma intenso, uni-co... che nella sua semplicità dà tutta l’energia alle cose.

Questa canzone è un vero e proprio inno al godere delle pic-cole e grandi emozioni. Ci invita a compiere quel salto di qualità nella nostra vita. Quel sole che abbiamo dentro e a cui dobbiamo dare spazio è quel sole che illumi-nerà il tutto anche attorno a noi. Questo è il segreto... cogliere, as-saporare, gustare e amare quello che c’è senza aspettare qualcosa che non c’è.

Matteo

la stancavano e il freddo notturno le pungeva il debole corpicino, però sapeva che sarebbe morta di dispiacere se non avesse aiutato il contadino derubato.

Quello che non sapeva era che la vittima di Razan era in realtà il Custode della Montagna, il qua-le le suggerì:- Dormi all’ombra della Montagna stanotte e vedrai che al sorgere del sole vincerai!-. Asya, seppur con qualche dubbio, si rannicchiò esattamente sotto la Montagna. Era sicura che le sue ossa da uccellino non l’avrebbero aiutata ad arrivare in cima. Non le restava che pregare.

Intanto la Montagna continuava a tremare per scrollarsi di dosso Razan, che non si dava per vinto e ogni volta che cadeva, riprova-va ad arrampicarsi. Per fortuna la Montagna era amica del Signore

e voleva che fosse Asya ad avere la meglio, perché, con la sua bon-tà illimitata, si era dimostrata più forte del più forte degli uomini.

Così, quando Asya si svegliò, sulla sua schiena comparvero due bellissime ali da colomba e, gra-zie alle leggere ossa da uccellino, volò in cima alla Montagna, dove liberò la sorgente dal macigno. Miraggio tornò ad essere ricca di corsi d’acqua e alberi da frutto e gli abitanti non persero mai più la fede. Asya fu nominata Gran Sultna del Deserto, poiché aveva conquistato il favore di Dio per merito della nobiltà e della forza d’animo. Si sa, non c’è muscolo più potente di quello del cuore. Per quanto riguarda Razan...beh, lui è ancora là, che cerca inutil-mente di scalare la Montagna. Alice Busnelli

Betlemme: casa del PanePasso dopo passo verso la mangiatoia

Avvento: tempo di attesa, di gioia, di spe-ranza. Il Signore viene a visitarci dove siamo, nella nostra vita scandita dal ritmo del tempo. E noi, come l’antico Israele, viviamo l’attesa e custodiamo la speranza.

Anche all’Oratorio San Luigi è tempo di partire ed alla fine di questo mese immerger-ci nel cammino verso la grotta di Betlemme in comunione con tutta la nostra parrocchia, per contemplare e adorare il Verbo fatto carne.

Spesso non ci accorgiamo però che lo stes-so Verbo, di cui tanto sentiamo parlare, ha una caratteristica fondamentale: Lui è concreto. La sua concretezza è qui, davanti a nostri occhi, nell’Eucaristia.

Ma andiamo per ordine: raccontando la na-scita di Gesù, l’evangelista Luca annota che “anche Giuseppe... dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davi-de, chiamata Betlemme” (Lc 2,4). Non si tratta solo di un’informazione bensì l’indicazione di un percorso che anche noi siamo chiamati a fare per vivere bene il S. Natale del Signore.

Salire a Betlemme, la “città del pane”, per puntare lo sguardo su quella mangiatoia dove è adagiato il “pane disceso dal cielo”: Betlemme come il luogo dal quale partire per riflettere e capire.

Bèt-lehem significa proprio “casa del pane”: sarà compito di tutti allora non dimen-

ticarci che il Bambino di Betlemme è Colui che dirà: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. An-che in questo avvento quindi tutti i ragazzi e le ragazze dell’Oratorio tenteranno di guardare Gesù come dono di Dio a Natale.

Spesso, dobbiamo riconoscerlo, sorge an-che in noi spontaneo il desiderio di fare dei doni alle persone cui vogliamo bene ma è ne-cessario non dimenticare che la bellezza del dono è data dalla sobrietà, mai dallo spreco né dall’esaltazione del superfluo. Il dono può essere qualcosa di piccolo ma di prezioso… come un bambino.

L’Avvento vorrebbe anche essere occa-sione per guardare a Gesù che si fa pane e necessariamente pensare a chi non ha pane per nutrirsi, vestiti per coprirsi, farmaci per curarsi... Solo aiutando, coloro che ci stanno accanto, sentiremo anche noi da lontano il coro degli angeli che canteranno “gloria a Dio nei cieli e pace agli uomini in terra...”; ci lasceremo illuminare dalla luce che proprio Lui emana e chiede a nostra volta di essere luce nel mondo e sale della terra.

Avvento e Natale verranno allora tutte le volte in cui Gesù sulla mensa dell’Eucarestia si fa pane per noi e noi facciamo “Comunio-ne” con Lui e con i nostri fratelli. Buon Avven-to a tutti. don Mario