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La Buona Salute - N.1 -2012

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Le allergie, gli acari

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ALLERGIEinAUMENTO

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Abbiamo tutti bisogno di buona salute. Più delle ambizioni, del-la ricchezza, delle soddisfazioni che dalla vita ci aspettiamo e che ricerchiamo giorno dopo giorno. Per vivere bene, dobbia-mo innanzitutto stare bene. Con noi stessi, col nostro corpo. Può aiutare un contributo di idee e contenuti, come questo viag-gio editoriale. La Buona Salute, iniziativa di Press Italia in distri-buzione gratuita in trentamila copie nelle farmacie dell’Umbria con cadenza trimestrale, vi farà incrociare la strada di specialisti e di tematiche di interesse gene-rale con un linguaggio quanto più semplice. Alla scienza medi-ca e alla farmacologia guardia-mo con fiducia e consapevolez-za di voler trovare le risposte e le soluzioni per vivere meglio. Sia-mo coscienti che stare in buona salute vuol dire avere cura di sè, non solo quando il problema si manifesta. La prevenzione aiu-ta a conoscere, le terapie o gli interventi sono le soluzioni. Il nostro viaggio comincia da qui. Buona salute a tutti.

CONOSCERE PER STARE BENE

EDITORIALE

[email protected]

Screening mammografico in Umbria .................................. 4

Allergie in aumentoma si possono capire e prevenire ............................................. 6

Acarimina vagante ............................................................................. 8

Vinoun buon bicchiere può far bene al cuore ............................. 10

Ad alta voceper farci capire ................................................................................ 13

Resiliencela risorsa psicologica di fronte alle difficoltà ...................... 18

Sana Alimentazionee dieta efficace con le reazioni mrtaboliche ....................... 20

Ictusvera minaccia del nostro tempo .............................................. 22

Rachide Lombarestudio radiologico della patologia degenerativa .............. 24

Papillomavirusprevenzione e vaccinazione accoppiata vincente ............. 28

Invecchiamento delle palpebrecon il bisturi torna tutto a posto .............................................. 30

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ALLERGIEinAUMENTO

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Spazio a...

I programmi di screening sono processi complessi, che agiscono su una popolazione asintomatica, sotto-ponendola periodicamente a controllo con l’obiettivo di individuare una malattia prima che si manifesti at-traverso dei sintomi; lo screening pertanto, in quanto programma di intervento su popolazione sana deve garantire un approccio quanto più possibile uniforme, qualitativamente appropriato e fortemente orientato a favorire la partecipazione dei cittadini.Il carcinoma della mammella rappresenta in Italia la neoplasia più frequente nelle donne, con oltre 36.000 nuovi casi all’anno e 11.000 decessi all’anno. La so-pravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è pari all’86%, tra le migliori a livello europeo. Secondo i dati del RTUP (Registro Tumori Umbro di Popolazione) in Umbria il carcino-ma della mammella è il tumore più frequen-te e la prima causa di morte nelle donne, rappresentando il 23% dei tumori e il 16% delle morti per tumore nelle donne.Il programma di screening per la prevenzio-ne del carcinoma della mammella ha l’obiet-tivo di identificare precocemente i tumori maligni e intervenire eventualmente con te-rapie chirurgiche e mediche, il più possibile conservative ed accettabili. Il programma, che prevede l’effettuazione di una mammo-grafia biennale e la gratuità dell’intero per-corso di approfondimento, è attivo in tutte le Aziende USL della nostra regione dal 1999 e coinvolge circa 120.000 donne tra i 50 e i 69 anni ogni due anni.La regolarità degli inviti e soprattutto la par-tecipazione al programma sono elementi fondamentali per l’efficacia dello stesso. Nel 2010 sono state invitate più di 50.000 donne tra i 50 e i 69 anni e il 77% di que-ste (circa 37.000 donne) ha aderito all’invito effettuando una mammografia di screening.

La partecipazione è più alta tra le donne di età compre-sa tra i 55 e i 64 anni, che da più tempo sono interessate dallo screening e quindi probabilmente anche molto più propense a partecipare, mentre è più bassa nelle donne più giovani (50-54 anni).Complessivamente nel 2010 sono stati identificati 159 tumori maligni allo screening.D’altra parte, i dati 2010 del sistema di sorveglianza PAS-SI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Ita-lia), che raccoglie informazioni rispetto agli stili di vita degli umbri attraverso un questionario somministrato telefonicamente ad un campione della popolazione um-bra di età tra i 18 e i 64 anni, evidenziano che c’è nelle donne un notevole ricorso all’esame preventivo anche prima dei 50 anni, dal momento che nella fascia di età

Donne di 50-69 anni che hanno ef-fettuato la Mammografia negli ulti-mi 2 anni (%)Pool PASSI 2007-10

Dott.ssa Mariadonata Giaimo

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tra i 40 e i 49 anni ben il 68% delle donne riferisce di aver effettuato una mammografia preventiva al-meno una volta nella vita. Tale tendenza all’anticipa-zione della prima mammografia a scopo preventivo, tuttavia, non assicura maggiori benefici dal momento che esistono diversi fattori, ad esempio la maggiore densità del seno, che espongono ad una maggiore inappropriatezza della diagnosi.Al contrario, uno studio caso-controllo condotto nell’ambito del progetto IMPATTO, che si propone di valutare come l’introduzione dello screening mam-mografico abbia portato cambiamenti sullo stadio alla diagnosi, sulla mortalità per carcinoma della mammella e sull’utilizzo della chirurgia conservativa, ha dimostrato che nelle donne che aderiscono allo screening rispondendo all’invito ad effettuare una mammografia ogni due anni la mortalità per tumore della mammella si riduce del 45%.La Regione Umbria attualmente, attraverso il Piano Regionale della Prevenzione 2010-2012, si propone di garantire a tutte le donne appartenenti alla popo-lazione bersaglio per lo screening mammografico i vantaggi derivanti dalla diagnosi precoce, favoren-do, in particolare, la partecipazione al programma di screening delle donne che appartengono a fasce par-ticolarmente vulnerabili quali le lavoratrici straniere.

Mariadonata Giaimo Dirigente Responsabile Servizio Prevenzione, Sicurezza Alimentare e Sanità Pubblica veterinaria Direzione Regionale Salute, Coesione Sociale e società della cono-scenza Regione Umbria

Età media della prima mammografia a scopo preventivo Umbria - PASSI 2006-2010

Promozione della MammografiaUmbria - PASSI 2010 (n=266)

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ma si possono capire e prevenire

inAUMENTO

L’allergologia è una disciplina che interessa trasversalmen-te diverse branche mediche, in virtù del fatto che le aller-gie coinvolgono numerosi organi e apparati esprimendosi pertanto con quadri clinici significativamente diversi l’uno dall’altro. Tali manifestazioni, ancorché tra loro differenti, sono tutte riconducibili all’abnorme reattività del nostro si-stema immunitario verso sostanze (inalate, introdotte con il cibo o con i farmaci, poste a contatto con la cute) altrimenti innocue per la gran parte degli individui. E’ di dominio co-mune il fatto che di allergie soffra ormai una fetta sempre più numerosa di soggetti in qualunque fascia d’età. Inoltre, è in aumento la quota di adulti che inizia a manifestare sin-tomi di allergia dopo i 40-50 anni. I costi sociali delle pa-tologie allergiche sono difficilmente quantificabili (alcune statistiche parlano di 40 miliardi di euro l’anno nell’Europa a

15 Stati), ma comportano enormi esborsi per il nostro Sistema Sanitario in termini di ricoveri ospedalieri visite specialistiche e consumo di farmaci, cui aggiungere co-sti sociali elevati per le assenze dal lavoro o da scuola e costi sicuramente incalcola-bili sotto il profilo della qualità della vita. L’iperreattività del sistema immunitario verso sostanze innocue si fonda su due concetti fondamentali diversi ma tra di loro interdipendenti: da un lato la pre-disposizione genetica ad ammalarsi di allergia, dall’altro i numerosi fattori am-bientali in grado di modificare lo stato di tolleranza del nostro sistema immunita-rio. Per quanto concerne il primo aspet-to, va precisato che parte dell’aumento di incidenza di allergie nella popolazio-ne generale deriva dal sempre maggior numero di neonati da familiari allergici, fenomeno da noi documentato anche per la Regione Umbria dove si registra-va già nel periodo 1997-2005 una per-centuale superiore al 40% di neonati da familiari allergici. Per di più, la familiarità per allergopatie è sicuramente un fattore predisponente al futuro sviluppo di asma bronchiale già in età scolare. Bisogna ag-giungere poi l’aumento costante di inci-denza di allergie anche in soggetti adulti che mai hanno in precedenza sofferto di tali patologie, neanche a livello familiare. In pratica, allergici si può diventare nel

Consigli utili: ridurre l’uso degli antibiotici in gravidanza e nei bambini, latte materno quanto più a lungo possibile.

Prof. Fabrizio Spinozzi

Fabrizio Spinozzi è professore associato presso il Dipar-timento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Perugia. Specialista in medicina interna, allergologia ed immunologia Clinica, è autore di numerose pubblicazioni su riviste internazionali recensite su MedLine nel campo dell’immunologia e dell’allergologia. E’ responsabile del la-boratorio di immunoallergologia sperimentale e si interes-sa di tutti gli aspetti clinici e scientifici delle malattie aller-giche. Ha partecipato come relatore a numerosi congressi

internazionali ed è stato membro del collegio internazionale di esperti del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIH-NIAID, Usa) per la valutazione di progetti di ricerca in campo immuno-allergologico.

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corso della vita, in maniera apparentemente casua-le, ma sicuramente influenzata da fattori ambientali. Le novità derivanti dalla ricerca scientifica riguarda-no sopratutto questo punto, la miglior conoscenza del fenomeno della tolleranza immunologica e di come questa possa rompersi ad opera di interferen-ze ambientali. Studi recenti hanno dimostrato come l’allattamento materno e la composizione della flora microbica intestinale siano due fattori fondamentali per garantire un’ottima tolleranza periferica alle so-stanze esterne con cui veniamo in contatto. In altre parole, dal latte materno, che è il primo alimento del neonato (e che eccezionalmente provoca intol-leranza), e dal successivo svezzamento alimentare si costituisce l’unicum della flora microbica intestinale che interagisce costantemente con le cellule del si-stema immunitario delle mucose (che rappresenta da solo oltre il 70-75% del tessuto linfoide totale del nostro organismo). Questa interazione costante ci protegge in maniera ottimale dall’ambiente esterno e costituisce il fondamento delle nostre difese, che si arricchiscono anzi dal contatto con specie batte-riche o virali diverse, come avveniva in epoca pre-vaccinale o come avviene nei paesi in via di sviluppo o nell’est Europa. Quali sono allora i fattori in grado di rompere temporaneamente o definitivamente questo equilibrio? Difficile fornirne un elenco det-tagliato, anche perché questo campo di ricerca è in continua evoluzione proprio in questi mesi. Tuttavia dei punti fermi sono già stati acquisiti. Il primo è senza dubbio il valore estremo di un corretto al-lattamento al seno. Il latte materno contiene so-stanze preziose per il corretto sviluppo del sistema immunitario delle mucose, che proprio adesso ven-gono studiate nell’ottica di precisare il loro ruolo nella maturazione di linfociti T regolatori intestinali, principali artefici della tolleranza immunologica pe-riferica. Un secondo punto è rappresentato da una corretta alimentazione associata ad un uso ocula-to degli antibiotici e forse dei vaccini. All’inizio del ventesimo secolo l’Helicobacter pylori era la specie microbica dominante nello stomaco di quasi tutte le persone. Al passaggio al ventunesimo secolo, solo il 6% dei bambini in Usa, Svezia e Germania è portatore del micro-organismo. L’esposizione ripe-tuta a cicli di terapia antibiotica ad ampio spettro potrebbe giustificare l’aumento esplosivo, proprio di questi ultimi decenni, di condizioni come l’obe-

sità, il diabete di tipo 1, le malattie infiammatorie intestinali, il morbo celiaco, le allergie in genere e l’asma. Non va neanche dimenticato che l’uso in-discriminato di antibiotici nella zootecnia (favorito dal fatto che gli animali trattati con dosi sub-tera-peutiche di antibiotici ad ampio spettro aumentano di peso) ci espone tuttora al rischio non solo della sensibilizzazione passiva verso questi farmaci, ma anche al loro effetto diretto sulla nostra flora micro-bica. Ecco allora il consiglio fondamentale di ridurre l’uso degli antibiotici in gravidanza e nei bambini, di aumentare l’uso del latte materno ben oltre tre mesi e, nel futuro, giovarsi di nuovi e più efficaci probiotici che potranno essere disegnati in manie-ra specifica quando le nostre conoscenze in merito alla normale flora intestinale saranno più complete. Infine, un accenno alle novità in campo diagnostico e terapeutico. Nuovi presidi diagnostici di tipo “mo-lecolare” saranno presto in uso ed aiuteranno il cli-nico a definire meglio la reattività dei pazienti verso allergeni inalanti ed alimentari. E’ in corso anche un notevole sforzo di miglioramento diagnostico per le ipersensibilità a farmaci, per le quali è sempre però fondamentale un’attenzione mirata da parte dei medici di medicina generale. La terapia in futuro si potrà personalizzare con l’ausilio di vecchi e nuovi farmaci, ma la svolta avverrà solo quando potremo influire direttamente sul ripristino della tolleranza immunologia periferica a livello delle mucose.

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La bella stagione è sinonimo di rinnovamento, fertilità e resurrezione della natura dopo il lun-go e freddo inverno. Con il suo arrivo giunge la promessa di giornate più lunghe e più calde che offrono vivificante forza e calore… non solo per l’uomo. Ecco, difatti arrivare, complici l’alta tem-peratura (tra 15 e 30 gradi) e un elevato tasso di umidità relativa (pari al 70-90%) dei “graziosi

Dott. Michele Matteini Chiari

fig. 1

fig. 2

animaletti”, non visibili ad occhio nudo, i cosid-detti acari minori, così chiamati per differenziarli dai loro cugini maggiori, il cosiddetto acaro della polvere e quello della farina. In natura sono state identificate almeno 38mila specie, anche se tale numero è in costante aumento per la continua identificazione di nuovi esemplari. Queste “cre-

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aturine” vivono normalmente fuori dell’ambiente domestico e vengono introdotte nelle abitazioni attraverso cibi o altri substrati (piante ornamentali, legname da ardere, mobilio, animali domestici). Se l’ambiente è sfavorevole alla loro riproduzione, ten-dono a nascondersi in tappeti, divani, poltrone dove resistono, sotto forma di larve o ninfe, per molto tempo. Gli acari minori, quando presenti nell’am-biente indoor, possono attaccare l’uomo, usando il loro apparato buccale per mordere e, oppure, pun-gere, causando sulla cute la comparsa di dermatiti caratterizzate da lesioni eritemato-edemato-papu-lo-vescicolari ed accompagnate da intenso prurito. In caso di punture multiple (più di mille) da Pyemo-tes ventricosus (riprodotto nella foto 1), acaro che parassita le larve del tarlo, sono stati descritti sin-tomi generali, come febbre, nausea, tachicardia. Le sedi corporee pre-dilette sono di nor-ma gli arti superiori, le cosce, la regione addominale, il ter-zo inferiore della regione dorsale e nelle donne la re-gione mammaria. Le lesioni tendono a risolvere in circa due-tre settimane,

fig. 3

Michele Matteini Chiari è specialista in derma-tologia e venereologia. Libero professionista, col-labora con la Asl n. 1 nella branca di dermatologia e venereologia presso il distretto della Fascia Ap-penninica dell’Alto Chiascio. È esperto in derma-toscopia e dermatologia allergologica.Membro dell’International Dermoscopy Society ha partecipato a numerosi congressi nazionali ed internazionali.

lasciando esiti ipo o iperpigmentati che possono persistere per mesi. Un esempio di acari mino-ri segnalati come responsabili di manifestazioni cutanee, che più frequentemente colonizzano l’ambiente domestico, è la Cheyletiella blakei (foto 2), che infesta selettivamente il pelo del gatto; se si tiene l’animale infestato in braccio l’acaro si introduce tra i vestiti che portiamo e ci punge ripetutamente. Glycyphagus dome-sticus (foto 3), invece, si sviluppa sull’intonaco delle pareti e sul legname umido e ammuffito; penetra nelle stoffe, negli abiti, nella biancheria lasciandovi feci e setole allergizzanti causa del-la sintomatologia dermatologica (falsa scabbia). Pyemotes ventricosus si sviluppa all’interno dei mobili tarlati; all’inizio della primavera comincia a fuoriuscire dai fori del legno, arrampicandosi su tavoli e poltrone e sui vestiti. Da qui si porta sul-la cute e punge la persona parassitata. Quando lo specialista dermatologo sospetta una ectopa-rassitosi da acari minori, sulla base delle lesioni cutanee, della loro distribuzione e sul frequente riscontro di recidive in seguito al soggiorno in particolari ambienti domestici, si può fare ricorso all’esame diretto delle polveri ambientali (Edpa). Questo esame consente di identificare l’eventua-le agente infestante e di rilevare la possibile fon-te di infestazione e gli ambienti domestici conta-minati, al fine di stabilire le misure più idonee di bonifica ambientale. E’ effettuato presso il labo-ratorio Urania di Perugia, diretto da un’eminenza internazionale in campo entomologico quale il professor Mario Principato.

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Studi epidemiologici hanno stabilito che un consumo moderato riduce il rischio d’infarto

Prof. Paolo Gresele

Il vino, uno degli alimenti più antichi. Consumato dall’uomo da millenni, cantato nei poemi classici, oggetto negli ultimi anni di grande interesse cul-turale e commerciale, tanto da farne, per i vini di alta classe, un bene di lusso. Come tutti sanno, il vino, consumato in maniera eccessiva, può causare gravi danni alla salute e in effetti, secondo l’Orga-nizzazione mondiale della sanità (Oms), l’abuso di alcol è secondo nel mondo solo al tabacco tra le “cattive abitudini” causa di morte. Quello che forse si sa meno è invece che un consumo oculato di vino può aiutare a prevenire le malattie cardiovascolari.Le patologie cardiovascolari, e in particolare l’in-farto cardiaco e l’ictus cerebrale, rappresentano di gran lunga la prima causa di morte e di malattia nel nostro paese e più in generale nel mondo, in parti-colare nei paesi più sviluppati. Il vino è una compo-nente importante e tipica della dieta mediterranea, quella particolare combinazione di alimenti ca-ratteristica dei paesi del bacino mediterraneo che numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato essere all’origine della bassa incidenza di infarto in alcune delle popolazioni che si affacciano su que-sto mare.Numerosi studi epidemiologici hanno stabilito, or-mai in maniera definitiva, che un consumo mode-rato e regolare di vino si associa ad una ridotta in-cidenza di infarto. In particolare, si è visto che esiste una cosiddetta curva ad “U” che mette in relazione la quantità di vino ingerito con le malattie cardio-vascolari, come l’infarto e l’ictus: c’è una riduzione progressiva di eventi all’aumentare della quantità media di vino bevuta quotidianamente, ma solo entro limiti moderati, mentre si ha un aumento del rischio quando l’assunzione raggiunge dosi più ele-vate. Il quantitativo di vino ideale per ottenere una prevenzione cardiovascolare, che può portare ad una riduzione del rischio di essere colpiti da infarto del 30-40%, è di circa due bicchieri al giorno per gli uomini e uno per le donne; quantità più elevate

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possono risultare nocive. Le modalità di assunzione sono anche importanti: il cosiddetto binge-drinking tipico dei paesi anglosassoni, ossia il bere l’intera dose settimana-le di alcolici in solo uno o due giorni (generalmente nel fine settimana) è assolutamente nocivo alla salute. Ma qual è il meccanismo attraverso il quale il vino protegge contro l’infarto? Un ruolo preminente nell’azione benefi-ca del vino sembrano svolgerlo i polifenoli, sostanze an-tiossidanti presenti in particolare nelle bucce dell’uva, e tra questi soprattutto il resveratrolo. Questi antiossidanti sono in grado di aumentare il colesterolo HDL, quello protettivo contro l’infarto, di ridurre le lipoproteine os-sidate, che sono le componenti dei grassi circolanti nel nostro sangue più temibili per l’aterosclerosi, e di au-mentare gli acidi grassi polinsaturi (i cosiddetti omega-3) grassi dalla valenza protettiva contro l’infarto e la morte cardiaca improvvisa (per intenderci quelli di cui è ricco il pesce di mare). Inoltre, i polifenoli contribuiscono a ri-durre la pressione arteriosa, ma sono anche in grado di diminuire i contatti tra globuli bianchi e parete vascola-re, di ridurre l’infiammazione cronica che può associarsi all’aterosclerosi, di prevenire l’invecchiamento cellulare e di aumentare l’ossido nitrico, una molecola prodotta dal-la parete vascolare che esercita un’azione vasodilatatrice e antiaterosclerotica. Studi recenti dell’Università di Pe-rugia, in collaborazione con l’Università “La Sapienza” di Roma, hanno infine dimostrato che la somministrazione controllata di una dose moderata di vino ad un gruppo di volontari sani per due settimane riduce l’aggregazione delle piastrine del sangue, le cellule coinvolte nella for-mazione delle trombosi arteriose, aumentandone la ca-pacità di produrre ossido nitrico.I polifenoli, ed in particolare il resveratrolo, sono presenti in maniera particolare nel vino rosso, ma anche il vino bianco ne contiene discrete quantità. Va ricordato, infine, che il vino non è l’unico alimento ricco di polifenoli e che numerose verdure, l’olio di oliva, le arachidi, la frutta fresca e anche la cioccolata fondente sono anch’essi molto ricchi di queste sostanze antiossidanti benefiche per la salute. Quin-di, un’alimentazione sana e bilanciata, ric-ca di verdure e frutta e con un regolare e moderato apporto quotidiano di vino, aiutano a vivere con più gusto e più a lungo. Pertanto, se è a tutti noto il detto in vino veritas si può anche dire che, se ben usato, in vino salus!

Paolo Gresele è pro-fessore associato di medicina interna presso la Facoltà di medicina e chirurgia, e professore presso il corso di laurea magistrale in scienze biotecnologiche me-diche, veterinarie e fo-

rensi dell’Università di Perugia. Coordina nello stesso ateneo del capoluogo umbro il Dottora-to di ricerca in bioscienze, biotecnologie e bio-materiali nelle malattie vascolari ed endocrino-metaboliche. E’ membro della Società italiana di medicina interna (Simi), della Società italiana per lo studio dell’emostasi e della trombosi (Si-set), del Gruppo di studio delle piastrine (Gsp), della Società italiana di angiologia e patologia vascolare (Siapav), dell’International society on thrombosis & haemostasis (Isth). E’ autore di circa 200 pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali con peer-review. Si interessa in particolare di malattie cardiovascolari, patolo-gie delle piastrine, arteriopatie periferiche, ma-lattie tromboemboliche.

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PPagina intera - B mm 190 x H mm 275

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per farci capire

ad

Alla scoperta degli aspetti fisiologici della fonte vibrante

Tutti i suoni in natura vengono prodotti da un elemento che vibra, da una fonte vibrante. Per esempio, il suono di una chitarra o di un violino viene prodotto dalla vibrazione di una corda , il suono di un clarino dalla vibrazione di un’an-cia, il suono di un tamburo dalla vibrazione, ot-tenuta mediante una percussione, di una pelle di animale messa in tensione, il suono di una tromba o di un trombone dalla vibrazione del-le labbra. Una cavità di risonanza abbinata alla fonte vibrante conferisce varie caratteristiche al suono. Per la voce, la fonte vibrante è rappre-sentata dalle corde vocali contenute nella larin-ge. La vibrazione è provocata dalla la forzatura della linea di contatto delle corde vocali stesse; la forzatura è ottenuta dalla corrente espiratoria che fuoriesce dai polmoni tramite la trachea.Il suono viene poi modificato dalle cavità di riso-nanza abbinate: ipo-meso-orofarige e cavità na-sali e paranasali. La frequenza di apertura e chiu-sura dello spazio tra le corde vocali costituisce la cosiddetta “frequenza fondamentale”, caratteri-stica di ogni individuo e varia a seconda dell’età, del sesso e del tipo di attività vocale. Le vocali vengono formate dall’effetto di amplificazione esercitato dai due risuonatori principali : la farin-ge e la bocca, che , assumendo posizioni diverse ,ci permettono di pronunciare : a, e ,i,o,u. (fig.1) Un ruolo importante viene svolto dalla forma di

(fig.1) CAVITÀ BOCCALE E RELAZIONE PALATOLINGUALE NELLA PRONUNZIA DELLE CINQUE VOCALI

Dott. Piergiorgio Volpini

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apertura delle labbra e dalla posizione all’inter-no della bocca della lingua. Gli organi artico-latori (lingua, labbra, palato e denti) intercon-nettendosi tra di loro formano le consonanti. Elaborazione e produzione della parola: molti genitori gioiscono quando nei primi mesi di vita il loro bimbo dice sillabe somiglianti a pa-pà , a mam-ma (la cosiddetta lallazione), ignorando che fino ai nove-dieci mesi quello che il neona-to dice è frutto di una concatenazione occasio-nale di movimenti corporei, quali la espirazione a corde vocali tra loro accostate, la lingua posi-zionata in una certa maniera e le labbra che si toccano ad intermittenza.Solamente dopo il primo anno di vita, in virtù dell’udito che ha permesso un bio feed back (cioè l’auto constatazione da parte del neona-to), che in seguito a certi movimenti sequenziali e combinati del proprio corpo vengano emessi determinati suoni e sillabe, che questi suoni, le prime sillabe e brevi parole, sono prodotti vo-lontariamente. E’ questa la motivazione per cui i bambini che nascono sordi non hanno la possibilità di poter acquisire i meccanismi di produzione dei suoni e diventano sordomuti. In questi casi una dia-gnosi precoce ed un adeguato trattamento pro-tesico e riabilitativo evitano il mutismo, consen-

tendo lo sviluppo del linguaggio. Diversificazione della qualità della voce: dalla nascita alla pubertà, sia i maschi che le femmine hanno la voce con caratteristiche pressoché simili. Questo perché, fino alla pubertà la conformazione anatomica e funzionale dell’apparato fonatorio, è identica nei due sessi. Se osserviamo le variazioni della “fon-damentale “laringea (della frequenza di apertura e chiusura delle corde vocali) in relazione all’età possiamo fare riscontri come si evince da questa tabella :La variazione della voce con la pubertà viene det-ta “muta vocale“ ; con l’adolescenza la laringe subisce un brusco notevole accrescimento, rad-doppia il suo volume nell’uomo (con la forma-zione del “pomo d’Adamo”) ed aumenta per più della metà nella donna. Questo accrescimento fa si che aumentino,soprattutto in lunghezza, le di-mensioni delle corde vocali; la porzione vibrante aumenta notevolmente e la voce del ragazzo di-scende di un’ottava. (fig. 2) Come ben conosco-no i musicisti che usano strumenti a corda, più la porzione vibrante di una corda è ampia e più il suono è grave (“ basso”) , più la porzione è cor-ta e più il suono è alto (“acuto”). Nei neonati il suono emesso è molto acuto, a volte disturbante. Nei maschi adulti la voce è inferiore di un’ottava rispetto alla voce femminile. Nella voce cantata

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si definiscono: le voci gravi basso nell’uomo e contralto nella donna; le voci mediane baritono nell’uomo e mezzosoprano nella donna e le voci acute tenore nell’uomo e soprano nella donna. Il range di frequenza compreso fra il suono più grave e il suono più acuto definisce l’estensione vocale di un soggetto. Voci femminili: Contralto mi 2-la 4; Mezzosoprano a 2-si 4; Soprano do 3-fa 5. Voci maschili: Basso do 1-fa 3; Baritono sol 1-la 3; Tenore do 2-re 4. Naturalmente nella variazio-ne delle caratteristiche della voce tra maschio e femmina intervengono anche condizionamenti provocati dalle diverse conformazioni dell’intero soma nei due sessi: la capacità toracica, la diver-sità delle cavità di risonanza, la massa muscolare. La voce ai 35-40 anni raggiunge il massimo del-la sua estensione e tessitura; poi per un periodo di tempo variabile per ciascun individuo rimane stazionaria. Nella donna, dopo la menopausa, l’e-stensione vocale comincia a spostarsi verso i suo-ni gravi. Nel maschio verso i 65-70 anni, la voce si sposta verso l’acuto. Dopo gli 80 anni, la voce dell’uomo e della donna tende a rassomigliarsi, e si evidenzia una minore intensità vocale. Questi cambiamenti, a livello di senilità della voce, si devono: in piccola parte alle ossificazioni delle cartilagini laringee, alla rigidità delle articolazio-ni ed ad una ipotonia della muscolatura; per un ulteriore componente non significativa, ma spes-so esistente, alla presenza di protesi dentarie e, oppure, da parziale edentulia, che possono pro-vocare alterazioni nella produzione delle conso-nanti, per esempio la “s” sibilante eccetera; per una componente modesta ,al non adeguato bio feed-back tra udito, per comparsa di presbiacusia (il fisiologico decadimento della funzionalità udi-tiva), e produzione della voce con diminuzione della prosodia (le gradevoli variazioni del par-lato, equivalenti alla melodia del canto); per una notevole componente dalla involuzione senile del mantice respiratorio (anche in assenza di pato-logie specifiche la gabbia toracica diviene meno elastica, la respirazione più superficiale, la colon-na vertebrale si curva, il tono della muscolatura

(fig.2) Corde Vocali durantela respirazione

(fig.3) Visione della laringedall’alto

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intercostale e diaframmatica di-minuisce). Metodiche di indagine e documentazione della voce: la voce non è solo il prodotto della vibrazione delle corse vocali, ma è il risultato anche della coordi-nazione tra tutte le componenti dell’apparato pneumo-fono-arti-colatorio e del feed-back acusti-co dell’apparato uditivo. Vi sono vari metodi di indagine sia di elementi settoriali degli organi che influiscono sulla produzio-ne della voce, sia di indagine del “prodotto finito”. Lo studio ae-rodinamico viene eseguito tra-mite la spirometria fonatoria, un

(fig4) Laringostroboscopia

Analisi Vocale (fig.5)

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Il Dott. Piergiorgio Volpini è nato e vive a Perugia. Laureato in medicina e chirurgia, si è spe-cializzato in otorinolaringoiatria e patologia cervico facciale pres-so l’Università di Perugia ed in foniatria all’Università di Milano. Ha ricoperto incarichi istituzionali inerenti la professione medica: componente di commissioni tec-niche per la programmazione e l’organizzazione della sanità re-

gionale, consigliere dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri nei trienni 1988-90 e 1991-93 , presidente dello stesso Ordine professionale dal ’94, vicepresidente dal ’97; presidente nazionale della Fondazione Onaosi dal 1996 al 2000. Nel tempo ha prestato attività presso gli ospedali di Perugia, Urbino, Foligno e di Gubbio.

esame che fornisce diversi parametri tra i quali il flusso fonatorio medio, il quoziente fonatorio, la pressione sottoglottica e la resistenza glotti-ca (fig. 3). L’indagine degli ulteriori elementi settoriali si basa sulla la-ringoscopia (visione diretta o diretta delle corde vocali), sulla laringostro-boscopia (che permette di osserva-re le corde vocali ferme nelle varie fasi del loro movimento. E’ un’illu-sione ottica ottenuta illuminando le corde vocali in forma intermittente ma regolare, fenomeno che ha il suo fondamento sulla legge di Talbert in merito alla persistenza della visio-ne nell’occhio umano, per cui ogni immagine si mantiene nella retina per 0,2 secondi dopo l’esposizione) e sull’osservazione clinica specifica delle cavità di risonanza e degli organo articolatori (fig.4). Lo studio dell’assetto glottico fonatorio viene attuato me-diante la elettroglottografia, un esame che si basa sulla re-gistrazione, mediante applicazione di due elettrodi a livello dello scudo tiroideo, delle variazioni di impedenza glottica determinate dalla vibrazione cordale. Lo studio dell’assetto articolatorio è attuabile mediante l’elettropalatografia che visualizza l’evoluzione dei contatti che la lingua prende con il palato durante la produzione verbale. Per lo studio e la docu-mentazione del “prodotto finito “, la voce, attualmente viene usato un software specifico, installabile su qualsiasi compu-ter dotato di una scheda audio adeguata e di un microfono professionale per l’esaminando ed una cassa acustica. L’ela-borazione del segnale acquisito consente l’estrazione dello spettrogramma e di altri parametri funzionali importanti, con l’analisi particolareggiata di tutte le caratteristiche fisiologi-che e patologiche della voce. Questo sistema, denominato Mdvp (Multi-dimensional voice program), oltre a mostrare lo spettrogramma della voce , ne analizza automaticamente nu-merosi parametri (33), undici dei quali sono i più importanti. Consente l’analisi e l’identificazione vocale, al pari di un’im-pronta digitale delle falangi delle dita di una mano, mostra “l’impronta vocale” di un soggetto (fig. 5).

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emotivo, familiare e sociale, che consente di svilup-pare sentimenti di sicurezza e fiducia in se stessi e negli altri e contrasta l’emergere di tristezza, rabbia e vulnerabilità. Fattore “Io sono” - Risorse Interne, personali: come l’autostima e il temperamento, che si sviluppano nel processo evolutivo e permetto-no di acquisire autonomia ed identità, ma anche re-sponsabilità per le proprie azioni. Fattore “Io Posso” - Competenze Sociali: competenze interpersonali e di problem solving (soluzione di problemi), che si acquisiscono attraverso le interazioni sociali e che favoriscono l’iniziativa a trovare soluzioni adatte alle situazioni che si devono affrontare. I fattori esterni, interni e le competenze sociali, oltre ad avere rile-vanza teorica, suggeriscono quali comportamenti adulti e genitori possono utilizzare per promuovere e favorire lo sviluppo della resilience in loro e nei loro

Nella letteratura e nella ricerca psicologica, il con-cetto di “resilience” viene utilizzato per descri-vere la capacità umana di fronteggiare, superare ed uscire rinforzati da esperienze negative (Edith Grotberg, 1995). La resilience è il processo che consente ad alcuni di individui di resistere agli eventi negativi mettendo in atto strategie di fron-teggiamento flessibili, che si adattano alle circo-stanze ed esperienze del momento. Tale capaci-tà di coping (fronteggiamento) è universale e si manifesta sia come parte del normale processo evolutivo, che come promotore dello sviluppo in presenza di difficoltà attuali. Si rafforza o indebo-lisce a seconda delle esperienze che si vivono, so-prattutto nell’età evolutiva nel proprio ambiente, a contatto con le figure di attaccamento. Le diffe-renze individuali, che si osservano nelle risposte alle avversità, sono l’effetto dell’interazione nel tempo tra la persona ed il suo ambiente, e dipen-dono dalle opportunità che questa ha avuto di svi-luppare adeguate capacità di coping. La resilience è, dunque, una capacità universale e composita, in essa convergono vari fattori interni ed esterni all’individuo: cognitivi, emotivi, familiari, sociali, educativi, esperienziali e maturativi, che con la loro azione congiunta mobilitano le sue risorse e gli consentono di affrontare e superare in maniera efficace, senza esserne sopraffatti, rischi e diffi-coltà. Dai risultati delle ricerche condotte a livello internazionale da Grotberg, direttore del proget-to internazionale sulla resilience (IRRP), nel para-digma di resilience sono stati distinti tre fattori fondamentali. Fattore “Io Ho” - Risorse Esterne, reperibili nell’ambiente in cui viviamo: il supporto

LA RISORSA PSICOLOGICA DI FRONTE ALLE DIFFICOLTÀ

I sistemi per fronteggiare ed uscire rafforzati dalle

esperienze negative

Dott.ssa Federica Bicchielli

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figli. La fiducia in se stessi e negli altri, l’autono-mia, l’iniziativa e l’identità personale costituiscono il substrato psicologico della capacità di bambini e adulti di affrontare e superare le situazioni di avversità, consentendo ad ognuno di utilizzare un repertorio non rigido di possibilità comporta-mentali e relazionali per giungere alla risoluzione di problemi. Le persone “resilienti” trovano in se stesse, nelle loro relazioni interpersonali e nel loro ambiente le risorse e la forza per superare le diffi-coltà. La resilienza non è una qualità statica, asso-luta e acquisita una volta per tutte, ma è un pro-cesso attivo che varia a seconda delle circostanze, del contesto e dello stadio di sviluppo cognitivo e psicologico. In questa prospettiva, non statica ma evolutiva dei processi di resilience, emerge come i caregiver (genitori e altre figure significative), nel-la loro interazione con i bambini, possono già nei primi stadi di sviluppo promuovere i fattori-risorse di resilience e ridurre la vulnerabilità rispetto agli eventi perturbanti. Lo stile educativo e lo sviluppo delle capacità intellettuali sono fattori di base su cui si poggia la possibilità di sviluppare un mag-giore grado di resilienza. Accrescere nei bambini la capacità di adattarsi flessibilmente è possibile attraverso la promozione ed il potenziamento di fattori protettivi favorendo una buona autostima e un positivo concetto di sé; stimolando l’espressio-ne delle emozioni e la costruzione di relazioni po-sitive alle quali poter chiedere aiuto e consiglio se necessario; promuovendo un buon autocontrollo e un criterio riflessivo prima di agire; trasmetten-do ottimismo e senso dell’umorismo. Nel percorso evolutivo e nell’età adulta, spesso il disagio psi-cologico è legato ad un evento di vita stressante (ad esempio il passaggio da un livello di istruzio-ne ad un altro, divorzi o separazioni, un lutto, un incidente, la gravidanza, il pensionamento) o a momenti critici del ciclo vitale, in particolare nel passaggio da una fase evolutiva ad in’altra (nell’a-dolescenza, età adulta,vecchiaia), dove l’individuo può non reggere le nuove richieste troppo elevate per le competenze acquisite fino a quel momento. Tale disagio può far incorrere la persona in gravi

vulnerabilità psicologiche e forti malesseri se non adeguatamente fronteggiato e se non si possiedo-no sufficienti risorse personali, sociali e ambientali per affrontarlo. L’intervento psicologico ha come obiettivo quello costruire, valorizzare e ricostrui-re i fattori protettivi, attraverso la promozione e l’ educazione alla resilience nel bambino, nell’adulto e nella famiglia. In particolare, vista la stretta rela-zione che esiste tra emozioni, pensieri e compor-tamenti, molti problemi emotivi sono influenzati da ciò che facciamo e da ciò che pensiamo nel presente. Il trattamento psicologico stimola una rilettura del proprio comportamento ed esplo-ra modalità di comportamento alternative che la persona da sola non è in grado produrre. Agen-do sui pensieri disfunzionali e sui comportamenti che ostacolano la resilience, il trattamento influen-za positivamente il processo di cambiamento e adattamento, favorisce il senso di autoefficacia ed il recupero di un equilibrio personale e psicosocia-le a seguito di un evento che è stato fonte di stress.

Federica Bicchielli si è laureata in psi-cologia presso l’U-niversità degli studi di Padova, abili-tandosi alla profes-sione di psicologo alll’Università La Sapienza di Roma. E’ coordinatore pe-dagogico dei servizi per l’infanzia. Si oc-

cupa di sostegno, valutazione e consulenza psicologica. E’ progettista di interventi psi-cosociali rivolti all’infanzia e all’adolescenza. Ha collaborato alla realizzazione di progetti di formazione, di valutazione e di intervento per la prevenzione del disagio e della disper-sione scolastica.

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SANA ALIMENTAZIONE

CON LE REAZIONI METABOLICHEE DIETA EFFICACE

Le buone abitudini ed i pericoli del “fai da te” con i mercanti di falsi miracoli

Quando parliamo di dieta, è bene chiarire su-bito che non s’intende esclusivamente una te-rapia contro una ben precisa patologia: dieta dimagrante o ingrassante o ipoglicemizzante oppure ipolipomizzante, che spesso si riscon-tra anche in individui normopeso. Ma una dieta per vivere sani e a lungo. Pertanto, quando si parla di corretto stile di vita alimentare si in-tende uno stile consono ad ogni singola perso-na sia dal punto di vista quantitativo che qua-

litativo e dal tipo di vita e di attività che si con-duce. Ciò nonostante, gli errori alimentari sono estremamente frequenti e spesso sono la causa di gravi disfunzioni e malattie che colpiscono l’or-ganismo.L’errore più usuale consiste nell’eccesso di assun-zione di carboidrati con il conseguente accumulo di trigliceridi; o cibi ricchi di grassi saturi e co-lesterolo con la formazione di placche a carico dell’apparato cardiovascolare (ictus, infarto). Il consumo eccessivo di zuccheri e grassi animali provoca l’obesità, ossia la madre di una molte-plicità di patologie. Pertanto, ci si può rendere conto che è tanto più facile ingrassare o re-in-grassare quando delle cattive abitudini alimenta-ri sono perpetuate, oppure quando non si tiene conto dell’estrema variabilità di conseguenze che l‘organismo umano può subire a seconda dell’età, della struttura fisica, del sesso e dell’attività svol-ta (mentale e, oppure, fisica).

Dott. Alfredo Donnarumma

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Per fronteggiare le scorrette condotte alimentari, è necessario ricorrere ad una dieta che armonizzi le abitudini del paziente, tenendo conto delle sue principali esigenze, proponendogli una dieta ali-mentare che sarà in grado di seguire con facilità. Ovviamente sono da bandire tutte le “diete fai da te” e i mercanti di falsi miracoli. Si può ricorre-re, come esperienza avvalorata dai percorsi nel tempo, una dieta che non si basa sul numero di calorie ingerite ma su una serie di reazioni meta-boliche che essa innesta nell’organismo. Si tratta di una dieta rapida, facile e perciò gratificante. Seguendola è possibile, infatti, nutrirsi di cibi sa-poriti e ricercati, quali la parmigiana, le fritture, alcuni formaggi ed altro senza doverli pesare. Se da una parte consente un rapido dimagrimento, è evidente che ciò permetterà anche un più facile passaggio alle fasi successive: il riequilibrio del metabolismo ed il mantenimento.Il riequilibro del metabolismo consiste in un pe-riodo variabile in cui il paziente mangerà una se-rie di alimenti in aumento calorico progressivo sino al raggiungimento del livello normocalorico, ovviamente, personale per mantenere il peso. A questo punto sarà possibile dare inizio al vero e proprio mantenimento, durante il quale verrà in-segnato l’atteggiamento alimentare da mantene-re nel tempo restando in ottima forma. Questa dieta, divisa in tre fasi distinte, può avva-

Alfredo Donnarumma si è laureato a Na-poli presso l’Univer-sità Federico II con specializzazione in medicina interna ed un interesse nel cam-po della dietologia e della fitoterapia. Ha

intrattenuto rapporti professionali con il grande studioso francese di fitoterapia Max Tètau. Ha prestato attività a Napoli nel set-tore della cura di anoressie e bulimie. Svolge attività libero-professionale a Napoli e Gub-bio. Ha pubblicato “Racconti di fitoterapia” (edizioni Mursia, 2007).

lersi, se occorre, di supporti farmacologici di natura chimica e fitoterapica (vegetali), senza anfetamine o anoressizzanti, che costituiscono un ulteriore elemento favorente: la perdita del peso da una parte e dall’altra la protezione di organi e apparati dell’organismo. Una corretta alimentazione è un investimento per il proprio futuro e per la società.

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L’ictus è una malattia neuro-logica caratterizzata dalla im-provvisa perdita di alcune fun-zioni cerebrali (tipicamente con un deficit motorio da un lato del corpo, ma anche con di-sturbi della capacità di parlare e di vedere, o di riconoscere il proprio corpo) causata da un danno di natura circolatoria. In Umbria si verificano ogni anno circa 2.000 nuovi casi, solo un terzo dei quali recupererà nel tempo una discreta autonomia nella vita quotidiana, mentre un terzo rimarrà gravemente disa-bile ed un terzo morirà entro 6 mesi. In circa il 15% dei casi, tale danno è dovuto ad una emor-ragia, mentre nell’85% dei casi il problema è rappresentato da una ischemia, ovvero dal man-cato apporto di sangue in una zona del cervello, perché una arteria è stata chiusa da un coa-gulo (embolo). E’ oggi possibile

distinguere assai precocemente un ictus ischemico da uno emorragico, mediante l’esecuzione di una Tc ce-rebrale, e quindi scegliere le terapie più appropriate per queste due diverse tipologie di ictus. Nel caso più comune, l’ictus ischemico, è disponibile una specifica terapia, nota come trombolisi, che è in grado di scio-

Dott. Stefano Ricci

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gliere il coagulo che ha bloccato l’arteria e quindi ripristinare l’afflusso di sangue verso l’area colpita, migliorando nettamente la prognosi e le possibilità di recupero del paziente. Per essere efficace, questa terapia deve però essere praticata nelle prime ore (tre, secondo la vigente le-gislazione, ma più verosimilmente 4,5 secondo le linee guida nazionali e internazionali), poiché una più tardiva riperfusione può condurre alla più temibile complicanza della trombolisi, cioè l’emorragia cerebrale.In altri termini, il ritorno del flusso sanguigno in una zona già eccessiva-mente danneggiata dalla mancanza di ossigeno può non determinate benefici ma, al contrario, causare una fuoriuscita di sangue dalle pic-cole arterie all’interno del cervello, aggravando il deficit neurologico. Oltre alla limitazione temporale, esiste ancora una limitazione legata all’età, nel senso che il trattamento è consentito solo fino agli 80 anni, in quanto negli studi finora pubblicati i pazienti più anziani erano stati esclusi. Essendo l’ictus tipicamente una malattia degli anziani, è intu-itivo che un gran numero di pazienti viene escluso da questa efficace terapia, solo per ragioni anagrafiche. E’ per questo che si attendono con ansia i risultati dello studio IST 3, che saranno resi noti il 23 maggio prossimo nel corso della European Stroke Conference a Lisbona. Que-sto studio, che ha incluso 3.035 pazienti in tutto il mondo (circa il 10% in Italia), ha valutato l’efficacia e la sicurezza della trombolisi in pazienti di ogni età, fino a sei ore dall’inizio dei sintomi, e pertanto i suoi risul-tati consentiranno di capire se sarà possibile estendere il trattamento ad un numero ben più ampio di pazienti. Intanto, occorre diffondere il concetto che, in presenza di un sospetto ictus, occorre recarsi senza indugio in ospedale; qui si è in grado, grazie alla collaborazione di vari reparti e specialisti, di concludere gli accertamenti preliminari in meno di un’ora, e quindi di ricoverare il paziente nel Centro ictus ed iniziare - ove indicato - la terapia trombolitica nei tempi opportuni.

la tempestività degli interventi decisivi per l’emergenza ed il recupero

Stefano Ricci è laureato in medici-na e chirurgia all’Università di Peru-gia, con specializzazione in neuro-logia. Ha svolto attività professio-nale presso la Clinica neurologica di Perugia. E’ attualmente direttore dell’Unità operativa di neurologia aziendale della Asl 1 dell’Umbria. E’ docente universitario, ha avuto esperienze all’estero, ha partecipa-to a studi scientifici e commissioni di livello internazionale.

Ogni anno duemila nuovi casi in Umbria. Ischemie ed emorragie all’orgine

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studio radiologico della patologia degenerativaLOMBARE

Viaggio nelle caratteristiche anatomiche e le tecniche conoscitive

La colonna o rachide vertebrale si può suddividere in tre tratti princi-pali: cervicale, dorsale e lombare; a questi si aggiungono i tratti sacra-le e coccigeo. La colonna deve essere perfettamente rettilinea sul piano frontale (vista dal davanti); sul piano sagittale (vista di lato) ci sono 3 curvature fisiologiche: una lordosi (curvatura convessa ante-riormente) cervicale, una cifosi (curvatura convessa posteriormente) dorsale e una lordosi lombare. Ricerche hanno dimostrato che la pre-senza di tali curve fisiologiche aumenta di dieci volte la resistenza della colonna a sollecitazioni di compressione verticale; chiaramente la perdita di tali curvature, per atteggiamenti posturali anomali, ridu-ce questa capacità. I singoli metameri (o vertebre) che compongono la colonna risultano allineati e stabilizzati da un complesso osteo- le-gamentoso e separati da un disco intervertebrale. La morfologia delle vertebre, pur essendo differente ad ogni livello, appare costituita da un corpo e da un arco posteriore, che si fissa sul corpo mediante due peduncoli. Il canale midollare contiene il midollo spinale dal quale si dipartono le radici nervose spinali da entrambi i lati e ad ogni livello decorrendo nei forami di coniugazione (fig. 1 a/b/c). Il disco è costitu-ito da due porzioni: l’annulus fibroso e il nucleo polposo. L'annulus fibroso presenta una struttura lamellare complessa ed elastica molto resistente che circonda il nucleo polposo, situato al centro del disco (fig. 2). Microtraumi ripetuti o traumi di maggiori entità possono pro-vocare lesioni minime nell’annulus. Il nucleo può fuoriuscire attraver-so una di queste fessure dell’annulus e formare una sporgenza che attualmente viene classificata in: protrusione discale o Bulging discale (dislocazione generalizzata della circonferenza discale oltre il margine vertebrale); ernia discale (dislocazione localizzata del disco oltre il li-mite fisiologico che esso occupa). L'imaging del rachide si avvale di più metodiche, ma lo studio deve basarsi necessariamente sui dati anamnestici ed essere guidato da un preciso quesito diagnostico. Le tecniche di studio del rachide lombare comprendono e la diagnostica radiologica tradizionale, la TC e la Risonanza Magnetica. L'esame ra-diologico tradizionale della colonna vertebrale, in analogico o in digi-tale, correttamente eseguito, rappresenta la prima indispensabile

Dott. Piero Panarelli

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tappa nell'individuare le alterazioni della colonna vertebrale, le defor-mazioni dei metameri e le eventuali patologie associate. L'integrazio-ne delle varie metodiche di diagnostica per immagini consente lo stu-dio ottimale, fisiologico e delle alterazioni patologiche della colonna, sia in modo panoramico che settoriale. La radiografia standard sul piano frontale o coronale dimostra la presenza di eventuali curve sco-liotiche destro- o sinistro- convesse quando la colonna dorsale o lom-bare non risultano perfettamente rettilinee. La radiografia standard di profilo mostra la lordosi fisiologica o una rigidità legata a una contrat-tura dolorosa. Un’iperlordosi è talora legata a un’insufficienza musco-lare. Le proiezioni dinamiche di profilo in flessione mostrano normal-mente una divaricazione posteriore dei dischi. In iperestensione, i di-schi si comprimono (fig 3). Quando una vertebra è vista su un piano obliquo, l’arco posteriore assume un aspetto caratteristico: infatti si possono immaginare i contorni di un cagnolino. Il muso corrisponde all’apofisi trasversa, l’occhio è il peduncolo, l’orecchio è l’apofisi arti-colare superiore, le zampe sono le apofisi articolari inferiori, la coda corrisponde all’apofisi spinosa e il corpo alla lamina. Il collo corrispon-de all’istmo interarticolare. Si visualizzano anche molto bene le artico-lazioni fra le apofisi (fig. 4). Nelle proiezioni oblique si cerca di solito di riscontrare la presenza di una spondilolisi. Si tratta di una soluzione di continuità a livello dell’istmo, che compare di solito sia nel bambino in crescita, sia nella patologia post- traumatica. Essa si traduce in un’im-magine caratteristica : un collare (o una decapitazione) a livello del collo del cagnolino. E’ di solito bilaterale. La Tc consente di visualizza-re meglio le lisi, soprattutto se sono all’origine della compressione di una radice. La tomodensitometria computerizzata permette di otte-nere delle sezioni trasversali a tutti i livelli desiderati. Un segmento rachideo può essere esplorato completamente mediante sezioni rav-vicinate con spessori, attualmente, anche inferiori al millimetro. Si può così misurare il calibro del canale midollare che può essere congeni-tamente stretto. Si vedono i restringimenti provocati da ernie discali, tumori, osteofiti, ecc... La Tc è un esame non invasivo eseguibile am-bulatorialmente. Sono eseguibili ricostruzioni tridimensionali, molto utilizzate in pratica (fig. 5). La risonanza magnetica è la metodica che fornisce una visione panoramica di tutti i componenti della colonna vertebrale, e ciò spiega il suo più largo uso attuale come indagine ri-spetto alla Tc e alla radiologia tradizionale, indagini che, oltre a dare minori informazioni, risultano anche più invasive in quanto utilizzano radiazioni ionizzanti come fonte di energia per l’acquisizione dell’im-magine. Si tratta di un procedimento non invasivo che fornisce imma-gini eccellenti dei tessuti molli e dell’osso. Lo stato di degenerazione dei dischi può essere apprezzato direttamente con l’immagine, poi-ché essa dà un rapporto preciso sul grado di idratazione del nucleo. Un disco patologico è molto disidratato in confronto ad uno normale, che contiene l’80% di acqua. Si possono anche apprezzare i contorni dei dischi e tutti gli elementi compressivi intra- canalari. L’esame con-sente uno studio globale del rachide (non limitato a qualche piano come la Tc) (fig. 6). L’imaging con Rm consente la valutazione del se-gnale tissutale delle strutture legamentose e discali, della struttura ossea ma anche del midollo osseo, delle componenti cartilaginee a

fig. 3

PROIEZIONE OBLIQUA

IPERTENSIONE DEI DISCHI

fig.4

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livello delle superfici articolari ma anche del contenuto intra-articola-re. I dischi intervertebrali vengono facilmente esaminati con Rm per quel che riguarda lo spessore, il grado di idratazione, la presenza di vacuum (gas in sede intra-discale); alla stessa maniera sono di imme-diato riscontro le eventuali fissurazioni dell’annulus, protrusioni o er-nie; il nucleo polposo risulta iperintenso in T2, per elevato contenuto di acqua . Nei bambini i dischi presentano bulging (sporgenza simme-trica) fisiologico, in rapporto ad ipertrofia per ricco contenuto d’ac-qua. A livello delle limitanti somatiche il processo degenerativo con-diziona la progressiva comparsa di osteofiti somato-marginali (di no-stro interesse quelli posteriori e postero-laterali, rispettivamente ver-so il canale rachideo e verso i forami di coniugazione), di irregolarità dei piatti discali e di eventuale comparsa di ernie di Schmorl per cedi-mento strutturale delle fibre dell’anello fibroso. La classificazione di Modic si applica in maniera chiara ed evidente all’imaging Rm del processo degenerativo sub- condrale, nei vari stadi di modificazione del segnale intra- spongioso: degenerazione con segnale da edema (Modic 1), sostituzione grassosa (Modic 2), degenerazione sclerotica (Modic 3). I peduncoli vertebrali e l’istmo trovano accurata valutazio-ne sia con Rm che con Tc, in rapporto alla presenza o meno di spon-dilolisi, o a patologie malformative coinvolgenti anche il corpo e l’arco posteriore che possono condizionare una ridotta stabilità della colon-na vertebrale. Le articolazioni inter-apofisarie possono essere sedi di alterazioni degenerative con rime articolari ridotte in ampiezza e pos-sibili fenomeni di vacuum al loro interno. In base al Fujiwara Scoring System il processo degenerativo viene classificato in quattro gradi: normale, lieve restringimento, sclerosi media, osteofitosi e sclerosi marcata. Frequente è il riscontro di formazione di cisti sinoviali (70-80% dei casi a livello L4- L5 con sede tipica adiacente alla faccetta articolare, a forma rotondeggiante), e con sublussazioni inter- apofi-sarie e conseguente spondilolistesi su base degenerativa. L’alterazio-ne degenerativa può a volte interessare anche i processi spinosi (ma-lattia di Baastrup), con dolore particolarmente localizzato in sede po-steriore e con aspetti Rm analoghi alle alterazioni riscontrabili a livel-lo delle faccette e dell’unità disco- vertebrale corrispondente. Il cana-le rachideo può presentare una riduzione dei diametri, su base con-genita, acquisita o di tipo misto, valutabile come centrale e laterale. Si considerano quattro gradi di stenosi: lieve con diametro 14 millimetri, moderata 12- 14 millimetri, grave diametro superiore ai 10 millimetri. Più fattori possono entrare in gioco nel determinare la stenosi: iper-trofia ossea, ispessimento su base degenerativa dei legamenti, alte-razioni discali, lussazioni o sublussazioni. La stenosi del canale di gra-do severo, in particolare quando si ritrova a livello L3, condiziona un aumento della pressione liquorale, alterato drenaggio venoso, con-gestione venosa radicolare, e alla fine un danno ischemico radicolare. La muscolatura para- vertebrale, il suo grado di trofismo o di sostitu-zione adiposa, è un indice di valutazione molto utile per il riabilitatore, strettamente correlato al grado e alla durata dell’impotenza funziona-le. Il rilievo è bene valutabile sia con Rm che con Tc. L’assetto globale della colonna, ben valutabile anche clinicamente e con radiografie convenzionali, può ben essere rilevato con Rm, nei piani coronali e

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sagittali. Il m.d.c. paramagnetico in Rm viene generalmente usato nei casi di dubbia recidiva di ernia discale, e nella ricerca di punti doloro-si eventualmente trattabili con tecniche mini-invasive per via percu-tanea, come iniezione peridurale di steroidi. Da qualche tempo l’inte-resse della letteratura internazionale si è spostato alla ricerca di studi antomo- funzionali, dal momento che, nonostante le alte performan-ces delle apparecchiature Rm disponibili sul mercato ed istallate sul territorio, sono state dimostrate alte percentuali di “falsi negativi” con le tecniche fin qui utilizzate, con valori, in alcune casistiche, fino al 30%: da ciò ne consegue che circa un-terzo dei casi la Rm convenzio-nale non risponde al quesito clinico fornito. Recentemente è stato proposto lo studio Rm del rachide in ortostatismo (in piedi) mediante apparecchiature “aperte” che consentono di valutare l’effetto del ca-rico fisiologico e di poter svelare certe patologie che si manifestano esclusivamente sotto carico (ernie, instabilità) (fig. 7 a/b).

Piero Panarelli è laureato in medicina e chirurgia presso l’Università degli studi di Perugia con specializzazione in radio-diagnostica. Ha prestato attività pres-so l’ospedale di Senigallia. E’ dirigente medico all’ospedale di Gubbio-Gualdo Tadino. Ha partecipato a diversi corsi e congressi scientifici, alcuni dei quali come relatore o tutor, e ad alcuni studi

multicentrici, pubblicati in riviste internazionali, per conto di di-verse aziende farmaceutiche. E’ delegato della Società italiana di ultrasonologia in medicina e biologia dell’Umbria. E’ docente della scuola di ecografia di Ancona.

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Il tumore della cervice uterina, nonostante l'effi-cacia delle campagne di screening, colpisce ogni anno nel nostro Paese circa 3.500 donne con alto tasso di mortalità nell’ordine del 30%. Il papil-lomavirus (Hpv) rappresenta una delle cause più

frequenti di questa patologia ed è stato riscontrato nel 95% dei casi di pazienti affette da tumore cervicale. Si tratta di un virus che si trasmette prevalentemente attraverso i rapporti sessuali, specialmente in persone con basse difese immu-nitarie, quindi più recettive. Ne esistono oltre 120 diversi tipi: Hpv 6-11-16-18-31-33 sono quelli più frequentemente isolati nelle lesioni genitali e tra questi vanno menzionati Hpv 16 e 11 responsabili delle verruche anogenitali (condilomi

acuminati o "creste di gallo") che, pur non generando lesioni maligne , risultano estre-mamente fastidiose per la paziente. Gli altri ceppi sono invece correlati a lesioni precan-cerose e tumori cervicali. Nella maggioranza dei casi l'infezione rimane asintomatica, e spesso dal contagio possono passare diversi anni prima che la malattia si sviluppi. Pertan-to, tumori che colpiscono donne di 45 anni possono essere la conseguenza di infezioni latenti contratte in giovane età, momento particolarmente delicato in cui il collo ute-rino è in maturazione e quindi più recettivo al virus. L'età adolescenziale rappresenta, in-fatti, una delle fasce più a rischio di conta-gio in quanto si inizia molto precocemente

PAPILLOMAVIRUSprevenzione e vaccinazione accoppiata vincente

Dott.ssa Claudia Minelli

Il ricorso ai Pap-Test consente di monitorare

ogni lesione uterina

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ad avere rapporti sessuali e si ha una notevole promiscuità . A tutt'oggi l'arma migliore per contrastare tale tumore rimane il Pap-Test, noto come "striscio", un esame semplice ed innocuo che permette di identificare la pre-senza di lesioni anche piccolissime e di curarle tempestivamente prima che possano degenerare. Dal marzo del 2008 è in vigore, per le giovani da a 11 a 12 anni, la campagna di vaccinazione gratuita per l'Hpv, con l'obbiettivo di proteggere la donna prima che entri in contatto con il virus attraverso i rap-porti sessuali. La vaccinazione non garantisce un’immunità permanente ma rappresenta uno "scudo" dal virus in una fase particolarmente delicata per un collo dell'utero ancora immaturo e quindi più recettivo al virus. Esistono attualmente due tipi di vaccino: Gardasil (quadrivalente, in grado di proteg-gere dagli Hpv 6-11 e 16-18) e Cervarix (bivalente, per HPV 16-18 partico-larmente pericolosi poiché oncogeni). Il programma vaccinale prevede la somministrazione in tre fasi: la seconda dose almeno dopo un mese dalla prima, e la terza dose almeno dopo tre mesi dalla seconda, con un’efficacia protettiva di circa cinque anni dall'ultima dose di vaccino. Le reazioni avver-se osservate in seguito a tale vaccinazione sono da considerarsi trascurabili ed ascrivibili a dolenzia, lieve stato febbrile (massimo 37,8 gradi), eritema ed edema nella zona di inoculo (solitamente il deltoide sinistro). Molto rara-mente si sono verificati episodi di difficoltà respiratoria con broncospasmo. La vaccinazione è sconsigliata in gravidanza, mentre può essere effettuata durante l’allattamento. L'efficacia di tale vaccinazione è stata dimostrata dai risultati degli studi su adolescenti di età compresa tra 9-15 anni e su giovani adulte tra 16 e 26 anni, ma è importante sottolineare che non sostituisce lo screening periodico triennale raccomandato per le donne di età nella fa-scia 25-64 anni. Infatti, il vaccino protegge da lesioni benigne (condilomi) e lesioni precancerose, che costituiscono il 70% delle patologie cervicali ma lascia scoperto un 30% di pazienti che presentano patologia non correlabile ad Hpv, che pertanto non troverebbero alcun beneficio dalla vaccinazione. Per tale motivo è estremamente importante che le donne, anche se vaccinate prima della pubertà, si sottopongano comunque con regolarità al Pap Test. La campagna di vaccinazione può essere, inoltre, una buona occasione per rafforzare e migliorare il dialogo e la relazione tra genitori e figlie, poiché può essere l'occasione per affrontare temi delicati così importanti per il benessere e la vita.

Claudia Minelli è laureata in medicina e chirurgia presso l’Università degli studi di Perugia con specializzazione in ostetricia e ginecologia. Ha prestato attività presso gli ospedali di Città di Castello e Gubbio. Esercita attività li-bero-professionale a Gubbio e Gualdo Tadino. Partecipa a corsi di aggiornamento, convegni e seminari in Italia e all’estero.

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La blefaroplastica è un intervento chirurgico pal-pebrale che rientra nel novero degli interventi della chirurgia del viso ed in particolare dello sguardo, con il risultato di migliorare in modo evidente anche l’espressione ed il sorriso model-lando le palpebre sia superiori che inferiori. Du-rante l’invecchiamento, la pelle delle palpebre, in particolare quella superiore, essendo molto sottile rispetto a quella di altre parti del corpo, perde elasticità e scende anche fino alle ciglia. Tale situazione determina per il viso un aspetto sempre stanco, quasi addormentato con proble-matiche che si ripercuotono anche a livello della vista. Le palpebre inferiori si presentano spesso, per motivi costituzionali, oltre che con un ecces-so di pelle anche con le cosidette borse sotto gli occhi, altrimenti delle occhiaie: non sono altro che dei accumuli di grasso, definiti ernie gras-

se, che gonfiandosi conferiscono alla persona un’espressione costantemente stanca e segna-ta. La correzione degli inestetismi è, appunto, l’intervento chirurgico definito blefaroplasti-ca superiore ed inferiore. Prima di sottoporre un paziente all’intervento ne vanno valutate le condizioni generali con le eventuali patologie oculari od oculistiche che possono costituire un fattore scoraggiante per l’attuazione. Per quanto riguarda la blefaroplastica superiore, va speci-ficato che l’intervento si può effettuare in ane-stesia locale a livello ambulatoriale, ma sempre in strutture sanitarie idonee e con la presenza dell’anestesista. Consiste nell’asportare la pelle in eccesso, precedentemente disegnata con un marcatore. Eventualmente, se necessario, può essere rimossa anche una porzione di musco-lo orbicolare, così come si possono asportare,

se presenti, le ernie grasse. Successiva-mente, controllato il modesto sanguina-mento, si procede a suturare la pelle con dei fili molto sottili, che potranno essere rimossi dopo pochi giorni. Per la blefa-roplastica inferiore si procede allo stesso modo. Si può effet-

Dott. Marco Papini Papi

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Marco Papini Papi è laure-ato in medicina e chirurgia all’Università degli studi di Perugia, con specializza-zione in chirurgia generale. E’ dirigente medico all’o-spedale di Gubbio-Gualdo

Tadino, e a Perugia è impegnato nell’attività libe-ro-professionale in strutture pubbliche e cliniche private a livello di chirurgia generale ed estetica. Ha pubblicato numerosi lavori scientifici..

Si ringraziaDott.ssa Federica Bicchielli

Dott. Alfredo Donnarumma

Dott.ssa Mariadonata Giaimo

Prof. Paolo Gresele

Dott. Michele Matteini Chiari

Dott.ssa Claudia Minelli

Dott. Piero Panarelli

Dott. Marco Papini Papi

Dott. Stefano Ricci

Prof. Fabrizio Spinozzi

Dott. Piergiorgio Volpini

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Pubblicazione Trimestrale Numero 1 - Anno 2012

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tuare nello stesso tempo o in un momento succes-sivo. Inoltre, è possibile, nel caso in cui l’eccesso di pelle delle palpebre inferiori non sia accompa-gnato da ernie grasse, rinunciare al cosiddetto in-tervento tradizionale per risolvere il problema con le sedute di laser abrasivo ad erbium, in anestesia locale. Questa soluzione consiste nel ristringere la pelle con la luce del laser, senza procedere con il taglio. Il decorso post-operatorio di questi inter-venti non è mai doloroso: si ravvisa la comparsa di un modesto gonfiore e di lividi per qualche giorno. Vista la particolarità della pelle del-le palpebre, che si presenta poco elastica, si avranno nel tempo cicatrici quasi invisibili. Le attività quotidiane e lavorative possono essere riprese in poco tempo, mentre l’e-sposizione al sole è possibile dopo un paio di mesi con l’applicazione di una crema protettiva a schermo totale e l’utilizzo di occhiali da sole. Dopo circa tre mesi non sono più evidenti neanche le cicatrici, ed i risultati sono garantiti per un considerevole numero di anni con un notevole effetto di

ringiovanimento che migliora lo sguardo ren-dendolo più intenso, aperto e gioioso. Il ringio-vanimento del volto è il sogno di uomini e don-ne, che sentendosi sempre giovani nonostante l’avanzare dell’età vogliono mostrare agli altri il proprio sguardo e sorriso.

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