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52 una naturale immunità da malattie come la malaria e la febbre gialla. Gli schiavi dovettero adattarsi al- la nuova situazione per corri- spondere alle esigenze dei loro padroni e soprattutto i primi soffrirono ad adattarsi alla nuova vita. Stranieri in terra stranie- ra, forzati a capire una nuova lingua parlata da gente così diversa da loro, sottoposti a razzismo, violenza sessuale, fame, epide- mie, duro lavoro e pesanti punizioni corporali. Quelli che vivevano impiegavano da due a quattro anni per imparare il linguaggio creolo. Per molti occorse tutta la vita per conciliare l’eredità della lo- ro cultura africana con la nuova vita come schiavi in America. I lavori agricoli per loro non erano una novità e in massima parte furono lavoratori agricoli. Svegliati presto al mattino al suono del corno di un sovrintendente, obbligati a lavorare fi- no al crepuscolo per 5 giorni e mezzo o sei ogni settimana. Piantavano, coltivavano, vendemmiavano e raccoglievano i prodotti per mercati locali, nazionali ed internazionali. Nelle colonie della Virginia e North Carolina essi coltivarono tabacco, granturco e altri cereali, verdure e curarono il bestia- me; nelle zone pianeggianti del South Carolina produssero ta- bacco, granturco ed indaco; nelle zone costiere della colonia e in Georgia si servirono della loro abilità di coltivatori di riso che avevano imparato in Africa per incrementare le ricchezze dei loro padroni. N el Nord e nelle colonie del Centro il lavoro era diverso per la diversità delle coltivazioni dipendenti dalle sta- gioni, molti lavorarono in piccole fattorie, caseifici ed in allevamenti di bestiame. Coltivarono verdure, curarono gli animali e servirono nelle case. Altri lavorarono in case di spe- dizione ed imprese mercantili e come artigiani d’ogni tipo. La schiavitù era divenuta indispensabile per l’economia del Sud. Le coltivazioni redditizie e l’invenzione della macchina sgra- natrice resero possibile l’espansione del territorio degli Stati Uniti nel Basso Sud e nell’Ovest, e il lavoro degli schiavi eb- be un’espansione che durò fino alla guerra civile (1861-1865). Rese ricca e potente una piccola porzione della società del Sud, forse più d’ogni altro gruppo della giovane nazione. I l cotone era il re. La produzione nazionale di cotone grez- zo, la maggior esportazione degli Usa verso l’Europa, au- mentò del 921%, da 349.000 balle nel 1819 a 3.200.000 nel 1855. Questa esplosione della produzione generò un’insa- ziabile domanda di schiavi, particolarmente nel profondo Sud. Tra il 1820 e il 1860 il numero degli schiavi aumentò del 257%, vicino ai 4.000.000, cifra a cui contribuì fortemente la loro elevata prolificità. Diversamente dagli immigranti volon- tari, gli africani non arrivavano in gruppi familiari, ma poiché ogni trasporto uomini comprendeva uomini e donne avevano tuttavia la possibilità, dopo alcuni anni di formarsi una fami- glia. Unioni favorite dai proprietari perché da questi nasceva- no figli, che venivano ad aumentare senza spese il numero de- gli schiavi. Gli uomini eseguivano i lavori fisici più fa- ticosi ma le donne, di solito, lavoravano più ore, filavano, tessevano, allattavano, cucinavano per i loro padroni e solo quando il lavoro era terminato, tornavano nelle catapecchie in cui vivevano ad accudire i figli e a sbrigare le faccende domestiche. I maschi mangiavano più delle femmine: quando distribuivano le razioni del cibo, i proprietari raramente davano alle donne car- ne, farina o altro quanto ne davano agli uomini. Siccome poi le donne di solito vivevano con i figli dovevano dividere con loro parte delle loro porzioni, per cui la quantità di cibo di una madre diventava particolarmente scarsa. I padroni pretendevano dalle donne lo stesso duro lavoro de- gli uomini ma non fornivano loro uguale sostegno materiale. Similmente, i lunghi pantaloni, maglie, giacche ed altro ve- stiario che i padroni fornivano due volte all’anno agli uomi- ni erano più appropriati a difendere dagli insetti delle maglie e dei vestiti delle donne. Quando la maggioranza degli schia- vi lavorava nei campi, un dieci per cento era occupato altro- ve in servizi esterni, le donne lavoravano come cameriere, lavandaie, domestiche e nella pulizia delle fattorie. Gli schiavi maschi avevano più facile accesso a posizioni spe- cializzate di fabbro, costruttore, pittore, carradore, carpen- tiere, conciatore, falegname, ciabattino, minatore. Cominciavano a lavorare all’incirca all’età di sei anni o an- che prima se ritenuti fisicamente in grado. I ragazzi tradizio- nalmente imparavano come sorvegliare e prendersi cura del bestiame, raccogliere pietre e spazzatura, strappare l’erba e portare acqua. Le ragazze facevano lavori simili ma anche avevano cura dei bambini piccoli e aiutavano in cucina. L’in- fanzia era il tempo in cui gli schiavi cominciavano ad impa- rare non solo lavori di routine ma la disciplina del lavoro e relative punizioni. Q ueste di solito consistevano in offese verbali per piccole trasgressioni, ma nei casi ritenuti più gravi padroni e sopraintendenti non esitavano ad impar- tire severe fustigazioni o anche a vendere quelli che o non avevano voluto lavorare o non avevano rispetto per l’au- torità padronale. Alla fustigazione provvedevano i padro- ni e gli intendenti come un mezzo per castigare e simboli- camente spogliare gli schiavi del loro orgoglio personale e riaffermavano una terrificante immagine del potere del padrone. Per gli schiavi la peggior punizione possibile era però es- sere venduti e quindi allontanati dalla famiglia e dagli amici. Questo fenomeno era legato più a ragioni economi- che che dal bisogno del padrone di punire o castigare schiavi turbolenti. A centinaia di migliaia persero mariti, mogli, figli, figlie, parenti e amici per questo commercio interno di schiavi. Aspiranti proprietari di schiavi ne attendevano la vendita sulla pubblica piazza, sui gradini del locale palazzo di giu- stizia. Naturalmente ai padroni che traevano profitto da queste vendite non importavano le tragedie che colpivano le famiglia degli schiavi. Un genocidio che ha coinvolto oltre 10 milioni di africani La deportazione nera

La deportazione nera - ANED · Acentinaia di migliaia persero mariti, mogli, figli, figlie, parenti e amici per questo commercio ... ta in tutti gli Stati Uniti dopo la guerra di

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una naturale immunità da malattie comela malaria e la febbre gialla. Gli schiavi dovettero adattarsi al-la nuova situazione per corri-spondere alle esigenze dei loro padronie soprattutto i primi soffrirono ad adattarsialla nuova vita. Stranieri in terra stranie-ra, forzati a capire una nuova linguaparlata da gente così diversa da loro,sottoposti a razzismo, violenza sessuale, fame, epide-mie, duro lavoro e pesanti punizioni corporali. Quelli chevivevano impiegavano da due a quattro anni per imparare illinguaggio creolo. Per molti occorse tutta la vita per conciliare l’eredità della lo-ro cultura africana con la nuova vita come schiavi in A m e r i c a .I lavori agricoli per loro non erano una novità e in massimaparte furono lavoratori agricoli. Svegliati presto al mattino alsuono del corno di un sovrintendente, obbligati a lavorare fi-no al crepuscolo per 5 giorni e mezzo o sei ogni settimana.Piantavano, coltivavano, vendemmiavano e raccoglievano iprodotti per mercati locali, nazionali ed internazionali. Nelle colonie della Vi rginia e North Carolina essi coltivaronotabacco, granturco e altri cereali, verdure e curarono il bestia-me; nelle zone pianeggianti del South Carolina produssero ta-bacco, granturco ed indaco; nelle zone costiere della colonia ein Georgia si servirono della loro abilità di coltivatori di risoche avevano imparato in Africa per incrementare le ricchezzedei loro padroni.

Nel Nord e nelle colonie del Centro il lavoro era diversoper la diversità delle coltivazioni dipendenti dalle sta-gioni, molti lavorarono in piccole fattorie, caseifici ed

in allevamenti di bestiame. Coltivarono verdure, curarono glianimali e servirono nelle case. Altri lavorarono in case di spe-dizione ed imprese mercantili e come artigiani d’ogni tipo. Laschiavitù era divenuta indispensabile per l’economia del Sud.Le coltivazioni redditizie e l’invenzione della macchina sgra-natrice resero possibile l’espansione del territorio degli StatiUniti nel Basso Sud e nell’Ovest, e il lavoro degli schiavi eb-be un’espansione che durò fino alla guerra civile (1861-1865).Rese ricca e potente una piccola porzione della società delSud, forse più d’ogni altro gruppo della giovane nazione.

Il cotone era il re. La produzione nazionale di cotone grez-zo, la maggior esportazione degli Usa verso l’Europa, au-mentò del 921%, da 349.000 balle nel 1819 a 3.200.000

nel 1855. Questa esplosione della produzione generò un’insa-ziabile domanda di schiavi, particolarmente nel profondo Sud. Tra il 1820 e il 1860 il numero degli schiavi aumentò del257%, vicino ai 4.000.000, cifra a cui contribuì fortemente laloro elevata prolificità. Diversamente dagli immigranti volon-tari, gli africani non arrivavano in gruppi familiari, ma poichéogni trasporto uomini comprendeva uomini e donne avevanotuttavia la possibilità, dopo alcuni anni di formarsi una fami-glia. Unioni favorite dai proprietari perché da questi nasceva-no figli, che venivano ad aumentare senza spese il numero de-gli schiavi.

Gli uomini eseguivano i lavori fisici più fa-ticosi ma le donne, di solito, lavoravano più

ore, filavano, tessevano, allattavano, cucinavanoper i loro padroni e solo quando il lavoro era

terminato, tornavano nelle catapecchie incui vivevano ad accudire i figli e a sbrigare

le faccende domestiche. I maschi mangiavano piùdelle femmine: quando distribuivano le razioni delcibo, i proprietari raramente davano alle donne car-

ne, farina o altro quanto ne davano agli uomini. Siccome poile donne di solito vivevano con i figli dovevano dividere conloro parte delle loro porzioni, per cui la quantità di cibo di unamadre diventava particolarmente scarsa. I padroni pretendevano dalle donne lo stesso duro lavoro de-gli uomini ma non fornivano loro uguale sostegno materiale.Similmente, i lunghi pantaloni, maglie, giacche ed altro ve-s t i a rio che i padroni fornivano due volte all’anno agli uomi-ni erano più appropriati a difendere dagli insetti delle magliee dei vestiti delle donne. Quando la maggioranza degli schia-vi lavorava nei campi, un dieci per cento era occupato altro-ve in servizi esterni, le donne lavoravano come cameriere,lavandaie, domestiche e nella pulizia delle fattorie. Glischiavi maschi avevano più facile accesso a posizioni spe-cializzate di fabbro, costruttore, pittore, carradore, carpen-tiere, conciatore, falegname, ciabattino, minatore. Cominciavano a lavorare all’incirca all’età di sei anni o an-che prima se ritenuti fisicamente in grado. I ragazzi tradizio-nalmente imparavano come sorvegliare e prendersi cura delbestiame, raccogliere pietre e spazzatura, strappare l’erba eportare acqua. Le ragazze facevano lavori simili ma ancheavevano cura dei bambini piccoli e aiutavano in cucina. L’ i n-fanzia era il tempo in cui gli schiavi cominciavano ad impa-rare non solo lavori di routine ma la disciplina del lavoro erelative punizioni.

Queste di solito consistevano in offese verbali perpiccole trasgressioni, ma nei casi ritenuti più gravipadroni e sopraintendenti non esitavano ad impar-

tire severe fustigazioni o anche a vendere quelli che o nonavevano voluto lavorare o non avevano rispetto per l’au-torità padronale. Alla fustigazione provvedevano i padro-ni e gli intendenti come un mezzo per castigare e simboli-camente spogliare gli schiavi del loro orgoglio personalee riaffermavano una terrificante immagine del potere delpadrone. Per gli schiavi la peggior punizione possibile era però es-sere venduti e quindi allontanati dalla famiglia e dagliamici. Questo fenomeno era legato più a ragioni economi-che che dal bisogno del padrone di punire o castigareschiavi turbolenti. A centinaia di migliaia persero mariti,mogli, figli, figlie, parenti e amici per questo commerciointerno di schiavi. Aspiranti proprietari di schiavi ne attendevano la venditasulla pubblica piazza, sui gradini del locale palazzo di giu-stizia. Naturalmente ai padroni che traevano profitto daqueste vendite non importavano le tragedie che colpivanole famiglia degli schiavi.

Un genocidioche ha coinvoltoo l t re 10 milioni

di africani

La deportazione nera

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La perdita del consorte e di membri della famiglia diven-ne così grande nel profondo Sud che molti bambini del-l’ultima generazione di schiavi crebbero senza il soste-

gno di madre e padre. Quando i padri erano venduti nel com-mercio interno degli schiavi, zii e nonni spesso diventavanola figura paterna. Nonne e zie allevavano, nutrivano e educa-vano i bambini senza madre. I giovani adulti avevano cura deivecchi i cui figli erano stati venduti. La parentela estesa nonrimpiazzò i mariti e le mogli perduti per sempre nel profondoSud ma offrì una qualche forma di conforto.Malgrado il devastante impatto della vita da schiavo, la fami-glia restava il più importante mezzo di sostegno. La famigliaestesa di persone legate dal sangue, matrimonio e da un rap-porto di lunga durata era la più consistente e essenziale carat-teristica. Diversi schiavi scelsero di risposarsi ed altri furonocostretti dai padroni a prendere un’altra sposa per continuaread avere figli che sarebbero divenuti schiavi. Anche l’abusosessuale di madri e figlie spesso significava un indiretto gua-dagno per i proprietari, che potevano reclamare come loroproprietà i bambini dato che derivavano il loro stato da quellodella madre. Lo sviluppo dello schiavismo nero come istituzione ed il raz-zismo come fondamentale ideologia progredirono con scarsaopposizione e dibattito fino all’epoca della guerra d’Indipen-denza (1775-1783). Questa opposizione, molto diversificata ed i s o rganizzata, cominciò a dare risultati ed a cambiare il ca-rattere della schiavitù con la creazione dgli Stati Uniti d’A-merica. Essa fu abolita o gradualmente eliminata da leggiemanate nel 1780 in Pennsylavania, 1783 in Massachusetts,1784 in Connecticut e Rhode Islands, nel 1785 nello stato diNew York e nel 1786 in New Jersey. Un ruolo fondamentalelo giocò la fede religiosa, infatti era forte in questi stati l’in-fluenza di presbiteriani e quaccheri che ritenevano gli tutti gliuomini uguali, creature di Dio. L’abolizione della schiavitù negli stati del Nord indusse moltischiavi a tentare la fuga dal Sud; il fenomeno assunse un fe-nomeno così preoccupante che i piantatori sudisti fecero ap-provare nel 1850 dal Congresso il Fugitive Slave A c t che im-poneva alle forze di polizia degli stati abolizionisti d’arrestarei fuggiaschi e di riconsegnarli ai proprietari. Di conseguenza, dopo che l’Inghilterra ebbe abolito la schia-vitù nelle sue colonie nel 1833, il Canada divenne un impor-tante destinazione per i fuggitivi per evitare la cattura e il ri-torno alla schiavitù.

Gli abolizionisti del Nord si organizzarono e crearonodelle reti per favorire le fughe, la cosiddetta “ferroviasotterranea” che provvedeva a dare aiuto, ricovero ed

istruzioni ai fuggiaschi. La schiavitù fu definitivamente aboli-ta in tutti gli Stati Uniti dopo la guerra di Secessione (1861-1865) che costò 620.000 morti, 375.000 feriti gravi e lasciòuna profonda crisi economica, costituzionale e sociale, che ri-chiese una decina d’anni per essere superata. L’ottenuta libertàche pure avrebbe dovuto garantire agli afro-americani paritàdi diritti non li liberò da una pesante e umiliante discrimina-zione che forse solo ora con l’avvento alla Casa Bianca di unPresidente di colore si può sperare che sparisca totalmente.

Dal suono del corno che segnalava l’inizio del lavoro nelvillaggio degli schiavi a tutte le fasi del raccolto e dellalavorazione del cotone, una delle principali attività per c u ierano stati deportati i neri in A m e r i c a .

Una stampa ottocentesca illustra il famoso libro di ElizabethB e k e r Stowe La capanna dello zio To m. Sebbene il libro siastato accusato di essere troppo paternalistico e moralista, ilracconto ha dato un forte impeto alla lotta contro la schiavitùe il sentimento di schiavismo che per molti anni hacaratterizzato alcuni stati degli Usa fino alla guerra civile. La storia narra che Lincoln, quando incontrò l’autrice, lasalutò dicendo: “Ecco la piccola donna che ha acceso lascintilla di questa grande guerra”.

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BIBLIOTECA

Enzo CollottiImpegno civilee passione civica

Una biografia sul grande storico della Germania e del nazismo

Enzo Collotti è stato ed ètutt’oggi un maestro perchiunque si accinga ad af-f ro n t a re la storia dellaGermania e del nazismo.Ma in realtà le sue ricer-che sono state ampie edhanno abbracciato unamolteplicità di temi, diff i-cilmente riassumibili.

Ora arrivato ad ottanta an-ni, Enzo Collotti ripercorrele tappe della sua vita, dellasua opera di studioso sem-pre proteso verso la ricerca,praticata con impegno e pas-sione. Il volume, mentre nel-la prima parte presenta unaanalitica ricostruzione dellavita di Enzo Collotti fino al-l’anno 2000, quando ha la-sciato la cattedra di storiacontemporanea all’univer-sità di Firenze, nella secon-da si configura come un ap-passionato dialogo conMariuccia Salvati, docente distoria contemporanea a suavolta, che sollecita Collottiad una disamina della suaopera come studioso, ma an-che come uomo di cultura,che ha attraversato il “seco-lo breve” in veste di testi-mone, ed è sicuramente que-sta seconda parte la più in-teressante per il lettore, an-che grazie alla bravura del-

l’intervistatrice, che non so-lo pone le domande, ma av-via una riflessione a più vo-c i .Enzo Collotti nasce aMessina nel 1929, ma la suaformazione avviene lonta-no rispetto alla città natale.Sua madre era la sorella diAldo Natoli, suo padre eraprofessore, prima di liceo,successivamente chiamatoa l l ’ u n i v e r s i t à .Trascorre gli anni giovanilia Trieste, una città com-plessa, con una forte mino-ranza ebraica e protesa ver-so l’est, una città che, anco-ra negli anni Trenta, portavai segni del suo passato au-stroungarico. Qui EnzoCollotti ha toccato con ma-no le leggi razziali e la bru-talità del regime fascista, maha anche avuto la possibi-lità di imparare il tedesco.Del biennio 1943-45 ricor-da: “Nei pochi mesi di scuo-la sparirono compagni ebrei,altri furono avviati al lavo-ro obbligatorio; con altri ten-tavamo la fronda, passan-doci notizie proibite, boi-cottando le lezioni di gin-nastica […] Forte risonan-za della resistenza slovena,scarsi segni di vita di una re-sistenza italiana, se non conqualche contatto personale.

[…] Tra le letture di questoperiodo privilegiai i classi-ci della letteratura tedesca,che ormai mi attraeva sem-pre più […]. La liberazionedi Trieste si concluse con al-tre delusioni. Lo scontro traitaliani e slavi, due con-trapposti nazionalismi al dilà delle opzioni politico-

lunga serie, risale al 1951.Per un lungo periodo, dal1951 al 1963 Collotti si oc-cupa intensamente di storiapur restando al di fuori del-l’accademia: dopo un bre-ve soggiorno romano, nel1953 Collotti vince una bor-sa di studio presso l’Ispi(Istituto di studi di politicainternazionale); qui si oc-cupa dell’Annuario di poli -tica internazionale s e g u e n-do soprattutto, grazie allasua conoscenza del tedesco,le vicende legate all’Austriae alla Germania. In questoperiodo è intensa la sua at-tività di pubblicista ed en-tra in contatto con gli am-bienti intellettuali milanesi.Alla fine degli anni Cin-quanta, mentre i rapporti conl’Ispi si deteriorano, Collottientra in contatto, soprattut-to grazie a Franco DellaPeruta, con l’ambiente del-la Feltrinelli ed inizia a la-vorare presso la BibliotecaFeltrinelli: “La Feltrinelli fuluogo d’incontro e di scam-bio assai intenso con stu-diosi e collaboratori italianie stranieri, da A r t h u rLehning, lo studioso diBakunin e traduttore in olan-dese di To l l e r, a HumbertDroz, da Ruth Fischer a R.Schlesinger a tanti altri”.In questi anni Collotti curale carte di Piero Secchia de-positate presso l’Archiviodella Feltrinelli e si avvici-na, diventandone uno dei ri-cercatori e degli studiosi piùrilevanti, all’Istituto nazio-nale per la storia del movi-mento di Liberazione inItalia, che fondato da Parri

ideologiche, toccò l’apicedell’asprezza, muro contromuro.[…]. Al momento diiscrivermi all’universitàavrei cambiato volentiericittà, ma le finanze familia-ri non lo consentivano. Av r e ivoluto studiare lingua e let-teratura tedesca a Ca’Foscari, ma era un sogno chenon mi potevo permettere.Mi iscrissi a giurispruden-za con scarsa passione”.Dunque Enzo Collotti ap-proderà alla storia contem-poranea dagli studi giuridi-ci e questo forse spiega ilsuo estremo rigore, la suaacribia di studioso, la suapassione per l’analisi pun-tuale del documento.Il suo primo viaggio inGermania, il primo di una

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Enzo Collotti, Impegno civile

e passione critica, a cura di Mariuccia

Salvati, Viella, Roma 2010,

e u ro 30,00

nel 1949, aveva a Milano lasua sede: “Vi misi piede perla prima volta nel 1954, par-tecipando ad uno dei primiconvegni dell’Istituto e col-laborando alla sua rivista.Sempre come collaboratorevolontario dal 1960 fui mem-bro della direzione della ri-vista, per breve tempo (1976-1978) anche direttore e qua-si ininterrottamente mem-bro del Comitato direttivo epoi del Comitato scientifico.[…] È ovvio che l’Istituto èstato tramite di mille incon-tri e mille iniziative. Sul pia-no personale l’acquisizionepiù importante per me fu lacollaborazione e l’amiciziacon Claudio Pavone”.Nel 1962 viene pubblicatauna delle sue opere più fa-m o s e La Germania nazista.Dalla Repubblica di We i m a ral crollo del Reich hitleria -n o uscita presso Einaudi, leristampe sono state nume-rose come anche le tradu-zioni in lingua straniera; an-cora oggi un testo di base perchi si avvia a studiare il na-zismo. Nel 1963 esce un te-sto altrettanto importante eancora oggi capitale:

L’Amministrazione tedescadell’Italia occupata 1943-1945. Studio e documenti,Lerici, Milano. Il volume èpubblicato grazie all’Istitutonazionale e sebbene alcuneposizioni espresse allora daCollotti siano state in partemodificate, come emerg enel suo colloquio su questistessi temi con LutzKlinkhammer (Il fascismoe l’Italia in guerr a, Ediesse1996) resta ancora oggi, an-che per la vastità dei docu-menti esaminati, un testof o n d a m e n t a l e .Conclusa anche la fase “fel-trinelliana”, Collotti iniziaa collaborare con l’universitàa partire dal 1965, a Tr i e s t e ,come docente incaricato. Inquesti stessi anni sono fre-quenti i soggiorni in Ger-mania per la preparazionedel suo volume su S t o r i adelle due Germanie, pub-blicata nel 1968 semprepresso Einaudi. Nel 1972inizia ad insegnare, comedocente incardinato pressol’università di Trieste; nel1976 partecipa, insiemeall’Aned, alla preparazionedell’istruttoria del proces-

so tenutosi a Trieste per icrimini commessi allaRisiera di San Sabba ed èsentito dal tribunale cometeste storico.Gli anni che vanno dal 1980al 2000 vedono un’attivitàmolto intensa di Collotti sudiversi fronti: quello del-l’insegnamento universita-rio e quello delle pubblica-zioni, sia di monografie, chedi articoli, pubblicati su ri-viste e quotidiani, a dimo-strazione, non solo dei suoivasti orizzonti, ma anchedel suo impegno in una so-cietà sempre più massifica-ta e soffocante. È impossi-bile qui richiamare tutte lepubblicazioni di EnzoCollotti, che spaziano dallastoria del socialismo inAustria e in Germania, allastoria della guerra civile inSpagna, all’analisi del fa-scismo come fenomeno eu-ropeo, all’analisi del feno-meno nazista. Lasciato l’insegnamentouniversitario nel 2000,Collotti resta comunque unpunto di riferimento, sia pergli allievi che per le asso-ciazioni e gli enti che si oc-cupano di storia contempo-ranea; soprattutto a partiredal 1998 inizia un’ampia ri-flessione sulle leggi razzia-li e sulla pagina più buia delnazismo, lo sterminio degliebrei. Dà vita, con i suoi al-lievi più giovani (tra gli al-tri Francesca Cavarocchi,Valeria Galimi, A l e s s a n d r aMinerbi) a un’ampia ricer-ca sulle leggi razziali inToscana, i cui esiti vengo-no pubblicati nel 1999 pres-so Carocci. A questa segueuna poderosa ricerca sulla

persecuzione degli ebrei inToscana, pubblicata nel2007: E b rei in Toscana traoccupazione tedesca e RSI.Persecuzione, depre d a z i o -ne, deport a z i o n e ( 1 9 4 3 -1945), Carocci, 2 voll. A testimonianza di questointeresse di Collotti e del-la sua riflessione sulla ne-cessità di preparare soprat-tutto gli insegnanti, solle-citazione derivata anche dal-la istituzione della Giornatadella Memoria, mi premeinfine ricordare un aureo li-bretto pubblicato da NewtonCompton nel 2002, La so -luzione finale. Lo stermi -nio degli ebre i, in cui in po-che ma dense pagine,Collotti riesce a sintetizza-re le fasi e dare conto dellamostruosità del progetto cheha portato alla “distruzio-ne degli ebrei d’Europa”.La sua intensa attività diconferenziere continua an-che oggi, sebbene non sem-pre l’età gli consenta di par-tecipare a tutte le iniziati-ve in cui si sollecita la suapresenza. Lo scorso autunno l’uni-versità di Firenze, insiemeai suoi allievi e agli studio-si che in qualche modo sisono sentiti ispirati dal suomagistero, hanno org a n i z-zato un convegno dal si-gnificativo titolo “EnzoCollotti e l’Europa del No-vecento”, i cui atti sarannopubblicati fra breve, e cheben sintetizza la poliedri-cità di interessi di Collottima anche il fatto che delNovecento egli è stato nonsolo studioso, ma anche te-stimone e lucido critico.

a . c .

Enzo Collotti

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La dinamicadel mart i r i odi Anna Frank

Saggio-rendiconto di Frediano Sessi suffragato da un apparato di note

Frediano Sessi, poligrafo,docente universitario, sag-gista è, da sempre, testimo-ne ed esegeta rigoroso del-la storia della S h o a h. La suapiù ravvicinata fatica è l’o-riginale lavoro critico Il mionome è Anne Frank ( E i n a u d iRagazzi), ricostruzione a ri-troso dei giorni angosciosicome dei sentimenti deva-stanti patiti dall’eponimaadolescente ebrea forzata asopravvivere per due anni(insieme ai familiari e ad al-tre persone) negli angustilocali di un “alloggio se-greto” di A m s t e r d a m .La sorte tragica di A n n aFrank è oggi universalmen-te nota grazie, appunto, al

Diario di Anna Frank r i t r o-vato e poi, a più riprese, ri-costruito progressivamentein diverse versioni via viapiù complete, aggiornate:dopo due anni di autosegre-gazione logorante, rovino-sa, il 4 agosto 1944 l’irru-zione nell’“alloggio segre-to” (provocata da un anoni-mo delatore) dell’uff i c i a l edelle SS Karl Josef Sil-berbauer (a fine guerra blan-damente sanzionato e pre-sto tornato impunito in li-bertà) dà l’avvio di lì a pocoalla deportazione e al con-seguente annientamento neicampi di sterminio del grup-po clandestino ebraico.Soltanto Otto Frank so-

pravviverà a quell’inferno.Ora Frediano Sessi, già cu-ratore della versione più ag-giornata del Diario di A n n aF r a n k, ritorna con riacutiz-zata acribia documentariaad esplorare i modi, i mo-menti, la dinamica tanto del-le effettuali esperienze e del-le alterne, intime emozioniattraverso le quali, appun-to, Anna Frank da adole-scente si fa donna, guarda eregistra ogni attimo di quel-la sua esistenza “artefatta”,fino ad approdare a una sem-pre più allarmante consa-pevolezza dell’inesorabilespietato appuntamento conla morte.Il mio nome è Anne Franksi condensa così in un ren-diconto circostanziato delladissipazione di una vita, diAnna Frank appunto, inca-strata nei tempi di ferro del-la dissennata barbarie nazi-sta e della desolata impo-tenza di una realtà avvele-nata dalla guerra, dall’in-tolleranza più feroce.Di momento in momento,Frediano Sessi dà conto, conghiacciato rigore e nitore,delle varie fasi del “marti-rio e della morte” di A n n aFrank e di tutti i suoi, met-

Federico Sessi,Il mio nome

è Anne Frank,Einaudi Ragazzi

pp. 133, euro 9,00

di Sauro Bore l l i

BIBLIOTECA

tendo a controcanto di si-mile oltraggiosa persecu-zione le parole, le sensazio-ni passo passo sempre piùincisive, penetranti dell’e-roina eponima.Oltretutto il testo Il mio no -me è Anne Frank è suff r a-gato da un apparato di notee da una bibliografia detta-gliatissimi, del tutto esau-rienti. Anche se ciò che sistaglia, ancora e sempre, ab-bagliante, indelebile è so-prattutto lo slancio stoico,nobilissimo di Anna Frank:“Guardo il cielo e penso chetutto questo tornerà a vol-gersi al bene… È un veromiracolo che io non abbiarinunciato a tutte le mie spe-ranze, perché mi sembranoassurde e irrealizzabili.Eppure le tengo strette, no-nostante tutto, perché credotuttora nell’intima bontà de-gli uomini”.

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Li pre s e ro ovunque. Storie di deportati umbri

Olga Lucchi ha pubblicato la sua ricerca

Olga Lucchi - segretariadell’Aned Umbria e ricer-catrice dell’Istituto per lastoria dell’Umbria contem-poranea – ha pubblicato unasua dettagliata ricerca dal ti-tolo Li pre s e ro ovunque.Storie di deportati umbri.Attraverso archivi, diari, te-stimonianze Olga Lucchi haricostruito le biografie di al-cuni deportati, delineandoun affresco ricco e com-plesso dell’antifascismo um-bro, fatto di vite dedicate al-la libertà alcune delle qualispente nei lager nazisti.Come scrive nella prefazio-ne del libro Dario Ve n e g o n i ,vice presidente nazionaledell’Aned: “Oggi, grazie allavoro di Olga Lucchi, sap-piamo che nei campi diHitler c’erano anche oltrecentocinquanta umbri, arre-stati sia in Umbria, sia nelresto dell’Italia e all’estero.C’è tutta la storia di una re-gione sconvolta dalla guer-ra – questa sì, davvero, finoad oggi sostanzialmente sco-nosciuta – in questa vicenda:la storia del movimento par-tigiano, e dall’altissimo prez-zo pagato dai resistenti nel-la conquista della libertà;quella dello sfollamento nel-le campagne della regionedi tanti cittadini, venuti quiper sfuggire ai bombarda-menti, e di tanti ragazzi sban-dati, che semplicemente cer-cavano di sottrarsi alla levaobbligatoria dellaRepubblica sociale; quelladegli ebrei che qui vivevano,e che conobbero tutti i di-versi gradi della persecu-zione; e poi quella dell’e-migrazione politica, indot-ta dalle violenze squadristi-che contro gli oppositori del

fascismo, e quella della emi-grazione tout court, di uo-mini e donne che dall’Um-bria partirono per altre re-gioni dell’Italia o anche al-l’estero in cerca di migliorfortuna. Tra l’una e l’altra categorial’Autrice segnala relazioni,legami, contatti: le vicendedei singoli si intrecciano leune alle altre, e insieme trat-teggiano i contorni spessocupi di un capitolo dolorosodella storia dell’Umbria.È una storia che fin qui erasepolta nella memoria di po-chissimi testimoni e fami-liari, e nei ricordi sbiaditi dipiccole sperdute comunità;un racconto che attendevada sessantacinque anni di es-sere scritto”.

Olga Lucchi,Li presero ovunque –

Storie di deportati umbri.Mimesis edizioni 2010,

Pag.276, E u ro 22,00

BIBLIOTECA

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

Il primo giorno d’inverno.C e r v a rolo, 20 marzo 1944.Una strage nazifascista dimenticataAliberti Editore, Reggio Emilia, pp. 317, euro 17,50

Qualche strage nazifascista è ancora ignota. Sepolta. Come erastata quella di Cervarolo riportata alla luce dall’“Armadio del-la vergogna” che se non ci fosse stato quell’ottimo magistrato mi-litare che è il dottor Antonino Intelisano sarebbe rimasta tale perchissà quanto tempo. Era il 20 marzo 1944 e 24 persone venne-ro fucilate tra cui uomini fra i 17 e gli 84 anni compreso un pa-ralitico e l’anziano parroco. Una strage per alcuni aspetti parti-colare, vivissima nella memoria della cittadinanza (tre i so-pravvissuti), vilmente strumentalizzata in questi anni dal revi-sionismo selvaggio in chiave antipartigiana, compiuta con unduplice obiettivo punitivo e preventivo anche se i tedeschi del-la “Hermann Goering” sapevano che i partigiani se n’erano an-dati dal paese. Andava colpita subito la comunità che aveva aiu-tato i “ribelli” e, assieme terrorizzata perché non doveva più ac-cadere in futuro ciò che aveva alimentato la furia omicida.

Massimo Storchi, Italo Rovali

R a c c o n t a re la verità. Sud Africa 1996-98. La Commissione per la verità e la ri-c o n c i l i a z i o n e .Mimesis, Milano-Udine, pp. 344, euro 22,00.

Quello che non è mai accaduto in nessun Paese del mondo, è av-venuto con pienezza di significati umani e sociali nel Paese del-l ’a p a rt h e i d. Alla fine del lunghissimo cammino di violenza e dis o p r a ffazione etnica, è sbocciata la pace e non è corso il sangue.In apparenza un miracolo anche se il cammino per progredire èlungo. Nella realtà la gigantesca statura etica di un uomo, NelsonMandela, prigioniero per una vita nelle carceri dei “bianchi”, hatracciato il sentiero lungo il quale il Sud Africa avrebbe dovutoincamminarsi per lenire le ferite, stabilire le responsabilità deicrimini commessi, sperare in domani in cui l’emarginazione sa-rebbe stata bandita per sempre. Il libro di Franchi alla sua se-conda esperienza sul tema lascia sgomenti e turbati. Come sipossa essere instaurato un pieno sistema democratico in tempitanti rapidi e senza repressione armata e come possa una“Commissione per la verità e la riconciliazione” istituita nel1995 aver concluso in tempi rapidi il suo lavoro appare incom-prensibile se non si riflette a sufficienza sulla necessità genera-le di dovere voltare pagina. Oltre 20 mila persone, vittime e car-nefici, si sono confrontati, gli uni ascoltando la voce dei perse-cutori, gli altri trovando la forza di confessare i loro crimini perun bene superiore.

Danilo Franchi

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Il Generale.La storia misteriosa di Mario RoattaAngelo Colla Editore, Costabissara, Vicenza, pp. 300, euro 18,00.

Dove e quando il fascismo toccò le vette più significative dellasua ferocia lui, il soldato Mario Roatta, ci fu sempre. Pronto, di-sponibile, astuto, oscuro, indecifrabile. Percorse l’intera paraboladel regime in delicati snodi di comando lasciando segni profon-di senza mai dover pagare il prezzo per i suoi crimini comuni, li-berato alfine dalla provvidenziale amnistia Togliatti del ’46.Inventore nel ’34 del Sim, il Servizio segreto militare, combat-tente di Spagna al comando delle truppe d’intervento, testa pen-sante del delitto Rosselli, addetto militare a Berlino nel ’39, sot-tocapo di Stato maggiore nel ’40, comandante della 2a Armata inCroazia, nel ’43 comandante in Sicilia della 6a Armata. Una car-riera che filò via sempre liscia e che non trovò mai ostacoli: ar-restato nel novembre del ’44 dall’Alto commissario per i crimi-ni fascisti, il 4 marzo del ’45 evase da un ospedale militare, si ri-fugiò presso sacerdoti romani, fuggì in Spagna. Riprocessatodal ’48 al ’53 fu prosciolto a raffica. Invano Tito lo reclamò pergli eccidi in Jugoslavia. Morì a Roma nel ’68. Venne sepolto inuna tomba sotto una lapide che porta un altro nome. Una figuraingombrante anche da morto.

Ulderico Munzi

Berlusconi e il berlusconismoEdizioni Arterigere, Varese, 2010, pp. 182, euro 12,00

È la sagra del paradosso: Berlusconi in quasi un ventennio, iltempo che segnò la vita del fascismo, ha condizionato in profon-dità il costume della società italiana, imponendo con autoritari-smo, anche per la potenza dei suoi mezzi mediatici, due fonda-mentali principi: l’illegalità e l’impunità, regole che con paral-leli fenomeni di criminalità (le cricche), hanno significato il tra-monto dell’etica e della morale. A fronte di questa linea com-portamentale la sinistra, sbriciolata e senz’anima, soprattuttosenza un progetto unitario ed alternativo, è stata a guardare, im-potente e corresponsabile. Giorgio Bocca ha detto che in fondoBerlusconi ha dispensato quello che tutti gli italiani desiderano,un nuovo fascismo. Sono stati accontentati. Diego Giachetti,studioso torinese, attraversando il nuovo ventennio, propone pa-gine inquietanti e immagina un futuro drammatico.

Diego Giachetti

Teruel-Malaga 1936-1939.Un antifascista svizzero e un fascista italiano nella guerracivile di Spagna: memorie di lotta, soff e renze, passioneEdizioni Arterigere, Varese, pp. 190, euro 14,00

Il diciassettenne ticinese Eolo Morenzoni combatte da volontarionelle Brigate internazionali per la libertà di Spagna. Dario Ferri,livornese, si arruola nella “Dio lo vuole”, un’armata di Mussoliniaccorsa a Madrid in aiuto del golpista Franco. Due ragazzi cheprendono le armi per opposti ideali e che si ritrovano oltre ses-sant’anni dopo per spiegarsi a vicenda le ragioni della loro scel-ta ma soprattutto l’asprezza della lotta, la vittoria e la sconfitta,la loro esistenza successiva. Ne è uscito un libro diverso da ognialtro su questo tema, forte, a tratti disperato, dai toni accesi quan-do non cruenti. Ferri che sognava con Mussolini di possedere ilmondo si ritroverà sul fronte russo in mezzo alla neve e allamorte. Tornerà vivo ma il fascismo è sconfitto per sempre.Morenzoni, inseguito dalle autorità perché minorenne, quandotorna in Svizzera è processato, condannato per aver violato la neu-tralità della Confederazione, pedinato per decenni dalla poliziacome “comunista”.

Massimo De Lore n z i

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Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

P a rtigiani. Una storia di uominiDe Ferrari, Genova, pp. 553, euro 40,00

Freddo come un chirurgo perché maneggiare con acume mi-gliaia di carte è un’impresa che non sempre riesce, abile nel co-gliere gli spunti del vasto tema e nel tenere assieme ben compattal’intricata materia, senza cedimenti retorici, Sandro A n t o n i n i ,valoroso storico della guerra di Liberazione con un’ampia pro-duzione sul versante ligure tanto da farne un preciso punto di ri-ferimento, sfuggendo ai richiami passionali e ideologici, offre unostrumento estremamente utile per comprendere cosa fu laResistenza, che consistenza numerica realmente ebbe, di qualimezzi disponeva, come si organizzò e su che scelte strategichesi combatté, fra spunti eroici, arretramenti, compromissioni,viltà, tradimenti. Una rappresentazione coraggiosa e utile, anchese tanto tempo è passato, che aiuta a rendere quella irripetibileed esaltante stagione, più vera proprio perché frutto di sceltecompiute da uomini e donne con i limiti annessi. Lo scopo del-la ricerca è stato raggiunto. Sandro Antonimi ha saputo raccon-tare con lucidità e senso critico il percorso di lotta spezzandoogni possibilità di strumentalizzazione revisionistica e off r e n d ospazi di profonda riflessione. L’operazione andava condotta de-cenni fa mentre purtroppo impazzava la logica agiografica e au-tocelebrativa che se serviva a mascherare errori spesso finiti intragedia, non ha aiutato a costruire una memoria ben radicatanella coscienza popolare. C’è anche spazio nel libro per le ne-fandezze delle brigate nere e per le attività spionistiche delle va-rie polizie repubblichine che spiegano con abbondanza di rife-rimenti la crudezza della guerra civile.

S a n d ro A n t o n i n i

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Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e di mafie, di segreti di Stato e di giusti-zia off e s aLaterza, Bari, pp. 613, euro 20, 00

È una poderosa, documentata antologia, filtrata dal tormen-to, dalla smisurata passione e dal coraggio di un magistrato,che ripercorre con puntualità e estremo rigore le più tragichee misteriose vicende della storia contemporanea d’Italia.Non solo: Armando Spataro, procuratore aggiunto della re-pubblica a Milano, confessa senza reticenze, le trappole egli ostacoli, utilizzati da pezzi dello Stato, anche i più elevati,per impedire l’accertamento della verità in un libro a tratti fa-ticoso da digerire perché implacabile e martellante nella suaopera di denuncia civile e non solo giudiziaria. Ci sono i de-litti dei giudici Emilio Alessandrini e Guido Galli i “mae-

Armando Spataro

Come si mossero, che scelte compiro-no i matematici italiani durante il fa-scismo e quale influenza ebbe il regimesu di loro? Come furono condizionatele loro carriere e i loro studi e che prez-zi dovettero pagare coloro che comeVito Volterra, per citare il nome più pre-stigioso, liberale e massone risorg i-mentale, punto di riferimento del mon-do matematico italiano, si opposero aMussolini rifiutando la tessera e più tar-di il giuramento? Volterra, il sommostudioso, lentamente ma progressiva-mente fu emarginato dalla presidenzadel Cnr e dall’Accademia dei Lincei eda quel mondo scientifico che avevacontribuito a fare grande nel silenziocodardo dei più. Ma le domande sono an-cora altre: cosa pagò ad esempio lascienza matematica in quanto tale do-po il periodo aureo dell’inizio del se-colo quando aveva toccato vette d’as-soluto prestigio alle spalle soltanto diFrancia e Germania? Si appannò, compìpassi avanti, trovò nuove strade? Se peril Maestro Volterra fu la fine politica e

scientifica e così per la cultura demo-cratico-liberale che impersonava (la fi-gura è trattata a fondo nel bel volume diGuerraggio e Paoloni), per altri il cam-mino non ebbe ostacoli particolari.Quello che emerge è che il fascismo,se piegò molte individualità, non riu-scì a imporre, né in fondo neppure ciprovò, ad elaborare “una matematicafascista”. Gli bastò controllare da vici-no gli uomini, far loro sentire il fiatosul collo esaltandone, se del caso, leambizioni e gli appetiti che qua e là nonmancarono (valga la vicenda imbaraz-zante, contraddittoria ed amarissima diFrancesco Severi, socialista interven-tista, poi fascistissimo, infine cattoli-co integralista geddiano) insistendosemmai sull’altro progetto, autentica-mente politico e molto più ambizioso,di “fascistizzare” la cultura. Certo il re-gime lasciò un segno profondo nellecoscienze e nella vita di ciascuno con ilvaro nel ’38 delle leggi razziali (moltimatematici e fisici erano ebrei e, comeFermi, dovettero andarsene), quando

obbligò a giurare fedeltà al regime (l’a-desione fu pressoché unanime), infineal tempo della feroce stagione della Rsiche contribuì a scavare un ulteriore sol-co nelle libere coscienze provocandoisolamento, danni morali e intense la-cerazioni interiori. Quattordici catte-dratici di ruolo e quattro liberi docentifurono allontanati senza chel’Associazione professionale interve-nisse per tutelarli. Risalire la china aguerra finita non fu semplice perché,come osservano gli autori, l’impresaera nel sapere trasformare i pionieri o ilgenio di un singolo “in un tessuto arti-colato capace di andare avanti”. I due li-bri di grande storia inesplorata e sco-nosciuta aiutano a penetrare, al di là de-gli stretti confini accademici, l’azionedevastante ma non sempre vincente delmorbo più grave del ’900. Se il fascismofu certo un flagello, le ragioni del declinodella matematica (altro tema trattato)furono anche strutturali, frutti diretti diuno Stato unitario giovane e con un pa-trimonio scientifico limitato.

Angelo Guerraggio, Giovanni Paoloni

Matematica in camicia nera. Il regime e gli scienziatiBruno Mondadori, Milano, pp. 272, euro 26,00

Vito Vo l t e r r aFranco Muzio Editore, Roma, pp. 243, euro 18,00

Angelo Guerraggio, Pietro Nastasi

stri” dell’allora giovane Spataro compiuti dai brigatisti, c’èil delitto del giornalista Walter Tobagi con lo squallido ten-tativo di sfruttare strumentalmente la tragedia a fini politicida parte di pattuglie di socialisti (regolarmente condannati perd i ffamazione), c’è la pagina inquietante del sequestro di A b uO m a r, un cittadino di religione musulmana compiuto per levie di Milano da agenti della Cia spalleggiati dai servizi se-greti italiani, la cui indagine penale s’infrangerà coi “segre-ti di Stato” innalzati a copertura del reato da parte dellePresidenze del consiglio Prodi e Berlusconi, ci sono i miste-ri delle carte Moro ritrovate nel covo di via Montenevosoperquisito a vuoto un decennio prima. C’è insomma l’oscuro portato eversivo di questa povera Italiaper cui uomini tutti di un pezzo come il magistrato Spatarocombattono da decenni “a schiena diritta” una solitaria stre-nua battaglia a rischio della vita, fatti bersaglio regolarmen-te di aggressioni politiche e delegittimazioni istituzionali.

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I ciclisti che partecipano al Giro di Polonia,nell’agosto di quest’anno, prima di partire per la sestatappa della gara hanno reso omaggio, ad A u s c h w i t z ,alle vittime del campo di sterminio nazista. La tappa,partita proprio da Auschwitz, è arrivata a BukowinaTatrzanska, dopo 228 km.

L’omaggio dei ciclisti ad A u s c h w i t z