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la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 NUMERO 511 Cult Straparlando. Jarre: “L’Italia non sa invecchiare” La poesia del mondo. Gli haiku di Bashô Nel magico (mio padre) di Richard Scarry mondo L’immagine. Concita De Gregorio, il mondo salvato dai giocattoli Il racconto. Stefan Merrill Block, sono io Santa Claus Spettacoli. Ligabue, sarà un Natale duro Next. Kevin Kelly, il meglio dell’hi-tech Sapori. Cerea vs Iaccarino, la sfida del 25 è tra Nord e Sud Con il figlio Huck siamo andati nello chalet sulle Alpi svizzere dove sono nati i personaggi del grande disegnatore di storie per bambini C’erano un bel po’ di regali e il Gatto Natale era tra questi GUIDO ANDRUETTO GSTAAD (SVIZZERA) I RICORDI SI METTONO A FARE le capriole e si inse- guono come nei giochi dei bambini, quando il si- gnor Huck Scarry poggia le mani sul tavolo da disegno e comincia a raccontare del padre Ri- chard, uno tra i più grandi autori di storie illu- strate per l’infanzia. >SEGUE NELLE PAGINE SUCESSIVE BIANCA PITZORNO È RARO, ANZI NON SUCCEDE MAI, che si parli di un libro destinato ai bambini senza usare il termine fantasia. Fantasiaè una parola pe- ricolosissima. Come a tutte le cose astrat- te, le si possono attribuire i più diversi e op- posti significati. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE “SANTA CLAUS CAT”, DISEGNO INEDITO DI RICHARD SCARRY ( CIRCA FINE ANNI ’50) La copertina. Il colore del teatro

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la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 21 DICEMBRE 2014 NUMERO 511

Cult Straparlando. Jarre: “L’Italia non sa invecchiare”La poesia del mondo. Gli haiku di Bashô

Nel magico

(mio padre)di Richard Scarry

mondo

L’immagine.Concita De Gregorio, il mondo salvato dai giocattoli Il racconto.Stefan Merrill Block, sono io Santa Claus Spettacoli.Ligabue, sarà un Natale duro Next.Kevin Kelly, il meglio dell’hi-tech Sapori.Cerea vs Iaccarino, la sfida del 25 è tra Nord e Sud

Con il figlio Huck siamo andatinello chalet sulle Alpi svizzeredove sono nati i personaggidel grande disegnatoredi storie per bambiniC’erano un bel po’ di regalie il Gatto Natale era tra questi

GUIDO ANDRUETTO

GSTAAD (SVIZZERA)

IRICORDI SI METTONO A FARE le capriole e si inse-guono come nei giochi dei bambini, quando il si-gnor Huck Scarry poggia le mani sul tavolo dadisegno e comincia a raccontare del padre Ri-chard, uno tra i più grandi autori di storie illu-

strate per l’infanzia.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCESSIVE

BIANCA PITZORNO

ÈRARO, ANZINONSUCCEDEMAI, che si parli di unlibro destinato ai bambini senza usare iltermine fantasia. Fantasiaè una parola pe-ricolosissima. Come a tutte le cose astrat-te, le si possono attribuire i più diversi e op-

posti significati.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

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La copertina. Il colore del teatro

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la Repubblica

DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 34LA DOMENICA

<SEGUE DALLA COPERTINA

GUIDO ANDRUETTO

NEL VECCHIO CHALET SCHWYZERHUS, non lon-tano dalla promenade di Gstaad, e a duepassi dalla panetteria Chnusper Becke,davanti a cui campeggia un omino di pla-stica con orecchie a forma di brezel egambe fatte di wafer, è racchiuso il mon-do fantastico di un disegnatore che haportato in dono a intere generazioni dibambini la magia della parola. Al figlio,oggi sessantenne, trasmise fin da picco-lo la passione per la narrazione illustratatanto che Huck, dopo la morte del padre,

avvenuta dieci anni fa, continua a seguirne le orme disegnando i famosi animali di Sgobbonia (“Busytown”nella versione originale inglese). Trecento titoli diventati dei classici in una cinquantina di paesi e pubbli-cati dalla metà degli anni Cinquanta con oltre trecento milioni di copie vendute finora nel mondo.

Lo sfondo dello spassoso intreccio di avventure e gag creato da Scarry, popolato da personaggi teneri eadorabili come il gatto Sandrino, il verme Zigo Zago, Ilda Ippo e il sergente Multa, è una città immaginariain cui regna un clima di allegria e di felice confusione, e dove ogni lettera dell’alfabeto è una storia. Più diuna traccia tra le pagine dei suoi libri ci porta nel villaggio alpino di Gstaad, nell’Oberland bernese, dove ildisegnatore americano ha vissuto e creato i suoi racconti a partire dai primi anni Settanta. Lavorava pro-prio qui, nel suo piccolo atelier al piano terreno di questo chalet circondato da un bel giardino di betulle epini. Ed è qui che Huck, il cui nome non è altro che il diminutivo di Huckle Cat (Sandrino), ci ha aperto l’ar-chivio di famiglia per festeggiare come si deve questo Natale.

Le due scrivanie su cui disegnava il padre sono rimaste sempre nello stesso posto, vicino alle finestre.«Venimmo ad abitare qui pochi anni dopo esserci trasferiti a Losanna dagli Stati Uniti», racconta Huck, cheoggi si divide tra Gstaad e Zwölfaxing, in Austria. «Papà se ne innamorò subito, e anche il paese gli piacquea prima vista. Era una persona semplice, amava stare con gli altri ma non era il tipo di uomo interessato al-la mondanità. Voleva solo un luogo dove vivere tranquillo, tutto qui. La casa è piccolina ma ha molto char-me come vede. Noi la chiamavamo “la casa delle bambole”. I miei la riempirono completamente di libri, so-prattutto di storia e geografia, e poi di un’infinità di soprammobili, dappertutto oggetti di ogni tipo. Lo ve-de? Si fa fatica a muoversi qui dentro». Sopra un armadio, ammucchiati, diversi esemplari di cappelli mili-tari; spunta un elmetto, è il Pickelhaube, che durante la Prima guerra mondiale era in dotazione all’eserci-to prussiano e successivamente a quello imperiale tedesco, ed è lo stesso che porta sulla testa Rudolf Stru-del, la volpe-pilota d’aviazione cui Scarry fa compiere voli rocamboleschi a bordo del suo monoplano. «È unpersonaggio totalmente pazzo che gli ispirava molta simpatia. Gliene succedono di tutti i colori, uno spe-ricolato. Capitomboli, atterraggi in picchiata, a volte finisce anche in mare, ma non si fa mai male». Tra ipreferiti di Scarry anche Ciccio Pasticcio, uno dei maialini di “Felicittà”, ricorda Huck sfogliando un’edi-zione in lingua cinese del grande classico Il libro delle parole. «Diceva che era facile identificarsi in lui per-

Dagli Anni ’50 milioni di bambini nel mondohanno imparato a leggerecon gli animalettidisegnati da Richard Scarry. Anche suo figlioche qui racconta la più grande delle fortune

La copertina.

e ZigoZago

Sonocresciuto

I PERSONAGGI

QUI A SINISTRA IL GATTO SANDRINO (IN INGLESEHUCKLE CAT, IN OMAGGIO AL FIGLIO HUCK).A DESTRA IL VERME ZIGO ZAGO (LOWLYIN ORIGINALE). E POI ALCUNI LIBRI FIRMATIRICHARD SCARRY: TRECENTO MILIONILE COPIE VENDUTE NEL MONDO

conSandrino

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Chi ha bisognodella fantasia?

<SEGUE DALLA COPERTINA

BIANCA PITZORNO

LA SI PUÒ ESEMPLIFICARE in mille modi, dalla “alta fantasia” che per suadichiarazione servì a Dante Alighieri per scrivere la DivinaCommedia, alla foto melensa e kitsch con fiori in primo piano etramonto sul mare che decora una scatola di cioccolatini. Quando poil’abbinamento è tra fantasia e bambini, il rischio è ancora maggiore.

Si pensa subito alla contrapposizione con un altro termine astratto: realtà. Lafantasia sarebbe quella cosa che aiuta a evadere dalla realtà, a rifugiarsi in unmondo totalmente irreale, in un mondo che in definitiva non esiste.

Poveri bambini, che invece il mondo reale lo stanno scoprendo conl’entusiasmo di esploratori in un nuovo paese, lo

stanno conquistando giorno pergiorno con faticae soddisfazione enon hannodesiderio nébisogno, comemolti adultisuppongono, dievaderne per trarrepiacere da “cose chenon esistono”(semmai sono gliadulti che, sazi espesso disgustati dallarealtà, sentono ilbisogno di evaderne).Ciò di cui sentono ilbisogno i bambini è lameraviglia, lo stuporedella scoperta di cosenuove e non ancorapensate, ma non per questoimpossibili. Quella che cicolpisce tutti davanti aimeravigliosi e reali raccontidi AstroSamantha dalla suaStazione Spaziale, davanti allameravigliosa e reale visione dilei che galleggia nell’aria con i

capelli risucchiati verso l’alto e allunga la mano peracchiappare il microfono che se ne scappa. Come letazzine scappano di mano a Bella galleggiando peraria nel cartone animato, ma qui per davvero.Il grande merito dei libri di Richard Scarry è quellodi rifiutare la contrapposizione realtà-fantasia, e dioffrire invece ai più piccoli un modo adatto a loro dileggere la realtà che li circonda. Niente folletti,niente superpoteri, niente fatine alate con corpo dasoubrette, vesti succinte e tacchi a stiletto, niente ditutto quello che le esigenze a corto raggio di unamoda effimera ed esclusivamente commercialehanno offerto di recente ai bambini. I personaggi di Scarry sono animali che vivono comegli umani, gli umani veri, reali, come le persone che ibambini vedono tutti i giorni attorno a sé. Il gattoSandrino, il verme Zigo Zago, il leone chirurgo, i

porcellini pompieri, rappresentano persone normali, che fanno cose normali anchese spesso molto buffe e che, soprattutto, lavorano (se piccoli, giocano e vanno ascuola). Sono tutti membri di una comunità normale, laboriosa e pacifica, doveognuno svolge il suo compito di cittadino, esercita un mestiere utile agli altri. Anchese spesso combina pasticci per la propria inadeguatezza. Proprio come ne combinanoi piccoli lettori, nel loro desiderio di fare “le cose che fanno i grandi”. È da questoriconoscimento, da questa identificazione che nasce il sorriso. Il grande merito dellestorie di Scarry è soprattutto l’essere inattuali. Le storie trendy vivono una brevestagione e vengono presto superate da altre e nuove storie altrettanto effimere.Quelle inattuali, che si rifanno agli archetipi, ai sentimenti e alle relazioni piùprofonde della nostra cultura, passano indenni di generazione in generazione. Due parole per finire sullo stile dei disegni nati dalla penna di Scarry, anch’essimagistralmente inattuali, a differenza di altri segni che per voler essere moderni,saltano una fase importante dello sviluppo percettivo dei bambini più piccoli.All’astrazione, alla stilizzazione si arriva più avanti, dopo un raffinato lavoro mentalea levare. I piccoli hanno bisogno di dettagli, di scritture minuziose. E deliziosamenteminuziosi sono i disegni che ci mostrano i diversi cittadini delle indaffarate comunitàcreate da Scarry. Chiunque abbia seguito i primi approcci di un bambino moltopiccolo — che ancora non sa leggere — con i libri, sa che legge le figureessenzialmente con il dito. Che segue la vicenda cercando materialmente ilpersonaggio sulla pagina e poi collegandolo con gli altri, con gli oggetti, le case, iveicoli. È il piccolo dito che scopre e unifica il mondo. Una sorta di lettura primaria conideogrammi molto simili alla visione che il nostro occhio ha della realtà, prima e comebase indispensabile di ogni astrazione simbolica.

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 35

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ché a tutti può succedere qualche incidentedi percorso durante la giornata, magari ci sidimentica di qualcosa o si combina un guaio,è tutto molto umano quello che fa Ciccio Pa-sticcio. E poi era affezionato a Zigo Zago,sempre positivo, un ottimista». Fa abba-stanza sorridere il fatto che il cappello verdedi feltro con cui è ritratto il vermicello sia lostesso che indossa oggi Huck quando esce dicasa per andare a camminare nella valle diLauenen: «Un posto magnifico, molto carosia al papà che alla mamma (PatriciaMurphy, anche lei autrice di racconti perbambini, ndr), c’è il giusto silenzio per potersuonare il corno delle Alpi» aggiunge con unpizzico di commozione nella voce.

Tra questo padre speciale e questo figliocosì amato si era creato nel tempo un rap-porto eccezionale. «Ho imparato tanto stan-dogli accanto, e non solo sul disegno o sullapittura. Da ragazzino quando stavamo a We-stport, nel Connecticut, salivo spesso su perle scale di casa fino alla mansarda dove c’eralo studio di papà. Da lì si vedeva il Long IslandSound. Mi piaceva sdraiarmi per terra conbloc-notes e matite, e starmene lì a disegna-re macchine o treni, mentre mio padre lavo-rava ai suoi libri seduto alla scrivania. Mi hasempre incoraggiato a disegnare, già da pic-colissimo mi piaceva da matti la pittura coni colori ad acqua. Con lui tutto era divertentee un po’ magico, forse perché non è mai di-ventato un vero adulto e ha conservato in-tatta dentro di sé la freschezza e la spensie-ratezza dell’infanzia. Era anche un bon vi-vant. Spesso andavamo in barca a vela op-pure facevamo lunghe passeggiate con lamamma in montagna, a volte si andava a

sciare nel Vermont, o a Zermatt, qui in Sviz-zera. Un’altra cosa che ci piacevamoltissimo era sfidarci a tiro conl’arco, e collezionare monete.Quand’ero più piccolo prima diandare a letto mi arrampicavo sul-le sue spalle e lui iniziava a cercarmi pertutta la casa, facendo finta di non trovarmi,mentre io gli ridacchiavo sopra la testa. Erail nostro gioco preferito ed è diventato ancheuna storia, Good Night, Little Bear, scrittada mia madre e illustrata da papà». Huck perun attimo guarda fuori dalla finestra e arre-sta il fiume dei ricordi. «Sì, c’era davvero unagrande unione tra di noi. Per me è stato na-turale avvicinarmi al disegno. Quando ter-minai gli studi in una scuola di arte grafica diLosanna ho iniziato a fare il suo mestiere».

Oggi Huck Scarry continua a disegnarenuove storie con gli stessi personaggi inven-tati dal padre e si prende cura di tutti i vecchilibri, «praticamente un lavoro a tempo pie-no!» racconta sorridendo. «Proprio come fa-ceva lui, disegno ancora tutto a mano. Gli ba-stavano fogli di carta, matite e colori, e al-l’improvviso un cerchio diventava un oc-chio, poi arrivavano il naso, le orecchie, e in-fine le storie. Oggi, certo, il digitale aiuta, maio non me ne servo. Anche per spedire i lavo-ri preferisco il vecchio servizio postale, op-pure i corrieri». Ci salutiamo facendoci gli au-guri. «Da buoni americani lo festeggiavamoil 25 — mi dice sulla porta di casa — però lasera prima preparavamo i biscotti e la cioc-colata calda da lasciare a Babbo Natale, lì sot-to, accanto all’albero. La mattina piatto etazza erano sempre vuoti».

IL REGALO

PER IL COMPLEANNODEL 1970,PAPÀ E MAMMASCARRYREGALARONOAL FIGLIO HUCKUN LIBROCON I PIÙIMPORTANTI DIPINTIDI PIETER BRUEGELIL VECCHIO.FRA QUESTI,“DANZADI CONTADINI”.CHE RICHARDRIDISEGNÒPOI ALLA SUAMANIERASUL BIGLIETTINODI AUGURI

L’ALBUM

SULLA NEVE, IN BARCA A VELA,ALLA SCRIVANIA. L’ALBUM DEI RICORDIDELLA FAMIGLIA SCARRY. IN UNA FOTOANCHE LO CHALET DI GSTAAD

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 36LA DOMENICA

CONCITA DE GREGORIO

MONDI. DEDICARE DIECI MINUTI, almeno dieci, ad osservare queste foto è — per lamente — l’equivalente di sauna e massaggio per il corpo. Allarga, distende, apre.Una ginnastica fondamentale per chi, ormai anchilosato nella piega amara del-la disillusione e pronto solo alla modalità attacco/difesa nel tumulto delle parolerabbiose, non riesce più a immaginare mondi diversi dal suo. Per cui se sei anchesolo tendenzialmente ladro allora tutti rubano, se sei corrotto tutti sono corrut-tibili, se diffidi chiunque diffida, se agisci provando a tendere trappole è sicuroche l’umanità intera ne sta tendendo una moltitudine a te, cammini in un cam-po minato armato di bombe e coltelli nei denti ed è impossibile, ma proprio im-possibile per te concepire che esista al mondo chi si muove in pace, per esempio,o animato da passioni e non solo da interessi, semplicemente guidato da un de-siderio di libertà e non di potere. Eppure veniamo tutti da lì, guardate. Bastereb-

be riavvolgere il nastro all’indietro di trenta, quaranta, cinquant’anni per ritrovare — adesserne capaci — i mille mondi da cui ciascuno è arrivato sin qui camminando. Centomila,un milione, cento milioni di mondi: uno diverso per ciascuno di noi.Vi ricordate se c’era un castello o un treno nella vostra stanza di bam-bini? Un meccano o una pianola elettrica, un pupazzo con cui parla-vate e che cosa vi dicevate, una fionda, una palla, un quadro appesoal muro che vi faceva paura, un corridoio che percorrevate corren-do quando la luce era spenta, un’illustrazione sulla copertina di unlibro, una bambina con le trecce rosse all’insù, un supereroe in ma-schera? Perché quello eravate, quello eravamo e da qualche parteancora siamo. L’universo in bilico fra realtà e immaginazione in cuiabbiamo trascorso i primi dieci anni della vita è la fotografia esattadi una promessa. Così come le foto dei volti dei bambini, a riguar-darle da adulti, sembrano contenere già i lineamenti e le espressio-ni dell’uomo o della donna che sarebbero diventati ed è vero, è così:quante volte ritrovando l’immagine di un fratello, una moglie, unamico da piccolo avete pensato “è identico a ora”? Le camerette, e i

Botlhe un peluche, Pavel cinque pistoleOrly i draghi e Tyra le bambole rosaCosa desideriamo prima di essere grandi

ORLY,4 ANNIBROWNSVILLE(TEXAS)

TYRA,3 ANNISTOCCOLMA(SVEZIA)

BOTLHE,3 ANNI MAUN

(BOTSWANA)

L’immagine.

vedereVuoiIgiocattoli?i miei

WATCHARAPON,4 ANNI

BANGKOK(THAILANDIA)

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 37

no. Tyra. Chissà se andrà via a cavallo di unamoto con dei pantaloni a fiori e una band chela aspetta, fra vent’anni, o avrà già due bam-bini uguali a lei a cui preparare la cena. O ledue cose insieme, forse. Due bambini checresceranno nel camper, in tournée per l’Eu-ropa. Guardate le armi di Pavel, seduto sul-la spalliera del divano nella sua casa di Kiev,Ucraina. Ha desiderato quelle, le ha chiesteper il compleanno e per Natale: un kalash-nikov colorato, un casco, una specie di fucilea pompa, un walkie talkie, cinque pistole,due mitragliette. Guardate come vi guardae poi immaginate cosa vede, tutto attorno asé, quando smette di guardarvi. A casa, in tv,per strada. Dove vive Pavel, come vive Pa-vel, quante possibilità ha — sempre ce ne so-no — di immaginare a un certo punto dellastoria un esito diverso, un’altra storia.

Tra i miei preferiti c’è Watcharapon,quattro anni, Bangkok. Una struttura fisicache non ammette incognite. Watch sarà unuomo massiccio, come minimo. Grande co-me dicono fin d’ora i suoi piedi nudi, le sueguance. Avrà una moto, se le circostanze del-la vita glielo permetteranno, di certo ameràguidarle. Per ora ne ha undici minuscole e ungrande casco, forse il suo, quello che usaquando va in moto col padre o quando fingedi farlo. Ci tiene un piede sopra come si fa coitrofei di caccia. Poi però nella tv corrono le

giochi preferiti allineati con orgoglio, sonola proiezione del mondo dentro in un mondofuori. Sono quelle espressioni che si fannogesti, intenzioni, pensieri e azioni, cose.Guardate queste foto, non ce ne sono dueche si somiglino. Guardate questi bambini eprovate a immaginare cosa pensano, comevivono, cosa si dicono per vincere la pauradella notte, a cosa si ancorano quando sonosoli, cosa li rallegra e cosa li consola. Magarinon succederà, certamente non succederàma in ciascuno dei loro universi in miniatu-ra ci sono tutti gli indizi degli adulti che po-trebbero diventare. Se niente turbasse la lo-ro traiettoria — ed è certamente impossibi-le, lo sappiamo, ma proviamo solo a imma-ginare — in queste foto ci sono uomini e don-ne già fatti, già al loro posto, già pieni di quel-lo che manca e che serve. I bambini sonopersone piccole. Soltanto più piccole dellepersone grandi.

Giochiamo ancora cinque minuti a questogioco, il tempo sta per finire qualcos’altrooggi avrete da fare. Guardate Tyra, che vivea Stoccolma. Immaginiamo la temperaturafuori casa, in quella luce bianca di neve, il cal-do dentro. La casetta bianca di legno e la car-rozzina per le bambole, sì, la cucina e la teie-ra con le tazze ma poi anche due cavalli colpalo di legno da cavalcare, i suoi vestiti disu-guali, una rosa in testa e una tromba in ma-

immagini di una preghiera orientale, paredi sentirne la musica e di percepire l’odore diuna cucina col fuoco acceso, qualcuno ha la-sciato una ciabatta nella stanza accanto, sulfrigo c’è Biancaneve. Madre, sorelle. Le don-ne possono cambiare rotta, nella vita. Don-ne, piccole donne. Guardate Botlhe, che vi-ve a Maun, Botswana: ha tre anni, una solagrande scimmia di peluche con un fiocco ros-so al collo, gambe magre e ricci diritti comefulmini. Le mani sui fianchi e il sorriso, so-prattutto, dicono di lei. E ora Arafa e Aisha,gemelle. Che quando nasci in due il mondo èsempre abitato. Cosa volete che importi di

quel che accade fuori quando dormi nellostesso letto di tua sorella, hai il suo stesso ve-stito e le stesse trecce, due macchinine duebambolotti due supereroi di plastica unosnoopy e una papera, persino. Il cesto deipanni bianchi da lavare, la sabbia dellaspiaggia fuori. Vorreste avere questo mon-do o vivere in quello di Julius, Losanna, giàora chiuso dentro il circuito del suo treno

svizzero? Sulla nave dei pirati di Mikkel,Norvegia, in piedi sulla cassa del tesoro o gui-dare un auto di quelle di Ralf, Riga, che ha icalzini a righe come le pareti a righe e allineaogni cosa in una traiettoria diritta, ridendo?È un gioco magnifico, questo di vivere inmezzo ai draghi di Orly, Texas, e poi alle ven-ti bambole rosa di Julia, Albania. Ai cubi e al-le stoviglie di Cun Zi Yi, già a tre anni muni-ta di bolero in tinta con la gonna plissé, poialle mazze da baseball di Virginia e alla bicidi Talia. Alla chitarra di Enea, che vive in Co-lorado portando questo nome, e al casco daparrucchiera di Lola, Mendoza, i suoi tam-burelli le sue maracas: ché la musica accom-pagna i giorni, ovunque tu sia qualunque co-sa tu faccia. Laggiù in Argentina, dovunque.

Gli ultimi trenta secondi del gioco sonoper ricordare qual era, a cinque anni, il vo-stro gioco preferito. Il vostro posto segreto,il vostro mondo. Perché lui è ancora lì. Unodei cento milioni di mondi possibili, diversoda tutti gli altri. Unico sulla terra, fonte diogni pensiero prima ancora di essere pensa-to. Sepolto, forse, ma intatto. Bisogna sca-vare un po’, ne vale la pena. Riattiva lo stu-pore, se siete fortunati l’allegria. Cambia laprospettiva, fosse solo un momento. Che Na-tale sarebbe, del resto, senza almeno il ri-cordo di un gioco.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

JULIUS,3 ANNILOSANNA(SVIZZERA)

CUN ZI YI,3 ANNI

CHONGQING(CINA)

PAVEL,5 ANNIKIEV(UCRAINA)

LOLA,3 ANNI

MENDOZA(ARGENTINA)

E ADESSO PROVATE A PENSAREANCHE VOI QUALE ERA DA PICCOLIIL VOSTRO GIOCO PREFERITO.DEL RESTO, CHE NATALE SAREBBESENZA NEMMENO IL RICORDODI UN REGALO DA MOSTRARE

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 38LA DOMENICA

Si accucciò e fece la faccia di un uomo che sale con la torcia in manolungo le scale serpeggianti di una sala rimasta sigillata per lungotempo, parlando come se non volesse disturbare gli spiriti sopiti checi vivono dentro. Anni dopo mi sono chiesto se non fosse semplice-mente ubriaco. «C’è una confraternita segreta di elfi», mi disse conla voce che mi inumidiva l’orecchio. «Una confraternita segreta chegira per il mondo cercando il prossimo Babbo Natale quando quelloin carica è pronto per andare in pensione». Mio padre mi spiegò cheaveva scoperto con tristezza di essere ormai troppo vecchio per es-sere preso in considerazione per quel ruolo. «Sono come quei pove-racci vestiti da Babbo Natale al centro commerciale. Ancora a inse-guire il sogno. Ma tu», mi disse, «tu potresti davvero avere il dono».

Per tutto il mese di dicembre indossai il costume da Babbo Nata-le tre taglie troppo grande che mi aveva comprato mio padre. Ognivolta che io e mia madre incrociavamo un adulto di dimensioni elfi-che sulla Prospect Avenue, mi fermavo e mi esibivo in un provino:«Oh! Oh! Oh!».

***Con gli anni quella stupida idea pian piano svanì, ma io continua-

vo a fingere con una certa perizia. I miei genitori mi avevano dato ilnome di mio padre con l’aggiunta di un junior, ma dopo che lui fu di-

chiarato disperso nella provincia irachena di al-Anbar, mi rifiutai diusarlo. A dodici anni chiamavo me stesso Lord Voldemort, Eolo il Ma-go delle Tempeste, Ser Galvano. Le rare volte che altri studenti mirivolgevano la parola spesso alzavo lo sguardo dal romanzo fantasyche stavo leggendo in quel momento e rispondevo col linguaggio ar-tefatto di qualche druido. Potete immaginare quanto questo atteg-giamento mi rendesse popolare: in seconda media, alla scuola pub-blica 154, ero conosciuto come “ciccione di merda”.

«La seconda media è sempre un anno difficile», mi disse la mia con-sulente scolastica Sheila Tripp con gli occhi cerchiati di compassio-ne. Era subito dopo gli esami finali, quando mi aveva convocato nelsuo ufficio affollato di orsacchiotti di pezza per informarmi che vistii miei voti probabilmente avrei dovuto ripetere l’anno.

***«Natale è domani», disse mia madre con la faccia rischiarata

dal pallore tremolante del televisore. Da quando era finita la scuo-la dormivamo sul divano e cenavamo a suon di barrette di carnesecca di manzo e biscotti al cioccolato Oreo. Quando andavamo inbagno, l’impronta del tessuto ad alveare del divano ci rimanevaimpressa sulla pelle. Sembravamo sull’orlo di qualcosa, in pro-cinto di perdere la nostra dimensione, due amebe che fondono il

na sera, quan-

do avevo sei

anni, mio pa-

dre mi onorò

della sua confidenza odo-

rosa di Marlboro raccon-

tandomi la verità su Bab-

bo Natale. Eravamo alla

fine di novembre, una set-

timana prima che il suo re-

parto partisse: lo trovai

che scolava le ultime goc-

ce da una lattina di Miller

Genuine Draft mentre

esaminava i pezzi della

sua pistola smontata sul

bancone in fòrmica della

cucina. «Quest’anno», mi

disse, «dovrai fare tu Bab-

bo Natale».

«Ma ho solo sei anni», gli

feci notare.

Mio padre annuì.

«Sei grande abbastanza

per conoscere la verità».

Il racconto.

STEFAN MERRILL BLOCK

L’AUTORE

STEFAN MERRILL BLOCK È NATO A PLANO, TEXAS,NEL 1982. SI È LAUREATOALLA WASHINGTONUNIVERSITY DI SAINT LOUISE OGGI VIVE A BROOKLYN.HA ESORDITO NEL 2008CON IO NON RICORDOEDITO IN ITALIA DA NERI POZZA. IL SUO ULTIMO ROMANZO È LA TEMPESTA ALLA PORTASEMPRE PER NERI POZZA

U

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 39

Quest’annosarai tu

Santa Claus

loro citoplasma. «Farai Babbo Natale?», mi chiese lei. «Junior?».Risposi alzando le spalle. Avevo scoperto il nascondiglio in cui mia

madre teneva i regali, in fondo all’armadio: uno Scale e Serpenti (ungioco per bambini, ndt) di seconda mano, un’edizione in videocas-setta di Jurassic Park III e un vecchio Optimus Prime (un altro gio-cattolo, ndt) usato non più in grado di ritrasformarsi in camion. L’i-dea di trasportare queste cose nel sacco di velluto rosso fino a quel-l’arbusto in vaso che spacciavamo per albero di Natale era troppo de-primente per prenderla in considerazione.

«Se non ti vestirai da Babbo Natale, come faranno tuo padre e glielfi a trovarti?». Mia madre una volta mi aveva proposto una spie-gazione alternativa per la scomparsa di mio padre. Non era stato uc-ciso, era stato scelto. Un giorno sarebbe venuto, mi avrebbe preso al-legramente fra le braccia e saremmo sfrecciati insieme fra le stelle.

«Sai, mi sono reso conto di una cosa. Se Babbo Natale invecchiaabbastanza da dover andare in pensione, vuol dire che prima o poidovrà anche morire, giusto? E che cosa fanno con i vecchi Babbo Na-tale? Li buttano in una fossa comune da qualche parte?».

«Non essere crudele», disse mia madre. Qualche mese prima l’e-sercito degli Stati Uniti ci aveva spedito la foto di una targa pianta-ta nel suono argilloso dell’Anbar per commemorare quei soldati dicui non erano mai stati ritrovati i resti. («Questa è quella che chia-mano chiusura della pratica», aveva detto mia madre prima di ac-cartocciare la foto e buttarla nella spazzatura).

Il nostro appartamento buio pulsava della luce emanata dal noti-ziario che stavano trasmettendo alla tele. Il Paese era stato messo inginocchio da una tempesta di neve: all’aeroporto LaGuardia i pas-seggeri erano bloccati a terra. «Vogliamo solo tornare a casa in tem-po per Natale», diceva un bambino piccolo con gli occhi fasciati di ros-so. Sul mio lato del divano, singhiozzavo come ero diventato bravis-simo a fare, senza emettere un suono. Aspettai che mia madre si fos-se addormentata per cominciare a incartare i regali.

***«Buon Natale! Oh! Oh! Oh!». Quattro ore e tre cambi di autobus do-

po, era l’una del mattino e svegliavo le famiglie accampate davantialla biglietteria del terminal B dell’aeroporto LaGuardia col clango-re discontinuo della campanella d’ottone di mio padre. Avevo dovu-to strappare le maniche del mio vecchio costume da Babbo Nataleper farci passare quei salsicciotti che mi facevano da dita. Quandomi tiravo giù dalla spalla il sacco di velluto consunto, si apriva la cu-citura sotto l’ascella. La barba di cotone era andata persa anni prima

per un’invasione di muffe nere.«Non puoi essere Babbo Natale», mi informò un bambino lentig-

ginoso di cinque o sei anni. «Sei solo un ragazzino».«Sei adorabile!», disse sua madre. «Un Babbo Natale in carne e os-

sa! Lavorate all’aeroporto?».«Sono un apprendista Babbo Natale».Guardai il bambino scartare una confezione di biscotti al ciocco-

lato Oreo. Sua sorella tirò fuori dalla carta del suo regalo una botti-glietta mezza vuota di Xanax che avevo preso a mia madre. Avrei vo-luto darle un regalo migliore, ma dopo dieci minuti all’aeroporto ave-vo già distribuito quella manciata di regali da quattro soldi che ave-vo, insieme a tutti i cibi confezionati che avevo trovato nella nostradispensa, e ora incitavo bambini e bambine a scartare il nostro tele-comando, un portafogli vuoto, un panetto di burro quasi completa-mente squagliato. Dopo una mezz’oretta, l’improbabile Babbo Na-tale del Terminal B attirò l’attenzione di un agente di polizia che re-cava scritto sulla targhetta “Sergente Lamb”.

«Ehi ragazzo, come ti chiami?», chiese l’agente Lamb.«Babbo Natale, ovvio!». La mia voce a volte precipitava in un poz-

zo così profondo che mi lasciava sorpreso. «Buon Natale!».«È un po’ tardi per andare in giro da solo, non ti sembra?».«Sei stato un bambino molto buono quest’anno», dissi io.Conoscevo bene quell’inquietudine che aveva preso possesso del-

l’agente Lamb. Gli occhi avviliti, le spalle ingobbite dal peso del do-vere. Era un contegno che avevo visto spesso nei miei insegnanti econsulenti scolastici, e normalmente era seguito da una telefonataa mia madre e da una conversazione sussurrata per cercare di capi-re quali accidenti di problemi avessi. Pizzicai la cupola bianca di unforuncolo sulla mia faccia, liberandone la sostanza lattiginosa.Quando infilai la mano nel sacco di velluto e tirai su l’ultimo regaloche avevo incartato, mi sentivo stordito e senza peso, come se la cic-cia stesse scivolandomi via dai fianchi. L’agente rimase di stucco.

«È solo un giocattolo», dissi io, ma la carta si era aperta e si vede-va il metallo nero. Come se volesse dimostrare che qualcuno glieneaveva già regalata una, l’agente Lamb tirò fuori la sua di pistola.

«Ragazzo, su, eh, stai calmo. Parla con me».Sentivo il peso della pistola di mio padre nel pugno. Mi voltai e mi

specchiai nelle finestre scure. Anche senza la barba ero un giovaneBabbo Natale molto convincente. Ma avevo dodici anni ormai e misentivo cinque minuti troppo vecchio per continuare a prendermi ingiro pensando che magari mi avrebbero seppellito anonimamentecon quel titolo.

«Come ti chiami?», chiese di nuovo l’agente Lamb.Non c’erano stelle. La neve continuava a cadere e nessun aereo era

autorizzato a decollare. Ma a volte, perfino adesso, mi sembra di es-sere lì in piedi, aspettando che il nome di mio padre torni da me.

(Traduzione di Fabio Galimberti © 2014 Stefan Merrill Block)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Ormai sono vecchio,rischio di trasformarmi in uno di quei poveracci con la barba finta al centro commerciale”

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 40LA DOMENICA

Spettacoli.

Che cosa fa una rockstar quando scende dal palco? A Correggio per parlare di Italia, Tondelli, Intere della fine di un grande sogno

Natalein casa Liga

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 41

LUCA VALTORTA

CORREGGIO (REGGIO EMILIA)

UELLE FOTO DI GHIRRI FATTE DI NEBBIA e di mistero con quel cielo co-sì grigio e case con giardino dalle porte che si aprono sul nulla.A Correggio alle due del pomeriggio un sole malato filtra gialli-no da nuvole pallide. Corso Mazzini è deserto, tutto sembra co-me sospeso. Stacco. Luciano Ligabue cammina in un panoramadi devastazione. Tutto è distrutto: l’officina, la catena di mon-taggio, il reparto verniciatura. E poi, passando dalla fabbricaagli uffici, il laboratorio, le “risorse umane”, persino la direzio-ne generale con ancora le tende alle finestre. Ogni cosa è rima-sta congelata al momento in cui tutto è finito.

Delocalizzazione, chiusura della piccola e media impresa

d’eccellenza: sono stati anni terribili. Non è solo un videoclip

quello de Il muro del suono, la canzone che apre Mondovisione, il tuo ultimo disco...

«Il fatto è che non ce la facevo più a tacere, per troppi anni mi sono censurato, e così ci so-no almeno due brani saturi di questo stato d’animo in Mondovisione: Il muro del suono e Ilsale della terra. Il videoclip de Il muro del suono, quello della fabbrica abbandonata, conge-lata, l’abbiamo girato nelle Reggiane. Una fabbrica che nei suoi tempi migliori dava da la-vorare a venticinquemila persone. Enormi fabbricati in cui venivano costruiti anche aerei,treni. Sono lì a languire dagli anni Novanta… La canzone verso la fine dice una cosa chiara:“Chi doveva pagare non ha mai pagato”. Oggi la gente paga scelte fatte da altri. E non capi-sce perché il mondo sia andato nella direzione opposta a quella che credevamo possibile».

Qualcuno dirà: cosa ti immischi, lascia stare la politica, continua a fare canzoni d’amore.

«Credo invece di aver sbagliato a darmi dei limiti in precedenza. L’ho fatto perché la gen-te è già molto arrabbiata, ma era inevitabile che le tensioni sociali esplodessero. E comun-que non voglio rassegnarmi alla rassegnazione».

Edmondo Berselli, modenese, sosteneva che il segreto del successo non solo economico

dell’Emilia Romagna fosse la Cultura, quella con la C maiuscola. Aveva ragione?

«Ti dico solo questo. Quando avevo tra i quindici e i vent’anni a Reggio Emilia nascevanole radio libere e tu potevi farne parte: non c’era alcun filtro. I cantautori erano al loro meglioe gli artisti internazionali più importanti, da Dylan a Neil Young, passavano di qui. Qui Be-nigni sollevò Berlinguer alla Festa de l’Unità. Gli ospedali, le scuole, gli asili funzionavano.

ricerca armonica. La donna cannone è unpezzo armonicamente molto complesso. So-lo le grandi canzoni da complesse diventanosemplici all’orecchio della gente».

Altri artisti con cui hai un rapporto parti-

colare?

«Mi ha fatto piacere quando abbiamo fat-to “Italia Loves Emilia” per raccogliere fon-di, fare una versione di Tex molto aspra coni Litfiba e vedere Piero come ai bei tempi. ConJovanotti ci messaggiamo. Però, ecco, c’è sti-ma, c’è rispetto ma non è che ci vediamo tut-ti i giorni, ognuno ha le sue cose da fare».

La musica,e il calcio. Com’è che tifi Inter?

«Perché quando ero bambino stava vin-cendo tutto, io però mi sono beccato poi i qua-rant’anni di buio fino al 2010, un annostraordinario in cui finalmente è tornato avincere: ero commosso. Ancora oggi riesco afarmi guastare l’umore alla domenica. Lo so,è pazzesco, ma non c’è niente da fare».

Giochi ancora?

«No, saranno tredici anni che non giocopiù. Ho chiuso in bruttezza, lo dico con ram-

C’era una grande forza popolare che stavadietro una grande idea: quella che fosse pos-sibile cambiare le cose in meglio. Oggi dire“comunista” sembra una parolaccia. Ma ioresto fermo a Gaber. In Qualcuno era comu-nista, canzone che dovrebbero insegnarenelle scuole, diceva: “Qualcuno era comuni-sta perché sapeva che poteva essere felicesolo se lo erano anche gli altri”. Ecco: io mi so-no formato su quelle parole lì, e oggi non rie-sco a nascondere la mia disillusione».

Tu l’hai conosciuto Berselli, vero?

«Mi aveva fatto un’intervista per l’E-spresso. Mi raccontò che si trovava spessocon gli amici a suonare. Mi fece un appuntosu un accordo di Certe notti perché non glitornava del tutto».

E Tondelli? Anche lui era di Correggio.

«Per parecchi anni ho scritto canzoni trop-po influenzate dai cantautori, canzoni chenon mi appartenevano, brutte canzoni. Poiun giorno esce Altri libertini, un libro straor-dinario. Lì capisco che anche un angolo dipaese poteva diventare così importante dafinire in un libro. Fu un’illuminazione. Eccoquello che dovevo raccontare: le cose cheavevo sotto gli occhi. La mia prima canzoneincisa si intitolava Sogni di rock’n’roll, ed è ilracconto di un mio sabato sera».

Come ci riuscisti?

«Grazie a un altro personaggio straordi-nario, altro emiliano, Pierangelo Bertoli.Non lo conoscevo. Lo cercai sull’elenco: Sas-suolo, Bertoli Pierangelo. Il numero lo feceClaudio Maioli, che poi sarebbe diventato ilmio manager, io mi vergognavo. “C’è unobravo che fa delle canzoni, possiamo venirea fartele sentire?”. Mi disse te brev, sei bra-vo. A quel punto cominciai a crederci».

Un altro di queste parti: Pàvana, Guccini.

«Verso i grandi si provano sentimenti co-me stima e ammirazione, a Guccini si vuoleanche bene».

Hai appena fatto un duetto di quelli veri,

non le solite cose a tavolino con un altro

grande, Francesco De Gregori.

«Avevo dodici, tredici anni quando uscìAlice. È un classico anche nel suono, negli ar-rangiamenti, non puoi rifarla se non stra-volgendola. Francesco ha deciso di usaredue chitarre e con il tempo in tre, come se fos-se un valzer, quindi stravolgendone anchel’idea ritmica. Ha avuto coraggio e sono con-tento che sia andata così bene. De Gregoriviene immediatamente associato ai suoi te-sti ma in realtà nel suo lavoro c’è moltissima

marico. Un giorno vado a Torino a presenta-re un libro, mi chiama Baricco: “So che seiqui. Devi venire a giocare con la Nazionalescrittori, non hai scuse”. Penso: “Non saran-no dei grandi atleti”. E invece: la peggior par-tita della mia vita. Non ho toccato palla equando l’ho toccata l’ho toccata male. Ho ca-pito che era ora di smettere».

Suoni davanti a decine di migliaia di per-

sone: è difficile salire su un palco?

«Quella per me è la parte più bella, piùgioiosa. Come posso spiegare? Lì emergeuna parte di me che mi sorprende. Mi sentoa mio agio, mi sembra di essere tornato a ca-sa, mi fa star bene per giorni e giorni. Fosseper me suonerei tutte le sere».

Perché oggi tra i più giovani nessuno rie-

sce a catalizzare l’attenzione?

«Io sono stato fortunato: nel 1990 ho fir-mato un contratto con una multinazionaleche ha detto “io mi impegno con te con tre al-bum, se non va bene il primo proviamo col se-condo eccetera”. Vuol dire che c’è un inve-stimento a lungo termine. Oggi è impensa-bile, si va avanti di singolo in singolo, non cisono investimenti sulla produzione e quindicome fai a farti conoscere tra le migliaia dicose che escono ogni mese?».

Oggi i tuoi amici sono gli stessi di allora...

«Sì, con uno ci conosciamo da quasi cin-quant’anni. Con altri dalle medie. Abbiamoaffittato una casa in campagna con un bi-liardo e un calciobalilla, ci troviamo a gioca-re a carte e quasi ogni venerdì a cena».

Ma quando scendi dal palco cosa succede?

Non senti un senso di vuoto?

«Per me la cosa difficile è quando finisco iltour, non ho ancora un nuovo progetto da-vanti e gli amici sono tutti al lavoro. E poi perquanto tu abbia esperienza non sai mai se letue canzoni verranno apprezzate perché laricetta non c’è».

Hai cambiato look: capelli grigi senza

preoccuparti dell’iconografia da rockstar

che vi vorrebbe eternamente giovani...

«Mi ero rotto i coglioni di tingermi i capel-li e di sentire gente che mi diceva “ma sai chein quella trasmissione si vedeva, erano unpo’ rossi”. Il culmine è stato quando mi sonopresentato a casa con i capelli giallastri e miamoglie è quasi svenuta. Lì ho detto basta. Co-munque giuro: non lo facevo per vanità. So-lo per una sorta di senso del dovere nei con-fronti del rock».

“È un Natale molto duro, sembra vuoto

dentro”, dice un’altra canzone del di-

sco…

«Quella canzone parla di un fatto perso-nale ma comunque sì, la lettura si può allar-gare, non c’è dubbio. Le feste però sono taliproprio perché possono aiutare, anche seper un breve periodo, a cambiare un po’ l’at-mosfera. Ben sapendo che la soluzione ai pro-blemi non passa mai di lì».

È UN PERIODO MOLTO DIFFICILE. IN PASSATO MI SONO CENSURATO PERCHÉ PENSAVO CHE LA GENTE FOSSE GIÀ TROPPO ARRABBIATA

POI HO DECISO CHE ERA VERAMENTE TROPPO. IL MONDONON È ANDATO COME SPERAVAMO E LA FORBICE TRA CHI HA TUTTO E CHI NON HA NIENTE INVECE DI STRINGERSI SI È ALLARGATA

PER ANNI HO SCRITTO BRUTTE CANZONI CHE NON MI APPARTENEVANO. POI UN GIORNO ESCE“ALTRI LIBERTINI”. STRAORDINARIO. LÌ CAPISCO

CHE ANCHE UN ANGOLO DI PAESE POTEVA DIVENTARECOSÌ IMPORTANTE DA FINIRE IN UN LIBRO. FU UN’ILLUMINAZIONE: ECCO QUELLO CHE DOVEVORACCONTARE, LE COSE CHE AVEVO SOTTO GLI OCCHI

GLI INIZI

SOPRA: IL PRIMO CONCERTO DI LUCIANO LIGABUE A UNA FESTADELL’UNITÀ A CORREGGIO (1981).SOTTO: UNO DEI PRIMI DEMO (1987)CON INEDITO: “ORAZERO”. IN BASSOCONCERTO ALL’ARENA DI VERONA(2013)

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SUL SITO

OGGI SU REPUBBLICA.IT GLI AUGURI DI LIGABUE AI NOSTRI LETTORI. QUI SOPRALA COPERTINA DI “MONDOVISIONE”. A DESTRA: LE DATE DI UNO DEI PRIMI TOUR

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 42LA DOMENICA

Next.

RICCARDO STAGLIANÒ

NA TRAPPOLA PER TOPI GENTILE, CHE CATTURA E NON UCCIDE. Una tenda che pesa mezzo chilo esi monta da sola in tre minuti. Un argano a mano capace di spostare tonnellate, pochimillimetri alla volta. Una parte del catalogo indispensabile di Kevin Kelly l’avrebbe po-tuto sognare Henry David Thoreau, quello della mitologia tutta americana sulla vita tra i bo-schi, da Walden a Into the Wild. Il futuro sembra aver fatto un giro completo e essere torna-to dalle parti del passato. Il presente è digitale, sembra dire il fondatore di Wired e impa-reggiabile guru tecnologico, ma è meglio attrezzarsi a un domani analogico. Non si sa mai.Per questo ha selezionato millecinquecento oggetti dalla lista degli oltre quattromila che dadieci anni segnala dal suo blog omonimo e ha deciso di farne un librone. Cool Tools si chia-ma, “strumenti fichi”, e ha per sottotitolo “Un catalogo di possibilità”. Perché per essere coolun oggetto non deve solo funzionare bene, meglio di tutti quegli altri che competono con luinello stesso settore merceologico, possibilmente al prezzo più basso, ma anche aprire op-portunità creative che prima ci erano precluse. Poi, ovviamente, c’è un ampia scelta di at-trezzi elettronici che hanno superato lo stesso feroce darwinismo. Ma il curatore ne ha mes-si meno perché invecchiano più in fretta, e lui voleva confezionare un canone duraturo.

Dietro l’aspetto di un ipertrofico campionario Postal Market — stampato in Cina, siste-mato editorialmente da freelance trovati sulla piattaforma elance.com e illustrato da desi-

I diecioggetti più“cool”scelti eprovatida Kevin Kelly(il fondatore di Wired)Perché il futuro qualche volta è adesso

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 43

no esperienze: «Sfogliando quelle paginonee zigzagando con gli occhi in quella selva dicose diverse ti fa fare associazioni». Associa-zioni che la tunnel vision del web, quella pun-tuale, da link a link, non incoraggia allo stes-so modo.

L’idea originaria di Kelly era di conse-gnare ai suoi tre figli una specie di ereditàpragmatico-sapienziale. Aveva provato afar entrare in una scatola di plastica traspa-rente, quaranta centimetri per lato, gli at-trezzi indispensabili di cui potrebbero averavuto bisogno nella loro vita adulta. Ma siera reso conto che non ci stavano. Da lì l’ideadel catalogo. Ma a quel punto, visto che erail best of di dieci anni di segnalazioni di varifidati collaboratori e di lettori che volonta-riamente scrivevano recensioni sul blog,perché non metterlo a disposizione anche di

gner ingaggiati su 99designs.com — c’è unpensiero assai più sofisticato e paradossal-mente anti-consumista. Non c’è neanche bi-sogno di comprarli questi attrezzi, spiegaKelly su YouTube, ma il solo sapere che esi-stono moltiplica le nostre potenzialità (se ungiorno vorremo spostare un furgone da soli,sappiamo che potremo farlo con il giusto ar-gano). Pubblicato un anno fa, con quaranta-duemila copie andate via come il pane, il li-bro resta a oggi il più venduto di Amazon nel-la sezione cataloghi e liste. Un evento dop-piamente controintuitivo dal momento chea) le segnalazioni esistevano già gratis onli-ne, perché uno avrebbe dovuto spendere39,99 contribuendo alla deforestazione? b)i lettori di Kelly sono più tipi da web o ebook.Eppure, come suggerisce lo stesso curatore,il web offre comodità mentre i libri fornisco-

un pubblico più ampio? Il modello da segui-re, anche esteticamente, è stato The WholeEarth Catalog (quello reso celebre dal com-miato “Stay Hungry Stay Foolish”, nella fo-ga della santificazione erroneamente attri-buito a Steve Jobs). Bibbia della controcul-tura anni Sessanta, voleva fornire agli hob-bisti dell’epoca attrezzi e spunti per (tra l’al-tro) farsi computer da soli, programmarli ehackerarli a piacere (il solito Jobs, fan sfe-gatato, l’aveva definito un «Google in for-mato tascabile»). Kelly l’aveva diretto perqualche anno e oggi ammette che Cool Toolsne è uno «spudorato plagio, sia nello spiritoche nello stile». Adesso consiglia il miglioradattatore per prese elettriche che si possaimmaginare (testato da anni anche dal vo-stro cronista); un cavo Usb con tre diverseuscite, per massimizzarne l’utilità; un cari-

catore per iPhone che diventa anche unamemoria esterna dove facilmente imma-gazzinare film. Spirito del tempo. Ma anco-ra di più presenta una serie di attrezzi inau-diti che di colpo vi renderanno possibili im-prese che consideravate fuori portata. C’èanche tutto online, certo. O sui siti TheWi-recutter o TheSweethome, che lo stessoKelly consiglia. Ma il librone è una summaunica. In un’intervista del ‘97 l’editoreArthur Ochs Sulzberger liquidò così la com-petizione web-carta: «Non state comprandonotizie, quando comprate il New York Ti-mes, ma il suo giudizio». Lo stesso vale perquesto zibaldone cartaceo assemblato daKelly. Di recensioni sul web ce ne sono a pac-chi, gratis. Ma queste sono quelle giuste.Perciò vale la pena pagare.

1. L'OUTSOURCING

NON CE LA FATE A FARE TUTTO DA SOLI?DELEGATE A LEGIONI DI FREELANCE IN TUTTO IL MONDO, PRONTI AD AIUTARVI (elance.com)

2. IL REGISTRATORE

UN AURICOLARE PER REGISTRARE LE TELEFONATE SUL CELLULARE: BASTACOLLEGARE IL FILO A UN REGISTRATORE(kk.org/cooltools/archives/4863)

3. IL CONVERTITORE

VORRESTE VEDERE SULL’IPAD IL FILM CHE AVETE SUL COMPUTER O LEGGERE IL PDF SULL’EBOOK READER? MA PRIMAVANNO CONVERTITI. QUESTO SITOCONVERTE QUASI TUTTO (zamzar.com)

4. LA BILANCIA

IL PESO È COMUNICATO, IN AUTOMATICOVIA WIFI, A UN SITO DOVE È POSSIBILE

VISUALIZZARE L’ANDAMENTO DEI PROPRI(EVENTUALI) PROGRESSI(kk.org/cooltools/archives/5310)

5. IL CAVO

L’IPHONE HA UN CARICATORE,LA MACCHINA FOTOGRAFICA UN ALTRO, IL LETTORE DI EBOOK UN ALTRO ANCORA. UN CAVO COME QUESTO LI CARICA TUTTI(kk.org/cooltools/archives/135787)

6. L’ADATTATORE

CERTO, NE SONO PIENI GLI AEROPORTI. MA QUESTO È IL PIÙ GLOBALE E SOTTILE DI TUTTI: NON VI ACCORGERETE NEPPUREDI AVERLO IN VALIGIA(kk.org/cooltools/archives/1290)

7. LA CUSTODIA

VOLETE VEDERE SULL’IPHONE I FILM CHE AVETE SUL PC? USATE QUESTA“CUSTODIA” COME UN DISCO ESTERNO(kk.org/cooltools/archives/22642)

8. IL SUPPORTO

VI PIACEREBBE USARE LO SMARTPHONE COME NAVIGATORE PER LA VOSTRABICICLETTA? QUESTO SUPPORTO VI CONSENTIRÀ DI FISSARLO IN MODO CHE NON CADA(kk.org/cooltools/archives/4729)

9. LA SPILLATRICE

LA PROMESSA DELLA PAPERLESS SOCIETYNON È STATA MANTENUTA. TANTO VALEORGANIZZARE TUTTA LA CARTA CHE CI OPPRIME LEGANDO I FOGLI SENZA BISOGNO DI SPILLE METALLICHE(kk.org/cooltools/archives/3920)

10. LA CHIAVE

È UN TAGLIERINO, UNA SEGHETTA, BEN TRE TIPI DI CACCIAVITE, UN APRIBOTTIGLIE. E SEMBRA UNA CHIAVE,COSÌ PASSA I CONTROLLI DEL BAGAGLIO A MANO(kk.org/cooltools/archives/29)

UN “COOL TOOL”,UN ATTREZZOGIUSTO,

È QUALSIASI COSA UTILECHE AUMENTIL’APPRENDIMENTO.CHE DIA POTEREAGLI INDIVIDUICHE SIA IL MIGLIORE.O IL PIÙ ECONOMICO.O L’UNICOPER FAR FUNZIONARECIÒ CHE SI HA DA FARE

KEVIN KELLYAUTORE DI “COOL TOOLS:

A CATALOG OF POSSIBILITIES”

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DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 44LA DOMENICA

Benvenuti al Sud

2DICE

Ernesto Iaccarino. A pranzominestra maritata e struffoli

ERNESTO IACCARINO

SANT’AGATA SUI DUE GOLFI (NAPOLI)

SSERE IL CUOCO DI UNA FAMIGLIA di ristoratori il giorno di Natale ti regala una solacertezza: cucinerai da solo. Scherzo: non c’è cosa più bella che cucinare per ipropri cari, io che cucino per tutti durante il resto dell’anno... Però, questo è ilfatto. Ognuno si muove nei rispettivi ambiti: mamma Livia e mio fratello Ma-rio preparano tavola e si occupano del servizio, proprio come al ristorante, miopadre Alfonso si occupa degli approvvigionamenti da Punta Campanella. Glialtri, cognati, nipoti (siamo in tutto una quindicina) se la godono e basta. Il

tutto, dentro la scuola di cucina che sta di fronte al ristorante. Camino acceso, bottiglie giu-ste, una bellezza. Come molti locali della costiera, anche il nostro chiude ai primi di novem-bre e riapre a metà marzo. Se Natale è l’unico giorno in cui siamo tutti uniti, questo avvienesolo da qualche anno, da quando sono nati i figli di Mario e Emanuela. Prima lavoravamo, al-ternandoci tutto il tempo della chiusura nelle altre sedi del “Don Alfonso” da Macao a Mar-rakech. Continuiamo a farlo: ma Natale è stato tolto dall’agenda. Per merito dei nipotini, locelebriamo a Sant’Agata. Per prima cosa, accendiamo il camino. Appuntamento all’una,brindisi con una magnum di Franciacorta, seguito da un Fiano importante. Niente stuzzi-chini, il nostro antipasto è la minestra maritata! Il pranzo è supertradizionale, pur se alleg-gerito rispetto alle ricette storiche. Infine la tavola diventa un tripudio di struffoli, zeppolee cassata napoletana. Per ultimi, sgranocchiamo l’interno dei follarielli, i segnaposto chenella tradizione della penisola sorrentina sono beneauguranti. Verso le cinque, allegri e sa-tolli, ci dedichiamo alla frutta secca, sorseggiando una grappa invecchiata morbida. Tra unanoce di Sorrento e un torroncino, facciamo la scaletta delle partenze. Il 26, infatti, cominciala diaspora che ci porterà a festeggiare Capodanno lavorando ai quattro angoli del mondo.Torneremo in tempo per le zeppoline di San Giuseppe.

LO CHEF

PRIMOGENITO DI UNA FAMIGLIA DI RISTORATORINAPOLETANI,ERNESTO IACCARINO È IL CUOCOBISTELLATO DEL “DON ALFONSO”,LOCALE SIMBOLODELL’ALTA CUCINACAMPANA

Sapori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

E

CASA IACCARINO(Sant’Agata sui due Golfi)

Uovo al tartufoCotto a bassa temperatura

Il bianco viene sostituito da spuma di mozzarella di bufala

Minestra maritataFoglie invernali cotte nel brodo sgrassato di maiale

(cotica, piedini, salsiccia sgrassata)

Spaghetti con le vongoleMolluschi scaltriti, pasta bollita parzialmente e rifinita in padella

con prezzemolo tritato

StrascinatiCannelloni farciti con carne rossa, soffritto, vino,

pane ammollato nel latte. Sopra, salsa di pomodoro

Capitone Rivisitazione della vigilia: cottura alla griglia

con riduzione di aceto balsamico e foglie di mirto

Cappone al fornoIntero nel forno con rosmarino e alloro Dopo un’ora e mezza, dentro le patate

StruffoliOriginari della Magna Grecia. Dopo la frittura, miele di agrumi

Sopra, diavoletti e canditi

ZeppoleFarina, acqua, sale, poco lievito, vino bianco, uvetta e pinoli

Fritti e rotolati nello zucchero semolato

CassataVersione napoletana del dolce-simbolo del regno delle Due Sicilie,

con la ricotta di bufala (e non di pecora)

FollarielliFagottini di foglie di limone riccamente farciti: uva sultanina,

ficchi secchi, mandorle, finocchietto

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CASA CEREA(Bergamo)

Insalata russaLa tribù dei figli, grandi e piccini, la impone ogni anno

Maionese montata a mano, naturalmente

OstricheLe preferite di Chicco. Possibilmente quelle sapide e carnose,

in arrivo dall’Atlantico francese

Cocktail di scampiIl piatto preferito da mamma Bruna

I crostacei arrivano da Liguria e Sicilia, la cottura è al vapore

Patata col cavialeCotta nella stagnola, servita con una crema di panna, mascarpone,

erba cipollina e caviale asetra

Porri alla braceLa novità di quest’anno. Dopo la cottura, si estrae il cuore,

lo si affetta insieme a ostriche sbollentate

Raviolini di taleggioPer il ripieno, farina di fioretto e formaggio d’alpeggio

Bolliti nel brodo, conditi con burro e cannella

Risotto al tartufoUn classico della casa. Sfumato con Champagne,

tirato con brodo leggero. Sopra, lamelle a piovere

Tacchinella ripienaDentro, castagne, salame sbriciolato, mandorle e i suoi fegatini

Intorno, polenta, cipolline e patate

Millefoglie di meleStrati di fette sottili e zucchero Muscovado

Dopo il forno, crumble di amaretti e granita di mela verde

PanettoneOrgoglio della pasticceria del ristorante, canditi compresi

Niente formati maxi, in tavola quello da un chilo

la Repubblica

DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 45

Benvenuti al NordChicco Cerea. La nostra cenascampi, tartufo e panettone

5MBRE

CHICCO CEREA

BERGAMO

ON MI RICORDO DI AVERE mai festeggiato il Natale con i tempi delle altre perso-ne. La cena della vigilia non esiste, il pranzo nemmeno. O meglio, conden-siamo tutto il 25 sera: quello è il Natale della nostra famiglia. Siamo tanti:mamma Bruna, noi cinque figli con rispettivi mariti e mogli, più un bel po’di marmocchi di tutte le età. Alla fine, quando ci sediamo a tavola, siamo ven-tiquattro... Figli a parte (ma il mio Vittorio già comincia a impratichirsi coifornelli) lavoriamo tutti al ristorante, tranne mia sorella Barbara, che ge-

stisce la pasticceria Cavour in città alta, ma è comunque collegata grazie ai dolci: suo mari-to Simone dirige il laboratorio che sforna panettoni e pasticcini per entrambi i locali. Tra sa-la, cucina, catering e cantina, ognuno ha un compito specifico. I nostri genitori hanno pre-teso che studiassimo, ma dopo il liceo o un pezzo di università, ci siamo ritrovati tutti con lastessa passione. E quindi, a Natale si lavora. Il servizio del pranzo finisce verso le quattro dipomeriggio. Ci scambiamo gli auguri con i ragazzi della brigata e della sala, poi ognuno deifratelli va a casa dei rispettivi suoceri e ci si rivede tutti al ristorante alle 20.30. Finché c’èstato mio padre Vittorio, ci scambiavamo i regali. Quand’è mancato, abbiamo deciso di nonfarlo più. L’unica a cui continuiamo a fare un pensiero è la Bruna, e lei ai nipotini. Il persona-le ogni anno ci dedica un allestimento speciale per la tavola. Una volta, abbiamo trovato untrenino che girava da un capo all’altro, un’altra i piatti personalizzati con i nostri nomi. Poi,finalmente si mangia. Ognuno di noi si toglie lo sfizio dell’anno: foie gras, cocktail di scam-pi, tacchinella ripiena... Utilizziamo anche gli avanzi del pranzo. Chiediamo ai fornitori dimandarci un buon tartufo, una magnum di Champagne, una scatola di caviale. E poi i cioc-colatini di Gobino, immancabili. Dopo, tocca ai nipotini: poesie, canzoncine, siparietti. Im-possibile alzarsi da tavola prima dell’una e mezza. Poi però, tutti a nanna, che il 26 si lavora.

LO CHEF

PRIMOGENITO DI UNA FAMIGLIA DI RISTORATORIBERGAMASCHI,CHICCO CEREA È IL CUOCOTRISTELLATO DI “DA VITTORIO”,FUSIONE DI TRADIZIONE E MODERNITÀ

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pagina a cura di LICIA GRANELLO

Page 14: la domenica - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2014/21122014.pdf · «Venimmo ad abitare qui pochi anni dopo esserci trasferiti a Losanna dagli Stati Uniti», racconta

la Repubblica

DOMENICA 21 DICEMBRE 2014 46LA DOMENICA

Quasi novant’anni d’età, settanta dei quali passati davanti a una ci-

nepresa o sopra a un palcoscenico, almeno tre centinaia di perso-

naggi interpretati, una decina i grandi registi con cui ha lavorato,

tre mogli, tre figli. Una vita piena, e ora? “Ora è finita. Teatro finito,

cinema finito. No, non sono io che non ne ho più voglia, se potessi

continuerei. Sono le assicurazioni. È troppo pericoloso assicurare

un vecchio. E se si ammala du-

rante le riprese? Così scrivo. Che

cosa esattamente ancora non lo

so. Sarà un romanzo? Sarà una

farsa? Lo vedremo. Sarà inutile?

Lo strapperemo”

MichelPiccoliLAURA PUTTI

PARIGI

RRIVERÀ? NONARRIVERÀ? Jane Birkin non lo sa. Michel Piccoli avreb-be già dovuto essere seduto qui, nella grande cucina di casa sua.Tutti e tre avremmo dovuto anche parlare dello spettacolo Gain-sbourg poète majeur— letture di canzoni come poesie, dal 28 feb-braio al primo marzo 2015 in scena a Solomeo nel teatro di Bru-

nello Cucinelli — ma non si è ancora visto. «Mi ha chiamata ieri, gliel’ho ri-cordato, speriamo bene». Finalmente suonano alla porta e il meraviglioso si-gnore, il più leggendario degli attori, l’ultimo testimone di un cinema euro-peo che non esiste più, fa il suo ingresso in casa Birkin.

È arrivato a piedi, e con questo freddo e a quasi novant’anni (ottantanovetra una settimana), attraversare due ponti — Birkin abita sulla rive gauche,lui sulla droite, tra loro c’è un’isola sopra la Senna — non è impresa facile. Tut-to bene? «Perché mai dovrebbe andare male?» risponde sfilandosi l’elegan-tissimo trench. Deve avere attraversato i ponti con classe, conleggerezza, con calma, proprio come in settant’anni di carrieraha attraversato almeno tre centinaia di personaggi. Di lui, og-gi, fa ancora impressione l’imponenza. Da un uomo così non cisi aspetterebbe discrezione. Invece Piccoli è sempre stato ungrande timido, un pudico, un eterno meravigliato. Un uomosegreto, perfetto per registi grotteschi e surreali — da Ferre-ri a Buñuel — ai quali quel suo candore apparente ha resogrande servizio. «Non sono timido», dice, «sono impressio-nato. Quando parlo con qualcuno che mi sembra eccezio-nale, e può accadere, sono l’uomo più modesto possibile.E molto attento». Considerando che la sua lunga carrieraè stata piena di incontri con uomini straordinari, deve

aver passato una vita in silenzio. «No, non è vero, ho anche molto par-lato, ho cercato di andare d’accordo con tutti».

Del passato è difficile chiedere. I ricordi sembrano troppo lonta-ni. Nel momento in cui parla Piccoli è lucidissimo, poi fa una pausa echiede: «Che cosa stavo dicendo?», come se la frase appena detta sicancellasse all’istante dalla sua memoria. «È molto complicato, nel-la mia testa è molto complicato» ripete spesso. E d’altra parte, per-ché mai chiedergli de Il disprezzo di Godard, accanto a Brigitte Bar-dot, che nel 1963 lo consacrò tra i grandi? Perché farlo parlare dei seifilm — da Bella di giorno a Il fascino discreto della borghesia, fino a

Quell’oscuro oggetto del desiderio — girati con Buñuel? Dei tanti con Ferre-ri, La grande abbuffata inclusa, e anche Dillinger è morto fondamentale nel-la sua carriera? E di Claude Sautet del quale negli anni Settanta è stato l’ac-teur fétiche? Del Salto nel vuoto di Bellocchio che nell’80 gli valse l’unica Pal-ma, quella al migliore attore, a Cannes? Di Oliveira, Malle, Chahine, Ruiz, An-ghelopulos, Resnais? Di tutti loro sappiamo già molto. Questa sera Piccoli se-gue percorsi mentali propri, recita a soggetto in quel modo non attoriale chelo ha reso il gigante che è.

«Non vivo giorno per giorno, me ne frego. Non so quando morirò, non soperché ho vissuto. Anzi, lo so, ma non lo dirò. Ho lavorato tutta la vita e lavo-rando non ho mai saputo che anno fosse. Capisce? Quando lavoro dimenticole date, il tempo non mi interessa. È così da sempre». Ma, anche se nel 2012ha girato tre film (Resnais, Ruiz, Carax) e l’anno scorso un altro (del giova-ne belga Thomas de Thier), ricorda il suo ultimo grande ruolo in HabemusPapam di Nanni Moretti? «Ho interpretato tutti i ruoli allo stesso modo, unovale l’altro. Non sono mai stato totalmente un personaggio, ho sempre reci-tato con umorismo e con una certa distanza. Quando un attore fa l’attore nonmi piace. Quando l’attore è troppo serio, troppo solenne, diventa presun-tuoso. Insopportabile». Recita con umorismo anche un ruolo tragico? «C’èumorismo in tutte le opere, anche nelle tragedie, vous comprenez?». Anchenei suoi ultimi grandi ruoli teatrali? Nel Re Lear (2006-2007)? Nel vecchioMinetti (2009) seduto sulla sua valigia in una notte di Capodanno, aspet-tando invano un direttore di teatro e un ultimo ruolo? «Che cosa fa di tragicoMinetti?». Muore. «E allora?». E allora... «Il registro di un attore cambia tut-to il tempo, non resta sempre tragico o comico. Con registi contorti comeBuñuel e Ferreri si rischiava di essere parodie d’attori. Non ci sono regole perrecitare, ma io ho praticato la distanza, l’umorismo, la follia e anche una cer-ta severità. In tutti i ruoli, in cinema e in teatro, è la replica dell’altro che horispettato. In scena o sul set siamo sempre stati più di tre: l’autore, il regista,io e il mio o la mia partner. L’attore che pensa di essere solo, di essere l’uni-co, può essere bravissimo, ma per me non lo è. Ci sono attori talmente attori,talmente meravigliosi, che fanno schifo. Puoi dire (e imposta la voce, ndr)“Vado ancora a prendermi del dolce cara, ne vuoi un po’?”, e allora che fai?Ridi!». Tutti i registi hanno capito il suo umorismo e la sua follia? «Se non locapivano cambiavo film». Era facile con Ferreri? «Molto facile, meraviglio-samente facile». E con Sautet? «Era difficile per lui. Sautet era sempre ango-sciato. Diceva: e adesso come faccio? Difficile lavorare con un regista che nonè sicuro di come fare». Hitchcock? Difficile? «Con lui ho fatto un solo film, manon ne ricordo il titolo (Topaz, 1969, ndr) credo che sia stato uno dei menoriusciti». Oliveira? «Talmente meraviglioso da non risultare mai difficile. Ecomunque alle volte i registi difficili sono così intelligenti che capisci co-munque quello che devi fare».

Una vita piena di teatro e di cinema, di vita vera — con tre mogli: l’attriceEleonore Hirt madre di sua figlia Anne-Cordelia, poi Juliette Greco dal ‘66 al‘77 e infine la sceneggiatrice Ludivine Clerc con la quale ha adottato Missiae Inord — e anche di impegno politico. Ancora oggi Piccoli fa campagna peri socialisti, per la Siria, contro il Front National e per Amnesty. In una delle

sue autobiografie Greco dice che il vostro matrimonio finì pernoia. Si sente un uomo noioso, signor Piccoli? «Era lei che si an-noiava, ma non credo che mi abbia sempre trovato noioso. Co-munque se ne andò lei. Mi lasciò. Era tanto tempo fa, ma me loricordo ancora». È bello avere una vita lunga? «È fondamentale.

Le persone, più o meno meravigliose, che ho conosciuto eche sono morte giovani... è stato un errore. Se muori

molto vecchio, come me, e in buona salute, comeme, allora è perfetto». Che cosa vorrebbe ancorarecitare in teatro? «Adesso?». Ci pensa un po’, staper dire qualcosa. Si ferma. «No, comunque è fi-nita. Capisce? Teatro finito, cinema finito». Nonne ha più voglia? «Non sono io, sono le assicu-razioni che non hanno più voglia. È pericolosoassicurare un attore vecchio. Potrebbe mori-re. E se si ammala durante le riprese? Un regi-sta può anche lavorare da vecchio. Oliveira hapiù di cent’anni, ma se si ammala c’è semprel’aiuto regista che continuerà il suo lavoro». E

che cosa fa un attore se non recita? «Può acca-dere che scriva». Un romanzo? «Non lo so ancora,

lo sto scrivendo. Sarà un romanzo? Una farsa? Saràinutile? Allora lo strapperemo». Triste senza la sce-na? «Non sono triste. È così. È un mestiere moltodifficile, ma sono sempre stato felice di farlo. Hoavuto la fortuna di recitare talmente tanto, ho tal-mente lavorato... certo se potessi continuare lo fa-rei, ma non posso. È finita, e basta così». Lo spet-tacolo su Gainsbourg, allora? «Dura poco». Vera-mente vorrebbero poi farne una tournée nel2015. «Troveranno qualcun altro».

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FU LEI, JULIETTE GRECO, AD ANDARSENE.FORSE SI ANNOIAVA, ANCHE SE NON CREDOCHE MI ABBIA SEMPRE TROVATO NOIOSO.RESTA IL FATTO CHE MI LASCIÒ. FU TANTOTEMPO FA, MA ME LO RICORDO ANCORA

AVERE UNA VITA LUNGA

È FONDAMENTALEQUANDO

UN GIOVANE MUORE È UN ERRORE.

SE MUORIMOLTO VECCHIO,

COME ME, E IN BUONA SALUTE,

COME ME, ALLORA È PERFETTO

L’incontro.

A

NON CI SONO REGOLE PER RECITARE. HO PRATICATOLA DISTANZA, L’UMORISMO, LA FOLLIA E ANCHE UNACERTA SEVERITÀ. QUANDO UN ATTORE FA L’ATTOREDIVENTA PRESUNTUOSO, INSOPPORTABILE. CI SONOATTORI TALMENTE ATTORI CHE FANNO SCHIFO