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LA FASE UMAMA ARCAICA ED ANTICA
INDICE
PASSAGGIO DAL TERZIARIO AL QUATERNARIO
LA FAUNA E LA FLORA DEL PLEISTOCENE.
IL PALEOLITICO E LA PRESENZA DELL’HOMO
EVOLUZIONE BIOLOGICA E TRASMISSIONE CULTURALE
SI CREANO NUOVE RELAZIONI FRA GLI OGGETTI.
LA PESCA
LA CACCIA
L’UTILIZZAZIONE DEL FUOCO
CULTURA DOMESTICA
L’ATTIVITÀ CONOMICA DEL PALEOLITICO
LIMITI DI TALE ECONOMIA
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PASSAGGIO DAL TERZIARIO AL QUATERNARIO.
Alla fine del Pliocene (ultimo periodo dell'era cenozoica o Terziaria) compaiono in
Africa i primi resti scheletrici riferibili al genere Homo e le prime industrie litiche. Il
passaggio dal Terziario al Quaternario, cioè dal Pliocene al Pleistocene è stato fissato,
dagli esperti secondo criteri diversi, che portano a risultati divergenti (vedi figura
accanto).
Quaternario è un termine che si usa per definire il periodo geologico più recente,
quello in cui viviamo. Inizia alla fine del Pliocene, l'ultima epoca geologica del Neogene,
2,580 milioni di anni fa (Ma).
ERA PERIODO EPOCA ETA'
QUATERNARIA
O
NEOZOICA
PLEISTOCENE
O
PALEOLITICO
INFERIORE GELASIANO
CALABRIANO
2.000.000 / 1.806.000
1.806.000 / 781.000
MEDIO IONIANO
781.000 / 126.000
SUPERIORE TARANTIANO
126.000 / 11.700
OLOCENE
MESOLITICO 11.700 / 7.500
NEOLITICO 7.500 / 4.500
CALCOLITICO
o
ETA' DEL RAME
4.500 / 3.000
ENEOLITICO
o
ETA' DEL BRONZO
3.000 / 1.200
ETA' DEL FERRO 1.200 a.C. fino al XVIII° sec. d. C.
Il Quaternario è diviso in due periodi: il Pleistocene che significa “il più recente” (che
ha occupato quasi tutta l’era), e l’Olocene, o “del tutto recente” (che occupa solo gli
ultimi 11.000 anni dell’era ed è ancora in corso).
Nel Pleistocene si collocano le tappe più importanti dell'evoluzione del genere umano in
specie diverse e comincia la manipolazione e la lavorazione della pietra. Il Pleistocene
(che in genere si fa coincidere con il Paleolitico) a sua volta è suddiviso in:
Pleistocene Inferiore (2.000.000 -781.000 anni è costituito dal Gelasiano e dal
Calabriano – vedi figura precedente), compaiono le specie umane più antiche
(Australopitechi).
Pleistocene Medio (781.000 - 126.000 anni denominato Ioniano), caratterizzato
dal genere Homo.
Pleistocene Superiore (126.000 - 10.000 anni, denominato Tarantiano), arriva
l'Homo Sapiens.
TORNA
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LA FAUNA E LA FLORA DEL PLEISTOCENE.
Attraverso lo studio delle rocce sedimentarie e dei fossili è possibile ricostruire i
paleo ambienti di un determinato intervallo temporale, e quindi la distribuzione delle
terre emerse, dei mari epicontinentali, dei bacini oceanici, della flora e della fauna.
Le fasi glaciali ed interglaciali si riconoscono facilmente in uno strato geologico
sedimentario, esse sono contrassegnate dalla presenza dei fossili di forme di vita
marine tipicamente adattate a climi caldi o freddi.
L’alternanza di periodi glaciali e interglaciali ebbe dunque un notevole effetto sui
mutamenti della vegetazione e sulla successione delle faune. Fenomeni evolutivi si sono
manifestati, mediante l’apparizione, lo sviluppo fino alla sparizione di un gran numero
di specie.
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LA FAUNA.
I livelli corrispondenti ai periodi freddi sono riconoscibili dalla presenza di molluschi
bivalvi come Arctica islandica, Mya truncata e
gasteropodi come Buccinum undatum (vedi foto a
destra); mentre i periodi più caldi sono
caratterizzati dalla presenza di organismi di
mare più caldo, come per esempio i molluschi
gasteropodi
Strombus
bubonius (foto a sinistra) e
Conus guinaicus (foto a destra)
ed il bivalve Mytilus
senegalensis (attualmente forme
simili si ritrovano in vita lungo le
coste del Senegal).
Dal punto di vista della paleontologia dei mammiferi,
possiamo suddividere il Quaternario in più momenti
caratterizzati da associazioni faunistiche diverse.
FAUNE FREDDE.
Durante l’ultima glaciazione (Würm), nella
Pianura Padana, dove prevaleva l’ambiente a
steppa-taiga, vivevano il mammut (Mammuthus
primigenius), il rinoceronte lanoso (Coelodonta
antiquitatis) (foto sotto),
il bisonte delle steppe (Bison priscus), il megacero o cervo gigante (Megaloceros
giganteus), il cavallo (Equus ferus), l’alce (Alces alces) e il castoro (Castor fiber); tra i
carnivori c’erano il lupo (Canis lupus) e l’orso (Ursus arctos). Successivamente,
instauratosi il clima temperato attuale, scomparvero molte specie che avevano
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caratterizzato l’ultimo periodo freddo e ad esse se ne sostituirono altre quali il cervo
nobile (Cervus elaphus), il capriolo (Capreolus capreolus), il cinghiale (Sus scrofa) che
ancora oggi vivono in Italia.
FAUNE CALDE.
Nelle zone non soggette al fenomeno glaciale, nei periodi interglaciali si verificarono
aumenti della piovosità, che modificarono,
una parte della regione desertica africana,
la quale venne ricoperta da distese erbose
e piante di tipo subtropicale; indizi di un
clima più umido durante le glaciazioni
quaternarie sono stati riscontrati anche
nel Messico, nel deserto sudafricano,
nell'Asia centrale. Queste variazioni
climatiche causarono notevoli spostamenti
delle flore e delle faune. Durante i periodi
interglaciali le zone botaniche equatoriali
si spinsero verso i poli ed elementi della
vegetazione subtropicale giunsero sino alle Alpi, mentre una fauna calda (elefanti,
ippopotami,
tigri, iene)
arrivò sino
nella regione
del Norfolk
(contea
dell’Inghilterra orientale).
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LA FLORA.
La vegetazione alpina, essenzialmente priva d’alberi, era rappresentata dalla tundra o
dalla steppa. Nel bacino del Mediterraneo, dove si aveva una maggiore piovosità, la
foresta di piante resistenti al freddo (principalmente il larice e il pino silvestre)
raggiungeva il piede delle Alpi, fino alle immediate vicinanze dei ghiacciai.
L’Italia centromeridionale possedeva un clima più mite ed era coperta da boschi di
latifoglie, soprattutto querceti. Nella Pianura Padana predominava un paesaggio a
steppa-taiga con formazioni erbacee e graminacee: Artemisia sp., Compositae e
Chenopodiaceae. Erano presenti, sebbene limitatamente, alberi come: pini, betulla
nana e ontano verde.
Durante i periodi interglaciali del Pleistocene, prevalsero le formazioni forestali;
tuttavia le successive ondate glaciali portarono ad un notevole impoverimento della
flora europea con la scomparsa di molte specie arboree appartenenti ai generi
Zelkova, Carya, Pterocaria, Tsuga, e alle specie di tipo antico dei generi Castanea,
Pinus e Abies.
FINE
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IL PALEOLITICO E LA PRESENZA DELL’HOMO
Spesso si fa confusione fra: Pleistocene e Paleolitico. Entrambi appartengono all’era
Quaternaria, ciò che li contraddistingue è l’oggetto della materia di cui si interessano.
Il Paleolitico, che coincide con la
Preistoria, s’interessa della
comparsa del genere Homo della
sua cronologia e delle sue
attività; il Pleistocene invece
s’interessa dei fenomeni geologici
(cioè dei processi che plasmano e
cambiano la Terra).
ll Paleolitico (dal greco παλαιός
palaios, "antico", e λίθος lithos,
"pietra", ossia età "della pietra
antica") è compreso in un
lunghissimo arco di tempo, che va dall’inizio dell’era quaternaria (2.580.000 anni fa),
fino alla fine dell’ultima glaciazione di Würm, verificatasi 10.000 anni fa circa. Fu il
primo periodo in cui si sviluppò la tecnologia umana con l'introduzione dei primi
strumenti in pietra da parte di diverse specie di Homo. L’evoluzione biologica legata al
bipedismo, all’uso delle mani e allo sviluppo quantitativo e qualitativo dell’apparato
cerebrale caratterizzò il processo di ominazione. È grazie al processo evolutivo della
tecnologia che si è potuto ricostruire e comprendere la vita economica dell’umanità
preistorica.
Durante il Paleolitico l’uomo passò da un’economia individuale ad un’economia tribale
che riusciva ad assicurare a gruppi itineranti sufficienti risorse alimentari. Il
Paleolitico terminò con l'introduzione dell'agricoltura, cioè con il passaggio al
Mesolitico.
Le zone che potevano favorire l’esistenza umana, durante i periodi di glaciazione,
erano quelle dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia che si affacciavano al Mediterraneo. La
comparsa delle prime specie di Homo, avviene proprio durante questa lunga serie di
glaciazioni durate centinaia di miglia di anni. Questi “uomini”, discendenti
dell’australopiteco africano dovettero confrontarsi continuamente con frequenti e
radicali cambiamenti di clima che sistematicamente trasformavano ambienti favorevoli
alla vita umana in ambienti fortemente ostili. Per soddisfare i più elementari bisogni
vitali dovettero sviluppare nuove e continue strategie di adattamento. Non essendo
ancora in grado di spiegarsi tanti fenomeni naturali, credevano che questi fossero
causati da forze occulte, quindi cercavano in tutti i modi di propiziarsi queste forze
con danze, rituali e sacrifici. Grazie alle sue capacità di adattamento questi “uomini”,
al contrario di altre specie, riuscirono a trovare le risposte ai problemi che gli si
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presentavano. Gradualmente migliorarono la loro tecnologia, il modo di produrre i beni
necessari e svilupparono la socialità. I primi “uomini” del Paleolitico non utilizzarono
più come strumenti i bastoni, le pietre e le ossa così come gli capitavano sotto mano,
ma cominciarono a lavorarli passando così dalla scoperta (osservazione della natura ed
individuazione di caratteristiche e proprietà possedute dai fenomeni naturali)
all’invenzione (cioè alla traduzione di un’idea, derivata o dedotta da una scoperta, in un
qualcosa di creato dall’uomo in base ad un progetto ben preciso).
I primi “uomini” del Paleolitico non vivevano più dei soli frutti che la natura gli
metteva a disposizione, adesso erano in grado di reperire selvaggina e pesce, che fino
ad allora gli erano inaccessibili. Tutto ciò fu possibile grazie alla sua evoluzione
biologica e alla “trasmissione culturale”.
TORNA
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EVOLUZIONE BIOLOGICA E TRASMISSIONE CULTURALE.
In questa fase umana arcaica-antica si fece sempre più netto il contrasto fra
l’evoluzione biologica, che come si sa richiede tempi lunghissimi, e la trasmissione delle
conoscenza che invece, potendo essere elargita contemporaneamente a più individui, si
diffonde molto più rapidamente. La trasmissione culturale non trasmette geni, ma
conoscenze acquisite in risposta agli stimoli dell’ambiente.
La trasmissione culturale si concretizzò attraverso tre momenti:
ESPERIENZA OCCASIONALE, utilizzando occasionalmente un ciottolo, un bastone
come arma di offesa, l’ominide si accorse che poteva avere maggiori probabilità
di colpire mortalmente una preda, che non affidandosi unicamente alla propria
forza. Ma non era sufficiente la sola intuizione o la cosciente percezione di ciò
che accadeva. Occorreva un altro passo.
ELABORAZIONE
CONCETTUALE, quell’uomo
per compiere un passo
significativo sulla via del
progresso doveva trarre
insegnamento da
quell’esperienza. Doveva
cioè trasformare l’uso
occasionale in un’abituale
tecnica di caccia.
Mancava un ultimo passo.
TRASMISSIONE
CULTURALE, se altri
“uomini” per imitazione
apprendevano la stessa tecnica ecco che si raggiungeva la trasmissione
culturale.
Chiaramente tutti questi progressi richiesero un lungo periodo di tempo ed una lunga
serie di tentativi. L’elaborazione concettuale fu il vero motore durante questa
fase: l’individuo che lavorava il materiale grezzo ed informe per fabbricare
intenzionalmente uno strumento aveva in mente un modello da realizzare ed aveva
uno scopo ben preciso. L’immagine dello strumento da costruire era infatti il risultato
del succedersi di accostamenti logici, possibili solo dopo aver acquisito l’attitudine
all’astrazione.
TORNA
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SI CREANO NUOVE RELAZIONI FRA GLI OGGETTI.
Il processo una volta innescato
diventò inarrestabile e creò
quello che viene definito “lo
sviluppo del processo
retroattivo”. Chiariamo con un
esempio: probabilmente alcuni
“uomini” si resero conto che un
ciottolo o un bastone potevano
diventare più taglienti se
colpiti ripetutamente con un
percussore (nel caso del
ciottolo) o praticando una
punta (nel caso del bastone).
Altri invece si accorsero che
alcune pietre, come la selce o
l’ossidiana avevano la proprietà
di scheggiarsi più facilmente;
oppure che la punta di un bastone diventava più dura se
trattata con il fuoco. Altri ancora si resero conto che
unire questi ultimi due strumenti in un’unica arma
garantiva una migliore impugnatura e di conseguenza
una maggiore precisione e forza. L’uso dell’impugnatura
permetteva di sfruttare il principio fisico della leva,
perché allungava il braccio dell’uomo garantendogli la
possibilità di sferzare colpi molto più potenti ed anche
più precisi. Una volta creata la lancia, o la mazza, o
l’ascia l’uomo poté modificare l’ambiente in maniera più incisiva. In tutte queste
elaborazioni creative, “ l’uomo “ era stato in grado di stabilire tra gli oggetti
delle relazioni che prima non esistevano in natura e aveva capito che tra le varie
parti che costituivano un unico oggetto (lancia, mazza, arco…) s’instauravano delle
retroazioni che agivano e si influenzavano fra loro.
Il passaggio delle informazioni fu enormemente facilitato dall’uso del linguaggio
che pur non essendo, in questa fase, sviluppato nelle sue forme più articolate,
contribuì alla trasmissione culturale.
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Aumentò anche la gamma degli arnesi utili: asce, aghi, picconi, raschiatoi, scalpelli,
arpioni, trapani, archi ed altri attrezzi per meglio lavorare l’osso e la pietra stessa.
Molto ricca fu anche l’industria in osso-corno, spesso riccamente decorata. Il
materiale utilizzato era ancora la selce anche se iniziava a diffondersi l’ossidiana, un
vetro vulcanico di durezza superiore alla selce e di colore nero lucente, con esso è
possibile realizzare manufatti piccoli e particolarmente taglienti. TORNA
LA PESCA.
Straordinaria importanza nella storia economica e culturale ebbe la pesca.
Quest’attività, nei primissimi tempi della fase umana arcaica-antica, offrì
probabilmente un nutrimento poco abbondante agli “uomini” che vivevano sulle coste.
Costoro dovettero integrare, il loro bisogno alimentare, con la caccia e con la ricerca
di vegetali commestibili. Questo succedeva perché questi “uomini” non erano ancora in
grado di praticare una pesca efficace; la mancanza di esperienza li portava a
praticare “la pesca a mano” che consisteva nel sospingere i pesci verso acque basse o
in luoghi ristretti per catturarli con le mani. Questo tipo di pesca richiedeva una tale
prontezza di riflessi e velocità di movimenti che mancava agli “uomini” dell’epoca.
Ma l’aver intuito che gli animali marini abbondavano lungo le spiagge dei mari per tutto
l’anno e che i pesci catturati non creavano alcun vuoto sensibile nel vivaio naturale in
continuo rinnovamento, invogliò gli “uomini” a ricercare mezzi e strategie sempre più
idonei e catturanti per accaparrarsi questa ricca risorsa, capace di risolvere il
problema quotidiano dell’approvvigionamento alimentare.
Gli “uomini” che vivevano sulle coste, dopo un certo periodo di adattamento e
dopo vari tentativi, poterono nutrirsi principalmente di animali marini,
considerando la caccia e la ricerca di vegetali commestibili una fonte
complementare (e non principale) di alimentazione.
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STRUMENTI PER LA PESCA.
Fu così che diversi strumenti fecero la loro prima comparsa, strumenti che sono in uso
ancora oggi, come: la rete, l’amo e la fiocina. Vero è che da allora questi tre
strumenti hanno subito notevoli perfezionamenti, tuttavia tra il modo in cui venivano
usati decine di migliaia di anni fa ed il modo in cui vengono
usati oggi corre una differenza molto minore di quella
esistente tra l’arco e la freccia da una parte ed il fucile
da caccia dall’altra.
La pesca con l'amo si effettuava
inizialmente con un semplice
bastoncino dritto, posto
trasversalmente alla lenza; più
tardi l’amo fu ricavato da una
scheggia di osso o di selce e reso
ricurvo per non fare scappare il
pesce che abboccava (idea semplice, ma geniale). È suggestivo
immaginare il primo uomo che, dopo aver fabbricato una lenza, vi attacca saldamente
una scheggia di selce ricurva, vi infila un'esca, quindi esegue il primo lancio della
storia, si mette in attesa e cattura il primo pesce. Il risultato deve essere stato
strabiliante!
La pesca con la fiocina veniva praticata con una specie di lungo
giavellotto alla cui estremità era
attaccata una parte ossea o di pietra
che presentava degli uncini atti a
trattenere la preda. Era un tipo di
pesca mutuata dalla caccia.
La pesca con la rete
fu applicata maggiormente con l’introduzione delle
imbarcazioni e utilizzata soprattutto laddove si sapeva
che sarebbe transitato il pesce. Questo tipo di pesca
iniziò in forma singola e successivamente fu praticata in
forma collettiva.
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LE PRIME IMBARCAZIONI.
Quasi contemporaneamente, oltre al perfezionamento
degli strumenti, che avrebbero aumentato il rendimento della pesca, fece la sua
apparizione l’imbarcazione, e con
essa l’apertura al traffico e lo
sfruttamento di superfici d’acqua
più estese. La prima barca
probabilmente sarà stata un
tronco d’albero galleggiante.
Questo modo di navigare dovette durare parecchio, prima che si iniziò a costruire
zattere di legno, e ad impiegare rami e
tronchi d’albero incavati o alla creazione
di imbarcazioni di pelle con intelaiatura di
legno.
LA PESCA PORTÒ ALLA SEDENTARIETÀ.
Tutte queste innovazioni ebbero due
importanti conseguenze: 1) una maggiore disponibilità di pesce; 2) la sedentarietà.
In una superficie più ridotta, la natura forniva mezzi di alimentazione in maggiore
copia. La pesca restrinse quindi la superficie attraverso cui gli “uomini” dovevano
muoversi per la ricerca dei propri mezzi di sostentamento e propiziò quella che
possiamo chiamare la civiltà domestica. Se fino ad allora gli “uomini” erano stati
costretti ad andare raminghi per il mondo a caccia di cibo, per il fatto che nessun
posto offriva loro sufficiente nutrimento
da potervisi insediare, con la pesca si
resero indipendenti dalle stagioni, e
iniziarono a condurre una vita
sedentaria. Non per niente i primi
insediamenti, di una certa stabilità, sono
stati ritrovati lungo le coste. Il passaggio
da un’utilizzazione passiva ad
un’utilizzazione attiva dell’ambiente portò,
per la prima volta, l’uomo ad abbandonare il nomadismo e a diventare sedentario.
TORNA
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LA CACCIA
I popoli che vivevano lontani dalle coste potevano contare sull’alimentazione offerta
dalla pesca solo per completare
ed integrare il loro fabbisogno,
dato che laghi e fiumi
difficilmente potevano fornire
in quantità sufficiente
l’alimentazione principale.
Costoro si nutrivano
principalmente di carne, di
frutti, di bacche, di erbe. Per
seguire le prede e i frutti,
questi gruppi umani erano
costretti a percorrere lunghe distanze. L' ambiente, in quel periodo, era fortemente
ostile all’uomo; da esso dipendeva la sua stessa sopravvivenza. Era sufficiente un
brusco cambiamento climatico per compromettere la loro stessa vita e/o l'abbondanza
del cibo. L’adattamento all’ambiente circostante costrinse questi “uomini” a
sviluppare strumenti tecniche di caccia molto sofisticati.
LA DIVISIONE DEL LAVORO.
La caccia, più della pesca, portò alla prima divisione del lavoro. La costituzione fisica
permetteva infatti agli “uomini” di correre più velocemente delle donne, e a quel tempo
la velocità nella corsa era spesso decisiva per l’esito della caccia. Determinante
tuttavia fu il fatto che le donne, perennemente incinte, che allattavano potevano
allontanarsi poco
dall’accampamento,
tanto più che esse
nutrivano al seno i
figli il più a lungo
possibile a causa
della generale
scarsezza dei mezzi
di alimentazione.
Quanto maggiore
divenne l’importanza
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della caccia nella vita degli uomini, tanto più netta si fece la divisione del lavoro.
Specializzandosi sempre più in questo
lavoro che, quotidianamente occupava quasi
l’intera giornata, questi “uomini” si
trovarono nell’impossibilità di dedicarsi a
quegli altri lavori che fino ad allora avevano
eseguito in comune con le donne. Questo
portò dunque alla specializzazione dei
lavori in base al sesso.
I maschi si occuparono principalmente dei
lavori più duri: caccia (spesso contesa con
orde nemiche, che perciò dovevano
affrontare con le armi); lotte (con gruppi
rivali); costruzione di capanne o rifugi e di
strumenti vari.
Le donne invece s’interessarono dei lavori
più leggeri e meno pericolosi: raccolta
delle erbe, delle radici, di frutti; trasformazione e conservazione domestica del cibo;
lavori domestici e allevamento della prole.
FAVORÌ LA DIFFUSIONE DEL LINGUAGGIO.
La caccia, più della pesca, veniva esercitata in gruppo ed ebbe un effetto fortemente
socializzante, costrinse gli “uomini” a comunicare fra loro, durante le battute di
caccia, e di conseguenza favorì le prime forme di linguaggio.
LA CACCIA E IL NOMADISMO.
Le migliori condizioni di alimentazione richiedevano che lo spazio vitale degli “uomini”
si estendesse. Il territorio entro cui essi cercarono i loro mezzi di sussistenza si
ampliò straordinariamente, fino ad abbracciare centinaia di chilometri che essi
percorrevano durante l’anno per provvedersi di carne in maggiore quantità. Per seguire
le prede e i frutti questi gruppi umani furono costretti, sia per l'alternarsi delle
stagioni e sia per le variazioni climatiche causate dalle glaciazioni, ad un continuo
nomadismo o ad una sedentarizzazione periodica. Al contrario della pesca, la caccia
allargò il territorio.
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STRUMENTI PER LA CACCIA SEMPRE PIÙ SOFISTICATI.
Non bisogna credere che
questi “uomini” pensassero
solo all’approvvigionamento di
carne, perché per ottenere
buoni risultati era necessario
disporre anche di validi
strumenti di caccia. La caccia
quindi promosse l’abilità ed
accelerò il progresso tecnico,
non c’è da meravigliarsi se in
quest’epoca gli strumenti
furono perfezionati più
rapidamente di prima.
Bisognava ridurre al minimo la
situazione di svantaggio (minor forza e minor velocità) rispetto ai predatori ed
approntare strumenti di caccia sempre più produttivi.
L’uomo quindi ideò uno strumento capace di scagliare, ad una distanza e ad una
velocità maggiori delle altre armi, un dardo acuminato capace colpire un bersaglio
anche in movimento infliggendo ferite spesso letali: l’arco. A differenza dell’amigdala,
strumento molto più antico, l’arco è formato da due materiali diversi: da un bastone e
da un tendine. Il tendine, non si trovava dappertutto, come le pietre e i bastoni, esso
era il prodotto di lavorazione di un altro oggetto e cioè di un animale. La caccia quindi
richiedeva particolari strumenti, ma nello stesso tempo forniva la materia prima
necessaria alla loro produzione (principio retroattivo).
Non era solo l’arco ad essere una giustapposizione di oggetti, ma anche la freccia.
Questa venne sempre più perfezionata fino ad arrivare a costruire speciali punte per
la caccia di animali da pelo, in modo da non danneggiare la pelle. Questo sofisticato
strumento di caccia comparve verso la fine del Pleistocene intorno a 11.000 anni fa.
MAGGIORE TECNICA MINORE TERRITORIALITÀ.
L’acquisita abilità tecnica e la divisione del lavoro aumentò il rendimento della caccia e
di conseguenza diminuì il bisogno di battere una zona di caccia grande come quella che
veniva battuta prima, il che rese a sua volta la vita dell’uomo un po’ più facile. La
riduzione del territorio di caccia venne agevolata anche dal fatto che la crescente
abilità ed il generale elevamento tecnico di produzione dette la possibilità di cacciare
un numero sempre maggiore di specie animali. Non solo si potevano uccidere in un
tempo più breve gli animali già cacciati prima, ma si potevano raggiungere anche
specie che fino allora non era stato possibile cacciare affatto o solo raramente.
16/38
SPECIALIZZAZIONE E RAZIONALIZZAZIONE DELLA CACCIA.
Probabilmente verso la fine di questo periodo, i cacciatori si specializzarono
ciascuno nella caccia di
un particolare tipo di
animale: alcuni nella caccia
di animali da pelo, altri
nella caccia di selvaggina
media e piccola grandezza,
altri ancora nella caccia
grossa. Ciò comportava
particolari tecniche di
caccia, e uso di strumenti
diversificati.
Questa specializzazione
contribuì ancor di più ad
innalzare il tasso tecnico
di questi “uomini”.
Dalla tendenza ad ampliare la cerchia degli
animali a cui dare la caccia, si passò ad una
riduzione cosciente e consapevole delle
prede, concentrando maggiori sforzi nei
confronti di quegli animali che presentavano
due caratteristiche particolari: facili da
cacciare e più ricchi di carne. Insomma una
razionalizzazione della caccia.
TORNA
17/38
L’UTILIZZAZIONE DEL FUOCO.
Il controllo del fuoco distaccò definitivamente “ l’uomo “ dagli altri animali, dandogli
consapevolezza del suo potere
e mettendolo altresì in grado
di rivoluzionare le sue
tecniche produttive. Era
necessario andare oltre la
semplice scoperta che il fuoco
esisteva. Vi devono essere
stati momenti in cui degli
uomini (o forse dei bambini),
osservando qualche resto
morente di fuoco che consumava qualche ramoscello, osarono
giocare con esso alimentandolo con altri ramoscelli (una
primitiva intuizione di addomesticamento del fuoco).
Potrebbe anche essere stata l’osservazione dello scintillio
provocato dallo sfregamento di selce contro selce (una primitiva intuizione di come
ottenere il fuoco). Il fuoco produsse negli “uomini”
risultati “rivoluzionari” sia a livello materiale che
psicologico. Inizialmente gli “uomini” vedevano
quest’evento straordinario solo in occasione dei
temporali, delle colate laviche e degli incendi e
sicuramente consideravano gli effetti distruttivi
come qualcosa di spaventoso, da cui stare ala larga.
Quando l’uomo riuscì ad acquistare la padronanza
e la capacità di riprodurre quel “valido
aiutante”, in grado di facilitargli la vita, egli
poté capire, o almeno intuire che, su questa
terra non tutto era prodotto solo dalla natura,
ma che anch’egli era in grado di intervenire
sull’ambiente e sugli elementi ad esso connessi, e quindi di vivere in simpatia con
la natura.
Non sappiamo quando tutto ciò accadde, né in quali circostanze, né quante volte le
osservazioni vennero ripetute, né quale fu la velocità della loro propagazione; sappiamo
con certezza che alla fine, però, l’utilizzazione del fuoco si diffuse a tutta l'umanità.
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Non venne mai trovato in alcun luogo della terra un gruppo di uomini che in tempi
storici mancasse dell'uso del fuoco.
Quando però ciò avvenne, fece compiere all’uomo un passo importantissimo sotto il
profilo tecnologico. L'uso del fuoco rappresentò anche la prima distinzione
assoluta e chiara fra
l'uomo e tutte le altre
specie di creature viventi.
Vi sono animali che
comunicano efficacemente
anche se non attraverso il
linguaggio; esistono animali
che impiegano strumenti in modo primitivo; ma nessun animale diverso dall'uomo ha
mai compiuto anche il più timido passo verso il dominio del fuoco..
Vedi FILMATO
Vediamo allora quali vantaggi apportò il fuoco.
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RISCALDAMENTO ED ESTENSIONE DEL TERRITORIO
Quando a qualcuno venne in mente che un fuoco "addomesticato", tenuto nel ricovero
di una capanna, avrebbe generato calore nel corso della notte, divennero sopportabili
anche le notti più fredde. La gelida desolazione degli inverni poteva così essere
affrontata con un potente alleato come il fuoco. Il fuoco permise d’ingrandire
l’estensione del territorio in cui l'uomo poteva vivere: “ l'uomo “ non era più
confinato in quegli ambienti cui era adatto il suo corpo nudo e indifeso e non era
costretto ad aspettare il lento ritmo del cambiamento evolutivo per adattarsi ad altri
ambienti più duri. Ora era in grado di controllare l’ambiente e di adattarlo alle sue
necessità.
LUCE E CAMBIAMENTI COMPORTAMENTALI.
Il fuoco oltre al calore dà la luce e non c’è dubbio che questa sconvolse un po’ le
abitudini degli
“uomini”.
Disporre di luce
anche durante le
ore buie del
giorno significò:
aumentare le ore
di lavoro, più
possibilità di
stare assieme e
di migliorare la
socializzazione
all’interno del gruppo, più tempo per trasmettere le conoscenze acquisite. La luce
quindi provocò anche cambiamenti comportamentali.
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DIFESA.
Il fuoco si dimostrò efficace non solo per proteggere l’ingresso delle capanne e/o
caverne, che divennero più sicure, ma
anche per combattere ed allontanare i
grandi predatori. L'insediamento nelle
capanne e/o caverne rese assai più
facile conservare acceso il fuoco
proteggendolo dalla pioggia o dalle
incursioni dei nemici.
Dopo che gli esseri umani ebbero definitivamente acquisito il controllo sul fuoco, lo
monopolizzarono e lo utilizzarono per estendere il loro dominio su tutti gli altri
animali.
MIGLIORAMENTI TECNICI.
Il fuoco consentì anche di migliorare il rendimento di
una delle prime armi da caccia usate dagli “uomini”: la
lancia, che venne resa più dura mediante il fuoco.
ALIMENTAZIONE
Non è inverosimile pensare allo stupore del primo
uomo che recuperando dal fuoco un buon boccone di
carne cruda, che gli era caduto, nel mangiarlo rimane
estasiato non solo dell'odore
sprigionatosi dalla cottura, ma anche del
miglior sapore.
Deve aver condiviso subito con tutti gli
altri membri del clan questa gloriosa
scoperta e da quel punto non è difficile
pensare cosa possa essere successo. Il
cibo riscaldato dal fuoco diveniva più
facile da masticare e sviluppava nuovi
aromi che l'uomo trovò piacevoli. Con
l’aiuto del fuoco gli “uomini” furono in grado di sfruttare più adeguatamente le prede
catturate, che vennero cucinate e rese più gustose. In tal modo la lista delle vivande a
disposizione dell’uomo divenne più ricca, più varia e di migliore qualità e la figura del
cuoco fece la sua comparsa nella storia. A poco a poco, l'uso del cibo cotto divenne
universale.
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Ciò non fu una questione di moda o di inutile
artificialità. Vi sono cibi che possono essere
mangiati se cotti ma che sono troppo duri o
scadenti per poter essere utilizzati crudi. La
cottura ammorbidisce il cibo, che diventa
utilizzabile anche per i vecchi senza denti e ne
facilita la digestione (il riso bollito è diverso dai
grani duri).
CALO DELLE MALATTIE.
La cottura distrugge i batteri e altri parassiti
del cibo. L'uso del cibo cotto fece diminuire le
malattie e le infezioni intestinali nell'uomo
primitivo; e ciò significò un aumento della forza e un allungamento della vita.
AUMENTO DEMOGRAFICO.
Nel complesso, il controllo del fuoco accrebbe le possibilità di sopravvivenza
dell'uomo, favorì l'espansione territoriale e, a lungo termine, anche l'incremento
demografico.
Quest'ultimo fenomeno riveste un'importanza cruciale per comprendere il corso
successivo dell'evoluzione sociale. L'incremento della popolazione facilitò, tra le altre
cose, l'organizzazione sia di modi più efficaci di difendersi dai predatori e dai rivali
appartenenti al regno animale, sia di gruppi per la caccia più consistenti. Tuttavia, nel
momento stesso in cui estendevano il loro dominio attraverso il controllo del fuoco, gli
uomini divennero sempre più dipendenti da questo elemento; se non altro perché
l'aumento della popolazione rendeva necessario per la sopravvivenza lo sfruttamento
permanente del monopolio del fuoco.
TORNA
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CULTURA DOMESTICA.
Il problema della casa si pose all'uomo primitivo probabilmente quando dovette
rinunciare ai ripari naturali che originariamente gli servivano come abitazione, cioè
cespugli, alberi cavi, buche nel suolo e principalmente le caverne, o più semplicemente
dei massi sporgenti che opponevano un ostacolo, anche parziale, al vento e alla pioggia.
Dovendosi continuamente spostare per inseguire la selvaggina, per cercare regioni più
ospitali, o, più tardi, pascoli più ricchi per il suo bestiame, l'uomo preistorico si trovò
nella necessità di procurarsi un riparo che non dipendesse totalmente dalle
imprevedibili condizioni climatiche e ambientali dei vari luoghi e offrisse protezione
dal vento e dalla pioggia a quel bene prezioso che era il fuoco. Questo riparo doveva
potersi costruire semplicemente, con gli strumenti rudimentali e i materiali di cui
disponeva, e poiché la maggior parte dei popoli primitivi era nomade, il riparo esigeva
di essere fatto in modo da potersi smontare e trasportare facilmente. E' proprio da
questa esigenza legata alla vita nomade che sembra essere nata la capanna
preistorica.
L’insediamento in una sede stabile rappresentò un enorme progresso nello sviluppo
degli uomini, fu la base per il sorgere della cultura domestica. Gli uomini abitavano in
comunità di 15 -25 uomini e dovevano lavorare continuamente in una zona molto ampia,
data la scarsa capacità di sfruttare intensivamente, ai fini della loro alimentazione, il
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territorio circostante. Ad eccezione di comunità di pescatori, gli altri si spostavano
continuamente verso altre regioni alla ricerca di cibo.
Il legno, che si era dimostrato così utile per la costruzione di imbarcazioni, venne
utilizzato anche per la costruzione delle case. Tra gli oggetti che facevano parte della
casa in questo periodo troviamo poche stoviglie, che invece sono più abbondanti verso
la fine della fase umana antica. Tuttavia alcune importanti proprietà e caratteristiche
dell’argilla erano già note e messe al servizio della vita domestica, come prova il fatto
che alcuni cesti venivano rinforzati ed induriti con l’argilla. Per il resto, erano
principalmente le materie organiche che avevano importanza decisiva per
l’approntamento degli oggetti necessari alla vita domestica. Così si utilizzavano cesti
fatti di fibre vegetali, recipienti di legno, indumenti di pelle e di pelliccia, come anche
prodotti ottenuti intrecciando filacce e fibre simili. In generale però, dopo la fatica
spesa per procacciarsi il cibo, rimaneva poco tempo disponibile per la produzione di
oggetti domestici.
TORNA
L’ATTIVITÀ CONOMICA DEL PALEOLITICO.
Quando si parla di attività economica si deve intendere l’insieme coordinato di tutte
le operazioni che si mettono in atto per procurarsi o produrre quei beni e quei
servizi di cui si ha bisogno. Nel caso specifico la necessità di svolgere le attività
della caccia, della pesca e del mantenimento del fuoco nascevano dall’esigenza di
soddisfare ancora i bisogni primari e di rendere la vita più facile ed “agiata”.
ECONOMIA PRODUTTIVA.
Gli “uomini” trasformarono gli oggetti trovati in strumenti di lavoro e di difesa
adattandoli ad un uso particolare. Ciò implicò una premeditazione, un collegamento
cerebrale cosciente fra causa ed effetto, nonché una determinata abilità tecnica.
I nuovi strumenti consentirono l’ottenimento di nuove risorse alimentari (pesce e
carne) e consentirono il passaggio da un’economia di raccolta ad una di produzione.
Gli uomini che vivevano in queste comunità avevano intuito che “economicamente” era
più vantaggioso riutilizzare gli strumenti adoperati per la caccia specialmente se
questi si erano dimostrati particolarmente adatti ed efficaci. In questo modo non
avevano bisogno, ogni giorno, di adoperarsi per cercare nuovi strumenti di lavoro e/o
di caccia in quanto potevano muoversi alla ricerca del proprio nutrimento riutilizzando
strumenti già usati in precedenza a cui era stata assegnata un’utilità duratura.
L’utilizzazione di strumenti conservati garantiva a questi uomini, la possibilità di avere
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più tempo per la caccia, per la pesca e per la raccolta. La riutilizzazione degli
strumenti di lavoro consentì che con uno sforzo relativamente minore ed in un tempo
più breve, i cacciatori arrivassero a catturare una quantità sempre maggiore di carne,
aumentando così la produttività del lavoro (inteso come il rapporto tra l’intensità
e la durata dello sforzo da una parte ed il risultato dall’altra). Un’inconscia
applicazione del principio edonistico (o principio del tornaconto) secondo cui l’uomo,
nell’appagare i propri bisogni, cioè nello svolgere la sua attività economica, segue
l’istinto di ottenere il massimo effetto con il minor sacrificio o sforzo possibile.
ECONOMIA COMUNITARIA.
Durante il paleolitico l’uomo passò da un’economia individuale ad un’economia tribale
che riusciva ad assicurare a gruppi itineranti sufficienti risorse alimentari. Egli cioè
abbandonò l’abitudine di vivere in piccoli gruppi, raccogliendo vegetali, nutrendosi di
animali morti (l’uomo spazzino) e cacciando animali di piccola taglia, ed iniziò invece a
riunirsi in gruppi più numerosi (da 15 a 25), che praticavano la caccia organizzata.
La caccia perciò ebbe un effetto fortemente socializzante e favorì probabilmente le
prime forme di linguaggio. In queste comunità tutti gli strumenti che si
possedevano appartenevano al gruppo, all’infuori di quelli che servivano come armi di
difesa contro le bestie feroci. Non esisteva il concetto di proprietà privata ma solo
quello di proprietà di gruppo. Ma non erano solo gli strumenti che appartenevano
alla comunità, ma anche i prodotti del lavoro venivano divisi in parti uguali tra
tutti.
ECONOMIA BASATA SUL LAVORO COMUNE.
Il lavoro collettivo apportò ulteriori vantaggi:
“ l’uomo “ capì che la capacità di rendimento di un gruppo era superiore alla
somma della capacità di rendimento dei singoli individui che lo componevano (la
pressione di un singolo uomo su un elefante è minima; ma la pressione di venti
uomini sullo stesso elefante diventa considerevole e vincente)
“ l’uomo “ intuì che il semplice contatto sociale, durante le attività lavorative,
generava nella maggior parte dei casi un’emulazione ed una peculiare
eccitazione che portavano ad aumentare il rendimento individuale dei singoli.
“ l’uomo “ si rese conto che la cooperazione e la collaborazione all’interno del
gruppo agevolava notevolmente lo sviluppo culturale e civile della comunità
stessa.
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LIMITI DI TALE ECONOMIA.
Tuttavia in questa fase non si superò ancora la condizione nella quale la comunità
produceva giusto quanto bastava per ogni singolo. In fondo si era ancora
completamente dipendenti dal clima e nelle buone stagioni non si faceva ancora
provvista di cibo per le stagioni cattive.
PRIMO LIMITE: L’UOMO ERA ANCORA UN PREDATORE.
Il limite più evidente di questo tipo di economia è rappresentato dal fatto che essa
dipendeva ancora dalle risorse offerte spontaneamente dalla natura. Per quanto
riguarda l’approvvigionamento alimentare, l’uomo pur essendo un produttore di
strumenti, continuava ad essere ancora un predatore. Questa situazione non conobbe
significativi mutamenti durante il mesolitico, un periodo intermedio di durata
relativamente breve (poche migliaia di anni in confronto ai milioni del paleolitico), che
delimitò una fase di transizione ancora contrassegnata dallo stadio della caccia, della
pesca e della raccolta. Gli “uomini” disponeva comunque di strumenti di lavoro e di
caccia che gli permettevano di procurarsi risorse alimentari più abbondanti ed in
minor tempo.
SECONDO LIMITE: ECONOMIA DI CONSUMO.
Non esistevano tecniche di conservazione dei viveri, per cui tutto quello che si
pescava, cacciava o raccoglieva veniva distrutto per eliminare immediatamente lo
stato di bisogno. Fortunatamente si poteva disporre di una maggiore quantità di
prodotti alimentari e di una maggiore varietà. Gli “uomini” per soddisfare i loro bisogni
primari consumavano totalmente i beni che si procacciavano con la caccia, la pesca e la
raccolta. In compenso c’era un riutilizzo degli strumenti di lavoro che erano risultati
efficaci.
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