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Giuseppe Butera La fine della paura romanzo

LA FINE DELLA PAURA

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Un grande romanzo di giuseppe Butera

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  • Giuseppe Butera

    La fine della paura romanzo

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    Giuseppe Butera

    La fine della paura

    romanzo

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    La vita

    l' arte dell' incontro.

    VINICIUS DE MORAES

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    .1 IL PRIMO MONDO

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    FRANOIS si svegli nel letto di Lucienne, senza sapere che era luned, che alle sette doveva gi essere cominciata la sua lezione di Anatomia e persino il semplice fatto di essere una matricola di medicina e di chiamarsi Franois de La Roche.

    Chi sei? chiese a Lucienne, convinto di starsi a guardare allo specchio.

    Aveva conosciuto la ragazza in metropolitana, la sera prima, senza ancora la mente annebbiata dal fumo dellhashish e dalla dose abbondante del prezioso Bourgogne offerto dalla giovane, appena entrato nella sua stanza.

    Sono Lucienne, non ti ricordi? - rispose la ragazza, con una voce che rimbalzava tra i suoi neuroni come una pallina da flipper fino ad accomodarsi nella morbidezza accogliente della stessa sacca crepuscolare che laveva emanata.

    Ah, s sospir lo studente, e borbottava altre parole e frasi sconnesse, ripiombando immediatamente in quella melma onirica decantata di qualsiasi sogno o ricordo.

    Sveglia, Franois! Parbleu! gli grid all'orecchio l'altra. I miei genitori stanno arrivando. Vai via o sono perdu-ta.

    Lo trascin sull'orlo del letto e fu allora che l'automa riusc finalmente ad alzarsi, svelando cos tutta la sua splendida nudi-t diciottenne, molto ben nutrita da formaggi, latte, uova, polli, salsicce, prosciutti, olive, olio d'oliva, vino... Tutto naturale, pro-dotto nella sua tenuta Allons-enfants dei De la Roche, a Aix-en-Provence.

    Lucienne fu costretta a placare la sua incontenibile fretta, per contemplare, per lunghi istanti, quell'animale maestoso, senza veli n marre, che si risvegliava dagli amori recenti. I muscoli del collo formavano un vero pilastro di sostegno a un cranio perfet-tamente modellato e avvolto dalla voluminosa chioma biondic-

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    cia, sciolta in una cascata casuale sulle spianate simmetriche delle larghe spalle.

    Gli occhi, di un blu pungente che insisteva a diventare grigio a ogni ondulare della tendina di pizzo provenzale. Il naso e la bocca, copiati dalla copertina del suo libro di storia d'arte greca che riproduceva, a corpo intero, la statua d'Apollo di Prassitele.

    Se fosse riuscito a vedere la propria immagine riflessa negli occhi frettolosi della compagna, l'apprendista stregone avrebbe potuto verificare tutte le sue nozioni di miologia, riconoscendo, uno a uno, i gruppi muscolari del suo corpo, modellando le fasce aponevrotiche e lepidermide intatta da dentro a fuori e pla-smandogli attorno la campana di aria climatizzata della casa-di-bambola della ragazza.

    Lucienne era figlia di monsieur Jean Blanchard, un tranquillo funzionario del Bureau de Rente. Con sua moglie Clarisse e il figlio dodicenne Antoine si era concesso un raro week-end in campagna, a casa di parenti di Fontainebleau. Aveva lasciato Lucienne da sola, dopo molte esitazioni, perch altrimenti sa-rebbe arrivata in ritardo alla lezione di pittura barocca del lune-d successivo, alla scuola di belle arti Cosette dArtimagnac. E, in ogni caso, cera sempre la cugina Mariette con cui passare la not-te e che per giunta aiutava a custodire la casa.

    Lucienne aveva avuto molti ragazzi, fin dai quattordici anni. Ma non era mai andata oltre alcune carezze, sempre con coeta-nei e, con i pi spinti, aveva persino arrischiato qualche bacio sulla bocca. Era ancora molto timida e conservava gelosamente i suoi segreti in un diario iniziato il giorno della sua prima comu-nione, in un linguaggio volutamente ermetico, allo scopo di con-fondere eventuali curiosi. Gli argomenti si andavano adeguando allo sviluppo delle situazioni e dei mutamenti nella sua persona-lit adolescente, riflettendo tutte le sfumature di una vita sen-timentale in piena effervescenza.

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    Le pareti della sua cameretta riassumevano i gusti e le prefe-renze degli ultimi anni. La bambola Froufrou, che aveva ricevuto in regalo nel giorno del suo nono compleanno, era ancora molto attraente e vistosa. C'era ancora il poster con la sua foto a dodici anni, al centro della parete, fra quelli dei Beatles e dei Rolling Stones, che si era comperati in occasione dei rispettivi show dell'anno prima al Bois de Boulogne.

    Cera andata insieme a dei compagni di scuola e si era esalta-ta, aveva pianto ed era persino svenuta per le stravaganze di quei gruppi di mocciosi di talento che destavano tanta passione, ag-grovigliando la lingua barbarica sotto una tempesta di migliaia di megawatt.

    Proiettato in quello sfondo di simboli, souvenir e idoli di car-ta, Franois brillava ora come unallegoria di tutti i suoi valori e sogni giovanili. E proprio adesso avrebbe dovuto disfarsi, ancor-ch a malincuore e al pi presto possibile, di tutto quel concen-trato di bellezza e di energia che gli aveva fatto provare un pia-cere sconosciuto nella gioia pi intensa.

    Un bagno di schiuma restitu la memoria e i movimenti a quel morbido robot, che le mani della fata premurosa si attardavano a carezzare, scivolando, ancora un po sulla pellicola di sapone profumato, nonostante lurgenza inesorabile.

    Fu allora che la fretta contagi finalmente quel dio scomodo, al quale bastarono solo tre minuti, non di pi, per una fulminea uscita di scena, ancor prima di preoccuparsi di identificare defi-nitivamente la compagna.

    Lucienne rimase con lespressione di una visionaria alla fine di una rivelazione soprannaturale e a malapena riusc a tornare in s per terminare di riordinare, pulire e liberare la casa da ogni traccia della visita inaspettata e sedersi infine, alcuni istanti, a registrare qualcosa delle innumerevoli sensazioni che avevano composto l'evento.

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    "Oggi ho capito il vero senso della parola abisso. Non tanto profondo come limmensit della voragine che sottende. per pi concreto di tanti altri nomi di cose che esistono soltanto nella testa della gente: amore, patria, libert...

    Franois solo un nomignolo." Suonarono alla porta e lei non aveva neppure sentito il rumo-

    re della macchina in arrivo o le voci festose di bambini o di adulti di ritorno da un viaggio. Prepar comunque il sorriso pi allegro di cui fosse capace per ricevere i suoi genitori e il fratellino.

    Dietro la porta c'erano invece due agenti con la divisa della Sret.

    Mademoiselle Blanchard? Siamo della Pubblica Sicurezza. Lei conosce un certo Franois De la Roche?

    (Franois un nomignolo) pens la ragazza. Chi Franois De la Roche? domand ingenua, invece di risponde-re.

    Lo sguardo cortese, ma severo, del gendarme respinse con fermezza la malcelata ironia della giovane.

    Non so se lo conosco rispose, alla fine. (Ma sono si-cura che lui neanche sa chi sono io) concluse, solo per se stes-sa.

    Franois era ricercato perch era stato tra i contestatori che avevano inscenato una manifestazione ai Champs-lyses alcuni giorni prima. Il suo volto era stato ripreso in super-8 da un cine-amatore, il quale aveva venduto la pellicola alla polizia e adesso tutti quanti i capi della rivolta studentesca venivano sottoposti ad una inchiesta.

    vero che lui aveva collaborato alla preparazione di qualche striscione, dietro invito del coordinatore di cultura del centro universitario, insieme al gruppetto di compagni del primo anno, ma ancora non poteva avere neanche la pi pallida idea di tutte

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    le istanze e meno ancora della portata di quei primi scioperi stu-denteschi che avrebbero finito per scatenare un vero e proprio movimento culturale di grandi conseguenze per tutta la civilt occidentale.

    Non possiamo continuare a tollerare questo sistema feu-dale che si trascina dalla fondazione della Sorbona. Abbiamo le tasche piene della prepotenza dei baroni che lottizzano le catte-dre, i curricula, le biblioteche, i tirocini, i laboratori. Tutto sotto il potere di vita e di morte di quei figuroni scansafatiche che promuovono soltanto i loro leccapiedi e i figli di pap spiega-va con tono professorale Alfred Carel, il quale tentava per la quinta volta lesame di clinica chirurgica con il professor Latarjet Jr.

    Franois era rimasto ad ascoltare in silenzio tutti gli inter-venti dei principianti e dei veterani, che si esercitavano a ripete-re i ritornelli pi stropicciati e anche le idee pi deliranti, come se si trattasse delle scoperte pi originali e recenti.

    Io penso che dovremmo proclamare lavvento dellanarchia come unico sistema di governo consono alla repubblica francese aveva sparato a zero Lonard Rubin, che cominciava il terzo anno e non era ancora riuscito a far pratica in una sola infermeria di un qualsiasi ospedale.

    Secondo me disse Jean-Luc Camdessus, che frequenta-va la stessa mensa universitaria e alloggiava alla casa dello stu-dente provenzale di Franois, dovremmo farla finita con i preti e le monache, e vedrete se non rimettiamo in piedi questo paese una buona volta. Neppure sapeva che stava semplice-mente ripetendo una delle tesi meglio sedimentate degli ultimi duecento anni di enciclopedismo.

    Franois pens a suo padre, a cui sarebbe venuta la pelle d'o-ca nellascoltare tante stupidaggini e soprattutto nel vedere suo figlio in una riunione come quelle. La sua famiglia era una delle

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    pi tradizionali della regione e i suoi genitori si distinguevano in tutte le manifestazioni religiose o civiche che esigessero una dimostrazione del pi incondizionato nazionalismo. Per in Franois era prevalsa la voglia di partecipare. Indoss il camice e si rec alla piazza della Camera dei Deputati, il giorno stabilito.

    Si radun presto una folla che occup tutti i dintorni, fino in fondo alla piazza Des Invalides. Lo scenario della piazza si tra-sform in un'unica macchia bianca surreale, a eccezione delle migliaia di testoline che pullulavano al di sopra dei camici, della neve recente, sullo sfondo dei marmi antichi delle facciate neo-classiche.

    Slogan e canzoni attraversavano la spianata da un capo all'al-tro, mentre un gruppo di maoisti ripeteva fino allo stremo le parole del maestro, come avrebbero fatto i loro colleghi dagli occhi a mandorla sulla piazza Tian-an-men di Pechino. I libretti rossi che agitavano erano le uniche gocce di colore e di movi-mento, oltre i caratteri degli striscioni e dei cartelloni che pun-teggiavano quella mappa delle varie tendenze politiche, e il grande tricolore che ritagliava un pezzetto del cielo cinereo sulla vetta della cupola del Parlamento.

    Poco dopo la macchia cominci a fluire in un immenso tor-rente bianco-sporco che incroci la Senna e sfoci ben presto in piazza De la Concorde, svoltando subito dopo per i Champs lyses.

    La folla raggiunse rapidamente lArc-de-Triomphe, come una freccia incendiaria o logiva di un razzo entrando nellatmosfera di ritorno dallo spazio. Li aspettava per una vera e propria bar-riera di poliziotti armati di manganelli e protetti da elmetti e scudi di plastica trasparente. Per quanto possa sembrare incre-dibile, non ci furono scontri, ma immediatamente i camici bian-chi si sparpagliarono per tutta lestensione della Place de l'toile

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    e vi rimasero per ore e ore, seduti a gridare i loro slogan e ad agitare i loro striscioni e cartelli.

    Mentre al megafono si succedevano i vari difensori improvvi-sati della riforma universitaria, Franois ebbe tutto il tempo di riflettere su se stesso, sul suo futuro e sul suo passato. A dire il vero, sapeva molto bene che non gli piaceva gran che la politica e neanche la medicina, bens larte e la letteratura. Aveva dovuto invece assecondare il volere di suo padre, il quale, come tutti a casa sua, sognava davere un docteur in famiglia. E non aveva potuto fare la bench minima obiezione, poich il suo impegno per gli esami di baccalaurat era stato brillante sotto tutti gli aspetti. I membri della commissione di materie scientifiche era-no rimasti sbalorditi tanto quanto quelli delle materie umanisti-che.

    Era, senza nessun dubbio, un individuo notevole, che avrebbe potuto emergere in qualsiasi campo di attivit professionale.

    Ci che laveva reso pi fiero, per, era stato lesame di greco, quando pot sfoggiare la sua padronanza dei classici senza biso-gno di aprire un libro.

    Lasci lesaminatore a bocca aperta quando cominci a reci-tare in lingua originale, interpretando il prologo dellAlcesti di Euripide e brani del coro che il professore si era divertito a citare a caso. Il giovane recit impeccabilmente il testo, diede la ver-sione in francese, coniug i verbi, distric i complicati nessi sin-tattici e persino gli artifici della metrica ionica.

    Per lui non fu poi tanto difficile, perch aveva gi affrontato simile impresa durante le lezioni di greco, in un recital che lui stesso aveva organizzato con il suo gruppo.

    Sent fremere le ragazze nel vederlo entrare in scena nei panni succinti di un giovane Apollo che tornava alla casa del re Adme-to per consolarlo, poich sua moglie Alcesti sarebbe dovuta mo-

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    rire al suo posto, vittima della vendetta degli dei e del suo stesso amore per il marito.

    ,

    , .

    ...O case di Admeto, ove fui costretto a servil mensa, pur essendo un dio...

    La rappresentazione aveva avuto un successo strepitoso e le

    ragazze lavevano coperto di mille elogi, come pure fecero i pro-fessori, ma lui se lera squagliata immediatamente per andar a far festa nel letto di Rosemarie, con cui aveva fatto per molto tempo le prove e che aveva appena finito di interpretare una deliziosa Alcesti.

    O sole, o luce del giorno, o nuvole erranti pel cielo... e-sord la Rosemarie-Alcesti, mentre Franois le andava sbotto-nando la camicetta.

    Il sole vede te e me, che soffriamo orribilmente le sus-surrava all'orecchio lApollo, che adesso stava impersonando lo sposo Admeto, eppure non abbiamo recato agli dei offesa alcuna per cui tu abbia meritato la morte.

    O terra natia, o casa paterna, dove c'era la mia camera vir-ginale, a Iolco! La ragazza era di gi sotto le coperte, con il dio-sposo completamente nudo al suo fianco.

    Fatti animo, o misera! Non abbandonarmi mugugnava Franois ad occhi chiusi, non tanto per ricordarsi la parte, quan-to per sentire fino allultimo il contatto magico con quella pesca vellutata che scivolava piacevolmente sotto il suo corpo. Pre-ga gli dei potenti di aver piet di noi.

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    Lasciatemi, lasciatemi; deponetemi al suolo, poich non posso pi reggermi in piedi gridava adesso unAlcesti forsen-nata, mentre Admeto perdeva anche lui il nesso tra il dramma e l'apoteosi, tra la felicit e la morte. LAde savvicina e le tene-bre mi coprono gli occhi. Figli, figli miei, la mamma non c pi. Vivete felici. Addio...

    Una scaramuccia aveva luogo in quel momento, l vicino. Un gruppetto di neo-fascisti gridava una serie dimproperi contro gli esaltati del libretto rosso. Immediatamente cominci la rissa e la polizia ne approfitt per avanzare e mettersi a percuotere a ca-saccio e a sparare i suoi petardi di gas lacrimogeno.

    Allora s che divenne un vero campo di battaglia davvero. Franois riusc a svignarsela, senza sapere come, fra lala dei neri e quella dei rossi, poco prima che uno sciame di divise bleu-nuit si riversasse sull'aiuola che laveva lasciato pensare in pace ai fatti suoi, fino allora.

    Quando entr nella metropolitana, di ritorno da casa Blan-chard, ai Sablons, Franois gi sapeva che aveva perduto la le-zione sulla vascolarizzazione dellencefalo e che avrebbe dovuto raddoppiare lo sforzo e il tempo dedicati allo studio dellargomento, per evitare sorprese dopo. Ma non resistette al suo hobby preferito.

    Per ci, invece di prendere la coincidenza per la citt univer-sitaria, si ferm alla stazione del Louvre ed entr direttamente nel museo.

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    Pens a Lucienne, soltanto quando si trov nella sala dei grandi quadri dellepoca napoleonica a contemplare il pannello dell'incoronazione dell'imperatore.

    Cera l il giovane Bonaparte, dalla statura maggiorata grazie alla visione cortigiana dellartista, mentre il papa malaticcio e contrariato inghiottiva il disappunto, alla ricerca di possibili casistiche che potessero giustificare il comportamento inedito del nuovo padrone del mondo.

    La novella consacrata Josphine, con quel suo atteggiamento composto da imperatrice-per-caso, cedette il posto al viso u-gualmente enigmatico di Lucienne, al momento del suo risveglio di poche ore prima. Ci che Franois trov pi strano di tutto fu il fatto di scoprirsi, l nel bel mezzo dei potentati di corte, in-dossando una divisa sproporzionata, che conferiva un pizzico dumore in pi alle sue divagazioni.

    Vide pure Rosemarie, con quell'aria da monaca rilassata, Ma-rie Mnuet, la sua prima innamoratina ad Aix, e Stphanie La-can, la cameriera che gli aveva svelato i primi segreti del sesso, tutte quante con i loro vestiti di broccato e di lino, a pigiarsi nel gruppo delle matrone di inizio Ottocento.

    Vide Leonard, Jean-Luc, Alfred, in divisa di gala fra i cadetti della truppa di scorta. Antoine Rouanet, uno dei suoi vecchi compagni di scuola, ancora ragazzino che fungeva da paggio al servizio della professoressa Marguerite, elegantissima nel suo vestito di seta ricamata con fili doro.

    Fra il clero, la sua immaginazione a briglie sciolte aveva mes-so vari amici di suo padre, Monsieur Philippe Pantin, il macella-io, il panettiere Paul Riquet, il calzolaio Jacques Bonsergent in-sieme ai suoi vicini di stanza, Louis Laumire, Michel Charen-ton, Richard Lachaise e Fabien Goncourt. Era una folla che an-dava aumentando progressivamente riempiendo la navata di Ntre-Dame e trasformandola in una Place de ltoile in pi,

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    mentre echeggiava una musica dorgano e di canto gregoriano frammischiati al voco delle guardie rosse e dei vari gruppi di manifestanti di alcuni giorni prima. Sentiva gli scoppi delle bombe a gas lacrimogeno, le grida dei percossi, gli zoccoli dei cavalli che battevano sull'asfalto e qualcuno che ripeteva il suo nome a bassa voce:

    Franois De la Roche. Franois. Era una signora anziana, che sembrava star parlando da sola,

    mentre, seduta al suo fianco nella sedia sotto la finestra e com-penetrata lei pure ad osservare il dipinto, ripeteva all'infinito il nome del giovane e un avviso:

    C un amico di Ramses II che taspetta da basso. Franois s'alz immediatamente e la moltitudine del quadro

    si mise a spingerlo in gi, verso il luogo dove sarebbe dovuto avvenire lincontro assegnatogli da estranei, al quale sentiva che sarebbe stato meglio sottrarsi. Scese lentamente la scalinata ba-rocca, come se stesse cercando la prima scappatoia per andarse-ne lontano, anche se per ci avesse dovuto rintanarsi nel labora-torio d'anatomia, ad annusare formalina e a districare arterie in pezzi di coscia di cadavere.

    Se ne and invece dritto dritto verso limmenso scantinato che ospitava il settore di egittologia e assomigliava piuttosto a un cimitero di faraoni.

    Cerano sarcofagi a non finire. Di tutte le misure. Alcuni aper-ti, che mettevano in mostra mummie anonime, completamente ricoperte dalle loro bende e sfilacciate vestimenta mortuarie o svelavano parte del volto raggrinzito o la punta dei piedi antichi. Non cera altro che morti, nel sotterraneo del Louvre.

    Ramses II lo stava davvero aspettando da molto tempo, nellangolino assegnatogli dagli archeologi di Napoleone dopo le furie cleptomani della campagna dEgitto e messo in discreta evidenza dagli addetti alle luci di De Gaulle.

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    Sotto lo sguardo dorato del faraone cera un uomo immerso in un cono dombra e immobile come una mummia in pi, eccetto il fatto chera seduto su una sedia a rotelle ed esibiva un faccione ben nutrito al di sopra di un vestito impeccabile che occultava il corpo obeso insieme alle gambe inutili.

    Ho un incarico da affidarti disse questi, con una voce doltretomba.

    Chi sei? domand tremando Franois. Puoi chiamarmi Ramses. Ma non avrai mai bisogno di far-

    lo. Ci saranno altri a dirti, giorno dopo giorno, che cosa fare. Tu dovrai soltanto obbedire. La voce dellhandicappato suonava come unimposizione, nonostante non ci fosse ragione perch Franois si sentisse in obbligo.

    Perch dovrei obbedire agli ordini di chicchessia? La polizia ti sta alle calcagna. Franois impallid, ma il

    Ramses paraplegico neanche lo stava guardando in faccia e pro-seguiva con la sua voce monocorde: In questo momento, ti stanno cercando alla casa dello studente. Il tuo primo compito consister nel lasciar che le cose facciano il loro corso. In pri-gione qualcuno ti dir il da farsi. Non ti preoccupare. Ci sar pure chi bader a farti prosciogliere. Segui le istruzioni e tutto andr per il meglio.

    Certo che sono preoccupato riusc a ribattere il giovane con quel filo di fermezza che ancora gli restava. Sono soltanto uno studente in medicina. Non voglio mettermi a far cose che non so.

    Sappiamo tutto di te. Conosciamo le tue qualit e i tuoi punti deboli. Se ti rifiuti, la tua scheda completa finir nelle ma-ni della Sret e metterai in una brutta situazione anche Lu-cienne, Rosemarie, Stphanie, Emmanuelle, Lorette...

    La sedia a rotelle si mosse, con un ronzio dape sperduta e la-sci il nuovo adepto davanti alla mummia, immobilizzato dal

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    terrore per lo sconosciuto, pi che per la paura della morte, e sconvolto dalle indefinite minacce che scuotevano la sua spina dorsale con brividi pi intensi di quelli prodotti dal macabro ambiente.

    Lo portarono in prigione senza contestazioni non appena eb-be messo piede alla casa dello studente. I compagni rimasero tutti sullentrata e sarebbe bastato un segno da parte di Franois per scatenare uno scontro con i gendarmi.

    Ma sapevano benissimo che la polizia stava arrestando molti studenti semplicemente allo scopo di sottoporli a interrogatorio e rilasciarli subito dopo. Inoltre latteggiamento tranquillo di Franois aveva suscitato pi un frisson dammirazione che vel-leit bellicose, soprattutto fra i colleghi provenzali.

    Dovette rimanere in una cella strapiena di carcerati di tutti i tipi: laria era carica dellodore di quellestratto di scorie dei sot-tofondi parigini. Dovette stare due ore in piedi, a fianco di un gigante barbuto che, ogni cinque minuti, sprigionava uneruttazione rumorosa con la stessa libert di un naufrago su di un isolotto deserto.

    Per un istante Franois pens persino allipotesi che un medi-co pazzotico avesse prescritto allenergumeno quella emissione periodica di gas, come misura di sicurezza per alleggerirlo dai cattivi pensieri propiziati da quellambiente deprimente.

    Lidea spiritosa forn a lui pure loccasione di dare certo sfogo alla profonda frustrazione che laveva sommerso.

    Seduto in un angolo cera un uomo di mezza et, che doveva essere stato arrestato anche lui da poco. Se ne stava infatti tutto imbacuccato nel suo cappotto alla Humphrey Bogart e con in capo un cappello a larghe falde, tanto da sembrare appena uscito dalla sequenza finale di Casablanca. Il volto lungo, segnato da solchi profondi e gli occhi sbarrati, con cui lo fissava silenziosa-

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    mente, gli conferivano unespressione dolorosa, soprattutto quando tentava di abbozzare un sorriso.

    Mentre gli altri continuavano a chiacchierare o a pensare a se stessi, lo strano personaggio cominci allimprovviso a recitare una poesia di Jules Laforgue, Riguer nulle autre pareilles, che Franois riconobbe immediatamente, perch laveva dovuta im-parare a memoria quando faceva la terza media.

    Dans un album,

    Mourait fossil Um granium

    Cueuillit aux les.

    uninterpretazione fantasiosa di ci che avrebbe detto una statuetta davorio, raffigurante un trovatore, a un geranio rac-colto nelle colonie, morente fossilizzato in un album.

    Un fin jongleur En vieil ivoire Rallait la fleur Et ses histoires.

    Il trovatore, nellimmaginazione del poeta simbolista, stareb-

    be irridendo il fiore che si vantava di aver molte storie da raccon-tare. Il fiore gli chiede un po di requie, mentre il trovatore cru-dele gli augura invece uneterna inquietudine.

    Un rquiem! Demandait-elle.

    Vous naurez rien, Mademoiselle!...

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    De quatre en quatre, Les premires six. Quarante quatre,

    Mieux quobisses.

    Alle dieci giunse lordine di uscire per il bain-de-soleil. Era la ricreazione imposta ai carcerati, nel grande cortile della prigio-ne. Franois si mise in fila con quei compagni sconosciuti e in-cominci a ripetere lui pure, mentalmente, la poesia di Laforgue che limprovvisato dicitore aveva appena finito di recitare.

    De quatre en quatre, les premires six si mise a riflette-re. Che significa? Questa frase non c nella poesia. Sorrise ricordando la maniera con cui lo aveva guardato quello strano tipo: aveva la faccia di un cobra, pronto ad accecarlo.

    Di quattro in quattro, le prime sei ripeteva. Quattro che cosa? E il resto della frase?

    A un certo punto, prese a contare le lettere dei primi versi e si rese conto che il cobra voleva trasmettergli un messaggio, la cui chiave si trovava in quella frase apparentemente senza senso. E il destinatario era proprio lui.

    Le lettere formavano la parola d.u.b.o.i.s. e quaranta quattro doveva essere il numero della via, sicuramente vicino al Bois de Boulogne, dove avrebbe dovuto incontrare qualcuno o qualcosa. Ed era meglio che obbedisse, minacciava per giunta la strana poesia.

    Torn in cella demoralizzato e frastornato come un vero e proprio galeotto. Aveva perduto il controllo della propria vita. Si sentiva invischiato in una improvvisa trappola e il senso di colpa che cominciava a impadronirsi di lui gli impediva persino di at-tribuire la responsabilit ad altri.

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    Labitudine allhashish, innocua allinizio, aveva avuto il so-pravvento sulla sua capacit di volere, diventando presto una necessit imprescindibile per calmare le sue ansie e per fornirgli una costante sensazione di fiducia in s. E la stessa attrattiva per la caccia alle belle donne, che aveva costituito un motivo dorgoglio uguale o maggiore di quello dei suoi successi scolasti-ci, si trasformava adesso in un motivo di disappunto e di rimor-so.

    Pass il resto del tempo in prigione a rimuginare sulla sua ri-volta silenziosa contro lingiustizia che gli stavano infliggendo, privandolo persino della capacit di difendersi.

    Tuttavia ebbe chiara la dimensione della voragine in cui era caduto soltanto quando il direttore del carcere lo chiam per sottoporlo a interrogatorio.

    Franois De la Roche, perch ti sei andato a mettere con quei fannulloni arruffapopoli? Non avevi di meglio da fare? Tu, uno studente sempre cos brillante e giudizioso incominci con tono paterno il signor Laparrette, mentre sfogliava uno scar-tafaccio che doveva essere la sua pratica personale.

    Fu una predica come si deve, con tutti gli ingredienti dellammonimento, della seduzione e persino della pi sfacciata intimidazione.

    Perch mai, a un tratto, tutti sembrano cos interessati ai fatti miei? Chiss se qualcuno non si dato la pena di pubblicare persino la relazione giornaliera dei miei pensieri? pens il giovane. Che succede a tutta questa gente? reag infine con mal dissimulata calma.

    I tuoi genitori rimarranno sicuramente delusi, nel venire a conoscenza di questo tuo atteggiamento rincarava la dose il vecchio tignoso. Sono persone disciplinate e patriottiche. Non potrebbero neanche immaginare che il loro figlio, cos intel-

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    ligente e studioso, se la sarebbe andata a fare con quei fetenti nemici della patria.

    Vecchia canaglia grugniva a bassa voce il giovane, guar-dando sottecchi quel verme pallido e sconcertante. Mi gette-rebbe in faccia persino sua madre.

    Cos la patria? continu a contestare in silenzio, con gli occhi che sprigionavano faville di rivolta e di disprezzo. questo fior fiore di rifiuti umani che sono riusciti a riunire in un solo posto? O quelle mummie rubate da cimiteri stranieri? O chiss quei trafficanti di merde, a cui non importa un bel niente se francese o giamaicano o turco colui che creper nel consu-mare le loro merci del diavolo? Chiaro che mi piacerebbe crede-re, come mio padre, in una terra ricca di cultura, di arte, di beni e di potere, perch no? E invece guarda un po che bella roba mi stanno offrendo!

    La vecchia canaglia aveva continuato la sua reprimenda ter-minando alla fine, con il proscioglimento del giovane.

    Grazie alla tua parentela e a certi amici che ti trovi intor-no, mi vedo obbligato a lasciarti in libert anche perch sei un reo primario. Ma bada bene, per, che potresti ritornare da un momento allaltro e allora verresti trattato con tutto il rigore della legge.

    Crepa! pens Franois. E se ne usc da quella bolgia pensando ai begli amici che si era procurato.

    Nella Casa dello Studente laccolsero come un eroe, ma cer-c di smorzare lentusiasmo dei colleghi con la scusa dello stu-dio in pi che laspettava per il recupero del tempo perduto.

    Chi te lha detto che ci saranno esami questanno? anti-cip Jean-Luc. tutto fermo e nessuno in grado di scom-mettere niente quanto alla ripresa delle lezioni.

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    Gioved, 21 marzo 1968. Oggi comincia la primavera, ma ancora fa molto freddo a Pa-

    rigi. Le burrasche di neve sembra che non finiscano mai. Ed io che debbo uscire tutte le mattine alle sette per prendere la me-tropolitana, fino alla stazione di Montmartre ed affrontare unquipe di professori, uno pi seccante dellaltro. Ma devo ammettere che mi incantano le loro materie. Perch mai i profes-sori migliori devono essere sempre i pi insopportabili? Larte dovrebbe render le persone pi comprensive e serene. E invece diventano tutti nevrotici e truculenti, come se il talento che hanno ricevuto dalla natura arrogasse loro il diritto di imporsi agli studenti con male maniere. Venerd, 22 marzo 1968.

    Son gi passati quindici giorni da quando la Sret ha bussa-to alla mia porta. I miei genitori sembra che si siano un po di-menticati il pandemonio che il commissaire Targut aveva mon-tato sullepisodio. I miei colleghi dicono che i liceali si stanno mobilitando pure loro a favore di una riforma dellinsegnamento universitario. Alla fin fine saremo noi le vittime dellimmo-bilismo secolare che ci sta facendo perdere terreno di fronte ai paesi pi arretrati. Mia madre molto apprensiva perch ha sen-tito anche lei certe voci e mio padre sembra sempre sul punto di esplodere, a causa dellincertezza che io possa terminare lanno scolastico. Ed ha pienamente ragione, poich mi toccherebbe in ogni caso rimandare i miei esami di baccalaurat. Sabato, 23 marzo l968.

    Sono al settimo cielo. Jeannette mi ha dato notizie dellAbisso. Mi ha rattristato un po il fatto che, a quanto pare,

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    labbiano trattenuto alcuni giorni al commissariato dellle-de-la-Cit, ma lo hanno prosciolto senza ulteriori complicazioni.

    Non vedo lora di incontrarlo. Chiss se si ricorda ancora di me? Come sarebbe bello se si fosse davvero invaghito. Io sarei la ragazza pi felice del mondo. Qualcuno lha visto nei paraggi. Forse stava cercando di rintracciare casa mia non ricordandosi pi lindirizzo esatto?

    Franois aveva perduto un pomeriggio alla ricerca del numero 44 di via du Bois. Per questo aveva percorso tutto il quartiere dei Sablons, ma aveva evitato di proposito di passare davanti a casa Blanchard, per non correre il rischio di vedere Lucienne, di cui adesso si ricordava fin troppo bene. Jeannette, vicina di casa e compagna di scuola di Lucienne, era insieme con lei sulla metro-politana, quando costei conobbe Franois. Ed era stata proprio lei a telefonare alla cugina di Lucienne, Mariette, che non ci sa-rebbe stato bisogno di venire a casa sua, poich sarebbero rima-ste insieme a studiare tutta la notte. Questa versione delle cose, inventata l per l dalla sua amica e complice, aveva risparmiato la ragazza da ulteriori disagi quando lispettore Targut aveva voluto approfondire la relazione di Lucienne con Franois. Era stata anzi la stessa Jeannette che aveva tranquillizzato il signor Blanchard, giurando che Franois era solo che un vecchio com-pagno di scuola, senza altre implicazioni con i fatti che avevano giustificato le indagini della polizia.

    Quando gi aveva desistito, sullimbrunire, Franois era anco-ra in piazza LAtre de Tassigny, proprio davanti ad una delle due entrate del parco, nellesatto momento in cui i negozi tuttintorno alla piazza circolare illuminavano le loro insegne e vetrine, in attesa di numerosi bohmiens e turisti. Fu allora che

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    comprese realmente il messaggio dellHumphrey Bogart della prigione. Proprio davanti a lui cera infatti il Restaurant du Bois che faceva locchiolino al parco con centinaia di luci colorate.

    Si mise immediatamente alla ricerca del tavolo numero 44, con la sicurezza e allo stesso tempo il timore di chi sta andando incontro al proprio destino. Il ristorante era completamente vuoto, mentre alcuni camerieri erano occupati a togliere la pol-vere dalle decine di bottiglie di vino adagiate sugli scaffali di legno vicino alla cassa. Non si trattava di un ristorante di lusso, ma non gli mancava niente di quellaria accogliente e bonacciona delle trattorie genuinamente francesi che incantano tanto i turi-sti stranieri e li fanno sentire come se fossero a casa propria, non meno di qualsiasi cliente di provincia.

    La scopr sotto una pergola di plastica, con grappoli duva bianca e nera, grandi pampini e forme di formaggi appese con grazia contadina. La tavola era coperta, come tutte le altre, da tovaglie ricamate con motivi floreali, che andavano daccordo con le sedie, simili a troni reali, in grottesco contrasto con la rusticit dellarredamento.

    Il cassiere doveva essere il padrone, poich non usava lo stes-so abito di velluto bordeaux dei camerieri. Lintenzione sicura-mente era di vestirli come contadini del settecento, con il berret-to della stessa stoffa, sovrastato da un bel pompon, rosso come il foulard che portavano annodato alla vita, e che li rendeva inve-ce molto pi simili a un drappello di marinai. Egli se ne stava dietro uno scrittoio di noce abbrunita dal tempo, con a fianco un centenario registratore di cassa solennemente sistemato, da sembrare solo un monumento in pi, invece di essere un magni-fico esemplare di quella stessa invenzione, cos francese quanto larte culinaria che aiutava ad amministrare.

    Non appena Franois si fu seduto, il padrone, o direttore del ristorante fece un sobrio segno a uno dei camerieri, che colse

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    subito la presenza del primo commensale della serata e and immediatamente a stendergli davanti il voluminoso mnu in cuoio riccamente lavorato.

    Bienvenu, monsieur ruppe il ghiaccio lossuto ganime-de, prodigo di salamelecchi.

    Buona sera tagli corto il giovane cliente. Un bic-chiere dacqua soltanto, sil-vous-plit.

    La silhouette flessuosa e longilinea del garon quasi sera irri-gidita come un immenso punto esclamativo, prima di dinocco-larsi in una sinuosa interrogazione, doppiamente punteggiata dagli occhi spalancati.

    Sono Franois De la Roche lo perfor con il suo sguar-do dritto e sereno laltro, affogando in un effluvio azzurrino la perplessit persistente dellinterlocutore.

    Il cassiere, insieme agli altri camerieri, aveva seguito la scena da lontano e immediatamente, come avrebbe fatto un padrone di casa, si alz dallo scrittoio e venne a mettersi proprio davanti al cliente, svelando un ridicolo grembiule fissato con grandi spille da balia allaustero vestito da gran gala. Se non fosse per lestrema seriet dellintenzione, Franois si sarebbe lasciato andare a una clamorosa risata.

    Pardon, monsieur si scus lanfitrione, mentre allonta-nava senza altre cerimonie il servo che a quellora si trovava completamente sbalordito. Il signore potr scegliere a suo piacere i piatti che pi le convengano. un omaggio della casa e sostitu in un batter docchio il mnu portato dal cameriere, con un altro, dallapparenza molto pi modesta, dalla copertina di cartoncino rivestito con cellophane. Questo, il signore po-tr portarselo a casa si giustific.

    Stavolta, chi rimase trasecolato fu Franois, mentre i camerie-ri cominciavano a bisbigliare tra di loro e cercavano di sviare lo sguardo quando si rendevano conto che il padrone li stava osser-

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    vando. Il volto del giovane omaggiato andava rilassando le rughe artefatte, man mano che procedeva nella lettura del malloppo, senza perdere tuttavia quellaura di seriet composta, illuminata dalla cornice dorata della sua chioma.

    Il mnu era in effetti unagenda, che prevedeva vari particolari della sua vita, per i prossimi cinque anni.

    Mnu Beverages: Aperitifs:

    Scotch - Gin - Campari - Vodka. Continuare normalmente gli studi. Abban-donare la politica e il vizio. Corteggiare Lucienne Blanchard. Chiedere la sua mano per la prossima festa di San Valentino.

    Vins: Rouge/blanc - Bire - Liqueurs - Cognac. Distinguersi nelle attivit tradi-zionali del paese. Gita culturale per le vacanze estive: con Lucienne, interno della Francia e dellItalia. Corrispondenza sempre attraverso la casella postale 3247 delle

    poste dellOpra.

    Couvert: Petit Pain - Beurre. Viaggio di Lucienne da sola: Grecia, Egitto e Israele. Fran-ois da solo: Turchia, Iran, Singapore e Tailandia.

    Hors-d'Oeuvre: Terrine de Saumon et Sole. Matrimonio maggio 1974. Viaggio di nozze in Canada. Formazione di quipes per la produzione e la distribuzione della mercan-zia a Toronto, Montreal e Niagara Falls.

    Entre: Suprme de Poulet Crecy - Haricots Verts au Beurre - Riz au Safran. Organizzazione dellimportazione dallAmerica meridionale. Viaggi in Cile, Per, Bolivia e Colombia.

    Dessert: Tarte au chocolat - Caf du Brsil. Organizzazione della rete di New York. Intercambio con le reti di Detroit e Los Angeles

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    Franois era ormai deciso a prendere sul serio lorganizzazione senza pi domande o recriminazioni. Aveva persino cambiato il suo stile personale, nelle relazioni con i colle-ghi e amici. Adesso era pi riservato e cauto. Evitava le polemiche e sviava sempre il discorso, quando qualcuno lo provocava a dare dichiarazioni di spunto politico.

    Ma nonostante tutto cercava sempre di dimostrare molta se-renit. Il che aveva contribuito a renderlo ancor pi ammirato e disputato, tanto per lo studio in gruppo, che per i divertimenti.

    In occasione della settimana santa, approfitt per far visita ai genitori e la loro tenuta divenne presto il centro delle feste di tutto il villaggio. Franois fu coccolato non soltanto dalla mam-ma, donna Gnvive, ma da tutti i parenti e conoscenti senza distinzione. E doveva pur ammettere a s stesso che tutto ci gli piaceva moltissimo, soprattutto dopo essere passato per unesperienza cos traumatica che laveva posto di fronte a un progetto di vita totalmente estraneo ai suoi sogni e ai suoi ideali.

    Gli piacevano le lunghe passeggiate per i campi di grano an-cora verde, ma gi abbastanza cresciuto, e alle volte si intratte-neva a contemplarlo mentre ondeggiava sotto la brezza dellimbrunire, con i suoi riflessi mutevoli che accompagnavano sommessi il sibilare del vento. E presto il pensiero divagava in unincursione capricciosa, attraverso i ricordi dellinfanzia o tra le brume dellipotetico futuro, ormai sbozzato da altri. Le ombre degli ulivi sparsi per la campagna si allungavano adagio adagio, come delle grandi gonne bige, sulle onde del frumento sottostan-te, fino a svanire in una macchia unica e imprecisa, mentre Fra-nois cercava di delineare con fattezze meno nebulose gli avve-nimenti, i volti e le cose che popolavano il suo mondo immagini-fico del mai avvenuto.

    In certi momenti si trovava a chiacchierare con una donna dalla fisionomia andina, come alcune viste in certe illustrazioni

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    dellenciclopedia. Costei portava sul dorso un bambino il quale, appeso allaguayo, uno di quei drappi tipici dai mille colori, lo fissava con gli occhi spalancati, dietro la spalla di sua madre.

    Questultima stava parlando in una lingua strana, ma Fran-ois riusciva, con sorpresa, a cogliere perfettamente il senso di quel che gli voleva dire.

    La voce del vento non sar mai scritta nei libri, perch il fuoco la brucerebbe e la pioggia la bagnerebbe diceva lindiana, e poneva in mostra le otturazioni doro e i vari denti cariati. Aveva il cappello di feltro e i vestiti delle abitanti degli altipiani andini.

    Ma il vento pu spegnere il fuoco e asciugar lacqua in-terloquiva Franois, come se stesse seguendo una linea di ragio-namento tutta sua. Vince sempre il pi forte.

    Nessuno pu vincere se stesso. Sarebbe come bisticciare con la propria madre continuava lindiana, ridendo. E il resto del dialogo era piuttosto un vero e proprio monologo che lasci Franois convinto di trovarsi di fronte alle reminiscenze dei so-netti di Pablo Neruda. Nessuno riesce a fermare il fiume dellaurora. Nessuno riesce a fermare il fiume delle tue mani, gli occhi del tuo sogno. Tu sei il fremito del tempo che trascorre fra la luce verticale e il cupo sole...

    Con Antoine Rouanet, con il quale si era rincontrato anche lui in visita ai suoi in occasione delle festivit pasquali , aveva organizzato una festicciola, quasi un addio alla vita da scapolo, nella tenuta dHenriette Vendme, la giovane padrona dellunica trattoria del villaggio.

    Franois se ne stette con Marie Menuet, che non vedeva da quando aveva lasciato la casa paterna per seguire i suoi studi liceali a Grenoble.

    Devastarono la cantina centenaria, scolandosi innumerevoli bottiglie di riserve immemorabili. Corsero a cavallo per i campi,

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    sotto la luce della luna pasquale, ormai quasi abbacinante. Balla-rono e cantarono a pi non posso e infine andarono a dormire nella pi grande euforia.

    Franois era entusiasta di quel revival con la sua prima ra-gazza. La trov identica a come laveva conosciuta in passato e le molteplici esperienze con donne di varie et con cui si era messo in seguito non avevano cancellato per nulla quellimmagine soa-ve e allo stesso tempo maliziosa di cui tanto aveva goduto nei suoi primi fervori giovanili.

    Quella sera di mercoled santo, nessuno riusc a dormire nella tenuta dHenriette Vendme e lesercito di galli campestri che annunciavano laurora per tutto il vicinato, riuscirono con diffi-colt a coprire i sussurri e i gridi che continuavano a inondare la cascina in piena mattinata.

    Cos avvenne che il gruppo festaiolo neanche si rese conto che cera stato un Gioved Santo, 11 aprile 1968. Ma si ritrovaro-no tutti quanti, puntuali e gi in pieno possesso delle loro facolt mentali, alla cerimonia della Via Crucis, il pomeriggio di venerd. Anzi Antoine si era preso limpegno di far la parte di Ges Cristo nella crocifissione e Franois ne aveva fatto addirittura una que-stione donore, di partecipare serio e compunto a quellatto sa-cro, nonostante il conflitto interno per la sua incipiente perdita di fede e il suo radicale libertinaggio.

    Antoine fu estremamente convincente nel sostenere il suo ruolo e arriv al punto di strappare lacrime sincere non soltanto alle donne, perfino quelle stesse che avevano partecipato alla festa due giorni prima, ma anche e soprattutto agli uomini di tutte le et che seguivano la rappresentazione della Passione.

    La commozione generale, tuttavia, si trasform in vera e pro-pria costernazione ed orrore, quando, alla fine della messa in scena, i circostanti si avvidero che Antoine stava versando un

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    fiotto di sangue vero, dalla ferita che la lancia del centurione avrebbe prodotto nel petto di Ges Cristo.

    Franois rimase di stucco al riconoscere la faccia di quel sol-dato romano, che presto era svanito nello stesso nulla da cui era appena uscito pochi minuti prima: aveva quello sguardo incon-fondibile da cobra, con cui laveva trafitto in prigione, quel de-linquente camuffato da Humphrey Bogart.

    Con la differenza che adesso costui era lassassino del suo mi-glior amico.

    Gioved, 30 maggio 1968.

    Difficilmente potr portare a termine il mio corso darte. Ne approfitter per visitare la mostra delle opere grafiche di Marc Chagall al museo darte moderna e per vedere qualche altra novi-t altrove.

    Le manifestazioni studentesche si stanno intensificando e giorni fa ho preso parte anchio a una sfilata, insieme ai miei compagni di classe, ai Champs lises. Ho gridato e ho cantato la Marsigliese, a fianco di Jean-Paul Sartre e di altri intellettuali che hanno aderito al movimento degli studenti. Non ho avuto paura di essere arrestata, come gi successo allAbisso. Venerd, 31 maggio 1968.

    Ero gi disposta a ricominciare a studiare, sia pure nellincertezza di poter fare gli esami di baccalaurat. Ma av-venuto limprevisto pi desiderato della mia vita: LAbisso tor-nato. Non incredibile? E per giunta tornato a me.

    Adesso so davvero cos la felicit. Ma purtroppo, sto impa-rando anche e a spese mie, cos lincertezza e lansia. Perch la

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    vita fatta cos? Perch tutto ci che c di buono al mondo deve pur finire un giorno?

    Ciononostante, voglio tuffarmi in questavventura emozio-nante e pericolosa. Sono sicura che ne vale la pena.

    Sabato, 1 giugno 1968.

    Non so cosa gli succeda. Mi sorprende a ogni pie sospinto. Da tanto audace e focoso che mi era sembrato la prima volta, adesso diventato silenzioso e timido. Direi quasi circospetto. E mi dice che vuole abbandonare completamente ogni attivit po-litica e pensare solo agli studi. E che anchio devo preoccuparmi solamente dei libri e degli esami. E se ho avuto una cattiva im-pressione di lui, quando lo vidi fumare lhashish, adesso posso esser sicura che ci non si ripeter mai pi.

    Io invece sto diventando sempre pi disinibita e credo che presto finir per perdere la testa. Ho perfino paura che lui mi giudichi una di quelle. Voglio soltanto abbracciarlo e baciarlo a non finire. Non so pi dove nascondermi per non farmene accor-gere dai miei genitori e dalle amiche. Non penso ad altro. E lui sa molto bene come farmi arrampicare sui vetri. Arriva sempre pi frequentemente a casa di Jeannette, che abita con una collega anche lei studentessa in medicina. Io ci vado con la scusa di stu-diare con Jeannette e cos posso approfittare per passare alcune ore indisturbata con lui, tutti i giorni.

    Domenica, 2 giugno 1968.

    Oggi son rimasta un po di pi a... studiare con Jeannette. LAbisso venuto e abbiamo chiacchierato a lungo riguardo la politica, larte, la letteratura, il passato ed il futuro. Lui pensa che finir per sposarsi con me. Te lo immagini? Ha appena com-piuto diciannove anni e io ne ho soltanto diciotto. Dipendesse da

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    lui, lanno venturo festeggeremmo il nostro compleanno con lanello di fidanzamento al dito. Che buffonata!

    Ma io voglio solo amarlo. E ci mi basta. E come sa bene quel che mi rende ossessa! E non mi sazio mai.

    Lo voglio, senza sosta. Vado agli appuntamenti con lui gi senza biancheria. Voglio sentire la mia pelle nuda sotto le vesti. Daltronde primavera. E mi piace infinitamente impregnarmi del profumo dellaria e delle fragranze dei giardini, quando cammino per strada.

    E lui arriva e ha una gran voglia di chiacchierare. Dolce e po-sato, irradia quel suo sguardo azzurro, offuscato dalla corona doro dei capelli. Non pu esistere niente di pi bello e buono al mondo. E quando le sue mani incominciano a toccarmi, non im-porta dove, io mi metto a navigare nella quarta dimensione. E lui mi bacia e sembra che la vita voglia uscire da me come un gettito dintensa dolcezza. E i miei capezzoli sirrigidiscono e il mio cuore li spinge in una danza frenetica. E lui mi tocca soavemente in ogni angolo del mio corpo e mi bacia e mi succhia e mi mor-dicchia e mormora al mio orecchio e mi lecca e finalmente entra fin in fondo alle mie viscere, per strappare quel che resta delle mie forze e delle mie certezze e dei miei dubbi, e riversa tutto nel turbine di un luminoso niente.

    Come sar il mondo dopo tutto ci? Che ne sar di noi? Chi risponder del bene e del male, al tribunale del tempo? Io no. Di questo almeno ne sono sicura.

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    .2 IL MASSACRO

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    ERA stato avvisato dal Condorito circa la data e lora. Questi gli aveva fornito anche la parola dordine.

    Tutte le volte che lo vedeva allontanarsi, dopo ogni contatto, Roberto rimaneva per alcuni istanti a chiedersi come poteva riuscire a sfuggire a una polizia cos attenta un individuo cos notevole e singolare.

    Forse per via di quel sorriso, un po triste, un po' gioviale, pe-rennemente appeso allimmenso naso? O forsde era quellandatura dinoccolata, pi da cammello che da llama, che lo rendeva meno sospetto per merito dellaura di disinvoltura che gli restava appiccicata, mentre annunciava e subito cancellava ogni pista?

    La strada era una serpentina di schegge di basalto che le con-ferivano un aspetto da dinosauro steso da millenni al sole andi-no. Laria gelida fasciava il suo volto con nastri di spilli e lasciava i raggi solari disseccargli le labbra e la pelle. La salita era deserta fino alla curva che riusciva a intravvedere al di sopra delle ciglia ghiacciate.

    Si rese conto all'improvviso che c'era una ragazzina ferma allangolo quando quel mucchio di panni dai colori sgargianti lo raggiunse con la sua voce da clarinetto:

    La puerta del sol, caballero? Cosa? Era stato soltanto leffetto della sorpresa, perch, ancor prima

    di girare gli occhi verso di lei, aveva associato a quelle parole tutto ci che gli aveva martellato il cervello nelle ultime dodici ore.

    Atahuallpa! Non dovrai rispondere altro , aveva detto il Condorito, senza spegnere il suo perenne sorriso da Gioconda.

    Atahuallpa le rispose Roberto e fu allora che not gli occhi della ragazza. Soltanto gli occhi neri emergevano da sotto il cappello di feltro, copia perfetta di tante migliaia che ormai da

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    tempo conosceva cos bene: ritagliati sulla pelle di terra, come olive di porcellana, segnati da ciglia scure e forti. Il resto del viso e del corpo ondulava armoniosamente insieme alla gonna, al grembiule, al corpetto e allo scialle che lo guidavano al luogo dellincontro.

    Percorse insieme a lei il labirinto di vicoli e camminamenti bizzarri che sembravano costruiti apposta per depistare even-tuali ficcanaso. Cerano tratti che avresti supposto senzuscita, ma subito spuntava un passaggio insospettato o una scala di legno o semplicemente cera da fare un salto persino di mezzo metro o da scavalcare un muretto. Roberto aveva rinunciato quasi subito a fissare in mente litinerario, fiducioso nella previ-denza dellorganizzazione, quanto al ritorno. Lo stesso edificio dove si erano introdotti era un complicato rompicapo di porte, stanze, scale, tutto quanto nella penombra e nellumidit di una costruzione incompiuta. A ogni istante doveva schivare unasse inclinata lasciata l a sostegno di una travatura o di una gettata di cemento. Improvvisamente la luce fioca di una fenditura gli segnal in tempo la presenza di uno spuntone di ferro sporgente da una parete, risparmiandogli danni irreparabili alla vista o una ferita alla fronte.

    La cholita scivolava senza una parola e il minimo rumore in quello zigzag di ombre e di luci, entrate e uscite senza fine.

    Quando meno se lo sarebbe aspettato, una porta di assi rusti-che apr loro il passaggio verso una sala le cui pareti erano rive-stite da antica carta da parato, impolverata da anni, con un pul-viscolo impalpabile e appiccicoso che conferiva ai colori della decorazione floreale unapparenza stanca.

    Ledificio incompiuto era evidentemente appoggiato alla co-struzione antica, la cui entrata era stata eliminata, e litinerario appena percorso era lunica via di accesso agli appartamenti alti

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    del palazzo di adobe, che li avrebbe protetti da sguardi indiscre-ti per almeno due ore.

    La stanza era arredata modestamente con un vecchio divano accostato a una finestra di legno. Una tendina di plastica, che aveva la pretesa dimitare un fine merletto bianco, vi si adagiava con l'abbandono di una donna innamorata. La finestra era erme-ticamente chiusa da assi di legno inchiodate a sostegno anche della fessura della parete, mal dissimulata dai raccordi delle stri-sce della carta da parati, lungo il lato sinistro dellinfisso.

    Vista dalla strada, la costruzione doveva sembrare ai passanti un castello fantasma con il vecchio intonaco scrostato che met-teva a nudo le ferite dei blocchi di adobe sovrapposti nei secoli dagli antenati, dotati di una invidiabile saggezza nelledificare case e palazzi senza l'aiuto di cemento di nessun genere.

    Attraversarono la sala, passando dalla penombra del salotto alla luce sommessa di due lumi a gas appesi alla parete opposta. Nel bel mezzo cera un tavolo coperto da un tappeto marron e le sedie attorno erano occupate da uomini e donne che chiacchie-ravano a bassa voce.

    Quando Roberto entr, la piccola guida si era dileguata. Sol-tanto il giovane barbuto seduto a capotavola davanti a lui aveva notato la sua presenza. Si alz e in modo gioviale, ma contenuto, gir intorno al tavolo per raggiungerlo con la mano tesa e chia-mandolo con la familiarit di un vecchio amico:

    Ol, viejo. Qu tal? Bin, no ms. Y tu? Laveva riconosciuto subito. Era Al-

    varo dellUnione degli studenti liceali di Pucaranga. Cos successo a Pucaranga? Ho saputo che l'Armata Stu-

    dentesca non voleva che fossi tu il rappresentante. Solo in un primo tempo. Pensavano che il braccio politico

    dellUnione avrebbe ceduto facilmente alle proposte demagogi-che del ministro della pubblica istruzione e lavrebbe rotta con il

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    braccio armato, facendo cos il gioco del governo. Ma sembra che il malinteso sia stato chiarito e tutto va col vento in poppa. E adesso siamo qui per veder se spunta fuori lo sciopero generale.

    Sai bene che ne pensano le comunit di base, soprattutto i contadini della zona sud: non ne vogliono neanche sentir parlare di spargimento di sangue fraterno. Ormai sono tutti stanchi di vedere la violenza spadroneggiare nei nostri quartieri. E daltronde un governo di macellai come il nostro non sentir neanche il solletico al gracidare dei nostri mitra.

    Mentre parlava, Roberto aveva dato unocchiata intorno ed aveva notato il grande affresco della parete al di sopra della porta dentrata. Era uno dei tanti esempi di quei capolavori dell'arte popolare che adornavano la maggior parte dei muri e molte fac-ciate degli edifici del centro delle citt, spuntati quasi magica-mente negli ultimi giorni, con una frequenza e una rapidit che la calce del municipio non ce la faceva a cancellarli tutti. E chiss che la bellezza espressiva di tutti quei volti e spalle e gesti so-lenni, quelle nervature delle mani ciclopiche che sorreggevano armi e scritte, o quellaura mistica irradiata dalle frasi incise sul-la pietra da militanti ispirati, non avrebbero impedito agli stessi esecutori del loro annientamento di eseguire gli ordini del potere superiore?

    Il silenzio degli oppressi rimbomba pi alto degli altoparlan-ti dei potenti, cera scritto a caratteri cubitali sopra le spalle di uomini e donne che sprigionavano un indicibile senso di rivolta dalle rughe dei loro visi angolosi.

    Ci chiamano sovversivi perch vogliamo farla finita con i lo-ro bagordi e le loro orge, dicevano giovani ordinatamente rag-gruppati in file numerose, con libri e fiori tra le mani.

    il risveglio della coscienza collettiva, dopo lanestesia della dittatura sentenzi Alvaro con tono pacato.

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    Ma debbono succedere ancora molte cose prima che i gio-vani tornino ad essere la vera truppa dassalto che sempre hanno costituito per la nostra nazione.

    La dittatura non ancora finita gli ricord Roberto. Sembra invece ancora pi truculenta di prima.

    Siamo qui proprio per affrontarla chi aveva parlato era il vicino di sinistra. Barbuto anche lui, ma con il viso ascetico che si perdeva in un guazzabuglio di capelli pi rossi che biondi, mentre il celeste annacquato dei suoi occhi si salvava a malapena da quel naufragio, grazie al fluttuare assente delle lenti a fondo di bicchiere. Lo spagnolo strascicato ne tradiva lorigine stranie-ra e Roberto rimase sbigottito nel sapere che era proprio lui il recentemente eletto presidente nazionale dei docenti universita-ri.

    Comera riuscito ad arrivare a quel livello, malgrado la xeno-fobia ufficiale e la ritrosia degli stessi quadri sindacali?

    Alvaro ebbe appena il tempo di presentargli in modo sbriga-tivo gli altri partecipanti alla riunione, quando il presidente ini-zi il suo discorso. Roberto ascolt il preambolo e subito i ricor-di pi assillanti lo portarono ai tempi della rivolta di Pucaranga.

    Stavano andando, lui e altri tre compagni, alla ricerca di alcu-ni amici che erano rimasti bloccati sulla strada di Santa F.

    Arrivati alla diga, i soldati li fermarono e li avvertirono che a cinquecento metri cera una barricata dei campesinos, ubriachi e armati di machetes e fucili. Unauto blindata era ferma sul ciglio della strada e un soldatino, dalla divisa mimetica nuova di zecca, faceva riposare il suo irreale bazooka sul parapetto della diga. Si sentivano rauche e repentine raffiche di mitra a rimbeccare limpertinenza di spari vaganti senza destinazione. La voglia di

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    non-esser-pi-l incombeva negli sguardi erratici e interrogativi del gruppo, che tentava linutile impresa di indovinare la prove-nienza e lorientamento delle prossime pallottole. Stretti nelle spalle, i muscoli tesi, non contribuivano per niente ad alleviare la certezza di essere ancora dei voluminosi bersagli.

    Le guardie non impedirono loro di proseguire la giustificata ricerca degli amici ritardatari. Soltanto ribadirono che la respon-sabilit era completamente loro.

    La land-rover avanz adagio adagio fin quando avvistarono il primo gruppo di manifestanti. Roberto era al volante e non ap-pena ebbe fermato la jeep, lombra di un machete gli annunzi la presenza di un campesino, calmo e amichevole, accostato al fine-strino della macchina. Il suo sorriso fluttuava sullonda di un masticare pacifico e accogliente, intervallato da puntuali in-ghiottite di succo secreto dalla saliva, a partire dal bolo di coca che gli gonfiava la guancia destra. Perfino il livore minaccioso e metallico del coltellaccio si era trasformato in un elemento di composizione pittorica, di una neutralit quasi domestica.

    Laria quotidiana della valle di Pucaranga non aveva perduto nulla della sua trasparenza mattutina. Leccezionalit degli av-venimenti non pareva averla privata di nessuna sfumatura della freschezza verdastra che avvolgeva i contorni del paesaggio e i tratti spigolosi dei visi degli indios, attenuati soltanto dalla dol-cezza familiare dellaccento quchua.

    Non si passa, signore. tutto bloccato, a causa dello scio-pero.

    Altri contadini si erano avvicinati senza premura e lamico Gerardo era sceso dalla macchina e stava chiacchierando con alcuni di loro, mentre chiedeva e forniva notizie. I giornali pub-blicati a Pucaranga davano notizie tranquillizzanti sugli avve-nimenti, ma in citt si sapeva molto bene che la retorica ufficiale nascondeva sempre ci che era realmente successo e, molte vol-

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    te, doveva persino ignorare i dati reali. Peraltro la stessa calma festante dei rivoltosi sembrava confermare la versione riduttiva della stampa e il clima pacificatore del paesaggio.

    Dovettero aspettare alcuni giorni per farsi unidea di ci che stava succedendo. Gli elicotteri del governo, che dichiarava che stava cercando lunit nazionale e larmonia degli spiriti, stavano invece decimando, a poco pi di due chilometri e nelle altre tre uscite della citt, i manifestanti ammucchiati nelle carreteras, armati soltanto di coltelli e di bastoni.

    Quando il generale Vargas-Doria riusc a ottenere una tregua, nella sua qualit dintermediario gradito ai ribelli, pi di quat-trocento persone avevano trovato la morte a causa delle pallotto-le e delle bombe.

    Ma in quel momento neanche gli stessi protagonisti di quella scena avevano una nozione chiara della portata del massacro. Ciononostante gli scioperanti riuscirono a convincere il gruppo sulla convenienza di soprassedere dal proseguire in mezzo a tutta quella gran confusione.

    Per gi sulla strada di ritorno in citt, Roberto avrebbe subi-to un altro soprassalto, che avrebbe segnato quella giornata con il sangue e la morte. Fu infatti spettarore e protagonista in un incidente apparentemente banale, ma con tutte le connotazioni di un presagio. Rientrando in citt, un cane, attraversava la stra-da, decise improvvisamente di ritornare sui suoi passi e fin per rimanere schiacciato dalle ruote della land-rover, con lo schianto di un solo istante.

    Sentimenti di compassione e di colpa si trascinavano ancora nella memoria di Roberto, attenuati solo in parte dalla raziona-lizzazione e dalle incrostazioni del tempo, ma resistente, forse per per il confronto con il cinismo degli aguzzini di Pucaranga.

  • 45

    Un senso di impotenza si era impadronito della sua immagi-nazione quando torn a prestar attenzione al discorso del presi-dente dellincontro.

    Laveva riconosciuto fin dal primo momento e forse il fatto di essere anche lui di Pucaranga era stato la leva che aveva sciolto quel ricordo. Questi abitava nel quartiere pi miserabile della citt, nonostante fosse arrivato a essere ministro di stato duran-te il primo governo di Lutz-Vega. Aveva raccontato personal-mente a Roberto vari particolari della sua vita, come quando dovette vendere la sua biblioteca ai Gesuiti per potersi sposare o quando aveva dovuto indossare un vestito affittato per parteci-pare alla cerimonia di insediamento del suo gabinetto ministe-riale. Allepoca era riuscito a resistere soltanto pochi mesi nella confortevole dipendenza del ministero del lavoro, il che era stato sufficiente per rendersi conto, e sbigottirsi, degli intrallazzi che sembravano di far parte dellesercizio del potere. Aveva rinun-ciato e si era ritirato nella modestia di una vita anonima che, daltro canto, laveva salvato fino allora dalle inesorabili rappre-saglie dei suoi avversari politici.

    Quando Roberto laveva conosciuto, lex-ministro era un contadino inurbato che abitava in una casa dadobe, pavimento di terra battuta, pareti senza intonaco, come migliaia di altri discendenti dei nobili Incas. Sandali ricavati da ritagli di gomme dauto, vestiti scuri sgualciti, lorgoglio ancestrale rinchiuso nei tratti immobili del volto dargilla, nel colloquio dolce e sicuro, nello sguardo ogivale che trafigge e sfugge.

    La sapienza millenaria del suo popolo e lessenza della cultu-ra occidentale pi attualizzata venivano a galla, come in un campionario, nel suo linguaggio stringato e obiettivo, ma non per questo meno raffinato ed elegante. La sua esposizione era trasparente e dispensava delucidazioni. Si arriv cos, rapida-

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    mente, alle proposte alternative, che sarebbero state approvate con una votazione.

    Si decise per lo sciopero generale, con poche obiezioni prove-nienti soprattutto dai rappresentanti cattolici. Suor Olga era stata la pi incisiva, nel manifestare preoccupazione per even-tuali reazioni della truculenza poliziesca, che avrebbe potuto provocare lintervento della resistenza armata. Aveva ricordato fatti del passato, come il massacro di Pucaranga, nonostante si considerasse personalmente poco intimidita dalle recenti dichia-razioni rilasciate davanti alle telecamere dal giovane istrione che occupava il posto di ministro degli Interni:

    I nemici del governo, uscendo di casa, possono portarsi il testamento sottobraccio, giacch per nessuna ragione al mondo lasceremo sovvertire lordine o destabilizzare il nostro potere.

    Ben vestito, ben nutrito, mascherava il suo cinismo sotto una giovialit volgare, con quellaria da sorridente presentatore tele-visivo. Ma tutti coloro che assistevano a quelle dichiarazioni, sapevano molto bene che la facciata serena del personaggio non attenuava per niente la gravit delle minacce pi inquietanti.

    Lo sciopero era pertanto deciso. Quindi tutti i presenti si al-zarono e si salutarono, confortati dalla linea dazione finalmente assunta, perfino rinfrancati, la forza di solidariet personificata in tanti patrioti, fiduciosi nonostante il peso delle conseguenze soltanto intraviste, ma non per ci meno angosciose e desolanti.

    Fu allora che incominci il massacro. Porte e finestre inesistenti si spalancarono con un frastuono

    da stordire, fatto di raffiche e di grida e di fuoco e di polvere e di corpi inerti ammonticchiati e di rantoli e di ultimi sospiri, in una messa in scena fulminante che cancellava in un istante sogni e spreranze e ombre contorte negli occhi degli spettatori abbaci-nati.

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    Roberto cadde insieme agli altri, in mezzo a sedie e tavolini e pallottole che stracciavano e riposavano nella sua carne, a un tratto indolenzita e urlante e subito sommessa e intorpidita e rassegnata.

    Le figure austere delle pareti e tutte quelle lettere cubitali si curvarono su di lui, impaurite e sollecite, mentre i volti anonimi degli aguzzini rimanevano nella penombra, rispecchiandosi ne-gli sguardi sopravvissuti degli altri, senza pi domande n dub-bi.

    Roberto era intrattenuto ad accettare la morte, mentre pullu-lavano i ricordi acuti che la lucidit cinica del rimpianto non riusciva a fissare nemmeno un momento, nel suo affanno di sod-disfare la memoria affamata.

    Quel giorno Roberto aveva ingoiato in fretta e furia il pranzo, aveva coniato battute stereotipate per nascondere i veri motivi del suo malcelato nervosismo ed era uscito. La jeep serviva a Jonas cosicch dovette correre fino allangolo della piazza per prendere la circolare.

    Assaporava con la fantasia incandescente i momenti dellincontro che lattendeva. Lei sarebbe arrivata con il mezzo successivo, emergendo dal polverone con quel suo passo sospeso sul ritmo delle mani intente a carezzare lalone che ne fasciava il corpo. Lincanto dei pensieri impressi sul viso angustiato da una pace preoccupata. La sua figura minuta caracollando, approssi-marsi. Da lui. Viene.

    Roberto si sentiva proprio in gamba. Per questo fece il tenta-tivo di scendere dal bus in movimento, come mille volte lo aveva visto fare ai ragazzi che con tre o quattro passetti riducevano la velocit ormai insignificante.

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    Scendo? Non scendo? Tutto per fermarsi proprio davanti allentrata del centro so-

    ciale. Si butt alla fine, mettendo in pratica la serie di movimenti

    ricapitolati in fretta un minuto prima. Cadde bocconi, facile preda dellinsospettabile forza

    dinerzia. Chiamiamola inerzia!

    La sera era scesa rapidamente a raccogliere gli ultimi baci di-stribuiti con il ritmo disordinatamente armonioso del pittore, il quale insiste a dar gli ultimi ritocchi al quadro che il cliente fret-toloso quasi gli strappa dalle mani.

    In realt non era stato altro che ladorabile abbozzo di un ve-ro e proprio capolavoro.

    I convenevoli se li erano inghiottiti insieme allintensa dol-cezza che lattesa, oggettivata in quellistante dincantesimo, aveva fatto confluire nella gola.

    Qu tal? disse lei, mentre decollava in direzione di quelle labbra cristallizzate dalla felicit in un indescrivibile sor-riso di gloria.

    Bin, entra sussurr Roberto. E ci mise ancora del tempo fra quelle parole per conferire il ritmo giusto allondulazione soffice di quel primo bacio che varcava irrevoca-bilmente la soglia della sua storia.

    Entrarono, ma non si sedettero, nonostante stessero treman-do, gi legnose, le gambe di entrambi.

    Sappoggiarono soltanto ai rispettivi polpastrelli e i loro spiri-ti si fusero, al contatto delle palme delle mani. Fu uno scontro indolore e istantaneo, come il battito delle palpebre che ne ac-

  • 49

    compagn levento. Le loro anime si sfiorarono ondeggianti e finalmente si rappacificarono, nella spuma malleabile di un se-condo bacio senzalito n tempo.

    La bocca di Suzy era dolce. Sar stata una caramella o il ros-setto quasi impercettibile? La successiva convivenza avrebbe riconosciuto il giusto merito alla gomma da masticare, quando lei stessa sarebbe stata la prima a scherzarci su, per considerarla, come tutti, una cattiva abitudine da tentare, anche se inutilmen-te, di sradicare. Ma la tenerezza dellepitelio delle sue labbra era autentico e inalienabile.

    Roberto lassaporava con il compiacimento dellintenditore, pi che con la volutt dell'affamato.

    Prevaleva in lui, infine, lalloro della sublimazione. Te quiero disse, quando glielo permise la respirazione,

    regista incontrastato della scena. Parole ovvie, ma insostituibili e indispensabili. Seguirono al-

    tre frasi e movimenti che si districavano ordinatamente con rit-mo e logica interna, ma che pure sbocciavano da unoriginalit primordiale conferendo al rituale il tocco dellinvenzione esteti-ca.

    Non vorrai sbranarmi, spero gi altre volte laveva sup-plicata cos, in tono scherzoso, in alcune delle interminabili con-versazioni telefoniche, quando cominciava a fantasticare sui primi giorni di matrimonio.

    Sar una diavoletta aveva assicurato lei, facendo allu-sione alle notti che avrebbero passato insieme , e tu perderai il sonno.

    Adesso lei stava ridendo in una nuvola di capelli, sospesa in aria per una facile prova di volo simulato.

    Egli laveva abbracciata con forza, cercando in quellestasi pensile la bocca palpitante, immersa nel vacuo degli occhi chiu-si.

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    Andiamo in cucina la sorprese ad un tratto, debbo offrirti il caff preparato con la mia caffettiera italiana.

    Le fenditure tra le tendine avevano attratto la sua attenzione, riportandolo alla realt, nonostante non ci fosse la pi piccola ombra di scrupolo nelle sue cure per evitare sguardi indiscreti.

    La convinzione che non stava facendo niente di riprovevole si era formata in lui non senza una laboriosa gestazione di pochi, interminabili mesi. Si era sovrapposta insensibilmente al suo essere come uno strato di licheni sul tronco di un grande albero.

    Era cresciuto retto e schivo, in ambienti protetti e allo stesso tempo aperti a qualsiasi tipo di influenza. Il pudore era la cor-teccia creata attorno alla sua spina dorsale dalla dolcezza di sua madre e ispessita sempre pi, sotto lazione robusta dellesuberante moralismo delle suore dellorfanotrofio.

    E quando finalmente il suo precoce amore alla vita sera allea-to al favore delle circostanze per restituirgli lalito fortificante duna infanzia vera, era stata paradossalmente la poesia ad affer-rarlo tra le spire della norma.

    Era un pomeriggio di primavera, con il ritaglio di cielo azzur-ro di sempre, stirato con cura ed applicato perfettamente ai complicati ghirigori della facciata del municipio della sua citt natale. I nidi delle rondini disegnavano trine di cemento saggia-mente combinate con le erose modanature, in un elaborato giuo-co darchitettonica vetust.

    Roberto non avrebbe mai pi dimenticato la tessitura dei voli tracciati, e subito cancellati, delle rondinelle che sfidavano com coraggio il labirinto delle lunghe canne, improvvisato per i loro voli radenti dai ragazzotti riuniti in piazza, ed esercitavano con determinazione il ruolo di materne eroine. I loro piccoli aspetta-

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    vano pigolando. Ce nerano alcuni affacciati allapertura, per osservare lesibizione delle madri e rinnovare lansia irrefrenabi-le, nei brevi intervalli fra un ritorno e laltro.

    Laria annacquata del crepuscolo appannava i pensieri e le immagini delle persone, messe in rilievo dalla loro impersonalit per fissarsi sullo schermo del ricordo, senza pi volto, ma vive grazie alla coralit plastica della loro presenza.

    Roberto indossava ancora i pantaloni corti, come tutti i ra-gazzi della sua et, e quando si era azzardato ad andare a scuola con abiti da adulto, aveva dovuto subire le canzonature dei compagni, riservate a tutti quanti avessero inaugurato tale tipo di abbigliamenti. Per di pi lui aveva soltanto dieci anni, nono-stante frequentasse gi la prima media insieme a ragazzi tutti pi grandi di lui.

    Aveva fatto amicizia con Angelo Presti, famoso per essere lo studente pi pigro della classe e aver presto imparato ad abbor-racciare i compiti su di una sbrigativa copiatura dal compagno, accettando il ruolo donesta incompetenza sfoggiato invariabil-mente al momento delle interrogazioni in classe.

    Adesso costui era diventato un eccellente funzionario dellamministrazione bancaria, ma allora era un vero e proprio campione dellarte del savoir-faire, mentre offriva a Roberto ge-nerose lezioni su argomenti vari, nel corso di lunghe passeggiate per la frusta topografia della citt.

    Era stato cos che Roberto aveva imparato che le ragazze, a tredici anni diventano signorine, perch dai loro seni gi formati escono alcune gocce di sangue, e aveva avuto conferma delle nozioni, che si rifiutava ancora di credere, provenienti dalle chiacchierate oziose dei giovani compagni di giuoco nei sudati pomeriggi destate, che i bambini nascono dallaperturina che le donne hanno tra le cosce e per tirarli fuori il medico usa unenorme pinza e che tutti i ragazzi devono avere una fidanza-

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    tina e che se ancora lui non ce laveva, poteva pur scegliere quella brunetta che frequentava ancora le elementari. Fu cos che Ro-berto, essendo pi giovane di un anno, rimase con Caterina, della quarta, mentre Angelo si sarebbe goduta Liliana, la biondina ben cresciutella della quinta.

    Per questo Roberto dovette farla a pugni, per la prima volta nella sua giovane vita, con il grassottello dallocchio offeso della classe di Liliana il quale, incitato dalla piccola ciurma dei suoi compagnetti, aveva scelto, a sua insaputa, la stessa Caterina da corteggiare. La gravit della storia, oltretutto, era stata la rivela-zione ripugnante di un amico che quella banda di mascalzoncelli aveva tentato di abbassare le mutandine alla piccola. Era un abu-so che era ormai suo dovere vendicare. Non che si fosse reso perfettamente conto della malizia del rivale, ma era tassativa lurgenza di dar battaglia. Fino allora non aveva mai praticato nessun tipo di pugilato, ma era ormai scoccata lora di esibire lamore incondizionato per quel visino sempre aperto al sorriso, inquadrato da due trecce di seta nera.

    Caterina era graziosa davvero, e Roberto era sicuro desserne perdutamente innamorato, malgrado non avesse trovato ancora loccasione di esternarle tanto amore. Anche quel giorno era an-dato ad aspettarla alluscita dalla scuola, ma non sembrava che le fanciulle si fossero accorte del duello che gli appassionati pre-tendenti stavano ordendo a causa di una di loro.

    Fu una lotta breve e incruenta. Una scaramuccia da niente, subito bloccata dagli stessi tifosi dellavversario, forse interessati a qualcosaltro, senza dubbio pi urgente per loro, ma il tutto fu sufficiente per poter tesserci intorno tutta una retorica da grandi occasioni ripetendo mille volte la storia agli amici assenti. Tutti vincitori, tutti soddisfatti.

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    Durava ancora quel pomeriggio il fantasioso fidanzamento di Roberto con Caterina ed era gi passato pi di un anno dal duel-lo. Come lungo un anno per chi ne ha soltanto undici! Ancora non era riuscito a trovarsi da solo con la sua fidanzatina, anche se era impossibile che costei non avesse ancora notato la costan-te corte del piccolo pretendente. Lui sempre con Angelo, nellintervallo tra luscita di lei e lentrata a scuola di loro due, continuava a seguirla con perseveranza e ogni volta che si trova-va da quelle parti, non poteva fare a meno di lanciare uno sguar-do fin lass, al balcone dellultimo piano dellultimo isolato di Via Vittorio Emanuele. Un giorno Aldo, il fratello maggiore di Roberto, laveva intravisto da lontano e a casa si mise a fare un interrogatorio. Roberto si fece rosso in viso, mentre tentava dincassare con noncuranza i sorrisetti e la presa in giro di sua madre e di sua sorella che facevano finta di essere rimaste scan-dalizzate dalla precocit del piccolo conquistatore.

    Quel pomeriggio Angelo non cera nel gruppetto di compagni di scuola che si era attardato sulla piazza del municipio, senza una meta ben definita. E lo stesso Roberto non sapeva come si era potuto trovare a suo agio in mezzo a quegli amici occasiona-li. Quel che sempre si sarebbe ricordato per, fu limprovviso invito di uno di loro, quando la permanenza in quel luogo aveva gi perduto ogni attrattiva:

    Andiamo allOratorio? Roberto ci and insieme agli altri, mentre da alcuni di loro

    ascoltava racconti entusiastici che descrivevano quel luogo come il paese dei balocchi, frequentato da ragazzi e preti gioviali e sorridenti.

    Aveva conosciuto quel posto quando vi era andato un anno prima, ma adesso doveva esser tutto cambiato, come pure lui era diverso, una volta che dalla quarta elementare aveva fatto il salto alla prima media, dopo aver sostenuto gli esami dammissione da

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    esterno, e la sua famiglia si era trasferita da Via Montemaggiore a Via Dei Rossi. Ma i giuochi troppo movimentati non lallettavano troppo.

    Ciononostante si era unito a un gruppetto animato da un pre-tino dove tutti ridevano tanto per ogni nonnulla, nessuno sapeva perch. E aveva osservato da lass alcuni di quei tramonti che ancor oggi si sprecano nellindifferenza degli abitanti della parte alta della vecchia citt.

    Il sole, quando arrivarono, si stava pavoneggiando con una delle sue variazioni sul medesimo tema, lo stesso che deve aver ispirato, nellantichit, anche qualche rude colono greco, elevan-dolo alle sublimi considerazioni estetiche che il tempo si sareb-be incaricato di stilizzarle in scarsi residui archeologici.

    Il cielo a pecorelle riverberava allinfinito leffetto magico del disco di fuoco che il dorso polveroso del Monserrato aveva ap-pena nascosto. Non cera pi il sole, ma ci avresti scommesso che in quel momento doveva starsene a ridere sornione, vedendoti con il naso allin su verso la fuga di nubi abilmente pigmentate con una gamma lentamente cangiante di rossi e di viola. Il rumo-re assordante dei ragazzi sembrava una fanfara spensierata, che accompagnava quel quotidiano ammaina-bandiera atmosferico.

    Impressionante, senza dubbio, quella brutta copia di tram, che andava e veniva senza mai stancarsi, sullimpiantito dell'immenso cortile, e scivolava rumorosamente sui robusti cuscinetti a sfere, che sostenevano il rudimentale cassone fatto di tavole da imballaggio nonch i sei passeggeri ammucchiativi dentro che gridavano a squarciagola. Anche Roberto aveva pro-vato la rara sensazione di viaggiare dentro quel veicolo fantasti-co, con gli occhi chiusi e la gola spalancata:

    Aaaaghhhhhhrrrbbbrrrrrhhooouuaaaaggggghhhhhhhhhh. Alla fine di ogni corsa gli occupanti scendevano, non sempre

    di buon grado, e si mettevano a spingere laggeggio dove si ac-

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    comodavano gli stessi che lavevano mosso fino allora. Il piacere era senzaltro identico tanto nel trascinarlo come nel viaggiarvi dentro. E perfino gli astanti si sentivano coinvolti da quel turbi-ne di voci e di incanto, fatto dinnocenza e di prestanza fisica.

    Fu cos che Roberto si era lasciato sedurre dal fascino di quellambiente felice e aveva stretto legami di amicizia sempre pi stretti con il giovane prete che comandava quel simpatico frastuono.

    Cominci a dedicarsi alla religione ed alla letteratura, inco-raggiato da lui, che notava entrambe le passioni svegliarsi in quel ragazzo. Egli era il giudice e il correttore, serio e tollerante, delle sue poesiole, dispensandogli innumerevoli e preziosi consigli, come avrebbe fatto un vero critico letterario.

    Roberto fin cos per allontanarsi da quella vita da donnaio-lo e si gett a capofitto nel misticismo.

    Gi in terza media era in seminario, pieno di pentimenti per gli ultimi anni di vagabondaggio, mentre ingigantiva tanto il senso di colpa quanto il rimorso, sotto lazione delle sue fantasie infantili.

    Adesso non era pi un bambino, ma stava riscattando dal fondo della sua memoria londa di sentimenti che ormai domina-vano completamente il Roberto adulto, senza interferenze da parte dei tanti anni di radicale adesione al celibato.

    Egli stava amando. Libero e innocente come in quel carroz-zone sui cuscinetti a sfere.

    Il caff molto buono. Anche tu sei buono. E io ti amo. Sono innamorato e felice... Perch cos tardi ti ho cono-

    sciuta, perch cos tardi ti ho amata?

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    La frase di SantAgostino suonava blasfema. Tuttavia purifi-cata dallinnocenza della scoperta di quel nuovo mondo interiore insorgeva come espressione originale e urgente, a tradurre tutta la magnificenza e la serenit di quello stato emozionale, ugual-mente mistico e decisamente irripetibile.

    In fin dei conti egli era ancora un prete. Dal giorno in cui aveva conosciuto i Salesiani, fra seminari e

    attivit ecclesiastiche, erano trascorsi diciotto anni. Per loro aveva accettato di andare in missione nellAmerica Latina, asse-gnato a una parrocchia della miserabile periferia di Pucaranga. Ed era esattamente nella cucina della sua casa parrocchiale che stava giocando allamore con una ragazza di diciotto anni ap-punto.

    Come poteva essere arrivato a tanto? Non era comunque il momento per fare quel tipo di domande.

    Sapeva soltanto che stava abbracciando il paradiso intero e che i tormenti di tanti dubbi si disfacevano in quella certezza soffice e vibrante, con il viso dangelo e la bocca da donna, chiamata Suzy.

    Suzy, pu darsi che un giorno ci arrivi a turbarti e che in-cominci a sentir vergogna di me o a maledire il giorno in cui mi hai conosciuto, ma intanto non posso nascondere che ti amo. E niente pi mimporta a questo mondo, n il mio passato, n i miei ideali, n i miei credo, n le mie convinzioni morali, n i miei impegni, n i miei progetti di vita. Quel che mimporta sei solo tu.

    Fu con questa sensazione di piacere intenso, quasi doloroso, che si era svegliato, sommerso ancora da quel groviglio di brac-cia e di gambe, inzuppato di sangue proprio ed altrui, impassibi-le e attonito.

  • 57

    Aveva capito subito che si trovava in mezzo ai suoi amici morti, e lo stavano portando in uno di quei cimiteri clandestini che tutti quanti sapevano che esistevano da qualche parte, ma di cui le autorit militari continuavano a negare lesistenza.

    Il camion, sul cui cassone erano stati gettati, vibrava e ondu-lava a ogni minimo accidente del terreno.

    Attraverso una breccia, tra i vestiti dei compagni ammuc-chiati su di lui, riusciva soltanto a intravvedere il cielo limpido e uniforme che il vento dellaltopiano spazza instancabilmente con le sue raffiche orizzontali.

    Dovevano esser diretti a Capicurana. Ne aveva avuto confer-ma quando era riuscito a emergere dai cadaveri e a scorgere da lontano la figura imponente dellIllampu rivestito di nevi eterne.

    Roberto aveva fatto quel viaggio gi una volta, qualche tempo prima, ma in un giorno di festa, insieme a una comitiva di pelle-grini, che andavano a rendere omaggio alla madonna di Capicu-rana, il tre di maggio.

    Cera gente proveniente da tutti gli angoli del Paese. Molti con i loro abiti folcloristici, che sfoggiavano durante la sfilata di danze tipiche, intorno alla piazza della Virgencita.

    Aveva preso parte alla gioia di quel popolo semplice che sfog-giava gli abiti pi variopinti che aveva, distribuiva cibi e bevande e ostentava i propri argenti e gli umili addobbi sulla carrozzeria dei camion e delle vecchie automobili. Aveva gi potuto apprez-zare il sapore acidulo della chicha, la bevanda casereccia profu-sa in omaggio alla vergine ed alla pacha-mama. Il sincretismo religioso impregnava quel sentimento popolare che regola il ca-lendario e scandisce la vita quotidiana di tutta una popolazione. Aveva masticato perfino alcune foglie di coca e aveva bevuto un infuso di quella pianta e aveva chiacchierato in quchua con quella gente che proteggeva una cultura millenaria semplice-

  • 58

    mente ripetendo le tradizioni, a dispetto dellinvasione della tecnologia e dei capitali stranieri.

    Ora egli stava partecipando a unaltra passeggiata, assurda e macabra, come protagonista di una disfatta che avrebbe procu-rato gioia a poche persone soltanto, completamente alienate dalla sorte del loro popolo e avide esclusivamente di potere e del consenso della loro casta.

    Quando il camion si ferm era gi notte inoltrata e Roberto sent che il cassone stava sollevandosi e subito dopo si rese con-to che, insieme a quella montagna di cadaveri, stava precipitan-do in un lungo salto nel buio.

    Sancte Petre... Ora pro nobis... Sancte Paule... Ora pro nobis.

    Roberto era l, prostrato sul grande tappeto davanti all'altare

    maggiore della cattedrale di Messina, mentre monsignor Vaino andava pizzicando la litania, e consegnava unimplorazione alla volta alla chiesa affollatissima, in un sonoro andirivieni dinvocazioni, simile a una partita di tennis, dove il pubblico, oltre a oscillare la testa da destra a sinistra, partecipi attivamen-te restituendo la palla di incomprensibili espressioni latine.

    Roberto era in pace con se stesso. Negli ultimi tempi era vis-suto domandandosi e ripetendo a coloro che lo provocavano con la domanda di sempre:

    Perch hai voluto farti prete? Perch vuoi arrivare fino in fondo?

  • 59

    Forse perch non sono riuscito a trovare ancora un buon motivo per rinunciarvi. S, proprio cos. E qualcuno, daltronde, deve pur farlo.

    Sapeva benissimo, in fondo, che per lui era appena incomin-ciato un periodo ben diverso della sua vita, in cui si sarebbe tro-vato solo, in mezzo a una moltitudine di gente che sarebbe dipe-sa da lui, a volte ostile, poche volte cordiale, chiss. Sentiva, in quellistante, un gran vuoto intorno e le stesse vertigini che si erano impadronite di lui, dieci anni prima, quando si era trovato sullorlo del cratere centrale dellEtna, dopo sei ore di marcia sui fianchi di cenere vulcanica, nel Pian del Lago.

    ...A subitanea et improvisa morte...

    Libera nos Domine...

    Un vento crepuscolare si andava formando dalle pianure nebbiose dellinterno dellisola e dalle brezze del Mediterraneo, ormai quasi invisibile laggi, lontano, e fustigava le orecchie del gruppo di novizi venuti a respirare laria rarefatta, mescolata a quei fumi nerastri che venivano dal bordo del cratere di nord-est.

    Sereno e un po' spento, Roberto riceveva adesso gli sbuffi del-le preghiere ondulanti, che venivano ad avvolgere il suo corpo rivestito di bianco, abbattuto al centro del presbiterio, in mezzo ad una fila di giovani come lui, che presto sarebbero altrettanti preti.

    Magnificat anima mea Dominum, et exultavit spiritus meus

    in Deo Salvatore meo...

  • 60

    Angosciato, cercava di emergere da quell'inerzia anodina. Con una forza incredibile in un corpo cos intorpidito e sangui-nante, sera riuscito a liberare dal mucchio di cadaveri conosciuti e ignoti, ispirando finalmente la stessa aria della cima dellEtna, l sullaltipiano andino. La voce materna di monsignor Vaino non finiva di risuonare nella notte sudamericana, ma stavolta era il vento a rispondere alle litanie, mentre si sbizzarriva in giravol-te invisibili e spruzzava sul viso di Roberto manciate di polvere impalpabile.

    Roberto cominci subito a trascinarsi verso il nulla, ancora cullato dalla congerie dei ricordi e anestetizzato dalla serie di scossoni immediati e remoti che la facevano finita una buona volta con ogni traccia della sua vita di santo convinto.

    Non vedeva pi n soldati, n operai, n case, n luci. Sapeva soltanto che doveva camminare e camminare. Si ferm quando la voce di monsignor Vaino la smise com lelenco interminabile di santi e di angeli. In quel momento egli non era pi prete, non sapeva pi