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LA FORMAZIONE DEI DIPENDENTI DEGLI ENTI LOCALI Un contributo all'orientamento

LA FORMAZIONE DEI DIPENDENTI DEGLI ENTI LOCALI Un ... di... · gli effetti prodotti dall’introduzione del principio di responsabilità del dipendente pubblico locale nell’espletamento

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LA FORMAZIONE DEI DIPENDENTI DEGLI ENTI LOCALI

Un contributo all'orientamento

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Indice Presentazione.......................................................................................................................... 4 Capitolo 1 L’individuazione degli attuali fabbisogni formativi.......................................................... 5 1.1 La dinamica evolutiva dei fabbisogni formativi .............................................................. 6

Considerazioni preliminari ............................................................................................. 6 Il nuovo ruolo degli Enti Locali ..................................................................................... 7 La nuova centralità dell’azione amministrativa locale................................................... 8 I nuovi diritti dei cittadini............................................................................................. 10 I nuovi livelli di responsabilità individuale.................................................................. 11 I nuovi rapporti tra amministrazione e gestione........................................................... 12

1.2 I fabbisogni formativi per l’esercizio di nuove competenze .......................................... 14 Considerazioni preliminari ........................................................................................... 14 Fabbisogni formativi finalizzati all’efficienza ............................................................. 15 Fabbisogni formativi finalizzati all’efficacia ............................................................... 16 Fabbisogni formatitivi finalizzati all’economicità ....................................................... 16 Fabbisogni formativi finalizzati alla qualità delle prestazioni erogate......................... 18 Fabbisogni formativi finalizzati alla trasparenza del pubblico operare ....................... 18

1.3 Le aree dei fabbisogni formativi .................................................................................... 19 Considerazioni preliminari ........................................................................................... 19 L’esercizio di nuove competenze ................................................................................. 21 Processi interni di integrazione .................................................................................... 28 Processi di associazionismo intercomunale ................................................................. 29 Aggiornamento professionale ...................................................................................... 30 Aspettative di progressione di carriera......................................................................... 31 Potenziamento del patrimonio di professionalità presente all’interno dell’Ente ......... 32

Capitolo 2 I fabbisogni formativi strategici........................................................................................ 34 2.1 Il ruolo del CCNL e del CCDI nella soddisfazione dei fabbisogni formativi.............. 35 2.2 I fabbisogni formativi necessari per l’esercizio delle responsabilità apicali.................. 37

Aggiornamento normativo ........................................................................................... 42 Aggiornamento tecnico professionale .......................................................................... 43 La managerialità ........................................................................................................... 45 La conoscenza dei ruoli ordinamentali......................................................................... 46 La conoscenza dei ruoli procedimentali....................................................................... 47 La padronanza delle tecniche di monitoraggio e controllo .......................................... 48 La padronanza del governo delle sinergie.................................................................... 49

Capitolo 3 Gli strumenti attuativi ....................................................................................................... 51 3.1 Il bilancio delle competenze........................................................................................... 52

Competenze e modello organizzatorio dell’Ente ......................................................... 53

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La banca dati ................................................................................................................ 53 3.2 La progettazione della formazione................................................................................. 56

La progettazione sostenibile......................................................................................... 56 La progettazione compatibile con vocazioni territoriali e obiettivi gestionali............. 58 Metodologie di supporto alla progettazione della formazione..................................... 59

3.3 Contenuti del piano annuale per la formazione............................................................. 62 Tecniche di predisposizione ......................................................................................... 62 Tecniche di gestione..................................................................................................... 63

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Presentazione

La presente guida1 all’orientamento per la redazione dei Piani di Formazione nelle specifiche realtà delle amministrazioni locali offre un contributo di riflessione per la implementazione delle linee strategiche contenute nella “Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale della Pubblica Amministrazione”, emanata il 13 dicembre 2001 dal Dipartimento della Funzione Pubblica.

Il documento è articolato in tre parti. La prima parte individua i principali fattori che hanno determinato l’insorgere di

nuovi fabbisogni formativi; focalizza l’attenzione sui nuovi connotati dell’azione amministrativa locale e sui conseguenti effetti in materia di nuove esigenze formative da soddisfare; offre una chiave di lettura per integrare le competenze preesistenti con le competenze richieste dalle leggi di disciplina dell’ordinamento locale.

La seconda parte evidenzia il ruolo assunto dalla contrattazione, nazionale e

decentrata, in materia di soddisfazione dei fabbisogni formativi e sofferma l’attenzione verso gli effetti prodotti dall’introduzione del principio di responsabilità del dipendente pubblico locale nell’espletamento dell’atto di gestione. Da tale contesto emerge l’importanza di comprendere bene l’esercizio di ruolo, con particolare riferimento all’esercizio della funzione dirigente. Poiché la maggior parte degli Enti Locali opera con dotazioni organiche prive di figure dirigenziali si rende evidente che l’esercizio di ruolo coinvolge a pieno titolo tutte le posizioni apicali di un Ente Locale territoriale come il Comune.

La terza parte prende in esame il bilancio delle competenze e la banca dati nella

formazione; fornisce alcune indicazioni operative e di metodo per porre in essere una adeguata progettazione delle attività formative; mette a disposizione suggerimenti ed ipotesi metodologiche per la redazione del Piano annuale delle attività formative.

1 La presente guida è stata realizzata con la collaborazione di Domenico Barillà

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Capitolo 1 L’individuazione degli attuali fabbisogni formativi

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1.1 La dinamica evolutiva dei fabbisogni formativi

Considerazioni preliminari

Il fabbisogno formativo di un Ente locale territoriale rappresenta una variabile dipendente da una pluralità di fattori:

• oggettivi (la tipologia ed il livello della professionalità complessiva esistente all’interno

dell’Ente, la tipologia dei comparti a gestione esternalizzata, le vocazioni del territorio e la scala dei bisogni che deve essere comunque soddisfatta);

• conseguenti alle innovazioni normative che hanno modificato il modo di operare della Pubblica Amministrazione;

• specifici dell’amministrazione locale perché correlati al modello organizzatorio prescelto ed agli obiettivi contenuti nel programma di governo dell’Ente.

In materia di fabbisogno formativo si è di conseguenza in presenza di una componente

fissa (uguale per tutti gli Enti locali perché finalizzata all’acquisizione di una conoscenza e di una competenza doverosa e standardizzata, ed in quanto tale assoggettabile a benchmark e collocabile all’interno di percorsi di eccellenza), e di una componente variabile (caratterizzata da accentuati processi di diversificazione tra ente ed ente, che rendono poco praticabile l’ipotesi di definire parametri omogenei di individuazione e rilevazione dei fabbisogni ed ancor meno praticabile il metodo del benchmark).

Sono da collocare all’interno della componente fissa dei fabbisogni formativi le

competenze necessarie per qualificare l’efficienza della macchina organizzativa dell’Ente, avendo riguardo sia alla efficienza endo-organizzativa sia alla efficienza inter-organizzativa. Si tratta di una metodologia che, pur essendo valida, contiene al suo interno fattori frenanti sul terreno della progettazione dei percorsi di eccellenza perché tale modo di procedere obbliga a parcellizzare in maniera eccessiva i bisogni formativi (individuati per comparto gestionale ed inevitabilmente destinati a produrre ampie aree di inutile duplicazione della competenza trasmessa) e, nello stesso tempo, allontana il destinatario dell’attività formativa dall’acquisire dimestichezza con le metodologie innovative fondate su processi di integrazione gestionale e sull’incardinamento polifunzionale e multimansionario della prestazione lavorativa.

Ne consegue l’esigenza, peraltro richiamata con forza dalla Direttiva della Funzione

Pubblica sulla formazione e la valorizzazione del personale delle Pubbliche Amministrazioni, di sottrarre la programmazione delle attività formative alle volizioni autarchiche della dirigenza dei singoli settori e/o aree di operatività per ricondurle ad un unico centro di programmazione e gestione della soddisfazione dei bisogni formativi.

Sono da collocare invece all’interno della componente variabile dei fabbisogni formativi le competenze necessarie per qualificare l’efficacia della macchina organizzativa dell’Ente, avendo riguardo sia alla efficacia dei risultati conseguiti sia alla qualità ed

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all’intensità del rapporto stabilito con i cittadini. In merito va tenuto presente che in tale materia l’approccio formativo è di non facile gestione, stante la non elevata dimestichezza dei dipendenti con la cultura del risultato adottata come metodo permanente di lavoro. Peraltro la individuazione di tale tipologia di fabbisogni formativi, specie negli Enti Locali territoriali, è una variabile dipendente dalla volontà di governo che sovrintende all’azione amministrativa, incardinata ai suoi programmi di medio-lungo periodo ed alle scelte decisionali che la Pubblica Amministrazione intende assumere.

Ne consegue, in sede strutturale, che il centro unitario di pianificazione e programmazione

delle attività formative dovrà operare per la soddisfazione di tale tipologia di fabbisogni in sinergia permanente con gli organi amministrativi dell’Ente, onde consentire alla formazione di configurarsi come fattore dinamico di impulso e non mero adempimento di atti dovuti.

Il nuovo ruolo degli Enti Locali

L’introduzione del principio di sussidiarietà, unitamente a quanto introdotto dalla

Legge Costituzionale n. 3/01 nel Titolo V° della Costituzione, ha modificato in profondità i rapporti tra i vari segmenti istituzionali dell’articolazione amministrativa del Paese, determinando per gli Enti locali territoriali un ruolo decisionale attivo ed incidente derivante da competenze primarie di gestione molto più ampie rispetto al passato e destinate ad aumentare dinamicamente in un futuro prossimo, in parallelo con il compiersi di processi di devoluzione amministrativa e di decentramento dei poteri che sono già in corso e che investono comparti strategici dell’azione amministrativa. Si tratta di un ruolo che modifica in profondità il rapporto tra la Pubblica amministrazione e la società civile e che richiede al dipendente pubblico la padronanza di nuovi e più avanzati livelli di professionalità.

Ne consegue l’emergere di un bisogno formativo ‘standard’, che deve essere

soddisfatto in via preventiva rispetto ai fabbisogni formativi di comparto o di materia. Con il termine “standard” si identificano i bisogni formativi di base propedeutici rispetto alla ordinaria programmazione dei fabbisogni formativi settoriali e necessari per una più adeguata, consapevole ed innovativa gestione dell’Ente.

La Tabella che segue individua sinteticamente i bisogni formativi “standard”:

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Tabella 1 – I bisogni formativi di base

MATERIA NORMA DI RIFERIMENTO Articolazione amministrativa del Paese Costituzione Italiana, Titolo V° Principio di sussidiarietà L. n. 59/97; D.Lgs. n. 112/98 Rapporti Stato-Regioni e Stato-Città D.Lgs. n. 418/89; D.Lgs. n. 281/97 Gestione amministrativa D.Lgs. n. 267/00 Informatizzazione documenti amministrativi DPR n. 513/97; DPR n. 428/98 Esercizio controllo interno D.Lgs. n. 286/99; D.Lgs. n. 267/00 Separatezza tra amministrazione e gestione D.Lgs. n. 267/00; D.Lgs. n. 165/01 Esercizio della funzione dirigente D.Lgs. n. 165/01 Esercizio della funzione dipendente CCNL EE.LL. 1998-2001, Ordinamento Autonomia, partenariato, mercato L. n. 439/89 Semplificazione amministrativa L. n. 127/97; DPR n. 403/98

La Tabella 1 omette volutamente di includere tra i bisogni formativi di base

informazioni strategiche quali, ad esempio, il ruolo dell’associazionismo per l’erogazione di servizi o per l’esercizio di funzioni amministrative, perché tale tipologia è, per propria natura, correlata al modello organizzatorio prescelto da ogni singolo Ente e, di conseguenza, fuoriesce dall’area dei fabbisogni formativi di base.

L’omissione consegue anche da una difficoltà di approccio con tali materie, stante il

fatto che la competenza a definire la disciplina ordinamentale strutturale è passata dallo Stato alle Regioni, devoluzione che in misura prevalente approda all’esercizio in via esclusiva della funzione legislativa regionale ed in misura non prevalente ad un esercizio concorrente tra funzione legislativa statale e funzione legislativa regionale.

La nuova centralità dell’azione amministrativa locale

L’evoluzione normativa fortemente indirizzata verso la modernizzazione e la qualificazione dell’azione amministrativa e incardinata su una metodologia fondata su obiettivi e risultati, ha determinato l’emergere di una nuova centralità dell’azione amministrativa locale che ha comportato l’apertura di rilevanti debiti formativi nei dipendenti pubblici locali. A tale carenza è necessario porre rimedio in sede di programmazione dei fabbisogni formativi.

L’aver costruito un quadro di riferimento normativo al servizio della semplificazione

amministrativa e basato sulla programmazione degli interventi e sulla predeterminazione degli obiettivi da conseguire ha comportato in sede di gestione il passaggio da una centralità fondata sull’atto formale amministrativo (sulla correttezza burocratica del suo iter, collocata all’interno della responsabilità dell’Ente) ad una centralità fondata sull’atto di gestione (sulla validità del risultato conseguito, collocata all’interno della responsabilità della persona fisica preposta al compimento dell’atto di gestione). Per la Pubblica amministrazione italiana è una rivoluzione copernicana perché incardinare la centralità dell’azione amministrativa non alla procedura ma all’atto di gestione significa dare un massimo di visibilità al risultato che ne consegue, sia in termini di efficienza che di efficacia, rendendo in tal modo possibile

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agganciare i processi di responsabilità del compimento dell’atto di gestione a valutazioni ed incentivazioni di tipo meritocratico.

Tale trasformazione del modo di operare della Pubblica Amministrazione necessita di

essere accompagnata da una altrettanto incisiva modifica degli interventi formativi delle risorse umane utilizzate perché il dipendente pubblico locale ha generalmente poca dimestichezza con la cultura del risultato. Anche perché la cultura del risultato opera non soltanto come fase terminale, irrigidita nel ‘provvedimento finale espresso’ del procedimento amministrativo, ma opera anche come permanente misura di efficienza al servizio del funzionamento della struttura dell’Ente Locale.

Tale deficit formativo ha matrici che sono ad un tempo culturali, comportamentali e

conoscitive. Si tratta di un deficit che non può essere recuperato attraverso attività formative mutuate da quanto elaborato in materia dal management privato, perché diversi sono gli obiettivi e le finalità tra area del pubblico ed area del privato.

Infatti diversi e indipendenti tra loro sono i tracciati:

Azione economica

Organizzazione efficiente

Soddisfazione mercato

Managerialità privatalogica dominante remunerazione

dell’investimento

Profitto

Azione amministrativa

Gestione

Conseguimento obiettivo

Efficacia risultato

Managerialità pubblicalogica dominante interesse pubblico

generale

Ne consegue che nella Pubblica Amministrazione si è in presenza di debiti formativi

di tipo nuovo il cui recupero richiede capacità progettuali dell’attività formativa fortemente innovative.

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Si indicano alcune tematiche formative necessarie per colmare i deficit esistenti, dando per scontato che in sede di programmazione e pianificazione dei fabbisogni formativi queste tematiche vengano integrate nelle attività di settore, con particolare riferimento a quelle inerenti il procedimento amministrativo:

• ruolo delle misure di organizzazione nella gestione delle attività amministrative • conseguimento dell’equilibrio tra efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa • apprendimento delle tecniche di ganntizzazione dell’atto di gestione • uso corretto dell’attività di monitoraggio e referto • procedure di assolvimento dell’attività di supporto strategico • padronanza della gestione dei parametri di qualità • cultura del risultato e qualità totale.

E’ opportuno tenere presente che le tematiche formative sopra indicate, per effetto della

nuova centralità dell’azione amministrativa, sono competenza indispensabile da trasmettere ai dipendenti sia quando si opera nella logica di organizzazione e governo di una macrostruttura sia quando si opera nella logica di organizzazione e governo di una mediostruttura o di una microstruttura. Va tenuto presente che, quanto più è ridotta la struttura di un Ente, tanto più vi è esigenza di dilatare l’area del polifunzionale e del multimansionale in sede di definizione del modello organizzatorio. Tale dilatazione produce effetti positivi sulla gestione dell’Ente nella misura in cui i dipendenti addetti hanno padronanza del patrimonio formativo in quanto espressione della cultura del risultato.

I nuovi diritti dei cittadini

Effetto parallelo, e primario, degli interventi di modernizzazione della Pubblica Amministrazione è il riconoscimento di ruolo che la normativa dà ai cittadini, ai loro diritti di partecipare alla gestione dell’azione amministrativa, di vigilare sul suo andamento e di essere considerati i titolari della cosa pubblica.

La nuova scala di rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione trae sostegno dalle

leggi istitutive dell’URP e dello Sportello Unico, oltre che dalla normativa di semplificazione della certificazione amministrativa e dell’accesso alla documentazione ed alle informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione.

In tale ottica potrebbe ritenersi che il fabbisogno formativo in materia possa limitarsi

all’aggiornamento sui nuovi disposti normativi e sulle conseguenti procedure introdotte. Tale modo di procedere costituirebbe però attività miope rispetto alle finalità più generali del nuovo ordinamento delle leggi degli Enti Locali.

Appare opportuno infatti, avanzando un suggerimento nel pieno rispetto

dell’autonomia degli Enti, prevedere l’inserimento nella programmazione delle attività formative di un comparto di tipo nuovo, l’organizzazione dell’azione amministrativa attraverso sportelli da prevedere in tutti (o quasi) i settori di attività degli Enti Locali.

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Modellare, in altre parole, la struttura dell’Ente per sportelli anziché per uffici, trasformando contestualmente gli attuali uffici in meri strumenti di servizio e supporto operativo agli sportelli.

I nuovi livelli di responsabilità individuale

La nuova disciplina della prestazione lavorativa all’interno della Pubblica Amministrazione, unitamente alla introduzione del PEG (Piano Esecutivo della Gestione) ha comportato l’obbligo di ‘sofisticare’ il previgente e consolidato modello di scala gerarchica integrandolo attraverso la definizione di una più moderna ed innovativa scala delle responsabilità.

La individuazione delle responsabilità prescinde in molti casi dall’inquadramento

giuridico dei dipendenti perché soddisfa due esigenze primarie:

• la costruzione di un rapporto di fiducia tra l’organo amministrativo ed il dipendente preposto ad un ufficio o al compimento di un atto di gestione;

• il collegamento organico tra prestazione lavorativa apicale ed elevato livello quali-quantitativo di efficacia finale (risultato) dell’oggetto o materia affidata alla prestazione lavorativa stessa, con particolare riferimento agli Enti Locali territoriali di minore dimensione e di contenuta dotazione organica che sono privi di figure dirigenziali.

L’avere peraltro individuato l’intervento quale misura elementare della gestione

dell’azione amministrativa locale ha dilatato a tutto campo l’area della responsabilità individuale del dipendente, creando una significativa distinzione tra la responsabilità di realizzare positivamente un programma o un progetto e la responsabilità di espletare positivamente i singoli atti di gestione.

Tale oggettivo stato di fatto comporta modifiche delle metodologie sottostanti ai

programmi formativi, atteso che ancor oggi la formazione ha per oggetto la trasmissione di competenze, ma non prende in considerazione gli effetti anche operativi derivanti dall’esercizio di responsabilità intesa non come manifestazione di gerarchia ma come responsabilità individuale. Ne consegue una dicotomia tra il dettato normativo (volto a rafforzare l’esercizio della funzione dirigente intesa come motore per la regolazione della sottostante scala delle responsabilità) ed il concreto espletarsi nel quotidiano dell’azione amministrativa (fondato sul compimento di prestazioni da parte di dipendenti che in molti casi sono privi di addestramento specifico in materia di esercizio di responsabilità).

In materia l’input formativo non può e non deve limitarsi a far proprie le suggestioni

tipo ‘privatizzazione del pubblico’ o ‘aziendalizzazione dell’Ente Locale’, ma deve porsi l’obiettivo di creare un nuovo modello di dipendente pubblico locale in grado di operare all’interno della scala delle responsabilità con consapevolezza della propria autonomia (e dei limiti posti all’esercizio di autonomia), in un quadro di dipendenza funzionale molto diverso dall’attuale, e cioè sburocratizzato e ‘de-gerarchizzato’.

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Il passaggio dalla responsabilità dell’Ente alla responsabilità del dipendente,

unitamente alla dilatazione dell’area dei soggetti investiti di responsabilità individuale, determina infatti la necessità di dare a tutti i soggetti utilizzati dalla scala delle responsabilità una formazione integrata e mirata su una pluralità di conoscenze e di comportamenti, identificabili in via di mera esemplificazione in:

• rapporto con gli organi amministrativi • rapporto con i cittadini • capacità di gestione dell’endo-organizzativo • capacità di gestione dell’inter-organizzativo • esercizio del controllo interno • dimestichezza con i budget e con la modulistica badgettaria • padronanza nell’uso dei fattori costitutivi della gestione (risorse umane, risorse

finanziarie, risorse strumentali) • capacità di ottimizzazione delle risorse organizzative.

I nuovi rapporti tra amministrazione e gestione

L’introduzione del principio di separatezza tra amministrazione e gestione ha suscitato aspettative più ampie di quelle che nelle attuali condizioni è possibile soddisfare.

Non si è tenuto conto infatti, che, per tradursi in fattore di ottimizzazione dell’azione amministrativa locale, tale principio deve essere assunto, più che come una regola, come un percorso. Tale percorso diviene concretamente praticabile solo se contraddistinto da una parallela e mirata attività formativa. In assenza di tale consapevolezza la separatezza tra amministrazione e gestione si traduce solo in un formale ossequio a generici principi di trasparenza ed in un parallelo e sostanziale spostamento delle criticità connesse alla gestione dall’area delle responsabilità degli organi amministrativi all’area delle responsabilità della dirigenza e dei funzionari apicali.

In teoria, la separatezza tra amministrazione e gestione qualifica la volontà

amministrativa elevandola ad attività di governo e qualifica l’attività gestionale riconducendola ad espletamento, attuativo e neutrale, della volontà amministrativa attraverso la sua traduzione in programmi ed atti di gestione.

In pratica però, con eccezione delle macrostrutture (che, in conseguenza delle proprie

dimensioni quali-quantitative, sono in condizione di avvalersi di competenze professionali e di dotazioni strutturali idonee a far fronte alla molteplicità di problemi che ne conseguono, oltre che di ingenti risorse finanziarie da destinare a forme avanzate di attività formative permanenti e mirate), tale separatezza necessita di essere supportata da una adeguata e corrispondente attività formativa, onde scongiurare il pericolo di rendere incerto e confuso l’operato dei dipendenti pubblici locali: tenuti a soddisfare le sollecitazioni a ‘fare presto e

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bene’ avanzate dagli organi amministrativi e nello stesso tempo tenuti a dare tempestive ed efficaci risposte finali ai cittadini che si rivolgono alla Pubblica Amministrazione.

Si tratta di un effetto che non deve essere sottovalutato, anche perché si deve tenere

presente che tale duplice sollecitazione si rivolge al dipendente all’interno di un quadro di riferimento non ancora del tutto definito, attraversato dal processo di conferimento di nuove funzioni e compiti agli Enti Locali territoriali e strutturato da regole poco valutative delle effettive professionalità e poco remunerative a livello delle incentivazioni meritocratiche dell’impegno effettivo che accompagna la prestazione lavorativa. Il che aumenta l’esigenza di insegnare ai dipendenti cosa significa “gestire” dopo l’introduzione del principio di separatezza tra amministrazione e gestione.

Occorre di conseguenza inserire nei programmi formativi corsi o seminari aventi per

oggetto argomenti strategici quali:

• ruolo del Capo dell’Amministrazione, della Giunta e del Consiglio, con individuazione delle rispettive competenze nel processo formativo delle decisioni pubbliche

• esercizio delle attività di supporto strategico a sostegno del programma di governo dell’ente

• esercizio delle attività di supporto operativo per la programmazione della gestione ordinaria dell’ente

• capacità di valutazione preventiva dell’impatto derivante dall’assunzione di una decisione pubblica

• modalità di esercizio delle attività di monitoraggio e referto dei programmi e degli atti di gestione

• rapporti tra Capo dell’Amministrazione e preposti ai programmi di gestione • assunzione a metodo dei principi di coordinamento interdisciplinare, integrazione

funzionale e verifica dei risultati • acquisizione della capacità di creare misure di efficienza • capacità di attuare correttamente le misure di organizzazione adottate dagli organi

amministrativi. In merito è doveroso tenere presente che le materie sopra elencate in via meramente

esemplificativa non possono essere inserite rigidamente ed acriticamente nei programmi formativi di un Ente Locale. Troppe sono le diversità (statutarie, comportamentali, di dotazioni professionali e di risorse finanziarie disponibili) che li caratterizzano. Dal che consegue l’esigenza di ogni Ente di ‘personalizzare’ i propri programmi formativi avendo riguardo di selezionare le tematiche più rispondenti alle esigenze funzionali dell’Ente stesso e di scegliere docenti idonei a favorire il conseguimento non di risultati generici ma di quei risultati che gli organi amministrativi si prefiggono di conseguire facendo ricorso al supporto di una adeguata attività formativa dei propri dipendenti.

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1.2 I fabbisogni formativi per l’esercizio di nuove competenze

Considerazioni preliminari

Ogni nuova competenza conferita agli Enti Locali induce, di norma, un corrispondente fabbisogno formativo.

I fabbisogni formativi derivanti dal nuovo e più ampio ruolo di cui gli Enti Locali sono

divenuti titolari si assommano e si integrano con l’area dei fabbisogni formativi ‘fisiologici’, così come sommariamente individuati in precedenza. L’area che ne risulta è molto ampia, tanto da richiedere sia una gestione programmata nelle priorità e nei tempi che una metodologia di tipo nuovo che porti a risultati conformi a quanto richiesto dalla normativa vigente.

In particolare la legge 15 marzo 1997, n. 59 (art. 4, c. 3) àncora l’azione amministrativa a

principi di carattere generale che devono essere incardinati ai programmi formativi attuati. Per gli scopi di cui sopra vanno tenuti presente, soprattutto, i seguenti principi:

• completezza della funzione o compito conferito. Ciò significa che non solo l’ente ma anche il preposto al programma o all’atto di gestione deve comunque pervenire, in sede di espletamento, al risultato finale atteso;

• efficienza ed economicità (anche con la soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui);

• cooperazione tra Stato, Regioni ed Enti Locali; • responsabilità ed unicità dell’amministrazione; • identificabilità in capo ad unico soggetto, anche associativo, della responsabilità di

ciascun servizio o attività amministrativa; • omogeneità tra espletamento delle nuove funzioni ed espletamento delle funzioni già

esercitate; • adeguatezza (in relazione all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente a

garantire l’esercizio delle funzioni); • differenziazione, in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative,

demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi; • copertura finanziaria e patrimoniale dei costi; • autonomia organizzativa e regolamentare.

Da tenere presente, inoltre, che la soddisfazione delle nuove competenze deve avvenire

all’insegna dei fattori virtuosi della gestione (efficienza, efficacia, economicità, qualità delle prestazioni erogate, trasparenza nell’operare). Infatti il principio di efficienza ed economicità introdotto dalla legge n. 59/97 concerne valori di sistema, mentre l’efficienza ed economicità richiesta alla prestazione del pubblico dipendente concerne valori specifici disaggregati, direttamente connessi al modo di gestire la prestazione lavorativa.

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Fabbisogni formativi finalizzati all’efficienza

L’efficienza è una misura di organizzazione o, meglio, l’insieme delle misure di organizzazione predisposte dall’Ente per il compimento dei propri programmi e dei propri atti di gestione. In quanto tale l’efficienza accompagna la prestazione lavorativa del dipendente dell’Ente dando vita a delta che in sede di esercizio delle rispettive competenze e responsabilità, a seconda della sua modalità di utilizzo all’interno della struttura, possono essere positivi o negativi.

Quanto più si dilata l’area della competenza gestionale tanto più complessa diviene la

individuazione delle misure di organizzazione necessarie per assicurare efficienza all’azione amministrativa dell’Ente. In presenza di un processo di trasferimento di funzioni e compiti amministrativi da parte di Stato e Regioni agli Enti Locali di dimensioni molto ampie, i preesistenti livelli di efficienza delle strutture locali sono inevitabilmente posti in crisi. Questo determina l’esigenza di intervenire a modifica sostanziale delle misure di organizzazione esistenti e, cosa ben più importante, di addestrare i dipendenti ad operare con misure di organizzazione molto più complesse perché integrate tra loro al servizio della dilatata competenza primaria dell’Ente ed al tempo stesso rese compatibili per l’eventuale integrazione con il modo di operare degli altri comparti della Pubblica Amministrazione.

Emergono da tale situazione fabbisogni formativi strutturalmente innovativi e

metodologicamente difficili da soddisfare. Si tratta infatti di formare i dipendenti apicali a:

• creare, in sede di esercizio della funzione apicale, le adeguate, specifiche e necessarie, misure di organizzazione;

• operare avvalendosi di metodologie di autocontrollo in tempo reale del proprio operato; • acquisire piena consapevolezza delle aree di competenza primaria di ogni livello di ente -

ordinamento; • padroneggiare, in sede operativa, aree totalmente nuove di funzioni amministrative,

conoscendone ovviamente la disciplina normativa esistente e definendo per ognuna di esse percorsi idonei di gestione dei conseguenti procedimenti, anche se di natura complessa e/o integrata e/o associativa;

• essere in grado di svolgere ruoli gestionali propositivi, di sostegno ed impulso all’azione amministrativa dell’ente locale;

• trasmettere alle risorse umane assegnate competenze adeguate all’esercizio ottimale delle singole prestazioni lavorative;

• utilizzare al meglio le professionalità disponibili, anche avvalendosi, ove necessario, di apporti esterni. La programmazione del quadro sopra indicato di fabbisogni formativi richiede, in sede

strutturale:

• l’istituzione, all’interno della struttura, di un centro unitario di programmazione e coordinamento dei bisogni formativi onde evitare genericità, duplicazioni o omissioni

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(raccomandazione peraltro sottolineata anche dalla citata Direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica);

• una cura particolare nella individuazione del responsabile dell’ufficio preposto alle attività formative;

• un raccordo permanente tra il responsabile delle attività formative ed i responsabili apicali dell’attuazione dei programmi di gestione dell’Ente.

Fabbisogni formativi finalizzati all’efficacia

L’efficacia è una misura di risultato, e in quanto tale non può essere oggetto di programmazioni preventive perché trova misurazione solo in sede di valutazione a consuntivo dell’impatto all’esterno del lavoro compiuto dalla struttura amministrativa locale.

L’efficacia dei singoli programmi o atti di gestione si misura attraverso specifici e

predeterminati indicatori; l’efficacia generale dell’azione amministrativa promossa ed attuata dall’Ente si misura attraverso la formazione del consenso delle comunità amministrate. Ovviamente il bisogno formativo che deve essere soddisfatto ha per oggetto solo il conseguimento del primo obiettivo, e cioè la misurazione dei singoli programmi o atti di gestione sotto il profilo dell’efficacia.

E’ un bisogno formativo non facile da soddisfare perché, trattandosi di nuove

competenze, l’Ente opera in benchmark virtuale con i livelli di efficacia conseguiti dal soggetto ordinamentale precedentemente titolare della corrispondente funzione o compito amministrativo.

Inoltre si tratta di un bisogno formativo non facile da soddisfare perché l’equazione da

risolvere non è “efficacia = qualità” ma “efficacia = compiuta soddisfazione di un bisogno civile”.

Ad oggi la programmazione dei fabbisogni formativi raramente inserisce l’efficacia tra i bisogni da soddisfare, preferendosi lasciare alla libera (e non adeguatamente sostenuta da attività formative ‘mirate’) capacità di iniziativa gestionale del dipendente preposto il conseguimento di livelli accettabili di efficacia in sede di espletamento di quanto conferito. Tale modo di procedere determina disomogeneità tra i vari risultati finali dell’azione amministrativa, con riflessi spesso non positivi sull’efficacia generale conseguita dall’operare dell’Ente. E’ una carenza, poco visibile ma importante, che si sottolinea in questa sede affinché se ne possa prendere in considerazione il recupero.

Fabbisogni formatitivi finalizzati all’economicità

L’economicità è una misura di sostenibilità e in quanto tale costituisce una componente strategica dell’azione amministrativa locale.

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Ogni ente territoriale organizza la propria gestione intorno ad un punto di equilibrio tra tre fattori:

• risorse finanziarie acquisite e disponibili; • risorse finanziarie ulteriormente acquisibili perché compatibili con la capacità contributiva

degli amministrati; • livello di economicità applicato in sede di compimento dell’attività gestionale.

Si tratta di un punto di equilibrio importante e delicato, stante l’obbligo di chiusura in

pareggio del bilancio dell’Ente accanto alle nuove competenze assegnate cui non corrispondono, di norma, adeguate risorse finanziarie aggiuntive.

Tale stato di fatto, onde prevenire l’insorgere di criticità, deve tradursi in un impegno

strategico a migliorare il terzo dei fattori sopra indicati, quello avente per oggetto il livello di economicità applicato in sede di compimento dell’attività gestionale, attraverso sostegni finalizzati in sede di definizione dei programmi formativi.

La dilatazione dell’area di competenza primaria dell’Ente Locale non si limita, infatti,

ad ampliare in modo meccanico l’area della gestione ma rende indispensabile una profonda razionalizzazione con l’obiettivo di rendere meno costoso per l’Ente ogni segmento dell’attività gestionale, o in altre parole il compimento di ogni unità di prodotto.

Conseguentemente i programmi formativi devono addestrare i dipendenti ad acquisire

tale logica ed il metodo conseguente. All’interno di una sinergia virtuosa tra gli organi amministrativi (ai quali compete

disegnare il modello organizzatorio della struttura ed individuare i programmi di gestione) ed i dipendenti apicali (ai quali compete gestire per conseguire gli obiettivi assegnati e raggiungere i risultati attesi) occorre introdurre nella formazione dei dipendenti abitudini e capacità nuove di organizzazione del lavoro.

Facendo solo alcuni esempi, si tratta di:

• addestrare i dipendenti ad integrare i processi gestionali (ferma restando l’autonomia del procedimento amministrativo e la connessa responsabilità individuale) integrandone anche le professionalità;

• introdurre nella prestazione lavorativa i principi di polifunzionalità e multimansionalità della prestazione lavorativa, addestrando i dipendenti a vivere l’orario di lavoro come un insieme preprogrammato di ore/lavoro;

• fornire ai dipendenti le tecniche di valutazione preventiva dei costi globali di un programma di gestione, comparandoli con i costi richiesti da una eventuale esternalizzazione di quel programma;

• fare acquisire ai dipendenti consapevolezza sulle aree di contiguità gestionali esistenti all’interno dell’Ente tra le vecchie e le nuove competenze

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Fabbisogni formativi finalizzati alla qualità delle prestazioni erogate

La qualità è anch’essa una misura di risultato, ma si distingue dall’efficacia perché misura il livello di impatto sull’utenza ottenuto attraverso il risultato conseguito. Tra efficacia e qualità esiste la seguente connessione:

Efficacia Conseguimento del risultato finale prefissato

Qualità - Modalità di conseguimento del risultato finale- Livello e tipologia del risultato finale

La qualità misura anche il modo in cui viene gestita ogni fase di processo, nell’ambito delle attività necessarie per pervenire al risultato finale. Ne consegue che l’efficacia è una misura di risultato esterna mentre la qualità è una misura di risultato interna-esterna.

I programmi formativi nella più parte dei casi non investono direttamente il fattore

qualità, sia per la consapevolezza del riflesso che tale fattore potrebbe avere sulla valutazione del lavoro dipendente all’interno dell’Ente, sia per la difficoltà di parametrare tale fattore in modo e con criteri oggettivi. Ne consegue che, malgrado l’impulso dato in materia dal Capo II° del decreto legislativo n. 286/99, i programmi formativi tendono di norma a gestire il fattore qualità come complemento dell’efficacia dell’azione amministrativa.

Le nuove competenze conferite hanno contribuito a togliere priorità al fattore qualità in

sede di programmazione dei nuovi bisogni formativi, privilegiando in sede di progettazione concettuale e di conseguente attività gestionale gli interventi di aggiornamento conoscitivo e di addestramento tecnico del personale dipendente. Tale modo di procedere, se dovesse

consolidarsi nel tempo, determinerebbe una caduta di gradimento da parte dei cittadini nei confronti del modo di essere e di operare della pubblica amministrazione locale.

Fabbisogni formativi finalizzati alla trasparenza del pubblico operare

La trasparenza è una misura di qualità che opera, a livello di metodo, sia come componente virtuosa dell’efficienza che come componente virtuosa dell’efficacia. Si tratta di una misura ad elevato contenuto procedimentale, la cui introduzione nella gestione presuppone l’acquisizione di specifiche tecniche di trattamento del procedimento amministrativo.

Il dipendente responsabile del procedimento deve essere convinto della giustezza di impostare il proprio lavoro ricorrendo a metodologie istruttorie caratterizzate da un massimo di visibilità e pubblicità del proprio operato avvalendosi, ogni qualvolta possibile, della partecipazione diretta degli utenti interessati alle fasi di gestione degli atti istruttori necessari per il conseguimento del risultato finale.

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Tale modo di procedere è sollecitato dall’intero corpo normativo di disciplina della gestione dell’azione amministrativa, ma anche dall’ingresso di molte nuove competenze degli Enti Locali che determina una moltiplicazione di canali di comunicazione e/o di servizio tra la pubblica amministrazione locale ed i cittadini. Questo accentua il livello di attenzione degli utenti verso il cosa e il come viene intrapreso dall’Ente Locale per adempiere ai propri rafforzati compiti istituzionali.

Trasferita a livello di predisposizione dei programmi formativi tale esigenza si declina

in bisogno (da qualificare, rendere visibile e soddisfare attraverso iniziative formative mirate) avente come destinatari dell’attività formativa sia i dipendenti preposti agli atti di gestione che i dipendenti utilizzati in rapporti continui con la società civile e avente come finalità l’obiettivo di rendere la gestione una “casa di vetro dell’operare pubblico”.

Poiché la trasparenza in corso d’opera è un metodo e solo dopo il risultato finale si

trasforma in misura, i programmi formativi devono addestrare i dipendenti ad acquisire il metodo ed a renderlo componente fisiologica della propria prestazione lavorativa.

Quello che è in corso è un vero e proprio benchmark tra lo Stato e gli Enti locali circa

il modo di rapportarsi con la società civile. Il vero obiettivo dell’introduzione nell’ordinamento del principio di sussidiarietà è quello che, rendendo più vicino sotto il profilo ordinamentale il riferimento amministrativo abilitato a soddisfare le domande ed i bisogni civili, tale maggiore contiguità e vicinanza rende almeno in teoria possibile la contestuale elevazione del livello di trasparenza caratterizzante il modo di procedere in sede gestionale da parte della Pubblica Amministrazione.

Si tratta di un bisogno formativo reale, perché cancella il previgente e consolidato

principio di sacralità dell’operare pubblico e lo sostituisce con il moderno (e richiesto a gran voce) principio di equazione tra operare pubblico e attività di servizio. La soddisfazione di tale bisogno formativo è il modo tecnico per attuare il principio costituzionale della sovranità dei cittadini nel loro rapporto con la Pubblica Amministrazione, e in quanto tale la sua soddisfazione si colloca come priorità in sede di definizione della programmazione dei fabbisogni formativi.

1.3 Le aree dei fabbisogni formativi

Considerazioni preliminari

Quanto evidenziato nei precedenti capitoli individua in modo sintetico tutti gli input che attendono di essere soddisfatti attraverso i programmi formativi. Sono input di derivazione varia che è necessario disaggregare dalle filiere di derivazione e riaggregare in aree omogenee ed integrate, onde porli in condizione di essere trasformati, attraverso l’attività formativa, in fattori di sostegno ed impulso all’azione amministrativa.

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La costruzione delle aree formative presuppone però la conoscenza di tutti i bisogni

che devono essere soddisfatti (sia di quelli al servizio esclusivo dei cittadini, sia di quelli richiesti dagli organi amministrativi) quale modalità prescelta per organizzare adeguatamente l’azione amministrativa, ma anche dei bisogni dei dipendenti, quale modalità di soddisfazione di proprie legittime aspirazioni al riconoscimento di ruolo ed alla progressione professionale.

Ne consegue che il Piano della formazione deve essere la risultante di un massimo di

consapevolezza delle lacune che devono essere colmate, con riferimento a quelle esistenti, da quelle conseguenti dal conferimento delle nuove competenze a quelle emergenti dalla contrattazione nazionale ed integrativa, oltre che dalla legittima attesa di crescita professionale dei dipendenti.

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L’esercizio di nuove competenze

Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, conferisce alle Province (Tab. 2) ai Comuni (Tab. 3) e agli altri enti locali territoriali (Tab. 4) le seguenti competenze:

Tab.2 Competenze conferite alle Province dal decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998

Province

Titolo Capo Materia Funzione o compito II° III°,art.19,c.8 Industria funzioni relative produzione mangimi II° V°,art.31,c.2a Energia promozione fonti rinnovabili e risparmio energetico II° V°,art.31,c.2b Energia autorizzazione a installazione e esercizio di impianti di produzione di

energia II° V°,art.31,c.2c Energia controllo su rendimento termico degli impianti termici III° VII°art.105,c.3a Trasporti autorizzazione e vigilanza tecnica sulla attività di autoscuole e scuole

nautiche III° VII°art.105,c.3b Trasporti riconoscimento dei consorzi di scuole per conducenti di veicoli a

motore III° VII°art.105,c.3c Trasporti gestione esami di idoneità degli insegnanti e istruttori di autoscuola III° VII°art.105,c.3d Trasporti rilascio autorizzazioni per le revisioni dei veicoli e controllo

amministrativo sulle imprese autorizzate III° VII°art.105,c.3e Trasporti controllo tariffe autotrasporto merci per conto terzi III° VII°art.105,c.3f Trasporti rilascio licenze per autotrasporto merci per conto proprio III° VII°art.105,c.3g Trasporti esami per qualifica di autotrasportatore di merci per conto terzi e di

persone su strada, nonché per idoneità a consulente per la circolazione dei mezzi di trasporto su strada

III° VII°art.105,c.3h Trasporti tenuta degli albi provinciali degli autotrasportatori III° V°,art.95,c.2 Opere Pubbliche realizzazione opere pubbliche di interesse nazionale sul residuo

territorio provinciale III° VIII°art.108,c.1b Protezione civile • attività di previsione e interventi di prevenzione dei rischi

• predisposizione piani provinciali di emergenza • vigilanza sui servizi urgenti da attivare in caso di calamità

IV° III°,art.139,c.3 Istruzione scolastica risoluzione conflitti di competenze tra le istituzioni scolastiche V° I°,art.163,c.3 Polizia

amministrativa • riconoscimento nomina a guardia giurata degli agenti venatori e

delle guardie volontarie delle associazioni venatorie nazionali • riconoscimento nomina di agenti giurati addetti alla sorveglianza

sulla pesca nelle acque interne e marittime • rilascio autorizzazioni per gare con veicoli su strade

intercomunali o provinciali

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Tab. 3 - Competenze conferite ai Comuni dal decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998

Comuni

Titolo Capo Materia Funzione o compito III° V°,art.95,c.2 Opere Pubbliche Comuni metropolitani o capoluoghi: realizzazione opere pubbliche di

interesse nazionale sul proprio territorio II° IV°,art. 23,c.1 Attività produttive realizzazione, ampliamento,cessazione, riattivazione, localizzazione e

rilocalizzazione di impianti produttivi, incluso rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie

II° IV°,art.23,c.3 Attività produttive assistenza attraverso sportelli unici per le attività produttive II° VIII°,art.41,c.1 Fiere e mercati tutte le funzioni in materia di fiere e mercati locali II° VIII°,art.41,c.3 Fiere e mercati le funzioni in materia di riconoscimento delle manifestazioni

fieristiche di rilevanza locale e di rilascio delle autorizzazioni allo svolgimento

III° II°,art.66,c.1a Catasto conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio urbano

III° II°,art.66,c.1b Catasto delimitazione zone agrarie interessate ad eventi calamitosi III° II°,art.66,c.1c Catasto rilevazione dei consorzi di bonifica e degli oneri consortili gravanti

sugli immobili III° III°,art.70,c.1a Ambiente protezione e osservazione zone costiere comunali III° III°,art.78,c.1 Ambiente aree naturali protette interne al territorio comunale III° III°,art.81,c.1c Ambiente monitoraggio su produzione, impiego, diffusione, persistenza

nell’ambiente e sull’effetto sulla salute umana delle sostanze ammesse alla produzione di preparati per lavare

III° III°,art.81,c.1d Ambiente monitoraggio su stato di eutrofizzazione delle acque interne e costiere III° IV°,art.84,c.1b Risorse idriche e

difesa suolo rilascio abilitazione alla conduzione di impianti termici

III° IV°,art.84,c.1c Risorse idriche e difesa suolo

tenuta e aggiornamento inventari delle fonti di emissione

III° VIII°art.108,c.1c Protezione civile • attuazione attività di prevenzione • adozione provvedimenti necessari per assicurare i primi soccorsi • predisposizione e attuazione piani comunali di emergenza • attivazione primi soccorsi alla popolazione • vigilanza sull’attuazione dei servizi urgenti • utilizzo del volontariato di protezione civile a livello comunale

IV° II°,art.131,c.2 Servizi sociali erogazione servizi e prestazioni sociali; progettazione e realizzazione della rete dei servizi sociali

IV° II°,art.132,c.1 Servizi sociali funzioni e compiti concernenti minori, giovani, anziani, famiglia, portatori di handicap, non vedenti, audiolesi, tossicodipendenti, alcooldipendenti e invalidi civili

IV° III°,art.139,c.2 Istruzione scolastica • educazione adulti • orientamento scolastico e professionale • pari opportunità di istruzione • coerenza e continuità tra i diversi gradi e ordini di scuola • interventi perequativi • prevenzione della dispersione scolastica e educazione alla salute

IV° III°,art.139,c.3 Istruzione scolastica risoluzione conflitti di competenze tra le istituzioni scolastiche della scuola materna e primaria

V° I°,art.163,c.2 Polizia amministrativa

• rilascio licenza vendita ambulante strumenti da punta e da taglio • rilascio licenze agenzie nel settore mostre e fiere campionarie • ricevimento dichiarazioni esercizio attività di dare alloggio per

mercede • rilascio licenze agenzie d’affari • rilascio licenza per attività di fochino • rilascio autorizzazioni per gare con veicoli su strade comunali • rilascio autorizzazione per attività di direttore o istruttore di tiro • autorizzazioni a stranieri per esercizio di mestieri girovaghi

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Tab. 4 - Competenze conferite agli Enti locali dal decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998

Enti locali

Titolo Capo Materia Funzione o compito II° V°,art.31,c.1 Energia controllo sul risparmio energetico e l’uso razionale dell’energia IV° II°,art.132,c.2 Servizi sociali promozione e coordinamento operativo dei soggetti e delle strutture

che agiscono nell’ambito dei servizi sociali IV° III°,art.139,c.1 Istruzione scolastica • istituzione, aggregazione, fusione e soppressione scuole;

• redazione piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche;

• servizi di supporto organizzativo del servizio scolastico per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio;

• piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature • sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti; • iniziative e attività di promozione; • costituzione, controlli e vigilanza sugli organi collegiali

scolastici. Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, è la norma più corposa di conferimento di

funzioni e compiti amministrativi alle Regioni e agli Enti locali. Ma l'attuazione della delega data con la legge n. 59/97 dà origine ad una produzione di poco più di 60 provvedimenti normativi, molti dei quali conferiscono agli Enti locali territoriali ulteriori competenze. Non è questa la sede per dare elencazione esaustiva dei conferimenti che ne conseguono, anche perché in via generale i conferimenti disciplinati hanno di norma come destinatari le amministrazioni regionali in nome del doveroso rispetto del ruolo costituzionale assegnato alle Regioni in materia di organizzazione delle titolarità amministrative nella dimensione subregionale.

Si è preferito, di conseguenza, procedere ad uno stralcio volto a raggruppare gli altri

conferimenti più significativi aventi come destinatari diretti gli Enti locali territoriali, avvertendo che quanto indicato nella Tabella 5 omette di prendere in considerazione le attività concorrenti tra Regioni ed Enti locali ed i riferimenti generici tipo ‘le regioni, le province ed i comuni sono tenuti a …’ oppure ‘compete alle regioni e agli enti locali fare …’.

In particolare, con lo stralcio che segue, si è scelto di dare visibilità a quei

conferimenti che, per la loro materia, danno vita con maggiore chiarezza a bisogni formativi per il loro essere corrispondenti ad attività di assoluta novità per gli Enti Locali o per il loro presentare esigenze di integrazione con le pregresse attività gestionali degli Enti stessi.

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Tab. 5 - Competenze conferite agli Enti locali dalla legge n. 59 del 15 marzo 1997

Norma Collocazione Materia Funzione o compito Province

D.lgs.345/98 Art. 1, c.3 Trasporto pubblico locale funzioni relative ai servizi automobilistici, a guida vincolata e di navigazione interna, esclusi quelli di competenza comunale

Comuni D.lgs.32/98 Art. 2, c.1 Distribuzione carburanti definizione criteri, requisiti e caratteristiche aree dove

installare gli impianti e dettare le norme applicabili a tali aree

D.lgs.32/98 Art. 2, c.3 Distribuzione carburanti individuare le destinazioni d’uso compatibili con l’installazione degli impianti all’interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto

D.lgs.32/98 Art. 2, c.4 Distribuzione carburanti stabilire i criteri per la assegnazione degli impianti da ubicare in aree pubbliche

D.lgs.345/98 Art. 1, c.5 Trasporto pubblico locale funzioni inerenti i servizi di trasporto pubblico svolti interamente dentro il territorio comunale

D.lgs.114/98 Art. 8, c.1 Commercio rilascio autorizzazione per apertura, trasferimento e ampliamento esercizi di medie dimensioni, previa adozione criteri rilascio

D.lgs.114/98 Art. 9, c.1 Commercio rilascio autorizzazione per apertura, trasferimento e ampliamento esercizi di grandi dimensioni, previo parere regionale favorevole

D.lgs.114/98 Art. 11, c.1 Commercio emanazione criteri orari apertura e chiusura vendita al dettaglio

D.lgs.114/98 Art. 13, c.3 Commercio autorizzazione alla vendita in orario notturno D.lgs.114/98 Art. 22 Commercio gestione sanzioni e incameramento proventi da

violazioni D.lgs.114/98 Art. 28, c.3 Commercio autorizzazione alla vendita al dettaglio su aree

pubbliche o in forma itinerante D.lgs.114/98 Art. 28, c.15 Commercio definizione ampiezza complessiva mercati e modalità

assegnazione dei posteggi

Enti locali D.lgs.422/97 Art.7, c.1 Trasporto pubblico locale tutte le funzioni e compiti che non richiedono unitario

esercizio a livello regionale

La devoluzione di competenze agli Enti Locali non si esaurisce nel processo definito

dalla legge 15 marzo 1997, n. 59. Negli anni successivi, infatti, sono molte le leggi di comparto che, in sede di riordino dell’assetto amministrativo del Paese, conferiscono agli Enti Locali territoriali significative competenze. Si tratta di una attività non ancora conclusa, specie in conseguenza e per effetto dell’impulso che tale processo ha ricevuto dalla Legge Costituzionale n. 3/01, di modifica sostanziale del Titolo V° della Costituzione.

Tra le leggi di riordino più significative è stata enucleata la legge n. 328/00 per un

duplice ordine di fattori: perché disciplina una materia strategica quale è quella delle politiche sociali e perché è la legge quadro che maggiormente investe direttamente gli Enti Locali territoriali quali destinatari dei conferimenti, come dimostrato dalla Tabella che segue:

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Tab. 6 - Competenze conferite agli Enti locali in materia di politiche sociali dalla legge n. 328/00

Norma Collocazione Funzione o compito Province

L. 328/00 Art. 7, c.1 • attuazione sistema informativo servizi sociali • analisi offerta assistenziale • promozione iniziative di formazione • partecipazione a definizione e attuazione dei piani di zona

Comuni L. 328/00 Art. 6, c.1 tutte le funzioni inerenti gli interventi sociali svolti a livello locale L. 328/00 Art. 6, c.2 • programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociale a

rete; • erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche e delle attività assistenziali già

di competenza delle province; • autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo

residenziale e semiresidenziale; • partecipazione al procedimento per individuazione ambiti territoriali; • definizione parametri di valutazione delle condizioni di priorità

L. 328/00 Art. 6, c.3 • promozione di risorse delle collettività locali per sviluppo interventi di auto-aiuto • coordinamento programmi e attività degli enti che compiono interventi sociali e

coordinamento intese tra detti soggetti gestori e ASL • adozione nel settore di strumenti per semplificazione amministrativa e per controllo

di gestione su efficienza, efficacia e risultati delle prestazioni erogate • consultare i soggetti operanti nel settore, i cittadini e le parti sociali per valutare

qualità e efficacia dei servizi • garantire ai cittadini la partecipazione al controllo di qualità dei servizi erogati

L. 328/00 Art. 11, c.1 rilascio autorizzazioni a erogazione servizi e gestione strutture residenziali e semiresidenziali

L. 328/00 Art. 11, c.3 accreditamento soggetti gestori e pagamento tariffe ai soggetti accreditati per le prestazioni erogate

L. 328/00 Art. 14, c.1 predisposizione progetti individuali per disabili L. 328/00 Art. 16, c.4 erogazione di contributi assistenziali in denaro o, in alternativa, di prestiti d’onore L. 328/00 Art. 16, c.5 previsione di agevolazioni fiscali e tariffarie per famiglie con responsabilità di cura L. 328/00 Art. 17, c.1 concessione di titoli per acquisto di servizi sociali erogati da soggetti accreditati L. 328/00 Art. 19, c.1 definizione Piano di zona

Dalle Tabelle sopra riportate emerge un complesso quadro delle nuove competenze

delle quali sono divenuti titolari gli Enti Locali. E tuttavia il quadro rappresentato è molto parziale perché omette di prendere in considerazione il corpus più impegnativo dei conferimenti, quello conferito dallo Stato alle Regioni per essere oggetto di successivo conferimento agli Enti Locali attraverso la normativa regionale di devoluzione amministrativa.

Tutte le Regioni a Statuto ordinario, ad eccezione della Calabria, hanno ottemperato a

quanto disposto dal decreto legislativo n. 112/98, emanando proprie leggi di disciplina e localizzazione delle attività di conferimento delle funzioni e dei compiti trasferiti. Ma in questa sede si è nell’impossibilità di dare una rappresentazione tabellare globale delle scelte compiute dalle singole Regioni, atteso che ne è conseguita una normativa dai contenuti sensibilmente diversificati da Regione a Regione.

Al fine però di rendere le dimensioni di quanto prodotto dalla produzione normativa

regionale in materia, oltre che per comprendere l’impatto di tale attività sui fabbisogni formativi degli Enti locali territoriali, si è ritenuto opportuno sintetizzare in tabella il

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contenuto del decreto legislativo n. 96/99, di conferimento diretto, surrogatorio e provvisorio, di funzioni e compiti amministrativi alle Provincie (Tab. 7) e ai Comuni (Tab. 8) ed in attesa dell’adozione e dell’entrata in vigore delle normative regionali.

Pur con i limiti sopra indicati, il decreto in oggetto consente di completare questa parte

della Guida, perché dà visibilità alle materie in ordine alle quali le Regioni hanno provveduto ad effettuare i conferimenti completando il quadro delle nuove competenze degli Enti locali. E’ sufficiente infatti tenere presente che ogni materia disciplinata dal decreto legislativo n. 96/99 è oggetto da parte della normativa regionale di un corrispondente e molto più dilatato (specie in direzione dei Comuni e degli altri Enti Locali) conferimento di competenze ed attività agli Enti Locali territoriali.

Va infine tenuto presente che la normativa regionale ha disciplinato, dovendo dare

attuazione per intero a quanto disposto dal decreto legislativo n. 112/98, conferimenti ai Comuni non presi in considerazione dal decreto legislativo n. 96/99, tra i quali si segnalano, per la loro rilevanza sotto il profilo gestionale, le materie Turismo e Demanio marittimo. Così come la normativa regionale dà, come previsto e dovuto, ampio spazio agli ATO (Ambiti territoriali ottimali) ed alla conseguente e connessa disciplina dell’associazionismo intercomunale.

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Tab. 7 - Competenze conferite alle Province dal decreto legislativo n. 96/99

Province Capo Articolo Materia Funzione o compito

Tit. I°- I° 3, c.1 Artigianato funzioni previste da art. 14 d.lgs. 112/98 Tit. I°-II° 5, c.1 Industria concessione e erogazione alle imprese di agevolazioni, sovvenzioni,

incentivi e contributi Tit.I°-III° 7, c.1 Energia controllo su risparmio energetico e uso razionale dell’energia Tit.I°-IV° 9, c.1 Miniere vigilanza e polizia su ricerca, coltivazione e utilizzazione di acque

termali e minerali polizia mineraria di cave e torbiere

Tit.I°-IV° 9, c.1c Miniere concessione e erogazione degli ausili finanziari Tit.I°-VI° 12, c.1 Fiere, mercati,

commercio interventi formativi per gli operatori del settore

Tit.II°-I° 17, c.1 Territorio e urbanistica piani territoriali di coordinamento, ai fini di quanto disposto da art. 57 d.lgs. 112/98

Tit.II°-III 21, c.1 Ambiente funzioni previste da art. 70, c.1, lett. a) e c), d.lgs. 112/98 Tit.II°-IV 24, c.1 Attività a rischio funzioni previste da art. 72 d.lgs. 112/98 Tit.II°-V° 26, c.1 Rischio ambientale attuazione piani risanamento regionali II° - VII° 29, c.1 Inquinamento acque funzioni previste da art. 81, c.1, lett. a), c) e d), d.lgs. 112/98 II°- VIII° 32, c.1 Inquinamento acustico,

atmosferico, elettromagnetico

funzioni concernenti rilevamento, disciplina e controllo delle emissioni atmosferiche e sonore

II° - IX° 34, c.1 Idrico e difesa suolo • progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche; • dighe, tranne quelle indicati da D.lgs. 112/98, art. 91, c.1; • compiti di polizia idraulica e di pronto intervento; • concessioni di estrazione di materiali litoidi dai corsi d’acqua; • concessione di spiagge lacuali, superfici e pertinenze dei laghi; • concessione di pertinenze idrauliche e di aree fluviali; • polizia delle acque; • programmazione, pianificazione e gestione integrata interventi

di difesa coste e abitati costieri; • gestione demanio idrico

II° - X° 36, c.1 Opere pubbliche • autorizzazione costruzione elettrodotti con tensione fino a 150 kw;

• valutazione tecnico-amministrativa e attività consultiva su progetti di opere pubbliche di competenza provinciale

II° - XI° 39, c.1 Viabilità gestione e vigilanza strade regionali e provinciali II° - XII° 41, c.1 Trasporti funzioni art. 105, c. 2, lett. a), D.lgs. 112/98 III°- II° 46, c.1 Servizi sociali funzioni servizi sociali ex art. 132, c. 2, D.lgs. 112/98 III°- III° 48, c.1 Formazione

professionale funzioni individuate dal D.lgs. 112/98

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Tab. 8 - Competenze conferite ai Comuni dal decreto legislativo n. 96/99

Comuni Capo Articolo Materia Funzione o compito

Tit.I°-VI° 13, c.1 Fiere, mercati, commercio

funzioni previste da art. 41 d.lgs. 112/98

Tit.II°-II° 19, c.1 Edilizia residenziale pubblica

• individuazione tipologie di intervento atte a soddisfare i fabbisogni rilevati

• individuazione operatori privati incaricati realizzazione degli interventi localizzati nel proprio territorio

• concessione contributi a operatori incaricati realizzazione interventi

• gestione e attuazione degli interventi Tit.II°-III 22, c.1 Ambiente funzioni previste da art. 70, c.1, lett. b), d.lgs. 112/98 II° - VII° 30, c.1 Inquinamento acque funzioni previste da art. 81, c.1, lett. b), d.lgs. 112/98 II° - X° 37, c.1 Opere pubbliche • edilizia di culto;

• progettazione, esecuzione e manutenzione straordinaria adibiti utilizzati da amministrazione Stato;

• esecuzione opere ripristino per eventi bellici o calamità naturali;

• valutazione tecnico-amministrativa e attività consultiva su progetti di opere pubbliche di competenza comunale

II° - XII° 42, c.1 Trasporti funzioni art. 105, c. 2, lett. f) e l), D.lgs. 112/98 III°- I° 44, c.1 Tutela salute funzioni pubblicità sanitaria ex art. 118, c. 2, D.lgs. 112/98 III°- II° 47, c.1 Servizi sociali funzioni servizi sociali ex art. 132, c. 1, D.lgs. 112/98

Processi interni di integrazione

La struttura integrata dei nuovi strumenti di bilancio degli Enti Locali ha influenzato la modalità di redazione dei Piani Esecutivi della gestione dando visibilità a fattori di integrazione collegati al conseguimento della efficienza interna (organizzazione della gestione per centri di costo, istituzione di centri di responsabilità) e dando ruolo a fattori di integrazione collegati al conseguimento di efficacia esterna (attivazione di forme permanenti di collegamenti inter-settoriali anche introducendo e sviluppando a tal fine sistemi operativi di e-government, potenziamento delle comunicazioni interne, ricorso alla integrazione per la gestione di comparti contigui, connessione permanente tra azione amministrativa ed esternalizzazioni, sviluppo del partenariato, attivazione di collaborazioni strutturali con il Terzo Settore, e così via).

Sul terreno dei fabbisogni formativi ne consegue l’esigenza di sviluppare le

conoscenze dell’endo-organizzativo, assunto sia come metodo unidirezionale di efficienza sia come modalità organizzativa privilegiata. In merito va tenuto presente che l’endo-organizzativo è una modalità dell’operare attraverso la quale si irrigidisce funzionalmente e si dà visibilità strutturale alla collaborazione, organica e permanente, tra uffici e servizi diversi di un medesimo ente. Essendo un metodo, esso deve essere adattato alla specificità di ogni singolo ente, avendo consapevolezza che un corretto ricorso a tale metodo rende possibile velocizzare l’azione amministrativa, migliorarne i risultati finali ed abbatterne i costi di gestione.

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L’endo-organizzativo assunto come metodo unidirezionale consente infatti di integrare senza traumi nell’azione amministrativa le vecchie e le nuove competenze; mentre assunto come modalità organizzativa facilita sia la strutturazione della gestione per sportelli (fattore di semplificazione dell’espletamento degli atti di gestione), sia la definizione di collegamenti organici e permanenti tra Enti di diverso livello ordinamentale (comune e provincia, comune e regione, comune e camera di commercio, e così via) per l’esercizio di funzioni connesse a titolarità diversificata della competenza a gestire.

Occorre di conseguenza provvedere a sofisticare la competenza dei dipendenti,

aggiungendo alla capacità di lavorare nell’area dell’efficienza la capacità di lavorare nell’area dell’efficienza integrata; ed alle tecniche di conseguimento dell’efficacia le tecniche di conseguimento dell’efficacia integrata.

Quelli che vengono rappresentati nel presente paragrafo sono fabbisogni formativi di

ultima generazione, di difficile programmazione e di ancora meno agevole soddisfazione. E tuttavia è necessario che vengano presi in considerazione perché costituiscono l’appendice operativa, virtuosa e necessaria, dell’introduzione del principio di sussidiarietà.

Sono fabbisogni non assoggettabili a criteri di omologazione classificata perché strettamente incardinati alle vocazioni ed alle caratteristiche dei singoli Enti.

Processi di associazionismo intercomunale

La dilatazione dell’area della competenza primaria dei Comuni ha determinato, per i Comuni di minore dimensione demografica, notevoli problemi di gestione per la carenza quali-quantitativa di risorse umane disponibili e di sostenibilità dei costi. Il ricorso all’associazionismo intercomunale può rappresentareun fattore di grande facilitazione per il superamento di tali problemi.

Anche i Comuni di dimensione demografica media guardano da tempo con interesse

all’associazionismo intercomunale, inteso come modalità di ottimizzazione dell’azione amministrativa ed assunto come misura di efficienza (contrazione dei costi di gestione) e come misura di efficacia (maggiore qualificazione dei servizi erogati, e quindi raggiungimento di indici più elevati di gradimento tra i cittadini; migliore ‘copertura’ del territorio amministrato).

Va inoltre tenuto in considerazione che le Regioni hanno strutturato l’organizzazione

amministrativa del territorio subregionale, per esplicita previsione del decreto legislativo n. 112/98, in ATO (Ambiti Territoriali Ottimali), prevedendo per la gestione degli stessi forme strutturali permanenti di cooperazione tra gli Enti Locali destinatari dei conferimenti.

Il decreto legislativo n. 267/00, inoltre, rende possibile l’estensione

dell’associazionismo intercomunale anche ai servizi “interni” delle amministrazioni (segreterie comunali, uffici tecnici, uffici di ragioneria, gestione del personale, e così via).

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Ne consegue l’emergere di fabbisogni formativi di tipo nuovo, aggiuntivi rispetto a quelli tradizionalmente soddisfatti, che è necessario individuare caso per caso senza cedere alla tentazione della omologazione, perché il fabbisogno da soddisfare è quello di traghettare i dipendenti dalla logica e dalle procedure dell’autarchia endo- organizzativa del singolo Ente locale alla logica ed alle procedure della sinergia inter-organizzativa tra Enti Locali contigui tra loro, trasferendo la cultura del risultato dalla dimensione comunale ad altra, più estesa, dimensione.

La soddisfazione di tale fabbisogno deve peraltro tener conto dello sviluppo raggiunto

dai processi di esternalizzazione della gestione dei servizi, con particolare riferimento ai servizi sociali. Poiché il Comune è inteso come soggetto regolatore di gestioni esternalizzate, si impone per i dipendenti l’acquisizione di specifiche e innovative competenze nell’espletamento delle dovute attività di vigilanza, monitoraggio, referto e controllo, oltre che di intervento a recupero degli eventuali scostamenti.

Aggiornamento professionale

I dipendenti costituiscono una risorsa per l’Ente locale (Ru), ed in quanto tale essi devono essere considerati i protagonisti del processo di cambiamento amministrativo.

Da tale premessa emerge che l’aggiornamento professionale dei dipendenti porta

giovamento più al datore di lavoro che non ai lavoratori, sia in termine di risultati che in termine di costi. Tale giovamento si manifesta se nell’Ente siano ben chiari i tempi, le materie, le priorità e le modalità dei programmi formativi finalizzati all’aggiornamento professionale dei propri dipendenti, e se si crea un livello elevato di condivisione sui programmi definiti e proposti in materia da parte dell’Amministrazione. Ove manchino, in tutto o in parte, questi due requisiti l’aggiornamento professionale, invece di operare come fattore di sistema di crescita armonica del patrimonio di professionalità esistente all’interno dell’Ente, opererà alla stregua di atto dovuto privo di ritorni positivi sulla gestione.

Quest’ultimo è un rischio reale che corre l’attività formativa quando deve

programmare i fabbisogni idonei a soddisfare l’aggiornamento professionale; anche perché si tratta di materia sulla quale i destinatari esercitano diritti non comprimibili in sede di concertazione dei corrispondenti programmi, specie nella sede naturale di confronto sulla materia che è costituita dalla contrattazione integrativa decentrata. E poiché raramente i preposti alla redazione e gestione dei programmi formativi fanno parte della delegazione trattante di parte pubblica occorre che l’Amministrazione abbia idee chiare sul cosa e come fare per l’aggiornamento professionale dei propri dipendenti, vincolando la propria delegazione trattante ad operare per cercare di conseguire il massimo di adesione sulle proposte avanzate dalla parte pubblica (in merito molto dipende anche dal prestigio personale dei dirigenti che fanno parte della delegazione trattante, dall’autorevolezza dei preposti alle attività formative, dal rapporto esistente in via generale tra le parti sul luogo di lavoro, e, soprattutto, dal livello di incentivazione meritocratica e di competitività virtuosa operante all’interno dell’Ente).

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Aspettative di progressione di carriera

La modifica della classificazione dei dipendenti degli Enti Locali territoriali ha determinato l’insorgere di due nuovi fattori che devono trovare soluzione, con particolare incidenza, in sede di definizione dei programmi formativi:

• una netta distinzione dei ruoli tra le categorie contrattuali, con conseguente necessità di

‘vestire’ nella testa dei dipendenti i nuovi ruoli che devono essere esercitati; • il dovere di gestire le legittime aspettative dei dipendenti ad avere soddisfatte le

prospettive di miglioramento della propria posizione giuridica ed economica, sia attraverso la progressione all’interno della categoria di appartenenza (progressione orizzontale), sia attraverso il passaggio alla categoria immediatamente superiore (progressione verticale).

Sono questi fattori i cui criteri di applicazione sono disciplinati dalla contrattazione

nazionale, mentre le modalità quali-quantitative di attuazione sono rinviate alla contrattazione integrativa decentrata.

In conseguenza del primo fattore i programmi formativi devono porsi l’obiettivo di dare la

massima visibilità ai principi di responsabilità ed autonomia nell’espletamento degli atti gestione, sulla base di una differenziazione strutturale discendente dalla composizione della dotazione organica, così di seguito rappresentata:

A – Enti nella cui dotazione organica sono presenti figure dirigenziali B – Enti nella cui dotazione organica non sono presenti figure dirigenziali

Sub A, i programmi formativi devono addestrare i dipendenti inquadrati nella categoria D

ad assolvere, di norma, le incombenze proprie dei responsabili dell’istruttoria dei procedimenti amministrativi, senza però trascurare l’apprendimento di quanto necessario per assolvere al ruolo di supporto strategico all’esercizio della funzione dirigenziale (attività particolarmente rilevante per i dipendenti ai quali viene conferita la posizione organizzativa).

Sub B, i programmi formativi devono addestrare i dipendenti inquadrati nella categoria D

ad assolvere, di norma, le incombenze proprie dell’esercizio della funzione dirigenziale. E, nei Comuni con dotazioni organiche tanto contenute da non prevedere neanche inquadramenti in categoria D, i programmi formativi devono conseguire l’obiettivo dell’integrazione in una medesima unità lavorativa dell’esercizio di una pluralità di ruoli, dirigenziali, istruttori, operativi e, in qualche caso raro, anche esecutivi.

In conseguenza del secondo fattore i programmi formativi devono porsi l’obiettivo di dare

legittimazione virtuosa alle aspettative dei dipendenti, evitando per quanto possibile di trasformare la progressione orizzontale in procedura burocratica collegata all’anzianità e al non demerito (pena la trasformazione di tale tipo di progressione, agli occhi dei lavoratori, in un sinonimo dei previgenti scatti di anzianità, EDR che peraltro continua ad operare), e

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cogliendo occasione dai corsi-concorso posti a servizio della progressione verticale per trasformarli in strumento di formazione effettiva, selettiva e meritocratica.

In materia non possono essere aggiunte ulteriori considerazioni stante la differenziazione

che allontana tra loro i modelli organizzatori dei singoli Comuni, e stante la diversità del punto di partenza dell’attività formativa in ogni Comune, discendente dalla tipologia dei metodi e del modo di operare che si sono consolidati negli anni in ogni ente locale territoriale.

Potenziamento del patrimonio di professionalità presente all’interno dell’Ente

A far data dalla legge n. 127/97 ha assunto rilevanza negli Enti Locali la professionalità acquisibile esclusivamente all’interno dell’Ente. Con tale dizione ci si riferisce ad una attività formativa “occulta”, e però di importanza strategica per l’espletamento dell’azione amministrativa locale. Tale attività formativa indiretta si trasforma da occulta in palese solo se essa viene recepita e registrata dal bilancio delle competenze.

Attraverso tale premessa si è voluto evidenziare un elemento incontrovertibile, e cioè che

le risorse umane di un Ente ne costituiscono un patrimonio che, se ben utilizzato, agevola il conseguimento degli obiettivi dell’amministrazione e ne qualifica positivamente i rapporti con i cittadini. Peraltro non sempre un Ente locale conosce sino in fondo le professionalità interne sulle quali può potenzialmente contare, e in qualche caso tale non conoscenza opera come fattore di dequalificazione e di demotivazione a fare per i dipendenti che si sentono non adeguatamente utilizzati e non valorizzati in sede di assegnazione di compiti e/o responsabilità.

Non a caso una recente normativa impone di affidare incarichi professionali

all’esterno solo dopo avere verificato l’inesistenza di risorse umane interne in grado di compiere in modo esaustivo ciò che si ritiene di dover affidare all’esterno.

I programmi formativi devono di conseguenza:

• accertare, e tenere aggiornata, l’anagrafe delle professionalità esistenti all’interno dell’Ente, valutandone le possibilità di concreto utilizzo nell’operare amministrativo;

• definire percorsi formativi idonei alla conservazione ed allo sviluppo delle professionalità esistenti che sono state accertate;

• creare percorsi formativi distinti al servizio delle professionalità acquisibili esclusivamente all’interno dell’ente, sviluppando al loro interno forme di integrazione tra la professionalità acquisita dal dipendente in modo autonomo e la professionalità acquisita in conseguenza delle esperienze lavorative effettuate. Quanto sopra rappresentato deve essere considerato, ma non può essere imposto. Esistono

infatti fattori oggettivi che alimentano diffidenze tra i dipendenti pubblici (es.: un laureato che pur di essere assunto partecipa ad una selezione per operatori ecologici, superandola, difficilmente potrà vedere utilizzata dall’Ente la sua effettiva professionalità se non nel più

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rigoroso rispetto delle norme di legge e contrattuali che disciplinano le progressioni interne delle carriere, ma quel che importa è che l’amministrazione conosca di avere quel tipo di professionalità all’interno della propria dotazione organica) e che sono di garanzia per i cittadini destinatari dell’azione amministrativa locale (es.: un procedimento amministrativo non può essere affidato al dipendente capace ma al preposto al corrispondente ufficio comunale, il quale deciderà in piena autonomia se avvalersi o meno dell’operare del dipendente capace).

Del resto la contrattazione integrativa decentrata serve anche per affrontare e risolvere questa tipologia di problemi.

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Capitolo 2 I fabbisogni formativi strategici

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2.1 Il ruolo del CCNL e del CCDI nella soddisfazione dei fabbisogni formativi

La legge n. 265/99 toglie ogni residua possibilità di dubbi interpretativi circa il ruolo assegnato alla contrattazione collettiva, sia a quella definita in sede nazionale che a quella definita in sede decentrata, perchè dispone esplicitamente che gli atti normativi statali, regionali e locali, trovino un limite non valicabile in quanto specificamente disposto in sede di contrattazione collettiva: in altre parole nessun livello ordinamentale può assumere decisioni cogenti che contrastino con quanto sulla medesima materia viene definito attraverso il CCNL.

E’ una enunciazione di particolare rilevanza perché rende cogenti i diritti dei lavoratori

acquisiti attraverso la contrattazione. Ciò vale, con particolare incidenza, in sede di disciplina delle attività formative, dato che la formazione è una materia seguita e disciplinata con particolare cura dal CCNL.

Il vigente CCNL Comparto Regioni – Autonomie Locali, attraverso l’articolo 23,

circoscrive e finalizza l’area prioritaria di operatività delle attività formative. Gli obiettivi da conseguire sono individuati:

• nel consolidamento di una nuova cultura gestionale improntata alla cultura del risultato • nel favorire lo sviluppo dell’autonomia e della capacità innovativa e di iniziativa delle

figure professionali titolari di posizioni apicali, e cioè delle figure operanti a livello di una più elevata responsabilità gestionale

• nell’orientamento dei percorsi di carriera di tutto il personale.

Quelli individuati dal CCNL sono ovviamente obiettivi minimi, rappresentativi di un input tendenziale, al quale tutti gli enti locali territoriali sono tenuti ad ottemperare in modo omologato: sono però fissate tre direttrici (la cultura del risultato, la responsabilità individuale del dipendente, la meritocrazia) ognuna delle quali consente ai singoli enti locali territoriali di sviluppare percorsi formativi tra loro molto variati attraverso i quali, almeno potenzialmente, è possibile pervenire a risultati finali di elevato spessore.

Il CCNL, come è giusto che sia, rinvia l’individuazione degli obiettivi finali, da

raggiungere attraverso la programmazione e l’attuazione di adeguati percorsi formativi, aggiuntivi e/o qualificativi rispetto a quanto definito dalla contrattazione nazionale, alla contrattazione decentrata, sede alla quale compete, utilizzando lo strumento della concertazione, definire tipologia ed intensità delle attività formative ritenute necessarie per conseguire, in tempi predeterminati e con procedure condivise, livelli più avanzati di professionalità e di capacità gestionale.

Ne consegue l’esigenza, in sede di contrattazione decentrata, di compiere una ricognizione

dei fabbisogni descritti nella prima parte di questa guida, al fine di:

• integrarli tra loro per consentirne la soddisfazione in modo organicamente aggregato;

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• operare le necessarie differenziazioni in modo da rendere la conseguente programmazione delle attività formative utile per il conseguimento dei programmi e delle decisioni assunti dagli organi amministrativi dei singoli enti;

• concertare una programmazione dei tempi e delle priorità nella soddisfazione dei fabbisogni che sono stati definitivamente individuati, anche sulla base delle risorse finanziarie che l’ente è in grado di mettere a disposizione a tale scopo.

Si tratta di una attività strategica e molto delicata, il cui risultato finale può determinare un

Piano annuale della formazione inteso come volano della ottimizzazione dello sviluppo dell’azione amministrativa locale (il che determina un risultato finale contraddistinto da un delta positivo) o, in alternativa, inteso come strumento interno di conservazione funzionale e strutturale (il che determina un risultato finale contraddistinto da un delta negativo).

Concorre a determinare il connotato del risultato finale il clima dei rapporti che

caratterizza in via generale le parti contraenti, essendo evidente che il processo di cambiamento amministrativo influenza, estremizzandoli, interessi che al nastro di partenza sono tra loro divaricati: l’interesse dell’amministrazione locale ad utilizzare i programmi formativi quale fattore strategico dell’organizzazione della struttura, privilegiando e dando priorità ai programmi finalizzati al potenziamento dell’efficienza e dell’efficacia degli atti di gestione; e l’interesse dei dipendenti ad utilizzare i programmi formativi quale fattore strategico della tutela interna delle posizioni occupate e dell’applicazione dei correlati istituti di incentivazione economica definiti dalla contrattazione nazionale, privilegiando di conseguenza, e dando priorità, ai programmi finalizzati alle progressioni di carriera, orizzontali e verticali.

In merito va tenuto presente che in sede di contrattazione decentrata la rappresentanza

sindacale esercita, in materia di definizione dei programmi formativi, un potere particolarmente incidente: perché il plafond minimo delle risorse finanziarie da investire in attività formative è parte integrante del monte salari, per esplicita disposizione della contrattazione nazionale, dal che consegue che non è lontano dal vero l’affermare che le attività formative in larga misura sono finanziate dai soldi dei lavoratori; perché i percorsi formativi sono divenuti la corsia privilegiata per la valorizzazione professionale dei singoli dipendenti; e perché esiste nei dipendenti una spinta a ‘crescere’ la cui direzionalità, per materia e per qualità della trasmissione di competenza, non necessariamente è tenuta a coincidere con la direzionalità auspicata e/o sollecitata dalla parte pubblica.

Ne consegue un diritto – dovere a gestire in modo morbido la quota di contrattazione

decentrata relativa ai programmi formativi dei dipendenti, specie quando le decisioni da assumere riguardano le priorità da soddisfare nel corso dell’anno ed i comparti gestionali destinatari (e beneficiari) dell’attività formativa.

Anche perché niente impedisce alla parte pubblica di aggiungere alla quota

percentuale del monte salari definita in sede di CCNL altre risorse finanziarie da prelevare dal bilancio dell’ente. Anzi un simile modo di procedere caratterizza tutte le macrostrutture locali (città metropolitane) e molte amministrazioni di antica e consolidata tradizione di

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buongoverno locale, perché gli amministratori di quegli enti annettono una grande importanza alla organicità ed alla continuità dei programmi formativi, dai quali sono sicuri di ricevere risultati di ritorno di elevata intensità anche operativa.

E poiché la contrattazione integrativa decentrata rappresenta il passaggio attraverso cui

si giunge alla assunzione dei criteri direttori che sovrintendono alla predisposizione del Piano annuale delle attività formative, è in quella sede che si compie il vero monitoraggio sulle intenzioni della parte pubblica in materia di utilizzo (e di qualificazione) delle risorse umane che ha a disposizione.

2.2 I fabbisogni formativi necessari per l’esercizio delle responsabilità apicali

In sintonia con le indicazioni sottoscritte in sede di contrattazione collettiva, il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, definisce in materia di formazione un chiaro indirizzo di carattere generale (art. 7, comma 4: “Le amministrazioni pubbliche curano la formazione e l’aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l’adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione”).

In forza di tale disposto normativo, emerge che la soddisfazione dei fabbisogni formativi

costituisce per ogni ente locale territoriale una componente strutturale del governo delle proprie risorse umane. Essa influisce infatti non solo sulla qualità dell’esercizio della funzione dipendente, ma coinvolge, sia direttamente che indirettamente, la qualità dell’esercizio della funzione dirigente.

La dirigenza si raccorda con le attività formative attraverso l’espletamento di una attività

bidirezionale: di soggetto propositore maggiormente abilitato all’interno dell’ente nell’attività di individuazione di programmi formativi aventi come destinatari i dipendenti loro assegnati e di soggetto destinatario diretto di specifici e mirati programmi formativi.

Nell’esercizio del primo ruolo va tenuto presente che il dirigente opera con una autonomia

molto ampia, riconosciuta da una pluralità di interventi normativi di disciplina del principio di separatezza tra amministrazione e gestione. Tale autonomia è essenziale per il governo di un comparto gestionale; ma in materia di decisioni aventi per oggetto le attività formative, specie in materia di definizione delle priorità, un malinteso modo di esercizio della autonomia di cui si è titolari potrebbe dar vita a sovrapposizioni tra la programmazione delle attività formative proposta, perché ritenuta opportuna e/o necessaria, dal dirigente preposto ad un comparto gestionale e la programmazione decisa dal preposto all’ufficio formazione, le cui decisioni sono inevitabilmente influenzate dai risultati della concertazione con le RSU effettuata in sede di contrattazione decentrata: a tale possibile criticita occorre porre riparo in via preventiva attraverso la definizione di momenti di concertazione ‘a monte’ tra l’ufficio formazione ed i preposti ai vari comparti gestionali dell’Ente.

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Si tratta di una concertazione necessaria e dovuta anche perché il dirigente di un comparto gestionale deve tener conto, in sede di assegnazione dei carichi di lavoro e dei compiti ai dipendenti che gli sono stati assegnati, della esistenza e della durata dei percorsi formativi che prevedono la partecipazione di propri dipendenti; e deve essere informato in tempo reale dei risultati finali conseguiti dai singoli dipendenti al termine di ogni programma di attività formative, così da essere in condizione di utilizzare in modo ottimale i nuovi livelli di professionalità che sono stati acquisiti. Questo particolare tipo di concertazione si rende peraltro necessaria anche perché gli obiettivi da conseguire attraverso le attività formative non sempre convergono tra quelli ritenuti prioritari dal dirigente e quelli ritenuti prioritari dai dipendenti.

Nell’esercizio del secondo ruolo va tenuto presente che i dirigenti rappresentano una

componente strategica del governo della gestione, il che determina il diritto di avvalersi, in materia di formazione, di un duplice supporto strumentale: un supporto deciso ed organizzato dagli organi amministrativi dell’ente, in esecuzione di quanto disposto dall’articolo 7, comma 4, del decreto legislativo n. 165/2001, anche tenendo conto di eventuali richieste avanzate dagli interessati (supporto esterno all’area della volontà decisionale del dirigente); un supporto deciso ed organizzato autonomamente dal dirigente, anche se con costi a carico dell’amministrazione, in esecuzione di quanto in materia disposto dal CCNL di riferimento (supporto interno all’area della volontà decisionale del dirigente).

Peraltro non deve essere dimenticato che l’addestramento ad un corretto esercizio del

primo ruolo (la capacità di individuare i settori gestionali ed i connessi programmi formativi più idonei a qualificare e professionalizzare le risorse umane assegnate) costituisce per la dirigenza la soddisfazione di un fabbisogno formativo di primaria importanza.

Il governo della soddisfazione dei fabbisogni formativi della dirigenza segue procedure

per molti aspetti simili a quelle definite per la globalità dei dipendenti degli Enti Locali, procedure che sono definite dall’articolo 23 del CCNL dirigenti del 23 dicembre 1999, al quale si rinvia. Va però registrato che, a differenza dei dipendenti, esiste per i dirigenti una differenza sostanziale, procedurale e di contenuti, avente per oggetto l’attività di autoformazione del dirigente, senza oneri per l’amministrazione, in ordine alla quale viene posta come unico limite la soglia temporale di 11 mesi.

Sul merito dei fabbisogni formativi dei dirigenti è doveroso registrare che essi sono

influenzati in misura più ampia rispetto alla generalità dei dipendenti dalla vastità del processo di cambiamento amministrativo che da alcuni anni investe la pubblica amministrazione. Tale processo opera infatti in direzione di una crescente dilatazione dei ruoli manageriali da assolvere all’insegna dei principi di efficienza, efficacia, economicità, informazione, partecipazione e trasparenza.

Emerge con chiarezza che la soddisfazione di tale tipologia di fabbisogni formativi, diretti

e indiretti, ha una rilevanza strategica all’interno dell’ente perché nel nuovo ordinamento locale l’esercizio della funzione dirigente assolve ad un ruolo di primaria importanza.

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Ed emerge con altrettanta chiarezza che nell’area degli enti locali territoriali, a differenza di quanto avviene all’interno della amministrazione statale, il termine “dirigenza” viene usato nell’accezione di esercizio di “posizione apicale di responsabilità titolare di uno o più programmi di gestione”, a prescindere dalla esistenza o meno nella dotazione organica dell’ente delle figure dirigenziali: infatti la maggior parte dei comuni sono mediopiccoli, piccoli o molto piccoli, e tale tipologia di enti di norma non è in grado di assumere professionalità da inquadrare a livello dirigenziale; mentre, per converso, cresce il numero dei dipendenti inquadrati nella categoria D che esercitano nei propri enti funzioni dirigenziali con impegno e professionalità di livello tale da competere con molti inquadrati con qualifica dirigenziale. Ne consegue che, pur dovendo operare nell’ambito di quanto previsto da due distinti, e diversi CCNL (quello “dirigenti” e quello “dipendenti”), la tipologia e l’intensità dei fabbisogni formativi che devono essere soddisfatti aventi come destinatarie le figure professionali preposte a responsabilità apicali finiscono con l’essere molto simili tra loro, a prescindere dal loro livello di inquadramento all’interno della dotazione organica dell’ente.

La rilevanza strategica dell’esercizio della funzione dirigente trova ulteriore motivazione

dal suo collocarsi come primario punto di riferimento all’interno dei processi di devoluzione di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato e dalle Regioni agli Enti Locali, conferimenti che hanno reso più complessa l’area ed il livello delle professionalità necessarie per un adeguato ed esaustivo espletamento dell’azione amministrativa locale.

Ne consegue che, anche per effetto del processo di devoluzione in atto e delle nuove

titolarità conseguentemente conferite agli Enti Locali territoriali in materia di esercizio di funzioni e di compiti amministrativi, l’area della responsabilità e della operatività dei dirigenti si è negli ultimi anni considerevolmente dilatata con ovvia ripercussione sui fabbisogni formativi dei dirigenti degli enti locali.

Ovviamente il fabbisogno formativo è la risultante del differenziale tra la competenza di

cui il dirigente (o il titolare di responsabilità gestionali apicali) è già in possesso e la competenza della quale è richiesto per un esercizio ottimale del proprio ruolo. Appare opportuno, di conseguenza, definire quanto oggi è necessario per un corretto esercizio della funzione dirigente, in maniera che il preposto alle attività formative possa agevolmente definire se e in quale misura esistano, nell’area dei dirigenti operanti all’interno dell’ente, fabbisogni formativi da soddisfare.

Al dirigente si richiede oggi di essere in possesso di molteplici conoscenze, correlate a fattori quali:

• l’aggiornamento normativo. Occorre tenere presente che la materia in pochi anni ha

mutato non solo i connotati strutturali ma anche le modalità di approccio, in considerazione dell’introduzione del principio di sussidiarietà (cosiddette “leggi Bassanini”) e delle modifiche al Titolo V della Costituzione apportate dalla legge costituzionale n. 3/2001. In tale contesto particolare rilevanza è stata assunta dalla normativa regionale.

• l’aggiornamento tecnico professionale. Il fabbisogno che deve essere soddisfatto non è tanto quello scolastico-conoscitivo, quanto quello integrato-operativo: si è infatti in

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presenza non solo di una evoluzione tecnica e tecnologica molto rapida ma anche di una evoluzione del concetto stesso di competenza (es: chi progetta un’opera deve tenere conto non solo dei nuovi materiali e delle nuove tecniche costruttive, ma anche dell’assetto del territorio, delle ricadute in materia ambientale, delle dotazioni di servizi, dell’impatto con i volumi di traffico, e così via).

• la managerialità. E’ il fabbisogno formativo più rilevante perché l’introduzione nella Pubblica amministrazione di tecniche di gestione di tipo privatistico è attività recente ed ancora non ultimata. E poiché l’accesso nella Pubblica amministrazione è ancora in ampia misura regolato dai concorsi per titoli ed esame, il deficit di managerialità all’interno della pubblica amministrazione, oggi molto elevato, potrà essere recuperato solo attraverso specifici percorsi formativi.

• la padronanza del nuovo quadro ordinamentale. E’ un fabbisogno di tipo nuovo, del quale si acquisisce consapevolezza con qualche difficoltà. Non è agevole, infatti, per un titolare di responsabilità apicali integrare le conoscenze pregresse (fondate su un modello piramidale e centralista di gerarchia delle fonti giuridiche) e acquisire consapevolezza piena degli effetti sulla gestione determinati dal nuovo modello ordinamentale (che subordina la gerarchia delle fonti giuridiche alla titolarità delle funzioni). Ed ancor meno agevole è il rendersi conto con immediatezza, nell’avvio di un atto di gestione, di quale sia il corrispondente livello di titolarità della materia (e delle funzioni) onde avvalersi del giusto quadro di riferimento della disciplina normativa.

• la padronanza del nuovo quadro procedimentale. Anche in questo caso si è in presenza di un fabbisogno di tipo nuovo, atteso che il procedimento amministrativo necessario per compiere un atto di gestione tende a perdere il pregresso connotato di ‘atto unilaterale’ della pubblica amministrazione per acquisire, in sede istruttoria, connotati ‘bilaterali’ (compartecipazione attiva ed incidente dei cittadini). Il tutto in un mutato quadro delle responsabilità che, trasferendo la responsabilità dall’ente al preposto al procedimento, ha sancito definitivamente il passaggio dalla responsabilità oggettiva a quella individuale.

• la padronanza dei processi di monitoraggio e controllo. L’abolizione dei controlli esterni di legittimità, unitamente alla trasformazione della natura giuridica dei pareri (divenuti meri pareri tecnici), ha reso necessario l’introduzione nella gestione di attente forme di controllo interno, il che ha sofisticato la modalità di esercizio della connessa attività di monitoraggio e referto.

• l’apprendimento dell’importanza delle sinergie. Anche in questo caso si è in presenza di un fabbisogno di tipo nuovo. Le competenze da acquisire riguardano sia l’area endo (sinergie da sviluppare all’interno dell’ente), sia l’area inte-organizzativa (sinergie da sviluppare tra l’ente e gli altri soggetti ordinamentali).

• la capacità di esercizio dell’attività di supporto strategico.

Tutte le materie sopra sinteticamente riportate vanno analizzate con cura dal preposto alle attività formative per identificare, individualmente per ogni preposto a responsabilità apicali, i corrispondenti fabbisogni formativi, la cui soddisfazione dovrà consentire di fruire di un personale apicale adeguato a soddisfare al meglio le necessità della gestione.

Solo l’esercizio della attività di supporto strategico fuoriesce dall’area dei fabbisogni

formativi. Il supporto strategico agli organi amministrativi è infatti una attività che essendo strettamente incardinata all’esercizio del ruolo non può e non deve dare origine ad un fabbisogno formativo, in quanto essa fotografa il livello di competenza professionale e di consapevolezza di ruolo raggiunto dal titolare di una responsabilità apicale.

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Onde rendere più agevole la predisposizione di adeguati percorsi formativi si ritiene

opportuno rappresentare in forma aggregata i fabbisogni formativi di un titolare di responsabilità apicali all’interno dell’ente attraverso il grafico 1, che visualizza i fattori costitutivi della formazione del personale apicale.

Graf. 1 - Fabbisogni formativi dei dirigenti

In sede operativa è opportuno che il preposto alle attività formative “calibri” il valore ponderale di ognuno dei fattori sulla base della tipologia delle responsabilità gestionali affidate al destinatario del percorso formativo. Il corretto esercizio della funzione dirigente presuppone infatti una formazione ‘mirata’, che è cosa ben diversa dai programmi formativi di tipo generale aventi, ovviamente, contenuti caratterizzati da una componente molto elevata di omologazione.

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Aggiornamento normativo

A costituire deficit conoscitivo, e quindi fabbisogno formativo, non è tanto la copiosa

produzione normativa di questi anni, quanto il mutamento strutturale del quadro di riferimento normativo.

La prevalenza di una norma su un’altra non dipende più dal livello di emanazione ma dalla fonte di emanazione, essendo prevalente quanto prodotto dall’ente in possesso della competenza primaria a disciplinare una determinata materia. Ne consegue che una norma comunale può prevalere su una norma regionale o statale in una materia della quale il Comune è titolare di competenza primaria; e che la norma regionale cancella la norma statale nelle materie in cui l’ente Regione esercita la funzione legislativa in via esclusiva.

E’, questo, il più rilevante effetto della equiparazione ordinamentale introdotta nel dettato costituzionale attraverso il suo nuovo Titolo V°.

La soddisfazione del fabbisogno formativo in materia di aggiornamento normativo si realizza, di conseguenza, incardinando la conoscenza dei nuovi prodotti giuridici alla conoscenza delle corrispondenti competenze primarie a governare la materia.

Graf. 2 - Fabbisogno aggiornamento normativo

Al dirigente si richiede pertanto di compiere in materia un percorso formativo attraverso il

quale acquisire le seguenti nuove competenze:

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• aggiornamento sulla normativa statale. In merito va tenuto presente l’effetto provocato da due fenomeni: la mancata redazione di testi unici; le continue modifiche normative approvate dal Parlamento. In mancanza di testi unici (l’unico ad oggi operante è il D.Lgs. n. 267/2000), il responsabile apicale deve essere guidato a gestire una molteplicità di combinati disposti, tra vecchia e nuova normativa, tra norme vigenti e norme abrogate all’interno di un medesimo atto, tra norme esclusive e norme concorrenti, e così via. Le continue modifiche normative rendono necessaria una parallela attività di aggiornamento e di formazione continua.

• aggiornamento sulla normativa regionale. In merito va tenuto presente il ruolo attivo, cogente e diversificato, assunto dalla normativa regionale. Con l’avvertenza che mentre la normativa statale è prevalentemente unidirezionale per materia e/o funzione e/o compito, la normativa regionale è obbligata, stante la rivoluzione introdotta dal nuovo Titolo V°, ad essere multidirezionale, costringendo i suoi destinatari a compiere una maggiore fatica, anche metodologica, nell’acquisizione delle dovute conoscenze.

• aggiornamento sulla giurisprudenza statale e regionale. Si tratta di un fabbisogno che in passato è stato spesso trascurato, il che non facilita oggi una esaustiva trasmissione di competenza. Anche perché l’approccio con la giurisprudenza deve tener conto della data di formazione delle sentenze (anche gli organi di giurisdizione hanno il dovere di adeguare le proprie pronunce all’evoluzione normativa).

• integrazione tra la vecchia e la nuova normativa statale. E’ un fabbisogno semplice da soddisfare nelle materie di competenza esclusiva statale; meno facile da soddisfare nelle materie dove è incerta la delimitazione dell’area della competenza esclusiva statale (esempio: le politiche ambientali, le politiche produttive, le politiche sociali), e dove la normativa statale opera in via concorrente con la normativa regionale.

• integrazione tra la vecchia e la nuova normativa regionale. E’ un fabbisogno destinato ad esaurirsi via via che le Regioni approveranno i loro nuovi Statuti e di conseguenza daranno vita a nuovi quadri di riferimento legislativo in tutte le materie di cui hanno acquisito competenza a governare.

• integrazione tra la vecchia e la nuova giurisprudenza statale e regionale. Si tratta di un fabbisogno non facile da soddisfare, specie in materia di giurisprudenza amministrativa.

Aggiornamento tecnico professionale

Si è già evidenziata la natura di questa tipologia di fabbisogno formativo: rivolto a

soddisfare prevalenti deficit di conoscenza applicativa, operativa e sinergica, nel presupposto che un dipendente apicale provveda da sé all’aggiornamento professionale assunto nella sua accezione tradizionale.

Ciò non significa che il percorso formativo debba ignorare la trasmissione di competenza avente per oggetto l’aggiornamento professionale, generale e specifico, atteso che la società moderna è attraversata da fenomeni evolutivi dell’area del conoscere molto rapidi e spesso fortemente innovativi. Significa, invece, che il percorso formativo deve allargare l’area della competenza trasmessa, trasformando la conoscenza trasferita in strumento di ottimizzazione dell’espletamento degli atti di gestione affidati alla propria responsabilità.

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Al dirigente si richiede di conseguenza di compiere un percorso formativo attraverso il quale acquisire nuove competenze che integrino la conoscenza tecnica con le possibili applicazioni operative. Ne risulta un percorso strutturato, quanto alle materie, sui tre moduli:

• aggiornamento professionale generale • aggiornamento professionale specifico • aggiornamento per obiettivi

e articolato, quanto al risultato atteso, sulla trasmissione di competenza integrata (l’aggiornamento professionale inteso come ‘vestito su misura’ della professionalità necessaria all’ente per elevare il livello qualitativo della propria azione amministrativa).

Per rendere più comprensibile e più agevole da costruire il conseguente percorso

formativo è opportuno avvalersi di una sua rappresentazione grafica. In tal modo viene data maggiore visibilità sia alla metodologia di cui avvalersi, sia al ruolo che deve essere svolto da ognuno dei fattori necessari al conseguimento del risultato finale.

Graf. 3 - Fabbisogno aggiornamento tecnico professionale

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La managerialità

La managerialità assunta come criterio direttore dell’esercizio della funzione dirigente, e quindi come fabbisogno formativo, costituisce l’innovazione più rilevante introdotta nella Pubblica amministrazione dal cambiamento amministrativo.

Gli elementi costitutivi di tale fabbisogno non vanno ricercati nell’area delle responsabilità formali (adozione delle determinazioni dirigenziali, assegnazione del lavoro ai propri sottoposti, e così via) ma nell’area delle responsabilità sostanziali (uso ottimale delle risorse assegnate e raggiungimento degli obiettivi affidati attraverso il Piano esecutivo di gestione). Ciò che serve alla Pubblica amministrazione è, in altri termini, di potersi avvalere di dirigenti in grado di ‘managerializzare’ la gestione pubblica onde renderla competitiva con la gestione privata ed efficace (elevazione del rapporto di fiducia) nel rapporto con i cittadini.

Il conseguimento di tali obiettivi richiede al dirigente una padronanza ottimale dei fattori costitutivi della gestione (risorse umane, risorse finanziarie, risorse strumentali), e tale padronanza si ottiene solo insegnando al dirigente a trasformare la organizzazione in risorsa (risorse organizzative). Il fabbisogno formativo in materia di managerialità si soddisfa di conseguenza approfondendo gli effetti che si possono conseguire attraverso un uso avanzato e moderno della risorsa organizzativa.

Al dirigente si richiede pertanto di compiere un percorso formativo attraverso il quale acquisire le seguenti nuove competenze:

• padronanza della risorsa organizzativa; • capacità di uso della risorsa organizzativa quale fattore di impulso e moltiplicatore di

efficacia dei tradizionali fattori costitutivi della gestione (risorse umane, risorse finanziarie e risorse strumentali).

Il percorso formativo da progettare deve quindi essere duttile, non tradizionale,

saldamente ancorato ai dati strutturali e funzionali all’interno dei quali il dirigente deve operare.

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Graf. 4 - Fabbisogno managerialità

La conoscenza dei ruoli ordinamentali

E’ un fabbisogno strategico, sinergico e complementare, strettamente collegato con

l’aggiornamento normativo. Non è sufficiente, infatti, conoscere le norme se tale conoscenza non viene incardinata al ruolo esercitato sulla gestione dalle singole norme.

In particolare, la soddisfazione di tale fabbisogno consente al dirigente di svolgere

meglio i compiti di supporto strategico agli organi amministrativi perché assume piena consapevolezza circa il ruolo assunto dall’autoprodotto giuridico locale, alla cui produzione almeno a livello di proposta è chiamato a concorrere.

Al dirigente si richiede di conseguenza di compiere un percorso formativo attraverso il quale acquisire le seguenti nuove competenze:

• conoscenza dell’area di competenza primaria del Comune; • conoscenza dell’area di competenza primaria della Provincia; • conoscenza dell’area di competenza primaria della Regione. (In merito va acquisito,

materia per materia, se la competenza primaria viene esercitata attraverso legislazione esclusiva o attraverso legislazione concorrente).

• conoscenza dell’area di competenza primaria dello Stato.

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Graf. 5 - Fabbisogno aggiornamento ruoli ordinamentali

La conoscenza dei ruoli procedimentali

E’ questo un fabbisogno determinato dall’obbligo di soddisfare una pluralità di esigenze:

1) l’esigenza di ottimizzare la fase istruttoria del procedimento amministrativo attraverso la creazione di adeguate e permanenti procedure end-organizzative; 2) l’esigenza di semplificare e velocizzare l’istruttoria attraverso un uso tempestivo e mirato di specifici strumenti (conferenze di servizi, accordi di programma, e così via); 3) l’esigenza di rendere l’istruttoria un processo gestionale fortemente trasparente e partecipato da parte dei cittadini interessati al suo divenire.

Al dirigente si richiede pertanto di compiere un percorso formativo attraverso il quale acquisire le seguenti nuove competenze:

• individuazione e organizzazione delle responsabilità sinergiche concorrenti nella fase

istruttoria; • diritti attivi e passivi dei cittadini; • capacità di relazionarsi con gli altri livelli di ente ordinamento.

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Graf. 6 - Fabbisogno aggiornamento ruoli procedimentali

La padronanza delle tecniche di monitoraggio e controllo

L’emergere di tale fabbisogno consegue alla abolizione dei controlli esterni sulla

legittimità degli atti di gestione, al trasferimento dagli organi ai dirigenti della responsabilità di gestire, alla necessità di avvalersi di forme di controllo interno per tenere sotto osservazione l’andamento dell’azione amministrativa.

Essendo materia del tutto nuova per un gran numero di responsabili apicali, il percorso

formativo deve avere per oggetto prevalente la trasmissione di competenza sulle tecniche delle quali avvalersi, evitando indicazioni invasive dell’area di autonomia e responsabilità di cui il dirigente è titolare.

Al dirigente si richiede pertanto di compiere un percorso formativo attraverso il quale

acquisire le seguenti nuove competenze:

• cultura del risultato; • concetto di qualità totale; • tecniche di monitoraggio;

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• governo degli scostamenti; • ridefinizione in itinere degli obiettivi; • verifica finale.

Graf. 7- Padronanza delle tecniche di monitoraggio e controllo

La padronanza del governo delle sinergie

La sinergia, endo ed inter, è divenuta una componente strutturale del nuovo modo di

essere della Pubblica amministrazione. In quanto tale essa deve essere governata perché è un fattore strategico di

ottimizzazione dell’azione amministrativa. Il modo con il quale si procede al governo delle sinergie dà un segno visibile del livello di efficienza e di efficacia raggiunto dalla Pubblica amministrazione.

Al dirigente si richiede pertanto di compiere un percorso formativo attraverso il quale

acquisire le seguenti nuove competenze:

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• governo delle sinergie endo-organizzative. Ovviamente non ci si riferisce alle sinergie attivabili all’interno di un medesimo comparto gestionale, ma alle sinergie tra comparti gestionali di un medesimo ente tra loro distinti, anche se contigui, dalla cui attivazione è possibile velocizzare ed ottimizzare il compimento degli atti di gestione;

• governo delle sinergie inter-organizzative; • applicazione delle risorse organizzative alle sinergie alle quali si ricorre.

In sede di progettazione del percorso formativo va tenuto presente che la risorsa organizzativa è uno strumento “individuale” del dirigente, dal che discende una difficoltà aggiuntiva all’apprendimento della sua applicazione alle sinergie, quando le sinergie sono di tipo inter-organizzativo.

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Capitolo 3 Gli strumenti attuativi

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3.1 Il bilancio delle competenze

Il bilancio delle competenze deve essere costruito, e gestito, come momento iniziale di un processo di acquisizione di consapevolezza sulle potenzialità delle risorse umane a disposizione, sulla base degli elementi oggettivi (titoli di studio, specializzazioni, partecipazioni a stages o seminari, pregresse partecipazioni ad attività formative, esperienze lavorative di particolare rilievo, e così via) conosciuti o acquisibili da parte dell’amministrazione.

Onde evitare distorsioni il cui effetto potrebbe incidere negativamente ai fini della

ottimizzazione dei percorsi gestionali, va tenuto presente che il bilancio delle competenze è però, di per sé, uno strumento strutturalmente influenzato da una molteplicità di variabili che è necessario sottoporre a continuo monitoraggio.

Le competenze, infatti, sono registrate sulla base di documentazione o di certificazione

e occorre tenere conto che esse possono essere:

• unidirezionali verso direzioni che, pur legittimando il livello di inquadramento del dipendente, non sono utilizzabili ai fini dell’espletamento degli atti di gestione;

• multidirezionali, ma tra loro non integrabili. Ad esempio si può essere in possesso di una laurea in giurisprudenza e di una specializzazione post universitaria in archivistica;

• multidirezionali, tra loro integrabili, ma non utilizzabili se non in parte dall’ente locale (ad esempio, si può essere in possesso di una laurea in lettere antiche e di una specializzazione post universitaria in filologia romanza);

• certificate da documentazione amministrativa specifica, ma non spendibili dal titolare della competenza per motivi temporali o per l’influenza di successive esperienze lavorative (ad esempio, la conoscenza parlata-scritta di una lingua straniera);

• disgiunte dalla capacità effettiva del dipendente di governare le fasi di processo di un atto di gestione.

Una ulteriore difficoltà è rappresentata dall’inserimento nel bilancio delle competenze

delle professionalità acquisibili esclusivamente all’interno dell’ente, stante l’elevato livello di discrezionalità che inevitabilmente caratterizza tale attività in assenza di parametri certi di riferimento da assumere come criterio univoco per la disciplina di tale delicata materia.

Pur con i limiti evidenziati, il bilancio delle competenze è un punto di partenza

indispensabile perché evidenzia i deficit di competenza esistenti all’interno dell’Ente. Esso necessita di essere aggiornato di continuo, onde rendere possibile la trasformazione dei dati formali in dati sostanziali.

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Competenze e modello organizzatorio dell’Ente

Il bilancio delle competenze assolve la funzione di dato conoscitivo di grande rilevanza per la progettazione delle attività formative. Esso infatti costituisce il più importante elemento di connessione, ai fini della ‘vestizione’ dei profili professionali, tra la classificazione del dipendente e la sua concreta utilizzazione nei processi gestionali; ed in quanto tale esso opera al servizio dell’autonomia organizzativa dell’ente, ovviamente senza condizionarla, e se ne deve tenere conto in sede di definizione del modello organizzatorio della struttura.

Con il termine modello organizzatorio ci si riferisce al documento generale di

organizzazione interna degli uffici e dei servizi attraverso il quale l’organo amministrativo esecutivo dell’ente (la Giunta comunale) individua strutturalmente:

• la modalità ottimale di articolazione dell’espletamento delle funzioni di cui è titolare e dei

compiti di cui è destinatario; • il fabbisogno qualitativo e quantitativo di risorse umane necessario per la realizzazione del

programma di governo. In altri termini, con il modello organizzatorio una amministrazione opera sul versante

della programmazione funzionale, con il risultato di obbligare tutti i comparti della organizzazione interna, primo tra essi quello preposto alle attività formative, ad operare con logiche coerenti al modello assunto come motore direttorio al quale la gestione è tenuta a fare riferimento.

In particolare il modello organizzatorio, prevedendo le competenze di cui ha bisogno per

il conseguimento degli obiettivi fissati e dovendo comunque ‘coprire’ quelle competenze avvalendosi a tal fine dei profili professionali ritenuti idonei, attinge al bilancio delle competenze quale unico riferimento iniziale che presenta certezze, e rinvia all'espletamento di attività formative ‘mirate’ il compito di ‘vestire’ il modello, nel medio-lungo termine, in modo adeguato.

Ne consegue una stretta correlazione tra modello organizzatorio e bilancio delle

competenze, la cui gestione integrata consente di dare motivazioni valide alla parte pubblica in sede di concertazione con la rappresentanza sindacale dei progetti formativi necessari per il reperimento e la crescita interna delle competenze necessarie per il funzionamento ottimale del modello organizzatorio.

La banca dati

A monte e a valle del bilancio delle competenze deve operare una specifica banca dati in grado di fornire all’amministrazione locale informazioni in tempo reale sulle competenze professionali formali e reali dei propri dipendenti.

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La banca dati non può e non deve essere un duplicato informatico del bilancio delle competenze, perché si tratta di strumenti diversi tra loro che operano per il conseguimento di finalità fortemente differenziate. Deve invece operare in sinergia complementare con il bilancio delle competenze, perché la banca dati deve costituire il riferimento più credibile, per gli amministratori ed i dirigenti, del quale avvalersi per costruire percorsi di ottimizzazione dell’utilizzazione del patrimonio di competenze professionali interne disponibili: in quanto tale la banca dati assume il ruolo di risorsa organizzativa primaria ai fini della gestione dell’ente.

Quanto sopra richiamato motiva l’esigenza di connotare la banca dati come uno strumento

dinamico, flessibile ed aggiornato di continuo, affidato in gestione all’ufficio preposto alle attività formative. La banca dati deve infatti governare tutte le fasi dell’aggiornamento sul campo e della crescita individuale e collettiva della professionalità nei dipendenti dell’ente, verificando il decorso della crescita sia nella dimensione macro (risultato finale di sistema conseguito attraverso l’attività formativa) sia nella dimensione micro (risultato finale conseguito dal singolo dipendente sottoposto ad attività formativa) onde segnalare in tempo reale gli scostamenti tra i risultati attesi ed i risultati effettivamente conseguiti attraverso l’espletamento delle attività formative.

Si tratta di una attività che assume il monitoraggio come un work in progress, i cui effetti

saranno positivi se saranno progettati percorsi formativi che prevedano rigorose verifiche valutative, intermedie e finali. Il referto del monitoraggio effettuato va ad implementare la banca dati dell’ente, la cui struttura metodologica dovrebbe essere impostata e gestita sulla base di una rappresentazione organica dell’attività compiuta nel comparto dall’ente:

• per identificare l’evoluzione della crescita complessiva della professionalità interna in

relazione al modello organizzatorio dell’ente; • per identificare il livello di crescita professionale del singolo dipendente in relazione al

profilo professionale dallo stesso rivestito.

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Tabella di copertura dei bisogni interni dell’ente in materia di competenze professionali

Struttura dell’ente come

definita dal modello

organizzatorio

Profili professionali

Copertura iniziale delle competenze

Attività formative

Valutazione esito attività

formative

Copertura finale delle competenze

Settore ………… Settore ………… Settore ………… Settore ………… Settore …………

Tabella di crescita della competenza professionale dei singoli dipendenti

Dipendente e inquadramento

Profilo professionale

Competenza professionale iniziale

Attività formative

Valutazione esito attività

formative

Competenza professionale

finale

Così impostata e gestita la banca dati deve essere usata come strumento al servizio di

tutte le componenti direttamente o indirettamente interessate alla sua utilizzazione. Essa consente infatti:

• agli amministratori, di utilizzare per intero ed in modo ottimale il patrimonio di professionalità interne, conoscendo i deficit esistenti ed assumendo conseguenti motivate decisioni;

• ai preposti ai comparti gestionali, di governare con il massimo di efficacia le risorse umane loro assegnate;

• al responsabile della formazione, di programmare in modo consapevole e finalizzato i percorsi formativi;

• alle OO.SS. ed alle RSU, di esercitare in modo adeguato i propri compiti di rappresentanza e di tutela, anche in sede di concertazione decentrata delle attività formative;

• ai singoli dipendenti, di canalizzare su obiettivi conseguibili le proprie legittime aspettative di progressione orizzontale e verticale.

E’ evidente però che la banca dati esprime tutte le sue potenzialità solo se viene gestita

con grande avvedutezza da parte del responsabile della formazione e se viene tenuta costantemente aggiornata.

Così come è necessario che le attività di referto, specie quelle aventi come destinatari gli organi amministrativi, vengano compiute con il massimo di trasparenza e di obiettività.

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3.2 La progettazione della formazione

La progettazione delle attività formative, per essere efficace ed in grado di conseguire i risultati prefissi, deve soddisfare due esigenze primarie:

1) essere sostenibile; 2) essere strutturata “su misura”.

I requisiti di sostenibilità e compatibilità - che sul terreno progettuale si integrano tra loro

- costituiscono un permanente parametro di riferimento. Il requisito della sostenibilità deve infatti essere soddisfatto perché al preposto alle attività

formative si richiede di definire percorsi formativi che l’ente è in grado di potere effettivamente realizzare.

Il requisito della compatibilità deve per parte sua essere soddisfatto perché la formazione opera come componente strategica della cultura del risultato, e quindi, in quanto tale, la sua progettazione è al servizio del conseguimento degli obiettivi di gestione di volta in volta individuati dagli organi amministrativi dell’ente.

La progettazione sostenibile

Con il termine di progettazione sostenibile ci si riferisce alla necessaria presa in

considerazione dei fattori interni ed esterni che influenzano, ed in qualche caso condizionano, il compimento dell’azione amministrativa locale.

Tali fattori determinano un limite, vera e propria soglia di sostenibilità, che non può essere superato se non a rischio di vanificare in tutto o in parte gli obiettivi stessi dell’attività formativa.

Importante in tale contesto diviene la corretta individuazione di ognuno dei fattori che concorrono alla costruzione della soglia di sostenibilità, onde analizzarli in via preventiva avvalendosi, anche in modo elementare, della sotto rappresentata fase di processo.

F1= fattore preso in considerazione

LF1= vincoli del fattore F1

SSF1= soglia di sostenibilità delleattività formative per il fattore F1

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Tale attività preliminare consente di individuare i limiti della progettazione sostenibile, attraverso una elaborazione della aggregazione dei dati conoscitivi impostata e compiuta con le modalità di seguito rappresentate

Progettazioneattività formativa

Risorse umaneRisorse finanziarieRisorse strumentaliVincoli dati dalla contrattazione decentata

SSF1=soglia sostenibilità di F1 . . .SSFn=soglia sostenibilità di Fn

Soglia di sostenibilitàcomplessiva della progettazionedelle attività formative

E’ evidente che il risultato di tale attività è connotato da un delta variabile, positivo o negativo. Esso consegue dalla capacità di una corretta individuazione dei singoli fattori e dalla capacità di valutarne gli effetti sui percorsi formativi.

I fattori da prendere in considerazione ai fini della sostenibilità possono essere interni e/o esterni, strutturali o contingibili.

Sono fattori interni, ad esempio:

• i programmi ed i progetti assegnati ad ogni settore della gestione; • le risorse finanziarie aggiuntive assegnate per l’espletamento delle attività formative; • i vincoli definiti in sede di concertazione attraverso il CCDI; • le richieste avanzate dai dirigenti preposti ai singoli comparti di attività amministrativa; • le priorità gestionali individuate dagli organi amministrativi.

Sono fattori esterni, sempre in via di esemplificazione:

• gli effetti discendenti dalla applicazione del patto di stabilità; • i bisogni formativi derivanti dalla sottoscrizione di intese istituzionali o di intese quadro; • il conferimento all’ente di nuove funzioni e compiti amministrativi. Sono invece fattori strutturali: • il modello di organizzazione degli uffici e dei servizi; • la classificazione dei dipendenti; • la tipologia e quantità dei servizi esternalizzati o privatizzati; • la tipologia e quantità di ‘sportelli unici’ attivati; • il rapporto esistente in ogni comparto della gestione tra ore/lavoro ritenute necessarie ed

ore/lavoro disponibili; • le forme associative delle quali l’ente è partecipe.

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I fattori contingibili sono da prendere in considerazione solo sulla base di indicatori. Ad esempio possono essere assunti come indicatori:

• il livello di mobilità dei dipendenti nel triennio precedente; • il livello della domanda di esercizio del diritto allo studio nel triennio precedente; • l’età media della dotazione organica, con specifica attenzione ai diritti di famiglia ed alle

tutele individuali (maternità, patologie croniche, dipendenze, ecc.)

Il principio di sostenibilità fonda infatti su dati reali che costituiscono, ad un tempo, la premessa ed il supporto alle valutazioni operative. In merito va tenuto presente che, oltre ai fattori sopra sommariamente riassunti, presenta rilevanza ai fini della sostenibilità anche la valutazione del numero di programmi formativi che l’ufficio preposto è in grado di gestire contemporaneamente e del numero di dipendenti che possono essere impegnati quotidianamente nella partecipazione ad attività formative senza danno per l’azione amministrativa locale.

Individuati i fattori, diviene possibile avviare la progettazione dei percorsi formativi,

avvalendosi per la loro fattibilità di specifici diagrammi di Gannt, con la certezza di operare all’interno dell’area della sostenibilità.

La progettazione compatibile con vocazioni territoriali e obiettivi gestionali

La sostenibilità è però una misura di organizzazione dell’efficienza interna dell’Ente che da sola non consente la produzione di una idonea attività formativa. La sua verifica, pur essendo indispensabile, viene infatti compiuta in modo neutrale ed omogeneizzato così come avviene per tutte le misure di efficienza (essa, del resto, è solo un metodo di acquisizione conoscitiva dei limiti quali-quantitativi di capacità operativa dell’Ente).

La programmazione della soddisfazione dei fabbisogni formativi, tradotta in sede

operativa nella redazione di programmi e progetti specifici, deve invece, una volta che è stata identificata la soglia di sostenibilità, tener conto della specificità dell’ente, delle sue vocazioni territoriali e socioeconomiche, dei suoi obiettivi in materia di organizzazione del territorio amministrato e, più in generale, delle finalità di breve, medio e lungo periodo che intende conseguire attraverso l’azione amministrativa.

Deve in altre parole tener conto della soddisfazione ottimale della domanda ricorrente

e continuativa avanzata dalla comunità locale (fattore rigido di partenza) e delle linee di sviluppo civile ed economico definite dal programma di governo dell’ente (fattore dinamico di crescita complessiva del territorio amministrato e della comunità locale).

Questi input mirati sono assunti dalla programmazione dei fabbisogni formativi per

definire la soglia di compatibilità tra l’attività formativa intesa in senso generico e generale e l’attività formativa intesa come progettazione di soddisfazione di esigenze specifiche della gestione di un singolo Ente. A parità di risorse finanziarie disponibili e di assetto strutturale

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del territorio amministrato i fabbisogni formativi della città di Modena sono diversi da quelli della città di Arezzo o della città di Alessandria, perché diverse le condizioni di partenza delle rispettive risorse umane, diverse sono le priorità gestionali da soddisfare, diversi sono gli obiettivi di crescita e di sviluppo della comunità locale, diverse sono le vocazioni territoriali e quelle socioeconomiche, diverse in definitiva sono le soglie di compatibilità tra i programmi amministrativi e le strumentazioni che ne agevolano la realizzazione, prima tra esse lo strumento della formazione ‘in progress’ del personale dipendente.

L’individuazione delle soglie di compatibilità non può e non deve essere effettuata dal

responsabile della formazione, al quale compete solo di tradurre in progetti efficienti ed efficaci le richieste che vengono avanzate dai soggetti ai quali è affidata la responsabilità della gestione.

Le risorse umane sono infatti governate dai preposti ai settori di attività che, dovendo

conseguire nel corso dell’anno gli obiettivi gestionali loro assegnati, hanno il diritto di avvalersi di supporti formativi idonei ad accrescere la competenza professionale dei propri sottoposti.

Metodologie di supporto alla progettazione della formazione

Le verifiche di sostenibilità e di compatibilità costituiscono parametri cogenti di riferimento ma, ovviamente, non sono metodologie. L’uso di metodologie adeguate delle quali avvalersi per la programmazione e progettazione delle attività formative rappresenta invece una attività necessaria, non derogabile, tenendo presente che sarebbe un errore mutuare meccanicamente le metodologie dai manuali o da quanto prescelto da altri enti perché le metodologie delle quali si ritiene opportuno avvalersi non sono assoggettabili ai benchmark tradizionali.

Ne consegue che spetta al responsabile dell’ufficio preposto alla programmazione ed alla

gestione dei programmi formativi decidere, previa analisi delle condizioni strutturali e funzionali del proprio Ente, e sulla base di quanto risultante dal bilancio delle competenze e dalla banca dati della dotazione organica dell’Ente, di quali metodologie avvalersi per correlare le attività formative agli obiettivi definiti e per assicurare alla gestione dei programmi formativi elevati standard di efficacia.

Con il termine ‘metodologia’ ci si riferisce ovviamente alle fasi di processo che

sovrintendono alla predisposizione del Piano annuale per la formazione. La specificità strutturale di ogni Ente Locale, infatti, non consente di avvalersi di modelli teorici: perché diversi sono i livelli di partenza, diversi sono i bisogni da soddisfare e diversi sono gli obiettivi da conseguire attraverso le attività formative.

Le metodologie alle quali ricorrere sono molte, fermo restando il dato che sono di difficile classificazione e raramente mutuabili dall’esterno. Con tale avvertenza si può ricorrere anche a forme di compartimentazione della progettazione, utilizzando per ogni comparto dell’articolazione degli uffici e dei servizi dell’ente metodologie diverse (purché tra loro

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compatibili ed integrabili in una metodologia di sistema idonea per pervenire al conseguimento degli obiettivi prefissi). Va inoltre tenuto presente che molti enti, specie quelli di dimensioni medio-grandi che da molti anni hanno dato rilievo ed attenzione alle attività formative, gestiscono i programmi formativi con metodologie che sono il risultato di sperimentazioni consolidate, condivise dai dipendenti e sostenute dagli organi amministrativi dell’ente.

Sotto il profilo metodologico, con la necessaria avvertenza che si tratta di opzioni

tendenziali, e non di metodologie vere e proprie, le alternative tra le quali optare possono essere:

A. applicare in modo acritico e neutrale quanto in materia concertato in sede di

contrattazione decentrata;

B. costruire una progettazione che distingua tra il breve ed il medio periodo, realizzando percorsi formativi per il breve periodo attraverso i quali recuperare i fabbisogni urgenti e contingibili (tra i quali vanno collocati anche i fabbisogni al servizio delle progressioni interne, orizzontali e verticali) e prevedendo nello stesso tempo percorsi formativi per il medio periodo aventi come finalità un allargamento generalizzato, orizzontale e qualitativo, delle competenze interne;

C. predisporre percorsi formativi mirati, fondati sull’innovazione e sulla

modernizzazione della gestione, tali da costituire una vera e propria rottura con le previgenti modalità di operare da parte dei dipendenti all’interno degli uffici e dei servizi.

Sub A) si tratta di una opzione di natura conservativa e priva di “rischi”. Peraltro il ricorso

ad una tale metodologia rende nei fatti inutile l’esistenza di uno specifico ufficio preposto ai programmi e alle attività formative. Non per caso il metodo A è adottato, nella maggior parte dei casi, dagli enti di dimensione medio-piccola e di contenuta dotazione organica, enti che di norma sono sprovvisti di uno specifico ufficio preposto alle attività formative.

Sub B) è possibile costruire, attraverso il Piano annuale per la formazione, percorsi di

efficienza interna che siano al tempo stesso percorsi di ottimizzazione della gestione. Ricorrendo a tale metodologia diviene infatti possibile usare la formazione come strumento motivazionale al servizio delle aspettative dei dipendenti e come strumento di supporto al servizio delle necessità dei responsabili apicali; e di usare la formazione, al tempo stesso, come strumento di impulso al servizio degli input dati della volontà decisionale degli organi amministrativi dell’ente. Il successo di tale metodologia è però collegato alla capacità di integrare tra loro in modo armonico e complementare le spinte sopra evidenziate, in modo da rendere i percorsi formativi titolari di elevati livelli di utilità oggettiva, sia nell’ottica dei dipendenti sia nell’ottica degli amministratori dell’Ente. Ove tale condizione si verifichi il Piano annuale per la formazione che ne risulta si colloca all’interno della cultura del risultato.

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Sub C) è possibile costruire percorsi di eccellenza, attraverso i quali velocizzare i processi di cambiamento amministrativo che sono in corso; ma si corre anche il rischio di incorrere in alcune criticità .

Si tratta infatti di una metodologia non facile da tradurre in programmi e percorsi, stante il

forte impatto che determina nei confronti dell’esistente: sono da mettere in conto sacche, più o meno consistenti, di resistenza da parte dei responsabili apicali e dei dipendenti nel momento in cui sono formalmente chiamati a divenire protagonisti attivi di un cambiamento funzionale fortemente innovativo, acquisendo consapevolezza degli impatti inevitabilmente traumatici che la traduzione in programmi di un tale metodo comporta; e, problema non meno delicato ed insidioso, occorre mettere nel conto la difficoltà di reperire sul mercato organismi gestori di attività formative in grado di gestire la trasmissione di competenza all’interno di percorsi formativi fortemente innovativi e specificamente “tarati” sulle esigenze delle amministrazioni committenti.

Quale che sia il metodo prescelto, resta il fatto che il risultato finale di una aggregazione

organica di programmi formativi (Piano annuale per la formazione) presenta un delta positivo solo se quella aggregazione viene presentata ai suoi fruitori nei modi giusti e viene accompagnata da motivazioni incentivanti di breve, medio e lungo periodo.

Il Piano, per essere credibile ed efficace, deve infatti calare ed operare all'interno di un

clima di condivisione dei suoi contenuti e degli obiettivi che si propone di conseguire. In assenza di elevati livelli di condivisione è pressoché impossibile che l’attività formativa costituisca un supporto virtuoso della gestione dell’Ente.

Nasce da qui l’esigenza che il responsabile della formazione si adoperi per recepire in

modo il più possibile esaustivo le richieste che pervengono al suo ufficio, onde rendere più agevole la loro integrazione con le richieste che sono in materia avanzate dagli organi amministrativi dell’Ente, e muova da questa disponibilità di base per la predisposizione di una proposta progettuale globale forte, completa e facilmente illustrabile, tale da motivare fortemente tutte le risorse umane impiegate a vario titolo nella gestione dell’azione amministrativa e da far sì che le attività formative prescelte siano comprese, condivise e sostenute da parte di tutti gli attori destinatari (e protagonisti) di programmi formativi.

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3.3 Contenuti del piano annuale per la formazione

Tecniche di predisposizione

Il Piano annuale per la formazione è, per sua natura, uno strumento di programmazione.

Esso costituisce, almeno in teoria, uno dei momenti più qualificanti della organizzazione della gestione; ed in quanto tale va redatto come misura potenziatrice dell’efficienza di sistema dell’organizzazione della gestione.

Spetta infatti ai programmi formativi che costituiscono il Piano fungere da canali di

comunicazione tra la crescita interna delle competenze (attività al servizio del principio di efficienza) e l’impatto provocato all’esterno dalla maggiore qualificazione delle competenze interne (attività al servizio del principio di efficacia).

Ne consegue che la predisposizione del Piano è attività non facile, essendo il target del

Piano le Ru (risorse umane) e quindi il fattore costitutivo della gestione che presenta le maggiori difficoltà ad essere governato e programmato.

Influisce sulla predisposizione del Piano, sul suo connotato e sulla sua capacità di

determinare delta positivi di crescita delle competenze e delle professionalità dei dipendenti, il dovere di collocarlo all’interno delle soglie di sostenibilità e di compatibilità dell’azione amministrativa dell’ente, soglie che guidano i processi decisionali di individuazione delle priorità e che influenzano strategicamente le cadenze temporali di svolgimento delle attività formative previste dal Piano.

Ne consegue che ai fini della predisposizione del Piano si deve tenere conto dei

sottoindicati fattori:

• quantificazione delle risorse contrattuali con vincolo di destinazione per le attività formative;

• quantificazione delle risorse aggiuntive iscritte a bilancio dagli organi amministrativi per la realizzazione di programmi formativi;

• valutazione delle richieste di programmi formativi avanzate dai responsabili apicali dei programmi di gestione;

• valutazione delle richieste di programmi formativi avanzate dalle RSA e dalle componenti sindacali in sede di contrattazione decentrata;

• individuazione ed inserimento dei programmi formativi, non richiesti dai responsabili apicali o in sede di contrattazione decentrata, ma necessari per il conseguimento degli obiettivi individuati dagli organi amministrativi dell’ente;

• proiezione del Piano annuale per la formazione nei due anni successivi, con contestuale individuazione delle priorità da soddisfare in ognuno dei tre anni.

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Graf.8 - Fattori da considerare durante la predisposizione dei piani di formazione annuale e triennale

Fabbisogni formativi:Richieste programmi formativi dei responsabili apicaliRichieste programmi formativi delle RSAProgrammi formativi necessari per il raggiungimento di obiettivi

PIANO ANNUALE DI FORMAZIONE

Fabbisogni formativi nel triennio:Richieste programmi formativi dei responsabili apicaliRichieste programmi formativi delle RSAProgrammi formativi necessari per il raggiungimento di obiettivi

PIANO TRIENNALE DI FORMAZIONE

Risorse finanziarie:risorse contrattuali vincolate per attività formativerisorse aggiuntive destinate alla formazione

Risorse finanziarie nel triennio:risorse contrattuali vincolate per attività formativerisorse aggiuntive destinate alla formazione

La predisposizione del Piano Triennale, in aggiunta del Piano Annuale, facilita in sede operativa l’individuazione delle priorità da conseguire.

Tecniche di gestione

Il PAF, dopo essere stato predisposto, concertato ed approvato, deve essere gestito, il che passa attraverso il governo di una pluralità di misure endo-organizzative ed inter-organizzative.Attraverso le misure endo-organizzative deve essere assicurata la concreta fattibilità e sostenibilità dei programmi che compongono il PAF. Attraverso le misure inter-organizzative deve essere assicurata l’efficienza e l’efficacia dei risultati finali che il PAF deve conseguire.

Nell’uno e nell’altro caso è opportuno fare ricorso a tecniche di gestione che siano la

risultante dei sotto indicati fattori:

• scelta del tipo di procedura ad evidenza pubblica da avviare per l’individuazione dei soggetti gestori esterni ai quali affidare la gestione dei programmi formativi;

• valutazione della idoneità dei soggetti gestori dei programmi formativi a soddisfare in toto le esigenze della struttura appaltante;

• costruzione sinergica e condivisa del progetto strategico di ogni programma formativo; • approvazione preventiva dei diagrammi di Gannt di disciplina dei tempi e degli orari,

nonché di integrazione temporale all’interno di una giornata di lavoro tra le ore riservate alla formazione e le ore riservate al lavoro ordinario;

• definizione di modelli di visibilità meritocratica in progress, attraverso la predisposizione di momenti intermedi di valutazione e costruzione di un clima di partecipazione sulla valutazione finale di ogni partecipante ad un programma formativo;

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• organizzazione di una attività ‘mirata’ di referto, tale da evidenziare ai responsabili apicali le competenze aggiuntive effettivamente acquisite dai partecipanti ai percorsi formativi ed agli amministratori dell’ente i nuovi livelli effettivamente raggiunti di efficienza nella gestione dell’azione amministrativa;

• organizzazione di una attività di monitoraggio sulla gestione della formazione (qualità dei docenti ed efficienza della struttura gestore), nella quale coinvolgere i partecipanti ai programmi formativi ed i responsabili apicali dell’attuazione dei programmi dell’ente.

Attraverso il ricorso alle sopra indicate tecniche di gestione diviene possibile aggiornare in tempo reale il PTF (Piano Triennale per la Formazione), nonché ricevere input virtuosi per il governo del bilancio delle competenze e della banca dati delle professionalità esistenti all’interno dell’ente.