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un percorso di ricerca sui temi dell'occupazione e della formazione
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1
LA FRONTIERA DELLA SOSTENIBILITA’
UN PERCORSO DI RICERCHE SUI TEMI DELL’ OCCUPAZIONE
E DELLA FORMAZIONE
di Rita Ammassari e Maria Teresa Palleschi
“…… la complessità ci richiede…..
di ristabilire le articolazioni tra ciò che è disgiunto,
di sforzarci di comprendere la multidimensionalità……
di non dimenticare mai le totalità integratrici”
Edgar Morin
1. I vincoli europei come strategia di sviluppo
La Commissione Europea nel riconoscere la priorità della crisi climatica e della lotta al
global warming per la salvaguardia del pianeta e per perseguire uno sviluppo sostenibile
in termini di “carrying capacity” ha fissato obiettivi vincolanti al 2020 nella riduzione
delle emissioni del 20%, attraverso l’aumento dell’efficienza energetica (con risparmio
del 20% dei consumi al 2020) e conseguimento della quota del 20 % delle fonti
rinnovabili sul totale dei consumi al 2020.
L’impegno a mantenere il riscaldamento del pianeta al di sotto dei 2°C costituisce una
opportunità di cambiamento per definire nuove economie a basse emissioni di carbonio
e indurre una nuova rivoluzione industriale in cui i vincoli imposti dalle preoccupazioni
per la salvaguardia del pianeta possono rappresentare il motore di una nuova economia
in grado di dare risposte all’attuale crisi soprattutto negli ambiti delle energie
rinnovabili, dell’efficienza e del risparmio energetico, nei quali sempre più si giocherà,
a livello planetario, la sfida dell’innovazione, della competitività, del lavoro e della
capacità di futuro.
Lo sviluppo delle rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica stanno,
infatti, diventando nei paesi industrializzati (USA, Germania, Spagna, Danimarca) come
Rita Ammassari e Maria Teresa Palleschi sono responsabili, presso l’Isfol, dell’Area di Ricerca
denominata Progetto Ambiente-Ifolamb. Svolgono, da anni, indagini, ricerche e sperimentazioni sui temi
dell’educazione, della formazione e dell’occupazione in campo ambientale; hanno realizzato IFOLAMB
(Informazione Formazione Orientamento Lavoro AMBientale), un sistema informativo alimentato dai
risultati delle attività realizzate dall’Area. Tra le loro attività, appaiono particolarmente significative le
indagini censimentali sull’offerta formativa ambientale, le ricerche sulle tendenze del mercato del lavoro
ambientale, le indagini sulla spendibilità nel mercato del lavoro di segmenti formativi significativi
ambientali, le ricerche su figure professionali innovative per lo sviluppo sostenibile.
2
in quelli emergenti (Cina, India e Brasile) o in via di sviluppo (Kenya e Angola) fattore
propulsivo di economia reale, facendo dell’attuale crisi un’opportunità di cambiamento
in direzione di un new deal verde che può rappresentare “la nuova rivoluzione
industriale del XXI secolo”.
I dati provenienti da diverse fonti disponibili, istituzionali e non, sui trend occupazionali
a livello internazionale, comunitario e nazionale e le proiezioni al 2020, sebbene assai
diversificati e non sempre confrontabili tra loro a causa delle diverse metodologie
adottate, confermano una tendenza in atto incontrovertibile: la crescita di occupazione
nei settori di nuova economia in grado di produrre un effetto non solo compensativo
rispetto a lavori tradizionali a forte impatto ambientale, ma di aprire prospettive
occupazionali incoraggianti per fronteggiare l’attuale crisi e rilanciare l’economia
mondiale. L’UNEP (United Nations Environment Programme), Agenzia dell’ONU e il
Worldwatch Institute1 registrano nel 2008, 11.000.000 di posti di lavoro verde in tutto il
mondo. In merito alle energie rinnovabili, gli occupati nel 2006, raggiungono sempre a
livello planetario, 2.300.000 unità di cui 300.000 nell’eolico, 170.000 nel fotovoltaico,
600.000 nel solare termico, 1.200.000 nei biocombustibili. A livello europeo, i dati del
WWF2 attestano che nel 2008, l’occupazione verde raggiunge i 3.400.000 posti di
lavoro, di cui 400.000 unità per le energie rinnovabili, 2.100.000 per la mobilità
sostenibile e 900.000 per la produzione di beni e servizi per l’efficienza energetica, in
particolare nel settore edilizio. Oltre 5.000.000 di posti di lavoro riguardano, inoltre,
l’occupazione indiretta correlata con questi settori. Si configura, quindi, un’occupazione
non di nicchia o di tipo congiunturale, ma in grado di offrire solide alternative per
affrontare insieme la crisi economica e la crisi ambientale.
La Tab.1, che dà conto dell’occupazione diretta e indiretta in riferimento alle energie
rinnovabili in alcuni paesi europei, conferma il ruolo di paesi leader come la Germania e
la Spagna grazie ai forti investimenti e al sistema degli incentivi promossi negli ultimi
anni. L’Italia, partita in ritardo rispetto agli altri paesi europei, sta recuperando il gap
iniziale e si attesta complessivamente intorno alle 19.700 unità tra occupazione diretta e
indiretta.
1 UNEP-ILO-ITUC-IOE-Worldwatch Institute “Green jobs Report” 2008
2 WWF “Low carbon jobs for Europe “ giugno 2009
3
I dati elaborati dal Progetto Ambiente dell’Isfol sulle tendenze del mercato del lavoro
ambientale3, attraverso il monitoraggio dei dati Istat dal 1993 al 2008, evidenziano una
crescita dell’occupazione sulle energie rinnovabili da 5.300 occupati nel 2003 a 14.200
circa nel 2008. Le attività svolte, riferite prevalentemente alla realizzazione e
manutenzione degli impianti, sono riconducibili a professioni di livello intermedio di
tipo tecnico (19%) o di tipo operativo (81%). Secondo le stime di Nomisma Energia4, Il
comparto eolico rappresenta oggi una realtà abbastanza affermata con oltre 10.000
addetti tra occupazione diretta e indiretta, mentre il fotovoltaico si configura come un
comparto ancora poco sviluppato (circa 5.700 addetti secondo il Cnes5), ma con grandi
potenzialità di crescita sia in termini di ricadute occupazionali che di valore aggiunto.
Secondo le stime dell’Ises6, installando 7,5 GW nel 2020, si potrebbero avere in questo
settore 87.000 posti di lavoro, destinati a definire una diversa distribuzione geografica
degli occupati, che si collocherebbero soprattutto nelle regioni meridionali. Lo sviluppo
delle energie rinnovabili e la transizione verso una economia più sostenibile, orientata
dal pacchetto clima-energia, sembra quindi poter compensare gli effetti negativi della
perdita di occupazione in settori legati alla produzione di energia da fonti tradizionali
che, secondo un’indagine Cnel-Issi-Cles7, avrebbe un’incidenza modesta (pari all’8%)
sulla crescita di occupazione grazie allo sviluppo dell’eolico e del fotovoltaico. D’altra
parte, la contrazione dei posti di lavoro nelle industrie a forte impatto energetico sembra
3 La ricerca “Tendenze del mercato del lavoro ambientale”è scaricabile consultando il Sistema
informativo Ifolamb sul sito dell’Isfol. 4 NOMISMA Energia “Fonti rinnovabili e green economy: lo stato dell’arte in Italia” maggio 2009
5 CNES (Commissione nazionale energia solare) “Rapporto preliminare sullo stato attuale del solare
fotovoltaico nazionale” 2008 6 ISES ITALIA “Gli investimenti e le ricadute occupazionali da uno sviluppo sostenuto delle fonti
rinnovabili in Italia” novembre 2008 7 CNEL-ISSI-CLES “Indagine sull’impatto delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici sul
sistema produttivo e sull’occupazione in Italia” aprile 2009
Tab. 1 - Occupazione diretta e indiretta in alcuni stati europei nel settore delle energie rinnovabili nel 2008
Stati Eolico Solare Fotovoltaico Solare Termico Biomasse Totale Stati
Germania 85.100 42.000 17.400 95.800 240.300
Spagna 40.000 26.800 9.142* 10.349* 86.291
Danimarca 23.500* 23.500
Italia 15.000** 1.700 3.000 19.700* Solo occupazione diretta
** Il dato è relativo all'anno 2007
Fonte: Rielaborazione ISFOL Progetto Ambiente - Ifolamb da Rapporto WWF "Low carbon jobs for Europe" - 2009
4
legata più all’introduzione di processi di automazione e alla delocalizzazione delle
attività produttive che da processi lavorativi indotti dalle energie rinnovabili e
dall’efficienza energetica. Uno studio della Bocconi, realizzato con GSE (Gestore
Servizi Elettrici)8 delinea tre scenari a diversa intensità occupazionale: il primo prevede,
con l’importazione di tecnologie rinnovabili dall’estero, un incremento di 100.000 posti
di lavoro; il secondo, con lo sviluppo di tecnologie rinnovabili, porterebbe a 150.000 il
numero degli occupati; il terzo scenario, in cui è prefigurato il massimo sfruttamento del
potenziale tecnologico, prospetta una crescita occupazionale al 2020 di 250.000 unità
(77.500 nell’eolico e 47.500 nel solare) (Fig 1).
Le potenzialità occupazionali dell’eolico al 2020 sono confermate anche dall’ANEV
(Associazione Nazionale Energia del Vento)9 che prevede 66.000 occupati tra
occupazione diretta (19.000) e indiretta (47.000) concentrata soprattutto nelle regioni
meridionali (Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna). Per la percorribilità della crescita
occupazionale, orientata dal pacchetto clima-energia, saranno determinanti oculate
politiche di investimenti, un efficace sistema premiante rivolto a chi investe in fonti
8 Vedi GSE - Bocconi - IEFE già citato
9 ANEV “Il potenziale eolico italiano e i suoi possibili risvolti occupazionali al 2020” dicembre 2008
Fig. 1 - Prospettive occupazionali da Fonti energetiche rinnovabili in Italia al 2020
Fonte: GSE – IEFE Bocconi 2009
5.000
2%27.500
11%
10.000
4%
77.500
31%
15.000
6%
65.000
26%
20.000
8%
5.000
2%
25.000
10%
BIOGAS
GEOTERMIA
SOLARE TERMOELETTRICO
BIOMASSE
IDROELETTRICO
EOLICO
RSU
SOLARE PV
ALTRO
5
alternative, lo sviluppo di un’industria di settore e la capacità degli imprenditori di
valorizzare la propria filiera produttiva, utilizzando le tecnologie rinnovabili. In Italia,
nonostante una rilevante crescita delle energie rinnovabili (+ 20% tra eolico e
soprattutto fotovoltaico nel 2007-2008) si continuano ad importare tecnologie
dall’estero e le aziende tendono a collocarsi a valle della filiera e a presiedere le attività
di distribuzione ed installazione degli impianti più che ad investire in ricerca e sviluppo
di tecnologie pulite in grado di produrre innovazione sia di processo che di prodotto, e
di determinare vantaggi anche dal punto di vista economico, in considerazione
dell’accresciuta competitività delle aziende sui mercati nazionali e internazionali. Un
ruolo non residuale rivestono anche gli aspetti informativi e culturali in grado di
cambiare i comportamenti concreti quotidiani e di favorire, attraverso processi di
partecipazione alle scelte, l’affermarsi di un nuovo modello di produzione e consumo
energetico nei diversi settori: dai trasporti pubblici e dalla mobilità sostenibile, al
miglioramento delle caratteristiche termiche degli edifici e delle apparecchiature per uso
civile (elettrodomestici) e industriale.
Oltre alle energie rinnovabili è necessario ridurre i consumi energetici attraverso
l’innalzamento dell’efficienza energetica, come previsto dalla direttiva europea sui
cambiamenti climatici, per produrre gli stessi beni e servizi con minor impatto
ambientale e minori costi per le imprese e per il sistema Italia. L’Agenzia Internazionale
dell’Energia (AIE)10
attribuisce agli interventi per l’efficienza energetica il ruolo
principale nella riduzione di emissioni di gas serra nell’atmosfera. Uno studio realizzato
nel 2007 dal Politecnico di Milano per Greenpeace11
stima che 60.000 nuovi posti di
lavoro potranno essere creati entro il 2020 attraverso investimenti in efficienza
energetica. Se lo sviluppo è sempre stato sostenuto dalla crescita dei consumi, nel XXI
secolo si rende necessaria un’inversione di rotta che non può essere determinata solo
dallo sviluppo sia pure fondamentale delle energie rinnovabili. E’ necessario dare
impulso ad una strategia che operi sul doppio versante delle energie rinnovabili e della
efficienza-risparmio energetico per poter contenere la concentrazione di CO2
nell’atmosfera. Tra i settori che maggiormente possono contribuire al perseguimento
10
Agenzia internazionale dell’Energia “Energy Technology perspectives. Scenari e strategie da oggi al
2050” OECD/IEA, 2008 11
Greenpeace - Politecnico di Milano (Dipartimento di energetica) “La rivoluzione dell’efficienza: il
potenziale di efficienza energetica negli usi finali di energia elettrica in Italia al 2020 e I benefici
connessi”, 2007
6
degli obiettivi di compatibilità ambientale, economica e sociale si collocano quelli
dell’edilizia, responsabile del 40% dei consumi energetici, dei trasporti e della mobilità
sostenibile. Uno studio dell’Enea12
individua nello sviluppo di tecnologie per
l’efficienza energetica la possibilità di una contrazione di CO2 nell’atmosfera con
rilevanti ricadute occupazionali nel settore edile. Altre stime (WWF) confermano e
rafforzano questo dato di tendenza in considerazione anche delle normative sulle
prestazioni energetiche degli edifici che potrebbe generare tra i 280.000 e i 450.000
nuovi occupati entro il 2020 attraverso lo sviluppo di figure professioni riferite alla
bioedilizia, alla certificazione energetica degli edifici, alla progettazione e produzione di
materiali a basso impatto ambientale per l’isolamento termico, alla realizzazione di
sistemi passivi per il riscaldamento ed il raffreddamento, oltre all’integrazione dei
sistemi tradizionali per la fornitura di energia termica e/o elettrica con sistemi innovativi
di generazione dell’energia e di tecnologie per una gestione ottimizzata dei servizi
energetici.
Sono, soprattutto, gli edifici pubblici che dovrebbero rappresentare un esempio di
efficienza energetica, in considerazione anche del fatto che la bolletta energetica delle
Pubbliche Amministrazioni pesa sul bilancio dello Stato per circa 4,5 miliardi di euro
all’anno, come attesta Consip. Le ricadute in termini di benefici economici e ambientali
sarebbero rilevanti sia come sostegno al sistema produttivo per la realizzazione di
impianti e materiali ecocompatibili, sia come impatto occupazionale, oltre che per il
miglioramento della qualità ambientale del posto di lavoro e della sicurezza degli
edifici. Quanto al settore della mobilità sostenibile, l’Italia e la Francia si qualificano ai
primi posti per la produzione di veicoli a basse emissioni di carbonio, ma l’efficienza
energetica dei veicoli prodotti non compensa un’offerta di trasporto pubblico che
rimane inadeguata. Una mobilità sostenibile dovrebbe creare un maggiore equilibrio tra
le diverse modalità di trasporto e favorire lo sviluppo del trasporto pubblico, alimentato
da elettricità verde, e ferroviario a discapito di una mobilità basata oggi prevalentemente
su automobili e camion. Sono queste le condizioni per creare un sistema di trasporti
integrato - che si avvalga di automobili efficienti cioè a basse emissioni di CO2, di
veicoli ibridi-elettrici, di trasporto pubblico urbano, di car sharing, biciclette e ferrovie -
12
ENEA “Crisi economica e intervento pubblico” 26.2.2009
7
a sostenibilità ambientale, economica e sociale in considerazione anche dei posti di
lavoro che potrebbero ulteriormente aprirsi in questa direzione.
2. Lo sviluppo sostenibile come risorsa per l’occupazione
Le ricerche sulle tendenze del mercato del lavoro ambientale13
, realizzate dal Progetto
Ambiente dell’Isfol attraverso l’elaborazione dei dati sulle forze di lavoro ISTAT
nell’arco temporale 1993-2008, già richiamate in riferimento al settore delle energie
rinnovabili, evidenziano anche su altri settori ambientali un trend di sviluppo positivo in
termini occupazionali (+ 41%) e sollecitano riflessioni sulla qualità dell’occupazione
ambientale. Nel panorama dei dati presi in considerazione appaiono particolarmente
significativi alcuni aspetti. In particolare, la connotazione di genere del mercato del
lavoro ambientale che evidenzia un aumento della componente femminile che passa da
un peso percentuale del 12,7% nel 1993 al 25,5% nel 2008. Pertanto, sebbene
l’occupazione ambientale si presenti sin dal 1993 connotata da una dominanza maschile
(M 230.300; F 33.600), che assume nel tempo caratteristiche di stabilità, la stessa
subisce una contrazione rispetto alla componente femminile, passando dall’87,3% nel
1993 al 74,5% nel 2008 (M 277.300; F 94.800). Il mercato del lavoro ambientale
registra non solo un incremento notevole delle donne occupate, ma anche un loro
posizionarsi nel mercato del lavoro a livelli più elevati rispetto alla componente
maschile. Tale tendenza trova conferma nel fatto che più dell’87,2% delle donne
impegnate in attività ambientali ha livelli di scolarità medio-alti, contro appena il 54,6%
degli uomini. Pertanto, le donne sono più scolarizzate degli uomini e la loro
collocazione nei diversi settori ambientali sembra facilitarne la valorizzazione come
risorsa (Tab.2).
La connotazione medio-alta delle professioni verdi, necessaria per affrontare
adeguatamente la complessità delle tematiche ambientali, appare evidente dall’analisi
dei dati che evidenzia uno spostamento verso l’alto dei titoli di studio e un incremento
degli occupati in possesso di un diploma e di una laurea (dal 40% nel 1993 al 63% nel
2008). Infatti, se nel 1993 gli occupati ambientali con una licenza elementare o con
nessun titolo di studio rappresentavano il 22,4% del totale degli occupati, nel tempo, il
13
Cfr nota 3
8
loro peso percentuale si è progressivamente contratto fino a rappresentare poco più
dell’8%.
Interessante anche l’età degli occupati in settori ambientali, in relazione alla variabile
sessuale; l’età media è più elevata per la componente maschile che risulta avere più di
45 anni nel 49% dei casi contro il 25% delle donne, affacciatesi da poco nel mondo dei
servizi e delle tecnologie ambientali e decisamente più giovani (il 37% contro il 22%
degli uomini ha meno di 34 anni).
Tra il 2003 e il 2008 il mercato del lavoro ambientale si caratterizza complessivamente
per una perdita di consistenza di lavori scarsamente qualificati; in aumento è
l’occupazione legata a professioni intermedie di tipo tecnico. Quanto alla posizione
professionale ricoperta dagli occupati, diminuiscono leggermente gli impiegati, mentre
aumentano le posizioni direttive e i contratti di co.co.co. Forme di precarizzazione e di
uso flessibile della forza lavoro riguardano, soprattutto, la componente femminile con
il 7,3% contro l’1,7% degli uomini nel 2006, ma tale divario sembra meno consistente
nel 2008 (M 1,7%; F 5,4%) (Tab. 3). Si evidenzia, comunque, una maggiore presenza
femminile anche in posizioni professionali medio-alte di tipo impiegatizio (57,8%
contro il 35,3% degli uomini). Negli ultimi anni, si assiste ad un incremento dei
lavoratori autonomi, soprattutto tra le donne.
Tab. 2 - Occupati negli anni 1993-2008 per sesso, titolo di studio e settore ambientale
M F Totale M F Totale M F Totale M F Totale
Nessuno/licenza elementare 24,4 8,4 22,4 17,5 4,6 15,3 13,8 5,5 12,1 10,5 1,8 8,3
Licenza media 39,9 21,1 37,5 39,4 16,2 35,5 38,4 22,0 35,2 34,9 10,9 28,8
Diploma 30,5 45,3 32,4 36,5 54,1 39,4 41,8 54,1 44,2 44,4 55,0 47,1
Laurea/laurea breve 5,1 25,2 7,7 6,7 25,1 9,8 6,0 18,4 8,4 10,2 32,2 15,8
Rifiuti 33,9 17,6 31,8 32,8 13,5 29,6 34,2 18,8 31,2 29,0 10,0 24,2
Energie rinnovabili e risparmio 2,3 0,9 2,2 2,4 0,4 2,1 1,8 1,5 1,7 4,8 0,8 3,8
Difesa, controllo, disinquinamento 2,8 3,6 2,9 2,5 1,7 2,3 3,9 2,3 3,6 8,7 7,4 8,4
Sicurezza e igiene 4,3 17,3 6,0 5,4 14,3 6,9 3,2 6,0 3,7 8,6 21,1 11,7
Turismo ambientale 2,5 16,7 4,3 3,2 19,8 6,0 3,2 20,3 6,5 7,5 34,6 14,5
Risorse agroforestali 51,8 38,9 50,2 50,7 47,8 50,2 50,9 47,1 50,2 39,3 25,7 35,8
Urbanistica, Beni cult.ambientali 2,3 4,2 2,5 2,5 2,1 2,5 2,5 2,8 2,5 1,9 0,1 1,4
Ricerca 0,2 0,9 0,3 0,4 0,4 0,5 0,4 1,3 0,5 0,2 0,2 0,2
Totale % 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Totale v.a. 230.300 33.600 263.900 238.100 47.500 285.600 250.200 61.200 311.400 277.300 94.800 372.100
Fonte: elaborazione Isfol Progetto Ambiente - Ifolamb su dati Istat
1993 1998 2003 2008
9
Quanto alle caratteristiche del lavoro, perde peso, nel tempo, il lavoro a tempo
indeterminato, che passa dall’85,3% nel 1993 al 79,7% nel 2003 e al 73,5% nel 2008.
D’altra parte, si registra un incremento del lavoro a tempo determinato che, nell’arco
dei quindici anni presi in esame, passa dal 4,1% al 12,4%. Il divario tra i due sessi a
favore della componente maschile raggiunge la punta massima nel 2006 (M 77,6%; F
61,1%), ma le posizioni di privilegio appaiono leggermente ridimensionate nel 2008
(M 76,2%; F 65,6%).
In estrema sintesi, l’occupazione aumenta, grazie al contributo delle donne che - con
livelli di scolarità medio-alti e, comunque, superiori a quelli degli uomini - entrano nel
mercato del lavoro ambientale, rivestono posizioni professionali più elevate della
componente maschile, ma con contratti di lavoro più precari: tale precarietà
sembrerebbe essere determinata dall’optare per una minore stabilità del lavoro,
controbilanciata dall’esigenza di svolgere un lavoro più qualificato e rispondente alle
proprie aspettative e al percorso formativo seguito. Le fasce più deboli del mercato del
lavoro femminile sembrano, invece, risentire maggiormente gli effetti della attuale
Tab. 3 - Occupati negli anni 1993-2008 per sesso, professione, posizione e tipo di contratto
M F Totale M F Totale M F Totale M F Totale
Dirigente/direttivo 2,7 10,6 3,7 3,8 7,2 4,3 4,5 5,1 4,6 5,6 6,9 5,9
Impiegato indeterminato 40,1 51,5 41,6 43,0 56,4 45,2 42,0 57,4 45,0 35,3 57,8 41,0
Operaio/apprendrista 49,0 20,8 45,4 44,5 19,3 40,4 46,0 24,9 41,9 46,5 16,7 38,9
Imprenditore 0,4 0,2 0,4 0,4 0,2 0,4 0,7 0,4 0,7
Libero professionista 2,2 4,7 2,5 2,3 7,3 3,1 2,0 2,9 2,1 3,0 2,5 2,9
Lavoro in proprio 4,2 6,4 4,5 4,5 5,4 4,7 3,4 5,5 3,8 7,1 9,8 7,8
Socio di cooperativa 0,6 0,8 0,6 0,9 2,2 1,1 0,8 1,4 0,9 0,1 0,1
Coadiuvante 0,8 5,0 1,3 0,7 2,0 0,9 0,6 2,4 1,0 0,5 0,4 0,5
Co.co.co 1,7 5,4 2,7
Prestazione professionale 0,1 0,6 0,2
Legisl., dirigenti, imprend. 0,1 0,1 0,1
Prof. intell.scient. elev.spec. 2,8 19,7 4,9 3,7 15,7 5,7 1,4 7,0 2,5 0,9 1,8 1,1
Prof. intermedie- tecnici 12,5 24,6 14,1 13,7 22,8 15,2 15,7 27,6 18,0 32,2 61,7 39,7
Prof. relat. vendite di beni 36,8 33,5 36,4 35,6 44,5 37,1 34,3 41,5 35,7 21,5 22,6 21,8
Artigiani, operai etc. 8,5 2,7 7,8 9,1 2,9 8,1 10,4 3,0 8,9 9,3 1,9 7,4
Conduttori Impianti 5,0 0,9 4,4 4,8 0,4 4,1 5,4 1,8 4,7 7,0 0,5 5,4
Personale non qualificato 34,4 18,6 32,4 33,1 13,7 29,9 32,9 19,1 30,2 29,0 11,3 24,5
Tempo indeterminato 87,0 73,4 85,3 81,6 68,3 79,4 81,7 71,3 79,7 76,2 65,6 73,5
Apprendistato/CFL 0,9 4,0 1,3 1,5 3,9 1,9 2,2 4,4 2,6
Tempo determinato 3,9 5,5 4,1 8,1 10,7 8,5 8,6 11,7 9,2 11,1 15,8 12,4
Autonomo 8,2 17,1 9,3 8,7 17,1 10,1 7,5 12,6 8,5 12,6 18,7 14,1
Totale % 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Totale v.a. 230.300 33.600 263.900 ###### 47.500 285.600 250.200 61.200 311.400 277.300 94.800 372.100
Fonte: elaborazione Isfol Progetto Ambiente - Ifolamb su dati Istat
1993 1998 2003 2008
10
divisione sociale del lavoro, che vede le donne impegnate in diversi ambiti di presenza
non solo professionale.
La pervasività dell’ambiente in termini occupazionali si evince anche da altre ricerche
realizzate, negli anni, dall’Area Progetto Ambiente dell’Isfol relative alla spendibilità
nel mercato del lavoro di segmenti formativi significativi. (Fig.2)
Le ricerche realizzate testimoniano un buon inserimento e con tempi contratti nel
mercato del lavoro di coloro che hanno conseguito un titolo di studio in campo
ambientale. Il lavoro svolto è, inoltre, coerente con il percorso formativo, considerando
che una quota consistente di chi risulta occupato svolge un lavoro in campo
ambientale. Altro aspetto interessante è che anche tra chi non è riuscito a svolgere un
lavoro verde, il tipo di occupazione conseguita non è mai scarsamente qualificata.
Approfondendo i dati dell’ultima ricerca realizzata sui master ambientali14
emerge che
l’80,6% degli intervistati, ad un anno dal conseguimento del master risulta essere
occupato. Sebbene il 42,4% svolgesse già un lavoro prima di iscriversi al master, ben il
14
Isfol – “I master ambientali. Qualità dei percorsi formativi e spendibilità nel mercato del lavoro”, Roma
2007
Fig. 2 - Impatto della formazione ambientale sul mercato del lavoro
34,4
56,2
64,2
57,6
41,9
76,3
44,8
46,2
41,9
80,6
0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0 70,0 80,0 90,0
LAUREE QUINQUENNALI - 1998
FORMAZIONE REGIONALE - 1998
DIPLOMI UNIVERSITARI - 1999
IFTS - 2000
MASTER - 2006
OCCUPATI AMBIENTALI OCCUPATI
11
57,6% ha trovato un’occupazione dopo aver terminato il master e con tempi molto
contratti; l’80% di chi ha trovato lavoro dopo il master non ha atteso più di sei mesi
dalla conclusione del master. Sebbene il rapporto maschi/femmine sia a vantaggio
degli uomini (83,9% contro il 77,2% delle donne) e tale rapporto si confermi anche in
settori ambientali (M 61,1% F 53,8%), lo scarto M/F tende a ridursi se l’inserimento
nel mercato del lavoro avviene entro i tre mesi (M 62,3% F 60,4%) e risulta
leggermente a vantaggio della componente femminile nelle professioni di livello
elevato (F 31,4% M 30,8%).
Da una lettura al femminile dei dati forniti dalle ricerche Isfol sulle Tendenze del
mercato del lavoro ambientale e sulla spendibilità in termini occupazionali dei master
ambientali è possibile individuare segnali di un cambiamento in atto di valorizzazione
della forza lavoro femminile come risorsa in contesti organizzativi innovativi orientati
alla sostenibilità.
Le donne, inoltre, si affacciano sul mercato del lavoro ambientale con titoli di studio più
elevati di quelli degli uomini e quindi sembrano essere più congeniali a ricoprire quei
ruoli lavorativi medio-alti riconducibili a figure professionali ambientali che richiedono
un alto livello di specializzazione.
Anche l’offerta formativa ambientale sembra evidenziare la tendenza verso un
innalzamento dei livelli formativi attraverso l’aumento di corsi volti a sviluppare
competenze sistemiche e qualifiche professionali medio-alte in campo ambientale, con
un forte incremento nel settore del risparmio e dell’efficienza energetica, come
testimoniano le indagini censimentali sull’offerta formativa ambientale condotte
annualmente dall’Area Progetto Ambiente su tutta la formazione realizzata in Italia da
soggetti pubblici e privati15
.
L’attenzione del sistema formativo rivolta a campi di nuova economia sembra
assecondare e talora anticipare le potenzialità dello sviluppo sostenibile, ma al tempo
stesso pone in primo piano l’esigenza di una qualità della formazione che assuma la
sostenibilità come occasione di innovazione nei processi formativi.
3. Lo sviluppo sostenibile come occasione di innovazione nei processi formativi.
15
I Rapporti di ricerca annuali sull’Offerta formativa Ambientale (OFA) dal 2001 al 2009 sono scaricabili
consultando il Sistema informativo IFOLAMB sul sito dell’Isfol
12
L’approccio integrato e sistemico nella costruzione dei processi cognitivi, indotto dal
paradigma della complessità e i profondi mutamenti intervenuti sul versante
epistemologico, hanno posto come centrale l’interrogativo rispetto a quale sviluppo
debbano essere progettati percorsi formativi e educativi e quali figure professionali
individuare e formare per rendere attuabile l’obiettivo di società sostenibili.
A questi aspetti, le ricerche condotte dall’Area Progetto Ambiente dell’Isfol hanno dato
un contributo sia individuando figure professionali innovative in riferimento ad aree di
intervento strategiche per lo sviluppo sostenibile16
, sia mettendo a punto modelli
formativi innovativi che hanno affrontato il nodo di come progettare e realizzare
percorsi formativi di qualità, in grado di mettere in rapporto la cultura ecosistemica e lo
sviluppo di competenze specialistiche, di sollecitare processi di innovazione
metodologica e didattica che coinvolgano conoscenze, esperienze, valori,
comportamenti per rendere praticabile lo sviluppo di società sostenibili.
Superare l’ottica di un sapere monospecialistico e stratificato, si rivela necessario nella
formazione di figure professionali per l’ambiente la cui caratteristica peculiare è quella
di presentare una fisionomia contraddistinta da uno spiccato carattere di sistemicità,
flessibilità e integrazione di conoscenze e linguaggi diversi, anche quando rivestono un
carattere specialistico. Altra loro caratteristica è quella di stabilire rapporti di
integrazione a monte e a valle dei processi produttivi, agendo da interfaccia con altri
contesti produttivi e organizzativi. Non si tratta di semplici relazioni di scambio che sono
proprie di qualsiasi processo produttivo, ma della necessità di stabilire relazioni con
interlocutori che condividono un impegno al conseguimento delle stesse finalità che sono
quelle della sostenibilità o, comunque, di una riduzione degli impatti. Da qui l’esigenza
di stabilire una circolarità tra conoscenze, capacità, valori, atteggiamenti e
comportamenti.
La compresenza di aspetti cognitivi e dimensione valoriale è essenziale anche quando
vengono operate scelte di tipo tecnico, in quanto anche queste avvengono dietro
16
Sono state realizzate nove ricerche riferite ad altrettante aree di interesse strategico per lo sviluppo
sostenibile (agricoltura biologica, acquacoltura ecocompatibile di qualità, biotecnologie sostenibili, difesa
del suolo e utilizzazione delle acque, aree protette e turismo ambientale, energie rinnovabili, architettura a
basso impatto ambientale, gestione integrata dei rifiuti solidi urbani, processi partecipativi e sviluppo
sostenibile) e sono state individuate e analiticamente descritte in termini di profilo, compiti, competenze
ed altri aspetti connotativi, 41 figure professionali. I risultati delle ricerche sono stati pubblicati sulle
collane editoriali dell’Isfol e possono essere consultati anche attraverso il Sistema informativo IFOLAMB
sul sito dell’Isfol.
13
un’assunzione ed esplicitazione di valori. Ricomporre la dicotomia tra una formazione
per le conoscenze e una formazione per i valori è la sfida ancora aperta di tutta la
formazione ambientale, accanto a quella di una formazione progettata e realizzata in
chiave rigorosamente sistemica.
Perchè le figure ambientali possano dare un contributo e accelerare la fase di transizione
verso la realizzazione di società sostenibili è necessario che siano dotate di competenze
in grado di garantire una visione integrata e unitaria del territorio e dell’ambiente. Ciò in
quanto è di fatto impossibile distinguere, concettualmente e operativamente, la politica
ambientale da quella territoriale nelle sue diverse articolazioni, risultando strettamente
integrate tra loro le politiche urbanistiche e territoriali con quelle energetiche, della
difesa del suolo e delle risorse naturali, paesaggistiche, storiche e culturali, per citare le
più importanti.
Ciò comporta una visione di ampio respiro che superi logiche emergenziali e la
parcellizzazione degli interventi a favore di un approccio globale che deve trovare la sua
visibilità anche nella progettazione dei percorsi formativi.
Da qui l’esigenza di una formazione progettata e realizzata in chiave rigorosamente
sistemica volta a favorire la costruzione di un sapere in grado di confrontarsi con la
complessità e di sviluppare competenze trasversali, necessarie per introdurre
nell’approccio sistemico una dimensione operativa capace di far fronte a situazioni
complesse e non strutturate. In tale contesto, la formazione ambientale dovrà essere volta
a produrre innovazione, nella costruzione delle competenze, ed a delineare figure
professionali che si configurino, innanzi tutto, come agenti di cambiamento per lo
sviluppo di società sostenibili.
In questo contesto la formazione deve misurarsi con la capacità di rispondere a
fabbisogni non solo espressi dai sistemi territoriali, ma anche ai fabbisogni potenziali,
conseguenti l’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile e il miglioramento delle
prestazioni ambientali dei sistemi produttivi. Pertanto in questa sua capacità di orientare i
fabbisogni potenziali di un modello di sviluppo si giocherà la qualità della formazione
ambientale in cui centrale è il nodo della definizione e della costruzione delle
competenze professionali.