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La giurisprudenza di legittimità sul D.P.R. 115/2002: problemi vecchi e nuovi (Relazione per l’incontro di studio in Genova, giovedì 13 dicembre 2007 Consiglio Superiore della Magistratura – Formazione Decentrata di Genova) di Antonio De Nicolo, Consigliere della Corte d’Appello di Trieste S O M M A R I O 1. Premesse generali ........................................................................................................................................................................... 1 2. Gli interventi delle Sezioni Unite ............................................................................................................................................... 4 3. I punti in diritto (quasi) fermi .................................................................................................................................................... 6 4. Le questioni in diritto ancora controverse ............................................................................................................................. 14 5. Problemi in ordine alla liquidazione dei compensi: spunti di discussione .......................................................................... 22 6. Questioni sulle altre tipologie di spese processuali ............................................................................................................. 28 1. Premesse generali Ancora oggi, a ben oltre cinque anni dal 1°.7.2002, data di entrata in vigore del D.P.R. 115/2002 (d’ora in poi T.U.), si registra frequentemente nei giudici penali che s’accostano al medesimo un atteggiamento mentale a mezza strada fra indifferenza e insofferenza: indifferenza perché il capitolo delle spese di giustizia sembra offrire ben poco spazio alle valutazioni propriamente giuridiche; insofferenza perché il tempo impiegato a valutare la sussistenza dei presupposti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ad esaminare parcelle di avvocati od a liquidare note spese di difensori e di ausiliari del giudice appare ai loro occhi come uno sperpero di tempo, sottratto ai tanti, e troppo spesso urgenti, adempimenti d’ufficio. A contrastare l’indifferenza, motivata con la constatazione che si tratterebbe di problematiche aventi ben poco di giuridico, varranno due dati obiettivi. Il primo: se si consulta il sito Italgiureweb della Corte di Cassazione, si può verificare che il T.U. ha dato luogo ad un’imponente fioritura di massime, pari ad oltre 230 alla data della presente relazione – undici delle quali da parte delle Sezioni Unite, intervenute finora con sei distinte decisioni -. Il secondo dato: se si consulta il sito informatico della Corte Costituzionale, si può verificare che le disposizioni del T.U. sono state oggetto di scrutinio del Giudice delle leggi nel considerevole numero di 36 decisioni (sentenze od ordinanze) alla data della presente relazione, cui deve aggiungersi un numero ancora maggiore di questioni relative al medesimo T.U. ancora pendenti. A contrastare l’insofferenza, motivata con la constatazione che si tratterebbe di un’inutile perdita di tempo, varrà un eloquente dato normativo: se si legge l’art. 172 T.U., ci si avvede che “i magistrati e i funzionari amministrativi sono responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa degli errori e delle irregolarità delle loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa” (norma sulla quale, per

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La giurisprudenza di legittimità sul D.P.R. 115/2002: problemi vecchi e nuovi

(Relazione per l’incontro di studio in Genova, giovedì 13 dicembre 2007 Consiglio Superiore della Magistratura – Formazione Decentrata di Genova)

di Antonio De Nicolo, Consigliere della Corte d’Appello di Trieste

S O M M A R I O 1. Premesse generali........................................................................................................................................................................... 1 2. Gli interventi delle Sezioni Unite ............................................................................................................................................... 4 3. I punti in diritto (quasi) fermi .................................................................................................................................................... 6 4. Le questioni in diritto ancora controverse ............................................................................................................................. 14 5. Problemi in ordine alla liquidazione dei compensi: spunti di discussione .......................................................................... 22 6. Questioni sulle altre tipologie di spese processuali ............................................................................................................. 28

1. Premesse generali

Ancora oggi, a ben oltre cinque anni dal 1°.7.2002, data di entrata in vigore del D.P.R. 115/2002 (d’ora in poi T.U.), si registra frequentemente nei giudici penali che s’accostano al medesimo un atteggiamento mentale a mezza strada fra indifferenza e insofferenza: indifferenza perché il capitolo delle spese di giustizia sembra offrire ben poco spazio alle valutazioni propriamente giuridiche; insofferenza perché il tempo impiegato a valutare la sussistenza dei presupposti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ad esaminare parcelle di avvocati od a liquidare note spese di difensori e di ausiliari del giudice appare ai loro occhi come uno sperpero di tempo, sottratto ai tanti, e troppo spesso urgenti, adempimenti d’ufficio.

A contrastare l’indifferenza, motivata con la constatazione che si tratterebbe di problematiche aventi ben poco di giuridico, varranno due dati obiettivi. Il primo: se si consulta il sito Italgiureweb della Corte di Cassazione, si può verificare che il T.U. ha dato luogo ad un’imponente fioritura di massime, pari ad oltre 230 alla data della presente relazione – undici delle quali da parte delle Sezioni Unite, intervenute finora con sei distinte decisioni -. Il secondo dato: se si consulta il sito informatico della Corte Costituzionale, si può verificare che le disposizioni del T.U. sono state oggetto di scrutinio del Giudice delle leggi nel considerevole numero di 36 decisioni (sentenze od ordinanze) alla data della presente relazione, cui deve aggiungersi un numero ancora maggiore di questioni relative al medesimo T.U. ancora pendenti.

A contrastare l’insofferenza, motivata con la constatazione che si tratterebbe di un’inutile perdita di tempo, varrà un eloquente dato normativo: se si legge l’art. 172 T.U., ci si avvede che “i magistrati e i funzionari amministrativi sono responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa degli errori e delle irregolarità delle loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa” (norma sulla quale, per

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fortuna, fino ad oggi non si registra alcuna pronuncia edita né da parte della Corte di Cassazione, sia civile che penale, né da parte del Consiglio di Stato né da parte dei Tribunali Amministrativi Regionali né, infine, da parte della Corte dei Conti).

Stiamo parlando, insomma, di un corpus normativo complesso, il quale offre all’interprete numerosi problemi non solo pratici ma anche squisitamente giuridici, e che richiama perentoriamente al magistrato la responsabilità cui si espone in caso di irregolarità od errori produttivi di danno per l’Erario: già questo dovrebbe bastare per inserire a buon diritto l’attività d’applicazione del T.U. fra i capitoli ordinari del lavoro del giudice – al pari della gestione dell’udienza, dello studio dei fascicoli e della redazione delle sentenze – cui dedicarsi con impegno e senza quella sciatteria insita nelle laconiche parolette “visto, si liquidi …”, che ancora oggi capita di vedere in calce a svariate richieste di liquidazione, senza che si capisca da quale Ufficio giudiziario promanino, quale sia il nome ed il cognome del magistrato (o dei magistrati) che abbia (abbiano) deliberato il provvedimento, quali siano le valutazioni in base alle quali sia stata adottata quella decisione.

E’ opportuno ricordare, nell’analisi generale delle norme oggetto della nostra riflessione, che il D.P.R. 115/2002 non innova la disciplina preesistente in materia di spese di giustizia, ma la organizza in T.U., in conformità alla delega di cui all'art. 7 della Legge 8.3.1999 n. 50, come modificato dall'art. 1 VI c. Legge 24.11.2000 n. 340. La delega imponeva al legislatore del T.U. di coordinare ed armonizzare la legislazione previgente, apportandovi le sole innovazioni necessarie per assicurare coerenza logica e sistematica alla normativa da riordinare (in tal senso, per approfondimenti, cfr. Corte Cost. sent. n. 174/2005, n. 53/2005 e n. 212/2003 - la quale ultima ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione della delega, gli artt. 237, 238 e 299 del T.U. nella parte in cui hanno modificato le regole della competenza sulla conversione delle pene pecuniarie in caso d’insolvibilità del condannato ed hanno abrogato l’art. 660 c.p.p.: come tali, modifiche sostanziali non necessitate dall’esigenza dell’armonizzazione -). Pertanto il T.U., il quale raccoglie sia le norme di legge (che da sole costituiscono il D.P.R. 113/2002) sia le norma regolamentari (che da sole costituiscono il D.P.R. 114/2002), non è di regola autonoma fonte di diritto rispetto alle leggi ed ai regolamenti di cui recepisce le norme rispettivamente primarie e secondarie: in particolare, non lo è né rispetto alla L. 217/1990, istitutiva del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, né rispetto alla L. 134/2001, che ha significativamente modificato la prima.

Vanno ricordate, ancora, le norme di legge che hanno interpolato il T.U. successivamente alla sua entrata in vigore: e cioè la L. 24.2.2005 n. 25 (che ha ampliato la platea dei difensori nominabili dall’ammesso al patrocinio, dei sostituti dei difensori, degli investigatori privati e dei consulenti tecnici), il D.L. 30.6.2005 n. 115 convertito con modificazioni nella la L. 17.8.2005 n. 168 (che ha modificato, fra l’altro, le norme sulla restituzione dei beni sequestrati e sulla revoca dell’ammissione al patrocinio). E non vanno dimenticati i testi di legge comunque incidenti su di esso, come la L. 30.12.2004 n. 311 (“Legge Finanziaria 2005”, la quale ha abolito il previo parere del Consiglio

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dell’Ordine in merito alle liquidazioni delle parcelle dei difensori ed è intervenuta sulla disciplina dei veicoli in sequestro) e la L. 4.8.2006 n. 248 (Legge di conversione del D.L. 4.7.2006 n. 223, c.d.“Decreto Bersani”, la quale ha ripristinato la regola della liquidazione giudiziale sulla base della tariffa professionale, regola che pareva abrogata dall’eliminazione dei minimi tariffari).

Né è possibile fare a meno di citare gli interventi di rango subprimario successivi al T.U. ed incidenti su di esso, ed in particolare il D.M. 8.4.2004 n. 127 (e cioè l’approvazione della delibera del Consiglio Nazionale Forense dd. 20.9.2002 contenente la determinazione degli onorari, diritti e indennità degli avvocati attualmente vigente), il D.M. 26.9.2005 (sul procedimento di alienazione dei veicoli in sequestro, in attuazione dei commi da 312 a 320 dell’art. 1 L. 311/2004), il decreto interministeriale dd. 29.12.2005 (pubblicato in G.U. 2.2.2006, il quale ha aggiornato il limite di reddito fissato per l’ammissione del patrocinio a spese dello Stato, pari attualmente ad Euro 9.723,84), ed infine il D.M. 2.9.2006 n. 265 (sulle indennità spettanti ai custodi dei beni sottoposti a sequestro).

Per completare la rassegna delle fonti normative incidenti sul corpus in esame, val la pena di citare quella che è (finora) l’ultima censura d’incostituzionalità: essa ha riguardato l’art. 102 T.U. (norma che conferisce all’ammesso al patrocinio a spese dello Stato la facoltà di nominare un consulente tecnico di parte), ed è stata dichiarata illegittima “nella parte in cui non prevede la possibilità, per lo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio interprete: l’istituto del patrocinio a spese dello Stato, essendo diretto a garantire anche ai non abbienti l'attuazione del precetto costituzionale di cui al terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, deve assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione e ciò in esecuzione del principio posto dal primo comma dello stesso art. 24, secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi“ (questa è la massima della sentenza n. 254 dell’8.5.2007 della Corte Costituzionale).

Con ciò terminate le premesse, va detto ora che l’analisi che lo scrivente intende compiere, necessariamente limitata dagli obiettivi temporali prefissati per il presente incontro, non pretende d’essere una trattazione sistematica e completa di tutti gli aspetti della disciplina del T.U. (trattazione che richiederebbe un seminario articolato in più giorni); ma semplicemente consisterà nell’esposizione ragionata delle questioni affrontate dalla giurisprudenza d’immediato ed attuale interesse pratico, distinguendo ove possibile quelle ormai assodate e pacifiche da quelle ancora controverse.

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2. Gli interventi delle Sezioni Unite

Può essere interessante aprire la rassegna delle questioni controverse con la menzione delle sei decisioni delle Sezioni Unite finora intervenute: di che s’è dovuto occupare il Collegio di legittimità nella sua massima espressione nomofilattica?

La prima decisione in ordine cronologico è quella resa da Cass. S.U. n. 25080 del 28/05/2003 Cc. (dep. 10/06/2003) Rv. 224610, la quale, interloquendo sul problema se i provvedimenti emessi in sede di reclamo avverso il decreto di liquidazione del compenso al difensore dal Tribunale o dalla Corte d’Appello siano ricorribili per Cassazione, vi ha dato soluzione positiva, in ciò confermando gli assunti della giurisprudenza già allora maggioritaria: infatti tali provvedimenti, pur non essendo formalmente qualificati come sentenze, hanno carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su diritti soggettivi.

La seconda pronuncia è quella n. 19289 del 25/02/2004 Cc. (dep. 23/04/2004), la quale ha dato luogo a due distinte massime: la prima (Rv. 227355) stabilisce che “è abnorme, e pertanto ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il G.I.P. dispone la trasmissione, per competenza, al P.M. della domanda dell'indagato intesa ad ottenere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato”, e la seconda (Rv. 227356) stabilisce che la competenza a decidere sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata nella fase delle indagini preliminari appartiene non al pubblico ministero ma al giudice per le indagini preliminari – posto che in precedenza la giurisprudenza era stata oscillante sul punto -.

La terza sentenza è la n. 30181 del 24/05/2004 Cc. (dep. 12/07/2004) Rv. 228118, la quale, seguendo l’opzione interpretativa allora minoritaria, ha stabilito che “in tema di patrocinio dei non abbienti, è legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso l'ordinanza reiettiva del reclamo contro il decreto che abbia dichiarato inammissibile o rigettato l'istanza per l'ammissione al beneficio sia il difensore dell'imputato o del condannato, in via autonoma (rispetto allo stesso imputato o condannato), sia quello delle altre parti, purché (quest’ultimo sia) munito di procura speciale a norma dell'art. 122 cod. proc. pen.”.

Il quarto intervento delle Sezioni Unite è la sentenza n. 30433 del 30/06/2004 Cc. (dep. 13/07/2004), articolata su tre massime: la prima (Rv. 228231) precisa che “il difensore della persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato può nominare, a norma dell'art. 102 cod. proc. pen., un sostituto per tutte le attività per le quali la sostituzione è consentita, oltre quella di investigazione difensiva, alla quale soltanto fa riferimentol'art. 101 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115”; la seconda (Rv. 228232) insegna che “il sostituto del difensore della persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato non deve necessariamente essere scelto tra gli iscritti nell'albo speciale di cui all art. 80 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115”; la terza (Rv. 228233) assicura che “al difensore della personaammessa al patrocinio a spese dello Stato compete il compenso per l'attività difensiva svolta dal sostituto”.

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La quinta decisione è la sentenza n. 36168 del 14/07/2004 Cc. (dep. 10/09/2004), a sua volta articolata su due massime: la prima (Rv. 228666), a proposito della revoca d’ufficio dell’ammissione al patrocinio, insegna che “il provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, previsto dall'art. 112 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia , è adottato di ufficio dal giudice solo nei casi di cd. "revoca formale" indicati dalle lettere a), b) e c) del comma 1, mentre nel caso di cui alla successiva lettera d), concernente la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito stabilite dalla legge, non può essere disposto senza la tempestiva richiesta dell'ufficio finanziario competente, al quale soltanto è attribuito il potere-dovere di persistente verifica e controllo della sussistenza di tali condizioni, interdetto al giudice dopo l'assunzione del provvedimento di ammissione. (Nell'enunciare il principio, la Corte ha affermato che il provvedimento di ammissione ha natura giurisdizionale e che l'ordinamento preclude in via generale al giudice, ad eccezione delle ipotesi tassativamente previste, di riesaminare autonomamente i propri provvedimenti definitivi per i quali sia prevista espressamente una procedura di revoca)”; la seconda (Rv. 228667) precisa che “in tema d patrocinio a spese del o Stato, i provvedimento di revoca dell'ammissione ad esso disposto a norma dell'art. 112 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) è impugnabile, anche nell'ipotesi in cui sia stato adottato illegittimamente d'ufficio, negli stessi termini e con i medesimi rimedi stabiliti dal precedente art. 99 relativo all'istanza di ammissione, poiché il citato testo unico, avendo natura "compilativa", non ha abrogato i diritti e legaranzie difensive previste dalla previgente disciplina ("ricorso al presidente dell'ufficio giudiziario di appartenenza del giudice che ha disposto la revoca e successivo ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che definisce il predetto "ricorso")”. Va subito detto che tale decisione è stata in gran parte posta nel nulla dallo jus superveniens: infatti la già citata L. 168/2005 ha introdotto la revoca dell’ammissione al patrocinio

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anche d’ufficio, e non soltanto su esclusiva richiesta dell’Ufficio finanziario, allorché risulti provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito rilevanti ai fini dell’ammissione al patrocinio, e dunque ha esteso a tutti i casi di revoca per ragioni non formali la regola, posta dall’art. 113 T.U., per cui la sola impugnazione consentita è il ricorso per cassazione.

L’ultimo intervento (almeno fino ad oggi) delle Sezioni Unite è dato dalla sentenza n. 6816 del 30/01/2007 Cc. (dep. 16/02/2007), composta da due distinte massime: la prima (Rv. 235344) insegna che “in tema di patrocinio a spese dello Stato, il difensore, purché iscritto nell'albo speciale dei patrocinanti davanti alle magistrature superiori, èlegittimato a proporre personalmente il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di liquidazione delle sue competenze professionali, emesso in sede di opposizione, in quanto la regola generale della rappresentanza tecnica nel processo penale (art. 613 cod. proc. pen.) è eccezionalmente derogata, a favore dell'avvocato cassazionista, in virtù del rinvio formale che l'art. 170 D.P.R. n. 115 del 2002 opera, in tema di liquidazione di compensi professionali, alla speciale procedura prevista per gli onorari di avvocato dall'art. 29 L. n. 794 del 1942 e, indirettamente, alle disposizioni degli artt. 86 e 365

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cod. proc. civ.. (Conf. S.U. n. 6817, 30 gennaio 2007, Mulas, non massimata)”; la seconda massima (Rv. 235345) ribadisce il principio già noto per cui “in tema di patrocinio a spese dello Stato, il procedimento per l'opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi professionali dell'avvocato, di competenza del Tribunale di sorveglianza o della Corte di appello, deve essere trattato in composizione monocratica dai rispettivi presidenti o da giudici da essi delegati. (Conf. S.U. n. 6817, 30 gennaio 2007, Mulas, non massimata)”.

Una pur rapida lettura delle suddette massime consente fin d’ora una considerazione di carattere generale: quella per cui le Sezioni Unite sono intervenute sempre su questioni attinenti il patrocinio a spese dello Stato: dunque, all’interno del corpus normativo, che comprende tutte le possibili voci di spesa del processo civile e penale (ma si occupa anche del processo amministrativo, contabile e tributario), la Parte Terza del T.U. (“Patrocinio a spese dello Stato”) è quella che ha dato luogo al contenzioso più rilevante qualitativamente. Ma se si scorrono le massime inserite sul sito Italgiureweb della Corte di Cassazione, si può facilmente verificare che il patrocinio a spese dello Stato è la parte del T.U. che ha dato luogo al contenzioso più rilevante anche quantitativamente: da un calcolo piuttosto grossolano, ma non certo approssimato per eccesso, circa il 90% delle questioni decise dalla Corte di Cassazione riguardano profili attinenti il patrocinio a spese dello Stato e situazioni equiparate, e circa il 10% riguardano gli altri profili che compongono il T.U. .

3. I punti in diritto (quasi) fermi

Scopo di questo capitolo è quello di focalizzare le questioni che avevano dato luogo a difficoltà applicative od a contenzioso giudiziario e che sono state poi superate da orientamenti interpretativi uniformi, così da rappresentare oggi dei punti fermi, o almeno quasi fermi, nel variegato panorama delle problematiche offerte dal T.U. .

3.1 Una tematica ormai abbastanza assodata è quella della competenza a provvedere sulla richiesta d’ammissione al patrocinio ed a provvedere sulla liquidazione degli onorari chiesti dal difensore: essa appartiene rispettivamente al giudice dinanzi a cui pende il procedimento o il processo (e, se quest’ultimo pende dinanzi alla Corte di Cassazione, al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato) ed al giudice della fase o del grado in relazione a cui è stata prestata l’opera del professionista (ed in caso di richiesta nella fase delle indagini preliminari al G.I.P., e non al P.M.). A proposito della liquidazione, è stato detto ripetutamente che l’opera del difensore è compiutamente apprezzabile solo dal giudice dinanzi al quale l’attività sia stata svolta, e ciò vale anche se, ovviamente, il processo è nel frattempo transitato ad altra fase o grado (cfr. Cass. Sez. 1 n. 9764 dd. 08/02/2005 Cc. (dep. 11/03/2005) Rv. 230793). Peraltro tale

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principio è stato poi espressamente codificato dall’art. 83 T.U., nel testo risultante dopo le modifiche operate dalla citata L. 25/2005.

La regola del giudice di fase vale anche per i casi di ammissione e di liquidazione richieste in sede di procedimento incidentale, quale il Tribunale del riesame: la giurisprudenza si sta ormai consolidando nel senso che anche in tale caso la competenza a provvedere appartiene non al giudice del riesame, ma al giudice di fase (in tal senso, fra le più recenti, Cass. sez. 1 n. 40869 del 17/09/2003 Cc. (dep. 28/10/2003) Rv. 226834, Cass. sez. 1 n. 35071 dd. 25/09/2002 Cc. (dep. 17/10/2002) Rv. 222331 e Cass. sez. 1 n. 23233 dd. 22/05/2002 Cc. (dep. 17/06/2002) Rv. 221644). Peraltro, sullo specifico problema della liquidazione delle spese dovute al difensore per la fase del riesame si rinviene pure giurisprudenza, pur meno recente e meno numerosa, che segue l’opzione contraria della competenza del giudice del riesame: così Cass. sez. 1 n. 768 dd. 01/02/2000 Cc. (dep. 16/05/2000) Rv. 216078, Cass. sez. 1 n. 34489 dd. 04/07/2001 Cc. (dep. 22/09/2001) Rv. 219735 e Cass. sez. 1 n. 14246 dd. 20/03/2002 Cc. (dep. 12/04/2002) Rv. 221230). Pare allo scrivente che la prima serie di decisioni si uniformi correttamente alla regola normativa del giudice di fase: peraltro la seconda serie, che disobbedisce a quel principio, ha il pregio di attribuire la competenza a provvedere al giudice dinanzi al quale è stata svolta l’opera defensionale – pregio che invece non ha la regola generale, nella parte in cui attribuisce il compito di liquidare gli onorari al giudice di fase anche per tutti i procedimenti incidentali –.

3.2 Un altro punto pacifico riguarda l’espressione “immediatamente”, che compare nell’art. 96 I c. T.U. a proposito della decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio: è stato chiarito che l’espressione significa “prima che sia terminata l’udienza”: dunque non una deliberazione a minuti, ma una decisione che preceda quella di merito e sia effettuata nello stesso giorno (così Cass. sez. 1 ord. n. 14687 dd. 12/04/2005 Cc. (dep. 20/04/2005) Rv. 231339 e Cass. sez. 6 n. 41009 dd. 07/10/2005 Ud. (dep. 11/11/2005) Rv. 232400).

Può essere interessante osservare che non è stata considerata “udienza” l’attività del giudice nel corso dell’interrogatorio di garanzia “atteso che il giudice per le indagini preliminari, una volta verificato attraverso l'interrogatorio che persistono le condizioni per il mantenimento della misura disposta, non emette alcuna decisione, mentre provvede alla revoca o alla sostituzione della misura solo se tali condizioni risultano insussistenti. Pertanto il G.i.p. deve provvedere nel termine di dieci giorni, e non immediatamente, sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata dall'indagato in sede di interrogatorio di garanzia” (così Cass. sez. 3 n. 37770 dd. 14/07/2005 Cc. (dep. 18/10/2005) Rv. 232979).

Analogamente quanto ad effetti pratici, ma con motivazione del tutto diversa, s’è detto che non produce alcuna nullità la decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio presentata in sede di udienza di convalida, intervenuta non immediatamente ma dopo

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l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare: nella motivazione per esteso, la Suprema Corte osserva in proposito che “l'istanza di ammissione è stata presentata nel corso dell'udienza di convalida, rispetto al cui esito la pronuncia dell'ordinanza custodiale è del tutto autonoma, essendo collegata, a seguito della richiesta del pubblico ministero (formulata senza alcun intervento della difesa per la struttura implicita del provvedimento richiesto, cd. "a sorpresa"), all'esistenza dei presupposti dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari che non derivano dalla convalida” (così Cass. sez. 2 n. 44221 dd. 17/11/2005 Cc. (dep. 02/12/2005) Rv. 232401). Il problema generale del significato di quella particolare nullità assoluta di cui all’art. 96 T.U., invece, verrà affrontato nel capitolo successivo, in relazione ai temi tuttora controversi.

3.3 Un problema pratico opportunamente risolto dalla Cassazione concerne l’antinomia fra la necessità per il giudice di pronunciarsi al massimo entro dieci giorni a pena di nullità assoluta, e l’obbligatorietà di dare ingresso agli specifici accertamenti indicati dall’art. 96 III c. T.U. allorché l’istante sia imputato di reati rientranti fra quelli previsti dall’art. 51 comma 3bis c.p.p. (ma lo stesso dovrebbe accadere se l’istante sia persona proposta o sottoposta a misura di prevenzione): in tali casi sussiste “per il giudice l'obbligo di emettere un provvedimento di ammissione condizionata, non essendo compatibile l'avvio di indagini con una decisione di rigetto: siffatta previsione normativa non viola il principio di ragionevolezza e non é perciò costituzionalmente illegittima, inquanto l'art. 112, comma secondo, D.P.R. n. 115 del 2002, prevede la revoca ex officio da parte del giudice, se dalle indagini emergono dati negativi per l'istante” (cfr. Cass. sez. 1 n. 42013 dd. 14/10/2004 Ud. (dep. 27/10/2004) Rv. 232068).

Quest’ultima massima è senz’altro applicabile analogicamente pure al caso in cui il giudice s’avvalga della facoltà, concessagli dall’art. 96 II c. T.U., di disporre verifiche a cura della Guardia di Finanza, avendo motivo di ritenere che l’interessato non versi nelle condizioni di legge. Dal tenore complessivo della norma pare logico desumere che il giudice debba così comportarsi: se gli risulta fin da subito il difetto di tali condizioni, egli può senz’altro rigettare l’istanza; se ha solo motivo di dubitarne, invece, egli deve accogliere l’istanza entro i termini di legge, ma contestualmente può far svolgere accertamenti, all’esito dei quali potrebbe revocare ex officio l’ammissione ai sensi dell’art. 112 II c. T.U. .

3.4 Un problema pacificamente risolto riguarda il significato della “fase di esecuzione” nell’art. 75 T.U.: il tenore testuale della norma comprende ogni tipo di procedimento esecutivo e menziona espressamente quello dinanzi al Tribunale di sorveglianza. Recentemente la Suprema Corte ha stabilito che vi rientra pure il procedimento di conversione della pena pecuniaria, di competenza del magistrato di sorveglianza, poiché “nell'espressione normativa l'esecuzione assume rilievo come fasedel procedimento per la sua connotazione sostanziale rispetto alle altre fasi e non

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identifica un organo piuttosto che l'altro, ma comprende tutti gli organi della giurisdizione penale chiamati a compiere, oggettivamente, attività di esecuzione” (così Cass. sez. 4 n. 20811 dd. 04/05/2006 Cc. (dep. 16/06/2006) Rv. 234415).

3.5 Altro problema la cui soluzione può dirsi ormai pacifica è quello se agli effetti della valutazione del reddito del richiedente l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 76, 77 e 92 T.U., debbano o meno computarsi anche i proventi derivanti da attività illecite.

L’ultima decisione, in ordine di massimazione, del giudice di legittimità sul tema è Cass. sez. 4 n. 45159 dd. 04/10/2005 Cc. (dep. 13/12/2005), secondo cui “ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per la determinazione dei limiti di reddito rilevano anche i redditi che non sono stati assoggettati ad imposte vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi perché di fatto non hannosubito alcuna imposizione: ne consegue che rilevano anche i redditi da attività illecite ovvero i redditi per i quali l'imposizione fiscale è stata esclusa” (Rv. 232908) e secondo cui “ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per la determinazione deilimiti di reddito si può fare ricorso agli ordinari mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni semplici di cui all'articolo 2729 cod. civ., tra le quali rientrano il tenore di vita dell'interessato e dei familiari conviventi e qualsivoglia altro fatto di emersione della percezione, lecita o illecita, di redditi” (Rv. 232909). Tale pronuncia s’inscrive, peraltro, nel solco tracciato da altre decisioni del tutto omologhe, e cioè da Cass. sez. 6 n. 1390 dd. 17/04/1998 Cc. (dep. 23/07/1998) Rv. 211311, da Cass. sez. 1 n. 17430 dd. 25/01/2001 Cc. (dep. 02/05/2001) Rv. 219161, ed infine da Cass. sez. 4 n. 127 dd. 09/11/2005 Cc. (dep. 05/01/2006) Rv. 232791 - la quale ha stabilito che “ai fini della revoca del decreto di ammissione al beneficio rilevano anche i redditi da attività illecite, che possono essere accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici di cui all'art. 2729 cod. civ. (La Corte ha così affermato la legittimità del provvedimento di revoca motivato con il richiamo ad una serie di rea i di spaccio di sostanze stupefacenti ed alla loro cospicua valenza economica, da cui può desumersi la disponibilità da parte dell'interessato di redditi superiori ai limiti stabiliti per la fruizione del beneficio)” –.

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3.6 Sempre in relazione alle condizioni soggettive del richiedente l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 76 T.U., sono uniformi le indicazioni della Corte di Cassazione in merito alla nozione di familiari conviventi, intendendosi per tali quelli che lo sono di fatto, con prevalenza assoluta della situazione effettiva rispetto a quella formale-anagrafica.

Ed infatti:

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• “in tema di patrocinio dei non abbienti, per la determinazione dei limiti di reddito ai fini dell'ammissione occorre tenere conto, ex art. 76 D.P.R. n. 115 del 2002, della somma dei redditi facenti capo all'interessato ed agli altri familiari conviventi, e tra questi deve ritenersi annoverato il convivente "more uxorio", perché l evoluzione giurisprudenziale, attenta alla realtà sociale piuttosto che alla veste formale dell'unione tra due persone conviventi, ha condotto al riconoscimento della famiglia di fatto”: così Cass. sez. 4 n. 109 dd. 26/10/2005 Cc. (dep. 05/01/2006) Rv. 232787; conforme è Cass. sez. 4 n. 19349 dd. 17/02/2005 Cc. (dep. 20/05/2005) Rv. 231357, la quale ha altresì precisato che, realizzando la convivenza more uxorio una situazione di fatto e non di diritto, “la sua prova non può scaturire solo dalle risultanze anagrafiche, ma può essere tratta da ogni accertata evenienza fattuale che dia contezza della sussistenza del rapporto”;

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• “deve ritenersi che il divorzio, ove intervenuto, fa venir meno quella presunzione di convivenza dei coniugi cui è correlata la cumulabilità dei rispettivi redditi; tuttavia la pronuncia della sentenza di cessazione degli effetti civili non comporta, ex se, necessariamente, l'effettiva cessazione di quella convivenza dei coniugi alla quale è correlata la cumulabilità, ai suddetti fini, dei redditi. (Nella specie, la Corte ha cosìritenuto corretto e congruamente motivato il provvedimento che aveva respinta l'istanza di ammissione al patrocinio, per superamento dei limiti di reddito, in una vicenda in cui l'istante, pur essendo divorziato, era risultato ancora convivente con la moglie, perché tale risultava all'anagrafe e perché nell'abitazione comune risultava detenuto agli arresti domiciliari)”: così Cass. sez. 4 n. 14442 dd. 13/01/2006 Cc. (dep. 26/04/2006) Rv. 234027;

• “in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il rapporto di convivenza familiare, essendo caratterizzato da continuativi rapporti di affetto, da costante comunanza di interessi, da comuni responsabilità e dunque da un legame stabile e duraturo, prescinde dalla coabitazione fisica, e non può ritenersi escluso dallo stato di detenzione, pur protratto nel tempo, di uno dei componenti del nucleo familiare, il quale, pertanto, anche in tale ipotesi, non può omettere di indicare nell'istanza di ammissione, il reddito dei familiari conviventi”: così Cass. sez. 4 ordinanza n. 17374 dd. 17/01/2006 Cc. (dep. 19/05/2006) Rv. 233957.

Insomma, le condizioni di reddito che non debbono essere superate agli effetti dell’ammissione al patrocinio (attualmente pari ad Euro 9.723,84, elevato di Euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi), debbono essere traguardate rispetto alla situazione effettiva dell’interessato; se quest’ultimo è detenuto, debbono essere traguardate rispetto alla sua situazione effettiva prima della carcerazione.

3.7 Collegata alla questione del controllo che il giudice debba fare sulla dichiarazione resa dall’interessato è la tematica delle esatte generalità indicate dall’istante. La Corte di Cassazione ha recentemente stabilito che “è legittimo il provvedimento con cui il giudice respinge la domanda di ammissione al patrocinio a spese

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dello Stato presentata dallo straniero di cui si abbia fondato motivo di ritenere che legeneralità indicate nell'autocertificazione non siano esatte, in quanto l'incertezza sull'identità dell'istante impedisce di eseguire le verifiche sulle sue condizioni per l'ammissione al beneficio ai sensi degli artt. 96 commi secondo e terzo e 98 comma secondo del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 1 5”: così Cass. sez. 4 n. 22912 dd. 24/03/2004 Cc. (dep. 14/05/2004 ) Rv. 228789.

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3.8 A sua volta connessa alla tematica della dichiarazione effettuata dal richiedente il beneficio, è la questione relativa al delitto di falsità od omissioni in dichiarazioni o comunicazioni previsto dall’art. 95 T.U. . E’ recentemente intervenuta una sentenza che chiarisce i profili della materialità del reato e del rapporto del medesimo con gli altri delitti comuni di falso: trattasi di Cass. sez. 5 n. 16338 dd. 13/04/2006 Ud. (dep. 12/05/2006) Rv. 234124, secondo la quale “il reato di cui all'art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002, che punisce le falsità o le omissioni nelle dichiarazioni e nelle comunicazioni per l'attestazione delle condizioni di reddito in vista dall'ammissione alpatrocinio a spese dello Stato, è integrato non già da qualsivoglia infedele attestazione ma dalle dichiarazioni con cui l'istante affermi, contrariamente al vero, di avere un reddito inferiore a quello fissato dalla legge come soglia di ammissibilità, ovvero neghi o nasconda mutamenti significativi del reddito dell'anno precedente, tali cioè da determinare il superamento di detta soglia. (La Corte ha altresì precisato che la norma di cui all'art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002 è speciale rispetto alla norma di cui all'art. 483 cod. pen., sicché i due reati non sono in rapporto di concorso formale)”. Si pongono nello stesso ordine d’idee due successive pronunce del Giudice di legittimità, la prima delle quali (Cass. sez. 5 n. 21194 dd. 11/05/2006 Ud. (dep. 20/06/2006) Rv. 234207 afferma che “in tema di patrocinio a spese dello Stato, ai fini dell'integrazione della violazione di cui all'art. 95 del D.P.R. n. 115 del 2002 non assume rilievo qualunque imperfetta d chiarazione resa in sede di istanza di ammissione al benefic o, ma so o quella in cuil'interessato attesti, contrariamente al vero, di possedere un reddito inferiore a quello minimo stabilito per l'accesso al patrocinio (nella fattispecie la Corte ha precisato che l'omessa indicazione di beni immobili o mobili registrati non costituisce violazione allorché il reddito dichiarato sia corrispondente al vero)”, e la seconda delle quali (Cass. sez. 5 n. 15139 dd. 22/01/2007 Ud. (dep. 16/04/2007) Rv. 236143 afferma che “non integra condotta di reato la dichiarazione non veritiera resa dall'imputato circa le condizioni reddituali richieste per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, allorché la situazione effettiva di reddito, che l'atto falso abbia tentato di occultare,sia comunque compatibile con la fruizione del beneficio”.

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Non consta essere intervenuta, invece, alcuna decisione con riferimento all’analoga fattispecie delittuosa prevista dall’art. 125 T.U., la quale, inserita nel Titolo quarto, recante disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario, riguarda soltanto le falsità delle istanze di ammissione al patrocinio in queste tipologie di processi; laddove l’art. 95, inserito nel Titolo secondo, recante disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato nel processo

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penale, riguarda evidentemente le falsità delle istanze di ammissione al patrocinio nel processo penale. Sussistono palesi asimmetrie nella struttura delle due disposizioni – sulle quali in questa sede non è possibile soffermarsi -, sicché sarebbe auspicabile un intervento giurisprudenziale chiarificatore, che ad oggi non c’è. Comunque i principi desumibili dalla suesposta massima relativa all’art. 95 T.U. paiono trasferibili anche alla fattispecie di cui all’art. 125 citato.

3.9 Altra questione su cui ha interloquito la Corte di Cassazione – la cui decisione è peraltro spesso ignorata nella prassi giudiziaria – riguarda i poteri di autentica del difensore in sede d’istanza per l’ammissione al patrocinio. Ha affermato il Supremo Collegio che “in tema di ammissione al gratuito patrocinio, il difensore non è legittimato ad autenticare l'autocertificazione dell'interessato in ordine alla sussistenza delle prescritte condizioni di reddito, nemmeno nell'ipotesi in cui la dichiarazione sostitutiva sia incorporata nell'istanza di ammissione al patrocinio. Ne consegue che l'autenticazione di quest'ultima da parte del difensore non può essere considerata equipollente alla specifica procedura per l'autocertificazione prevista dall'art. 5, comma 1, lett. b) della legge n. 217 del 1990 (novellato dall'art. 79, comma 1, lett. c, della legge n. 115 del 2002) che deve essere effettuata mediante sottoscrizione da parte dell'interessato e contestuale presentazione di copia di un documento di identità del sottoscrittore”: così Cass. Sez. 4 n. 34914 dd. 11/06/2003 Ud. (dep. 22/08/2003) Rv. 226396.

3.10 Numerose decisioni di legittimità hanno integrato e precisato il panorama normativo sulle impugnazioni in materia di patrocinio a spese dello Stato, attualmente regolate dall’art. 84 in combinato disposto con l’art. 170 (opposizione al decreto di pagamento), dall’art. 99 (ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione), dall’art. 113 (ricorso avverso il decreto di revoca del patrocinio). Va puntualizzato che in genere il provvedimento emesso dal giudice che procede è ricorribile al capo dell’Ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che lo ha emesso, e la decisione del capo dell’Ufficio è a sua volta soggetta a ricorso per cassazione. Vi fa eccezione il decreto di revoca del patrocinio per motivi non formali, il cui solo rimedio normativamente indicato dall’art. 113 T.U. è il ricorso per cassazione: è vero che la già citata sentenza delle Sezioni Unite n. 36168 del 14/07/2004 Cc. (dep. 10/09/2004), Rv. 228667 aveva affermato (come s’è visto) che il provvedimento di revoca è impugnabile con gli stessi rimedi stabiliti dall’art. 99 per l’istanza di ammissione al patrocinio, poiché il T.U., avendo natura compilativa, non aveva abrogato i diritti e le garanzie previste dalla previgente disciplina (e cioè ricorso al presidente dell'ufficio giudiziario di appartenenza del giudice che ha disposto la revoca, e successivo ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che definisce il predetto ricorso); ma la subentrata L. 168/2005 ha stabilito invece in tale caso – con scelta che dovrebbe essere ritenuta consapevole – la regola del solo ricorso per cassazione, e ciò in palese asimmetria rispetto alle impugnazioni degli altri provvedimenti in materia.

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Ciò premesso, la Suprema Corte ha chiarito che:

• il ricorso in opposizione avverso un decreto di liquidazione della Corte d’Assise va deciso dal Presidente del Tribunale, poiché quell’Organo giudiziario, dopo l'entrata in vigore del D.P.R. n. 449 del 1988, costituisce solo una articolazione interna e permanente del Tribunale, ovvero della Corte di appello: così Cass. sez. 4 n. 20790 dd. 02/03/2006 Cc. (dep. 16/06/2006) Rv. 234588;

• nel procedimento in opposizione al provvedimento di liquidazione del compenso al difensore dell’ammesso al patrocinio a spese dello Stato, l’imputato assistito non deve essere considerato interessato nel procedimento, diversamente da quanto avviene per le prestazioni giudiziali in materia civile, alle quali fa riferimento la L. 794/1942: contraddittore è invece l'Amministrazione dello Stato, i cui interessi sono però tutelati, in questo giudizio incidentale, dal P.M.: così Cass. sez. 4 n. 18714 dd. 22/02/2006 Cc. (dep. 26/05/2006) Rv. 234586 – la cui motivazione, peraltro, chiarisce che è diverso il caso del difensore d’ufficio, in cui l’assistito ha invece un interesse ad intervenire, stante la necessità per il difensore di dimostrare d’avere esperito le procedure esecutive –;

• peraltro - contraddittoriamente rispetto alla decisione testé riportata - anche l'imputato ammesso al gratuito patrocinio è legittimato a presentare opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di liquidazione dei compensi al difensore: così Cass. sez. 4 n. 46287 dd. 27/10/2005 Cc. (dep. 20/12/2005) Rv. 233444;

• nel solco di precedenti decisioni, l'omessa notifica all'Amministrazione finanziaria del ricorso proposto avverso il decreto di liquidazione del compenso al difensore, non è causa d’inammissibilità dello stesso, poiché la partecipazione dell'Amministrazione finanziaria è prevista solo nelle fasi dell'ammissione al patrocinio e della revoca o modifica del provvedimento ammissivo, e non anche in quella della concreta liquidazione del compenso: così Cass. sez. 4 n. 29562 dd. 03/05/2005 Cc. (dep. 04/08/2005) Rv. 232014, nonché Cass. sez. 4 n. 31369 del 17/05/2005 Cc. (dep. 19/08/2005) Rv. 231743;

• con affermazione ripetuta, il giudice può rilevare d’ufficio in sede di opposizione – la quale non è soggetta al principio devolutivo, sicché ad essa non si applica il divieto di reformatio in pejus – l’eventuale difetto, in capo al difensore, dei requisiti di legge: così Cass. sez. 1 n. 38280 dd. 16/09/2004 Cc. (dep. 28/09/2004) Rv. 229741 e Cass. sez. 4 n. 35236 dd. 09/06/2005 Cc. (dep. 30/09/2005 ) Rv. 232579.

3.11 La Cassazione s’è recentemente occupata pure del tema della revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, stabilendo che:

• la revoca ha efficacia ex tunc, e cioè dalla data del decreto ammissivo, dal momento che la soddisfazione dell'interesse pubblico cui la normativa sul patrocinio a spese dello Stato è ispirata implica la regolarità dell'intero procedimento, condizionata non

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soltanto dalla iniziale sussistenza, ma anche dalla permanenza delle condizioni di legge in tutte le sue fasi: così Cass. sez. 4, ordinanza n. 9297 dd. 15/11/2005 Cc. (dep. 17/03/2006) Rv. 233908;

• sulla richiesta di revoca avanzata dal competente ufficio finanziario il magistrato decide senza formalità nell'ambito del procedimento penale con le forme del decreto, essendo invece assicurato il contraddittorio nella successiva eventuale fase del ricorso-reclamo al capo dell’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha adottato il procedimento ovvero del ricorso per Cassazione: così Cass. sez. 4 n. 127 dd. 09/11/2005 Cc. (dep. 05/01/2006) Rv. 232790 – decisione che riguarda una vicenda antecedente l’entrata in vigore della più volte citata L. 168/2005, che ha indicato nel solo ricorso per Cassazione l’impugnazione esperibile avverso la revoca dell’ammissione al patrocinio disposta per motivi non meramente formali –;

• peraltro, in contraddizione con la decisione appena riportata, è apparsa non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 112, comma primo, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nella parte in cui stabilisce, in assenza di delega legislativa, che il magistrato provveda alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato con decreto emesso de plano, anziché con la procedura di cui all'art. 29 Legge 13 giugno 1942 n. 794: Cass. sez. 4 ordinanza n. 44826 dd. 03/11/2004 Cc. (dep. 18/11/2004) Rv. 230388 – questione che risulta tuttora pendente –.

4. Le questioni in diritto ancora controverse

Scopo del presente capitolo è quello di dar conto delle problematiche tuttora aperte, sulle quali la giurisprudenza non è giunta a soluzioni incontrovertibili od almeno ampiamente prevalenti.

4.1 La prima questione che è necessario menzionare è quella del significato della nullità assoluta prevista dall’art. 96 T.U., e ciò non solo perché la tematica è obiettivamente importante dal punto di vista ermeneutico, ma anche perché è la questione che detiene il primato quantitativo in ordine al numero di decisioni della Corte di Cassazione che vi si sono soffermate, pervenendo a soluzioni variegate e composite: non meno di 24 decisioni, accorpabili in 12 tendenti verso un’opzione interpretativa ed in altrettante tendenti verso l’opzione opposta.

L’orientamento più rigoroso risulta ben riassunto dalla perentoria massima appresso ritrascritta: “nel caso in cui il giudice abbia omesso di provvedere nel termine impostogli dalla legge sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art.96, comma primo, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115), la sanzione di nullità assoluta, ai sensi

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dell'articolo 179, comma secondo, cod. proc. pen., invalida tutti gli atti del procedimento principale compiuti successivamente all'inutile scadenza del termine e anteriormente alprovvedimento effettivamente reso sull'istanza di ammissione e notificato all'istante. (Nella specie, la Corte ha rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso il provvedimento con il quale il Gip, sul rilievo della mancata tempestiva pronuncia sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato avanzata dall'imputato, aveva dichiarato la nullità della richies a di rinvio a giudizio e revocato il decreto di fissazione dell'udienza preliminare, restituendo gli atti al pubblico ministero per la rinnovazione della richiesta)” (così Cass. sez. 4 n. 20791 dd. 06/04/2006 Cc. (dep. 16/06/2006) Rv. 234592).

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La sentenza appena citata s’inserisce nel solco tracciato da almeno altre undici decisioni (di cui appresso vengono trascritti, per non appesantire troppo questo paragrafo, solo i numeri di massima, in ordine decrescente: Rv. 234443, Rv. 232400, Rv. 232069, Rv. 231600, Rv. 229916, Rv. 229091, Rv. 228785, Rv. 227769, Rv. 227299, Rv. 226455 e Rv. 224892).

Sussiste però un altro orientamento meno rigoristico, sostenuto con alcuni distinguo fra una tesi estrema – per cui la nullità investe soltanto il provvedimento che decide sull'istanza in violazione dei detti termini, e non anche gli atti compiuti dopo la scadenza del termine e prima che l'istanza abbia trovato accoglimento – ed una tesi sostanzialistica – per cui la nullità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine si verifica solo se in concreto vi è stato pregiudizio per la difesa –.

A tale secondo orientamento appartengono da ultimo le due seguenti decisioni:

• “in tema di patrocinio a spese dello Stato, la nullità prevista dall'art. 96 D.P.R. n. 115 del 2002 - per il caso in cui il giudice ometta di decidere, nel termine previsto dalla legge, sull'istanza di ammissione proposta dall'imputato - non opera qualora tale omissione sia priva di concreti effetti pregiudizievoli per la difesa” (così Cass. sez. 6 n. 24346 dd. 10/05/2006 Ud. (dep. 13/07/2006) Rv. 234725, nel cui caso concreto il difensore aveva prestato regolarmente la propria opera nel giudizio);

• “in tema di patrocinio a spese dello Stato, per far valere la nullità assoluta che sanziona il mancato rispetto del termine per la decisione sull'istanza di ammissione, è necessario che si sia verificata in concreto un'effettiva violazione del diritto di difesa, che abbia compromesso, o anche reso più disagevole, l'esercizio del diritto. (La Corte ha precisato che sono pertanto invalidi solo gli atti compiuti successivamente all'inutile scadenza del termine, che abbiano comportato un coinvolgimento diretto della difesa con conseguente lesione dei diritti dell'imputato)” (così Cass. sez. 2 n. 1528 dd. 22/11/2005 Ud. (dep. 16/01/2006) Rv. 232987). In motivazione, la Suprema Corte ricorda che tale norma è stata favorevolmente scrutinata dalla Corte Costituzionale, la quale (con sentenza n. 304 del 2003) ha affermato che la stessa è finalizzata alla garanzia dell’effettività del diritto di difesa, sicché non può reputarsi irragionevole una norma che presidia, con la nullità assoluta, un’attività procedurale scandita da termini di garanzia di quel diritto; su tali

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premesse, “per far valere la prevista nullità, deve essersi in concreto verificata una effettiva violazione del diritto di difesa che abbia compromesso, o anche semplicemente reso più disagevole l'esercizio effettivo del diritto di difesa, compromettendo la possibilità per il soggetto interessato di scegliere tra le varie opzioni difensive offertegli dall'ordinamento. Nella specie, non solo il ricorrente non ha allegato alcuna effettiva e specifica violazione del diritto di difesa, essendo stata evocata esclusivamente la violazione della norma nella sua astrattezza, ma addirittura risulta dagli atti che al momento della presentazione dell'istanza (peraltro depositata in udienza direttamente dal suo difensore di fiducia), … era assistito da un difensore di fiducia, … che ha partecipato al giudizio, intervenendo e concludendo per il proprio assistito. Né sarebbe corretto ritenere che la difesa non sia stata adeguata, sol perché la prestazione professionale era priva di garanzie sul piano retributivo: è principio giurisprudenziale consolidato che anche una difesa tecnica inadeguata non vizia in alcun modo l'esito del processo”.

Le due sentenze testé rammentate a loro volta s’inscrivono nel solco tracciato da almeno altre dieci decisioni (di cui appresso vengono anche qui trascritti, per non appesantire troppo questo paragrafo, i soli numeri di massima, in ordine decrescente: Rv. 232401 – sopra citata ad altro fine nel paragrafo 3.2. –, Rv. 231568, Rv. 231447, Rv. 230605, Rv. 230406, Rv. 229720, Rv. 227682, Rv. 226979, Rv. 226968 e Rv. 226563).

Esorbiterebbe sicuramente dai limiti della presente relazione la pretesa di analizzare in dettaglio tutte queste decisioni, commentandone i variegati enunciati: basterà osservare che nell’orientamento più rigoroso compare spesso l’affermazione per cui la nullità non è evitata dalla mera presenza del difensore alle attività compiute, perché non sono preventivabili le attività difensive (richieste di prove, nomine di consulenti, affido di indagini ad investigatori privati) che sarebbero state svolte se il difensore fosse stato affrancato dal timore di non poter recuperare le spese; e che nell’altro orientamento si precisa pressoché sempre che la nullità non c’è se non è stata compiuta medio tempore alcuna attività che richiedesse la presenza del difensore, ovvero se il difensore ha assistito agli atti senza nulla eccepire in merito alla mancata tempestiva decisione sull’istanza di ammissione. Insomma, non rimane che attendere, in termini auspicabilmente brevi, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

4.2 Altra questione dibattuta e non ancora risolta concerne l’esatta portata dei reati ostativi all’ammissione al patrocinio.

L’art. 91 T.U. esclude, come noto, l’ammissione al patrocinio per l’indagato, imputato o condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto: tutti gli altri reati, invece, la consentono. La giurisprudenza ha opportunamente precisato che l’esclusione è riferita ai soli reati oggetto del procedimento per il quale è chiesta l'ammissione al

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patrocinio, e non a quelli in ordine ai quali il richiedente sia stato condannato in passato: così Cass. sez. 1 n. 31177 dd. 11/06/2004 Cc. (dep. 15/07/2004) Rv. 229309.

Ciò premesso, quid juris con riferimento a procedimenti penali comprendenti sia reati ostativi sia reati non ostativi, connessi a quelli ostativi?

La giurisprudenza è pervenuta a due soluzioni contrastanti:

• in base ad un primo orientamento, “l'esclusione dal patrocinio a spese dello Stato per chi debba rispondere di reati che attentano alle sue finanze opera anche con riferimento a quei reati non ostativi alla ammissione al beneficio, per i quali si proceda congiuntamente a reati ostativi, non essendo prevista la separazione del procedimento per motivi attinenti al patrocinio a spese dello Stato. (Fattispecie concernente concorso in contrabbando di t.l.e. ed evasione i.v.a.)”: così Cass. sez. 4 n. 26976 dd. 30/03/2004 Cc. (dep. 16/06/2004) Rv. 229659; conforme Cass. sez. 3 n. 724 dd. 15/02/2000 Cc. (dep. 14/04/2000) Rv. 216340;

• in base ad un secondo orientamento, invece, “è illegittima la revoca dell'ammissione al gratuito patrocinio disposta in relazione a reato diverso da quelli commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a nulla rilevando che esso sia oggetto dello stesso procedimento relativo a reati rientranti in quest'ultima categoria. (Fattispecie concernente concorso in contrabbando di t.l.e. ed evasione i.v.a.)”: così Cass. sez. 1 n. 2023 dd. 17/03/2000 Cc. (dep. 10/05/2000) Rv. 215924.

Anche qui lo scrivente non pretende di fornire risposte appaganti: si limita a segnalare il dato oggettivo per cui il primo orientamento, a differenza del secondo, è stato ribadito di recente, e ad auspicare un intervento esaustivo delle Sezioni Unite.

4.3 Un ulteriore profilo su cui la Corte di Cassazione non è pervenuta ad una soluzione unitaria riguarda l’iscrizione del difensore all’albo speciale di cui all’art. 81 T.U. .

Va premesso che pare ormai risolta la questione di diritto transitorio circa la piena validità dell’ammissione al patrocinio deliberata prima dell’entrata in vigore della L. 29.3.2001 n. 134 - normativa che, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 20.4.2001 ed entrata in vigore in data 5.5.2001, ha introdotto l’art. 17 bis della L. 217/1990 (norma poi trasfusa negli artt. 80 e 81 T.U.) ed ha così previsto per la prima volta l’istituzione di un apposito elenco dei difensori per il patrocinio a spese dello Stato -.

Va ancora premesso che appare destinato ad esaurire, con il decorso del tempo, la sua importanza pratica il contrasto giurisprudenziale, che perdura, sull’ulteriore questione di diritto transitorio se la citata L. 134/2001 abbia istituito un vero e proprio obbligo dell’iscrizione nel citato elenco speciale – con la conseguenza che per i provvedimenti ammissivi al patrocinio intervenuti dal momento dell’entrata in vigore di

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detta legge in poi, detta iscrizione diviene presupposto necessario per la liquidazione del compenso – ovvero alternativamente se l’obbligo dell’iscrizione sia stato introdotto solo dal T.U. – con la conseguenza che detta iscrizione diviene presupposto necessario per la liquidazione del compenso non già per i provvedimenti ammissivi al patrocinio intervenuti fin dal 5.5.2001, ma solo per quelli intervenuti a partire dal 1°.7.2002 – (il primo, più rigoroso orientamento è stato sostenuto, nell’ambito delle decisioni massimate, da Cass. sez. 4 n. 34290 dd. 13/07/2007 Cc. (dep. 10/09/2007) Rv. 237242, da Cass. sez. 4 n. 35236 dd. 09/06/2005 Cc. (dep. 30/09/2005) Rv. 232578 e da Cass. sez. 4 ordinanza n. 49856 dd. 17/09/2004 Cc. (dep. 29/12/2004) Rv. 230290; il secondo orientamento è stato sostenuto, sempre nell’ambito delle decisioni massimate, da Cass. sez. 4 n. 17367 dd. 27/10/2005 Cc. (dep. 19/05/2006) Rv. 233951 e da Cass. sez. 1 n. 40893 dd. 25/09/2003 Cc. (dep. 28/10/2003) Rv. 227040).

Maggiore rilevanza pratica ed attualità, invece, ha l’ulteriore problema se, dopo l’istituzione dell’elenco speciale, l’eventuale nomina di difensore non iscritto invalidi ab origine la domanda di ammissione al beneficio e/o la stessa nomina fiduciaria, ovvero se, più semplicemente, precluda al giudice di liquidare il compenso a quel difensore.

Infatti:

• un primo orientamento afferma che “in tema di patrocinio a spese dello Stato, l'iscrizione del difensore nell'albo speciale di cui all'art. 81 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) costituisce presupposto necessario per l'assunzione dell'incarico e per la conseguente liquidazione del compenso, anche se l'ammissione al patrocinio medesimo sia avvenuta prima dell'entrata in vigore del citato testo unico, purché dopo quella della legge 29 marzo 2001 n. 134, in quanto l'art. 17-bis di quest'ultima, pur essendosi limitato ad istituire il predetto albo speciale, ha comportato in modo implicito, ma inequivocabile, la necessità dell'iscrizione ad esso quale condizione per l'assunzione della difesa fiduciaria di chi è stato ammesso a tale patrocinio, comericonosciuto con sentenza n. 299 del 2002 della Corte costituzionale”: così Cass. sez. 1 n. 25105 dd. 11/05/2004 Cc. (dep. 03/06/2004) Rv. 228140; identica la massima di Cass. sez. 4 n. 35236 dd. 09/06/2005 Cc. (dep. 30/09/2005) Rv. 232578, già citata; ed analoghe sono pure talune massime sopra citate che hanno interloquito sul profilo di diritto transitorio;

• un secondo orientamento sostiene invece che “in tema di patrocinio dei non abbienti, non costituisce condizione necessaria per l'ammissione al beneficio la preliminare indicazione del difensore da nominare, né la sua iscrizione nell'albo del distretto diCorte di Appello in cui ha sede il giudice del procedimento”: così Cass. sez. 4 n. 138 dd. 14/11/2005 Cc. (dep. 05/01/2006) Rv. 232630; in motivazione, tale sentenza esplicita che ai fini dell’ammissione al patrocinio “non è prevista quale condizione necessaria della ammissione ne' che l'interessato indichi preliminarmente il difensore che intende nominare (il D.P.R. citato, art. 79, che precisa il contenuto dell'istanza, non fa cenno alcuno a tale requisito e dunque la scelta può essere rinviata ad un

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momento successivo, come peraltro risulta dal tenore del D.P.R. citato, art. 80, che fa espresso riferimento alla situazione di "chi è ammesso al patrocinio"); ne' che taledifensore sia iscritto nell'albo del distretto di corte di appello in cui ha sede il giudice del procedimento, dal momento che il D.P.R. citato, art. 82, comma 2, si limita a stabilire che in tale caso al difensore iscritto fuori distretto "non sono dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale". Peraltro la disciplina positiva è stata modificata proprio nel senso di eliminare ogni incertezza con la L. 24 febbraio 2005, n. 25, art. 80, comma 3, che prevede espressamente la facoltà di nominare un difensore anche al di fuori del distretto di cui ai commi precedenti”.

Ovviamente, la seconda sentenza dà atto pure dello jus superveniens, rappresentato dalla L. 25/2005, nella parte in cui oggi consente la nomina di un difensore iscritto ad albo di diverso distretto rispetto a quello dell’ufficio del giudice titolare del procedimento cui si riferisce la richiesta di ammissione al patrocinio (difensore la cui posizione si differenzia da quella dell’iscritto all’albo del distretto competente, per il fatto che l’art. 82 II c. T.U. vieta la liquidazione a suo favore delle spese e dell’indennità di trasferta). Peraltro, pur considerate le modifiche normative, sembra irrisolto il problema della sorte da riservare ad una richiesta di ammissione al patrocinio recante l’indicazione di un difensore non iscritto in alcun albo speciale: l’istanza è inammissibile e la nomina è tamquam non esset, ovvero – come parrebbe preferibile – l’istanza e la nomina sono ammissibili, e di conseguenza il difensore nominato è difensore fiduciario ad ogni effetto, salvo quello di non poter percepire il compenso a spese dello Stato?

4.4 La Corte di Cassazione non è pervenuta ad una soluzione unitaria del problema di quali siano le situazioni equiparate a quella dell’imputato irreperibile – per il quale l’art. 117 T.U. prevede, come noto, la liquidazione a carico dell’Erario degli onorari e delle spese spettanti al difensore d’ufficio –.

Sussiste contrasto in relazione alla questione se agli effetti del citato art. 117 il latitante sia equiparato all’irreperibile: due decisioni rispondono affermativamente (Cass. sez. 4 n. 48217 dd. 28/10/2004 Cc. (dep. 15/12/2004) Rv. 231093 e Cass. sez. 1 n. 10367 dd. 11/02/2004 Cc. (dep. 04/03/2004) Rv. 227647), mentre altre due rispondono negativamente (Cass. sez. 4 n. 115 dd. 28/10/2005 Cc. (dep. 05/01/2006) Rv. 232865 e Cass. sez. 1 n. 32289 del 03/07/2003 Ud. (dep. 31/07/2003) Rv. 226144).

Nell’ambito delle sentenze civili del Supremo Collegio, si registra sul tema un’isolata pronuncia - in cui il ricorso introduttivo è stato ritenuto ammissibile poiché il provvedimento impugnato, ancorché concernente onorari per la difesa d'ufficio in un processo penale, era stato emanato dal presidente di un Tribunale in sede di volontaria giurisdizione –, il cui dictum è nel senso che “ai fini della liquidazione del compenso al difensore d'ufficio, la posizione del difensore dell'imputato latitante va equiparata a

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quella del difensore dell'imputato irreperibile, per il quale l'art. 117 D P.R n 115 del 2002 non prevede il previo inutile esperimento delle procedure per il recupero dei crediti professionali come condizione per la liquidazione da parte dell'autorità giudiziaria” (così Cass. Civ. sez. 1 n. 13498 dd. 08/06/2007 Rv. 597950).

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Si registra in sede penale una quinta pronuncia (Cass. sez. 1 n. 32284 dd. 03/07/2003 Ud. (dep. 31/07/2003) Rv. 225117), la quale non tocca la posizione del latitante ed afferma invece il seguente principio: “in tema di liquidazione degli onorari e delle spese al difensore dell'imputato irreperibile, secondo quanto stabilito dall'art. 117 del T.U. sulle spese di giustizia approvato con D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (e, in precedenza, dall'ora abrogato art.32 bis disp. att. cod. proc. pen.), deve ritenersi che, attesa la totale equiparabilità, "quoad effectum", nel vigente sistema processuale, trairreperibilità formalmente dichiarata ai sensi dell'art. 159 cod. proc. pen. ed irreperibilità non dichiarata, ma presunta "ex lege", ai sensi dell'art. 161, comma 4, stesso codice, sarebbe illogico limitare solo al caso in cui si verifichi la prima di detteipotesi la sfera di operatività del citato art. 117 del T.U., dovendosi, al contrario, considerare come "irreperibile", ai fini dell'applicabilità di tale norma, tanto l'imputatoformalmente dichiarato tale quanto quello nei cui confronti sia stata ugualmente disposta la notifica degli atti mediante consegna al difensore, ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., con l'unica eccezione, tuttavia, nel caso che tale ultima disposizione abbia trovato applicazione per la riscontrata impossibilità di notifica degli atti al domicilio che era stato eletto presso lo stesso difensore d'ufficio che poi avanza la richiesta di liquidazione del compenso a carico dell'Erario; e ciò per l'evidente ragione che il difensore d'ufficio, non essendo in alcun modo tenuto ad assumere anche la veste di domiciliatario dell'imputato, qualora liberamente vi acconsenta, non può poi pretendere di far ricadere, "sic et simpliciter", a carico dello Stato le conseguenze economicamente negative derivanti da tale scelta, ma deve soggiacere all onere, previsto dall'art. 116, comma 1, del T.U. (e, in precedenza, dall'art. 32, comma 2, disp. att. cod.proc. pen.), di fornire dimostrazione del previo, infruttuoso esperimento delle procedure di recupero del credito”.

E’ evidente, peraltro, che tale decisione produca più problemi di quelli che vorrebbe risolvere: sia perché non è affatto chiaro il discorso sul consenso alla domiciliazione da parte del difensore, consenso non previsto preventivamente dal c.p.p. a fronte della facoltà dell’indagato od imputato di eleggere domicilio dove meglio creda – salvo il rifiuto del domiciliatario di ricevere l’atto, che però è un’evenienza successiva e diversa –; sia perché non si capisce se quell’ipotesi di irreperibilità presunta ex lege sia l’unica equiparata, agli effetti dell’art. 117 T.U., a quella formalmente dichiarata – e se fosse così ne rimarrebbero scoperte delle altre: ad esempio quella della sopravvenuta irreperibilità all’estero di soggetto destinatario dell’avviso ex art. 169 c.p.p. –.

Ancora: è recentemente intervenuta sul tema una sesta decisione che si pone in una prospettiva di chiara apertura alla tesi per cui la nozione d’irreperibilità ex art. 117 T.U. deve venire intesa in senso lato: si tratta di Cass. sez. 4 n. 28142 dd. 19/06/2007

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Cc. (dep. 16/07/2007) Rv. 236899, secondo cui “in tema di liquidazione dei compensi professionali al difensore d'ufficio di imputati irreperibili, poiché la disciplina di cui all'art. 117 D.P.R. n.115 del 2002 concerne tutti i casi in cui un soggetto appaia effettivamente irreperibile prescindendosi dalla necessità di una formale dichiarazione di tale stato, rientra in essa quella dello straniero che, nell'eleggere domicilio, abbia dichiarato di essere senza fissa dimora”.

4.5 Infine, il Supremo Collegio non sembra essere pervenuto ad una ultimativa conclusione in ordine alla competenza a decidere sulle contestazioni in materia di spese. Invero, ricorre frequentemente l’affermazione per cui le contestazioni che coinvolgono la stessa sussistenza o validità del titolo esecutivo dovrebbero essere attribuite al giudice penale in funzione di giudice dell’esecuzione, laddove tutte le altre contestazioni dovrebbero essere attribuite invece al giudice civile ex art. 226 T.U., ma le soluzioni adottate nei singoli casi paiono ispirate a principi non sempre perfettamente omogenei.

Infatti, in taluni casi in cui si discuteva della validità od efficacia d’intimazioni di pagamento dell’Ufficio recupero crediti, la Corte ha ritenuto che, pur dopo l'abrogazione dell'art. 695 c.p.p. ad opera dell’art. 299 T.U., la competenza spettava al giudice penale in funzione di giudice dell’esecuzione, e ciò per diretta applicazione dell’art. 670 c.p.p., poiché veniva contestata, mediante impugnazione dell'intimazione di pagamento, la stessa sussistenza del titolo esecutivo, e non già la causale o l'ammontare di singole voci di spesa: così Cass. sez. 1 n. 15934 dd. 30/03/2007 Cc. (dep. 19/04/2007) Rv. 236173, Cass. sez. 1 n. 12472 dd. 16/01/2007 Cc. (dep. 26/03/2007) Rv. 236359 e Cass. sez. 1 n. 30737 dd. 12/07/2007 Cc. (dep. 27/07/2007) Rv. 237356; principi sostanzialmente analoghi si leggono in Cass. sez. 1 n. 22025 dd. 30/03/2006 Cc. (dep. 23/06/2006) Rv. 234918 e Rv. 234919. Nello stesso ordine d’idee, in un caso in cui, mediante opposizione a precetto per spese processuali penali, veniva in discussione l’effettiva debenza di spese per intercettazioni telefoniche che l’interessato sosteneva riguardare altri soggetti, sicché ne chiedeva la espunzione, il Giudice di legittimità ha coerentemente affermato la competenza del giudice civile in sede di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.p.: così Cass. sez. 1 n. 19547 dd. 02/04/2004 Cc. (dep. 27/04/2004) Rv. 227983.

Ma in un altra vicenda in cui si discuteva proprio della validità ed efficacia del titolo esecutivo (asseritamente prescritto, secondo il ricorrente) la Corte ha invece negato la competenza del giudice penale in funzione di giudice dell’esecuzione, evidenziando l’avvenuta abrogazione dell’art. 695 c.p.p. ad opera dell’art. 299 T.U. e ritenendo che si trattasse di opposizione all'esecuzione ed agli atti esecutivi, la quale andava proposta nelle forme ordinarie davanti al giudice civile; così Cass. sez. 1 n. 16721 dd. 23/03/2007 Cc. (dep. 02/05/2007) Rv. 236436.

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5. Problemi in ordine alla liquidazione dei compensi: spunti di discussione

Terminata la rassegna giurisprudenziale sulle questioni di diritto più o meno controverse in giurisprudenza, può essere utile, agli effetti di una stimolante introduzione alla discussione, puntualizzare taluni problemi relativi al tema che la pratica giudiziaria quotidiana conosce come il più frequente ed il più foriero di dubbi e perplessità: quello della liquidazione dei compensi spettanti al difensore dell’ammesso al patrocinio od in situazione equiparata.

5.1 E’ opportuno rammentare innanzitutto che il D.L. 4.7.2006 n. 223 (c.d. “Decreto Bersani”) che ha escluso, come noto, l’obbligatorietà delle tariffe professionali fisse o minime, è stato convertito con Legge 4.8.2006 n. 248: quest’ultima reca, fra le altre, un’importante modifica agli effetti di cui trattasi: quella prevista dall’art. 2 secondo comma, secondo periodo, che così recita: “Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale”. Insomma, pare che nulla sia mutato rispetto alle previgenti norme.

5.2 Deve essere poi ricordato che i crediti professionali, anche nei confronti dello Stato, parrebbero soggetti al termine triennale di prescrizione ex art. 2957 II c. c.c. – termine decorrente o dalla rinuncia o revoca del mandato, o dalla cessazione comunque dell’incarico, od infine dal termine della fase o del grado cui detti crediti si riferiscono –. Questa, almeno, è la tesi che, in assenza di pronunce del Supremo Collegio, è stata proposta da taluni commentatori (penalisti) del T.U. .

Peraltro a tale tesi è stato convincentemente replicato (da commentatori civilisti) che la prescrizione breve in questione appartiene alla categoria delle prescrizioni presuntive di pagamento, la quale non ha nulla a che fare con la prescrizione estintiva del diritto, è vincibile da prova contraria e mal si adatta alle caratteristiche di un credito vantato verso lo Stato, essendo sempre ricostruibile documentalmente l’effettivo pagamento (od il mancato pagamento) di esso. Con la conseguenza che il giudice, adito dal professionista per il pagamento delle proprie competenze relative a prestazioni risalenti ad oltre tre anni prima, non potrebbe mai respingere la domanda con la motivazione che il credito è prescritto: a tacere, poi, dell’ulteriore problema civilistico per cui la prescrizione è rilevata sempre su eccezione di parte, laddove in questo caso il giudice-liquidatore non ha una posizione di vera e propria terzietà, poiché da un lato ha l’obbligo di provvedere in prima battuta sulla domanda senza sentire alcun contraddittore, dall’altro ha l’obbligo di evitare danni ingiustificati all’Erario, i quali sarebbero per lui fonte di responsabilità ex art. 172 T.U. .

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Se tale ordine d’idee fosse fondato – come parrebbe ora allo scrivente, re melius perpensa rispetto all’iniziale convincimento di piena applicazione dell’art. 2957 II c. c.c. –, il credito professionale del difensore dell’ammesso al patrocinio non potrebbe che essere soggetto all’ordinaria prescrizione decennale: fermo restando il fatto che anche in questo caso, tuttavia, il giudice-liquidatore dovrebbe rilevare il decorso del decennio d’ufficio, non avendo dinanzi a sé alcuna “parte” al di là del difensore istante, e ciò a scanso di possibili rilievi di responsabilità amministrativa per avere autorizzato il pagamento di un credito verso lo Stato ormai prescritto.

5.3 Va doverosamente sottolineato che il testo normativo dell’art. 82 I c. T.U. si segnala per l’assoluta infelicità dell’espressione adoperata a proposito dei criteri cui deve attenersi il giudice nell’operare la liquidazione: invero, la frase “tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa”, se certamente consente valutazioni differenziate in rapporto al peso ed alla difficoltà del singolo processo – il che appare giusto -, sembra peraltro legittimare valutazioni differenziate anche in rapporto all’attività difensiva concretamente esplicata, a prescindere dal fatto che essa fosse obiettivamente necessaria, ovvero soltanto utile, ovvero probabilmente superflua ovvero totalmente pretestuosa – il che non sembra affatto giusto –.

La Corte di Cassazione è finora intervenuta con le tre seguenti indicazioni.

La prima è quella per cui “il difensore dell'imputato ammesso al patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato ha sempre diritto ad una retribuzione, dovendo escludersi che il giudice possa negare la liquidazione del compenso ritenendo la non utilità del suo operato ai fini difensivi, dal momento che la sola presenza del difensore è considerata necessaria per lo stesso regolare svolgimento del processo. (In motivazione la Corte ha precisato che l'unico caso in cui l'apprezzamento dell'incidenza dell'attività difensivasvolta può portare all'esclusione della liquidazione di ogni compenso è quello previs o dall'art. 106 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che contempla l'ipotesi dell'impugnazione proposta che venga dichiarata inammissibile)”: così Cass. sez. 4 n. 22863 dd. 10/02/2004 Cc. (dep. 14/05/2004) Rv. 228781.

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La seconda indicazione è più recente, ed è quella per cui “in tema di gratuito patrocinio, i criteri cui l'autorità giudiziaria ha l'obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore a sens de 'art. 82 D.P R. n. 115 de2002 devono ritenersi esaustivi, sicché il giudice, se può prendere in considerazione il parametro della tariffa professionale, indicato nella norma, non può invece fare riferimento anche ai criteri integrativi ed adeguatori della tariffa medesima: ciò sia per l'espresso divieto del superamento dei valori medi di tariffa (contenuto nell'articolo citato), sia perché la norma già prende in considerazione la natura dell'impegno professionale (affermando il principio la Corte ha rigettato il ricorso del difensore che lamentava la mancata applicazione da parte del Tribunale della previsione di cui all'art. 1

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D.M. n. 585 del 1994 che consente di quadruplicare il compenso nell'ipotesi di causa che richiede un particolare impegno)” ”: così Cass. sez. 4 n. 15847 dd. 02/03/2007 Cc. (dep. 19/04/2007) Rv. 236720. In motivazione, il Supremo Collegio ha fatto leva sulla locuzione “in ogni caso”, che compare nel primo comma dell’art. 82 T.U., per puntualizzare che il suo significato non può che essere quello di inibire in qualsiasi caso la possibilità di superare i valori medi.

La terza indicazione è squisitamente pratica, ed è perentoria nella sua assolutezza: “non compete al difensore alcun compenso per la redazione e per il deposito della istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato”: così Cass. sez. 3 n. 7290 dd. 16/01/2007 Cc. (dep. 22/02/2007) Rv. 237042. In motivazione, la Corte afferma da un lato che gli effetti dell’ammissione al beneficio decorrono dalla data di presentazione dell’istanza ex art. 109 T.U., sicché non possono estendersi all’attività prodromica a detta presentazione, e dall’altro che tale istanza non è un atto difensivo, essendo riservata alla parte ex art. 78 T.U. .

Al di là di tali indicazioni, non si registrano prese di posizione del giudice di legittimità che forniscano all’interprete una guida sicura nell’interpretare la norma in commento.

In passato s’era registrato un notevole contenzioso a proposito della precedente tariffa professionale (quella approvata con D.M. 5.10.1994 n. 585), in particolare per ciò che concerneva il trattamento delle udienze di mero rinvio, delle udienze in cui il difensore s’era limitato ad una partecipazione passiva di ascolto e delle udienze in cui aveva invece svolto la propria opera: la tripartizione codificata nelle voci 6.1, 6.2 e 6.3 della tariffa vigente (D.M. 8.4.2004 n. 127) dovrebbe risolvere in radice il problema. S’era pure registrato un cospicuo contenzioso sul tema della ripetibilità della c.d. “tassa parere”, tematica ormai inattuale dopo l’abolizione del parere del Consiglio dell’Ordine.

5.4 E’ opportuno rammentare che recentemente la Corte di Cassazione s’è dovuta occupare della questione se le spese liquidabili al difensore d’ufficio, che abbia esperito inutilmente le procedure per il recupero del credito professionale, comprendano pure gli onorari e le spese liquidati dal giudice civile con il provvedimento conclusivo della procedura monitoria. La relativa sentenza merita d’essere segnalata perché, secondo la sua massima, “in tema di liquidazione dei compensi al difensore di ufficio, sono dovuti gli onorari e le spese liquidati dal giudice civile con i provvedimenti conclusivi della procedura promossa. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del giudice dell'opposizione che aveva liquidato in via equitativa l'onorario per il procedimento monitorio instaurato nei confronti dell'assistito e non nella misura liquidata nel decreto ingiuntivo)”; mentre dalla motivazione per esteso si comprende che la Corte avrebbe probabilmente negato l’an debeatur, il quale però nel caso concreto non le era stato devoluto (cfr. Cass. sez. 4 n. 18731 dd. 23/03/2006 Cc. (dep. 26/05/2006) Rv. 234589).

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Peraltro con due recenti decisioni conformi il Collegio di legittimità s’è ora attestato sul principio per cui le spese del procedimento monitorio nonché le spese di quello esecutivo inutilmente intrapresi dal difensore per il recupero del proprio credito professionale debbano essere rimborsate, posto che tali attività non rispondono ad una libera iniziativa del difensore, ma all’esigenza di ottemperare al disposto dell’art. 116 T.U. onde ottenere la liquidazione dei propri onorari: in tal senso cfr. Cass. sez. 4 n. 36921 dd. 07/06/2007 Cc. (dep. 08/10/2007) Rv. 237236 e Cass. sez. 4 n. 26460 dd. 16/05/2007 Cc. (dep. 09/07/2007) Rv. 236942

5.5 A soluzioni non uniformi è pervenuta la Corte a proposito della liquidazione a carico dello Stato delle spese sostenute dal difensore della persona ammessa al patrocinio per l'attività prestata in sede di opposizione al decreto di pagamento del compenso e delle spese sostenute in sede di opposizione al decreto di rigetto della domanda di ammissione al beneficio.

Per quanto concerne la prima tipologia di spese, la soluzione è negativa nelle due decisioni che se ne sono occupate, e cioè in Cass. sez. 4 n. 11978 dd. 12/01/2006 Cc. (dep. 05/04/2006) Rv. 233917 ed in Cass. sez. 4 n. 22649 dd. 19/05/2005 Cc. (dep. 16/06/2005) Rv. 231794, entrambe nel presupposto che quel procedimento di opposizione è preordinato alla tutela di un diritto estraneo a quelli propri della persona interessata.

Per quanto concerne, invece, la seconda tipologia di spese, la soluzione è positiva nell’unica, e recente, decisione che ha affrontato la questione, e cioè Cass. sez. 4 n. 29990 dd. 27/06/2007 Cc. (dep. 24/07/2007) Rv. 237000, la quale osserva che il T.U. da un lato non fa decorrere gli effetti dell'ammissione al patrocinio dalla data del relativo provvedimento, bensì da quella in cui è stata presentata la domanda; e dall’altro espressamente estende gli effetti dell'ammissione a tutte le procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse al procedimento penale, tra le quali deve essere annoverata quella originata dal rigetto della domanda di ammissione.

5.6 In tema di liquidazioni si prospetta nella pratica con una certa frequenza il tema del diritto al compenso da parte del sostituto del difensore nominato dal giudice ex art. 97 IV c. c.p.p. . Infatti, è pacifico che il sostituto nominato dal difensore dell’istante ammesso al patrocinio ex art. 102 c.p.p. non abbia una legittimazione autonoma a conseguire il compenso per la propria prestazione, che dovrà essere accorpato a quello del difensore titolare, unico soggetto legittimato a chiedere la liquidazione: la sentenza delle Sezioni Unite n. 30433 del 30/06/2004 Cc. (dep. 13/07/2004) Rv. 228233, sopra citata al paragrafo 2., lo ha stabilito a chiare lettere. E’ doveroso domandarsi, allora, se la stessa regola valga per il sostituto del difensore nominato dal giudice ex art. 97 IV c. c.p.p., problema che non consta sia stato ancora

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specificatamente affrontato dalla sede di legittimità. Scartata subito la soluzione per cui a siffatto difensore non competerebbe nulla – soluzione sicuramente sospetta d’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 36 della Carta fondamentale –, rimangono sul campo due tesi: quella della legittimazione autonoma di tale sostituto a rivolgersi al giudice che lo ha nominato, e quella del difetto di sua legittimazione, per essere abilitato il solo originario titolare dell’ufficio di difesa. Allo scrivente parrebbe più corretta questa seconda ipotesi, che da un lato appare in sintonia con il principio, ormai immanente nell’ordinamento penale, della tendenziale immutabilità del difensore (salvi i soli casi di abbandono o rifiuto della difesa ex art. 105 c.p.p. e di non accettazione, rinuncia o revoca del mandato difensivo ex art. 107 c.p.p.), e dall’altro appare rispettosa del rinvio, operato dall’art. 97 IV c. c.p.p., all’art. 102 quale norma di carattere generale circa i poteri ed i doveri del sostituto. A conclusioni analoghe, del resto, è pervenuta anche la Corte Costituzionale, la quale con ordinanza n. 8 del 2005 aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità dell’art. 117 T.U. – prospettata per il fatto che tale norma non prevede la possibilità, per il sostituto del difensore nominato dal giudice, di chiedere la liquidazione del compenso per l’attività svolta in luogo del difensore sostituito –, osservando a contrario che il giudice remittente aveva omesso di considerare che l’art. 97 IV c. c.p.p. prevede espressamente che al difensore designato in sostituzione si applichino le norme dell’art. 102 c.p.p. .

Infine, è appena il caso di puntualizzare che è del tutto identica la problematica – e dunque identica dovrebbe esserne la soluzione – per tutti i casi di sostituzione ex art. 97 IV c. c.p.p. del difensore d’ufficio che abbia diritto ad esigere il compenso dallo Stato, o perché difensore di persona minorenne o perché difensore di persona irreperibile od ancora perché difensore di persona rivelatasi incapiente.

5.7 Ancora a proposito della liquidazione al difensore d’ufficio, può essere utile rammentare una norma spesso negletta da giudici e difensori: quella dell’art. 1 ultimo comma della vigente Tariffa penale, la quale prevede che per i compensi spettanti al difensore d’ufficio dell’imputato minorenne il giudice può, in via eccezionale ed in relazione all’effettiva attività difensiva svolta, ridurre l’ammontare minimo degli onorari fino ad un terzo della misura prevista.

Ed a proposito del difensore d’ufficio dell’imputato minorenne, è opportuno dar conto di una recente decisione del Supremo Collegio, secondo la quale “nel processo minorile la liquidazione in surrogazione dei compensi del difensore d'ufficio dell'imputato diventato maggiorenne nel corso del procedimento, presuppone l'inutile esperimento delle procedure per il recupero dei crediti professionali: infatti, l'esonero da tale adempimento, previsto dall'art. 118 D.P.R. n. 115 del 2002, trova la sua giustificazione nella esigenza di offrire maggior protezione sotto il profilo economico all'imputato minorenne, esigenza che viene meno con il raggiungimento della maggiore età” (Cass. sez. 4 n. 29967 dd. 20/06/2007 Cc. (dep. 24/07/2007) Rv. 236999): l’applicazione generalizzata di questa massima potrebbe far drasticamente ridurre il

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numero delle liquidazioni per siffatta tipologia di compensi, dato che, per la notoria eccessiva durata dei processi, è frequentissimo il caso in cui l’imputato di un reato commesso da minorenne sia processato dopo il raggiungimento della maggiore età; anzi, questa è la regola per la fase del giudizio d’appello.

5.8 Nel caso in cui si tratti di parte civile ammessa al patrocinio, non è sempre d’immediata percezione la necessità di un raccordo fra la norma dell’art. 110 III c. T.U. – nella parte in cui prevede che il giudice disponga il pagamento in favore dello Stato dell’importo liquidato a titolo di spese di difesa della parte civile ammessa al patrocinio, in danno dell’imputato non ammesso al patrocinio –, e quella dell’art. 82 T.U. – nella parte in cui prevede che il giudice emetta decreto di pagamento degli onorari e delle spese del difensore della persona ammessa al patrocinio -. E’ evidente, infatti, che il giudice dovrà liquidare un importo identico sia in sede di sentenza ex art. 110 III c., che in sede di successivo decreto, ex art. 82, e ciò vuoi per evitare danni all’Erario, nel caso in cui l’importo liquidato con il decreto ex art. 82 sia superiore a quello posto a carico della controparte ex art. 110 III c., vuoi per evitare nell’ipotesi inversa danni all’imputato, i quali potrebbero forse esporre il giudice a responsabilità o quantomeno potrebbero costituire un autonomo motivo d’impugnazione della sentenza.

Una crescente rilevanza pratica è destinata ad avere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di associazioni ambientaliste, nell’ambito degli enti che non perseguono fini di lucro e non esercitano attività economiche ex art. 119 T.U.: tali associazioni frequentemente si costituiscono parte civile in caso di reati ambientali, e val la pena di rammentare che una recente decisione della Suprema Corte ha sancito il diritto di tali associazioni a tale beneficio sia allorché agiscono jure proprio sia allorché agiscono nomine alieno in sostituzione del Comune e della Provincia, ai sensi dell’art. 9 III c. D. Lv. 267/2000: così Cass. sez. 2 n. 20681 dd. 28/03/2007 Ud. (dep. 25/05/2007) Rv. 236777.

5.9 Come ultimativo spunto per la discussione, non sarà certo superfluo enfatizzare come il giudice sia tenuto ad un controllo particolarmente attento sulle note spese che liquida a carico dell’Erario, individuando ed espungendo senz’altro tutte le voci non liquidabili (tre esempi, fra i tantissimi che si potrebbero fare, stante la frequenza statistica di siffatte richieste: quello delle attività cronologicamente anteriori rispetto al deposito dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; quello relativo alla partecipazione ad udienze che erano state rinviate per avere il difensore aderito all’astensione dall’attività d’udienza deliberata da organismi forensi; quello relativo all’onorario per la discussione in casi in cui discussione non v’è stata, come accade per le decisioni su istanze concordi delle parti ex art. 444 c.p.p. ovvero ex art. 599 IV c. c.p.p.).

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6. Questioni sulle altre tipologie di spese processuali

Come s’è visto, gli interventi della Corte di Cassazione si sono rivolti in numero assolutamente preponderante alle norme in materia di patrocinio a spese dello Stato ed alle situazioni ad esso equiparate. A mo’ d’appendice alla presente relazione, lo scrivente esporrà ora le poche questioni insorte in sede di legittimità in relazione alle altre tipologie di spese processuali.

6.1 Un primo ordine di problemi riguarda i criteri di liquidazione delle spese di custodia di beni sequestrati.

La Corte di Cassazione ha stabilito che “qualora il sequestro del veicolo sia avvenuto prima dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 115 del 2002 - Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - e, di conseguenza, non ne sia stata disposta la vendita ai sensi degli artt. 151 e seguenti, il giudice, nel procedere alla liquidazione del compenso al custode giudiziario, deve provvedere secondo equità (Nella specie la Corte ha affermato che, nella nuova disciplina, l'onere per lo Stato di provvedere al compenso del custode, dopo la comunicazione all'avente diritto del provvedimento di restituzione del bene, rappresenta la contropartita del potere dell'autorità di disporre la vendita del bene stesso se la comunicazione sia rimasta infruttuosa e che, qualora nella fase transitoria la vendita non sia stata disposta, l'applicazione della disciplina sulle spese di giustizia non può comunque risolversi in una perdita per l'Erario)”: così Cass. sez. 3 n. 13509 dd. 16/02/2005 Cc. (dep. 13/04/2005) Rv. 231385. In motivazione, la Corte ha cura di precisare che “l'opera del custode deve essere valutata nel concreto, con riguardo alle concrete modalità esecutive che l'hanno caratterizzata. La liquidazione del compenso deve avvenire secondo criteri equitativi laddove gli usi locali facciano riferimento ad una attività di custodia qualitativamente più impegnativa di quella svolta dal custode giudiziario nel caso concreto. In ogni modo nella liquidazione, laddove e per la parte in cui essa sia a carico dell'erario, non potrà trascurarsi l aspetto pubblicistico del rapporto”; ed inoltre che “l'applicazione della nuova disciplina sulle spese di giustizia, in una fase di diritto intertemporale o transitorio quale è quella che caratterizza la presente procedura, non può risolversi in una perdita secca per l'erario. Spetta al giudice di merito evitare che ciò accada procedendo ad una equa ripartizione della stessa nel caso in cui se ne accerti la inevitabilità nonché ad una determinazione del compenso secondo criteri di equità”.

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Tale decisione, ovviamente, non poteva tenere conto delle disposizioni normative introdotte successivamente rispetto a quelle dedotte in quel giudizio di Cassazione e relative al compenso per la custodia di veicoli: s’allude all’art. 1, commi da 318 a 320 della

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L. 30.12.2004 n. 311 (“Legge Finanziaria 2005”), ed al recente D.M. 2.9.2006 n. 265, sull’indennità di custodia di beni sequestrati in applicazione dell’art. 59 T.U. .

6.2 Una seconda questione attinge la portata esatta del termine di decadenza di cento giorni stabilito dall’art. 71 T.U. per la presentazione della domanda di liquidazione. Con due omologhe pronunce, la Cassazione ha ritenuto che tale termine, applicabile agli altri ausiliari del giudice e cioè ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, non sia invece applicabile al custode, la cui domanda è regolata dal successivo art. 72, il quale non prevede alcuna decadenza al riguardo; per il custode, pertanto, trova applicazione il principio generale della prescrizione decennale, ove il diritto al compenso sia correlato ad una prestazione non periodica, ovvero della prescrizione quinquennale, ex art. 2948 n. 4, cod. civ., ove nel provvedimento di conferimento dell'incarico sia stabilita una periodicità nella corresponsione: in tal senso cfr. Cass. sez. 4 n. 113 dd. 28/10/2005 Cc. (dep. 05/01/2006) Rv. 232788 e Cass. sez. 4 n. 6715 dd. 10/12/2004 Cc. (dep. 22/02/2005) Rv. 231294.

6.3 Ulteriore questione di cui s’è fatto carico il giudice di legittimità riguarda l’onere del pagamento delle spese di custodia successive al passaggio in giudicato della sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta: secondo la Cassazione, l’onere del pagamento dei compensi relativi alla prestazione effettuata dal custode dopo il passaggio in giudicato va posto a carico del condannato e non dell’Erario, a nulla rilevando, in proposito, la violazione da parte del giudice del dovere di disporre la restituzione dei beni al più tardi quando la stessa sentenza diviene inoppugnabile: così Cass. sez. 1 ordinanza n. 5101 dd. 27/01/2005 Cc. (dep. 10/02/2005) Rv. 231495.

E’ appena il caso di precisare, infine, che la Suprema Corte non poteva tener conto anche qui dello jus superveniens, rappresentato dalle modifiche dell’art. 150 T.U. operate con il D.L. 30.6.2005 n. 115 convertito con modificazioni nella L. 17.8.2005 n. 168.

Peraltro la decisione si colloca nel solco di quelle, concernenti l’abrogato art. 84 disp. att. c.p.p., secondo cui non possono gravare sull’Erario le spese di custodia relative al periodo successivo al trentesimo giorno dalla comunicazione all’interessato del provvedimento di restituzione, poiché da tale momento viene meno il carattere pubblicistico della funzione di custode e si instaura un rapporto meramente civilistico tra quest'ultimo e l'avente diritto alla restituzione della cosa, il quale contrae un'obbligazione diretta nei confronti del primo: così aveva stabilito Cass. S.U. n. 25161 dd. 24/04/2002 Cc. (dep. 02/07/2002) Rv. 221662.

E’ utile rammentare che la Supremo Corte, in quella sede, aveva affermato pure il principio per cui “il diritto del custode giudiziario di cose sequestrate nell'ambito di un

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procedimento penale al compenso per l'attività svolta, che non deriva da un rapporto di diritto privato ma da un incar co d natura pubblicistica, è correlato a una prestazione non periodica, ma continuativa, e matura di giorno in giorno, sicché è soggetto a prescrizione decennale, decorrente da ogni singolo giorno, a meno che nel provvedimento di conferimento dell'incarico sia stabilita una periodicità nella corresponsione del compenso, dovendosi in tal caso ritenere configurabile una prestazione periodica, con conseguente applicazione del termine quinquennale di prescrizione stabilito dall'art. 2948 n. 4 cod. civ. per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” (Rv. 221659). Principio, come s’è visto, confermato dalla giurisprudenza successiva delle Sezioni semplici.

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6.4 Va da ultimo dato atto che si pone nel solco, già ampiamente tracciato, della sostanziale equiparazione fra la sentenza ex art. 444 c.p.p. e la sentenza di condanna anche per ciò che concerne il profilo delle spese di custodia il principio, recentemente ribadito, per cui “in materia di spese processuali, sussiste il diritto dell'Erario alla ripetibilità delle spese per la custodia dei beni sequestrati anche nei confronti dell'imputato che abbia patteggiato la pena, in quanto tali spese non rientrano tra quelle per le quali è sancito il divieto di condanna dall'art. 445, comma primo cod. proc. pen.”: così Cass. sez. 1 n. 19687 dd. 26/04/2007 Cc. (dep. 21/05/2007) Rv. 236439; nello stesso senso cfr. Cass. sez. 1 ord. n. 5101 dd. 27/01/2005 Cc. (dep. 10/02/2005) Rv. 231494 e Cass. sez. 4 n. 47100 dd. 06/10/2004 Cc. (dep. 03/12/2004) Rv. 231187.

Antonio De Nicolo