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Lorenzo de Vita 23 Ottobre 2015 Stampa Text size La Grande Eresia, ovvero la caricatura del cattolicesimo Pubblichiamo oggi per le nostre edizioni un secondo testo di Marcel de Corte (dopo il recente L’intelligenza in pericolo di morte), che il grande filosofo belga scrisse intorno al 1970, mentre la cattolicità affrontava la tempesta delle riforme, iniziate da Papa Roncalli e colte da Paolo VI — la più grande delle quali fu certamente la promulgazione del Novus ordo Missæ, di cui de Corte constatò a viva voce, attraverso le pagine di questo libro, l’assoluta gravità: «Come si osa proclamare che non si tratta di una “nuova Messa”, che “nulla è cambiato”, che “tutto è come prima”, quando non resta nulla o quasi nulla della Messa durante la quale tanti santi si sono sentiti sopraffatti dall’amore, mentre gli “esperti”, chiamati a lavorare a quest’impresa di demolizione per motivi d’utilità pubblica, hanno detto e ridetto che si trattava di una vera “rivoluzione” liturgica, mentre la semplice coscienza dei semplici fedeli è sconvolta da codesto sconvolgimento, e una vecchia signora, uscendo di chiesa, la prima La Grande Eresia, ovvero la caricatura del cattolicesimo http://www.effedieffe.com/index.php?view=article&catid=2... 1 von 10 25.10.15 12:10

La Grande Eresia, Ovvero La Caricatura Del Cattolicesimo

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articolo sul secolo XX

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Lorenzo de Vita 23 Ottobre 2015

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La Grande Eresia, ovvero la caricatura del cattolicesimo

Pubblichiamo oggi per le nostre edizioni un secondotesto di Marcel de Corte (dopo il recenteL’intelligenza in pericolo di morte), che il grandefilosofo belga scrisse intorno al 1970, mentre la cattolicità affrontava latempesta delle riforme, iniziate da Papa Roncalli e colte da Paolo VI —la più grande delle quali fu certamente la promulgazione del Novus ordoMissæ, di cui de Corte constatò a viva voce, attraverso le pagine diquesto libro, l’assoluta gravità:

«Come si osa proclamare che non si tratta di una “nuova Messa”, che“nulla è cambiato”, che “tutto è come prima”, quando non resta nulla oquasi nulla della Messa durante la quale tanti santi si sono sentitisopraffatti dall’amore, mentre gli “esperti”, chiamati a lavorare aquest’impresa di demolizione per motivi d’utilità pubblica, hanno dettoe ridetto che si trattava di una vera “rivoluzione” liturgica, mentre lasemplice coscienza dei semplici fedeli è sconvolta da codestosconvolgimento, e una vecchia signora, uscendo di chiesa, la prima

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La grande eresia

domenica dell’Avvento, dopo essere stata calandrata al «nuovo rito»(l’aggettivo è di Paolo VI, che gioca con la contraddizione), sbottava:“Una Messa, questa? Non ci si raccapezza più!”. Ed era tanto vero cheil celebrante, fosse distrazione o precipitazione non so, aveva omesso laConsacrazione del vino! Che cosa importa mai, in una Messa dove lanozione del Sacrificio è assente per definizione?».

In questo importante testo, dal titolosignificativo: La grande eresia, de Cortedenuncia una verità drammatica: “la Chiesad’oggi è talmente imbevuta e marcia direlativismo, da insegnare ciò che era proscrittocome eretico, con estremo rigore, da san Pio Xnel 1907”.

De Corte mette bene in evidenza come vi siastata una linea ininterrotta di sovversioneall’interno della Chiesa, che dopo San Pio X condusse con violenza aGiovanni XXIII, ed oggi a Bergoglio. Dalla prima fase del modernismo(già più o meno occultamente serpeggiante a fine ’800) siamo oggipassati all’ultra progressismo di Francesco I. È la rovina della fedecattolica (ormai prossima), organizzata febbrilmente nell’arco di 100anni, mai il cui tentativo era stato cercato fin dai primissimi giorni dellaChiesa. Non a caso, i più grandi nemici che San Paolo dovettefronteggiare furono i giudaizzanti, insieme ad un’aberrante, primigeniaforma di gnosticismo, di cui si sa poco, ma che nell’Asia minore siabbandonava a strane speculazioni filosofiche, al culto esagerato degliangeli, ad un ascetismo malinteso, proponendo questioni futili edannose con l’unico intento di menomare la grandezza di Gesù Cristo, edi allontanare da Lui i fedeli.

Come scrive don Curzio Nitoglia, nella sua nuova, magistraleintroduzione a questo libro:

«Il progressismo, neo-modernismo o nouvelle théologie, condannati da

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Pio XII nell’Enciclica Humani generis (12 agosto 1950) è laconclusione nichilistica [il]-logica del modernismo classico idealistico.Dunque nel neomodernismo vi è una maggiore degenerazione eaberrazione a-teologica e anti-filosofica rispetto al modernismoclassico. (…) Ora, con papa Bergoglio ci troviamo nella terza fase delmodernismo, prevista anch’essa da S. Pio X, che possiamo definireultra-modernismo, in cui il primato della praxis (proprio della “teologiadella liberazione” di stampo marxista) arriva a distruggere la capacitàraziocinativa dell’uomo e del fedele, tramutandoli in animali selvaggi(v. Claude Lévi-Strauss) e sentimentali, provvisti solo di pura sensibilitànaturale e di sentimentalismo religioso e privi di sana ragione e diadesione intellettuale e libera, mossa dalla grazia soprannaturale, alleformule dogmatiche immutabili (…)».

Una discesa verso l’abisso che comporta la rovina della fede e dellaChiesa stessa, discesa in cui Ratzinger – a suo modo e nonostantel’abbaglio preso da molti suoi sostenitori – ha giocato un ruolodecisivo: il suo pontificato ha difatti funzionato da classico“zuccherino” necessario per far inghiottire la pillola avvelenata unavolta per tutte, tattica che può essere descritta come “gioco” del nemico,nell’ottica leniniana dei “due passi avanti e uno indietro”.

«L’idealismo applicato al dogma – scrive don Nitoglia nella suaintroduzione al libro – ecco il cuore del modernismo. Il nichilismo chedistrugge la religione e Dio ecco il neomodernismo, il quale può avere(a seconda delle circostanze storiche in cui si trova ad agire) una marciainiziale lenta (Giovanni XXIII), poi una più accelerata (PaoloVI/Giovanni Paolo II), quindi una apparentemente ridotta (BenedettoXVI, che ha dichiarato nel febbraio del 2014 di concordare pienamentecon le idee di papa Bergoglio) ed infine una acceleratissima, che nontiene alcun conto delle “norme” di “sicurezza stradale”, ma corre con un“motus in fine velocior” verso lo schianto finale dopo cui solol’Onnipotenza divina, alla quale siamo chiamati a cooperare, potràporre un rimedio».

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Il piano dei sovvertitori era già stato “visto” ed anticipatoprofeticamente da Papa Sarto, che nel 1907, con il Decreto Lamentabili,ne denunciò le trame e ne stilò il programma in maniera chiarissima. DeCorte “assume” la denuncia tuonante di San Pio X come tesi di fondodel suo testo (vera pietra di scandalo) per precisare quale fu il vero agiredi Papa Montini, di cui tratteggia un profilo inquietante, per noi moltoutile perché ben si applica anche all’attuale Pontefice:

«Come tutte le menti siffatte, egli è inconsapevolmente crudele. Mentrel’uomo contemplativo è dolce, l’uomo d’azione, che, come Paolo VI,pone lo scopo dell’azione in una prospettiva onirica, è senza pietà per ipoveri uomini fatti di anima, di carne ed ossa, che egli non riesce avedere, o che, se visti, sono per lui degli ostacoli. Il lato inflessibile delcarattere di Paolo VI, inconciliabile a prima vista con la sua incapacitàdi governare la Chiesa, trova qui la sua spiegazione».

Se de Corte fosse ancora vivo constaterebbe come le sue parole abbianoperfettamente anticipato di 40 anni la figura dell’attuale pontefice.Secondo il filosofo belga difatti “l’uomo d’azione è quasi sempreinumano, ma quando l’uomo d’azione si muove in un’atmosferamillenarista e in una sorta di trionfalismo spirituale, allora c’è tutto datemere”.

E noi temiamo per il peggio.

Dopo 40 anni dallo scritto di de Corte e più di 100 dal DecretoLamentabili, possiamo con ancor maggior precisione (e con ancoramaggior inquietudine) cogliere la grandiosa bontà della denuncia di SanPio X. Con una lucidità quasi angelica e con geniale buon senso ilgrande pontefice aveva già previsto in dettaglio la moltitudine delleaberrazioni, eresie, esorbitanze e stravaganze che si sarebbero infiltratenella Chiesa in odio alla tradizione cattolica.

La sua diagnosi sulla malattia modernista vale a più forte ragione perl’odierno ultra-progressismo di Francesco I, che non mira più soltanto a

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riconciliare la Chiesa col mondo dato in preda all’eresia, ma a farcadere interamente la Chiesa in tale mondo e a consolidaredefinitivamente la vittoria di questa ultra-eresia, un’eresia che sembraessere l’ultima, perché è la negazione radicale di tutto l’ordinesoprannaturale, e che condurrebbe fino alla negazione di Dio stesso.

Nitoglia scrive nella sua introduzione:

«Altra caratteristica inquietante del modernismo, messa a fuoco da papaSarto sin dalla sua prima Enciclica E supremi Apostolatus cathedra del4 ottobre 1903, è il culto dell’Uomo, “che è il segno distintivo del regnodell’Anticristo” (ivi). De Corte riprende tale tema e scrive che negliuomini di Chiesa imbevuti di modernismo “oramai il nome dell’Uomosubentra a quello di Dio, il culto dell’umanità di Gesù Cristo a quellodella sua divinità” (p. 41). (…) De Corte, profondo conoscitoresoprattutto di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino, nota anche ledeviazioni del modernismo sociale o politico e l’influsso benefico dellacooperazione in subordinazione gerarchica dei fini(temporale/spirituale) tra Società civile e Società ecclesiastica».

Come spiega Delassus ne Il problema dell’ora presente,

«È l’ultimo termine della ribellione cominciata nel sec. XVI, e che erastata indicata nell’Apocalisse in maniera simbolica: “Io vidi la stellacaduta dal cielo (della Chiesa) sopra la terra; ed a lui fu data la chiavedel pozzo dell’abisso. Ed aprì il pozzo dell’abisso e salì il fumo delpozzo come il fumo di gran fornace; e il sole e l’aria si oscurarono pelfumo del pozzo” (Apoc. cap. IX)».

Ora, per nostra utilità, e per ribadire quanto precisa e profetica fu la“previsione” di Pio X, voglio qui riportare dal libro di de Corte unriassunto del Decreto Lamentabili:

«Non vi è nulla, assolutamente nulla, nel cattolicesimo, che tale furorenon investa. Riforma della filosofia, soprattutto nei Seminari: si releghi

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la filosofia scolastica nella storia della filosofia, fra i sistemi tramontati,e si insegni ai giovani la filosofia moderna, la sola che convenga aitempi nostri. Riforma della teologia: la teologia detta razionale abbiaper fondamento la filosofia moderna; la teologia positiva abbia perfondamento la storia dei dogmi. Quanto alla Storia, non venga piùscritta né insegnata se non secondo i metodi e princìpi moderni. I dogmie la nozione della loro evoluzione siano armonizzati con la scienza econ la storia. Nei catechismi non si inseriscano più, in fatto di dogmi, senon quelli che saranno stati riformati e che saranno alla portata delvolgo. Quanto al culto, si riduca il numero delle devozioni esteriori, oalmeno se ne arresti l’aumento... Il governo ecclesiastico vengariformato in tutti i suoi rami, massime la disciplina e la dogmatica. Ilsuo spirito, i suoi procedimenti esteriori, vengano messi in armoniacon la coscienza, che volge alla democrazia, sia quindi lasciata unaparte, nel governo stesso, al clero inferiore ed anche ai laici,l’autorità venga decentrata. Riforma delle Congregazioni romane,anzitutto quelle del Santo Uffizio e dell’Indice. Il potere ecclesiasticomuti la sua linea di condotta sul terreno politico e sociale, tenendosifuori delle organizzazioni politiche e sociali, vi si adatti tuttavia perimbeverle del proprio spirito. Nella morale, i moderni proclamanoche le virtù attive devono avere il passo sulle passive — lecontemplative — nella stima che se ne fa come nella pratica. Alclero chiedono di ritornare all’umiltà e alla povertà antiche e, quantoalle sue idee e alla sua azione, di regolarle sui loro princìpi. Vi èinfine chi, facendo eco ai maestri protestanti, desidera lasoppressione del celibato ecclesiastico».

Se è evidente che alcuni punti anticipati da Papa Sarto “toccarono” ingestione a Paolo VI (riforma delle Congregazioni romane Santo Uffizioe Indice, il potere ecclesiastico muti la sua linea di condotta sul terrenopolitico e sociale, tenendosi fuori delle organizzazioni politiche esociali, vi si adatti tuttavia per imbeverle del proprio spirito) quelli cheho voluto evidenziare in grassetto riguardano evidentemente l’attualepontificato, quasi si trattasse del programma che Bergoglio staeseguendo alla lettera, punto per punto. E probabilmente è così.

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Da notare che il programma sovversivo stilato da Papa Sarto nel 1907 èorganizzato addirittura in sequenza cronologia. L’ultimo punto, il“celibato ecclesiastico”, non è così lontano dall’essere colto. È difatti aquello, in ultima istanza, a cui i riformatori stanno puntando; ne parlanogià da più di due anni con incontri vescovili, dove le Curie organizzanomeeting con ex preti, che hanno abbandonato la tonaca. “Hanno tantoda insegnarci” mi ha confidato recentemente un sacerdote di questediocesi avanguardiste.

Il recente outing del monsignore finocchio ha giustappunto anticipatoquesto “traguardo”: in un sol colpo di spazzola ha dichiarato nella suapersona di “consacrato” che: 1) l’omosessualità vissuta non èincompatibile con il sacerdozio; 2) il soggetto in questione (sacerdote,monaco, consacrato) non è chiamato ad una via di santità attraverso lapratica della castità; 3) il consacrato, se lo desidera, può sposarsi, anzi,come avviene per i laici, la via del matrimonio renderà legalmenteaccettabile la “relazione amorosa”.

Il caso di Charamsa sarà pacchiano ed eclatante quanto vogliamo (ilsoggetto che anticipa i tempi credendo fortemente nell’errore chespaccia per conquista appare sempre deficiente e sentimentalistico), ma,come giustamente scrive Dal Bosco, “è senza dubbio il cannibale chestavamo aspettando per entrare nella fase ‘radicale’”.

Papa Sarto collocò la violazione del celibato ecclesiastico, non a caso,come ultimo punto, come ultima “frontiera” sovversiva dismantellamento della Chiesa e dunque dello stesso katéchon.

De Corte parte dall’assunto che quando una religione, il cui ufficio è dielevare l’anima verso Dio, cade nell’apologia del sesso, “si può dire cheè colpita al cuore. Essa chiama su coloro che l’avviliscono il fuocodella Provvidenza offesa”.

Richiamiamo nuovamente le parole dell’autore citate all’inizio di queste

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righe:

“la Chiesa d’oggi è talmente imbevuta e marcia di relativismo, dainsegnare nel 1969 (ancor più nel 2015) ciò che era proscritto comeeretico, con estremo rigore, da san Pio X nel 1907 (…) Il vero nome diquesto è quindi l’eresia essenziale, perfetta, completa, la negazione ditutte le affermazioni della fede e delle loro conseguenze, giunta ad unpunto di universalità tale che nulla rimane della religione cattolica chenoi abbiamo conosciuta e di cui san Pio X è l’araldo».

La lotta terribile che la Chiesa militante dovrà sostenere, sarà il preludiodella grande vittoria che ridurrà per sempre i suoi nemici impotenti, e larenderà trionfante nel cielo. Allora si realizzerà pienamente questaparola: «Vinci in bono malum. Dio sa vincere il male col bene».

Il testo di de Corte che oggi rilanciamo viene in nostro aiuto, soprattuttodi chi, oggi, cerca di resistere con fiducia ed abnegazione tra mille fluttidi tempesta; Nitoglia stesso lo definisce “uno dei libri più interessantiche siano mai stati scritti sul modernismo”. Pertanto, entra di diritto afar parte nella nostra collana di “Classici Cattolici” (l’ottavo di questaserie), attraverso la quale stiamo recuperando tutti i libri appositamentedimenticati dall’odierna (ciarlatana) cultura “cattolica”.

Non mi dilungo oltre; il libro di Marcel De Corte è oggi a disposizionedel lettore, e vanta una grandiosa introduzione di don Nitoglia,adattissima per compendiare le drammatiche vicende che stiamovivendo.

Ringrazio come sempre i lettori: senza di voi, che acquistate cosìgenerosamente i nostri testi, non avremmo mai potuto realizzare quelloche fino ad oggi abbiamo fatto.

Lorenzo de Vita

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(La grande eresia, 130 pp. con bandelle)

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