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1951 - 1997 La straordinaria esperienza di Franco Cirillo Un cammino in solitudine lungo 46 anni

La Mia Scuola Di Franco Cirillo

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1951 - 1997

La straordinaria La straordinaria

esperienza di Franco

Cirillo

Un cammino in

solitudine lungo 46

anni

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Marialuisa Bigiaretti

• “Bisogna preparare gli

insegnanti, non

scaraventarli in classe

appena finiti gli studi. E poi

vanno pagati meglio per

permettere loro permettere loro

l’autoaggiornamento e per

esercitare con più dignità

questo mestiere altamente

difficile”.

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1951

• Nel luglio del 1951 conseguii il diploma di abilitazione magistrale e di colpo fui lasciato solo nel burrascoso mare magnum dell’insegnamento.

• In quello stesso anno fui inserito nella graduatoria per incarichi e supplenze e, ahimé!, fui chiamato a supplire nella classe di un anziano maestro, noto per la sua severità.

• Sulla scrivania trovai un piccolo asse di legno, la • Sulla scrivania trovai un piccolo asse di legno, la bacchetta. Serviva al maestro a “richiamare” l’attenzione degli alunni distratti e/o riottosi.

• In quel tempo spesso erano gli stessi genitori a portare al maestro quello strumento, perché raddrizzasse la condotta e la schiena dei loro figli.

• Altri tempi!

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Libri e quaderni di un tempo passato

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Sussidi didattici

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La mia prima supplenza

• Maledissi il momento in cui avevo deciso di fare il maestro.• Non sapevo da dove cominciare.• Alle magistrali nessuno dei miei insegnanti mi aveva messo in

condizione di affrontare una classe di alunni scatenati.• Gli alunni con i supplenti assumono comportamenti

irriguardosi e liberatori, per loro. Finalmente trovano il modo di fare tutto quello che con il maestro titolare non si possono permettere.

• La classe si ribella. Qualcuno tra i rivoltosi ti viene a consigliare di usare quello strumento che si trova sulla scrivania.

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I banchi per l’ascolto e per tenere in ordine la

classe

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Cosa avevo imparato in quegli anni che avrebbero dovuto formarmi come maestro di scuola elementare

al cosiddetto Istituto Magistrale?

• Praticamente nulla.• Ricordo alcune presenze in classi elementari dove

insegnanti di ruolo ci facevano assistere a qualche momento delle cosiddette lezioni frontali.

• Due in particolare: una maestra che con un’arancia cercava di far capire ai suoi alunni i movimenti della terra, infilzandola con uno di quei ferri buoni per fare maglie; maglie;

• un maestro che parlando del fegato lo definiva il “cenciaiuolo” del nostro corpo. Una bella metafora che probabilmente diceva molto poco ai suoi alunni, che sicuramente non conoscevano il senso di quella parola.

• Era un significante a cui non corrispondeva un significato certo.

• Questi sono termini della linguistica che a scuola non ci avevano insegnato e che io scoprii contattando formatori (che mi dovetti pagare) per fare meglio il mestiere dell’educare.

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Il tirocinio all’istituto Magistrale

• Le mie esperienze nelle classi erano precedute da brevi, arrangiate lezioni di didattica del nostro accompagnatore, che, da quanto ricordo, non che, da quanto ricordo, non venivano mai supportate dal docente di pedagogia. Questi si limitava a fare solo storia della filosofia secondo l’odiato manuale del professore E. Paolo Lamanna.

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Nessuno mi insegnò il mestiere dell’educare

• In quegli anni vigevano ancora i programmi del 1945. I programmi della democrazia (1945).

• Preparati da una commissione nominata nel luglio ’44, si contraddistinguono per il loro carattere innovativo ed esprimono la grande ed esprimono la grande tensione morale e culturale che li anima fin dalle prime parole che indicano quale compito primario della scuola quello di contribuire alla <<rinascita della vita nazionale>>. I programmi prevedono un insegnamento di tipo concreto che mette i bambini in grado di apprendere operativamente.

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1952

• Riesco ad avere un incarico di scuola carceraria alla Casa di Rieducazione di Nisida.

• Di mattino insegnavo ad una insegnavo ad una classe di bambini dell’obbligo; di pomeriggio avevo un corso di scuola popolare, così si chiamavano allora, per i ragazzi più grandi, che erano usciti dall’obbligo per età.

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I ragazzi di Nisida

• Secondo i programmi vigenti avrei dovuto realizzare un insegnamento di tipo concreto in modo da mettere in grado i bambini di apprendere operativamente.

• A Nisida avevo alla porta l’agente di custodia per la difesa della mia di custodia per la difesa della mia incolumità. I ragazzi provenivano da vite violente; avevano subito sopraffazioni indescrivibili.

• Erano abituati a vedere nell’altro un nemico da tenere a bada.

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Che potevo fare per loro?

• Realizzai l’unica scuola che potevo proporre, considerata la mia formazione.

• Imposi la scuola che ricordavo. Quella della mia infanzia:

• Dettati• Lettura ad alta voce di uno, mentre gli altri dovevano

portare il “segno” e continuare a chiamata;• Operazioni di aritmetica sulla carta;• Tabelline a memoria;• Lezioni su argomenti lontani anni luce dal loro vissuto.• Lezioni su argomenti lontani anni luce dal loro vissuto.• Insomma una scuola che li annoiava profondamente,

per la quale non mostravano nessun interesse e che non portava alle loro disgraziate vite nessuna gratificazione.

• Di tanto in tanto rifiutavano quelle costrizioni, reagivano scompostamente e scoppiavano anche litigi tra loro.

• L’intervento dell’agente di custodia, che minacciava punizioni, anche corporali, li riportava all’ordine.

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Quella scuola sbagliata

• Era una scuola che mi lasciava l’amaro in bocca. Sentivo che non era la risposta giusta alle loro esigenze conoscitive e formative.

• Ma non sapevo come aggiustare il tiro, cosa offrire di meglio in quella circostanza.circostanza.

• Per quella scuola sbagliata mi davano 17.000 lire al mese per la popolare del pomeriggio e 2.000 lire per ogni alunno promosso, alla fine dell’anno scolastico, per la scuola carceraria che si svolgeva nelle ore della mattinata.

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Dal 1952 al 1954

• Per due anni ogni mattina partivo da Bagnoli con un camion dell’ Istituto, coperto da un tendone e attrezzato con panche, alla volta di Nisida. A mezzogiorno andavo a pranzo alla mezzogiorno andavo a pranzo alla mensa dell’Accademia Aeronautica, con cui c’era una convenzione della direzione della Casa di Rieducazione. Alla fine del corso popolare, lo stesso camion ci portava a Bagnoli, presso la stazione della Cumana. E ritornavo a casa stanco e insoddisfatto.

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Il servizio militare di leva

• Nel novembre del 1954 lasciai quella scuola che mi aveva messo profondamente in crisi e vissi per diciotto mesi tra caserma ed esercitazioni caserma ed esercitazioni militari. Nel 1956, l’anno delle grandi nevicate anche sulle città del Sud, tornai di nuovo a Nisida, per pochi mesi, fino alla fine di quell’anno scolastico.

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La mia esperienza nell’AIMC

• L’associazione dei Maestri Cattolici era, e ancora lo è, un’importante organizzazione professionale.

• Negli anni Cinquanta uomini politici raccoglievano consenso tra gli iscritti di questo ente. L’on. Maria Badaloni, della democrazia cristiana, era la presidente nazionale. Agli ambienti AIMC di Napoli era collegata l’on. Vittoria Titomanlio, nazionale. Agli ambienti AIMC di Napoli era collegata l’on. Vittoria Titomanlio, anch’essa della DC.

• Questo ente, come tanti altri del resto, avevano assegnati un certo numero di corsi di scuola popolare serale dai provveditorati, sui quali venivano nominati iscritti indicati dalle rispettive associazioni.

• Per due anni ebbi la nomina nei corsi popolari serali assegnati all’AIMC provinciale di Napoli.

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Partecipazione ad iniziative AIMC

• Ebbi modo in quegli anni di partecipare a convegni e potei entrare in contatto con esperti di problemi della scuola, che allora si ispirava alle indicazioni dei programmi del 1955.

• Quei programmi tra l’altro • Quei programmi tra l’altro affermavano: “L’insegnamento religioso sia considerato come fondamento e coronamento di tutta l’opera educativa”.

• Un punto del programma questo, che non riuscii mai ad accettare.

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1958/59 Viene bandito un concorso

magistrale• La mia preparazione al concorso dette inizio ad un processo

di chiarificazioni che influenzarono profondamente il mio modo di pensare la scuola.

• Scoprii l’attivismo pedagogico di John Dewey; studiai un suo testo “Scuola e società”; seguii il commento ai programmi del 1955 di uno studioso, che, lo scoprii in seguito, durante il fascismo aveva scritto “La didattica del razzismo” ovvero come insegnare ai bambini che la nostra era una razza eletta, superiore;

• Imparai ad amare G. Verga, H. C. Andersen, M. Twain; • Nella storia della pedagogia, che a scuola non avevamo mai

studiato, scoprii che il fine dell’educazione è nella persona, studiato, scoprii che il fine dell’educazione è nella persona, nella sua realizzazione, nello sviluppo e nella valorizzazione dei suoi talenti naturali.

• Non avevo mai capito, all’Istituto magistrale, che per secoli gli uomini avevano posto all’esterno il fine dell’educazione: un modello di uomo preconfezionato da raggiungere.

• Imparai che allora l’educazione era come un “letto di Procuste” e che poi, pensatori geniali rivoluzionarono il vecchio concetto di fine dell’educazione, operando quella che fu definita “una rivoluzione copernicana” nella storia della formazione dell’uomo.

• Un pensiero commosso e grato lo devo rivolgere, a questo punto, all’isp. Carmine Russo, che mi fece capire quanto una scuola inadeguata non mi aveva mai offerto nella mia formazione magistrale.

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1959

• Vinsi il concorso magistrale e mi fu assegnata una sede dove mi sembrò di continuare l’esperienza che avevo fatto alla Casa di Rieducazione di Nisida.

• Mi affidarono due classi, una prima e una seconda, di circa quaranta alunni, nel Collegio “S. Giuseppe Artigiano” di Arco Felice a Pozzuoli.

• La Casa era diretta dalle suore Corsaro. I bambini provenivano da Napoli e dalla provincia e anche provenivano da Napoli e dalla provincia e anche loro erano vittime di esperienze dolorosissime: genitori detenuti, povertà, degradazione umana, erano le cause che li avevano portati al Collegio.

• Di uno degli alunni non si sapeva niente. Aveva quattro anni quando fu trovato solo e piangente in un cinema di Napoli. Agenti della polizia lo affidarono, per disposizione prefettizia, alla direttrice del collegio.

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Il primo anno al collegio

• Il primo anno fu durissimo. Riuscii ad ottenere solo la separazione delle classi e lavorai in ognuna per due ore e mezza, per complessive cinque ore giornaliere. Improvvisamente, per un prolasso Improvvisamente, per un prolasso di una corda vocale, rimasi senza voce. Il medico mi allontanò dalla scuola e mi costrinse a stare senza parlare per un mese. Alla ripresa delle attività ebbi assicurazioni dalla dirigente che l’anno successivo avrei avuto solo la classe seconda.

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Attività per una libera espressione

1960/61

• Avevo finalmente una classe sola, una seconda, di una trentina di alunni. Avevo riflettuto a lungo su cosa fare con i miei alunni. Non potevo seguire gli schemi già adottati, che si rifacevano alla scuola della mia memoria. Dovevo offrire loro il modo di vivere la scuola come un luogo di gratificazione e di formazione. Mi andavo convincendo che il punto di partenza Mi andavo convincendo che il punto di partenza dell’ apprendimento doveva essere il loro vissuto, nel quale la scuola doveva portare ordine e consapevolezza. E allora ebbi due idee perché essi potessero raccontare le loro storie personali e potessero esprimere con il colore certi loro sentimenti:

1. un quaderno libero, che chiamammo “lo specchio”, in cui si poteva scrivere quando si voleva: ricordi, sogni, pensieri, storie inventate, fatti osservati, discorsi ascoltati;

2. La pratica della pittura: mi procurai per loro tutto il materiale occorrente perché potessero pittare dei “quadri”.

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Il quaderno libero“L’aria brillava di silenzio”

• Molti furono presi dal piacere di raccontare. Alla fine di ogni settimana mi portavo i quaderni a casa e li leggevo soltanto. Non mi passò mai per la testa l’idea di correggere gli errori. Però mi appuntavo quelli più frequenti per organizzare interventi specifici diretti a correggerli.

• Sul quaderno ad ognuno scrivevo dei miei pensieri, una “lettera”, come risposta a certi loro pensieri, una “lettera”, come risposta a certi loro problemi, quando lo ritenevo necessario.

• E così imparai a conoscerli: le loro case, i luoghi dei loro giochi, i loro desideri, le loro piccole passioni, le loro famiglie, i quartieri di provenienza.

• Spesso si esprimevano con pensieri originali, personali.

• Una mattina, uno dei miei alunni, rimase colpito dalla luce, dal silenzio di una strada che stava percorrendo. Nel quaderno scrisse: “Stamattina, mentre andavamo in chiesa, l’aria brillava di silenzio”.

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La pittura

• Mi procurai fogli per il disegno utilizzati su una sola facciata. Nell’archivio di una scuola superiore ce ne erano grandi quantità da buttare. Caricai pacchi enormi sulla mia auto e li portai al collegio. Si poteva pittare sull’altra facciata.

• Comprai i colori fondamentali in polvere e imparammo a scioglierli in vasetti di vetro con acqua e gomma arabica. Su quadrati di compensato, dono di una segheria, si versava con cucchiaini che stavano in tutti i vasetti, i colori che si desiderava usare.vasetti, i colori che si desiderava usare.

• In quei momenti, ordinati, silenziosi, la nostra aula sembrava un laboratorio del medioevo.

• Realizzarono pitture bellissime. Nel tempo di Pasqua, mi ricordo, le crocifissioni, per le forme e i colori, erano di una efficacia espressiva indimenticabile.

• Alla fine della pittura i vasi di vetro erano chiusi con i tappi; i quadri, quando i colori si asciugavano, venivano incollati con il vinavil su semplici telai, costruiti da noi con quattro listarelle di legno. E così erano pronti per una mostra, che ebbe luogo alla fine di ogni anno scolastico.

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L’aggiornamento

• In quegli anni l’aggiornamento professionale non era un problema delle scuole. Non si faceva. Ricordo un incontro con esperti mandati dal Ministero in un teatro, dove riunirono insegnanti di tutta l’Area Flegrea. Non so quanto stemmo a sentire quelle… alte comunicazioni. In quell’occasione potei comunicazioni. In quell’occasione potei incontrare e ascoltare uno degli Agazzi. Non ricordo il nome. Tuttavia non credo che quell’evento abbia migliorato il mio modo di fare scuola.

• Chi mi aprì nuovi orizzonti fu Guido Petter con le “Conversazioni psicologiche con gli insegnanti”, testo che comprai con i miei soldi e che lessi con grandissimo interesse.

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Guido Petter

• Mi chiarì le idee sul concetto di motivazione che è alla base di ogni processo conoscitivo; mi insegnò che c’è motivazione quando nell’individuo “è presente una certa forza che lo induce a svolgere una particolare attività”.

• Un’altra scoperta fu per me importante: l’atteggiamento di quiete intellettuale che caratterizza il bambino di fronte alla realtà che lo caratterizza il bambino di fronte alla realtà che lo circonda. Egli di solito non si pone problemi. Vive la sua vita con gli altri, tante cose accadono nella natura e tra gli uomini, ma raramente si chiede il perché di quegli accadimenti.

• Mi convinsi allora che la scuola aveva due compiti fondamentali:

1. fare in modo che il bambino raccontasse la sua vita, il suo vissuto;

2. mettere in crisi con domande, ponendo problemi, quella quiete intellettuale che il bambino mostra di avere nel rapporto con il suo mondo.

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Gli altri insegnamenti

• Il quaderno libero mi raccontava le loro esperienze; la pittura le loro emozioni. Per tutto il resto: la storia e la geografia, le scienze, la matematica, la lingua italiana, sentivo che dovevo sostenerle con motivazioni positive che scoprivo motivazioni positive che scoprivo sempre nella loro vita. Li incalzavo con domande, con problemi che li mettevano in “crisi”.

• Già allora intuivo, lo capii meglio in seguito, che le discipline erano strumenti conoscitivi, utili ad interpretare la realtà. Da vari punti di vista.

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Da un collegio a un Villaggio

• Un anno cambiammo sede. Si concluse l’esperienza del “Villaggio del Fanciullo” di Pozzuoli e nella sua struttura ci trasferimmo tutti: suore, ragazzi e maestri da “S. Giuseppe maestri da “S. Giuseppe Artigiano”.

• Là perfezionai la mia esperienza con la pubblicazione di testi raccolti in un fascicolo che raccontavano la nostra storia. Lo stampavamo periodicamente, con un vecchio ciclostile a mano, che ci regalò un notaio.

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La stampa

• Fu un’esperienza che contribuì in modo notevole alla crescita dei ragazzi, alla loro formazione.

• Bisognava scegliere il testo da pubblicare, tra i più pregnanti che raccontavano la nostra vita o che trattavano argomenti da noi scelti;

• Insieme dovevamo renderlo chiaro, corretto dal punto di vista della lingua;

• occorreva scriverlo sulle matrici del ciclostile e illustrarlo con immagini appropriate. Dovemmo imparare ad usare una “penna” che terminava con una punta metallica arrotondata (lo stilo).punta metallica arrotondata (lo stilo).

• A questo punto si montava la matrice sul ciclostile e si stampava.

• In questo compito finale era impegnato un gruppo di alunni, che cambiava ad ogni testo nuovo secondo un turno programmato:

• nel gruppo c’era chi riforniva di carta il ciclostile per la stampa;

• chi girava la manovella;• chi raccoglieva i fogli stampati;• chi stendeva l’inchiostro sul rullo che faceva ruotare la

matrice.• Realizzavo con quella pratica una prima forma di

cooperazione che col tempo influenzò profondamente il mio modo di fare scuola.

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1962/1977

• In questi anni la scuola italiana trasformò profondamente la sua fisionomia.

• Per accedere alla Scuola Media Unica (dall’anno scolastico 1962/63) non era più necessario l’esame di ammissione; per la formazione di base erano sufficienti gli otto anni di scuola obbligatoria previsti dalla Costituzione;

• la contestazione del 1968 mette in crisi le nostre certezze pedagogiche e didattiche. In quel tempo Mario Lodi, Bruno Ciari, Fiorenzo Alfieri, ispirandosi alla Pedagogia Popolare di C. Freinet, realizzano una scuola dove il bambino è protagonista:riflette, discute, matura proprie valutazioni, esprime liberi giudizi, avanza concrete proposte di lavoro.avanza concrete proposte di lavoro.

• I Decreti delegati (Legge 30 luglio 1973, n. 477) istituiscono gli Organi Collegiali e prevedono nuove norme di stato giuridico, tra cui l’obbligo della laurea anche per i maestri;

• vengono soppresse le scuole speciali e le classi differenziali, con l’inserimento degli alunni con handicap nella scuola di tutti;

• la legge 517/1977 dispone per tutti i docenti l’impegno della programmazione; stabilisce nuove modalità di valutazione. Il bambino, con le sue personali caratteristiche e le sue reali esigenze sulle quali misurare il lavoro didattico, viene prima del programma ministeriale, al quale, precedentemente, tutti dovevano adeguarsi. La programmazione mira, invece, a valorizzare le differenti capacità, individualizzando, per quanto possibile, i percorsi di apprendimento.

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Fine della mia esperienza al “Villaggio del Fanciullo”

• Nel 1974 mi trasferii da questo plesso scolastico alla conclusione del ciclo. Io e i miei alunni andammo via insieme. La mia nuova sede fu la scuola “De Amicis” di via Terracciano, a Pozzuoli. Un vecchio edificio con una quindicina di aule ampie, dal una quindicina di aule ampie, dal soffitto altissimo; il pavimento e le pareti non formavano un angolo retto: erano congiunti da una mattonella lunga e di forma curva, che consentiva il passaggio dello straccio per la pulizia. Soluzioni previste dalle vecchie norme di igiene scolastica.

• Non ne vidi più aule cosiffatte.

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Alla scuola “De Amicis”

• In quegli anni c’era il maestro unico; c’erano i doppi turni: 8.30/12.30 – 13.00/17.00.

• Durante l’anno le classi cambiavano più volte il turno, secondo un calendario programmato. Io e mia moglie, già di ruolo in quella scuola, ci facemmo assegnare la stessa aula.

• Avevamo esperienze simili. Avevamo conosciuto • Avevamo esperienze simili. Avevamo conosciuto il MCE (Movimento di Cooperazione Educativa), avevamo letto gli stessi libri: Freinet, Ciari, Lodi, la rivista e i testi del MCE; avevamo incontrato a Napoli rappresentanti del MCE e con loro vissuto momenti di formazione.

• Decidemmo di avviare un’esperienza di cooperazione educativa con le nostre classi.

• Comunicammo la nostra intenzione alla Direzione e al Collegio dei docenti. Non avemmo opposizioni.

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L’aula

• Ci furono assegnati gruppi di ventiquattro alunni, maschi e femmine. Sistemammo i banchetti monoposto per gruppi di quattro lungo le pareti dell’aula, in modo da ricavare al centro uno spazio per le “assemblee” e per i momenti di libera espressione, di racconto del proprio vissuto.

• La scrivania fu accostata alla parete e divenne un piano di lavoro. Organizzammo l’angolo della stampa intorno alla cassettiera della tipografia stampa intorno alla cassettiera della tipografia “Freinet” e al limografo, che all’inizio usammo al posto del ciclostile del notaio. Lo avremmo recuperato in seguito.

• Tutto il materiale della pittura venne posto in un altro angolo.

• In una grossa cesta da fruttivendolo raccogliemmo pezzi di stoffa colorata, dono di un tappezziere amico.

• Nell’armadietto di classe sistemammo un buon numero di libri che recuperammo dalla biblioteca della scuola.

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La pianta della nostra aulacome la disegnammo

• Sul pavimento c’erano mattonelle quadrate. Le contammo tutte. Mettemmo il piano dei banchi sul pavimento e contammo il numero delle numero delle mattonelle che copriva. Su un foglio quadrettato di quaderno, della stessa forma dell’aula e con lo stesso numero delle mattonelle del pavimento, disegnammo i banchi e la scrivania esattamente al loro posto.

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La prima assemblea con i genitori

• I genitori erano di casa nella scuola dopo i decreti delegati del 1973 e l’elezione degli Organi Collegiali. Ci incontrammo con i genitori delle due classi e, io e Anna, illustrammo loro il nostro progetto educativo. loro il nostro progetto educativo.

• Comunicammo che avevamo intenzione di organizzare la classe come una cooperativa: gli alunni, i loro genitori e gli insegnanti ne sarebbero stati i principali soci.

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Le caratteristiche del nostro progetto

cooperativo

• Indicammo i pilastri fondamentali della nostra attività didattica:

• Il testo libero • la messa a punto del testo scelto per la stampa;• la stampa del giornalino;• la classe come centro di ricerca;• la corrispondenza scolastica;• la corrispondenza scolastica;• l’autogestione della cooperativa e la cassa di

classe;• gli incarichi dei gruppi per la gestione della

classe;• i piani personalizzati per l’apprendimento delle

tecniche di base della lingua e dell’aritmetica.

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Il testo libero

• Il testo libero, il racconto del proprio vissuto, fu indicato come il punto di partenza delle nostre attività quotidiane.

• Ogni giorno sarebbe stato scelto il testo “più interessante”.

• A questo punto erano previsti due sviluppi delle attività:

• La stampa sul giornalino del testo scelto;

• L’avvio di una ricerca per “capire”, quando il testo poneva un problema.

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Cosa intendevamo pubblicare

sul giornalino

• Storie inventate• Riscritture di storie lette• Poesie• Conte e filastrocche in dialetto• Lettere della corrispondenza scolastica.

Altre lettere.Altre lettere.• Sogni• Ricordi• Esperienze e riflessioni• Risultati e scoperte di una ricerca• documenti

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La messa a punto del testo scelto per la stampa

• Il testo da pubblicare veniva copiato sulla vecchia lavagna o su una lavagna a fogli (che ci costruì in seguito il papà di un’alunna: Lucia) e là facevamo tutte le correzioni per renderlo il più chiaro possibile.

• La messa a punto, pertanto, offriva due opportunità formative importanti:

1. affinava le competenze ortografiche, grammaticali e di stile della classe;

2. faceva sentire tutti compartecipi di quella scrittura.

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Il limografo• Il rullo stende inchiostro

sulla tela.

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Un sistema semplice per stampare

Il limografo• Due piccoli telai di legno rettangolari,

costruiti con listarelle di legno, incernierati su un lato corto, più grandi di un foglio A4. Uno dei rettangoli deve essere coperto da un foglio di formica, l’altro da un pezzo di tela. Formica e tela devono coprire esattamente i due rettangoli e combaciare.

• Per stampare si poggia un foglio bianco • Per stampare si poggia un foglio bianco sulla formica, su di esso si adagia la matrice dalla parte dell’incisione, si chiude il telaio, si versa inchiostro per ciclostile sulla tela e si passa un rullo per stenderlo e farlo passare attraverso la tela e le incisioni della matrice.

• Sul foglio poggiato sulla formica si vedrà la stampa del testo; sulla tela resterà attaccata la matrice, pronta a stampare altri fogli.

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Il complessino tipografico Freinet

• Lo indicammo tra i sussidi didattici da acquistare. Neanche in questo caso a scuola ci furono opposizioni. La maggior parte dei colleghi erano soddisfatti delle loro tradizionali tecniche didattiche. Non amavano avventurarsi in esperienze nuove, né desideravano utilizzare sussidi diversi da quelli che adottavano da sempre. Il libro di lettura, il sussidiario e sempre. Il libro di lettura, il sussidiario e qualche cartina geografica erano gli strumenti fondamentali della loro azione didattica.

• La cassettiera con tutti i caratteri di piombo, la pesante piastra con il rullo, su cui si componevano le parole dei testi, arrivò in classe.

• La curiosità dei ragazzi fu enorme. Vollero subito imparare a stampare con quel sistema nuovo.

Page 43: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Uno gruppo al lavoro.

Quattro alunni impegnati.1. Composizione del testo

scelto e corretto con i caratteri di piombo;

2. sistemazione e bloccaggio dei caratteri sulla piastra;

3. un alunno inchiostra i caratteri con un rullo;

4. un altro mette un foglio sui caratteri inchiostrati;caratteri inchiostrati;

5. un terzo fa passare il rullo sul foglio;

6. un quarto ritira il foglio stampato e lo mette da parte ad asciugare.Tutti gli alunni avranno un foglio stampato. In una cartellina formeranno, a poco a poco, un originale libro di lettura.

Page 44: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

I primi testi

• Erano semplicissimi. A volte costituiti da una parola che sintetizzava un’esperienza. La composizione e la stampa attivarono quel processo attivarono quel processo naturale di apprendimento della scrittura e della lettura, che in altri casi può risultare astratto, noioso e privo di motivazione. Noi partivamo da nostre esperienze e volevamo comunicarle agli altri.

Page 45: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

I cartelloni

• I testi stampati venivano riprodotti in grande su cartelloni, completati dal disegno dell’evento, ed esposti sulle pareti dell’aula. Erano i nostri punti di riferimento: per la scomposizione delle parole in lettere, per la ricerca di altre parole che cominciavano con la stessa parole che cominciavano con la stessa lettera. Gli esercizi di riconoscimento di lettere e parole erano tantissimi, vari. Le parole stampate, composte per un processo di ricerca tra i vari caratteri di piombo, venivano conservate in buste e tirate fuori, durante le esercitazioni, per una loro rilettura, rintracciandole nei cartelloni di riferimento.

Page 46: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Una delle prime storie inventate e stampate. Il primo libro

• “Il volo dei cartelloni”• Era inverno. In aula era accesa una stufa.

Sulla stufa i cartelloni appesi alla parete si agitavano.

• “Chi muove i cartelloni?”, si chiesero tutti.• Fu l’inizio della prima ricerca scientifica.

Furono formulate delle ipotesi e verificate Furono formulate delle ipotesi e verificate con “esperimenti”.

• Scoprimmo che il calore della stufa faceva muovere l’aria e questa, salendo in alto, agitava i cartelloni.

• Qualcuno disse ridendo: “I cartelloni se ne volano via. Scappano dalla scuola!”.

• E inventammo una storia.

Page 47: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Il volo dei cartelloni

• La stufa con un soffio forte liberò i cartelloni.

• Volarono via dall’aula per la finestra.

• Dal cielo videro la scuola piccola, le case piccole, gli alberi, i bambini.

• Incontrarono il sole.• - Ciao, sole. Vieni con noi.• - Non posso. Devo riscaldare il • - Non posso. Devo riscaldare il

mondo. Tornate in aula. I bambini da voi imparano presto.

• I cartelloni tornarono in aula e si misero al loro posto.

• Altri finali pensati…1. Non tornarono in aula. Se ne

andarono in giro per il mondo.2. Non tornarono in aula, ma dei

bambini li catturarono con le corde.

Page 48: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Il punto di partenza della nostra vita a scuola

• Si partiva da NOI, dal nostro mondo più vicino.• Su un’intera parete dell’aula schierammo le foto di

tutti i ragazzi. Sotto ogni foto disegnammo una colonna, su grandi fogli imballaggio, dentro cui registrammo tante informazioni. Queste erano indicate a sinistra, all’inizio di righe, che incrociandosi con le linee delle colonne formavano tante caselle in cui si scrivevano i dati: data e luogo di nascita dell’alunno, del padre, data e luogo di nascita dell’alunno, del padre, della mamma; numero dei figli; mestiere del padre e della mamma; numero dei nonni, luogo e data di nascita dei nonni, numero dei figli dei nonni, mestiere dei nonni. E altri dati.

• Sulle colonne si leggeva quanto riguardava il singolo alunno; sulle righe era possibile fare confronti di dati.

• L’osservazione dei dati ci consentiva la costruzione di grafici e la stesura di relazioni, che venivano pubblicate sul giornalino.

• Il primo titolo del giornalino fu “NOI”.

Page 49: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Esempio di grafico pubblicato sul giornalino

• Questo grafico registra il luogo della nascita di ogni alunno.

• In casa: • In casa: 11

• In clinica: 8

• In ospedale: 5

• Seguivano le riflessioni degli alunni.

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Il tabellone del tempo

• Sulla lavagna a fogli, all’inizio di ogni settimana, veniva disegnata una tabella a doppia entrata. Nella parte superiore erano indicati i giorni di scuola della settimana; a sinistra, tre simboli disegnati:

• Nuvole per indicare cielo nuvoloso;• Nuvole per indicare cielo nuvoloso;• Nuvole e sole per indicare cielo

variabile;• Sole per indicare cielo sereno.• Si potevano fare osservazioni sui cieli

della settimana e su quelli del mese.• Si costruivano semplici grafici, si

scrivevano relazioni.• Il tutto era pubblicato sul giornalino.

Page 51: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Il cielo osservato in quattro mesi

• Nei mesi di ottobre,novembre, dicembre e gennaio abbiamo visto più cieli nuvolosi e misti che sereni.

• La terra sta girando • La terra sta girando ancora in quegli spazi dove fa freddo.

• Osservammo tutti insieme e pubblicammo su “NOI”.

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La nostra cassa sociale

• La scuola in quel tempo disponeva di scarsi fondi per il materiale di facile consumo. A noi necessitavano risme di carta per la stampa, inchiostro tipografico e per ciclostile, matrici, colori in polvere, pennelli, ed altro. Nella prima assemblea con i genitori ponemmo la questione di una piccola raccolta di fondi, “una tassa”, la chiamammo, che i soci della la chiamammo, che i soci della cooperativa /classe dovevano versare ogni lunedì. Dei movimenti della cassa avremmo dato conto sul giornalino.

• I genitori furono d’accordo e noi, i docenti, discutemmo con i ragazzi del problema. I ragazzi versavano in cassa 100 lire ogni lunedì; il maestro 1000 lire insieme a tante altre spese che non venivano registrate. Con la tassa riuscimmo a fare quasi tutte le spese necessarie.

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I conti della nostra cassa

• Oggi abbiamo fatto i conti della nostra cassa.

• Abbiamo:• 18 monete da L 100• 39 monete da L 50• 26 monete da L 10• 5 monete da L 500• 2 biglietti da L 1000• Abbiamo fatto i conti sul • Abbiamo fatto i conti sul

nostro calcolatore e abbiamo scoperto che in cassa ci sono:

• 8 mille lire• 5 cento lire• 10 lire• (dal giornalino “NOI”, n. 28

del 29 gennaio 1976)

Page 54: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Resoconto dopo alcune spese

• Ieri avevamo in cassa L 8.510• 8 mille lire• 5 cento lire• 10 lire• Oggi abbiamo tolto dal tabellone della cassa i

soldi spesi per i francobolli e per lo sviluppo delle foto:

• 1 mille lire• 3 cento lire (mille e trecento lire)• 3 cento lire (mille e trecento lire)• Ora in cassa ci sono:• 7 mille lire• 2 cento lire• 10 lire• L 7.210 (settemila duecento e dieci lire)• (dal giornalino “NOI”, n. 28, del 30 gennaio 1976)

Page 55: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

I nostri calcoli

• Erano vivi: nascevano da situazioni di vita scolastica.

• Il calcolo aritmetico era una pratica, una tecnica, che bisognava saper eseguire per risolvere i nostri problemi pratici.

• Le esercitazioni nel calcolo scritto e • Le esercitazioni nel calcolo scritto e orale, necessarie, non erano sentite come esercitazioni astratte, ma come preparazione alla vita di ogni giorno.

• A tutti sarebbe toccato il compito della gestione della cassa. In quel caso era fondamentale quella specifica competenza aritmetica.

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Gli incarichi dei gruppi per la gestione della classe

• La classe era divisa in gruppi di quattro alunni; ogni gruppo aveva un incarico che durava il tempo di una settimana. Il lunedì si cambiava tipo di incarico.

• C’era • il gruppo della cassa, che gestiva anche il “negozio”, • il gruppo della stampa, • quello che curava la pulizia e l’ordine delle nostre cose, • quello che prestava e ritirava i libri della nostra biblioteca, • il gruppo del tempo meteorologico, • quello che registrava gli assenti in un quaderno e che segnava la data

alla lavagna. • Quest’ultimo gruppo girava faccia al muro la foto degli assenti e li

elencava nell’apposito quaderno. • Alla fine della settimana ogni gruppo faceva una breve relazione di

consegna alla classe e al gruppo di turno che succedeva.• Il “negozio” era un’esperienza di compravendita che procurava piccoli

guadagni alla cassa della classe.• Durante l’intervallo si vendevano a prezzi convenienti biscotti e

merendine di buona qualità, scelti da noi, che compravamo all’ingrosso investendo parte del capitale sociale. In questo eravamo sostenuti dai genitori. Spesso erano loro che compravano la merce.

• Anche il “NEGOZIO” finiva per essere un’esperienza di calcolo vivo e formativo. I ragazzi vivevano nelle loro vita di classe/cooperativa il senso concreto del concetto di SPESA, GUADAGNO, RICAVO.

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La corrispondenza scolastica

• La nostra classe entrò in corrispondenza con una classe di Roma, che si trovava in una scuola statale della Borgata del Trullo. La scuola “Collodi”..

• Quest’abbinamento fortunato fu effettuato per caso dal MCE(Movimento di Cooperazione Educativa) al quale da alcuni anni mi ero iscritto. Avevo anche frequentato corsi di aggiornamento a Napoli. Là ero entrato in contatto con maestri che, come me, si ispiravano alla pedagogia popolare di C. Freinet e alla scuola di B. Ciari, di M. Lodi, di F. Alfieri, di F. Tonucci. Ci incontravamo alla Facoltà di Fisica (Università Federico II) e ci comunicavamo le nostre esperienze, sostenendoci così l’un l’altro, e socializzando le soluzioni che sostenendoci così l’un l’altro, e socializzando le soluzioni che riuscivamo a trovare ai problemi che ci poneva la nostra insolita vita a scuola.

• La classe della Borgata del Trullo aveva come insegnante Marialuisa Bigiaretti, un mito nel MCE. Gianni Rodari in quella Borgata e con gli alunni della Bigiaretti, aveva scritto una dei suoi più famosi racconti: “LA TORTA IN CIELO”.

• I nostri alunni si scrivevano lettere che spedivamo tramite posta scolastica. Partivano in grosse buste con il timbro della scuola e la spedizione, pertanto, era gratuita. Il tempo che ci impiegava la posta era lunghissimo. Quando arrivavano i plichi, dopo attese estenuanti, era una festa per tutti noi.

• Quell’anno raggiunsi la Borgata del Trullo a Roma. Potei toccare con mano la dimensione fantastica, unica, originale, della scuola della Bigiaretti. Tutta il plesso scolastico era tappezzato di pitture murali, eseguite su grandi fogli dai ragazzi del Trullo di Marialuisa. Erano di una bellezza indimenticabile. Tutta l’esperienza di quella maestra era di un livello altissimo, straordinario.

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Dalla Scuola “Collodi”Borgata del Trullo

Roma

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Da Pozzuoli a Roma1975 – classe seconda

• Cara Monica,• ti piacciono i gatti? E ti piacciono i

cani? E ti piacciono i colombi? Ti piace avere un colombo maschio e uno femmina così fanno le uova e così fanno altri figli e si sposano e fanno ancora i figli e va sempre fanno ancora i figli e va sempre così? Io lo tenevo un colombo. Èscappato, poveretto. Ogni mattina andavo a comprare il mangime.

• Ciao• Adele

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Da Roma a Pozzuoli1975 – classe seconda

• Caro Lello,• noi stiamo leggendo una bella

leggenda che parla di Apollo e Giove e Pan. Apollo decide di fare una gara, per vedere chi suonava meglio e chiamano il re Mida a fare il giudice. Pan aveva cantato una il giudice. Pan aveva cantato una bella canzone, ma Apollo aveva cantato meglio. Re Mida non aveva capito e allora ha detto che era più bella la canzone di Pan. Apollo gli ha fatto crescere le orecchie di asino.

• Ciao• Serena

Page 61: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

I piani personalizzati per l’apprendimento delle tecniche di base della lingua e dell’aritmetica.

• Le esercitazioni in aritmetica e in lingua sono fondamentali per l’apprendimento di certe tecniche di base. Da Conegliano Veneto, dove il MCE aveva un deposito di sussidi didattici, mi feci spedire, a spese mie, gli schedari autocorrettivi di aritmetica, di ortografia e di grammatica. Sulla base delle mie osservazioni, delle registrazioni degli errori più ricorrenti e di certe debolezze evidenziate nel calcolo, si potevano concordare evidenziate nel calcolo, si potevano concordare con i ragazzi semplici piani di attività di rafforzamento.

• Si individuavano delle schede su cui bisognava lavorare, il risultato del compito eseguito veniva confrontato sulla scheda autocorrettiva dove si trovavano gli esercizi già svolti. Si lavorava senza ansia. Ogni ragazzo sapeva da solo se aveva lavorato bene o se doveva ripetere gli esercizi.

• Alla fine di questa esercitazione bisognava eseguire delle prove di verifica. Solo in questo caso era necessario sottoporre il risultato all’attenzione del maestro.

Page 62: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

La lettura

• Tutto poteva essere letto e tutti potevano leggere se avevano qualcosa da farci ascoltare: articoli di giornali (Batyr, l’elefante che parlava, la strage dei colombi di Siena, il rapimento di Moro, il terremoto del Friuli, la rapina nel Banco di Napoli… ) storie inventate, parti dei libri della biblioteca.

• E poi c’erano le letture del maestro. Leggevo tutto quello che amavo:

• “Le fiabe italiane” di I. Calvino, • Rikki Tikki Tavi di Rudyard Kipling: • “Questa è la storia della grande guerra che Rikki Tikki • “Questa è la storia della grande guerra che Rikki Tikki

Tavi combatté da solo, nella stanza da bagno del grande ...”.

• Questo racconto li avvinceva. La lotta della mangusta contro Nag e Nagaina era per loro un evento epico appassionante.

• Un anno ai ragazzi del Collegio lessi “il vecchio e il mare” di E. Hemingway, la lotta di Santiago contro i pescecani che gli divorano l’enorme splendido pesce che aveva vinto nelle acque della corrente del Golfo, a Cuba.

• … «Il vecchio era magro e scarno e aveva rughe profonde alla nuca. Sulle guance aveva le chiazze del cancro della pelle provocato dai riflessi del sole sul mare tropicale e le mani avevano cicatrici profonde, che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti»…

Page 63: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

La nostra storiae il mondo intorno a noi

• Ci interessava capire la nostra storia e quello che ci accadeva intorno.

• La storia di tutti.• I bambini si devono fare perché

deve continuare la vita. Per fare i figli ci vuole una coppia: un maschio e una femmina che si piacciono, che si vogliono bene, che si amano. Ma questo non basta. La coppia deve avere un basta. La coppia deve avere un lavoro e una casa.

• Stavamo nella pancia di mamma.

• Quando un bambino sta nella pancia, si gira e si muove nell’acqua. Un bambino nella pancia non respira come noi, ma riceve l’ossigeno dal sangue della sua mamma. La madre respira, il sangue piglia l’ossigeno e lo porta per tutto il suo corpo e lo porta pure al bambino attraverso il cordone ombelicale. Il bambino nella pancia della mamma sta sicuro nel caldo.

Page 64: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Il latte

• Appena il bambino nasce, vuole subito il caldo della mamma e poi vuole il latte. Egli non può mangiare roba dura perché non tiene i denti. Quando vuole succhiare dal petto della mamma piange. La mamma se ne accorge mamma se ne accorge subito che vuole il latte. Il bambino quando succhia al caldo del corpo della mamma, sulle labbra sente un solletico assai piacevole, sente il battito del cuore e l’odore della mamma. La mamma lo accarezza, il bambino succhia il latte e sa che è la sua mamma.

• (Scritto da tutta la classe)

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Una ninna nanna in dialetto

• E nonna nonna nunnarella• ‘o lupo s’ha mangiat’ ‘a pucurella• Ué pucurella mia comme faciste• Quanno ‘mmocca a lu lupo te veriste?• ‘mmocca a lu lupo e ‘mmocca a lu lione• Addurmema a sta ninna pe’ doie ore• Doie ore sole• Doie ore sante• Adduormema sta ninna ch’è na santa.• E nonna nonna• Mo vene ‘o mammone• Mo vene chistu viecchio ‘mbriacone• E ‘mbriacone mio• ‘mbriac’ ‘a ggente• ‘mbriacame sta ninna• Ch’è ‘nnucente.• (Ricordata dalla nonna di Roberta)

Page 66: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Scoperte dopo “la storia di tutti”

• Il bambino impara a camminare a 12 mesi circa;

• A quell’età non sanno parlare bene. Con una parola si fanno capire:

• “pane” significa: voglio il • “pane” significa: voglio il pane;

• “bua”: mi sono fatto male.• Nessuno insegna ai

bambini a parlare: imparano da soli. Ascoltando, odorando, guardando, toccando, assaggiando, muovendosi, facendo gesti.

TuttiNoi

Page 67: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Ricordi dei genitori

• Eravamo curiosi di conoscere com’era stata la vita della loro infanzia. Mamma Dora raccontò che era nata a Parigi perché il padre era emigrato in quel paese per fare fortuna. Un brutto giorno scoppiò la brutto giorno scoppiò la guerra. I francesi li costrinsero a tornare in Italia. Dal treno videro nelle stazioni soldati armati. Arrivati in Italia trovarono che ci voleva una tessera per comprare il pane.

• Allora mamma Dora aveva sei anni.

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I ricordi di nonna Nunzia

• Nonna Nunzia nacque a Pozzuoli nel 1898.

• A 6 anni lavorava in campagna con il padre.

• A 15 anni si fidanzò in casa con un sellaio di nome Felice.

• Si sposò alla fine della prima guerra mondiale, quando nonno Felice tornò dalla guerra.

• Ai suoi figli dette il suo latte fino a due, tre anni. Dopo mangiavano tutto quello che si cucinava in casa. tutto quello che si cucinava in casa. Allora una fetta di carne costava 6 soldi. Il pane lo faceva lei in casa e sapeva preparare pure il lievito. Il fornaio andava per le case a prendere l’impasto cresciuto e lo portava a cuocere nel forno a legna.

• Allora non c’era la radio. Un uomo spingeva un pianino per le vie del paese e faceva sentire la musica delle canzoni di quel tempo.

• Vendeva pure le parole delle canzoni.

• Nonna Nunzia da piccola vedeva il teatro dei pupi. Quando si fece più grande andava a vedere i film muti. Certe volte li facevano vedere nella piazza del nostro paese.

Page 69: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Ancora nonna Nunzia

• Lavava i panni in un recipiente di terracotta (‘o cufanaturo) con un sapone molle e scuro e i panni li strofinava sopra una tavoletta di legno. Per fare bianco il bucato usava o la cenere del focolare o la liscivia. Non aveva acqua in casa: gliela prendevano alle gliela prendevano alle fontane pubbliche i ragazzi che lavoravano nella bottega del marito.

• In casa non c’era la luce elettrica. Di sera accendevano o le candele o il lume a petrolio o quello a olio.

• Allora non si vedeva la televisione né si sentiva la radio. Le ragazze ricamavano la biancheria del corredo e parlavano con i genitori e con i fratelli alla luce delle lampade a petrolio.

Page 70: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

I lampioni

• La sera per la via ci stavano i lampioni a petrolio che illuminavano. Ad accenderli veniva un uomo con uno scalino: saliva per mettere il petrolio nei lampioni.

• Per la via non passavano le macchine, ma i carretti tirati da due cavalli. In quel tirati da due cavalli. In quel tempo si incominciavano a costruire le prime macchine della FIAT.

• Pozzuoli al tempo di nonna Nunzia era allagato nella zona del porto. Le persone camminavano su passerelle di legno ai lati delle vie.

• Abbiamo visto nelle fotografie del tempo degli uomini che potevano portare una barca fino alla piazza della chiesa di S. Maria.

Page 71: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Certi mestieri che oggi non si fanno più

• ‘A capera: una donna che andava per le case ad aggiustare i capelli alle femmine.

• ‘O molafuorbice: affilava coltelli e forbici. Girava per le vie del paese.

• ‘O piattaro: aggiustava i piatti rotti. Li aggiustava così: piatti rotti. Li aggiustava così: prendeva il piatto rotto e faceva dei buchi(con un trapano) lungo la spaccatura. Nei buchi infilava del ferro filato e poi stringeva con le tenaglie. Tra i due pezzi del piatto, poi, metteva del cemento.

• ‘O ‘mbrellaro: aggiustava gli ombrelli.

• ‘O ‘mpagliasegge: aggiustava le sedie e le impagliava: ricopriva il sedile di fili di paglia intrecciata.

Page 72: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Nonna Nunzia ricorda

• Alla spiaggia era uno scandalo vedere le donne abbracciate con l’uomo. Dovevano fare il bagno divisi: le donne da una parte e i maschi dall’altra. Le femmine avevano un costume formato da un pantalone che arrivava alle gambe e un grosso camicione. I maschi indossavano pantaloncini alla coscia e canottiera.

• In Italia non c’era la Repubblica come oggi: • In Italia non c’era la Repubblica come oggi: c’era il RE.

• A scuola andavanp pochissime persone. Il marito di nonna Nunzia non sapeva scrivere. Al fronte si faceva scrivere le lettere dai suoi compagni.

• Le guerre - Il marito di nonna Nunzia, nonno Felice, fece la guerra di Abissinia e la prima guerra mondiale.

• Le medicine e i medici - Allora non c’era la MUTUA. I medici e le medicine bisognava pagarli.

Page 73: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Un “quadro” del tempo delle mamme e dei papà

• Dai ricordi di mamma Dora e di papà Nino abbiamo capito che circa quaranta anni fa:

• Era il tempo della radio• Del cinema parlato• Dell’automobile• Dell’aeroplano• Dei fascisti e dei nazisti• Della seconda guerra • Della seconda guerra

mondiale• Era il tempo dei partigiani• Degli americani in Italia• Della pennicellina• Era il tempo della fine dei

RE in Italia e della nascita della Repubblica

• Era il tempo della BOMBA ATOMICA

Page 74: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Un “quadro” del tempo dei nonni

• Dai ricordi di Nonna nunzia abbiamo capito che circa settanta anni fa:

• Era il tempo dei carretti e dei cavalli• Delle lampade a olio• Dei lampioni a petrolio• Delle case senza acqua, senza

bagno• Era il tempo del pianino che

vendeva le canzonivendeva le canzoni• Era il tempo del teatro dei pupi• Del cinema muto• Delle prime automobili• Era il tempo dei RE• Allora si pagavano medici e

medicine• Non c’era lavoro per tutti. Migliaia di

italiani più poveri andavano via lontano a cercare lavoro

• Era il tempo della guerra di Abissinia e della prima guerra mondiale.

Page 75: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Un “quadro” del nostro tempo

• E facemmo un confronto con “OGGI”:

• È il tempo della TV• Dei missili• Dei viaggi nello spazio e

sulla luna• È il tempo dei cervelli

elettronicielettronici• Degli aerei supersonici• Dei trapianti• È il tempo dei jeans• Dei detersivi e delle

lavatrici• Dei supermercati• Ma è anche il tempo dei

rapimenti• Del mare inquinato• Della bomba H

Page 76: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Il mondo cambia

• Tutto cambia• Il mondo cambia tutto• Cambiano tutte le cose• Che prima stavano• E ora non ci stanno più• Cambiano i saponi• I vestiti• I bagni• E tutto ciò che sta nel • E tutto ciò che sta nel

mondo oggi• È diverso da prima• Quello di prima oggi è antico• Il mondo di oggi• Un giorno• Anche questo• Sarà antico• (un testo libero di Adele)

Page 77: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

I quadri di civiltà

• Partivamo sempre da NOI, dal più vicino, nel rispetto però della metodologia della ricerca storica.

• All’inizio lavorammo sulla memoria e sui testimoni, per passare poi alle fonti scritte, ai documenti da leggere, da studiare.

• E su questi (documenti storici scritti, quadri, disegni di oggetti d’epoca, libri… ) costruimmo un grande quadro murale, sulla falsariga di quello che si riferiva alla vita dei ragazzi, dove, nelle colonne rappresentammo le varie epoche della storia (dalla preistoria ai nostri giorni); sulle righe indicammo gli (dalla preistoria ai nostri giorni); sulle righe indicammo gli aspetti fondamentali della vita umana: il cibo, i vestiti, le case, il culto dei morti, le armi, il lavoro, la religione, l’arte, i grandi monumenti.

• L’osservazione del tabellone favoriva riflessioni sulla natura dell’uomo e sui suoi cambiamenti nello scorrere del tempo.

• Le scoperte che facevamo, osservando sul tabellone il PROGRESSO dell’uomo, le pubblicavamo sul giornalino, che intanto aveva cambiato il titolo della testata. Non era più NOI, ma NOI E VOI, decidemmo di intitolarlo.

• Lo sguardo dal nostro mondo si allargava agli altri, a tutti quelli che vivevano intorno a noi e con noi.

Page 78: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Dalla pianta della classe alla mappa del nostro

quartiere

• Dalla piantina della classe, che costruimmo contando le mattonelle del pavimento, cominciò a nascere nei ragazzi una prima idea di rapporto: la mattonella (20X20 cm) poteva essere rappresentata con il quadretto del quaderno (della stessa forma) che misurava 1X1 cm.

• A questo punto decidemmo di misurare la scuola e lo spazio esterno per rappresentarla in una mappa. In questo periodo conoscevamo le misure di lunghezza e avevamo tra i sussidi una lunghezza e avevamo tra i sussidi una ruota metrica che aveva la circonferenza lunga un metro. Tenuta per un manico, girava per terra come una ruota di bicicletta. Ogni giro completo valeva un metro. Misurammo ogni lato della scuola e del cortile e poi riportammo il tutto sui quadretti dei quadernoni.

• Sulle mappe municipali rintracciammo il nostro quartiere e riuscimmo a calcolare la misura reale dei palazzi e delle vie rappresentate, in base alla scala indicata.

• Dopo questa esperienza la scala delle carte geografiche fu compresa abbastanza agevolmente. E anche la necessità di orientarla sui punti cardinali.

Page 79: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

I fenomeni della natura

• Ogni fenomeno osservato, fin dalla prima classe, diventava un “indovinello” da risolvere. I ragazzi venivano stimolati con domande, invitati a fare delle “ipotesi”. Proprio questo termine usavamo, ed anche “verifichiamo” e “esperimento”.

• Questo successe quando scoprirono che l’aria calda della stufa muoveva i cartelloni;

• quando notarono che i pesci vivono nell’acqua e gli animali e vivono nell’acqua e gli animali e le piante sulla terra, e che tutti gli esseri viventi hanno bisogno di ossigeno;

• quando videro cadere le foglie dei gelsi nel nostro cortile;

• quando collegammo questo fenomeno al sole e scrivemmo, dopo aver ragionato e letto nei libri:

• “La terra gira intorno al sole come una nave spaziale. Ci vuole un anno per un giro completo. Quando la terra passa per il posto del freddo, gli alberi fanno cadere le foglie”.

• In seguito scoprimmo che il cambio delle stagioni dipendeva dall’asse terrestre.

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La luce si propaga in linea retta

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La forza di gravità

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Il calore

Page 83: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

La nostra macchina: il corpo

Page 84: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Le piantineL’allevamento delle

drosofile• E seminammo fagioli, lenticchie,

grano: lasciandoli al buio, alla luce, innaffiandoli con l’acqua, lasciandoli senza acqua e nelle foglie cadute e marcite.

• Facemmo tante scoperte e capimmo come un seme può naturalmente germogliare.

• Allevammo drosofile (i moscerini dell’uva).

• Potemmo osservare il loro ciclo • Potemmo osservare il loro ciclo vitale in un vasetto di vetro: dall’accoppiamento, alla larva, alla pupa che si incollava al vetro, alla nascita dell’insetto.

• Ne catturavamo qualcuno e li imprigionavamo con un velo e un elastico, messi sulla bocca di un vasetto, che conteneva dell’uva schiacciata.

• Dopo pochi giorni si moltiplicavano in modo sorprendente.

• Tutte le scoperte e le osservazioni le pubblicavamo su “NOI”.

Page 85: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

La tavola pitagorica in 36 coppie

• Anche in aritmetica si procedeva con proposte stimolanti e divertenti, laddove era possibile. Sulla tavola pitagorica realizzammo un intervento di semplificazione che ridusse le coppie da memorizzare al numero di 36.

• Costruimmo una tabella e nelle caselle scrivemmo tutte le possibili coppie che si possono comporre con i primi undici numeri (0 – 10). In un’altra tabella scrivemmo i prodotti delle coppie.

• Scoprimmo che ci sono numeri quadrati e numeri • Scoprimmo che ci sono numeri quadrati e numeri rettangolari, se vengono schierate le unità da moltiplicare.

• I numeri quadrati hanno fattori uguali, quelli rettangolari diversi.

• Scoprimmo che i numeri quadrati si trovavano lungo una diagonale che andava dallo 0 a 100. Questa diagonale era asse di simmetria della tabella.

• La simmetria l’avevamo osservata anche con i colori. Si piegava un foglio di forma regolare in due parti uguali, si versavano gocce di colore su una parte del foglio e poi si facevano combaciare le due parti sul colore. Si potevano osservare belle macchie colorate, simmetriche rispetto all’asse, alla piega del foglio.

• In seguito costruimmo figure geometriche simmetriche.

Page 86: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Lavorando sull’asse di simmetria

• Alla stessa distanza dall’asse trovammo caselle in cui c’erano coppie di numeri uguali, ma disposte in ordine diverso. Sulla seconda tabella osservammo che il risultato della moltiplicazione era lo stesso.

• Scoprimmo la proprietà commutativa e decidemmo di prendere in considerazione una sola delle coppie.

• Sulla riga e sulla colonna dello zero osservammo che il risultato era sempre zero.

• Scoprimmo che quando un fattore è zero il risultato e zero. Non prendemmo in considerazione nessuna di queste coppie.

• La stessa cosa facemmo sulla riga e sulla colonna dell’1. • La stessa cosa facemmo sulla riga e sulla colonna dell’1. Scoprimmo che se in una coppia uno dei fattori è l’unità, il risultato della moltiplicazione è l’altro fattore.

• Sulla colonna e sulla riga del 10 scoprimmo che il risultato era sempre l’altro fattore seguito da uno zero.

• Tenuto conto di tutto questo, registrammo le coppie da memorizzare:

• Erano solo 36.• Le scrivemmo su dei cartoncini, sull’altra faccia scrivemmo il

risultato della moltiplicazione e giocammo. I campioni erano quelli che dalla coppia arrivavano al risultato e dal risultato erano capaci di ritornare alla coppia.

• I ragazzi si cimentarono in gare appassionanti e senza noia memorizzarono la famosa tavola pitagorica.

Page 87: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

La classe come centro di ricerca

• I gruppi assolvevano ai loro compiti nella prima parte della giornata (Assenti, tempo, cassa, pulizia, libri da ritirare o prestare).

• Poi la classe ascoltava comunicazioni individuali (testi liberi scritti, racconti orali, brevi letture interessanti).

• Da queste iniziavano riflessioni, conversazioni e ricerche, che venivano subito organizzate.

• Tutti i pareri sul tema indicato venivano registrati su foglietti (recuperati in una tipografia amica) e su foglietti (recuperati in una tipografia amica) e costituivano materiale per la stampa del giornalino.

• Oppure, se non c’erano comunicazioni, si continuava una ricerca già avviata.

• A metà mattinata era previsto un breve intervallo. In questo tempo si apriva il negozio e si potevano fare piccoli acquisti.

• La seconda parte della giornata era dedicata alla stampa, ai piani individuali di rafforzamento, allo sviluppo di storie inventate.

• Questi due ultimi impegni avevano quasi sempre un seguito a casa.

Page 88: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Sulle storie inventate

• Scrive John Dewey in Come pensiamo: • “Le storie immaginarie raccontate dai fanciulli

possiedono tutti i gradi della coerenza interna: alcune sono sconnesse, altre articolate. Allorché sono connesse, esse simulano il pensiero riflessivo; e in verità di solito si verificano nelle menti dotate di capacità logiche. Queste costruzioni fantastiche precedono spesso un pensiero di tipo più rigorosamente coerente e gli preparano la strada”.

• E aggiunge: • E aggiunge: • “Il pensiero deve essere riservato al nuovo, al precario,

al problematico. Di qui il senso di costrizione mentale e di perdita di tempo che i fanciulli provano quando si chiede loro di riflettere su cose familiari”.

• E Gianni Rodari scrive Nella grammatica della fantasia:• “Nemica del pensiero è la noia. Ma se invitiamo i

bambini a pensare che cosa succederebbe se la Sicilia perdesse i bottoni, sono pronto a scommettere tutti i miei bottoni che non si annoieranno”.

Page 89: La Mia Scuola Di Franco Cirillo

Ancora sulle storie di fantasia

• “Oggi gli adulti si preoccupano molto che i bambini siano competenti ed efficienti, che sappiano usare il computer e conoscano le lingue straniere, e dimenticano invece quanto sia importante la fantasia.

• La fantasia ci aiuta a vivere.• In futuro l’identità personale sarà sempre meno legata

alla professione, poche persone potranno dire di sé: sono un ragioniere, un medico.

• Per molti il lavoro sarà un’attività marginale, provvisoria, mutevole.

• Per molti il lavoro sarà un’attività marginale, provvisoria, mutevole.

• Diviene, perciò, necessario trovare altri interessi, altri luoghi di incontro, altri rapporti.

• In poche parole: inventarsi una vita”.•• Silvia Vegetti Finzi • Da “I bambini sono cambiati”,

• Ed. Mondadori

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Oltre 400 giornalini in 4 anni

e alcuni “libri”• Queste riflessioni, da me condivise,

mi convinsero a favorire la pratica dell’invenzione di storie.

• In questo processo creativo, con stimolazioni adeguate e provocatorie, si è portati a vedere provocatorie, si è portati a vedere al di là della realtà che ci circonda e a costruire, spesso in termini fantastici, una dimensione straordinaria della nostra vita. E tutto questo giocare a riprogettare i termini della nostra realtà ha una innegabile funzione cognitiva.

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Oggetti che parlano

• La pentola e la caffettiera• Un giorno nella cucina di una

signora si misero a parlare una pentola ed una caffettiera.

• Disse la pentola, mentre stava sul fuoco a cuocere la pasta:

• - Tu fai il caffè e fai male a tante persone. Io faccio mangiare la gente.

• - Non è vero niente perché alle persone grandi piace il caffé! –

• - Non è vero niente perché alle persone grandi piace il caffé! –gridò la caffettiera offesa e arrabbiata.

• Disse la pentola:• - Non è vero! Alle persone

piace più il mangiare.• - Va bene. Hai vinto tu. Ciao!• E non la volle più ascoltare.• (storia scritta da Lucia e

corretta insieme)

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Dallo studio della Terra Quasi un mito

• C’era una volta un gigante di fuoco che si chiamava Magmar. Questo gigante non voleva far nascere la vita sulla Terra e se la stringeva nelle sue braccia di fuoco.

• La Terra chiedeva aiuto:• - Magmar mi brucia. Aiuto! Arr,

vieni!• Arr era un altro gigante tutto di aria.

Sentì la voce della Terra, chiamò tutte le goccioline d’acqua dello spazio e le raggruppò in una nuvola immensa che mandò contro Magmar.Magmar.

• Il gigante di fuoco, però, respinse l’acqua che cadeva dalle nuvole e la trasformò in vapore.

• Arr non si arrendeva mai: ricostruiva sempre la stessa immensa nuvola e la scagliava contro Magmar.

• Sulla Terra piovve per milioni di anni. Finalmente vinse l’acqua.

• Magmar rimase imprigionato dentro la Terra e dalla pioggia si formarono i mari, i fiumi e i laghi.

• Dall’acqua venne la vita delle piante, degli animali, dell’uomo.

• (dai testi di Dario, Lucia e delle Aquile)

• Noi e Franco

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Da una notizia curiosa

• Su un giornale leggemmo che in Russia un elefante aveva parlato. parlato. Inventammo una storia. “In giro per un mondo fantastico con Batyr, un elefante che sapeva parlare” .

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Con l’elefanteBatyr

• Cammina cammina, arrivammo nel paese dove fabbricavano fabbricavano le parole.

• Tanta gente veniva da tutti paesi a comprare le parole.

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Nel Paese delle parole

• Le case avevano la forma delle forma delle lettere.

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Le fabbriche

• La gente andava a lavorare nella nella fabbrica e costruiva le lettere.

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Un computer gigante

• Saldava le lettere e formava tutte le parole del mondo. Dei mondo. Dei camion portavano le parole fresche fresche sulle bancarelle dei mercati.

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Venne un soldato

• E comprò:• Guerra• Carro armato• Fucile• Mitraglia• Divisa• Cannone• Cannone• Pugnale• Pistola• Missile

• Bomba atomica!!

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Batyr

• Prese il soldato e lo buttò lo buttò nel mare.

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Tanti coriandoli

• I bambini tagliarono le parole del soldato e soldato e fecero tanti coriandoli che Batyr soffiò in aria.

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Con i soldi della cassa

• Comprarono le parole per farsi capire negli altri paesi e tutte le parole più le parole più giuste per scrivere la loro storia. E partirono.

• Cammina cammina…

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La storia di Batyr continua

• Nel paese TUTTOBELLO

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Nel paese delle paure

• Il fantasma• Da una

casa nera uscì un fantasma.

• Cacciò le unghie e unghie e urlò:

• -Aaaaaaah!

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Nel paese della Befana

• Una mattina la Befana si svegliò e fece colazione. Mentre beveva il latte e mangiava i biscotti, la sua scopa magica disse:

• - Ti sei dimenticata che devi andare a portare i doni ai portare i doni ai bambini della Terra?

• - Ah, l’avevo proprio dimenticato!

• Prese il sacco, saltò sulla scopa e partì.

• Passando attraverso le stelle si diresse verso la Terra…

• (Marcella, Simona, Carmen e tutti noi)

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Nel paese a metà

• Le case erano mezze, la gente era tutta mezza. Cucinavano nelle cucine mezze, mangiavano nei mezzi piatti, si lavavano nei lavandini mezzi. Avevano mezzo letto, mezze sedie, mezzo tavolo, mezza televisione, mezza radio, mezzo termosifone, mezzi quadri sulle pareti.

• I bambini erano tutti mezzi, giocavano con mezzo pallone, andavano in una scuola tutta mezza, imparavano tutto a metà.

• Anche i grandi erano mezzi: avevano • Anche i grandi erano mezzi: avevano mezzo cuore, mezzo cervello, mezzo naso e facevano mezzo starnuto.

• Siccome avevano un solo piede, usavano sempre le mongolfiere: salivano su, scendevano giù.

• Andavano a lavoro nelle mezze fabbriche, facevano la spesa nei mezzi mercati, andavano a spasso nel mezzo cielo.

• Il cielo di quel paese era sempre pieno di mezzi palloni colorati…

• (TuttiNoi)

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“Un bambino che voleva prendere la luna”

C’era una volta un bambino che voleva prendere la luna, ma non ce la faceva. Allora prese una scala e salì. Ma siccome vide che ci voleva molto tempo, scese, andò a casa e prese una valigia, dentro mise: due panini, un fazzoletto perché sudava, una mela e il coltello.Ritornò sulla scala e salì.Saliva saliva. A un certo punto si stancò, si fermò e si mangiò un panino. Poi teneva sonno e pensò: - Io dormo e poi la prendo domani mattina

alle 4.alle 4.Allora così fece e si mise a dormire. Quando si fecero le quattro non si svegliò e così non potette prendere la luna. La luna se ne era andata e siccome la scala stava appoggiata vicino alla luna, il bambino quando si svegliò, la trovò a terra e disse:- Uh, la luna se ne è andata perché io la

volevo prendere.Quando andò a casa raccontò il fatto alla mamma.La mamma disse:- Quanto sei sciocco! Vuoi prendere la

luna che non si può prendere.

Adele

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L’errore

• Con questa storia trovammo una soluzione nostra al problema del tempo lunghissimo che si impiega nei viaggi tra le galassie.

• “Una notte dei robot, che avevano viaggiato per mille e mille anni nello spazio, scesero sulla Terra con una delle loro navicelle spaziali.

• Dovevano mettere nella pancia di un terrestre un uovo che avevano portato con loro, per far nascere un bambino col corpo come il nostro, bambino col corpo come il nostro, ma con l’intelligenza degli esseri del loro mondo.

• I robot forse non sapevano che il maschio da noi non può avere figli. O forse nel loro mondo il maschio e la femmina facevano i figli.

• Certo è che fecero una cosa assai strana.

• Presero un marito, se lo portarono sulla loro navicella spaziale, lo operarono e nella pancia gli misero un uovo.

• Dopo lo riportarono a casa sua.• Quando si svegliò non si ricordò

di niente e non si accorse di niente…

• (Tutti Noi)

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Nel paese della gente di vetro

• Questa è la più bella metafora che immaginammo sul comportamento della gente pavida, di quelli che hanno paura dei cambiamenti.

• “In un paese viveva la gente di vetro.

• Per la via camminava piano piano e nessuno si toccava con l’altro per paura di rompersi, e di morirre.

• In quel paese, però, la gente non • In quel paese, però, la gente non era nata così. Era stato un Mago a farla diventare di vetro per leggere i pensieri nelle loro teste e per comandarli…

• Quando finalmente riuscirono a togliersi la corazza di vetro… salirono sulla montagna dove stava il castello del Mago. Era fuggito. Era andato in altri paesi per far diventare altra gente di vetro….

• La gente liberata partì alla ricerca del Mago… Quella gente è sempre in giro per il mondo. Forse arriveranno anche nella nostra città, se tra di noi ci sono uomini di vetro”.

• (Adele, Amalia, Lello, Sergio e Tutti Noi)

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Riscrivemmo storie che avevamo letto

• “Cecino e il bue”Il lupo ha

divorato la carne della carcassa di un cavallo rubato nelle stalle del nelle stalle del re. Insieme alla carne ha ingoiato Cecino che grida nella pancia del lupo.

• - Ho dell’aria nella pancia –pensò il lupo. E allora lo buttò fuori dal suo corpo.

• (Da “Fiabe Italiane” di I. Calvino).

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Scrivemmo tante “poesie”

Cielo che cammini sempreE vedi un angelo che volaIo vorrei volare come l’angeloOooh! Oooh!Io voglio volareIn cielo!Enza

Tic ticPiovePiove sul mio tettoCade la neveIl sole si nascondeLe nuvole coprono il cieloLe nuvole coprono il cieloIl cielo si fa scuroE io sto quaChe faccio il baccalà.Lucia

Una stella pensa:- Vorrei essere un aquilone.Andrei a giocareCon i bambini.Adele

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E tante altre storie

• Durante i primi quattro anni di questa scuola entusiasmante pubblicammo circa 400 giornalini. Durante il quinto anno interrompemmo la pubblicazione del giornalino e ci dedicammo alla scrittura di un lungo racconto: “Qui Rione Terra… Rispondete!”Rispondete!”

• Di questo racconto scrisse su “PAESE SERA” la giornalista Nora Puntillo; l’architetto Aldo Loris Rossi, vincitore del concorso per la ristrutturazione Rione Terra, volle incontrare la classe per raccontare loro la storia del Rione e far sapere cosa sarebbe divenuto, dopo i lavori di restauro, l’antico Castro di Pozzuoli.

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Qui Rione Terra… Rispondete!

• È il racconto di una protesta. Tutta la classe con il maestro si mettono in contatto con gli alieni con un lancio di palloncini. Gli alieni, Fhill e Thoill, si collegano ai ragazzi e li aiutano nella loro protesta.

• La classe si arrocca nel Rione Terra e i ragazzi chiedono il rispetto dei loro fondamentali diritti. Hanno scoperto che il mondo che li circonda è ostile, minaccioso, degradato. Gli uccelli, loro amici, lanciano volantini sulla città.

• I genitori, le autorità, inutilmente cercano di “liberarli”.

• Gli alieni hanno messo a difesa dei ragazzi una • Gli alieni hanno messo a difesa dei ragazzi una insuperabile barriera di energia.

• Tutti gli animali del paese, con i quali i ragazzi riescono a comunicare da quando hanno incontrato gli alieni, si uniscono alla protesta.

• Gli uccelli bombardano genitori e autorità con i loro escrementi.

• Quando al comune decidono di scendere dall’alto sul Rione con gli elicotteri dell’aeronautica, i ragazzi fuggono con una macchina volante degli alieni.

• A questo punto, Cinzia, un personaggio della storia, si sveglia. Tutto l’accaduto è stato un sogno.

• Lo racconta a scuola. • Decidono di scrivere il libro.

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Il racconto fu pubblicato nel 2000

• In quell’anno gli autori avevano 32 anni. Grazie alla sponsorizzazione della COPIN di Lucio Cosenza, un illuminato imprenditore di Pozzuoli, ebbero la di Pozzuoli, ebbero la sorpresa di veder pubblicato il loro racconto dalla casa editrice “L’isola dei ragazzi” di Napoli.

• Il giorno della presentazione rividi buona parte di quella classe. Fu un momento di profonda commozione.

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La fine di un’esperienza indimenticabile

• La nostra scuola/cooperativa fu sfasciata dal bradisismo.

• Nel 1983 migliaia di scosse di terremoto sconvolsero e atterrirono tutto il nostro paese.

• Si temeva un’eruzione vulcanica come quella del 1538, quando in una notte si formò il Monte Nuovo.

• L e autorità evacuarono tutto il centro antico di Pozzuoli. Una gran parte della popolazione fu dirottata e sistemata alla meglio nella zona di Castelvolturno. Tutti i bambini in età scolastica furono raccolti in locali disponibili situati in un quartiere chiamato “Fontana blu”, nel quartiere chiamato “Fontana blu”, nel Villaggio Coppola.

• Sostenuti dagli enti locali, i docenti e i dirigenti delle scuole chiuse a Pozzuoli realizzarono in breve tempo, con un impegno straordinario ed encomiabile, quella che fu definita “la scuola dell’emergenza”.

• Tutti i docenti avevano perduto le rispettive classi. Si riprese a fare scuola con gruppi di alunni nuovi che si trovavano in quella zona.

• Quando, nel 1985, tornammo a Pozzuoli, non trovammo più la nostra vecchia scuola: l’avevano abbattuta. Ci fu assegnato un edificio di nuova costruzione a Monterusciello, nella zona dei 600 alloggi.

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1985

• • i Programmi didattici del 1985 e le relative disposizioni applicative ed organizzative hanno provocato… la più sconvolgente mutazione della condizione professionale del maestro elementare: distribuzione delle competenze, accordo e corresponsabilità nella programmazione, scelta condivisa di metodo e di didattica, collegialità di valutazione e confronto con i colleghi, non solo con genitori e superiori. È stata la fine del tradizionale maestro tuttologo, ma anche del responsabile unico della classe. Si affermava il concetto rivoluzionario di lavoro collegiale. Per molti maestri non più giovani la lavoro collegiale. Per molti maestri non più giovani la conversione professionale è stata un’autentica sofferenza: bisognava operare rinunce dolorose, abbandonare certezze da tempo collaudate, abdicare al ruolo di unico riferimento per alunni e genitori. Si doveva, con i programmi del 1985, assegnare le classi a più docenti, passare dai fondamentali contenuti nozionistici e strumentali (leggere, scrivere, far di conto) alle molteplici competenze, alle acquisizioni critiche, alla maturazione di una propria metodologia di apprendimento per le diverse discipline. È stato necessario scegliere abbinamenti e relative specializzazioni, evitando tuttavia il paventato rischio di secondarizzazione della scuola primaria.(Elio Reinotti - http://www.scuole.vda.it/Ecole/73/24.htm)

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Dal 1985 al 1997

Legge 5 giugno 1990, n.148• Gli insegnanti sono utilizzati secondo

moduli organizzativi costituiti da tre insegnanti su due classi nell'ambito del plesso di titolarità o di plessi diversi del circolo; qualora ciò non sia possibile sono utilizzati nel plesso di titolarità secondo utilizzati nel plesso di titolarità secondo moduli costituiti da quattro insegnanti su tre classi, in modo da assicurare in ogni scuola l'orario di attività didattica di cui all'articolo 7.

• L'orario delle attività didattiche nella scuola elementare ha la durata di 27 ore settimanali elevabili fino ad un massimo di 30 ore in relazione a quanto previsto dal comma 7.

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Un tentativo di riprendere la scuola interrotta

• Gli anni Novanta portarono la L 148.• L’applicazione di questa legge fu preceduta da

una sperimentazione che permetteva a due insegnanti titolari di lavorare sulle loro due classi parallele, con una divisione dei compiti e degli ambiti disciplinari.

• L’orario rimase di quattro ore giornaliere su sei giorni; all’inizio della terza ora gli insegnanti si scambiavano le classi.

• Fu fatto il tentativo di continuare la scuola • Fu fatto il tentativo di continuare la scuola interrotta dal bradisismo. Riuscimmo soltanto a coinvolgere maggiormente le famiglie, le quali divennero le dirette responsabili della gestione della cassa cooperativa.

• All’inizio dell’anno si tassarono; il fondo cassa fu affidato ad una tesoriera, eletta dai genitori, alla quale le classi si rivolgevano per gli acquisti che necessitavano per tutte le attività.

• Periodicamente i genitori si riunivano per consuntivi spese e approvazione di un bilancio preventivo.

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Intanto come vivevo questa scuola dei moduli?

• Innanzitutto avevo l’impressione di non riuscire a gestire il tempo scuola. Non avevo avuto questa impressione nell’esperienza precedente.

• Il tempo non bastava più. • Improvvisamente bussavano alla porta per il passaggio all’altra classe. • Mi pareva di ricordare che prima “tutto era più semplice, prevedibile,

controllabile. I ritmi della vita, della scuola… scorrevano lenti, ripetitivi, con rituali consolidati”;

• E l’alunno in questo sconvolgimento portato dal vento di una riforma imposta, quali riflessioni mi faceva fare?imposta, quali riflessioni mi faceva fare?

• Il bambino nel tempo cambia. Certamente non era più lo stesso di una volta. Viveva un tempo molto più complesso:

• profondamente condizionato dall’influenza della televisione e dei media in generale;

• trascinato in esperienze extrascolastiche che spesso gli avvelenano la vita, volute “per il suo bene” dai genitori: l’inglese, la musica, la danza, la palestra, ecc.;

• a scuola è passato dall’insegnante unico a più insegnanti che mettono “a dura prova le sue capacità di accettazione, adattamento, sintonizzazione alle diverse lunghezze d’onda”.

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E i docenti?

• Bisognava evitare il paventato rischio di secondarizzazione della scuola primaria, ci veniva sottolineato dalle cosiddette fonti autorevoli.

• E intanto in quel tempo, fine anni Ottanta primi anni Novanta, il mercato della formazione offriva pacchetti ben formazione offriva pacchetti ben confezionati per l’insegnamento della lingua, per l’area logico-matematica e per l’area antropologica. Proposte pareva favorissero quel paventato rischio di secondarizzazione.

• Centinaia di docenti si pagavano i corsi di A. Zoi, di M. Palazzolo, di I. Fiorin. Questi esperti costituivano un gruppo di ricerca avanzata nel campo della didattica disciplinare, sostenuto da una importante casa editrice.

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Gli ultimi dieci anni

• Per gli ultimi dieci anni della mia carriera curai nelle classi del mio modulo l’ambito logico-matematico, che comprendeva anche l’insegnamento della scienza e la formazione musicale.

• Non potei ripetere l’esperienza che ho raccontato all’inizio di questa mia comunicazione. Tuttavia feci sempre il possibile per rendere la mia scuola interessante, divertente. Gli argomenti relativi alle discipline del mio ambito li presentavo sempre in discipline del mio ambito li presentavo sempre in termini problematici, come indovinelli da risolvere. Alle soluzioni si arrivava partendo dalla manipolazione di materiali anche strutturati ( i numeri colorati, i blocchi logici, il multibase);

• i fenomeni scientifici li affrontavamo secondo la procedura del metodo galileano: osservazione, ipotesi, verifica di questa attraverso l’esperimento, scoperta della legge.

• Per la musica facemmo esperienza di ascolto di composizioni di grande suggestione e pratica del flauto dolce. Nella lettura delle note scoprimmo i legami profondi che esistono tra matematica e scrittura della partitura.

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1997

• Quando arrivò quest’anno avevo sessantaquattro anni. Completavo l’ultimo ciclo della mia storia di maestro.

• Dal diploma erano passati con una velocità impressionante 47 anni.

• Una vita intera di studio solitario, affannoso, alla ricerca continua di soluzioni ai problemi del fare scuola;

• un procedere faticoso per tâtonnement, come diceva C. Freinet: un procedere per tentativi.

• Spesso si sbagliava con i ragazzi, ma poi si tentava di nuovo, nuove vie. nuovo, nuove vie.

• E quando riuscivi a farli avanzare con gioia sul cammino della conoscenza, si provava una soddisfazione intima, profonda, che ti ripagava di tutti i sacrifici che ti aveva chiesto l’insegnamento.

• Ero partito da solo, me ne andavo solo. Un saluto dei colleghi e completamente ignorato dal nostro datore di lavoro.

• Ho aperto questo racconto con un pensiero di Marialuisa Bigiaretti. Voglio chiudere con le stesse parole.

• “Bisogna preparare gli insegnanti, non scaraventarli in classe appena finiti gli studi. E poi vanno pagati meglio per

permettere loro l’autoaggiornamento e per esercitare con più dignità questo mestiere altamente difficile”.