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LA NUOVA INFORMAZIONE CARDIOLOGICA Editor: prof. Paolo Rossi Direttore Responsabile: dott. Eraldo Occhetta ([email protected]) Direttore Scientifico: dott. Gabriele Dell’Era ([email protected]) Progetto grafico e realizzazione: Studio27 Progetto Editoriale, Novara – www.studio27snc.it Periodico di informazione cardiologica – Anno 33° – Dicembre 2013 Foglio elettronico 3 a generazione – n°54 [email protected] www.nuovainformazionecardiologica.it SOMMARIO Imaging in cardiologia 2 The “full plastic jacket”. Un caso clinico di trattamento di una lunga lesione dell’arteria interventricolare anteriore con stent riassorbibile Absorb (A. Mattesini MD, R. Parisi MD, G. Gabrio Secco MD) Editoriale 5 Dalla lesione del DNA mitocondriale alla placca aterosclerotica (prof. Paolo Rossi) Leading article 9 Funzione epatica e renale nei pazienti sottoposti a impianto di dispositivi di assistenza ventricolare sinistra a lungo termine (dott.sa V. Faga, dott.sa M. Flora, dott.sa L. Golia, dott. E. Bobbio, dott. D. Sirico, dott. A. Salzano) Focus on… 15 Aritmie - Mortalità cardiovascolare (dott. Gabriele Dell'Era) Medicina e morale 18 Recupero della legge naturale nella relazione medico paziente - VII parte (prof. Paolo Rossi)

LA NUOVA INFORMAZIONE CARDIOLOGICA · Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi, Firenze Rosario Parisi, MD Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,

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LA NUOVA INFORMAZIONECARDIOLOGICA

Editor: prof. Paolo RossiDirettore Responsabile: dott. Eraldo Occhetta ([email protected])Direttore Scientifico: dott. Gabriele Dell’Era ([email protected])Progetto grafico e realizzazione: Studio27 Progetto Editoriale, Novara – www.studio27snc.it

Periodico di informazione cardiologica – Anno 33° – Dicembre 2013

Foglio elettronico 3a generazione – n°54

contatti@nuovainformazionecardiologica.itwww.nuovainformazionecardiologica.it

SOMMARIOImaging in cardiologia 2

The “full plastic jacket”. Un caso clinico di trattamento di una lunga lesione dell’arteria interventricolare anteriore con stent riassorbibile Absorb (A. Mattesini MD, R. Parisi MD, G. Gabrio Secco MD)

Editoriale 5

Dalla lesione del DNA mitocondriale alla placca aterosclerotica (prof. Paolo Rossi)

Leading article 9

Funzione epatica e renale nei pazienti sottoposti a impianto di dispositivi di assistenza ventricolare sinistra a lungo termine (dott.sa V. Faga, dott.sa M. Flora, dott.sa L. Golia, dott. E. Bobbio, dott. D. Sirico, dott. A. Salzano)

Focus on… 15

Aritmie - Mortalità cardiovascolare(dott. Gabriele Dell'Era)

Medicina e morale 18

Recupero della legge naturale nella relazione medico paziente - VII parte(prof. Paolo Rossi)

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The “full plastic jacket”. Un caso clinico di trattamento di una lunga

lesione dell’arteria interventricolare anteriore con stent riassorbibile Absorb

Alessio Mattesini, MDCardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi, Firenze

Rosario Parisi, MD Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale,

Università degli Studi del Piemonte Orientale, Novara

Gioel Gabrio Secco, MD3 Cardiologia Interventistica, A. O. “Ospedali Riuniti Marche Nord”, “San Salvatore”, Pesaro

[email protected]

IMAGING in cardiologia

INTRODUZIONE

Gli stent riassorbibili a rilascio di Everolimus (Ab-sorb -BVS; Abbott Vascular, Santa Clara, Calif) hanno suscitato molto interesse tra i cardiologi clinici ed interventisti. Infatti uno stent che svolge il proprio compito per poi scomparire presenta po-tenzialmente notevoli vantaggi (1). Quando il pro-cesso di guarigione del vaso è terminata, la scom-parsa dello stent permetterebbe un recupero della vasomotilità, non precluderebbe futuri interventi di rivascolarizzazione chirurgica ed eliminerebbe il rischio di trombosi di stent tardiva (2, 3). Oltre a ciò, il materiale radiotrasparente permette un’ot-tima visualizzazione del BVS tramite tecniche di imaging non invasivo (4). Tuttavia le caratteristiche meccaniche dello stent riassorbibile Absorb diffe-riscono notevolmente da quelle dei moderni stent metallici di seconda generazione (DES – BMS). Le maglie dell’Absorb presentano uno spessore qua-si doppio rispetto agli stent tradizionali così da rendere più difficile l’avanzamento dello stesso,

soprattutto in vasi tortuosi ed attraverso lesioni complesse (5). Inoltre la minore elasticità limita la possibilità di oversizing dopo impianto rendendo necessaria una meticolosa scelta delle dimensioni che spesso richiede l’ausilio dell’imaging intrava-scolare (6, 7). Mancando dati circa la capacità di Absorb ad ostacolare il recoil di placca è racco-mandata una aggressiva preparazione della lesio-ne ed una accurata post-dilatazione dello stent (8). Paradossalmente, i pazienti che potrebbero mag-giormente beneficiare del trattamento con Absorb, presentano spesso lesioni coronariche complesse. Infatti, il trattamento di lesioni brevi ed in pazienti stabili con stent metallici medicati di nuova gene-razione, fornisce un ottimo outcome sia in acuto che a lungo termine rendendo meno attraente l’i-dea di utilizzo di un nuovo device. In questo caso clinico descriviamo il trattamento di una lunga le-sione della discendente anteriore in paziente gio-vane con impianto di stent multipli Absorb.

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CASO CLINICOUn uomo di 49 anni, iperteso e dislipidemico, giun-geva alla nostra attenzione per angina da sforzo ingravescente (CCS 3). La coronarografia, eseguita con accesso radiale destro, evidenziava la presenza di una stenosi non critica della discendente anterio-re al tratto prossimale e di una lunga lesione critica che si estendeva a tutto il tratto medio e distale (Fi-gura 1). Considerando la giovane età e la sede della lesione, abbiamo dovuto scegliere se demandare il paziente ad una rivascolarizzazione di tipo chirur-gico per il trattamento di vaso singolo o procedere alla rivascolarizzazione percutanea. In questo caso, l’impianto di multipli stent metallici avrebbe pre-sentato sia un maggior rischio di restenosi preclu-dendo eventuali future opzioni chirurgiche. Per tali motivi abbiamo deciso di procedere a rivascolariz-zazione percutanea tramite utilizzo di BVS. Il primo tentativo di imaging intracoronarico della placca tramite Optical Coherence Tomography (FD-OCT, St Jude, Minneapolis, MN, USA) è risultato inefficace per impossibilità a crossare la lesione stessa. Ab-biamo pertanto eseguito aterectomia della lesione con sistema rotablator (Boston Scietific, Natick, MA, USA) e successiva valutazione OCT (Figura 1). Dopo multipli gonfiaggi di palloni non-complianti abbia-mo impianto tre stent riassorbili Absorb in parziale overlap. Gli stent sono stati poi ottimizzati ponen-do estrema attenzione alle pressioni di gonfiaggio per evitare eccessiva sovradistensione e permette-re una corretta rastremazione degli stessi in sen-so cranio-caudale. Sia l’angiografia che il controllo OCT hanno mostrato un buon risultato finale (Figu-ra 2). Inoltre la naturale conformazione anatomica curva del vaso risultava pressoché preservata a di-mostrazione dell’ottima conformabilità dello stent riassorbibile Absorb. Il paziente veniva dimesso in buone condizioni cliniche con terapia medica po-tenziata dall’avvio di duplice antiaggregazione pia-strinica. Al follow-up di sei mesi il paziente rimane asintomatico ed in ottime condizioni generali.

DISCUSSIONEIl nostro caso clinico rappresenta un esempio di potenziale utilizzo dello stent riassorbibile Absorb. Pur in assenza di dati scientifici, il sottogruppo di pazienti giovani con lunga malattia della discenden-te anteriore, dovrebbe intuitivamente beneficiare del trattamento con uno stent capace di “scompa-rire” dopo circa 2 anni dall’impianto. Il primo mo-tivo, che ha guidato la nostra scelta clinica, è rap-presentato dal non precludere una futura possibile

rivascolarizzazione coronarica di tipo chirurgico. Inoltre, qualora i dati sul recupero di vasomotilità evidenziati nel trial Absorb Coorte A (2) fossero con-fermati su più vasta scala, tale aspetto potrebbe es-sere rilevante nei pazienti di giovane età, fisicamen-te attivi, in cui la conservata vasomotilità permette una adeguata riserva coronarica in caso di esercizio aerobico moderato-intenso. Inoltre proprio questa classe di pazienti, a causa del naturale decorso della patologia coronarica, rappresenta quella con maggiori probabilità di nuovi controlli angiografici. La possibilità di valutare la pervietà dello stent con tecniche di imaging non invasivo quali angio-TC od angio-RMN rappresenta un importante potenziale vantaggio. A fronte di tali aspetti positivi è dovero-so sottolineare i limiti della tecnologia degli scaf-fold riassorbibili. Al momento sono disponibili pochi dati circa la sicurezza ed efficacia di questo stent, perlopiù provenienti da trial con scarsa numerosità e criteri di arruolamento molto restrittivi. Gli uni-ci confronti con stent “metallici” medicati derivano da studi che utilizzano sofisticati metodi statistici e che hanno dimostrato solamente una non inferiori-tà dello stent riassorbibile (9, 10). Inoltre, come già discusso, il BVS, non possedendo le stesse qualità meccaniche dei DES-BMS di ultima generazione, richiede una grande attenzione durante impianto. Il nostro caso clinico né è un esempio. Qualora infatti la lesione fosse stata trattata con stent “classico” metallico l’aterectomia della lesione non sarebbe, verosimilmente, risultata necessaria. In conclusione, l’utilizzo di BVS nel trattamento di lesioni complesse può dare ottimi risultati in acuto e a medio termina. Questo a prezzo di una estrema attenzione nell’impianto in tutte le sue fasi. Inoltre, in attesa della presentazione di ulteriori dati scien-tifici è auspicabile un attento follow-up in registri prospettici non sponsorizzati.

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Figura 1. L’angiografia coronarica mostra la presenza di lesioni multiple a carico dell’arteria discendente anteriore al tratto medio e distale. Il controllo OCT post-aterectomia rotazionale conferma la presenza

di malattia fibro-calcifica e permette un corretto sizing del diametro vasale.

Figura 2. La coronarografia finale mostra un buon risultato angiografico finale confermato dal controllo OCT che evidenzia buona espansione ed apposizione degli stent Absorb. Da notare la preservata curvatura del vaso.

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Dalla lesione del DNA mitocondriale alla placca aterosclerotica

EDITORIALE

Il DNA (acido desossiribonucleico) è un acido nu-cleico che contiene le informazioni genetiche ne-cessarie alla biosintesi di proteine. Il DNA può essere descritto come una doppia ca-tena polinucleotidica di adenina, guanina, cito-sina e timina (A,T,C,G), antiparallela, orientata, complementare, spiralizzata, informazionale. Il processo di traduzione genetica (o sintesi protei-ca) è possibile solo in presenza di una molecola intermedia di RNA, in cui al posto della timina, è presente l'uracile.L’aterosclerosi è una malattia insidiosa che può rimanere invisibile o nascosta per decadi prima che diventi manifesta nella forma di un ictus o un infarto miocardico, spesso mortali. Molti dati fanno ritenere che la crescita della placca atero-sclerotica sia influenzata dalla lesione del DNA mitocondriale.

IMPATTO GLOBALE DELLE MALATTIE

Si stima che in Italia il tasso di incidenza degli eventi coronarici maggiori sia intorno a 227 casi ogni centomila uomini e di quasi 98 casi ogni cen-tomila donne. Il tasso di incidenza è più alto al Sud sia per gli uomini (quasi 240 ogni centomi-

la uomini) che per le donne (104 ogni centomila donne), e sotto la media nazionale al Nord (221 per gli uomini e 93 per le donne); in linea al Cen-tro (228 per gli uomini e 100 per le donne) (1). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto con il progetto Global Burden of Di-seases la necessità di valutare lo stato di salute delle popolazioni anche in termini di morbidità, oltre che di sopravvivenza in vita, e conseguente-mente di valutare l’attuale e futuro impatto glo-bale di malattie ed incidenti (Burden of Disease, BOD) in termini non solo di mortalità precoce, ma anche di ridotta qualità della vita a seguito di una patologia invalidante. Nel BOD viene usata una misura complessa dell’impatto delle singole patologie denominata DALYs (Disability Adjusted LifeYears), che è deter-minata dalla somma degli anni di vita vissuti con disabilità (Years of Life lived with Disability, YLDs) e degli anni persi per mortalità precoce (Years of Life Lost, YLLs). La più recente valutazione del carico globale di malattie è lo studio 2010 (GBD 2010), che fornisce risultati riferiti agli anni 1990, 2005, e 2010. Molte centinaia di ricercatori hanno collaborato per riassumere risultati precisi per il mondo e 21 regioni epidemiologiche riportati nel The Lancet del dicembre 2012 (11-18)(2-7).

Prof. Paolo Rossi

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La rilevanza dell’ictus e dell’infarto del miocar-dio come problema sanitario emerge prendendo in considerazione le stime di impatto valutate dall’OMS per l’anno2002 e pubblicate nel World Health Report 2004. Secondo queste stime, l’ictus si colloca al sesto posto nel mondo, in termini di DALYs (3,3% sul totale), e al terzo nei paesi del-la Comunità Europea, ove è preceduto dalla car-diopatia ischemica (secondo posto CE, quinto al mondo con 3,9% dei DALYs totali). Il confronto dell’aspettativa di vita (life expectancy LE) con gli anni di salute perduti, è stato definito come differenza fra health-adjusted life expectan-cy (HALE) e aspettativa di vita. I risultati sono stati visualizati per ciascun paese per il 1990 e il 2010 (per visualizzare le immagini del link attivare pri-ma Google Chrome).GBD 2010 healthy years lost vs life expectancy In-stitute for Health Metrics and Evaluation.htm

MORTALITÀ NELLE MALATTIE CARDIO-CEREBRO VASCOLARI Già dalla fine degli anni ’90 la cardiopatia ische-mica e le malattie cerebro vascolari occupavano rispettivamente i primi due posti tra le diverse cause di mortalità a livello mondiale, mostrando un andamento epidemiologicamente progressivo e incostante aumento in ogni parte del mondo. Attualmente, le malattie cardio-cerebro vascola-ri sostengono circa la metà dei decessi nei pae-si sviluppati e circa un quarto in quelli in via di sviluppo. Si stima che nel 2020 esse causeran-no la morte di oltre 25 milioni di persone sul no-stro pianeta, consolidandosi al primo posto tra le cause di mortalità e disabilità. Anche in Italia la mortalità per malattie cardiovascolari occupa il primo posto (44% di tutte le morti). Tra queste, la quota maggiore è attribuibile ai disturbi circola-tori dell’encefalo (nel 2001, 65.329 decessi, pari all’11,7% di tutti i decessi), seguiti dall’infarto del miocardio (34.478 morti, pari al 6,2% del totale).

DISABILITÀ DA CARDIOPATIA ISCHEMICA E MALATTIE CEREBROVASCOLARIOltre a rimanere la principale causa di morte, le malattie cardiovascolari saliranno al primo posto,

nel 2020, in termini di disabilità. Considerando in-fatti gli anni potenziali di vita perduti, cioè gli anni che ciascun deceduto avrebbe vissuto se fosse morto ad un’età pari a quella della sua speranza di vita, le malattie cardiovascolari in Italia tolgono ogni anno oltre 300.000 anni di vita agli infra-ses-santacinquenni. Inoltre, chi sopravvive ad una forma acuta di diventa spesso un malato cronico, con notevoli ripercussioni sulla sua qualità di vita e sui costi economici e sociali che la comunità deve sopportare. Anche in Italia tale graduatoria è rispettata: la cardiopatia ischemica è al secondo posto con il 6,6% del totale dei DALYs e le malattie cerebrova-scolari al terzo con il 5,7%. Oltre 900 000 Americani subiscono annualmente un attacco cardiaco (8); per rispondere alla forte necessità di sviluppare migliori trattamenti o ap-plicare interventi di prevenzione, sarà necessario comprendere meglio i processi causali primari. La gran parte dei dati evidenzia che l’ateroscle-rosi è iniziata da una lesione endoteliale croni-ca come risposta all’accumulo di lipoproteine di bassa densità e ossidate nella parete vasale, che provoca una risposta infiammatoria (9). In questo processo sono bene riconosciuti il coinvolgimento di elevate livelli di lipidi circolanti e lo stress ossi-dativo (Figura 1).

Figura 1. Un diagramma dei cambiamenti progressivi che si verificano nella parete vasale

(dall’alto verso il basso) durante l’aterosclerosi, descritti in dettaglio nel testo.

ATP indica adenosina trifosfato; LDL, lipoproteine a bassa densità;

oxLDL, lipoproteine a bassa densità ossidate; e VSMC, cellule muscolari lisce vascolari.

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Tuttavia, rimangono alcune domande critiche, quali: a. che cosa provoca il peggioramento progressivo

della placca aterosclerotica invece della sua riso-luzione;

b. che cosa trasforma placche stabili relativamente innocue, in placche vulnerabili che sono incline a rompersi e conducono alla formazione di trombi.

I principali fattori di rischio dell’aterosclerosi in-cludono, ipertensione sistemica, lipidi plasmatici elevati, fumo, diabete mellito, e età. Molti di que-sti danneggiano i mitocondri, suggerendo l’idea che la lesione mitocondriale è coinvolta nella cre-scita della placca (9).

IMPORTANZA DEI MITOCONDRI

I mitocondri sono organelli importanti presenti nel citoplasma cellulare che non solo producono energia generando ATP, ma generano come pro-dotto di scarto anche un superossido, un radicale dell’ossigeno fortemente reattivo, che è rapida-mente trasformato in perossido d’idrogeno. Que-sti composti reattivi di ossigeno (reactive oxygen species ROS), possono danneggiare proteine cel-lulari, membrane, e DNA. Mentre il DNA genomico è relativamente bene isolato nel nucleo ed è protetto da istoni, il DNA mitocondriale (mtDNA), che codifica molte pro-teine essenziali nella catena di trasporto degli elettroni mitocondriali, è suscettibile al danno ossidativo. Ciò implica che il ROS mitocondriale possa stimolare un circolo vizioso in cui ROS dan-neggia mtDNA, generando più ROS mitocondria-le, che ulteriormente danneggia mtDNA, finché la cellula è fatalmente danneggiata e subentra la morte per apoptosi (9). In una serie completa e complessa di esperimen-ti, Yu et al. (10) hanno recentemente esaminato con molta accuratezza, in diversi modelli di topi transgenici, se le mutazioni mitocondriali sono realmente causali nella crescita della placca ate-rosclerotica. Con questi risultati:1. La lesione mtDNA porta all’aterosclerosi di-

minuendo l’attività respiratoria mitocondriale (come è indicato nella figura)

2. Le dimensioni della placca aterosclerotica au-mentano in relazione significativa con l’aumen-to delle lesioni del mtDNA fornendo la prova

diretta del legame tra lesione di mtDNA e ate-rosclerosi. Ma, sebbene la lesione di mtDNA può certamente esacerbare l’aterosclerosi, la patogenesi non coinvolge l’aumento di produ-zione dei radicali dell’ossigeno (ROS).

3. Con il trapianto di midollo osseo si è dimostra-to che le sole cellule ematiche non influenza-no la dimensione della placca aterosclerotica, implicando che il bersaglio critico è il mtDNA delle cellule muscolari lisce vascolari. Tuttavia, la lesione di mtDNA nei monociti aumentava il centro necrotico e diminuiva il cappuccio fi-brotico della placca indicando che la lesione di mtDNA nei monociti può provocare un aumento della vulnerabilità della placca.

Osservazione importante perché i fattori che au-mentano la vulnerabilità della placca costituisco-no importanti potenziali obiettivi terapeutici.Per completare lo studio, gli Autori si sono rivolti ad una popolazione umana con la ricerca VIVA (Virtual Histology in Vulnerable Atherosclerosis) per esaminare se mtDNA dei leucociti correlava con l’estensione dell’aterosclerosi o la vulnera-bilità della placca. In questo studio prospettico, la composizione della placca fu valutata me-diante ultrasuoni intravascolari (fibrosi, grasso, necrosi, calcificazioni) in 1096 placche di 170 pazienti (11). Il fibroateroma a cappuccio sottile conferisce il più alto rischio di successive eventi cardiovascolari (11,12). È interessante il fatto che, quando le lesioni del DNA mitocondriale (mtDNA) furono quantificate, risultarono essere associate eclusivamente con questo tipo lesione aterosclerotica (10). D’altro lato, i composti mtDNA non risultarono essere associati con le variabili demografiche del pa-ziente, comprendenti fumo, età, sesso, o terapia farmacologica. Tuttavia, i composti mtDNA furono associati positivamente con diabete mellito, e ne-gativamente con colesterolo serico.Se non è il radicale dell’ossigeno (ROS) che uni-sce la lesione mtDNA all’aterosclerosi, allora che altro è? I mitocondri hanno altre rilevanti funzio-ni oltre a quella della generazione energia con la formazione di ATP, quali: a. sintesi di heme;b. omeostasi del Ca2+; c. eliminazione di aldeidi tossiche; d. un ruolo cruciale come arbitri della morte cellu-

lare apoptotica e necrotica (13).

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Allora, una situazione probabile è che la lesione mtDNA diminuisce i livelli di ATP, fino a che le cellule affamate di energia muoiano di apoptosi nella placca. Molto interessane è la recente dimostrazione che con l’invecchiamento si accumulano mutazioni, come espansione di errori di replicazione di mtD-NA (14). I mezzi per migliorare la salute dei mitoc-

ndri sono ancora da scoprire. Qualche volta accade, tuttavia, che i più vecchi rimedi rimangono i migliori. Uno studio recente molto attraente dimostra che l’invecchiamento precoce e la morte in topi polG possono essere ri-tardati di parecchi mesi ringiovanendo la funzione mitocondriale e diminuendo l’apoptosi con eserci-zi di resistenza (15).

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Funzione epatica e renale nei pazienti sottoposti a impianto di dispositivi

di assistenza ventricolare sinistra a lungo termine

LEADING ARTICLE

Dott.ssa Valentina Faga*, Dott.ssa Martina Flora*, Dott.ssa Luisa Golia*, Dott. Emanuele Bobbio,

Dott. Domenico Sirico, Dott. Andrea Salzano Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali ,

Università degli Studi di Napoli Federico II

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INTRODUZIONE

I sistemi di circolazione assistita prolungata si sud-dividono, in base al grado di supporto che forniscono all’assistenza ventricolare, in due grandi categorie: i Total Artificial Heart (TAH), cuore artificiale totale, con la funzione di pompa cardiaca completamente vicariata dal dispositivo e i Ventricular Assist Device (VAD), dispositivi di assistenza ventricolare, che in-vece hanno il compito di supportare il cuore nella sua funzione (1-2). L’impianto dei dispositivi di assistenza ventricolare (VAD) è divenuto oramai un approccio terapeutico standard nei pazienti con insufficienza cardiaca cro-nica in fase terminale (3-4). I VAD, siano essi dispo-sitivi per il ventricolo sinistro (LVAD), per il ventricolo destro (RVAD) o bicamerali (BiVAD), sono basati su un meccanismo di funzionamento comune: il sangue viene rimosso dal ventricolo oramai non più in grado di immettere sangue secondo i fabbisogni dell’orga-nismo e, attraverso una pompa di tipo idraulico, indi-rizzato verso l’aorta o l’arteria polmonare.

Gli LVAD sono i dispositivi più comunemente uti-lizzati nella terapia dell’insufficienza cardiaca severa; nei casi in cui, a causa di resistenze ele-vate nell’arteria polmonare, si renda necessario anche l’assistenza della funzione ventricolare destra, vengono presi in considerazione anche i BiVAD.Le pompe utilizzate possono essere di tipo pulsatile, con valvole di afflusso e di efflusso che pompano il sangue in un'unica direzione, o a flusso continuo, che creano un flusso unidirezionale senza l’utiliz-zo di valvole (Figura 1). I dispositivi pulsatili costi-tuiscono la prima generazione di pompe introdotte nella clinica ma sono formati da diverse parti mo-bili, hanno grandi dimensioni e devono essere im-piantati in posizione intra e para corporea. La se-conda generazione di pompe, invece, è costituita da dispositivi a flusso continuo, formati da una singola parte mobile, di piccole dimensioni, che ne permet-te la collocazione intracorporea.

*F.V,F.MeG.Lhannocontribuitoinegualmodoallastesuradell’articolo

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Le pompe a flusso continuo si preferiscono quindi a quelle a flusso pulsatile di vecchia generazione, poiché sono di dimensioni ridotte, presentano mi-nori tassi di complicanze ed hanno una maggiore durata (5-6).Le finalità di utilizzo degli LVAD sono sostanzial-mente di tre tipi: “bridge therapy”, quando cioè le condizioni cliniche del paziente in attesa di tra-pianto declinano rapidamente prima che sia stato trovato un possibile donatore, funzionando quindi come “ponte al trapianto”; “bridge to recovery”, in pazienti nei quali ci si aspetta un recupero della funzione ventricolare sinistra soddisfacente, es-sendo quindi “ponte fino al recupero”; “destination therapy”, in quei pazienti non elegibili, per la pre-senza di controindicazioni maggiori, al trapianto cardiaco, ma la cui funzione ventricolare è ormai del tutto insufficiente. Le indicazioni complete sono riportate in Tabella 1. Per quanto riguarda la “bridge therapy”, sono stati testati e validati diversi dispositivi, sia di prima che di seconda generazione. I più recenti sono di piccole dimensioni, producono un flusso continuo di più di 5 L/min e mostrano, rispetto ai vecchi modelli, dei vantaggi quali maggiore durata, facile maneggevo-lezza e funzionamento silenzioso. Gli LVAD, inoltre, hanno mostrato essere validi sup-porti nella terapia “bridge to recovery”, essendo utilizzati con successo anche in attesa di un miglio-ramento in quei pazienti nei quali il recupero della funzione ventricolare è da considerarsi possibile o probabile (si pensi all’insufficienza cardiaca acuta conseguente a chirurgia cardiaca, all’infarto acuto del miocardio complicato da shock cardiogeno e allo shock cardiogeno conseguente ad una miocar-dite acuta). Per quanto riguarda la destination therapy, infine, diversi trial hanno mostrato l’efficacia, confrontata alla terapia medica ottimale, nei pazienti con in-sufficienza cardiaca terminale non candidabili al trapianto. Tra questi spicca lo studio REMATCH (Randomized Evaluation of Mechanical Assistance in the Treatment of Heart Failure) dal quale risulta un incremento sia della sopravvivenza nei pazienti sottoposti a impianto di LVAD (52% versus 25% a un anno e 23% versus 8% a due anni), sia della qualità di vita (7). Tra i numerosi marker predittivi della sopravvivenza a lungo termine nei pazienti sottoposti a supporto mediante LVAD, la funzione epato-renale è consi-derata uno dei principali indici predittore di soprav-vivenza a lungo termine (8-9); d’altro canto, una buona funzione d’organo è considerata essenziale

per supportare il dispositivo, soprattutto in una pa-tologia come l’Insufficienza Cardiaca Cronica, con-siderata ormai non più una patologia che interessa esclusivamente il cuore, ma una patologia sistemi-ca, che vede i suoi effetti ed alcune delle sue cause fisiopatologiche in organi diversi.In questa direzione, dopo l’incoraggiante lavoro di Russel (8) recentemente è stato pubblicato un in-teressante studio su “Heart, Lung and Circulation”, in cui Deo et al hanno studiato i cambiamenti nella funzione epato-renale in pazienti portatori di LVAD a flusso continuo per una durata totale di 12 mesi di follow up.

MATERIALI E METODIDa una popolazione di 126 pazienti sottoposti ad impiantato di LVAD a flusso continuo tra il gennaio 2007 ed il giugno 2011 presso la Mayo Clinic , sono stati studiati 61 pazienti che hanno avuto un follow up superiore ai 6 mesi; di questi pazienti sono sta-te monitorate in maniera retrospettiva la funziona-lità renale e la funzionalità epatica ad un mese, 6 mesi e ad 1 anno dall’impianto. Come marcatore di funzionalità metabolica epatica è stata utilizzata la bilirubina totale, a nostro parere un buon marker (basti pensare che è uno dei principali parametri del MELD score, utilizzato nei pazienti affetti da cir-rosi epatica al trapianto di fegato) mentre la funzio-ne di sintesi è stata valutata mediante l’albumina sierica. È da sottolineare che l’albumina sierica è stata analizzata solo a partire dal follow up a 6 mesi dall’impianto, poiché i pazienti, nell’esecuzione del-la procedura, ricevono routinariamente infusioni di albumina e ciò avrebbe costituito un bias nell’inter-pretazione dei risultati.La funzione renale è stata valutata tramite BUN e creatinina; ai pazienti dializzati è stato attribu-ito il valore arbitrario di creatininemia di 4 mg/dl, utilizzando anche in questo caso un cutoff del MELD score. È stata inoltre effettuata una sotto-analisi 56 pa-zienti ad alto rischio (HCrB), costituito dagli indivi-dui con valori di bilirubina o creatinina al di sopra del 25° percentile della popolazione in esame.

RISULTATI

Le caratteristiche baseline delle due popolazioni in esame sono mostrate in tabella 2 .Per il 32% dei pazienti è stato necessario l’utilizzo del contropulsatore aortico in fase pre-impianto,

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mentre il 67% dei pazienti ha ricevuto un suppor-to inotropo endovenoso intraprocedurale. La so-pravvivenza ad 1 anno per l’intera coorte è stata dell’81.3±7%.

Popolazione intera

Funzionalità renaleAnalizzando la funzione renale, ad un mese dall’impianto è stato riscontrato un miglioramen-to significativo dei valori di creatinina (p≤0,0001); tuttavia, tale miglioramento viene meno nei follow up successivi, dove si osserva un graduale declino della funzione renale, come dimostrato dal corri-spondente incremento della creatininemia e del BUN durante il restante periodo di follow-up, con valori a un anno comunque ridotti rispetto al base-line (Figura 2a).La terapia dialitica è stata necessaria solo in 2 pazienti su 63 (3% dei pazienti, entrambi apparte-nenti al gruppo HCrB).

Funzionalità epaticaÈ stata osservata una significativa riduzione dei li-velli di bilirubina sierica tra il pre-operatorio e ad un mese dall’intervento (p=0,0005). Al contrario della funzione renale, tale trend di riduzione continua fino ad 1 anno, come dimostrato nella Figura 2b.L’albumina sierica è incrementata da 3,8 del pre-o-peratorio a 4,2 a 6 mesi dall’intervento (p<0.0001). C’è stato un ulteriore incremento significativo negli ultimi sei mesi (p=0,002).

Gruppo HCRB

I pazienti appartenenti al gruppo a più alto rischio avevano una maggiore pressione atriale destra me-dia (18 mmhg vs 15 mmhg).Il tempo medio di permanenza dell’LVAD è stato di circa 9.8 mesi. La mortalità precoce è stata di 8 individui su 56 (14%), valore significativamente più elevato del resto della coorte (4%, con p=0,06). La sopravvivenza ad 1 anno è stata del 77±7,4%. Come ci si poteva aspettare, la necessità di ri-correre alla dialisi è stata maggiore in questo gruppo (p=0,03). Mentre 16 pazienti (28%) sono deceduti entro 1 anno dall’impianto, il restante 72% è stato sottoposto o a trapianto cardiaco o ha mantenuto l’LVAD come supporto permanente.La creatinina si è ridotta significativamente alla fine del primo mese (p<0,0001)(Figura 3a). Al con-trario dell’intera coorte, i valori si sono abbassati

nel corso dei primi sei mesi, per poi stabilizzarsi fino ad 1 anno. È stata inoltre osservata una riduzione del 30% dei valori di bilirubina nel primo mese (p=0,0005)(Figura 3b). Tale tendenza positiva è continuata per l’intero anno, raggiungendo un livello minimo di 0,7 (p=0,0005).

DISCUSSIONEÈ stato ampiamente dimostrato in letteratura l’ef-fetto benefico del supporto circolatorio meccanico nei pazienti affetti da Insufficienza Cardiaca Cronica in stadio terminale.Considerato in passato solo come un supporto tera-peutico da utilizzare in attesa di trapianto cardiaco, nel 2001 Rose ha evidenziato i benefici dell’uso degli LVAD anche nei pazienti non candidabili al trapianto (destination therapy)(7).Il primo studio incentrato sulla valutazione dei benefici dei dispositivi a flusso continuo sulla fun-zione epato-renale, pubblicato da Russel et al (8) ha dimostrato un miglioramento della funzionalità di entrambi gli organi; a differenza dello studio di Deo et al, in questo studio vi è periodo di follow-up più breve, a causa della natura stessa della popo-lazione presa in esame: i soggetti erano infatti in Bridge therapy, mentre nell’articolo da noi presen-tato sono considerati pazienti ai quali è stato im-piantato un dispositivo con tutte le finalità prima illustrate (in particolare i 2/3 utilizzavano il dispo-sitivo come destination terapy).Sebbene il trend positivo della funzione renale, dopo l’iniziale miglioramento, si modifichi nel corso dei mesi, attestandosi comunque a livelli più bassi di creatinina rispetto al basale, va considerato che l’impianto stesso degli LVAD, nonostante la terapia anticoagulante instaurata, crea uno stato fisiopa-tologico di emolisi subclinica, condizione sicura-mente favorente il progressivo peggioramento della funzione renale. Una possibile ulteriore spiegazione potrebbe trovarsi nell’aumento della massa musco-lare registrato nei pazienti sottoposti ad impianto, con un conseguente incremento proporzionato del-la creatininemia. La crescita graduale dell’albumi-nemia evidenziata da questo studio durante il perio-do follow up potrebbe supportare tale teoria.Sebbene quindi non sia possibile esprimere un giu-dizio finale circa la funzionalità renale, è da con-siderarsi positivo il trend di miglioramento, consi-derando che i valori finali si attestano comunque a livelli migliori di quelli di partenza. Interessante è inoltre l’osservazione che il trend positivo è invece

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conservato nei soggetti appartenenti alla sottopo-polazione ad altro rischio; un dato da sottolineare è inoltre che, sebbene vi sia una maggiore necessità di terapia dialitica nelle prime fasi post-intervento, nella maggior parte degli individui i parametri di laboratorio tendono poi a normalizzarsi, senza più necessità della terapia dialitica.

Per quanto riguarda la funzione epatica, è noto che negli stadi terminali dell’ICC vi è una combinazio-ne di vari fattori, quali la congestione e la limitata perfusione degli organi periferici, che determina un peggioramento della funzionalità epatica (10). Nello studio in questione è dimostrato un miglioramen-to della funzionalità epatica, già a partire dal primo mese di follow up, con un trend positivo che si man-tiene anche a 6 mesi e ad 1 anno. Russel et al, inve-ce, mostrano nel loro studio un leggero incremento della bilirubinemia nella terza settimana post-tra-pianto, sebbene questo lieve peggioramento sia li-mitato ad un breve periodo, in quanto si osserva poi il trend positivo qui descritto. Si potrebbe ipotizzare, dal punto di vista fisiopatologico, che l’impianto del LVAD, aumentando l’output cardiaco e quindi il pre-carico ventricolare destro derivante da un maggiore ritorno venoso, potrebbe peggiorare, temporanea-mente e nelle fasi più precoci, la funzione ventri-colare destra. Successivamente, decongestionando le camere cardiache destre con conseguente ridu-zione della pressione venosa, la funzionalità epatica migliora, e tali miglioramenti sono visibili anche a lungo termine.Tra i limiti dello studio è sicuramente da segnala-re il fatto che si tratta di uno studio monocentrico, che i dati sono analizzati in maniera retrospettiva e che la numerosità non è elevata. Inoltre la coorte di pazienti ad alto rischio comprende una parte trop-po ampia della popolazione totale e sarebbe invece interessante vedere i pazienti con prognosi iniziale peggiore come si comportano.

CONCLUSIONIIn un’ottica moderna di inquadramento sistemico di una patologia come l’ insufficienza cardiaca croni-ca, la dimostrazione che sia la funzione epatica sia quella renale possano giovarsi dell’impianto di un LVAD è un dato molto incoraggiante. La dimostrazione che i pazienti con funzionalità epato-renale più compromessa sono ugualmente responsivi alla terapia con LVAD, permette inoltre di considerare la circolazione meccanica assistita come una reale possibilità nell’armamentario te-

rapeutico dei pazienti in fase terminale dell’Insuffi-cienza Cardiaca Cronica, soprattutto in quei pazienti dove il trapianto cardiaco non è un opzione prati-cabile. Sarebbe auspicabile l’estensione di questa casistica e il coinvolgimento di più di un centro di riferimento, per poter standardizzare e rafforzare queste importanti risultati.

Dall'articolo originale: Deo SV, Sharma V, Altarabsheh SE et al.,

Hepatic and Renal Function with Successful Long-term Support on a Continuous Flow Left Ventricular Assist Device Heart Lung

Circ 2013 3, http://dx.doi.org/10.1016/j.hlc.2013.07.021

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Figura 1. Da Slaughter MS, Rogers JG, Milano CA et al. N Engl J Med. 2009.

Figura 2 a. Box-plot dei cambiamenti della creatinina sierica nella popolazione intera.

Figura 2 b. Box-plot dei cambiamenti della bilirubina sierica nella popolazione intera.

Figura 3 a. Box-plot dei cambiamenti della creatinina sierica nel gruppo di pazienti ad alto rischio.

Figura 3 b. Box-plot dei cambiamenti della bilirubina sierica nel gruppo di pazienti ad alto rischio.

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Tabella 1. Indicazioni all’impianto di VAD (da Rigatelli G, Santini F, Faggian G. J Geriatr Cardiol, 2012)

Tabella 2. Variabili basali dei pazienti che hanno impiantato LVAD per un anno

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Aritmie - Mortalità cardiovascolare

FOCUS ON...

ASSOCIAZIONE TRA LE CARATTERISTICHE DI QUARTIERE E LA PROBABILITÀ DI RICEVERE UNA CPR AVVIATA DAGLI ASTANTI

Contesto. La probabilità di ricevere una rianima-zione cardiopolmonare (RCP) iniziata dagli astanti nelle persone che hanno un arresto cardiaco ex-traospedaliero può essere influenzata dalle carat-teristiche del quartiere dove avviene l’arresto.Metodi. Sono stati analizzati i dati di sorveglianza prospettica registrati in 29 siti americani dal “re-gistro di arresto cardiaco per favorire la soprav-vivenza” tra il 1° ottobre 2005 ed il 31 dicembre 2009. Sono stati valutati i vari quartieri in cui gli arresti cardiaci sono avvenuti e sono stati censiti i dati. Sono stati classificati i quartieri in alto red-dito o in basso reddito sulla base di una soglia di reddito familiare mediano di 40.000 $ ed è stata valutata la razza (bianca o nera) e se oltre l'80% del quartiere censito era prevalentemente di una razza. I quartieri senza una composizione razzia-le predominante sono stati classificati come inte-grati. È stata analizzata la relazione tra il reddito mediano e razziale di un quartiere e le prestazioni degli astanti una volta avviata la CPR.Risultati. Tra i 14.225 pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero, le CPR avviate dagli astanti sono state fornite in 4068 casi (28,6%). I pazienti che hanno avuto un arresto cardiaco in quartieri bian-chi e ad alto reddito avevano più probabilità di rice-

vere dagli astanti una CPR rispetto a quanto avvie-ne nei quartieri neri e a basso reddito (odds ratio, 0,49; intervallo di confidenza al 95% [CI], 41-0,58). Lo stesso vale per i pazienti che hanno un arresto cardiaco in quartieri classificati come a basso red-dito ma di razza bianca (odds ratio, 0,65, 95% CI, 0,51-0,82), a basso reddito “integrati” (odds ratio, 0,62, 95% CI, 0,56-0,70) e ad alto reddito di razza nera (odds ratio, 0,77, 95% CI, 0,68 a 0,86). Invece l'odds ratio per quanto riguarda l’inizio della CPR dagli astanti in quartieri integrati ad alto reddito (1,03, 95% CI, 0,64-1,65) era simile a quella per i quartieri bianchi e ad alto reddito.Conclusioni. In conclusione, in uno studio di co-orte di grandi dimensioni, abbiamo scoperto che i pazienti che avevano un arresto cardiaco extra-ospedaliero nei quartieri neri a basso reddito ave-vano meno probabilità di ricevere dagli astanti una CPR rispetto a quanto avviene nei quartieri bianchi ad alto reddito.

Sasson C, Magid DJ, Chan P, et al., on behalf of the CARES Surveillance Group. Association of Neighborhood Characteristi-cs With Bystander-Initiated CPR. N Engl J Med 2012;367:1607-1615.

A cura di Gabriele Dell'Era

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NUOVI MARCATORI GENETICI NEL MIGLIORAMENTO DELLA PREDIZIONE DEL RISCHIO NELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE

Obiettivi. La fibrillazione atriale (FA) è associata ad esito avverso. Sebbene siano stati recente-mente scoperti dei marcatori genetici di rischio per FA la loro capacità di migliorare la previsione del rischio è ancora sconosciuta.Risultati e metodi. Abbiamo derivato e convalida-to un nuovo modello di previsione del rischio di FA da 32 possibili predittori del Woman Health Study (WHS), una coorte di 20.822 donne senza malattia cardiovascolare (CVD) al basale, seguite prospet-ticamente per l’incidenza di FA (mediana: 14,5 anni). Abbiamo poi creato uno score di rischio ge-netico (GRS), composto da 12 alleli in nove loci e valutato le prestazioni del modello nella coorte di validazione con e senza lo GRS. Abbiamo derivato un algoritmo WHS di rischio per FA che includa diversi valori come età, peso, altezza, pressione arteriosa sistolica, l'uso di al-col e fumo (attuale e passato).Nella coorte di validazione, questo modello è stato ben calibrato con buona discriminazione [C-index (95% CI) = 0,718 (0,684-0,753)] e ha migliorato tutti gli indici di riclassificazione se confrontato con l'età da sola.

L'aggiunta dello score genetico all’algoritmo di rischio WHS ha migliorato il C-index [0,741 (0,709-0,774), p = 0,001], la riclassificazione netta delle categorie [0,490 (0,301-0,670), p <0,0001], e migliorato la discriminazione integrata [0.00526 (0,0033-0,0076), p <0,0001]. Tuttavia, non vi è stato alcun miglioramento nella riclassificazione a 10 anni nelle categorie di rischio di <1, 1-5, e il 5% + [0,041 (-0.044-0.12), p = 0,33].Conclusioni. Tra le donne senza malattia cardio-vascolare, un semplice modello di previsione di rischio utilizzando marcatori di rischio facilmente disponibili individua le donne a maggior rischio di fibrillazione atriale. L'aggiunta di informazioni genetiche ha determinato modesti miglioramenti nella precisione predittiva che non si traducono in una migliore riclassificazione nelle ategorie di rischio per FA.

Everett B, Cook N, Conen D, et al, Novel genetic markers improve measures of atrial fibrillation risk prediction; Eur Heart J 2013;34(9):2243-2251.

RISCHIO DI MALATTIA CARDIOVASCOLARE NEI FAMILIARI DELLE GIOVANI VITTIME DI MORTE CARDIACA IMPROVVISA

Introduzione. Studi descrittivi e genetici suggeri-scono che i parenti delle vittime di morte cardiaca improvvisa (SCD), hanno un aumentato rischio di numerose malattie cardiovascolari (CVD). Date le gravi conseguenze di una mancata diagnosi di CVD e la disponibilità di un trattamento efficace, il po-tenziale di prevenzione in questo gruppo è enorme se essi hanno un aumentato rischio cardiovascola-re. Questo studio di coorte prospettico, nazionale, basato sulla popolazione ha descritto il rischio di CVD nei parenti di giovani vittime SCD, rispetto alla popolazione generale.Metodi e Risultati. Tutte le vittime SCD di età compresa tra 1-35 anni in Danimarca nell’inter-vallo di tempo 2000-2006, sono stati identifica-ti (n = 470), insieme con i loro parenti di primo

e secondo grado (n = 3073). Abbiamo confron-tato l'incidenza di malattia cardiovascolare in quei parenti confrontandola con quella della popolazione generale utilizzando tassi di inci-denza standardizzati (SIR). Il numero osservato di CVDs oltre gli 11 anni di follow-up è stato di 292, rispetto ai 219 previsti in base alle tabelle nazionali [SIR 1,33, intervallo di confidenza 95% (CI) 1,19-1,50]. I rischi variano in modo signifi-cativo con l'età, il SIR per quelle <35 anni era 3,53 (IC 95% 2,65-4,69), rispetto al SIR di 1,59 (IC 95% 1,35-1,89) e 0,91 (IC 95% 0,75-1,10) per quelli di età 35-60 anni o >60 anni, rispettiva-mente (P <0,0001). Per i parenti di primo grado <35 anni, l’incidenza per cardiopatia ischemica, cardiomiopatia e aritmie ventricolari erano 5,99

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(IC 95% 1.95-0.13.98), 17,91 (IC 95% 4,88-45,87) e 19.15 (95% CI 7.70 -39,45), rispettivamente.Conclusioni. Le CVD sono co-aggregate in modo si-gnificativo con la SCD nelle famiglie, in particolare i giovani parenti di primo grado sono a maggior ri-schio. I risultati indicano chiaramente che i familiari delle giovani vittime SCD dovrebbe essere sottoposti a uno screening completo e sistematico, con focus

sui parenti più giovani. Rischio di malattia cardiova-scolare nei familiari delle giovani vittime di morte cardiaca improvvisa.

Ranthe M, Winkel B, Andersen E, et al, Risk of cardio-vascular disease in family members of young sudden cardiac death victims, Eur Heart J 2013;34(7):503-511.

MORTALITÀ CARDIOVASCOLARE A LUNGO TERMINE DOPO UN INFARTO MIOCARDICO CORRELATO ALLA PROCEDURA

O SPONTANEO NEI PAZIENTI CON UNA SCA NSTEMI: UN’ANALISI COLLABORATIVA DEI DATI DEI SINGOLI PAZIENTI DAI TRIAL FRISC II, ICTUS, E RITA-3

Contesto. Il presente studio è stato progettato per indagare l'impatto prognostico a lungo termine dell’infarto del miocardio (MI) correlato alla proce-dura o spontaneo sulla mortalità cardiovascolare nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento ST.Metodi e Risultati. sono stati analizzati cinque anni di follow-up dopo IMA correlato alla procedura o spontaneo in gruppi di singoli pazienti di trial sul-la sindrome coronarica acuta senza sopraslivella-mento del tratto ST: FRISC-II (Fast Revasculariza-tion During Instability in Coronary Artery Disease), ICTUS (Invasive versus Conservative Treatment in Unstable Coronary Syndromes), e RITA-3 (Rando-mized Intervention of Unstabile Angina). Il princi-pale outcome era rappresentato dalla morte car-diovascolare fino a 5 anni di follow-up. I tassi degli eventi cumulativi sono stati stimati con la curva di Kaplan-Meier; hazard ratio sono stati calcolati con il modelli proporzionali di Cox tempo-dipendenti. Sono stati effettuati adeguamenti per le variabili associate ad outcome a lungo termine. Tra i 5467 pazienti, 212 ebbero un infarto correlato alla proce-dura entro 6 mesi dopo l'arruolamento. Un infarto miocardico spontaneo si è verificato in 236 pazienti entro 6 mesi. Il tasso cumulativo di morte per cau-se cardiovascolari è stato del 5,2% nei pazienti che

avevano un IMA correlato alla procedura, parago-nabile a quello dei pazienti senza un IMA correlato alla procedura (hazard ratio 0,66; intervallo di confi-denza al 95%, 0,36-1,20, P = 0,17). Nei pazienti che hanno avuto un IMA spontaneo entro 6 mesi, il tas-so cumulativo di morte per cause cardiovascolari è stato del 22,2%, superiore rispetto ai pazienti senza una IMA spontaneo (hazard ratio 4,52, intervallo di confidenza al 95%, 3,37-6,06, p <0,001). Questo ha-zard ratio non è cambiato sostanzialmente dopo gli aggiustamenti di rischio.Conclusioni. Cinque anni di follow-up dei pazienti con una SCA NSTE da 3 studi non hanno mostrato alcuna associazione tra un IMA correlato alla proce-dura e la mortalità cardiovascolare a lungo termine. Al contrario, c'è stato un aumento sostanziale della mortalità a lungo termine dopo un infarto miocardi-co spontaneo.

Damman P, Wallentin L, Fox KA, et al, Long-term cardiovascular mortality after procedure-related or spontaneous myocardial infarction in patients with non-ST-segment elevation acute coronary syndrome: a collaborative analysis of individual patient data from the FRISC II, ICTUS, and RITA-3 trials (FIR), Circulation. 2012 Jan 31;125(4 ):568-76.

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Recupero della legge naturale nella relazione medico paziente1

VII parte

MEDICINA e MORALE

Capitolo quarto: La legge naturale e la città

4.1. LA PERSONA E IL BENE COMUNE

83. Affrontando l’ordine politico della società, entriamo nello spazio regolato dal diritto. Infatti il diritto appare quando più persone entrano in relazione. Il passaggio dalla persona alla società illumina la distinzione es-senziale tra legge naturale e diritto naturale.84. La persona è al centro dell’ordine politico e so-ciale perché è un fine e non un mezzo. La persona è un essere sociale per natura, non per scelta o in virtù di una pura convenzione contrattuale. Per rea-lizzarsi in quanto persona ha bisogno dell’intreccio di relazioni che stabilisce con altre persone. Si trova così al centro di una rete formata da cerchi concen-trici: la famiglia, l’ambiente in cui vive e il lavoro, la comunità di vicinato, la nazione e infine l’umanità2. La persona attinge da ciascuno di questi cerchi gli elementi necessari alla propria crescita, e al tempo stesso contribuisce al loro perfezionamento.85. Poiché gli esseri umani hanno la vocazione a vi-vere in società con altri, hanno in comune un insie-

me di beni da perseguire e di valori da difendere. È ciò che si chiama il «bene comune». Se la persona è un fine in se stessa, la società ha il fine di promuo-vere, consolidare e sviluppare il suo bene comune. La ricerca del bene comune consente alla città di mobilitare le energie di tutti i suoi membri.A un primo livello, il bene comune si può intendere come l’insieme delle condizioni che consentono alla persona di essere sempre più persona umana3. Pur articolandosi nei suoi aspetti esteriori — economia, sicurezza, giustizia sociale, educazione, accesso al lavoro, ricerca spirituale e altri —, il bene comune è sempre un bene umano4. A un secondo livello, il bene comune è ciò che fina-lizza l’ordine politico e la stessa città. Bene di tutti e di ciascuno in particolare, esso esprime la dimen-sione comunitaria del bene umano. Le società possono definirsi per il tipo di bene comu-ne che intendono promuovere. Infatti se si tratta di

Prof. Paolo Rossi

1CommissioneTeologicaInternazionale,Allaricercadiun’eticauniversale:nuovosguardosullaleggenaturale.2IlCatechismodellaChiesaCattolica,n.1882,precisache«certesocietà,qualilafamigliaelacomunitàcivica,sonopiùimmediatamenterispondentiallanaturadell’uomo».3GiovanniXXIII,EnciclicaMateretMagistra,n.65.4GiovanniXXIII,EnciclicaPaceminterris,n.55.

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esigenze essenziali al bene comune di ogni società, la visione del bene comune si evolve con le stesse so-cietà, in funzione delle concezioni della persona, della giustizia e del ruolo del potere pubblico.

4.2. LA LEGGE NATURALE, MISURA DELL’ORDINE POLITICO

86. La società organizzata in vista del bene comune dei suoi membri risponde a un’esigenza della natu-ra sociale della persona. La legge naturale appare allora come l’orizzonte normativo nel quale l’ordine politico è chiamato a muoversi. Essa definisce l’in-sieme dei valori che appaiono come umanizzanti per una società. Quando ci si colloca nell’ambito sociale e politico, i valori non possono essere più di natura privata, ideologica o confessionale, ma riguardano tutti i cittadini. Essi esprimono non un vago con-senso tra loro, ma si fondano sulle esigenze della loro comune umanità. Affinché la società adempia correttamente la propria missione di servizio del-la persona, deve promuovere la realizzazione delle sue inclinazioni naturali. La persona è dunque an-teriore alla società, e la società è umanizzante sol-tanto se risponde alle attese inscritte nella persona in quanto essere sociale.87. Tale ordine naturale della società al servizio del-la persona è connotato, secondo la dottrina sociale della Chiesa, da quattro valori che derivano dalle in-clinazioni naturali dell’essere umano e che disegna-no i contorni del bene comune che la società deve perseguire, cioè: la libertà, la verità, la giustizia e la solidarietà5. Questi quattro valori corrispondono alle esigenze di un ordine etico conforme alla legge natu-rale. Se una di queste viene a mancare, la città tende verso l’anarchia o il regno del più forte. La libertà è la prima condizione di un ordine politico umanamente accettabile. Senza la libertà di seguire la propria coscienza, di esprimere le proprie opinio-ni e di perseguire i propri progetti, non c’è una cit-tà umana, anche se la ricerca dei beni privati deve sempre articolarsi alla promozione del bene comune della città.Senza la ricerca e il rispetto della verità, non c’è so-cietà ma la dittatura del più forte. La verità, che non è proprietà di nessuno, è in grado di far convergere gli esseri umani verso obiettivi comuni. Se la verità non si impone da sé, il più abile impone la «sua» verità.Senza giustizia non c’è società, ma il regno della vio-lenza. La giustizia è il bene più alto che la città possa

procurare. Essa suppone che si ricerchi sempre ciò che è giusto, e che il diritto sia applicato con l’atten-zione al caso particolare, poiché l’equità è il massi-mo della giustizia. Infine, è necessario che la società sia regolata in modo solidale, assicurando il reciproco aiuto e la re-sponsabilità per la sorte degli altri e facendo in modo che i beni di cui la società dispone possano risponde-re ai bisogni di tutti.

4.3. DALLA LEGGE NATURALE AL DIRITTO NATURALE

88. La legge naturale (lex naturalis) si esprime come diritto naturale (ius naturale) quando si considerano le relazioni di giustizia tra gli esseri umani: relazioni tra le persone fisiche e morali, tra le persone e il po-tere pubblico, relazioni di tutti con la legge positiva. Si passa dalla categoria antropologica della legge naturale alla categoria giuridica e politica dell’orga-nizzazione della città. Il diritto naturale è la misura inerente all’accordo tra i membri della società. È la regola e la misura immanente dei rapporti umani in-terpersonali e sociali.89. Il diritto non è arbitrario: l’esigenza di giustizia, che deriva dalla legge naturale, è anteriore alla for-mulazione e alla emanazione del diritto. Non è il diritto che decide che cosa sia giusto. Neppure la politica è arbitraria: le norme della giu-stizia non risultano soltanto da un contratto stabilito tra gli uomini, ma provengono anzitutto dalla natura stessa degli esseri umani. Il diritto naturale è l’anco-raggio delle leggi umane alla legge naturale. È l’oriz-zonte in funzione del quale il legislatore umano deve regolarsi quando emana norme nella sua missione di servizio al bene comune. In tal senso, egli onora la legge naturale, inerente all’umanità dell’uomo. Al contrario, quando il diritto naturale è negato, la sola volontà del legislatore fa la legge. Allora il le-gislatore non è più l’interprete di ciò che è giusto e buono, ma si attribuisce la prerogativa di essere il criterio ultimo del giusto.90. Il diritto naturale non è mai una misura fissata una volta per tutte. È il risultato di una valutazione delle situazioni mutevoli in cui vivono gli uomini. Enuncia il giudizio della ragione pratica che stima ciò che è giusto. Il diritto naturale, espressione giuridica della legge naturale nell’ordine politico, appare così come la misura delle giuste relazioni tra i membri della comunità.

5PontificioConsigliodellaGiustiziaedellaPace,CompendiodellaDottrinaSocialedellaChiesa,nn.192-203.