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“LA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE” PROF.SSA FRANCESCA MITE

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“LA PUBBLICITA’ INGANNEVOLE”

PROF.SSA FRANCESCA MITE

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Università Telematica Pegaso La pubblicità ingannevole

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 PROBLEMI DI QUALIFICAZIONE GENERALE DELLA “PUBBLICITÀ INGANNEVOLE” ALLA

LUCE DEI PIÙ RECENTI INTERVENTI DOTTRINARI E GIURISPRUDENZIALI. ------------------------------- 3

2 LA FATTISPECIE ILLECITA DELLA PUBBLICITÀ INGANNEVOLE SOTTO IL PROFILO DEGLI

ELEMENTI COSTITUTIVI: L’IDONEITÀ AD INDURRE IN ERRORE. --------------------------------------------- 15

3 QUALIFICAZIONE E VALUTAZIONE DELLA CD. “INGANNEVOLEZZA” ------------------------------- 21

4 L’ALTRO ELEMENTO COSTITUIVO DELLA PUBBLICITÀ INGANNEVOLE: IL PREGIUDIZIO

DEL COMPORTAMENTO ECONOMICO DEL CONSUMATORE O IN ALTERNATIVA LA LESIONE DEL

CONCORRENTE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 27

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 29

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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

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1 Problemi di qualificazione generale della “pubblicità ingannevole” alla luce dei più recenti

interventi dottrinari e giurisprudenziali.

Per poter correttamente discorrere di pubblicità ingannevole, è doveroso compiere

preliminarmente alcune precisazioni di carattere terminologico posto che nell’ambito del settore

pubblicitario, nella prassi, vengono spesso utilizzate come sinonimi le nozioni di comunicazione

commerciale e di pubblicità, attesa la difficoltà di tracciare una linea di demarcazione netta tra le

due espressioni.

Da un’analisi dei riferimenti normativi emerge che in realtà le due espressioni si pongono,

nell’ordinamento italiano, in un rapporto di genus a species.

Il Codice di Autodisciplina pubblicitaria definisce, nelle norme preliminari e generali la

comunicazione commerciale come «la pubblicità e ogni altra forma di comunicazione, anche

istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali che siano le modalità utilizzate,

nonché le forme di comunicazione disciplinate dal titolo VI. Non comprende le politiche

commerciali e le tecniche di marketing in sé considerate».

Il Legislatore nel Decreto Legislativo n. 145 del 21 settembre 2007 definisce la

pubblicità come «qualsiasi forma di messaggio che è diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di

un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il

trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o

il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi».

Come è stato evidenziato sapientemente in dottrina, dalla lettura dei su richiamati riferimenti

normativi deve ritenersi che «con la locuzione “comunicazione commerciale”debba intendersi

qualsivoglia forma di divulgazione di informazioni a scopo promozionale, cioè destinata, in modo

diretto o indiretto, a promuovere beni, servizi o l’immagine di una persona fisica o giuridica. Ciò

che caratterizza, invece, la pubblicità nel novero delle comunicazioni commerciali è lo scopo che è

specificamente quello di “promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il

trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi”»1

1 Così S. Sica e V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, II Edizione, Cedam

2012, pg. 222.

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Di comunicazione commerciale- pubblicità ingannevole esistono, dunque, due forme di

disciplina. Quella del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria2 e quella statale

3.

Per quel che concerne la disciplina rinvenibile nel primo, si tratta di una normativa volta ad

assicurare che la pubblicità sia onesta, corretta e veritiera, evitando tutto ciò che possa screditarla.

Nelle norme preliminari e generali del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria (CAP), alle “Finalità

del Codice” si legge: «Il Codice ha lo scopo di assicurare che la comunicazione commerciale, nella

consapevolezza dell’importanza del ruolo che riveste per il processo economico, venga realizzata

come servizio per il pubblico, con speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore».

Ebbene la disciplina codicistica di pubblicità ingannevole è contenuta nell’art. 2 del medesimo

Codice a norma del quale: «La pubblicità deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia

tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni,

specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, le condizioni di

vendita, la diffusione, l’identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti. Nel valutare

l’ingannevolezza della comunicazione commerciale si assume come parametro il consumatore

medio del gruppo di riferimento».

Si tratta di una disposizione che autoregolamenta in un’ottica preventiva la materia in

questione, in concordanza con la disciplina statale e comunitaria sulla pubblicità ingannevole di cui

appresso.

Ebbene, per quel che concerne i riferimenti normativi statali in materia di pubblicità ingannevole, è

da dire che innanzitutto che l’Italia è stato il primo Paese dell’Unione Europea a recepire la direttiva

2 Quella attualmente in vigore dal 23 agosto 2012 è la 55ª edizione. La 1ª edizione del Codice risale al 12 maggio 1966

Accettate come usi e consuetudini commerciali dalle Camere di Commercio, le norme del Codice hanno ottenuto il

riconoscimento della Corte di Cassazione, quali validi parametri di valutazione del principio della correttezza

professionale in campo pubblicitario. Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale è vincolante per

utenti, agenzie, consulenti di pubblicità e di marketing, gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e per tutti coloro che

lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di

cui al punto d), finalizzato all'effettuazione di una comunicazione commerciale.

3 Art. 21, comma 1, D. Lgs., 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29

luglio 2003, n. 229, pubblicato nella Gazz. Uff 8 ottobre 2005, n. 235, S.O. Art. 2, lett. b) D. Lgs, 2 agosto 2007, n. 145

recante “Attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità

ingannevole”, pubblicato nella Gazz. Uff. 6 settembre 2007, n. 207.

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sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori4. Più precisamente, il Legislatore,

all’art. 2, lett. b), del D.Lgs. 145/075 che disciplina appunto la pubblicità ingannevole e

comparativa, fornendo una definizione estensiva di pubblicità ingannevole, come qualsiasi

pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le

persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere

ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo,

sia idonea a ledere un concorrente, ha scelto di non tipizzare specifiche forme rilevanti di

pubblicità ingannevole ed infatti, non chiarisce, da un punto di vista strettamente giuridico, quali

siano più precisamente considerate attività rientranti nella fattispecie pubblicità ingannevole, né

sotto il profilo delle specifiche modalità atte ad integrare la fattispecie, né sotto il profilo delle

specifiche forme di diffusione.

4

Attraverso i Decreti Legislativi nn. 145 e 146 del 21 settembre 2007, attuativi di due ordini di norme comunitarie e

finalizzati il primo alla disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa e alla regolamentazione dei rapporti tra

imprese e il secondo, alla tutela del consumatore. Tali decreti integrano la disciplina con disposizioni sulla trasparenza

della pubblicità, al fine di garantire una maggiore tutela in materia di pubblicità ingannevole; più precisamente la

pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile, e quella a mezzo stampa deve essere chiaramente distinguibile dalle

altre forme di comunicazione al pubblico.

5 D. Lgs, 2 agosto 2007, n. 145 recante “Attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva

84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole”, pubblicato nella Gazz. Uff. 6 settembre 2007, n. 207. Art. 2:« Definizioni.

1. Ai fini del presente decreto legislativo si intende per: a) pubblicità: qualsiasi forma di messaggio che è diffuso, in

qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di

promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il

trasferimento di diritti ed obblighi su di essi; b) pubblicità ingannevole: qualsiasi pubblicità che in qualunque modo,

compresa la sua presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa

raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero

che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente; c) professionista: qualsiasi persona fisica o giuridica che

agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale; e chiunque agisce in nome o

per conto di un professionista; d) pubblicità comparativa: qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o

implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente; e) operatore pubblicitario: il committente del

messaggio pubblicitario ed il suo autore, nonchè, nel caso in cui non consenta all’identificazione di costoro, il

proprietario del mezzo con cui il messaggio pubblicitario è diffuso ovvero il responsabile della programmazione

radiofonica o televisiva ».

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In verità, anche l’organo di controllo competente in materia di pubblicità ingannevole, l’Agcm6 e la

giurisprudenza amministrativa hanno da sempre optato per una interpretazione estensiva del

6 La legge attribuisce all’Autorità il potere di intervenire d’ufficio non solo con specifici compiti di verifica e controllo

dell’attività pubblicitaria, ma anche con opportuni poteri di sospensione e sanzione nell’eventualità in cui operatori

pubblicitari dovessero violare le norme in questione. Più precisamente l’AGCM, dispone, in materia di pubblicità

ingannevole, di ampi poteri, analoghi a quelli che può esercitare in materia di antitrust, i quali includono il potere di

acquisire informazioni rilevanti da chiunque detenute, un potere ispettivo, il potere di negoziare impegni con

l’operatore. I poteri ispettivi sono esercitati mediante l’utilizzo della Guardia di Finanza. Sono inoltre stati rafforzati in

misura sostanziale anche i poteri sanzionatori dell’Autorità: in caso di pubblicità illecita. Nello specifico il Legislatore

nel D.lgs 145/2007recante “Attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE

sulla pubblicità ingannevole” ha disposto: «Art. 8 Tutela amministrativa e giurisdizionale. 1. L’Autorità garante della

concorrenza e del mercato, di seguito chiamata Autorità, esercita le attribuzioni disciplinate dal presente articolo. 2.

L’Autorità, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione ed

elimina gli effetti della pubblicità ingannevole e comparativa illecita. Per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 1,

l’Autorità può avvalersi della Guardia di Finanza che agisce con i poteri ad essa attribuiti per l’accertamento

dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta sui redditi. 3. L’Autorità può disporre con provvedimento motivato la

sospensione provvisoria della pubblicità ingannevole e comparativa illecita in caso di particolare urgenza. In ogni caso,

comunica l’apertura dell’istruttoria al professionista e, se il committente non è conosciuto, può richiedere al proprietario

del mezzo che ha diffuso il messaggio pubblicitario ogni informazione idonea ad identificarlo. L’Autorità può, altresì,

richiedere ad ogni soggetto le informazioni ed i documenti rilevanti al fine dell’accertamento dell’infrazione. Si

applicano le disposizioni previste dall’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287. 4. In caso di

inottemperanza, senza giustificato motivo, a quanto disposto dall’Autorità ai sensi dell’articolo 14, comma 2, della

legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000,00 euro a 20.000,00

euro. Qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere, l’Autorità applica una sanzione

amministrativa pecuniaria da 4.000,00 euro a 40.000,00 euro. 5. L’Autorità può disporre che il professionista fornisca

prove sull’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità se, tenuto conto dei diritti o degli interessi

legittimi del professionista e di qualsiasi altra parte nel procedimento, tale esigenza risulti giustificata, date le

circostanze del caso specifico. Se tale prova è omessa o viene ritenuta insufficiente, i dati di fatto sono considerati

inesatti. 6. Quando la pubblicità è stata o deve essere diffusa attraverso la stampa periodica o quotidiana ovvero per via

radiofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione, l’Autorità, prima di provvedere, richiede il parere

dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. 7. Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità l’Autorità

può ottenere dal professionista responsabile della pubblicità ingannevole e comparativa illecita l’assunzione

dell’impegno a porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i

profili di illegittimità. L’Autorità può disporre la pubblicazione della dichiarazione di assunzione dell’impegno in

questione, a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può renderli

obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all’accertamento dell’infrazione. 8.

L’Autorità, se ritiene la pubblicità ingannevole o il messaggio di pubblicità comparativa illecito, vieta la diffusione,

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concetto di pubblicità, includendovi, ad esempio, opuscoli e guide tecniche nel caso in cui

qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora sia già iniziata. Con il medesimo

provvedimento può essere disposta, a cura e spese del professionista, la pubblicazione della delibera, anche per estratto,

nonchè, eventualmente, di un’apposita dichiarazione rettificativa in modo da impedire che la pubblicità ingannevole o il

messaggio di pubblicità comparativa illecito continuino a produrre effetti. 9. Con il provvedimento che vieta la

diffusione della pubblicità, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da

5.000,00 euro a 500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione. Nel caso di pubblicità che

possono comportare un pericolo per la salute o la sicurezza, nonchè suscettibili di raggiungere, direttamente o

indirettamente, minori o adolescenti, la sanzione non può essere inferiore a 50.000,00 euro. 10. Nei casi riguardanti

pubblicità inserite sulle confezioni di prodotti, l’Autorità, nell’adottare i provvedimenti indicati nei commi 3 e 8,

assegna per la loro esecuzione un termine che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento. 11. L’Autorità

garante della concorrenza e del mercato, con proprio regolamento, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di

pubblicazione del presente decreto legislativo, disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio,

la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione 12. In caso di inottemperanza ai provvedimenti d’urgenza e a quelli

inibitori o di rimozione degli effetti di cui ai commi 3, 8 e 10 ed in caso di mancato rispetto degli impegni assunti ai

sensi del comma 7, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000,00 a 150.000,00 euro. Nei casi

di reiterata inottemperanza l’Autorità può disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a

trenta giorni. 13. Per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni del presente decreto si osservano,

in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezione I, e negli articoli 26, 27, 28 e 29 della legge 24

novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Il pagamento delle sanzioni amministrative di cui al presente

articolo deve essere effettuato entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità. 14. Ove la pubblicità

sia stata assentita con provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non ingannevole della

stessa o di liceità del messaggio di pubblicità comparativa, la tutela dei soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano

interesse, è esperibile in via giurisdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso il predetto provvedimento.

15. È comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, a norma

dell’articolo 2598 del codice civile, nonchè, per quanto concerne la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti

in violazione della disciplina sul diritto d’autore protetto dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni,

e del marchio d’impresa protetto a norma del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni,

nonchè delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi

concorrenti.

16. Al fine di consentire l’esercizio delle competenze disciplinate dal presente decreto, il numero dei posti previsti per

la pianta organica del personale di ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato dall’articolo 11, comma

1, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, è incrementato di venti unità, di cui due di livello dirigenziale. Ai medesimi fini,

è altresì incrementato di dieci unità il numero dei contratti di cui all’articolo 11, comma 4, della legge 10 ottobre 1990,

n. 287, e l’Autorità potrà avvalersi dell’istituto del comando per un contingente di dieci unità di personale. Agli oneri

finanziari derivanti dalla presente disposizione si farà fronte con le risorse raccolte ai sensi dell’articolo 10, comma 7-

bis, della legge 10 ottobre 1990, n. 287.

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contengano consigli tendenti ad orientare le scelte economiche del consumatore; segni distintivi,

come la ditta o l’insegna degli esercizi commerciali, ma anche la carta intestata potendo

promuovere l’attività economica dell’azienda stessa, nonché il marchio, ove sia in grado di

assumere valenza pubblicitaria alla luce del contesto in cui è inserito, la confezione del prodotto7.

Ed allora, in assenza di precise condotte vietate e di specifiche modalità di realizzazione di tale

illecito, il Legislatore lascia che la sua determinazione si ricavi in funzione della idoneità lesiva

della pubblicità (idoneità, cioè, ad indurre in errore, ad ingannare) qualificata in giurisprudenza

dalla potenzialità ad indurre in errore il destinatario o i soggetti che in qualunque modo,

compresa la sua presentazione, essa raggiunge e

dalla potenzialità a pregiudicarne il comportamento economico (o, in alternativa, a ledere un

concorrente)8.

Da qui la condivisibile qualificazione compiuta dalla dottrina9 della pubblicità ingannevole quale

illecito a forma libera.

La stessa dottrina che discorre di illecito a forma libera, da una lettura puramente letterale della

norma, ha individuato due fattispecie distinte di pubblicità ingannevole.

L’una costituita dal pregiudizio del comportamento economico dei fruitori del messaggio,

l’altra dalla semplice lesione del concorrente, ferma restando la necessità, ai fini della

configurazione dell’illecito, che entrambe le fattispecie siano idonee ad indurre in errore.

L’applicazione della norma ai casi concreti ha fatto rilevare alla dottrina più attenta un

profilo critico della disposizione di legge così come formulata: a ben vedere, infatti, un messaggio

pubblicitario idoneo ad indurre in errore i propri immediati destinatari (o i soggetti che comunque

esso raggiunge), non può non pregiudicare anche il comportamento economico di questi e, dunque,

non può non ledere anche il concorrente in relazione allo sviamento della clientela.

Su tale aspetto si tornerà più avanti, nella parte in cui si analizzerà il secondo elemento costitutivo

dell’illecito “pubblicità ingannevole”, costituito dal pregiudizio del comportamento economico del

7 Pubblicità ingannevole: quadro normativo e ultime decisioni dell’Antitrust su pratiche commerciali scorrette di F.

Besemer e E. Apa, in www.key4biz.it.

8 Tar Lazio Sez. I, 20/09/2010, n. 32371, in Massima redazionale, 2010.

9 In tal senso per tutti, S. Sica e V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, II

Edizione, Cedam 2012, pg. 235.

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consumatore o, in alternativa, dalla lesione del concorrente e si analizzerà come anche l’Agcm

dimostri di condividere pienamente tale profilo di criticità.

Di ciò tiene conto anche la giurisprudenza che, infatti, nelle sue pronunce tende a ridurre

sensibilmente, fino ad annullare, il confine tra le due fattispecie, passando attraverso

un’interpretazione estensiva del cd. pregiudizio del comportamento economico senza ancorarlo

al necessario acquisto del bene reclamizzato e, così, arrivando a ritenere ingannevole il messaggio

pubblicitario non soltanto quando è formulato in modo tale da indurre il consumatore all’acquisto

della merce pubblicizzata, ma anche quando accade che questi, per effetto di un falso

convincimento, si trovi ad essere anche semplicemente disposto all’acquisto e, dunque, a

relazionarsi con il professionista10

.

Anche il Codice del consumo11

, al precipuo scopo di salvaguardare la libertà di

autodeterminazione del consumatore da ogni erronea interferenza fin dal primo contatto

pubblicitario, impone all’operatore commerciale un preciso onere di completezza e chiarezza nella

redazione della propria comunicazione d’impresa, sì da non indurlo in inganno12

.

Una siffatta interpretazione estensiva del cd. pregiudizio del comportamento economico ha indotto

la dottrina13

a qualificare la fattispecie dell’illecito della pubblicità ingannevole come un illecito di

pericolo, se è vero come è vero che la norma non presuppone l’effettiva induzione in errore del

destinatario del messaggio o, ancora, l’effettiva lesione del comportamento economico di questi

o del concorrente, assumendo come sufficiente la mera idoneità della pubblicità a produrre

determinate conseguenze pregiudizievoli.

La ragione per la quale il Legislatore non ha richiesto l’effettiva lesione del comportamento

economico o l’effettiva induzione in errore, è nella ratio delle norme che tutelano il consumatore

10

T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 13/02/2012, n. 1405, in Massima redazionale, 2012.

11 D. Lgs., 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229,

pubblicato nella Gazz. Uff 8 ottobre 2005, n. 235, S.O. Nel presente provvedimento ogni riferimento al Ministero o

Ministro delle attività produttive deve intendersi riferito al Ministero o al Ministro dello sviluppo economico, ai sensi di

quanto disposto dall’art. 20, comma 1, D. Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

12 Al riguardo si segnala la pronuncia del TAR. Lazio Roma Sez. I, 24/04/2009, n. 4138, in Dir. Industriale, 2009, 4,

372 in base alla quale:«la completezza e la veridicità di un messaggio pubblicitario va verificata nell’ambito dello stesso

contesto di comunicazione commerciale e non già sulla base di ulteriori informazioni che l’operatore pubblicitario renda

disponibili solo a “contatto” e, quindi, ad effetto promozionale già avvenuto».

13 In tal senso per tutti, S. Sica e V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, II

Edizione, Cedam 2012, pg. 236.

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dagli effetti della pubblicità ingannevole: a ben vedere, infatti, esse sono preordinate a prevenire le

distorsioni della concorrenza in una fase –quella pubblicitaria- evidentemente prodromica a quella

negoziale.

Pertanto, quando l’Agcm è chiamata a valutare una potenziale fattispecie di pubblicità

ingannevole, non è tenuta a dare contezza del maturarsi di un pregiudizio economico per i

consumatori, risultando sufficiente la potenziale lesione della libera determinazione di questi.

In definitiva, cioè, secondo il prevalente orientamento dottrinario e giurisprudenziale basterebbe la

mera potenzialità decettiva del messaggio, a prescindere dalla effettiva produzione nella realtà

dell’effetto ingannatorio o, specificamente, a prescindere dal fatto che la pubblicità abbia

concretamente comportato la conclusione di uno o più contratti ai prodotti o servizi reclamizzati.

L’uso del condizionale è quantomeno opportuno in considerazione del fatto che su tale aspetto si è

registrata recentemente altra posizione da parte del Tribunale di Milano che, contrariamente alla

prevalente interpretazione, ha ritenuto che «qualora, ai sensi dell’art. 140-bis, comma 2, lettere b e

c, del D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), si chieda l’accertamento della responsabilità del

produttore per aver commercializzato, attraverso pratiche commerciali scorrette ed ingannevoli, un

prodotto privo delle qualità funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente e quindi

inidoneo ad assolvere la funzione economico sociale che gli è propria, tratto caratterizzante

dell’azione non è costituito dalla astratta ed eventuale attitudine ingannatoria di una

determinata forma di pubblicità ma, al contrario, dall’effetto ingannevole in concreto prodotto nei

confronti dei singoli consumatori. È, pertanto, necessario che il soggetto che agisce in giudizio

dimostri di aver acquistato il prodotto in qualità di consumatore, allo scopo di utilizzarlo secondo

la sua naturale finalità e, come tale, di essere stato tratto in inganno dal messaggio pubblicitario

ingannevole»14

.

Ora, tornando all’analisi strutturale dell’illecito che stiamo considerando, anche per questa

forma di illecito, (si ribadisce a forma libera) occorre domandarsi se ai fini della sua integrazione,

rilevi o meno l’elemento soggettivo di chi pone in essere la condotta vietata.

Ebbene, su tale aspetto giurisprudenza e dottrina prevalenti si sono attestate su una posizione che

predilige il carattere puramente oggettivo di entrambe le fattispecie di illecito previste dalla norma

(pregiudizio del comportamento economico del fruitore del messaggio e lesione del concorrente),

ritenendo potersi prescindere completamente dalla colpevolezza dell’operatore pubblicitario.

14

Trib. Milano, 13/03/2012, in Sito Il caso.it, 2012.

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E allora, che nella elaborazione e divulgazione del messaggio mendace l’operatore abbia

agito con colpa, cadendo cioè in errore violando le regole di diligenza, prudenza e perizia, o con

dolo, volendo cioè intenzionalmente ingannare il destinatario del messaggio, è assolutamente

irrilevante.

Tuttavia è da dire che, anche rispetto a tale assunto, è intervenuta in senso contrario una

recente seppur isolata pronuncia giurisprudenziale che, nel ritenere necessario ai fini

dell’integrazione della fattispecie illecita di pubblicità ingannevole, anche l’elemento soggettivo

della colpa si è sforzata, altresì, di riempirla di un contenuto qualificatorio.

Più precisamente si è sostenuto che il consumatore che lamenti di aver subito un danno per

effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il relativo

risarcimento, non assolva al suo onere probatorio dimostrando la sola● ingannevolezza del

messaggio, ma sia tenuto a provare ● l’esistenza del danno, ● il nesso di causalità tra pubblicità

ingannevole e danno, nonché ● la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella

prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero potute derivare le

menzionate conseguenze dannose15

.

A corollario di ciò, in giurisprudenza si è oltretutto statuito che anche laddove sia

intervenuta una specifica disposizione di legge o uno specifico provvedimento che autorizzi un

certo tipo di pubblicità, ciò non vale a precludere al consumatore l’azione diretta al riconoscimento

del diritto soggettivo al risarcimento del danno ingiusto ex dall'art. 2043 c.c.

Il profilo soggettivo della colpa dell’operatore pubblicitario assume notevole rilevanza

nell’esame della responsabilità da fatto illecito in materia di fumo da sigarette.

Particolarmente significativa, al riguardo, la questione relativa alla qualificazione giuridica del

danno derivante dall’uso di tabacco e derivati e sulla quale in giurisprudenza non si è consolidato

un orientamento univoco.

Diversi gli elementi di valutazione dai quali è partita l’indagine degli interpreti.

Innanzitutto, è fondata la domanda di risarcimento del danno subito da un fumatore basata

sull’ingannevolezza del messaggio apposto sui pacchetti di sigarette che recano caratteristiche di

«leggerezza» del prodotto in realtà non corrispondenti alla presunta minore dannosità?16

15

Cass. Civ, Sez. III, 17-12-2009, n. 26516 (rv. 610475), in Mass. Giur. It., 2009 ; Trib. Bari Sez. II, 26/01/2012, in

Massima redazionale, 2012.

16 Altro profilo interessante pur affrontato dalla giurisprudenza di legittimità attiene alla fondatezza della domanda di

risarcimento del danno subito da un fumatore (o dai suoi eredi) a seguito della contrazione di patologie derivanti dal

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In secondo luogo, è ravvisabile il profilo soggettivo della colpa nel produttore che

commercializzi le sigarette accompagnate da una dicitura in sé fuorviante rispetto alla realtà, tale da

far ritenere al consumatore che le sigarette «light» siano meno dannose delle altre, inducendolo così

in errore?

Ed infine, c’è, dunque, danno nella delusione dell’aspettativa di ridurre il rischio di contrarre

patologie connesse al fumo, fumando sigarette dal ridotto contenuto nicotinico e di catrame e nel

conseguente peggioramento della salute e della vita di relazione?

Ebbene, nel tentativo di dare risposta a tali quesiti, nell’ambito del danno da fumo, in riferimento al

profilo della risarcibilità del danno da pubblicità ingannevole, la giurisprudenza di legittimità,

analizzando i risvolti del risarcimento del danno esistenziale17

dovuto al peggioramento della

qualità della vita di un incallito fumatore per lo stress ed il turbamento scaturiti dall’erronea

presunzione che la scritta "light" denotasse una minor pericolosità e nocività del prodotto rispetto

alle normali sigarette, ha affermato che l’apposizione delle diciture tipo «lights » sui pacchetti di

sigarette ha carattere di pubblicità ingannevole poiché ingenera nei fumatori l’erroneo

convincimento che il consumo di tali sigarette non produca dei danni alla salute o li determini in

misura significativamente limitata rispetto alle altre, ragione per cui ben vale ad integrare una fatto

produttivo di danno ingiusto e, ciò, a prescindere dall’esistenza di un divieto espresso di utilizzare

l’espressione impiegata (light), obbligando conseguentemente colui che ha commesso il fatto a

risarcire il danno.

consumo di sigarette, sul presupposto della responsabilità dei produttori di sigarette per aver colpevolmente diffuso un

prodotto nocivo per la salute del consumatore senza offrire allo stesso una protezione informativa preventiva. Per un

approfondimento sul tema della risarcibilità del danno da fumo si rinvia a E Poddighe Il difficile connubio tra danno da

fumo e responsabilità civile all’interno e oltre i confini nazionali, in La nuova giurisprudenza civile commentata n.

3/2012 2012 - Parte seconda, 2012.

17 La categoria del danno esistenziale è stata elaborata piuttosto di recente dalla giurisprudenza e non se ne ha un

esplicito riscontro normativo. Esso deriva dalla forzosa rinuncia allo svolgimento di attività non remunerative che

costituiscono fonte di compiacimento o benessere per il danneggiato, ma non causata da una compromissione

dell'integrità psicofisica. In definitiva il danno esistenziale è costituito dalla lesione del diritto al libero dispiegarsi delle

attività umane, alla libera esplicazione della personalità; in dottrina è definito anche come la lesione del fare a-

reddituale di un soggetto, lo sconvolgimento dell’organizzazione della quotidianità, delle abitudini che compongono lo

scorrere del tempo di ogni uomo.

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Tuttavia il consumatore che intende agire ex art. 2043 cod. civ. (al fine cioè di ottenere il

risarcimento del danno derivante da fatto illecito) non assolve al proprio onus probandi dimostrando

il solo carattere ingannevole del messaggio, essendo tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso

di causalità tra pubblicità e danno nonché il dolo o la colpa di chi ha diffuso la pubblicità. La colpa,

come detto, può essere ravvisata nella prevedibilità che dalla diffusione di tale messaggio sarebbero

derivate le conseguenze dannose concretamente verificatesi18

.

In definitiva, il danno non può essere considerato in re ipsa, ma necessita di una specifica

dimostrazione con riferimento al caso concreto.

E allora, il danno da fumo patrimoniale o non patrimoniale ex art. 2043 c.c. deve essere

provato in giudizio e non può ritenersi coincidente con il solo fatto dannoso; ciò, considerando che

il fatto rappresenta l’evento produttivo di un danno, laddove quest’ultimo costituisce la

conseguenza del fatto dannoso. Il consumatore-fumatore che richieda il risarcimento deve, pertanto,

provare – oltre agli altri elementi che integrano la fattispecie – l’esistenza e l’entità del danno,

attraverso il ricorso ad accertamenti medico legali se si verte in tema di danno alla salute.

A ben vedere, infatti, laddove i giudici si abbandonassero ad una facile automatismo tra fatto

dannoso e danno risarcibile nel valutare l’accoglimento della domanda di risarcimento avanzata dal

18

Cass. Civ, Sez. Unite, 15/01/2009, n. 794, in Foro It., 2009, 3, 1, 717; nella specie la Corte ha ritenuto che

«L’apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il

segno descrittivo ‘‘Light’’ sul pacchetto di sigarette), può essere considerata come fatto produttivo di danno ingiusto,

obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall’esistenza di una specifica

disposizione o di un provvedimento che vieti l’espressione impiegata. Nondimeno, il consumatore che lamenti di aver

subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non

assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del

danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità,

concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le

menzionate conseguenze dannose (nella specie, la Cassazione, a fronte dell’omessa motivazione da parte della sentenza

impugnata in punto prova del danno non patrimoniale, ha rinviato ad altro giudice di pace, tuttavia ritenendo, anche alla

luce dei diritti fondamentali del consumatore di cui all’art. 2 c. cons., che una generica lesione del diritto

all’autodeterminazione consumeristica ed il disagio conseguente alla scoperta di essere stato indotto a tenere una

condotta pericolosa possa dare luogo a un pregiudizio non pecuniario risarcibile, purché sufficientemente individuato in

via presuntiva)».

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consumatore tratto in inganno da una pubblicità ingannevole, integrerebbero una violazione dei

principi codicistici in materia di onere della prova ex art. 2697 c.c.19

Se da un lato è acclarata l’integrazione della fattispecie illecita di pubblicità ingannevole in

riferimento alle sigarette “light”, è pur vero, tuttavia, che si tratta di una difficile incombenza

probatoria per il consumatore. Se al fumatore- consumatore che sostiene di aver fumato un maggior

numero di sigarette “ligh”, sull’erroneo convincimento che si trattasse di sigarette meno dannose

per la salute, così vedendosi violato il proprio diritto all’autodeterminazione, è imposto di provare

la condotta colposa o dolosa del soggetto agente, il danno ingiusto e il nesso di causalità, è di tutta

evidenza che lo si va a gravare di un onere piuttosto complesso. Il nesso causale, infatti, di pende da

fattori intrinseci ed estrinseci.

In conclusione, le considerazioni sopra esposte circa il risarcimento del danno da pubblicità

ingannevole in materia di danno da fumo, evidenziano quanto si imponga una più scrupolosa

regolamentazione da parte del Legislatore, tanto più nei rapporti tra consumatore e pubblicità

ingannevole, ove a rilevare non solo interessi economici contrastanti, ma anche la salute e la

sicurezza dei consumatori i quali in assenza di precise notizie e informazioni sul prodotto,

potrebbero essere indotti a tralasciare le regole di diligenza, prudenza e vigilanza.

19

Per una più precisa analisi della responsabilità civile con le relative problematiche inerenti agli elementi costitutivi

dell’illecito ed alle questioni probatorie legate al danno in materia di pubblicità ingannevole, si rinvia a D.

D’Alessandro, Pubblicità ingannevole: illecito civile e questioni probatorie, 2010, in www.altalex.com.

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2 La fattispecie illecita della pubblicità ingannevole sotto il profilo degli elementi costitutivi: l’idoneità ad indurre in errore.

Posto che, come sopra detto, uno degli elementi che valgono ad integrare l’illecito –

pubblicità ingannevole, è costituito dalla potenzialità del messaggio pubblicitario ad indurre in

errore il destinatario o i soggetti che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, esso

raggiunge, si impone all’interprete anche un’indagine circa i criteri in base ai quali valutare se un

messaggio pubblicitario rientri o meno nella fattispecie dell’illecito che si sta esaminando.

Ovvero, come gli organismi deputati al controllo del settore dell’informazione e della

comunicazione, in particolare per quel che a noi qui interessa l’Agcm e i giudici amministrativi20

,

dovranno decidere se una condotta integri o meno l’illecito de qua?

In base a cosa si può ritenere sussistente l’elemento costitutivo della idoneità a produrre l’effetto

ingannevole nei confronti dei destinatari del messaggio pubblicitario? Come, cioè, si individuano

concretamente le condotte censurabili in ragione della loro idoneità a produrre l’effetto ingannevole

nei fruitori della comunicazione?

La risposta a tali domande impone innanzitutto un tentativo volto a qualificare la nozione di

ingannevolezza. Ed allora, l’attenzione non può non spostarsi sulle posizioni assunte dalla

giurisprudenza,posto che il D. lg. n. 145/2007, indica solo gli elementi da considerare ai fini di una

valutazione della ingannevolezza della pubblicità.

E così, dal quadro normativo riveste carattere di "ingannevolezza" la pubblicità che in

qualunque modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le

persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere, possa pregiudicare

il loro comportamento economico, ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un

concorrente.

In particolare, come già precisato, il pregiudizio economico consiste nella possibile influenza del

messaggio sulle scelte economiche del consumatore, non richiedendosi un danno concretamente

20

Competente a giudicare i ricorsi presentati dalle aziende sanzionate dall’Agcm, è la prima sezione del Tar Lazio;

competente a decidere in merito ai ricorsi nei confronti delle sentenze del Tar in materia di pratiche commerciali

scorrette, è la sesta sezione del Consiglio di Stato.

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quantificabile e verificabile, ma soltanto un pregiudizio alla libertà del consumatore di

autodeterminarsi nelle proprie scelte o una lesione della correttezza dei rapporti concorrenziali21

.

Più precisamente, nel procedimento volto alla qualificazione di una pubblicità come

ingannevole o meno, l’orientamento dei giudici impone anche che di essa si faccia una valutazione

globale che tenga cioè conto del messaggio pubblicitario nella sua interezza, con ciò imponendo

un’indagine che riguardi non solo il contenuto positivo fatto di immagini e informazioni (e come si

vedrà anche il contenuto negativo) del messaggio, ma anche la semplice presentazione del bene,

potendo, infatti, la pubblicità ingannare in qualsiasi modo, anche per il tramite della semplice

presentazione del messaggio22

.

A confermare ciò si segnala una recente posizione della giurisprudenza23

in base alla quale

l’art. 21, comma 1, del Codice del consumo ( D.Lgs. n. 206 del 2005)24

qualifica come ingannevole

21

T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 21/02/2007, n. 1535, in Massima redazionale, 2007.

22 D. Lgs, 2 agosto 2007, n. 145 recante “Attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la

direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole”, pubblicato nella Gazz. Uff. 6 settembre 2007, n. 207. Art. 2:«

Definizioni. (…….) pubblicità ingannevole: qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua

presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e

che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo

motivo, sia idonea a ledere un concorrente». L’art. 21 codice del consumo individua una serie di elementi di valutazione

tipizzati per determinare se la pubblicità sia ingannevole o meno. Così come avveniva sotto il vigore dell’art. 3 del d.

lgs. n. 74/1992, questi ultimi rappresentano un elenco meramente esemplificativo e non tassativo a disposizione

dell’Autorità nella valutazione della veridicità di quanto reclamizzato. La ratio della norma è quella di orientare

l’interprete nella lettura delle ipotesi concrete di pubblicità ingannevole, limitando la discrezionalità dell’interprete,

fissando dei criteri oggettivi che lo orientino nell’elaborazione del giudizio.

23 Cons. Stato Sez. VI, 27/10/2011, n. 5785 la cui massima di seguito si riporta per intero: «L’art. 21, comma 1, del

Codice del consumo ( D.Lgs. n. 206 del 2005) qualifica come ingannevole una pratica commerciale non solo quando si

caratterizzi per assenza di veridicità, ma anche quando, nella sua presentazione globale, tenuto conto della pluralità di

elementi indicati dalla disposizione de qua, comprensivi del costo e della modalità in cui questo è calcolato, sia atta ad

indurre il consumatore ad assumere una decisone di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Ne consegue

la scorrettezza della pratica commerciale, come quella per cui è causa, laddove si ravvisi la scomposizione del prezzo

del servizio offerto, cui il consumatore deve pervenire per sommatoria in un quadro composito del regime tariffario di

non immediata percezione, nonché delle modalità grafiche di presentazione dell’offerta evidentemente sbilanciate nel

ruolo informativo agli effetti della corretta ed immediata cognizione da parte del consumatore medio del prezzo del

servizio, per l’enfatizzazione del costo base di un euro rispetto agli oneri aggiuntivi. Sul punto, si ribadisce come sul

professionista gravi l’obbligo di mettere a disposizione del consumatore tutte le informazioni idonee a renderlo edotto

delle caratteristiche principali del prodotto e del relativo corrispettivo, ma anche di osservare modalità di presentazione

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una pratica commerciale non solo quando si caratterizzi per assenza di veridicità, ma anche quando,

nella sua presentazione globale, tenuto conto della pluralità di elementi indicati dalla disposizione

de qua, comprensivi del costo e della modalità in cui questo è calcolato, sia atta ad indurre il

consumatore ad assumere una decisone di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Conformemente all’orientamento giurisprudenziale nazionale, si ritiene interessante

segnalare una recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha considerato

ingannevole la pratica commerciale consistente nel menzionare in un contratto di credito, un tasso

annuo effettivo globale inferiore a quello reale qualora essa induca o sia idonea ad indurre il

e di pubblicità che siano ispirate a parametri di completezza, chiarezza ed univocità, così da consentire decisioni

consapevoli sugli oneri da sostenere per l’acquisto del prodotto o la fruizione del servizio», in Massima redazionale,

2011. Nello stesso senso più recentemente Cons. Stato Sez. VI, 17/02/2012, n. 853, in Massima redazionale, 2012

24 D. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, pubblicato nella Gazz. Uff 8 ottobre 2005, n. 235, S.O. Codice del consumo, a

norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229. «Art. 21. Azioni ingannevoli

1. E’ considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di

fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il

consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad

assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

a) l’esistenza o la natura del prodotto;

b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione,

gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o

della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o

commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e

controlli effettuati sul prodotto;

c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita,

qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all’approvazione dirette o indirette del professionista o

del prodotto;

d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;

e) la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione;

f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo

status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i

premi e i riconoscimenti;

g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi dell’articolo 130 del presente

Codice».

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consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe

altrimenti preso25

.

Il contenuto del messaggio pubblicitario, dunque, deve essere completo dovendo sempre

prevalere l’interesse generale ad assicurare una piena e completa informazione ai consumatori26

; ed

infatti, già secondo l’orientamento dell’Autorità27

anche anteriore all’intervento legislativo del

2007, il decreto legislativo n. 74 del 199228

imponeva lo specifico dovere di assolvere ad

un’informazione non solo tendenzialmente completa, ma anche chiara e univoca, inidonea, anche

per le modalità di presentazione, a determinare una induzione in errore.

Da qui potrebbe concludersi nel senso che l’obbligo che il codice del consumo prevede per il

professionista, potrebbe verosimilmente collocarsi in via analogica anche in capo all’operatore

pubblicitario: come sul professionista grava l’obbligo di mettere a disposizione del consumatore

tutte le informazioni idonee a renderlo edotto delle caratteristiche principali del prodotto e del

relativo corrispettivo, ma anche di osservare modalità di presentazione e di pubblicità che siano

ispirate a parametri di completezza, chiarezza ed univocità, così da consentire decisioni consapevoli

sugli oneri da sostenere per l’acquisto del prodotto o la fruizione del servizio, al medesimo obbligo

potrebbe ragionevolmente ritenersi sottoposto l’operatore pubblicitario nei confronti dei

destinatari del suo messaggio.

Sul profilo strettamente qualificatorio circa la situazione giuridica soggettiva propria

dell’operatore pubblicitario che si prepara a diffondere un messaggio pubblicitario, se esista cioè

uno specifico obbligo informativo, avente ad oggetto una informazione piena e completa, non c’è

unanimità di vedute. Trattasi di un aspetto decisivo, questo, soprattutto per i delicati risvolti in

termini di responsabilità, nell’ipotesi di una sua eventuale violazione.

Ebbene, da un’analisi delle pronunce giurisprudenziali che si sono espresse al riguardo, emerge che

i giudici (sia di legittimità che di merito) siano orientati a prediligere una qualificazione di onere

piuttosto che di vero e proprio obbligo (diversamente da quanto prevede il codice del Consumo per

il professionista). E così, se il messaggio pubblicitario è ingannevole non soltanto quando induce il

25

Corte Giustizia Unione Europea Sez. I, 15/03/2012, n. 453, in Massima redazionale, 2012.

26 Cons. Stato Sez. VI (Ord.), 12/03/2003, n. 915, Rass. Dir. Farm., 2003, 731.

27 Agcm, 30/05/2002, n. 10802, Massima redazionale, 2002.

28 D. Lgs, 25 gennaio 1992, n. 74 recante “Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva

97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa”, pubblicato nella Gazz. Uff. 13 febbraio 1992, n. 36, S.O.

abrogato dall’art. 146, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

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consumatore all’acquisto della merce pubblicizzata, ma anche, più in generale, allorché questi, per

effetto di un falso convincimento, sia disposto all’acquisto e, dunque, a relazionarsi con il

professionista, l’operatore commerciale ha dunque un preciso onere di completezza e chiarezza

nella redazione della propria comunicazione d’impresa29

.

Già precedentemente e relativamente al settore dell’energia, in cui sempre più stanno

proliferando le offerte pubblicitarie degli operatori riguardanti profili tariffari molto articolati e in

cui il prezzo finale del servizio è composto da una serie di voci (di difficile comprensione

segnatamente per un consumatore medio), per i giudici la completezza delle informazioni è come

un onere minimo dell’operatore pubblicitario, al fine di far percepire all’utente l’effettiva

convenienza dell’offerta.

Più precisamente il Tar ha statuito che le caratteristiche essenziali dell’offerta devono risultare

chiaramente percepibili sin dalla prima pagina del sito web, o comunque, sin dal primo livello di

navigazione30

.

E quindi, acclarato che non è dato riscontrare alcuna fonte normativa da cui possa desumersi

la titolarità di un vero e proprio obbligo in capo all’operatore pubblicitario31

e che solo seguendo

l’interpretazione giurisprudenziale si è individuata una situazione giuridica soggettiva di onere di

informazione, è doveroso spostare ora il profilo di indagine su altro aspetto, quello relativo al

contenuto per così dire “negativo” del messaggio pubblicitario: ai fini della integrazione dell’illecito

che qui ci interessa, cioè, rileva l’omissione di informazioni? Ovvero, l’omissione informativa

assume rilevanza ai fini del giudizio sulla ingannevolezza del messaggio? Può valere ad integrare

una ipotesi di pubblicità illecita, rectius ingannevole?

Seguendo l’orientamento dottrinario e giurisprudenziale l’omissione informativa è

rilevante solo laddove sia idonea ad indurre in errore il destinatario del messaggio riguardo alle

caratteristiche essenziali del prodotto o del servizio di volta in volta pubblicizzato32

.

E così, sempre pronunciandosi in materia di pubblicità ingannevole, si è detto da parte dei

giudici di merito che anche una semplice omissione di informazioni può integrare una reclame

censurabile, se da essa derivi un pericolo di induzione in errore, a sua volta suscettibile di

29

T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 13/02/2012, n. 1405, in Massima redazionale, 2012

30 T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 08/09/2009, n. 8394, in Massima redazionale, 2009.

31 Tale specifico obbligo sussiste solo per determinate tipologie di prodotti reclamizzati.

32 Come ad esempio il prezzo, l’eventuale gratuità di determinate prestazione, l’offerta di particolari condizioni

contrattuali o di specifiche garanzie

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pregiudicare il comportamento economico dei destinatari della pubblicità o di ledere un

concorrente; in mancanza di tali estremi il silenzio del messaggio non ha un valore patologico, ma

solo neutro33

.

Più precisamente è stata giudicata ingannevole una pratica commerciale che nella

fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti

del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui in tale contesto il

consumatore medio necessiterebbe per prendere una decisione consapevole di natura commerciale

e, pertanto, induce (o è idonea ad indurre), il medesimo consumatore medio ad assumere una

decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso (Conferma della sentenza del Tar

Lazio - Roma, sez. I, n. 5625/2009)34

.

Appunto per questo, se l’omissione informativa rileva al fine di qualificare come

ingannevole una data pubblicità; ne deriva che anche il controllo affidato all’Autorità si estende

ad ogni forma di pubblicità e quindi anche quella posta in essere mediante l’omissione di elementi

informativi idonei a porre il consumatore nella condizione essenziale per potersi liberamente

determinare nel proprio comportamento economico35

.

33

Tar Lazio Roma Sez. I, 01/09/2004, n. 8238, in Massima redazionale, 2004.

34 Cons. Stato Sez. VI, 21/09/2011, n. 5303, Massima redazionale, 2011; T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 24/04/2009, n.

4138, in Dir. Industriale, 2009, 4, 372, che ha evidenziato come «in applicazione di questo principio il Garante ha

ritenuto colpevole e addebitabile all’operatore professionale l’omessa indicazione della composizione della microfibra

con la quale è realizzato il prodotto».

35 T.A.R. Lazio Roma Sez. I Sent., 15/05/2007, n. 4391, in Massima redazionale, 2007.

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3 Qualificazione e valutazione della cd. “ingannevolezza”

Alla luce delle posizioni dottrinarie e giurisprudenziali sopra esposte circa il primo degli

elementi costitutivi della fattispecie di illecito della pubblicità ingannevole, ovvero l’idoneità ad

indurre in errore, attenta dottrina36

che ha significativamente condotto questa lezione, ha

evidenziato, con assoluta condivisione da parte di chi scrive, il profilo relazionale della nozione di

ingannevolezza dovendo essere valutata di volta in volta alla stregua della capacità decodificativa

del destinatario del messaggio pubblicitario.

Da qui, quando si andrà a valutare la potenzialità del messaggio ad indurre in errore, non si

potrà prescindere dallo specifico livello di maturità dei consumatori cui il messaggio è destinato.

Tanto più sarà elevata la capacità del destinatario del messaggio pubblicitario di decodificare un

“potenziale messaggio ingannevole”, tanto più sarà difficile che la fattispecie illecita si integri.

Ma esiste un sistema di gradazione che possa orientare l’operatore pubblicitario e che tenga

conto dei molteplici livelli di maturità decodificativa a cui il suo messaggio si rivolge? È ovvio

che non tutti coloro ai quali il messaggio è rivolto necessiteranno delle medesime informazioni ai

fini della sua comprensione.

Pertanto, di cosa deve tener conto l’operatore pubblicitario per non integrare l’elemento

costitutivo della pubblicità ingannevole che rientra nella più generale ingannevolezza, ovvero la

idoneità ad indurre in errore?

Ebbene, anche rispetto a tale profilo di indagine, in assenza di precise indicazioni da parte

del Legislatore, è doveroso indagare sulle posizioni assunte dalla giurisprudenza. Ed allora, dopo

una serie di oscillazioni interpretative circa il parametro di valutazione da utilizzare in concreto,

tanto i giudici, quanto gli organi di garanzia, sembrano oramai tendenzialmente ritenere che la

capacità del destinatario del messaggio in relazione alla quale valutare la ingannevolezza, sia quella

del consumatore medio.

Ma come si individua il modello di consumatore medio di riferimento, in base a quali

criteri? E su quale fascia della collettività, dunque, appuntare la tutela?

36

S. Sica e V. Zeno Zencovich, ibidem, pg. 238.

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Ebbene, certamente occorre tener conto innanzitutto dei fattori culturali, sociali ed

economici e, quindi e più precisamente, occorre tener conto del contesto economico e di mercato

all’interno del quale opera il consumatore37

.

Pertanto, il consumatore medio è individuato dalla giurisprudenza nel consumatore né

pienamente informato e avveduto, né completamente disinformato e sprovveduto; esso è

ravvisabile, cioè, in un modello che non coincide con un “tipo” riconducibile ad un consumatore

che abbia particolare dimestichezza e frequentazione di siti internet, che consentano al medesimo di

orientarsi, con avveduta dimestichezza e con sicura pratica, tra link e rinvii da una ad altra sezione

del sito web 38

. Il consumatore medio, in definitiva, è quello non esperto dello specifico settore di

mercato cui il messaggio pubblicitario si riferisce. Si tratta, peraltro, di un modello di consumatore

proprio anche della giurisprudenza della Corte di Giustizia che lo individua nel consumatore

normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto39

.

37

Tar Lazio, 9 aprile 2009, n. 3722 in Massima redazionale, 2009. Più precisamente i giudici amministrativi hanno

affermato che: «Ai fini dell’illiceità di un comportamento, ai sensi del Codice del Consumo, non è necessario

dimostrare che esso abbia avuto una concreta attuazione pregiudizievole per i consumatori, essendo sufficiente una sua

potenziale lesività tale da ascriverlo nell’ambito dell’illecito di mero pericolo. Il dato statistico, relativo al numero dei

casi in cui la condotta ha concretamente prodotto effetti, assume rilievo esclusivamente quale elemento aggravante della

condotta. Per quel che attiene all’individuazione del livello di conoscenza del “consumatore medio”, particolare rilievo

va riservato, oltre ai fattori di ordine sociale, culturale ed economico, anche alle caratteristiche dei beni e dei servizi

offerti, coniugate con le peculiarità del settore merceologico di riferimento. In particolare, nei settori caratterizzati da un

particolare gap informativo tra professionista e consumatore, è da escludere che tale asimmetria informativa possa

essere colmata ricorrendo alle normali conoscenze del consumatore, dovendosi invece pretendere che un siffatto onere

gravi esclusivamente in capo al professionista, quale aspetto del più ampio e generale onere di diligenza».

38 Tar Lazio Roma Sez. I, 16/06/2011, n. 5390 in Massima redazionale, 2011.

39 Da ultimo Corte giustizia comunità Europee Sez. IV Sent., 10/09/2009, n. 446/07 in Dir. Comunitario on line, 2009

Foro It., 2010, 2, 4, 71:«Gli articoli 3, n. l, e 13, n. 3, del Regolamento n. 2081/92, come modificato dal Regolamento n.

2796/2000, in combinato disposto con l'articolo 2 della Direttiva n. 2000/13/CE del 20 marzo 2000, relativa al

ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti

alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto

alimentare contenente riferimenti geografici, che non è registrata come denominazione di origine protetta o indicazione

geografica protetta, può essere legittimamente utilizzata a condizione che l'etichettatura del prodotto così denominato

non induca in errore il consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Per valutare

se ciò si verifichi, i giudici nazionali possono prendere in considerazione la durata dell'uso della denominazione.

L'eventuale buona fede del produttore o rivenditore non è invece rilevante a tale proposito». Ma anche Trib. I Grado

Comunita' Europee Sez. I, 12/11/2008, n. 7/04 in Giur. It., 2009, 6, 1425: «Ai fini della valutazione globale del rischio

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È una scelta, questa, che, ad avviso di attenta dottrina40

, consente di contemperare le

esigenze di tutela del consumatore e quelle di tutela della libertà di iniziativa economica della quale

la pubblicità è, appunto, espressione.

Tuttavia, è da dire che l’opzione per tale modello non esclude che la medesima tutela sia apprestata

anche ai consumatori più sprovveduti o non particolarmente vigili, come quando, ad esempio, la

repressione della pubblicità ingannevole sia funzionale alla protezione di un diverso e più rilevante

bene giuridico rispetto a quello della libera concorrenza41

. Significativo al riguardo è il caso relativo

alla già affrontata questione delle sigarette “light”.

Più precisamente, si ritiene rientrino fra i diritti dei consumatori ●una adeguata

informazione ed ●una corretta pubblicità, nonché il ●rispetto di principi di correttezza,

trasparenza42

ed equità nelle pratiche commerciali e nei rapporti contrattuali; in conformità a detti

di confusione si deve ritenere che il consumatore medio sia normalmente informato e ragionevolmente attento e

avveduto, tenendo conto del fatto che il livello di attenzione del consumatore può variare in funzione della categoria di

prodotti o di servizi di cui trattasi e che egli solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari

marchi, ma deve fare affidamento sull'immagine imperfetta che ne ha mantenuto nella memoria ». In origine, Sent.

6.7.1995 in causa C-. 470/1993, Mars., in Raccolta, 1995, 1923.

40 E. Minervini e L. Rossi Carleo Le pratiche commerciali sleali, Direttiva comunitaria e ordinamento italianoi, in

Quaderni di giurisprudenza commerciale.

41 Ed infatti anche in dottrina è stato evidenziato da P. Stanzione e G. Sciancalepore, in Commentario al Codice del

consumo, inquadramento sistematico, Ipsoa, 2006, come tale scelta interpretativa non abbia impedito all’Autorità di

utilizzare metri di misura più “severi”. A ben vedere, infatti, in numerose decisioni aventi ad oggetto pubblicità di

prodotti o servizi destinati a soggetti portatori di particolari patologie o particolari problemi fisici o rispetto ai quali sia

sensibilmente pronunciata la asimmetria informativa tra il destinatario del messaggio e l’operatore, l’Autorità ha scelto

di fare riferimento anche al metro di misura del “consumatore più sprovveduto”. In tal senso la giurisprudenza di merito

ha precisato che «In tema di pubblicità ingannevole, ai fini del giudizio di ingannevolezza può assumere rilevanza

anche la circostanza che il messaggio oggetto di scrutinio sia rivolto ad una platea di destinatari in generale competenti

e non sprovveduti, quali gli imprenditori, a meno che il messaggio stesso non appaia diretto a trarre vantaggio da una

possibile disattenzione del lettore».

42 Quello della trasparenza rappresenta un principio cardine nel sistema della tutela dei consumatori e dei concorrenti da

eventuali forme di pubblicità illecita. Nel momento in cui si prevede che i messaggi pubblicitari siano riconoscibili

come tali e distinti da qualsiasi altra forma di comunicazione pubblicitaria occulta, in modo tale da consentire al

consumatore di ben rendersi conto della finalità pubblicitaria del messaggio e quindi adeguatamente ponderare il livello

di attenzione da prestare, è ovvio che gli si fornisce una importante garanzia. Il rispetto di tale principio, infatti,

consente al destinatario del messaggio di attivare i comuni meccanismi di autodifesa che normalmente dovrebbero

accompagnare la decodifica della pubblicità commerciale.

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principi è ravvisabile pubblicità ingannevole in un’offerta, che non fornisca ai potenziali utenti

informazioni corrette, secondo standards di diligenza tali, da consentire al consumatore di orientarsi

consapevolmente in un mercato concorrenziale43

.

E allora, qualificata la nozione di ingannevolezza, proviamo ad indagare alla luce di quali

altri minimi criteri oggettivi essa va valutata. In base a cosa, cioè, l’interprete valuta se una

fattispecie concreta di comunicazione commerciale sia o meno ingannevole e, dunque, sia o non sia

il suo contenuto potenzialmente decettivo?

Ebbene, secondo il dato normativo44

(e codicistico, proprio del Codice di Autodisciplina

Pubblicitaria), per giudicare, rectius valutare, se la pubblicità sia ingannevole o meno occorre

considerare tutti gli elementi, distinguendo in particolare:

a) le caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l’esecuzione, la

composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l’idoneità allo scopo, gli usi,

la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere

con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o

sui servizi (ad esempio false offerte di lavoro, fittizi inviti a feste o raduni);

b) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi sono

forniti (ad esempio prezzi di tariffe telefoniche, di carburanti, servizi internet, servizi telefonici a

pagamento);

43

Cons. Stato Sez. VI, 19/01/2012, n. 209 (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma, sez. I, n. 5386/2011).

Massima redazionale, 2012; si veda anche Cons. Stato Sez. VI, 21/09/2011, n. 5306, in Massima redazionale, 2011 a

proposito degli «(….) accresciuti oneri di diligenza e di informazione a protezione di chi opera al contrario (il

consumatore) al di fuori dell’esercizio della sua attività professionale (ed è per tal ragione in posizione di tendenziale

debolezza contrattuale)».

44 D. Lgs 02/08/2007 n. 145 art. 3. Elementi di valutazione. 1. Per determinare se la pubblicità è ingannevole se ne

devono considerare tutti gli elementi, con riguardo in particolare ai suoi riferimenti:

a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l’esecuzione, la composizione, il

metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine

geografica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche

fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi;

b) al prezzo o al modo in cui questo è calcolato ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi sono forniti;

c) alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell’operatore pubblicitario, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, i diritti

di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o

riconoscimenti.

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c) la categoria, le qualifiche e i diritti dell’operatore pubblicitario, quali l’identità, il patrimonio, le

capacità, i diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi

all’impresa ed i premi o riconoscimenti (ad esempio falsa esistenza di certificazioni di qualità,

mendaci affermazioni di primato).

Al riguardo è opportuno fornire alcune fra le posizioni più interessanti assunte dalla

giurisprudenza rispetto a ciascuno di questi elementi.

E così, in relazione agli elementi di cui alla lettera a) è interessante accennare ad una

pronuncia già richiamata sopra che ha tenuto conto di tali elementi e che, tra le altre cose, ha

affermato la possibilità di chiedere l’accertamento della responsabilità del produttore per aver

commercializzato, attraverso pratiche commerciali scorrette ed ingannevoli, un prodotto privo delle

qualità funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente e quindi inidoneo ad assolvere la

funzione economico sociale che gli è propria45

.

Sempre per quel che concerne tali elementi, si pensi a quelle forme di pubblicità ingannevole in

ragione della falsità degli effetti promessi in relazione all’uso del prodotto; anche per questa ipotesi

si segnala una recente pronuncia che ha ritenuto doversi annullare, in applicazione dell’art. 1439

c.c., il contratto avente ad oggetto un trattamento estetico pubblicizzato attraverso un messaggio

pubblicitario giudicato ingannevole dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato e

rivelatosi inidoneo al raggiungimento dei risultati promessi46

.

Per quanto riguarda, poi, gli elementi di cui al punto b) dell’art. 3 d.Lgs. 145/07 sono state

giudicate ingannevoli, a titolo meramente esemplificativo, quelle pubblicità aventi ad oggetto i

45

Trib. Milano, 13/03/2012 Sito Il caso.it, 2012.

46 Trib. Modena Sez. II, 06/03/2012, in Resp. civ., 2012, 7, 554. In particolare, il Garante ha affermato che "Tali

messaggi pubblicitari per l’assolutezza delle affermazioni riportate circa la definitività incondizionata dei risultati

conseguibili attraverso entrambi i metodi di depilazione laser pubblicizzati, debbono considerarsi ingannevoli. Inoltre,

tali affermazioni, riguardando una caratteristica fondamentale e distintiva dei servizi pubblicizzati, attengono a profili

che nella decodifica dei messaggi assumono un ruolo determinante per il consumatore e, a causa della loro

ingannevolezza, sono suscettibili di pregiudicare il comportamento economico dei destinatari, inducendoli a scegliere di

seguire, rispetto ad altri sistemi di depilazione, i metodi pubblicizzati sulla falsa convinzione di poter risolvere

definitivamente il problema dei peli superflui, indipendentemente da circostanze del tutto soggettive e variabili". Ciò è

d’altronde conforme a consolidata giurisprudenza in tema di messaggi pubblicitari che promettono una epilazione

radicale e definitiva (Giurì cod. aut. pubb.ria, 9/12/2003, n. 189, in: Rass. dir. farmaceutico 2005, 107; T.A.R. Lazio, I,

8/6/2005, n. 8113, in: Rass. dir. farmaceutico 2006, 6, 1340; T.A.R. Lazio, I, 8/10/2005, n. 8113, in: Foro amm. TAR

2005, 10, 3172; Garante concorr. mercato, 6/612007, n. 16910, in: Rass. dir. farmaceutico 2007, 3, 789).

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prezzi delle tariffe telefoniche, dei carburanti, delle tariffe aeree, dei servizi internet, dei "numeri

verdi" e dei servizi telefonici a pagamento.

A sortire un effetto decettivo sulla scelta del consumatore ben potrebbero essere anche le

sole modalità di presentazione del prezzo, basti pensare ad un prezzo base a cui vanno aggiunti

ulteriori costi e oneri, di modo che il prezzo finale ed effettivo sia di tutt’altro che chiara e

immediata percezione, imponendo un macchinoso calcolo al consumatore ovvero non agevolando la

percezione delle relative informazioni.

E così si è consolidato l’indirizzo interpretativo in base al quale perchè l’informazione

commerciale resa al pubblico possa essere definita chiara e precisa, occorre che l’indicazione del

costo del prodotto o del servizio, includa ogni onere economico che vada gravare sul consumatore,

il cui ammontare deve essere determinabile ex ante o presentare tutte le componenti che concorrono

al computo del prezzo finale.

Pertanto, si è ritenuto che la scelta di enfatizzare un prezzo base che non corrisponde al prezzo

finale ed effettivo può indurre in errore il consumatore quando non si accompagni a modalità di

presentazione del messaggio complessivo che consentano una precisa e immediata percezione del

prezzo finale ed effettivo rendendo, così, ingannevole il messaggio pubblicitario47

.

Infine, relativamente agli elementi di cui alla lett. c) dell’art. 3 d.Lgs. 145/07 che prevede quale

potenziale indice di valutazione sulla ingannevolezza del messaggio, l’inganno relativo alle

caratteristiche dello stesso operatore pubblicitario, si evidenzia una interessante decisione

dell’Agcm che nel prendere posizione rispetto ad attestazioni concernenti i sistemi di prevenzione e

controllo sulla filiera produttiva poste in essere da un operatore pubblicitario che reclamizzano

taluni prodotti a base di carne bovina destinati all’alimentazione infantile, le ha ritenute non foriere

di inganno, ove suffragate da documentazione probatoria attestante i sistemi di prevenzione e

controllo poste in essere dall’ operatore pubblicitario; ritenendo, invece, ingannevoli quelle

affermazioni contenute nel medesimo messaggio volte ad assicurare la totale assenza di rischio di

infezione da Bse nelle carni provenienti dagli allevamenti, posto che la categoricità di tali assunti

non trova alcun conforto nel settore in esame48

.

47

Cons. Stato, 27/07/2010, n. 4894, Foro It., 2010, 10, 3, 481.

48 Autorità Garante per la concorrenza, 01/08/2001, n. 9852, in Giust. Civ., 2002, I, 253.

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4 L’altro elemento costituivo della pubblicità ingannevole: il pregiudizio del comportamento economico del consumatore o in alternativa la

lesione del concorrente

Come si ricorderà, ad integrare la fattispecie di illecito in esame, oltre all’idoneità ad indurre in

errore i destinatari del messaggio pubblicitario, con i compiuti rilievi sull’ingannevolezza, è

l’idoneità lesiva del messaggio stesso qualificata in termini di potenzialità a pregiudicarne il

comportamento economico (o, in alternativa a ledere un concorrente).

Nella valutazione dell’Agcm come anche in quella della dottrina che si è vista nel corso del primo

paragrafo, una volta accertata la recettività del messaggio, il pregiudizio economico nei confronti

dei concorrenti è considerato in re ipsa, atteso che questi ultimi non potrebbero non risentire dello

sviamento della clientela (così integrandosi la lesione del concorrente) e che, in ragione del

messaggio, abbia orientato le proprie scelte verso i prodotti del concorrente.

Il che significa che anche in assenza del concreto pregiudizio al comportamento economico del

consumatore, un messaggio pubblicitario ben potrebbe essere dichiarato ingannevole qualora, a

causa della sua attitudine decettiva, fosse in grado di cagionare una lesione, attuale o potenziale,

ad un concorrente, ben potendo questo presupposto della fattispecie finire con il coincidere, in

concreto, con la pratica anticoncorrenziale dello sviamento della clientela, consistente

nell’errore in cui potrebbero potenzialmente incorrere i fruitori del messaggio all’atto di

concretizzare le proprie scelte di mercato a causa dell’ingannevolezza del messaggio.

Va precisato, comunque, che la lesione del concorrente di cui alla pubblicità ingannevole, non

presuppone necessariamente che il soggetto danneggiato sia un diretto competitor di quello che ha

immesso il messaggio decettivo nel segmento di mercato interessato ma è sufficiente che un

qualsiasi operatore economico abbia subìto conseguenze pregiudizievoli a causa della attitudine

menzognera della comunicazione promozionale49

.

49

G. Rossi, La pubblicità dannosa. Concorrenza sleale, “diritto a non essere ingannati”, diritti della personalità,

Milano, 2000.

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Università Telematica Pegaso La pubblicità ingannevole

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Pertanto, giustamente è stata evidenziata da attenta dottrina la anomala coincidenza della lesione

attuale o potenziale ad un concorrente, con la pratica anticoncorrenziale dello sviamento della

clientela50

,

Ma come si accerta il pregiudizio del comportamento economico? Come si accerta, cioè, se un

determinato messaggio pubblicitario abbia in qualche modo alterato la scelta del destinatario? C’è

pregiudizio economico, cioè, solo laddove ci sia la prova del danno patrimoniale concretamente

subìto?

Seguendo la più recente interpretazione giurisprudenziale51

, ai fini dell’integrazione della fattispecie

di pubblicità ingannevole, se si facesse coincidere la nozione di pregiudizio del comportamento

economico del consumatore con quella di danno economico (implicante una diminuzione

patrimoniale) si compirebbe una ricostruzione piuttosto riduttiva. Più correttamente, infatti, come

già osservato, essa va intesa nel senso di influenza sul comportamento economico del consumatore

nel quadro della tutela della relativa libertà di scelta. In caso contrario, infatti, l’inesistenza di

pregiudizio economico reale impedirebbe di considerare "sanzionabili" messaggi anche del tutto

disancorati rispetto al dato reale.

In definitiva c’è potenziale pregiudizio del comportamento economico dei destinatari del

messaggio pubblicitario laddove questo si riveli anche solo potenzialmente idoneo a ledere la

libertà di autodeterminazione del consumatore, indipendentemente dal fatto che abbia o

acquistato il prodotto e, quindi, indipendentemente dal fatto che il suo patrimonio abbia subito o

meno una modificazione.

50

In tal senso S. Sica e V. Zeno Zencovich, ibidem, pg. 247, per i quali: «Nella prassi, tuttavia, vi è poco spazio per

immaginare un’autonomia di quest’ultima ipotesi, visto che la medesima pubblicità, qualora sia idonea ad indurre in

errore i propri destinatari, non può che finire, al contempo, per pregiudicarne il comportamento economico – vista

anche l’interpretazione che riceve tale ultimo requisito – e, dunque, per ledere anche il concorrente in relazione allo

sviamento della clientela».

51 Cons. Stato Sez. VI, 04/08/2009, n. 4901, (Riforma della sentenza del T.A.R. Lazio n. 3538/2004), in Massima

redazionale, 2009. Nello stesso senso anche T.A.R. Lazio Sez. I, 14/05/2008, n. 4107, in Massima redazionale, 2008.

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(L. 22.04.1941/n. 633)

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Bibliografia

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dell’Antitrust su pratiche commerciali scorrette in www.key4biz.it.

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www.altalex.com.

E. Minervini e L. Rossi Carleo Le pratiche commerciali sleali, Direttiva comunitaria e

ordinamento italianoi, in Quaderni di giurisprudenza commerciale.

E. Poddighe,Il difficile connubio tra danno da fumo e responsabilità civile all’interno e oltre

i confini nazionali, in La nuova giurisprudenza civile commentata n. 3/2012 2012 - Parte

seconda, 20122012 - Parte seconda, 2012.

G. Rossi, La pubblicità dannosa. Concorrenza sleale, “diritto a non essere ingannati”, diritti

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Concorrenza e mercato, Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante, 15/2007.

S. Sica e V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, II

Edizione, Cedam 2012.

P. Stanzione e G. Sciancalepore, in Commentario al Codice del consumo, inquadramento

sistematico, Ipsoa, 2006