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Guido Dorso La rivoluzione meridionale www.liberliber.it Guido Dorso La rivoluzione meridionale www.liberliber.it

La rivoluzione meridionale - liberliber.it · Nel campo istituzionale: funzione reazionaria.. .245 La politica ecclesiastica fascista e il Vaticano....247 Futura alleanza antirazionalistica

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Guido DorsoLa rivoluzione meridionale

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: La rivoluzione meridionaleAUTORE: Dorso, GuidoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: La rivoluzione meridionale / Guido Dorso.- Milano : Il saggiatore, 1969. - 370 p. ; 19 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 22 maggio 2018

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard

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TRATTO DA: La rivoluzione meridionale / Guido Dorso.- Milano : Il saggiatore, 1969. - 370 p. ; 19 cm.

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2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:POL032000 SCIENZE POLITICHE / Saggi

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Paolo Oliva, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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SOGGETTO:POL032000 SCIENZE POLITICHE / Saggi

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Prefazione alla seconda edizione..................................15Gli aspetti storici della politica unitariae la questione meridionale............................................68

Il Risorgimento e la conquista regia.........................69Il fallimento ideale del Risorgimento...................69La conquista regia.................................................70La politica di Cavour............................................71La monarchia socialista........................................73Il sistema delle dittature personali........................75La nuova conquista regia attraverso le masse......77

Conservazione e rivoluzione anteguerra...................79Il giolittismo nell'anteguerra.................................79Le forze antigiolittiane e la scissione socialista....81Antigiolittismo borghese......................................83Interventismo rivoluzionario................................84Interventismo regio...............................................86Neutralismo giolittiano.........................................87Neutralismo socialista..........................................88

La rivoluzione in atto: il bolscevismo......................91Primi sintomi bolscevici.......................................91Ripresa interventista e sconfitta di Bissolati........92La diffusione del bolscevismo..............................93L'interventismo rivoluzionario in gara col bolscevi-smo.......................................................................96

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Prefazione alla seconda edizione..................................15Gli aspetti storici della politica unitariae la questione meridionale............................................68

Il Risorgimento e la conquista regia.........................69Il fallimento ideale del Risorgimento...................69La conquista regia.................................................70La politica di Cavour............................................71La monarchia socialista........................................73Il sistema delle dittature personali........................75La nuova conquista regia attraverso le masse......77

Conservazione e rivoluzione anteguerra...................79Il giolittismo nell'anteguerra.................................79Le forze antigiolittiane e la scissione socialista....81Antigiolittismo borghese......................................83Interventismo rivoluzionario................................84Interventismo regio...............................................86Neutralismo giolittiano.........................................87Neutralismo socialista..........................................88

La rivoluzione in atto: il bolscevismo......................91Primi sintomi bolscevici.......................................91Ripresa interventista e sconfitta di Bissolati........92La diffusione del bolscevismo..............................93L'interventismo rivoluzionario in gara col bolscevi-smo.......................................................................96

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La tendenza sovvertitrice dell'interventismo con-servatore...............................................................97Giolitti salva il regime........................................100La collaborazione del Partito popolare...............103La crisi socialista................................................106Le baronie rosse..................................................111Bolscevismo, gabinetto di coalizione e debolezza dello Stato...........................................................112

La rivoluzione in marcia: il fascismo.....................116Le origini............................................................116La piccola borghesia si stacca dallo Stato..........118Il fascismo contro lo Stato..................................119Primi tentativi antifascisti...................................120Il fascismo partito di maggioranza.....................123Il fascismo e il proletariato.................................127La marcia su Roma.............................................128I conati realizzatori del fascismo........................130La crisi del fascismo...........................................133Il fascismo rivoluzionario contro il trasformismo mussoliniano.......................................................137Il fascismo e gli altri partiti................................138Un espediente: la nuova legge elettorale............141Le elezioni rivoluzionarie...................................145Il fascismo non sa servirsi del parlamento..........149Il delitto Matteotti...............................................150Mussolini tenta il salvataggio.............................151La manovra fiancheggiatrice..............................153

Il Mezzogiorno e lo Stato unitario..........................155Le basi storiche della conquista regia nel Mezzo-

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La tendenza sovvertitrice dell'interventismo con-servatore...............................................................97Giolitti salva il regime........................................100La collaborazione del Partito popolare...............103La crisi socialista................................................106Le baronie rosse..................................................111Bolscevismo, gabinetto di coalizione e debolezza dello Stato...........................................................112

La rivoluzione in marcia: il fascismo.....................116Le origini............................................................116La piccola borghesia si stacca dallo Stato..........118Il fascismo contro lo Stato..................................119Primi tentativi antifascisti...................................120Il fascismo partito di maggioranza.....................123Il fascismo e il proletariato.................................127La marcia su Roma.............................................128I conati realizzatori del fascismo........................130La crisi del fascismo...........................................133Il fascismo rivoluzionario contro il trasformismo mussoliniano.......................................................137Il fascismo e gli altri partiti................................138Un espediente: la nuova legge elettorale............141Le elezioni rivoluzionarie...................................145Il fascismo non sa servirsi del parlamento..........149Il delitto Matteotti...............................................150Mussolini tenta il salvataggio.............................151La manovra fiancheggiatrice..............................153

Il Mezzogiorno e lo Stato unitario..........................155Le basi storiche della conquista regia nel Mezzo-

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giorno..................................................................155Centralismo meridionale....................................156L'azione antifeudale della monarchia assoluta e la formazione della borghesia terriera....................158La politica borbonica e l'equivoco liberale.........163L'azione antifeudale durante la luogotenenza.....164Le critiche della Destra storica...........................166La borghesia meridionale si assicura il dominio at-traverso il trasformismo......................................168Due meridionalisti: Giustino Fortunato, Antonio De Viti De Marco...............................................169Gaetano Salvemini e l'«Unità»...........................171Il Partito radicale................................................173

Mezzogiorno, guerra e fascismo.............................175Il neutralismo meridionale..................................175La smobilitazione...............................................176L'insuccesso del Partito popolare.......................177L'azione dei combattenti.....................................178Una vittoria del trasformismo.............................178Il fascismo nel Mezzogiorno: Aurelio Padovani.............................................................................182Un errore fatale...................................................185Il congresso di Napoli.........................................186Il fascismo si espande.........................................187Il nazionalismo campano....................................190I deputati meridionali impugnano l'arma della coe-renza...................................................................191L'intransigenza padovaniana..............................192I termini della lotta.............................................194

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giorno..................................................................155Centralismo meridionale....................................156L'azione antifeudale della monarchia assoluta e la formazione della borghesia terriera....................158La politica borbonica e l'equivoco liberale.........163L'azione antifeudale durante la luogotenenza.....164Le critiche della Destra storica...........................166La borghesia meridionale si assicura il dominio at-traverso il trasformismo......................................168Due meridionalisti: Giustino Fortunato, Antonio De Viti De Marco...............................................169Gaetano Salvemini e l'«Unità»...........................171Il Partito radicale................................................173

Mezzogiorno, guerra e fascismo.............................175Il neutralismo meridionale..................................175La smobilitazione...............................................176L'insuccesso del Partito popolare.......................177L'azione dei combattenti.....................................178Una vittoria del trasformismo.............................178Il fascismo nel Mezzogiorno: Aurelio Padovani.............................................................................182Un errore fatale...................................................185Il congresso di Napoli.........................................186Il fascismo si espande.........................................187Il nazionalismo campano....................................190I deputati meridionali impugnano l'arma della coe-renza...................................................................191L'intransigenza padovaniana..............................192I termini della lotta.............................................194

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La sconfitta di Padovani.....................................196L'intransigenza dei trasformisti e la débacle dei de-putati uscenti.......................................................198Le elezioni..........................................................202Il distacco dei fiancheggiatori.............................203La scopertura del regime....................................204

I partiti storicie la questione meridionale..........................................206

Fallimento fascista e nuova conquista regia...........207I dati della conquista piemontese in pericolo.....207Il bolscevismo, primo tentativo di impadronirsi dello Stato...........................................................208Giolitti, il socialismo di Stato e il fascismo........210Insufficienza dell'azione mussoliniana...............213Opposizione dei revisionismi fascisti e del musso-linismo alle necessità ideali della rivoluzione italia-na........................................................................216La manovra fiancheggiatrice per ristabilire i dati storici della conquista regia................................219Insufficienza ideale del cartello delle sinistre.....220

I liberali e i democratici..........................................223La lotta tra Giolitti e Salandra continua attraverso ilfiancheggiamento al fascismo............................223Il gruppo demosociale relitto del giolittismo......227La riforma costituzionale e la riforma dello Stato.............................................................................228La conservazione intelligente.............................230Amendola e la questione meridionale................232L'opposizione costituzionale futura riserva della

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La sconfitta di Padovani.....................................196L'intransigenza dei trasformisti e la débacle dei de-putati uscenti.......................................................198Le elezioni..........................................................202Il distacco dei fiancheggiatori.............................203La scopertura del regime....................................204

I partiti storicie la questione meridionale..........................................206

Fallimento fascista e nuova conquista regia...........207I dati della conquista piemontese in pericolo.....207Il bolscevismo, primo tentativo di impadronirsi dello Stato...........................................................208Giolitti, il socialismo di Stato e il fascismo........210Insufficienza dell'azione mussoliniana...............213Opposizione dei revisionismi fascisti e del musso-linismo alle necessità ideali della rivoluzione italia-na........................................................................216La manovra fiancheggiatrice per ristabilire i dati storici della conquista regia................................219Insufficienza ideale del cartello delle sinistre.....220

I liberali e i democratici..........................................223La lotta tra Giolitti e Salandra continua attraverso ilfiancheggiamento al fascismo............................223Il gruppo demosociale relitto del giolittismo......227La riforma costituzionale e la riforma dello Stato.............................................................................228La conservazione intelligente.............................230Amendola e la questione meridionale................232L'opposizione costituzionale futura riserva della

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conquista regia....................................................235Il liberalismo affidato alla difesa di gruppi cultura-li..........................................................................237L'opera di «Rivoluzione Liberale» e il comitato delle opposizioni.................................................239

I popolari.................................................................241Tripartizione dell'azione liberale........................241Nel campo economico: funzione di conservazione.............................................................................242Nel campo parlamentare: funzione rivoluzionaria.............................................................................244Nel campo istituzionale: funzione reazionaria.. .245La politica ecclesiastica fascista e il Vaticano....247Futura alleanza antirazionalistica tra lo Stato stori-co e la Chiesa......................................................250Pericoli dell'azione «popolare»...........................251

I socialisti unitari....................................................252Tripartizione del Partito socialista......................252Il socialismo unitario e la monarchia socialista..253Saldatura con l'amendolismo e assorbimento dei ceti medi.............................................................255Il socialismo unitario e la questione meridionale.............................................................................256

I socialisti massimalisti...........................................259Centrismo serratiano e massimalismo. Scarsa vita-lità del fenomeno................................................259

I comunisti..............................................................262Le critiche al socialismo italiano e i consigli di fab-brica....................................................................262

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conquista regia....................................................235Il liberalismo affidato alla difesa di gruppi cultura-li..........................................................................237L'opera di «Rivoluzione Liberale» e il comitato delle opposizioni.................................................239

I popolari.................................................................241Tripartizione dell'azione liberale........................241Nel campo economico: funzione di conservazione.............................................................................242Nel campo parlamentare: funzione rivoluzionaria.............................................................................244Nel campo istituzionale: funzione reazionaria.. .245La politica ecclesiastica fascista e il Vaticano....247Futura alleanza antirazionalistica tra lo Stato stori-co e la Chiesa......................................................250Pericoli dell'azione «popolare»...........................251

I socialisti unitari....................................................252Tripartizione del Partito socialista......................252Il socialismo unitario e la monarchia socialista..253Saldatura con l'amendolismo e assorbimento dei ceti medi.............................................................255Il socialismo unitario e la questione meridionale.............................................................................256

I socialisti massimalisti...........................................259Centrismo serratiano e massimalismo. Scarsa vita-lità del fenomeno................................................259

I comunisti..............................................................262Le critiche al socialismo italiano e i consigli di fab-brica....................................................................262

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La rivoluzione rurale e la questione meridionale.............................................................................266Il comunismo italiano movimento liberale.........269Ostacoli alla sua azione......................................270

I repubblicani..........................................................273Il Partito repubblicano prima della guerra..........273Correnti revisionistiche......................................274Oliviero Zuccarini e la «Critica politica»...........276Sviluppi ideali in corso.......................................278

Lo Stato storicoe la rivoluzione meridionale.......................................281

La rivoluzione meridionale.....................................282Aspetti fisici della questione meridionale..........282La compressione economica del Nord sul Sud e l'emigrazione.......................................................284La politica finanziaria dello Stato italiano e la ditta-tura antimeridionale............................................287La questione meridionale è politica e rivoluziona-ria........................................................................289Le forze produttive del Mezzogiorno contro lo Sta-to.........................................................................289La rivoluzione meridionale.................................291

L'autonomismo.......................................................293Partiti unitari e autonomismo.............................293Necessità dialettica dell'antitesi tra unitarismo e au-tonomismo..........................................................295«Self-government» meridionale e particolarismo.............................................................................298Autonomismo e separatismo..............................300

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La rivoluzione rurale e la questione meridionale.............................................................................266Il comunismo italiano movimento liberale.........269Ostacoli alla sua azione......................................270

I repubblicani..........................................................273Il Partito repubblicano prima della guerra..........273Correnti revisionistiche......................................274Oliviero Zuccarini e la «Critica politica»...........276Sviluppi ideali in corso.......................................278

Lo Stato storicoe la rivoluzione meridionale.......................................281

La rivoluzione meridionale.....................................282Aspetti fisici della questione meridionale..........282La compressione economica del Nord sul Sud e l'emigrazione.......................................................284La politica finanziaria dello Stato italiano e la ditta-tura antimeridionale............................................287La questione meridionale è politica e rivoluziona-ria........................................................................289Le forze produttive del Mezzogiorno contro lo Sta-to.........................................................................289La rivoluzione meridionale.................................291

L'autonomismo.......................................................293Partiti unitari e autonomismo.............................293Necessità dialettica dell'antitesi tra unitarismo e au-tonomismo..........................................................295«Self-government» meridionale e particolarismo.............................................................................298Autonomismo e separatismo..............................300

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Autonomismo, federalismo e regionalismo........301Il Partito sardo d'azione......................................304Appello ai giovani del Mezzogiorno..................306

Appendice primaIl fascismo visto dal Sud.............................................308

Trasformismo prefascista e fascista........................309La proporzionale nel Mezzogiorno.........................317

1919: elezioni a circoscrizione provinciale........3181921: elezioni a circoscrizione regionale...........3201924: elezioni rivoluzionarie..............................322Collegio uninominale: tentativo di ritorno trasfor-mistico................................................................325Conclusioni.........................................................327

Meridionalismo applicato.......................................329La polemica sul triangolo...................................329La tesi del «Saggiatore».....................................335La tesi dei popolari.............................................338Quattro tesi in contrasto......................................339Autonomismo e decentramento..........................342

Mali e rimedi..........................................................345Epilogo semiserio...................................................350

Il liberalismo di comodo.....................................351...e le corna al Podestà........................................352Vogliamo il capo-urbano....................................355Il Podestà dei Podestà.........................................357

Appendice secondaDue giudizi.................................................................362

Un giudizio di Luigi Sturzo....................................363La questione meridionale

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Autonomismo, federalismo e regionalismo........301Il Partito sardo d'azione......................................304Appello ai giovani del Mezzogiorno..................306

Appendice primaIl fascismo visto dal Sud.............................................308

Trasformismo prefascista e fascista........................309La proporzionale nel Mezzogiorno.........................317

1919: elezioni a circoscrizione provinciale........3181921: elezioni a circoscrizione regionale...........3201924: elezioni rivoluzionarie..............................322Collegio uninominale: tentativo di ritorno trasfor-mistico................................................................325Conclusioni.........................................................327

Meridionalismo applicato.......................................329La polemica sul triangolo...................................329La tesi del «Saggiatore».....................................335La tesi dei popolari.............................................338Quattro tesi in contrasto......................................339Autonomismo e decentramento..........................342

Mali e rimedi..........................................................345Epilogo semiserio...................................................350

Il liberalismo di comodo.....................................351...e le corna al Podestà........................................352Vogliamo il capo-urbano....................................355Il Podestà dei Podestà.........................................357

Appendice secondaDue giudizi.................................................................362

Un giudizio di Luigi Sturzo....................................363La questione meridionale

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nel pensiero di Antonio Gramsci............................373

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nel pensiero di Antonio Gramsci............................373

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Guido Dorso

La rivoluzionemeridionale

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Guido Dorso

La rivoluzionemeridionale

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La rivoluzione meridionale

Alla santa memoriadi mia madre

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La rivoluzione meridionale

Alla santa memoriadi mia madre

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Prefazione alla seconda edizione

Le amichevoli pressioni di alcuni amici e lo sviluppodella crisi nazionale mi inducono a ristampare questo li-bro, che affronta il nostro problema istituzionale dalpunto di vista piú profondo che sia stato mai tentato,poiché mostra attraverso quali vie il fondamentale com-promesso, che è alla base stessa della vita politica italia-na, si sia affermato e minacci di riprodursi permanente-mente.

Avrei voluto, però, per lo meno rimaneggiare il testotenendo conto degli avvenimenti successivi, e depuran-dolo di tutto ciò che si riferisse a situazioni di partito or-mai tramontate. Ma mi si è fatto osservare che, in talcaso avrei dovuto scrivere un'opera nuova, e che la bre-vità del tempo non lo consentiva. D'altra parte, questo èun libro per gli iniziati, e non per il pubblico grosso, gliiniziati non incontrano difficoltà a depurare il pensierodagli elementi contingenti, per spremerne le idee centra-li che non tramontano.

Ciò vale a dire che il lettore dev'essere un po' il colla-boratore dello scrittore e non mi nascondo che tale fati-

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Prefazione alla seconda edizione

Le amichevoli pressioni di alcuni amici e lo sviluppodella crisi nazionale mi inducono a ristampare questo li-bro, che affronta il nostro problema istituzionale dalpunto di vista piú profondo che sia stato mai tentato,poiché mostra attraverso quali vie il fondamentale com-promesso, che è alla base stessa della vita politica italia-na, si sia affermato e minacci di riprodursi permanente-mente.

Avrei voluto, però, per lo meno rimaneggiare il testotenendo conto degli avvenimenti successivi, e depuran-dolo di tutto ciò che si riferisse a situazioni di partito or-mai tramontate. Ma mi si è fatto osservare che, in talcaso avrei dovuto scrivere un'opera nuova, e che la bre-vità del tempo non lo consentiva. D'altra parte, questo èun libro per gli iniziati, e non per il pubblico grosso, gliiniziati non incontrano difficoltà a depurare il pensierodagli elementi contingenti, per spremerne le idee centra-li che non tramontano.

Ciò vale a dire che il lettore dev'essere un po' il colla-boratore dello scrittore e non mi nascondo che tale fati-

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ca addizionale è abbastanza noiosa, ma i miei amici so-stengono che oggi vi sono molte persone disposte a fati-che anche maggiori pur di soddisfare il loro intimo desi-derio di penetrare le riposte ragioni del difettoso funzio-namento del nostro congegno statale.

Perciò mi sono indotto alla ristampa e sono costrettoa chiedere anticipate scuse a coloro che getteranno illoro sguardo su queste pagine. Ho cercato, però, di col-mare parecchie lacune, ristampando alcuni degli articoliapparsi nello stesso periodo di tempo in giornali e rivi-ste politiche. In molti di essi è fatta applicazione delleidee centrali a situazioni particolari, e la forza e il vigoredelle prime ne risulta confermato.

Inoltre premetto alla ristampa questo scritto, che è in-sieme prefazione ed epilogo, e spero che sia sufficientenon solo a mostrare la continuità del pensiero, ma a tra-sportarlo piú vicino alla odierna realtà. Forse il lettorefarebbe meglio a rileggerlo dopo l'ultima pagina. In de-finitiva non mi dissimulo che pretendo troppo da lui, maamo credere che mi sarà grato se lo induco a sottoporsia una fatica gravosa, poiché dopo averla fatta, potrà ave-re idee piú chiare sul punto centrale del problema italia-no, anche se esse saranno in aperto dissenso con le mie.

Il libro fu edito da Piero Gobetti verso la fine del1925, in piena crisi del fascismo, e mi si scatenarono ad-dosso mille diavoli, poiché esso parve eretico a tutti.Soltanto Oliviero Zuccarini, Antonio Gramsci, Tomma-so Fiore, don Sturzo e i giornali sardi lo difesero aperta-

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ca addizionale è abbastanza noiosa, ma i miei amici so-stengono che oggi vi sono molte persone disposte a fati-che anche maggiori pur di soddisfare il loro intimo desi-derio di penetrare le riposte ragioni del difettoso funzio-namento del nostro congegno statale.

Perciò mi sono indotto alla ristampa e sono costrettoa chiedere anticipate scuse a coloro che getteranno illoro sguardo su queste pagine. Ho cercato, però, di col-mare parecchie lacune, ristampando alcuni degli articoliapparsi nello stesso periodo di tempo in giornali e rivi-ste politiche. In molti di essi è fatta applicazione delleidee centrali a situazioni particolari, e la forza e il vigoredelle prime ne risulta confermato.

Inoltre premetto alla ristampa questo scritto, che è in-sieme prefazione ed epilogo, e spero che sia sufficientenon solo a mostrare la continuità del pensiero, ma a tra-sportarlo piú vicino alla odierna realtà. Forse il lettorefarebbe meglio a rileggerlo dopo l'ultima pagina. In de-finitiva non mi dissimulo che pretendo troppo da lui, maamo credere che mi sarà grato se lo induco a sottoporsia una fatica gravosa, poiché dopo averla fatta, potrà ave-re idee piú chiare sul punto centrale del problema italia-no, anche se esse saranno in aperto dissenso con le mie.

Il libro fu edito da Piero Gobetti verso la fine del1925, in piena crisi del fascismo, e mi si scatenarono ad-dosso mille diavoli, poiché esso parve eretico a tutti.Soltanto Oliviero Zuccarini, Antonio Gramsci, Tomma-so Fiore, don Sturzo e i giornali sardi lo difesero aperta-

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mente. Lo stesso Gobetti, che, con alcune trascurabili ri-serve, era sulla linea, doveva tener conto che alcuniscrittori della «Rivoluzione Liberale», in diversa sede,lo avevano criticato. Tutti gli altri, e specialmente i co-siddetti liberali italiani, non risparmiarono gli attacchi.Anzi uno di essi, in un giornale che, dopo essersi assun-ta la responsabilità dell'organizzazione della marcia suRoma, tentava rifarsi una verginità attraverso pose libe-raloidi, mi suggerí di andare a rileggere Croce e Fortu-nato, ignorando, naturalmente, che il mio Maestro, Giu-stino Fortunato, pur dissentendo dal prematuro ottimi-smo delle conclusioni mi aveva già ripagato con paroledi lode e incoraggiamento.

Io ero giubilante e le critiche mi parevano applausi,perché mi sembrava di aver pestato la coda a molti cani,e i guaiti dimostravano che avevo colto nel segno. Qual-che amico sorse in mio sostegno, e si preannunciò la po-lemica. Finalmente si sarebbe discusso a gran voce ilpunto piú vitale del problema meridionale, nascostofin'allora sotto i grandi nomi della libertà e della demo-crazia, e qualche anima ingenua avrebbe potuto essereacquisita alla causa.

Ma, proprio in quel momento, Benito Mussolinis'indusse a stringere i freni della reazione. Giornali e ri-viste furono soppressi, librerie distrutte, e La rivoluzio-ne meridionale, messa all'indice, scomparve perfino da-gli scaffali delle grandi biblioteche.

La questione istituzionale meridionale è, soprattutto,un problema di volontà e di forza, e perciò l'illusione di

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mente. Lo stesso Gobetti, che, con alcune trascurabili ri-serve, era sulla linea, doveva tener conto che alcuniscrittori della «Rivoluzione Liberale», in diversa sede,lo avevano criticato. Tutti gli altri, e specialmente i co-siddetti liberali italiani, non risparmiarono gli attacchi.Anzi uno di essi, in un giornale che, dopo essersi assun-ta la responsabilità dell'organizzazione della marcia suRoma, tentava rifarsi una verginità attraverso pose libe-raloidi, mi suggerí di andare a rileggere Croce e Fortu-nato, ignorando, naturalmente, che il mio Maestro, Giu-stino Fortunato, pur dissentendo dal prematuro ottimi-smo delle conclusioni mi aveva già ripagato con paroledi lode e incoraggiamento.

Io ero giubilante e le critiche mi parevano applausi,perché mi sembrava di aver pestato la coda a molti cani,e i guaiti dimostravano che avevo colto nel segno. Qual-che amico sorse in mio sostegno, e si preannunciò la po-lemica. Finalmente si sarebbe discusso a gran voce ilpunto piú vitale del problema meridionale, nascostofin'allora sotto i grandi nomi della libertà e della demo-crazia, e qualche anima ingenua avrebbe potuto essereacquisita alla causa.

Ma, proprio in quel momento, Benito Mussolinis'indusse a stringere i freni della reazione. Giornali e ri-viste furono soppressi, librerie distrutte, e La rivoluzio-ne meridionale, messa all'indice, scomparve perfino da-gli scaffali delle grandi biblioteche.

La questione istituzionale meridionale è, soprattutto,un problema di volontà e di forza, e perciò l'illusione di

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illuminarla con la parola non poteva che durare lo spa-zio di un mattino. E io non me ne dolsi gran che, poichémi parve che lo spirito eversore del fascismo avrebbedovuto lavorare per le mie idee assai piú che la propa-ganda scritta.

E, se non m'inganno, cosí è stato. Infatti la questioneistituzionale generale è insorta violenta non appena lacompressione fascista è cessata, e la segue dappresso laquestione meridionale vera e propria.

Ora siamo nuovamente daccapo e questo libro rivedela luce, tentando un altro esperimento. Sarà esso fruttuo-so, oppure le forze del compromesso, che, per quantoindebolite, vigilano costantemente, annulleranno tutti gliinsegnamenti che da esso si possono trarre?

Questo è l'interrogativo dell'ora, e io non sono un pro-feta per potervi rispondere. Io sono soltanto un critico enon posso far altro che rianalizzare gli elementi caoticidella situazione, per quanto possa sembrare troppo pre-sto per farlo.

Ma i miei amici, quando mi sono valso di quest'ulti-mo argomento per resistere alle loro pressioni, mi hannorisposto che, avendo il fascismo lasciato il paese in talestato di ignoranza politica da far paura, bisognava com-piere ogni sforzo per evitare la perdizione delle anime, eche la critica preventiva ha indubbiamente grande im-portanza educativa.

Rassegnato ormai alla loro affettuosa violenza, mi ac-cingo a rispondere all'interrogativo dell'ora.

Non bisogna confondere il problema istituzionale ge-

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illuminarla con la parola non poteva che durare lo spa-zio di un mattino. E io non me ne dolsi gran che, poichémi parve che lo spirito eversore del fascismo avrebbedovuto lavorare per le mie idee assai piú che la propa-ganda scritta.

E, se non m'inganno, cosí è stato. Infatti la questioneistituzionale generale è insorta violenta non appena lacompressione fascista è cessata, e la segue dappresso laquestione meridionale vera e propria.

Ora siamo nuovamente daccapo e questo libro rivedela luce, tentando un altro esperimento. Sarà esso fruttuo-so, oppure le forze del compromesso, che, per quantoindebolite, vigilano costantemente, annulleranno tutti gliinsegnamenti che da esso si possono trarre?

Questo è l'interrogativo dell'ora, e io non sono un pro-feta per potervi rispondere. Io sono soltanto un critico enon posso far altro che rianalizzare gli elementi caoticidella situazione, per quanto possa sembrare troppo pre-sto per farlo.

Ma i miei amici, quando mi sono valso di quest'ulti-mo argomento per resistere alle loro pressioni, mi hannorisposto che, avendo il fascismo lasciato il paese in talestato di ignoranza politica da far paura, bisognava com-piere ogni sforzo per evitare la perdizione delle anime, eche la critica preventiva ha indubbiamente grande im-portanza educativa.

Rassegnato ormai alla loro affettuosa violenza, mi ac-cingo a rispondere all'interrogativo dell'ora.

Non bisogna confondere il problema istituzionale ge-

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nerale italiano con il problema meridionale, per quantoil secondo sia un particolare aspetto del primo.

Il problema istituzionale generale è ormai acquisitonei suoi dati storico-politici ed è condizionato dal passa-to. Il compromesso tra monarchia sabauda e rivoluzione– bisogna riconoscerlo – fu l'unico espediente politicoche, in quel dato momento, poteva assicurare l'unità el'indipendenza del paese. Per quanto questo rilievo nonsia esatto al cento per cento, perché la monarchia non fuin grado di unificare tutte le genti di lingua italiana, e,per tanto tempo, dovette ripiegare sulla umiliante prassidella Triplice alleanza, tuttavia è facile comprendereperché le generose aspirazioni di moltissimi patrioti fi-nirono per rassegnarsi a una realizzazione imperfetta. Sela soluzione del problema italiano avesse dovuto realiz-zarsi soltanto attraverso la rivoluzione, cioè per forza dipopolo e senza apporti dinastici e stranieri, certamenteavrebbe dovuto essere differita nel tempo e non è datosapere attraverso quali vicende.

È questo un futuribile con tante varianti da renderneoziosa la disamina, e, d'altra parte, il politico non puòragionare in base ai futuribili, ma deve tenere il piústretto conto della realtà. Ma, anche ammesso – ciò chea me sembra equo – che nel 1860 era assai difficile ri-solvere integralmente la questione italiana, non per que-sto, in sede politica, la soluzione storica poteva conside-rarsi come definitiva. Anzi, quanto piú essa, poi, appar-ve frutto soltanto del compromesso, tanto piú gli impul-si libertari, esplosi con tanto vigore nel corso formativo

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nerale italiano con il problema meridionale, per quantoil secondo sia un particolare aspetto del primo.

Il problema istituzionale generale è ormai acquisitonei suoi dati storico-politici ed è condizionato dal passa-to. Il compromesso tra monarchia sabauda e rivoluzione– bisogna riconoscerlo – fu l'unico espediente politicoche, in quel dato momento, poteva assicurare l'unità el'indipendenza del paese. Per quanto questo rilievo nonsia esatto al cento per cento, perché la monarchia non fuin grado di unificare tutte le genti di lingua italiana, e,per tanto tempo, dovette ripiegare sulla umiliante prassidella Triplice alleanza, tuttavia è facile comprendereperché le generose aspirazioni di moltissimi patrioti fi-nirono per rassegnarsi a una realizzazione imperfetta. Sela soluzione del problema italiano avesse dovuto realiz-zarsi soltanto attraverso la rivoluzione, cioè per forza dipopolo e senza apporti dinastici e stranieri, certamenteavrebbe dovuto essere differita nel tempo e non è datosapere attraverso quali vicende.

È questo un futuribile con tante varianti da renderneoziosa la disamina, e, d'altra parte, il politico non puòragionare in base ai futuribili, ma deve tenere il piústretto conto della realtà. Ma, anche ammesso – ciò chea me sembra equo – che nel 1860 era assai difficile ri-solvere integralmente la questione italiana, non per que-sto, in sede politica, la soluzione storica poteva conside-rarsi come definitiva. Anzi, quanto piú essa, poi, appar-ve frutto soltanto del compromesso, tanto piú gli impul-si libertari, esplosi con tanto vigore nel corso formativo

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del Risorgimento, dovevano staccarsene per assurgere amotivi di critica istituzionale.

E nessuno può seriamente meravigliarsene, poiché gliideali insoddisfatti hanno tanta forza di espansione da ri-sorgere dopo le realizzazioni storiche e rivolgersi controdi esse durante tutto il tempo in cui permane l'originarioimpulso.

Soltanto se l'evoluzione lenta degli istituti politiciconduca per naturale forza di espansione al soddisfaci-mento di tutte le esigenze nazionali, è possibile il conso-lidamento delle soluzioni istituzionali. Ma quando que-sta evoluzione non avviene è invece fatale che i motiviideali insoddisfatti vengano riproposti permanentementein sede critica.

Ora i motivi ideali del Risorgimento furono due, ed èprobabile – anzi a me sembra certo – che non occuparo-no lo stesso piano nella coscienza degli attori di quelgrande dramma nazionale, tanto vero che, all'ultim'ora,l'ideale della libertà dovette cedere alquanto terreno aquello dell'indipendenza. È vero che nemmeno l'indi-pendenza e l'unità furono allora interamente assicurate,ma, in un certo senso, gli attori del Risorgimento, men-tre ritennero che l'unificazione delle genti italiche in unsolo Stato costituiva un fatto storico di massima impor-tanza, e che il residuo problema dell'irredentismo avreb-be potuto essere risolto alla prima occasione utile, nondettero eguale peso al problema della libertà e trascura-rono gli argomenti di coloro – molto pochi, in verità –che affermavano che l'espansione territoriale della mo-

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del Risorgimento, dovevano staccarsene per assurgere amotivi di critica istituzionale.

E nessuno può seriamente meravigliarsene, poiché gliideali insoddisfatti hanno tanta forza di espansione da ri-sorgere dopo le realizzazioni storiche e rivolgersi controdi esse durante tutto il tempo in cui permane l'originarioimpulso.

Soltanto se l'evoluzione lenta degli istituti politiciconduca per naturale forza di espansione al soddisfaci-mento di tutte le esigenze nazionali, è possibile il conso-lidamento delle soluzioni istituzionali. Ma quando que-sta evoluzione non avviene è invece fatale che i motiviideali insoddisfatti vengano riproposti permanentementein sede critica.

Ora i motivi ideali del Risorgimento furono due, ed èprobabile – anzi a me sembra certo – che non occuparo-no lo stesso piano nella coscienza degli attori di quelgrande dramma nazionale, tanto vero che, all'ultim'ora,l'ideale della libertà dovette cedere alquanto terreno aquello dell'indipendenza. È vero che nemmeno l'indi-pendenza e l'unità furono allora interamente assicurate,ma, in un certo senso, gli attori del Risorgimento, men-tre ritennero che l'unificazione delle genti italiche in unsolo Stato costituiva un fatto storico di massima impor-tanza, e che il residuo problema dell'irredentismo avreb-be potuto essere risolto alla prima occasione utile, nondettero eguale peso al problema della libertà e trascura-rono gli argomenti di coloro – molto pochi, in verità –che affermavano che l'espansione territoriale della mo-

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narchia sabauda non era il processo politico piú adattoper assicurare all'Italia un vero regime liberale.

Costituito il nuovo regno, ed a mano a mano che si al-lontanò il tempo del compromesso, le esigenze ideali di-vennero sempre piú forti e tutti gli scrittori politici diqualsiasi scuola e di qualsiasi tendenza non poteronofare a meno di partire da questo vizio di struttura origi-naria per spiegare gli avvenimenti successivi.

Naturalmente, in un primo periodo di tempo, bisognòabituarsi alla vita nazionale, che indubbiamente supera-va gli angusti confini dei passati regimi, assorbire lenta-mente i residui politici che qualsiasi governo lascia nelpaese al momento di cadere, vincere i particolarismi chederivavano da secoli di vita separata, sicché il compro-messo istituzionale rimase celato anche agli stessi uomi-ni politici che lo avevano accettato come supremo dove-re nazionale. E tale processo fu piú lungo e faticoso diquanto fosse stato lecito supporre, appunto perché l'uni-ficazione, a causa dell'assenza delle masse, non fu dovu-ta a un fatto rivoluzionario, ma dovette necessariamentesvolgersi attraverso una serie di compromessi istituzio-nali con le singole classi dirigenti, maturate negli exStati, a seguito dei quali il nuovo Stato unitario assunsel'aspetto di una specie di mosaico regionale. Natural-mente il dominio della classe dirigente che ne risultònon era stabile, sia perché, malgrado l'ampiezza dellaformula politica adottata, apparve, a lungo andare, risul-tante di ristretti interessi, sia perché non poteva non es-

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narchia sabauda non era il processo politico piú adattoper assicurare all'Italia un vero regime liberale.

Costituito il nuovo regno, ed a mano a mano che si al-lontanò il tempo del compromesso, le esigenze ideali di-vennero sempre piú forti e tutti gli scrittori politici diqualsiasi scuola e di qualsiasi tendenza non poteronofare a meno di partire da questo vizio di struttura origi-naria per spiegare gli avvenimenti successivi.

Naturalmente, in un primo periodo di tempo, bisognòabituarsi alla vita nazionale, che indubbiamente supera-va gli angusti confini dei passati regimi, assorbire lenta-mente i residui politici che qualsiasi governo lascia nelpaese al momento di cadere, vincere i particolarismi chederivavano da secoli di vita separata, sicché il compro-messo istituzionale rimase celato anche agli stessi uomi-ni politici che lo avevano accettato come supremo dove-re nazionale. E tale processo fu piú lungo e faticoso diquanto fosse stato lecito supporre, appunto perché l'uni-ficazione, a causa dell'assenza delle masse, non fu dovu-ta a un fatto rivoluzionario, ma dovette necessariamentesvolgersi attraverso una serie di compromessi istituzio-nali con le singole classi dirigenti, maturate negli exStati, a seguito dei quali il nuovo Stato unitario assunsel'aspetto di una specie di mosaico regionale. Natural-mente il dominio della classe dirigente che ne risultònon era stabile, sia perché, malgrado l'ampiezza dellaformula politica adottata, apparve, a lungo andare, risul-tante di ristretti interessi, sia perché non poteva non es-

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sere condizionato dal permanere dello stesso compro-messo istituzionale.

Poi il ritmo divenne piú rapido, perché il diffondersidell'istruzione e l'industrializzazione, per lo meno di unaparte del paese, consentirono a nuovi ceti di affermarsi,e quindi, lentamente, si vennero organizzando nuclei po-litici, decisi a giocare la loro carta. Particolarmente inte-ressante fu l'affermazione del socialismo nell'Italia set-tentrionale, sotto la bandiera del quale le folle lavoratri-ci accorsero numerose.

All'apparire del nuovo mito il regime, non vivificatodal vero apporto popolare, ma sollecitato dagli interessireali degli scarsi gruppi che lo sostenevano, non trovò dimeglio che inquadrare il problema in soluzioni di poli-zia e reagire con i processi e la galera, svelando cosí lasua sostanziale illiberalità. Ma i sistemi polizieschi sonola forma peggiore di governo e fu ventura per le oligar-chie al potere trovare in Giovanni Giolitti l'uomo dellaProvvidenza, che, allontanate le correnti reazionarie, in-tuí che era pericoloso alterare i dati storici della politicaitaliana, e, perciò, avviò il paese, attraverso una serie ditransazioni con la rivoluzione dilagante, verso un nuovosistema di compromesso, assai piú vasto di quello cheaveva presidiato all'origine la nascita dello Stato. Infatti,servendosi abilmente del socialismo di Stato, e di un co-stante indirizzo di demagogia politica e finanziaria, riu-scí a denaturare l'originario virus socialista, e a interes-sare vaste sezioni del nuovo partito al suo esperimentodi governo.

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sere condizionato dal permanere dello stesso compro-messo istituzionale.

Poi il ritmo divenne piú rapido, perché il diffondersidell'istruzione e l'industrializzazione, per lo meno di unaparte del paese, consentirono a nuovi ceti di affermarsi,e quindi, lentamente, si vennero organizzando nuclei po-litici, decisi a giocare la loro carta. Particolarmente inte-ressante fu l'affermazione del socialismo nell'Italia set-tentrionale, sotto la bandiera del quale le folle lavoratri-ci accorsero numerose.

All'apparire del nuovo mito il regime, non vivificatodal vero apporto popolare, ma sollecitato dagli interessireali degli scarsi gruppi che lo sostenevano, non trovò dimeglio che inquadrare il problema in soluzioni di poli-zia e reagire con i processi e la galera, svelando cosí lasua sostanziale illiberalità. Ma i sistemi polizieschi sonola forma peggiore di governo e fu ventura per le oligar-chie al potere trovare in Giovanni Giolitti l'uomo dellaProvvidenza, che, allontanate le correnti reazionarie, in-tuí che era pericoloso alterare i dati storici della politicaitaliana, e, perciò, avviò il paese, attraverso una serie ditransazioni con la rivoluzione dilagante, verso un nuovosistema di compromesso, assai piú vasto di quello cheaveva presidiato all'origine la nascita dello Stato. Infatti,servendosi abilmente del socialismo di Stato, e di un co-stante indirizzo di demagogia politica e finanziaria, riu-scí a denaturare l'originario virus socialista, e a interes-sare vaste sezioni del nuovo partito al suo esperimentodi governo.

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Nel raggiungimento di tali risultati egli fu aiutato nonsolo dalle generali correnti europee, che cominciarono asegnare la linea di slittamento del marxismo puro versola social-democrazia, ma altresí da necessità pratichepuramente italiane, che spinsero il socialismo verso il ri-formismo, e trasferirono, come egli stesso argutamentedisse, Carlo Marx in soffitta.

Lentamente gl'interessi si aggiunsero agli interessi, sirannodarono nel sottosuolo, crearono solidarietà che conla nazione non avevano niente a che fare, e il governogiolittiano, dopo aver adoperato il socialismo di Statoper tagliare le unghie ai socialisti, immediatamenteprovvide ad adottare le contromisure, e, con il protezio-nismo doganale, tappò la bocca agli industriali, i quali,in tal modo, assicurarono alla loro espansione i mercatinazionali. Perciò, accanto al proletariato protetto, fioríl'industria protetta, e, con questo felice connubio, il regi-me poté illudersi di avere superata la crisi e costrette leragioni ideali a restar patrimonio dei soli idealisti.

Naturalmente l'esperimento giolittiano venne sottopo-sto a severa critica, che svelò il compromesso su cui erapoggiato e accusò di parassitismo gl'interessi protetti;ma tale critica non ebbe alcun mordente, poiché gl'inte-ressi offesi erano assenti e il compromesso era nascostosotto la maschera di un governo pseudoliberale, che nonaveva palesemente alterato i dati fondamentali del regi-me.

Perciò, i nostri scarsi movimenti libertari e lo stessosindacalismo rivoluzionario, che si sviluppò, non solo

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Nel raggiungimento di tali risultati egli fu aiutato nonsolo dalle generali correnti europee, che cominciarono asegnare la linea di slittamento del marxismo puro versola social-democrazia, ma altresí da necessità pratichepuramente italiane, che spinsero il socialismo verso il ri-formismo, e trasferirono, come egli stesso argutamentedisse, Carlo Marx in soffitta.

Lentamente gl'interessi si aggiunsero agli interessi, sirannodarono nel sottosuolo, crearono solidarietà che conla nazione non avevano niente a che fare, e il governogiolittiano, dopo aver adoperato il socialismo di Statoper tagliare le unghie ai socialisti, immediatamenteprovvide ad adottare le contromisure, e, con il protezio-nismo doganale, tappò la bocca agli industriali, i quali,in tal modo, assicurarono alla loro espansione i mercatinazionali. Perciò, accanto al proletariato protetto, fioríl'industria protetta, e, con questo felice connubio, il regi-me poté illudersi di avere superata la crisi e costrette leragioni ideali a restar patrimonio dei soli idealisti.

Naturalmente l'esperimento giolittiano venne sottopo-sto a severa critica, che svelò il compromesso su cui erapoggiato e accusò di parassitismo gl'interessi protetti;ma tale critica non ebbe alcun mordente, poiché gl'inte-ressi offesi erano assenti e il compromesso era nascostosotto la maschera di un governo pseudoliberale, che nonaveva palesemente alterato i dati fondamentali del regi-me.

Perciò, i nostri scarsi movimenti libertari e lo stessosindacalismo rivoluzionario, che si sviluppò, non solo

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come critica interna del socialismo, ma anche come ge-nerale esigenza di affrancamento italiano, rimasero sen-za eco nell'animo delle masse, i socialisti ufficiali, purnon partecipando ad alcun governo, perseverarono inuna facile opposizione di comodo, e il parlamento conti-nuò a funzionare, anche contro gl'interessi dei ceti chevi erano rappresentati in maggioranza, secondo la tradi-zione istituzionale del paese.

Questo sistema di governo era condizionato, però, datre categorie di fattori negativi, pressoché tutti di egualeimportanza e tali che, venendo meno uno di essi, l'equi-librio avrebbe potuto rompersi.

Anzitutto, fin d'allora, era in germe, e si sviluppòsempre piú in seguito, la compressione che alcuni cetiprofessionistici e piccolo borghesi (la cosiddetta piccolaborghesia umanistica di Salvatorelli) venivano a subireper l'affermarsi e il prevalere dei nuovi ceti sindacaliche, perseguitati agli inizi, assurgevano a sempre mag-giore importanza nella vita nazionale. Alla quale com-pressione alcuni critici del fascismo fanno risalire le pri-me oscure origini di questo movimento.

Il secondo elemento di equilibrio instabile aveva ilsuo centro nella situazione generale europea. Il periododi lunga pace, iniziato al termine della guerra franco-prussiana sembrava quasi prossimo alla fine, e non po-chi guardavano con sospetto alla clamorosa affermazio-ne della potenza militare tedesca temendo potesse fru-strare alcuni progetti di espansione italiana. Difatti Gio-

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come critica interna del socialismo, ma anche come ge-nerale esigenza di affrancamento italiano, rimasero sen-za eco nell'animo delle masse, i socialisti ufficiali, purnon partecipando ad alcun governo, perseverarono inuna facile opposizione di comodo, e il parlamento conti-nuò a funzionare, anche contro gl'interessi dei ceti chevi erano rappresentati in maggioranza, secondo la tradi-zione istituzionale del paese.

Questo sistema di governo era condizionato, però, datre categorie di fattori negativi, pressoché tutti di egualeimportanza e tali che, venendo meno uno di essi, l'equi-librio avrebbe potuto rompersi.

Anzitutto, fin d'allora, era in germe, e si sviluppòsempre piú in seguito, la compressione che alcuni cetiprofessionistici e piccolo borghesi (la cosiddetta piccolaborghesia umanistica di Salvatorelli) venivano a subireper l'affermarsi e il prevalere dei nuovi ceti sindacaliche, perseguitati agli inizi, assurgevano a sempre mag-giore importanza nella vita nazionale. Alla quale com-pressione alcuni critici del fascismo fanno risalire le pri-me oscure origini di questo movimento.

Il secondo elemento di equilibrio instabile aveva ilsuo centro nella situazione generale europea. Il periododi lunga pace, iniziato al termine della guerra franco-prussiana sembrava quasi prossimo alla fine, e non po-chi guardavano con sospetto alla clamorosa affermazio-ne della potenza militare tedesca temendo potesse fru-strare alcuni progetti di espansione italiana. Difatti Gio-

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litti, non da altro sollecitato, com'ebbe poi a confessare,dovette dare, con la guerra libica, il primo colpo di pic-cone all'edificio da lui cosí pazientemente costruito.

Il terzo elemento negativo consisteva nell'alea che al-tri interessi e altri ceti, fino allora sacrificati e miscono-sciuti, avessero a svegliarsi dal loro sonno secolare, nelqual caso il compromesso esistente sarebbe stato certa-mente denunziato. E anche su questo terreno è sintoma-tico che Giolitti dovette dare proprio lui un altro colpodi piccone al suo edificio con l'introduzione del suffra-gio universale.

Ma il sistema giolittiano avrebbe potuto reggersi an-cora a lungo se i fattori della seconda categoria non fos-sero venuti improvvisamente meno con lo scoppio dellaguerra mondiale 1915-18.

Al primo colpo di cannone il regime venne improvvi-samente a trovarsi a un bivio fatale – del resto già previ-sto e scontato in sede di critica istituzionale – perché leesigenze di politica interna sconsigliavano di avventu-rarsi nella guerra, mentre l'imperativo categorico delladefinitiva unificazione nazionale, rimandata alla primaoccasione utile, rafforzava le scarse correnti politicheche postulavano contemporaneamente la ripresa del Ri-sorgimento e la fine del giolittismo.

Ciò spiega perché Giolitti e i socialisti ufficiali, seb-bene con differenti gradazioni, perseguirono una politicaneutralista, mentre gli scarsi gruppi costituzionali avver-si al giolittismo e le correnti rivoluzionarie si affermaro-no in una politica di interventismo, che, nella sua estre-

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litti, non da altro sollecitato, com'ebbe poi a confessare,dovette dare, con la guerra libica, il primo colpo di pic-cone all'edificio da lui cosí pazientemente costruito.

Il terzo elemento negativo consisteva nell'alea che al-tri interessi e altri ceti, fino allora sacrificati e miscono-sciuti, avessero a svegliarsi dal loro sonno secolare, nelqual caso il compromesso esistente sarebbe stato certa-mente denunziato. E anche su questo terreno è sintoma-tico che Giolitti dovette dare proprio lui un altro colpodi piccone al suo edificio con l'introduzione del suffra-gio universale.

Ma il sistema giolittiano avrebbe potuto reggersi an-cora a lungo se i fattori della seconda categoria non fos-sero venuti improvvisamente meno con lo scoppio dellaguerra mondiale 1915-18.

Al primo colpo di cannone il regime venne improvvi-samente a trovarsi a un bivio fatale – del resto già previ-sto e scontato in sede di critica istituzionale – perché leesigenze di politica interna sconsigliavano di avventu-rarsi nella guerra, mentre l'imperativo categorico delladefinitiva unificazione nazionale, rimandata alla primaoccasione utile, rafforzava le scarse correnti politicheche postulavano contemporaneamente la ripresa del Ri-sorgimento e la fine del giolittismo.

Ciò spiega perché Giolitti e i socialisti ufficiali, seb-bene con differenti gradazioni, perseguirono una politicaneutralista, mentre gli scarsi gruppi costituzionali avver-si al giolittismo e le correnti rivoluzionarie si affermaro-no in una politica di interventismo, che, nella sua estre-

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ma punta, si qualificò come interventismo rivoluziona-rio.

Messo, perciò, tra l'incudine di lasciar passare l'eredi-tà del Risorgimento nelle mani dei neorivoluzionari, e ilmartello di dare un colpo al compromesso istituzionale,felicemente perfezionato da Giolitti, il regime non potéfar altro che scegliere il secondo corno del dilemma, e,seguendo il suo metodo tradizionale, si lanciò sul terre-no della rivoluzione nazionale.

Questa prima mossa iniziò subito la crisi, spingendoil Partito socialista ufficiale sull'Aventino del neutrali-smo, ove si accampò per tre anni con propositi minac-ciosi, mentre il parlamento giolittiano fu costretto asvolgere politica sostanzialmente antigiolittiana.

Terminata felicemente l'ultima guerra nazionale, ilvecchio compromesso istituzionale già non esisteva piúe tutto lo sforzo delle oligarchie al potere fu dedicato acercare affannosamente tra le macerie della rivoluzione,nuovamente in marcia nel paese, i materiali per la co-struzione di un nuovo compromesso.

Certo l'adesione, anche temporanea, alle ragioni idealidel Risorgimento aveva realizzato le previsioni, recandonon poco danno al regime. Ma, se esso era stato obbli-gato dalla dialettica della storia a completare l'unità del-la nazione, continuò tenacemente a resistere alla spintarivoluzionaria che nuovamente si affermava nel paese.Lentamente, però, la situazione divenne drammaticaperché la stessa rivoluzione, frantumandosi in mille ri-

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ma punta, si qualificò come interventismo rivoluziona-rio.

Messo, perciò, tra l'incudine di lasciar passare l'eredi-tà del Risorgimento nelle mani dei neorivoluzionari, e ilmartello di dare un colpo al compromesso istituzionale,felicemente perfezionato da Giolitti, il regime non potéfar altro che scegliere il secondo corno del dilemma, e,seguendo il suo metodo tradizionale, si lanciò sul terre-no della rivoluzione nazionale.

Questa prima mossa iniziò subito la crisi, spingendoil Partito socialista ufficiale sull'Aventino del neutrali-smo, ove si accampò per tre anni con propositi minac-ciosi, mentre il parlamento giolittiano fu costretto asvolgere politica sostanzialmente antigiolittiana.

Terminata felicemente l'ultima guerra nazionale, ilvecchio compromesso istituzionale già non esisteva piúe tutto lo sforzo delle oligarchie al potere fu dedicato acercare affannosamente tra le macerie della rivoluzione,nuovamente in marcia nel paese, i materiali per la co-struzione di un nuovo compromesso.

Certo l'adesione, anche temporanea, alle ragioni idealidel Risorgimento aveva realizzato le previsioni, recandonon poco danno al regime. Ma, se esso era stato obbli-gato dalla dialettica della storia a completare l'unità del-la nazione, continuò tenacemente a resistere alla spintarivoluzionaria che nuovamente si affermava nel paese.Lentamente, però, la situazione divenne drammaticaperché la stessa rivoluzione, frantumandosi in mille ri-

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voli, cominciò a autoneutralizzarsi, cosicché il regimepoté concepire la speranza di salvarsi, tentando di pro-spettare come motivi di conservazione istituzionalel'avvenuta integrazione del territorio nazionale el'aumentato prestigio dell'Italia nel mondo, senza rico-noscere contemporaneamente tutti i diritti del popolo esenza distruggere il potere e il prepotere delle piccoleminoranze trasformiste e cleptocratiche, che fin alloraavevano governato il paese.

E questo calcolo non fu del tutto illusorio, poiché,ben presto, apparve chiaro che le ragioni integrali dellarivoluzione non avrebbero potuto affermarsi, sia perl'insufficienza storica del socialismo insurrezionista, siaper la prolungata assenza dalla lotta politica del Mezzo-giorno d'Italia, ancora abbacinato dalle lusinghe del tra-sformismo politico.

La rivoluzione, infatti, se all'esterno appare come rin-novamento di formule politiche, è prima ancora e essen-zialmente sostituzione di classi dirigenti, e in Italia man-cavano i presupposti per l'atto rivoluzionario, poiché ilsocialismo postbellico fu soprattutto astrattismo, e laclasse politica che lo dirigeva era tutt'altro che nuova. Intale condizione di cose, si creò il caos politico, e il Parti-to socialista ufficiale, trovatosi dalla parte della conser-vazione per una serie di fatali errori d'impostazione tatti-ca, invece di ripiegare sulla prassi riformista, che avreb-be almeno potuto assicurare il successo dei vari tentativiNitti, si gonfiò impetuosamente di rivoluzionarismo ver-bale e perciò non poté né fare la rivoluzione né contri-

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voli, cominciò a autoneutralizzarsi, cosicché il regimepoté concepire la speranza di salvarsi, tentando di pro-spettare come motivi di conservazione istituzionalel'avvenuta integrazione del territorio nazionale el'aumentato prestigio dell'Italia nel mondo, senza rico-noscere contemporaneamente tutti i diritti del popolo esenza distruggere il potere e il prepotere delle piccoleminoranze trasformiste e cleptocratiche, che fin alloraavevano governato il paese.

E questo calcolo non fu del tutto illusorio, poiché,ben presto, apparve chiaro che le ragioni integrali dellarivoluzione non avrebbero potuto affermarsi, sia perl'insufficienza storica del socialismo insurrezionista, siaper la prolungata assenza dalla lotta politica del Mezzo-giorno d'Italia, ancora abbacinato dalle lusinghe del tra-sformismo politico.

La rivoluzione, infatti, se all'esterno appare come rin-novamento di formule politiche, è prima ancora e essen-zialmente sostituzione di classi dirigenti, e in Italia man-cavano i presupposti per l'atto rivoluzionario, poiché ilsocialismo postbellico fu soprattutto astrattismo, e laclasse politica che lo dirigeva era tutt'altro che nuova. Intale condizione di cose, si creò il caos politico, e il Parti-to socialista ufficiale, trovatosi dalla parte della conser-vazione per una serie di fatali errori d'impostazione tatti-ca, invece di ripiegare sulla prassi riformista, che avreb-be almeno potuto assicurare il successo dei vari tentativiNitti, si gonfiò impetuosamente di rivoluzionarismo ver-bale e perciò non poté né fare la rivoluzione né contri-

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buire alla conservazione.Rimasto inerte in un periodo storico nel quale tutti gli

esperimenti avrebbero potuto essere tentati, lasciò pas-sare tutte le occasioni utili, e finí per provocare lo slitta-mento dell'intera situazione politica italiana verso lecorrenti rivoluzionarie di estrema destra, che avevano inprogramma la soppressione totale della libertà.

Cominciarono cosí a tramontare insieme la rivoluzio-ne integrale, la socialdemocrazia e il compromesso gio-littiano, e le masse, sbandate e deluse, per un fenomenomeccanico di gravità, precipitarono verso il fascismo,che, sorto qualche anno prima, aveva vissuto vita oscurae ingloriosa.

Guidato da un uomo che, transfuga dal socialismo,anzi dall'anarchismo, era ammirato da quell'eterna geniadi piccoli borghesi tarati che formano le sabbie mobilidell'opinione pubblica italiana, il fascismo, appunto per-ché privo di vero contenuto rivoluzionario, apparve su-bito al regime come l'ancora di salvezza a cui aggrap-parsi, e ecco il nuovo movimento arricchirsi di militari edi violenti di ogni specie, permearsi di cavalli di Troiadi tutte le provenienze, gonfiarsi di idealisti e di arrivi-sti, di repubblicani e monarchici, di rivoluzionari e con-servatori, di professionisti e sindacalisti, di ex anarchicie reazionari.

Mussolini galleggiava su questo enorme fiume fango-so, facendo boccacce alla borghesia e sbandierando aiquattro venti la sua famosa tendenzionalità repubblica-

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buire alla conservazione.Rimasto inerte in un periodo storico nel quale tutti gli

esperimenti avrebbero potuto essere tentati, lasciò pas-sare tutte le occasioni utili, e finí per provocare lo slitta-mento dell'intera situazione politica italiana verso lecorrenti rivoluzionarie di estrema destra, che avevano inprogramma la soppressione totale della libertà.

Cominciarono cosí a tramontare insieme la rivoluzio-ne integrale, la socialdemocrazia e il compromesso gio-littiano, e le masse, sbandate e deluse, per un fenomenomeccanico di gravità, precipitarono verso il fascismo,che, sorto qualche anno prima, aveva vissuto vita oscurae ingloriosa.

Guidato da un uomo che, transfuga dal socialismo,anzi dall'anarchismo, era ammirato da quell'eterna geniadi piccoli borghesi tarati che formano le sabbie mobilidell'opinione pubblica italiana, il fascismo, appunto per-ché privo di vero contenuto rivoluzionario, apparve su-bito al regime come l'ancora di salvezza a cui aggrap-parsi, e ecco il nuovo movimento arricchirsi di militari edi violenti di ogni specie, permearsi di cavalli di Troiadi tutte le provenienze, gonfiarsi di idealisti e di arrivi-sti, di repubblicani e monarchici, di rivoluzionari e con-servatori, di professionisti e sindacalisti, di ex anarchicie reazionari.

Mussolini galleggiava su questo enorme fiume fango-so, facendo boccacce alla borghesia e sbandierando aiquattro venti la sua famosa tendenzionalità repubblica-

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na, mentre l'alta borghesia e il militarismo, assai scarsa-mente preoccupati delle boccacce mussoliniane, forni-vano moschetti e bombe a mano, camion e rifornimenti,spingendo continuamente il movimento nel circolo chiu-so delle squadre d'azione.

La rivoluzione integrale era, dunque, tramontata, mala sua caricatura vociava ormai per le strade, tra gli in-cendi dei circoli rionali, e le «spedizioni punitive», esa-sperate dallo spettrale risorgere degli spiriti del Medioe-vo, che, secondo la bolsa rettorica di quei tempi, s'incar-navano nel profilo colleonesco del duce e nell'anarchiacomunale dei suoi adepti.

Dati questi precedenti e questa struttura del fascismo,nessuno si meravigliò se esso duramente si sfogò controi poveri diavoli attaccati alle loro idee, e, invece, nonebbe difficoltà a compromettere col regime.

Del resto, la stessa stanchezza derivante da tante con-vulsioni, e l'astrattezza delle idee rivoluzionarie, in unprimo tempo oscurarono gli obiettivi reali della lotta, epoi spinsero molti animi lungo i mortiferi sentieridell'oblio.

La rivoluzione fascista poté cosí sboccare inquell'avvenimento sui generis che prese il nome di mar-cia su Roma, e per il quale la terminologia politica nonha ancora trovato un'adeguata definizione.

Lo storico di domani potrà precisare attraverso qualitappe il nuovo compromesso giunse in porto, quali azio-ni e quali reazioni resero possibile la deviazione della

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na, mentre l'alta borghesia e il militarismo, assai scarsa-mente preoccupati delle boccacce mussoliniane, forni-vano moschetti e bombe a mano, camion e rifornimenti,spingendo continuamente il movimento nel circolo chiu-so delle squadre d'azione.

La rivoluzione integrale era, dunque, tramontata, mala sua caricatura vociava ormai per le strade, tra gli in-cendi dei circoli rionali, e le «spedizioni punitive», esa-sperate dallo spettrale risorgere degli spiriti del Medioe-vo, che, secondo la bolsa rettorica di quei tempi, s'incar-navano nel profilo colleonesco del duce e nell'anarchiacomunale dei suoi adepti.

Dati questi precedenti e questa struttura del fascismo,nessuno si meravigliò se esso duramente si sfogò controi poveri diavoli attaccati alle loro idee, e, invece, nonebbe difficoltà a compromettere col regime.

Del resto, la stessa stanchezza derivante da tante con-vulsioni, e l'astrattezza delle idee rivoluzionarie, in unprimo tempo oscurarono gli obiettivi reali della lotta, epoi spinsero molti animi lungo i mortiferi sentieridell'oblio.

La rivoluzione fascista poté cosí sboccare inquell'avvenimento sui generis che prese il nome di mar-cia su Roma, e per il quale la terminologia politica nonha ancora trovato un'adeguata definizione.

Lo storico di domani potrà precisare attraverso qualitappe il nuovo compromesso giunse in porto, quali azio-ni e quali reazioni resero possibile la deviazione della

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corrente rivoluzionaria, e per quali tare della costituzio-ne politica e sociale del popolo italiano avvenne che lamarcia su Roma fu la celebrazione innaturale e grottescadel compromesso tra una banda di avventurieri e il regi-me, avente per oggetto il predominio su masse ignare edeviate.

È probabile che tutte le ipotesi affacciate e tutte le tesisostenute da autorevoli scrittori politici siano solo inparte esatte, data la prossimità delle loro analisi agli av-venimenti, ma a me sembra che, dopo l'ottobre 1922,l'Italia, accasciata ed esausta da sette anni di guerra e diconvulsione politica, s'illuse che la mano ferma di unpolitico avesse potuto trarre da un nuovo compromessoistituzionale quel poco di bene e quel poco di pace cheanche i peggiori strumenti politici possono dare. Forsemoltissimi che dettero un sospiro di sollievo all'annun-zio del colpo di Stato, pensarono che una nuova dittatu-ra legale, sul tipo di quella giolittiana, anche se avessesistemato gl'interessi dei vincitori, non avrebbe impeditoai vinti di rifarsi nell'opera di controllo, e di sperarenell'avvenire.

Ed è probabile che se Mussolini fosse stato un uomopolitico, questo tipo di dittatura avrebbe potuto illudereancora molti italiani.

Ma Mussolini era soltanto un partitante, e, quantun-que in un primo tempo si esercitò in una politica trasfor-mistica, non seppe mai disintegrarsi dai dati storici delsuo partito. Egli, infatti, accennò tutte le politiche tra-sformistiche possibili, ma nessuna ne svolse, e depresse

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corrente rivoluzionaria, e per quali tare della costituzio-ne politica e sociale del popolo italiano avvenne che lamarcia su Roma fu la celebrazione innaturale e grottescadel compromesso tra una banda di avventurieri e il regi-me, avente per oggetto il predominio su masse ignare edeviate.

È probabile che tutte le ipotesi affacciate e tutte le tesisostenute da autorevoli scrittori politici siano solo inparte esatte, data la prossimità delle loro analisi agli av-venimenti, ma a me sembra che, dopo l'ottobre 1922,l'Italia, accasciata ed esausta da sette anni di guerra e diconvulsione politica, s'illuse che la mano ferma di unpolitico avesse potuto trarre da un nuovo compromessoistituzionale quel poco di bene e quel poco di pace cheanche i peggiori strumenti politici possono dare. Forsemoltissimi che dettero un sospiro di sollievo all'annun-zio del colpo di Stato, pensarono che una nuova dittatu-ra legale, sul tipo di quella giolittiana, anche se avessesistemato gl'interessi dei vincitori, non avrebbe impeditoai vinti di rifarsi nell'opera di controllo, e di sperarenell'avvenire.

Ed è probabile che se Mussolini fosse stato un uomopolitico, questo tipo di dittatura avrebbe potuto illudereancora molti italiani.

Ma Mussolini era soltanto un partitante, e, quantun-que in un primo tempo si esercitò in una politica trasfor-mistica, non seppe mai disintegrarsi dai dati storici delsuo partito. Egli, infatti, accennò tutte le politiche tra-sformistiche possibili, ma nessuna ne svolse, e depresse

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il parlamento che avrebbe potuto funzionare secondo lesue direttive, senza reprimere lo squadrismo deprecato eodiato da tutti. La sua fu una politica di paura e di ricat-to, quando il paese, ormai stanco, non chiedeva altro cheaddormentarsi nel quotidiano svolgersi di una prassimodesta e quietista.

La superiorità di Giolitti sul suo antagonista appare,quindi, evidente. Il primo, infatti, senza raggiungere levette del vero uomo di Stato, aveva il fiuto delle situa-zioni politiche, e il calcolo delle possibilità non gli difet-tava. Mussolini, che pretendeva di superare Giolittinell'altezza e nella magniloquenza delle concezioni, einvece giudicava la politica con il semplicismo del gior-nalista che svolazza sulle idee credendo di approfondir-le, era inferiore al deputato di Dronero proprio nel crea-re le situazioni politiche, ed era dominato da esse, quan-to piú credeva di dominarle.

Ciò spiega perché dopo aver compromesso col regi-me, non seppe stabilizzare tale compromesso, e, pur cre-dendo di creare un novus ordo si circondò sempre di fi-gure mediocri e di avventurieri, su cui non poteva chefare scarso assegnamento.

Esagitato da un'irrequietezza mai sopita, non seppe nésoddisfare le esigenze ideali, rimaste patrimonio di esi-gue élite, né servire i reali interessi di coloro che, in unsupremo atto d'inconsapevolezza, gli affidarono il pote-re.

Le sostanziali deficienze dell'uomo e della sua politi-

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il parlamento che avrebbe potuto funzionare secondo lesue direttive, senza reprimere lo squadrismo deprecato eodiato da tutti. La sua fu una politica di paura e di ricat-to, quando il paese, ormai stanco, non chiedeva altro cheaddormentarsi nel quotidiano svolgersi di una prassimodesta e quietista.

La superiorità di Giolitti sul suo antagonista appare,quindi, evidente. Il primo, infatti, senza raggiungere levette del vero uomo di Stato, aveva il fiuto delle situa-zioni politiche, e il calcolo delle possibilità non gli difet-tava. Mussolini, che pretendeva di superare Giolittinell'altezza e nella magniloquenza delle concezioni, einvece giudicava la politica con il semplicismo del gior-nalista che svolazza sulle idee credendo di approfondir-le, era inferiore al deputato di Dronero proprio nel crea-re le situazioni politiche, ed era dominato da esse, quan-to piú credeva di dominarle.

Ciò spiega perché dopo aver compromesso col regi-me, non seppe stabilizzare tale compromesso, e, pur cre-dendo di creare un novus ordo si circondò sempre di fi-gure mediocri e di avventurieri, su cui non poteva chefare scarso assegnamento.

Esagitato da un'irrequietezza mai sopita, non seppe nésoddisfare le esigenze ideali, rimaste patrimonio di esi-gue élite, né servire i reali interessi di coloro che, in unsupremo atto d'inconsapevolezza, gli affidarono il pote-re.

Le sostanziali deficienze dell'uomo e della sua politi-

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ca esplosero clamorosamente circa due anni dopo iltrionfale avvento, e il delitto Matteotti provocò una sol-levazione morale cosí violenta nel paese che ancor oggise ne risente l'eco.

I partiti battuti, trasformatisi in opposizioni, e i vecchigruppi trasformistici, umiliati nel modesto ruolo di fian-cheggiatori, intuirono, al lampo di quell'avvenimento,che il nuovo compromesso istituzionale era in pericolo,soprattutto perché il pessimo temperamento di Mussoli-ni e le sue tare politiche impedivano la continuazione diquella politica formale di adesione alla costituzione al-bertina, che, dal 1860 in poi, aveva costituito l'apparatoideologico attraverso il quale il regime poteva sosteneredi essere il continuatore delle grandi tradizioni del Ri-sorgimento. E, mentre le opposizioni si gettavano sulmacabro avvenimento per smascherare il demagogo lor-do di sangue, i fiancheggiatori – ritenendosi legittimicustodi del mai spento e sempre rinascente spirito dicompromesso – indicarono al regime, con la loro apertaopposizione, la via da seguire.

In certo senso fu una vendetta della storia che, daun'ora all'altra, scoprí gli altarini e indicò proprio a colo-ro che, col colpo di Stato avevano creato la situazione dieccezione, il dovere di ripararvi col colpo di Stato. Tuttoil giuoco politico si condensò quindi sulla capacità e so-prattutto sulla volontà di conservazione del regime, chedivenne il centro della politica italiana. Quanto piú ipartiti di opposizione erano stati danneggiati dalla poli-tica illiberale posteriore alla fatidica marcia, quanto piú

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ca esplosero clamorosamente circa due anni dopo iltrionfale avvento, e il delitto Matteotti provocò una sol-levazione morale cosí violenta nel paese che ancor oggise ne risente l'eco.

I partiti battuti, trasformatisi in opposizioni, e i vecchigruppi trasformistici, umiliati nel modesto ruolo di fian-cheggiatori, intuirono, al lampo di quell'avvenimento,che il nuovo compromesso istituzionale era in pericolo,soprattutto perché il pessimo temperamento di Mussoli-ni e le sue tare politiche impedivano la continuazione diquella politica formale di adesione alla costituzione al-bertina, che, dal 1860 in poi, aveva costituito l'apparatoideologico attraverso il quale il regime poteva sosteneredi essere il continuatore delle grandi tradizioni del Ri-sorgimento. E, mentre le opposizioni si gettavano sulmacabro avvenimento per smascherare il demagogo lor-do di sangue, i fiancheggiatori – ritenendosi legittimicustodi del mai spento e sempre rinascente spirito dicompromesso – indicarono al regime, con la loro apertaopposizione, la via da seguire.

In certo senso fu una vendetta della storia che, daun'ora all'altra, scoprí gli altarini e indicò proprio a colo-ro che, col colpo di Stato avevano creato la situazione dieccezione, il dovere di ripararvi col colpo di Stato. Tuttoil giuoco politico si condensò quindi sulla capacità e so-prattutto sulla volontà di conservazione del regime, chedivenne il centro della politica italiana. Quanto piú ipartiti di opposizione erano stati danneggiati dalla poli-tica illiberale posteriore alla fatidica marcia, quanto piú

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i fiancheggiatori avevano dovuto ricorrere a ridicoli fu-nambolismi per non essere definitivamente sommersi,quanto piú le forze attive del paese erano state depressedalla reazione armata, aizzata e finanziata dal regime,tanto piú questo doveva venirsi a trovare in prima lineanel momento della crisi ed essere costretto a risolvere iltragico dilemma: o fare macchina indietro, anche a ri-schio di ripercorrere le strade dell'agitazione politica edella rivoluzione, o legarsi definitivamente al carrodell'uomo di Predappio sacrificando ai propri istinti rea-zionari la famosa bilancia dei partiti.

E il regime, consigliato dal machiavellismo piú sterilee piú stupido, scelse la seconda via, e, in nome di un co-stituzionalismo formale, che era stato tante volte viola-to, e che già non esisteva piú, rispose alla rinascente agi-tazione del paese con l'accordare i pieni poteri all'uomoche si palesava come il principale ostacolo a quel com-promesso istituzionale cosí faticosamente ricostruito.Quem deus vult perdere, dementat e il destino spinse iresponsabili lungo le vie della perdizione. Da quel gior-no Mussolini ebbe ben ragione di fascistizzare lo Stato ene venne fuori la strana terminologia di regime fascista.

Egli aveva, dunque, trionfato anche di quell'oscuracamarilla con la quale aveva dovuto compromettereall'atto della marcia su Roma, e ciò malgrado avesse di-mostrata tanta incapacità a servirla.

Da quel momento i complici si strinsero la mano ed ilnuovo colpo di Stato, assai piú profondo del primo, liavvinse nella stessa condanna: o procedere insieme, o

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i fiancheggiatori avevano dovuto ricorrere a ridicoli fu-nambolismi per non essere definitivamente sommersi,quanto piú le forze attive del paese erano state depressedalla reazione armata, aizzata e finanziata dal regime,tanto piú questo doveva venirsi a trovare in prima lineanel momento della crisi ed essere costretto a risolvere iltragico dilemma: o fare macchina indietro, anche a ri-schio di ripercorrere le strade dell'agitazione politica edella rivoluzione, o legarsi definitivamente al carrodell'uomo di Predappio sacrificando ai propri istinti rea-zionari la famosa bilancia dei partiti.

E il regime, consigliato dal machiavellismo piú sterilee piú stupido, scelse la seconda via, e, in nome di un co-stituzionalismo formale, che era stato tante volte viola-to, e che già non esisteva piú, rispose alla rinascente agi-tazione del paese con l'accordare i pieni poteri all'uomoche si palesava come il principale ostacolo a quel com-promesso istituzionale cosí faticosamente ricostruito.Quem deus vult perdere, dementat e il destino spinse iresponsabili lungo le vie della perdizione. Da quel gior-no Mussolini ebbe ben ragione di fascistizzare lo Stato ene venne fuori la strana terminologia di regime fascista.

Egli aveva, dunque, trionfato anche di quell'oscuracamarilla con la quale aveva dovuto compromettereall'atto della marcia su Roma, e ciò malgrado avesse di-mostrata tanta incapacità a servirla.

Da quel momento i complici si strinsero la mano ed ilnuovo colpo di Stato, assai piú profondo del primo, liavvinse nella stessa condanna: o procedere insieme, o

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perire insieme.Gli ideali del Risorgimento furono gettati in cantina e

quelli tra i trionfatori che sapevano maneggiare la pennaparlarono di «anti-Risorgimento» e di «anti-Europa».Ma un esiguo manipolo di uomini, liberi ormai da tuttele colpe del passato, spogliatisi dei pregiudizi di partitoe di scuola, purificati dalla sofferenza morale, che è an-che peggiore di quella fisica, raccolse l'eredità del Risor-gimento e l'alimentò pura nella sua inestinguibile fede.All'infuori di esso niente si salvò e su tutte le istituzionisi rovesciò la furia eversiva dei nuovi venuti.

Però, pochi studiosi dei fenomeni politici, nutriti delpiú sano machiavellismo, non si tennero per paghi e pa-zientemente attesero gli ulteriori sviluppi del dramma.Non era possibile che il regime si fosse rassegnato a la-sciarsi frantumare nelle mani gli strumenti che gli ave-vano assicurato per tanto tempo il successo, e perciòaspettarono il colpo di barra che avesse ristabilito l'equi-librio.

Fatica sprecata! Il regime si ritenne pago soltanto disopravvivere come un qualsiasi usciere di prefettura, co-stretto a prendere la tessera.

Tutto fu fascistizzato, perfino la successione al trono,e il barocco di una costruzione personalistica distese isuoi ciarpami su tutti i frontoni dello Stato. Niente Par-lamento, ma una Camera eletta dal duce, niente Senatonominato dal re, ma una Camera alta di vecchie carcassenominate da Mussolini. Niente enti locali autonomi, ma

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perire insieme.Gli ideali del Risorgimento furono gettati in cantina e

quelli tra i trionfatori che sapevano maneggiare la pennaparlarono di «anti-Risorgimento» e di «anti-Europa».Ma un esiguo manipolo di uomini, liberi ormai da tuttele colpe del passato, spogliatisi dei pregiudizi di partitoe di scuola, purificati dalla sofferenza morale, che è an-che peggiore di quella fisica, raccolse l'eredità del Risor-gimento e l'alimentò pura nella sua inestinguibile fede.All'infuori di esso niente si salvò e su tutte le istituzionisi rovesciò la furia eversiva dei nuovi venuti.

Però, pochi studiosi dei fenomeni politici, nutriti delpiú sano machiavellismo, non si tennero per paghi e pa-zientemente attesero gli ulteriori sviluppi del dramma.Non era possibile che il regime si fosse rassegnato a la-sciarsi frantumare nelle mani gli strumenti che gli ave-vano assicurato per tanto tempo il successo, e perciòaspettarono il colpo di barra che avesse ristabilito l'equi-librio.

Fatica sprecata! Il regime si ritenne pago soltanto disopravvivere come un qualsiasi usciere di prefettura, co-stretto a prendere la tessera.

Tutto fu fascistizzato, perfino la successione al trono,e il barocco di una costruzione personalistica distese isuoi ciarpami su tutti i frontoni dello Stato. Niente Par-lamento, ma una Camera eletta dal duce, niente Senatonominato dal re, ma una Camera alta di vecchie carcassenominate da Mussolini. Niente enti locali autonomi, ma

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amministrazioni affidate personalmente a questo o aquel fascista locale. Niente controllo sulle spese, nientegiustizia, niente piú libertà di vita e di lavoro.

E a mano a mano che il mostruoso sistema dilagò, ilregime percorse la strada della perdizione, accovacciatoai piedi del fragoroso dittatore, inebriandosi delle molte-plici corone che si aggiungevano alla sua araldica.

Poi fu la guerra, un evento che è sempre stato rivolu-zionario e che i padroni dello Stato avrebbero dovuto te-mere. Ebbene anche questa volta ebbero fiducia es'imbarcarono per l'ignoto!

Nemmeno quando l'invasione militare apparve inevi-tabile si notò qualche segno di resipiscenza e fu neces-sario che il fascismo si fosse data la morte con le pro-prie mani per spingere il regime a tentare il suo salva-taggio. Allora riesumò il vecchio decaduto compromes-so istituzionale e, aggrappato al declinante prestigio diBadoglio, non vide altro che la sua salvezza.

Quanto piú era stato ignaro per venti anni dei suoi do-veri e dei pericoli che lo minacciavano, tanto piú, dopoil 25 luglio 1943, temette di espiare le sue colpe. E, conuna guerra perduta e l'invasione in atto, non ebbe nem-meno la scaltrezza di parare il colpo con la tradizionaleabdicazione e la conseguente creazione di uno di queifamosi ministeri di concentrazione nazionale, che con-centrano soltanto la conservazione intelligente. Non c'èquindi da meravigliarsi se la posizione dell'Italia è preci-pitata, nel secondo semestre del 1943, in un baratro in-commensurabile.

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amministrazioni affidate personalmente a questo o aquel fascista locale. Niente controllo sulle spese, nientegiustizia, niente piú libertà di vita e di lavoro.

E a mano a mano che il mostruoso sistema dilagò, ilregime percorse la strada della perdizione, accovacciatoai piedi del fragoroso dittatore, inebriandosi delle molte-plici corone che si aggiungevano alla sua araldica.

Poi fu la guerra, un evento che è sempre stato rivolu-zionario e che i padroni dello Stato avrebbero dovuto te-mere. Ebbene anche questa volta ebbero fiducia es'imbarcarono per l'ignoto!

Nemmeno quando l'invasione militare apparve inevi-tabile si notò qualche segno di resipiscenza e fu neces-sario che il fascismo si fosse data la morte con le pro-prie mani per spingere il regime a tentare il suo salva-taggio. Allora riesumò il vecchio decaduto compromes-so istituzionale e, aggrappato al declinante prestigio diBadoglio, non vide altro che la sua salvezza.

Quanto piú era stato ignaro per venti anni dei suoi do-veri e dei pericoli che lo minacciavano, tanto piú, dopoil 25 luglio 1943, temette di espiare le sue colpe. E, conuna guerra perduta e l'invasione in atto, non ebbe nem-meno la scaltrezza di parare il colpo con la tradizionaleabdicazione e la conseguente creazione di uno di queifamosi ministeri di concentrazione nazionale, che con-centrano soltanto la conservazione intelligente. Non c'èquindi da meravigliarsi se la posizione dell'Italia è preci-pitata, nel secondo semestre del 1943, in un baratro in-commensurabile.

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Invece di disintegrarsi immediatamente dalla guerrahitleriana e fronteggiare poi i propositi aggressivi dei te-deschi, che allora erano impreparati e sorpresi, non sep-pe fare altro che usare il peggiore machiavellismo alsolo e unico scopo di sopravvivere alla rovina della pa-tria. Le conseguenze sono note e in corso di svolgimen-to. Accanto alla guerra esterna – che non si è evitata – siè prodotta la guerra civile, e quando questo libro vedràla luce, chissà quanto sangue fraterno sarà stato sparso!

Ormai la rivoluzione, tante volte deviata e compro-messa, riprende la sua marcia fatale e le ragioni idealidel Risorgimento risorgono dalle ceneri. La mancanzadella libertà è stata esiziale al vecchio regno e il nuovoStato non può essere fondato che sulla libertà e sul con-senso popolare.

In un gigantesco olocausto bruciano le scorie dellenostre insufficienze e delle nostre debolezze. Perfino ilterrore della guerra civile, che aveva attanagliato tanticuori e li aveva fatti recedere dai passi estremi, è svani-to. Poiché ora alla guerra civile ci siamo, e i partigianidel nord sono costretti a impugnare le armi contro i lorofratelli deviati e perversi. E questi ultimi impugnanopure le armi contro i partigiani e contro l'esercito regola-re, e, in mezzo a questa catastrofe senza precedenti,eserciti stranieri si battono sul nostro suolo spargendoaltro innocente sangue italiano.

Mai un paese fu piú duramente castigato per colpeche ha indubbiamente commesso, ma anche per colpeche sembrano essere addirittura ancestrali.

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Invece di disintegrarsi immediatamente dalla guerrahitleriana e fronteggiare poi i propositi aggressivi dei te-deschi, che allora erano impreparati e sorpresi, non sep-pe fare altro che usare il peggiore machiavellismo alsolo e unico scopo di sopravvivere alla rovina della pa-tria. Le conseguenze sono note e in corso di svolgimen-to. Accanto alla guerra esterna – che non si è evitata – siè prodotta la guerra civile, e quando questo libro vedràla luce, chissà quanto sangue fraterno sarà stato sparso!

Ormai la rivoluzione, tante volte deviata e compro-messa, riprende la sua marcia fatale e le ragioni idealidel Risorgimento risorgono dalle ceneri. La mancanzadella libertà è stata esiziale al vecchio regno e il nuovoStato non può essere fondato che sulla libertà e sul con-senso popolare.

In un gigantesco olocausto bruciano le scorie dellenostre insufficienze e delle nostre debolezze. Perfino ilterrore della guerra civile, che aveva attanagliato tanticuori e li aveva fatti recedere dai passi estremi, è svani-to. Poiché ora alla guerra civile ci siamo, e i partigianidel nord sono costretti a impugnare le armi contro i lorofratelli deviati e perversi. E questi ultimi impugnanopure le armi contro i partigiani e contro l'esercito regola-re, e, in mezzo a questa catastrofe senza precedenti,eserciti stranieri si battono sul nostro suolo spargendoaltro innocente sangue italiano.

Mai un paese fu piú duramente castigato per colpeche ha indubbiamente commesso, ma anche per colpeche sembrano essere addirittura ancestrali.

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Ma su questa catastrofe senza precedenti si eleva len-tamente la luce di una nuova esigenza spirituale, cheprima vagellante ora si rafforza al lume di tragici avve-nimenti. Avrà essa la forza di distruggere in un incendioideale tutte le tare costituzionali del popolo italiano, op-pure il tradizionale spirito di compromesso riprenderà ilsopravvento e le sparute minoranze, ora tremebonde,troveranno nuovo materiale umano per puntellare il lorodominio già quasi totalmente scomparso?

Questo è il tragico interrogativo dell'ora, al quale èchiamato a rispondere soltanto il popolo italiano, chepuò trovare nel recente passato tutti gli elementi di giu-dizio per decidere la sua sorte.

Se, dopo tanto tempo e attraverso tante traversie, ilpopolo italiano ha acquistato almeno un'elementare co-scienza politica, e ha appreso il conto che deve fare del-la solita rettorica regia, del patto plebiscitario e di altresimili menzogne, è probabile che la crisi sarà stata bene-fica, e residuerà, per lo meno, il terrore di combinazionipolitiche che non promanino volta per volta, dal consen-so popolare, e sono, al contrario, permanentemente po-ste dalla «grazia di Dio» o dalla tradizione; se, invece, ledure lezioni patite non hanno insegnato agli italiani chei popoli soltanto sono i padroni del loro destino, e, per-ciò, non debbono recalcitrare dinanzi alla necessaria esi-genza dell'autogoverno, allora la «grazia di Dio» e latradizione ripeteranno il miracolo del compromesso isti-tuzionale. E, dopo tanta storia, vissuta in tanto brevetempo, bisogna confessare che il successo di uno stru-

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Ma su questa catastrofe senza precedenti si eleva len-tamente la luce di una nuova esigenza spirituale, cheprima vagellante ora si rafforza al lume di tragici avve-nimenti. Avrà essa la forza di distruggere in un incendioideale tutte le tare costituzionali del popolo italiano, op-pure il tradizionale spirito di compromesso riprenderà ilsopravvento e le sparute minoranze, ora tremebonde,troveranno nuovo materiale umano per puntellare il lorodominio già quasi totalmente scomparso?

Questo è il tragico interrogativo dell'ora, al quale èchiamato a rispondere soltanto il popolo italiano, chepuò trovare nel recente passato tutti gli elementi di giu-dizio per decidere la sua sorte.

Se, dopo tanto tempo e attraverso tante traversie, ilpopolo italiano ha acquistato almeno un'elementare co-scienza politica, e ha appreso il conto che deve fare del-la solita rettorica regia, del patto plebiscitario e di altresimili menzogne, è probabile che la crisi sarà stata bene-fica, e residuerà, per lo meno, il terrore di combinazionipolitiche che non promanino volta per volta, dal consen-so popolare, e sono, al contrario, permanentemente po-ste dalla «grazia di Dio» o dalla tradizione; se, invece, ledure lezioni patite non hanno insegnato agli italiani chei popoli soltanto sono i padroni del loro destino, e, per-ciò, non debbono recalcitrare dinanzi alla necessaria esi-genza dell'autogoverno, allora la «grazia di Dio» e latradizione ripeteranno il miracolo del compromesso isti-tuzionale. E, dopo tanta storia, vissuta in tanto brevetempo, bisogna confessare che il successo di uno stru-

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mento politico cosí mediocre sarebbe veramente mira-coloso.

Esso ripeterebbe il detestabile evento del trionfo deipochi contro tutti, e tale trionfo sarebbe ancora una voltadovuto all'assenza dei molti.

Le élite di opposizione non possono fare altro che im-postare i temi dell'azione politica; sono, invece, le mag-gioranze che determinano il successo, e dovrebbe ormaiesser chiaro che anche l'assenza e il disinteresse è unaforma di scelta, perché giova soltanto a coloro che in-tendono conservare contro quelli che, invece, giudicanoindispensabile innovare.

Tuttavia, il nuovo compromesso istituzionale, cosícome oggi viene concepito da coloro che hanno interes-se di realizzarlo, si presenta di difficile attuazione, nonsolo perché sembra esaurito il ciclo storico dei compro-messi, ma anche perché rivela alcuni difetti d'imposta-zione, che denunziano un fatto di grande importanza po-litica: la deficienza di idee chiare nei suoi sostenitori.

È probabile – anzi certo – che anche gli avversari nonabbiano idee troppo chiare, ma, all'inizio di una crisiistituzionale, la mancanza di chiarezza delle idee, a pari-tà di condizioni, nuoce piú ai conservatori che ai rivolu-zionari.

Non è quindi prematuro sottoporre a critica la situa-zione politica, e tale esegesi può essere condotta con cri-teri di approssimazione scientifica.

Quando Vittorio Emanuele III e Badoglio, dopo una

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mento politico cosí mediocre sarebbe veramente mira-coloso.

Esso ripeterebbe il detestabile evento del trionfo deipochi contro tutti, e tale trionfo sarebbe ancora una voltadovuto all'assenza dei molti.

Le élite di opposizione non possono fare altro che im-postare i temi dell'azione politica; sono, invece, le mag-gioranze che determinano il successo, e dovrebbe ormaiesser chiaro che anche l'assenza e il disinteresse è unaforma di scelta, perché giova soltanto a coloro che in-tendono conservare contro quelli che, invece, giudicanoindispensabile innovare.

Tuttavia, il nuovo compromesso istituzionale, cosícome oggi viene concepito da coloro che hanno interes-se di realizzarlo, si presenta di difficile attuazione, nonsolo perché sembra esaurito il ciclo storico dei compro-messi, ma anche perché rivela alcuni difetti d'imposta-zione, che denunziano un fatto di grande importanza po-litica: la deficienza di idee chiare nei suoi sostenitori.

È probabile – anzi certo – che anche gli avversari nonabbiano idee troppo chiare, ma, all'inizio di una crisiistituzionale, la mancanza di chiarezza delle idee, a pari-tà di condizioni, nuoce piú ai conservatori che ai rivolu-zionari.

Non è quindi prematuro sottoporre a critica la situa-zione politica, e tale esegesi può essere condotta con cri-teri di approssimazione scientifica.

Quando Vittorio Emanuele III e Badoglio, dopo una

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fuga ingloriosa giunsero, laceri e scorati, a Brindisi, perritessere la piccola tela dell'intrigo, se fosse esistita nelMezzogiorno una piccola, animosa élite rivoluzionaria,che avesse proclamato la repubblica, il compromessoistituzionale, malgrado i vantaggi che i cosiddetti libera-tori avevano accordato alla monarchia con l'armistizio,sarebbe stato stroncato per sempre, perché, in quel mo-mento, le popolazioni, unanimi, non agognavano che lapunizione piú esemplare degli artefici della loro rovina.Questa élite non uscí dai misteri della storia, e, mentrele armate alleate dilagavano per il paese, cominciò la ri-cerca affannosa della nuova formula per ricostruire idati storici della conservazione minacciata.

A uno a uno, pochi politicanti di bassa lega, si preci-pitarono a Brindisi in cerca di portafogli, e, manovratida ex avventurieri fascisti e dal ministro della RealCasa, costituirono il governetto di Brindisi, il piú oscurodei governi che la storia abbia mai registrato.

Perciò l'impostazione della lotta politica rimase a fa-vore della rivoluzione, quantunque questa non si fosseancora messa in marcia.

Ma la realtà italiana, l'insopprimibile realtà che affio-ra in tutti i momenti del nostro processo storico, non po-teva non produrre piú seri tentativi di transazione.

Un sovrano decaduto nella coscienza morale del suopopolo, un primo ministro, responsabile in pieno dellacatastrofe – assai piú responsabile dello stesso Mussoli-ni, perché autore del vero disastro italiano durante lamanovra di sganciamento dalla Germania – sono certa-

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fuga ingloriosa giunsero, laceri e scorati, a Brindisi, perritessere la piccola tela dell'intrigo, se fosse esistita nelMezzogiorno una piccola, animosa élite rivoluzionaria,che avesse proclamato la repubblica, il compromessoistituzionale, malgrado i vantaggi che i cosiddetti libera-tori avevano accordato alla monarchia con l'armistizio,sarebbe stato stroncato per sempre, perché, in quel mo-mento, le popolazioni, unanimi, non agognavano che lapunizione piú esemplare degli artefici della loro rovina.Questa élite non uscí dai misteri della storia, e, mentrele armate alleate dilagavano per il paese, cominciò la ri-cerca affannosa della nuova formula per ricostruire idati storici della conservazione minacciata.

A uno a uno, pochi politicanti di bassa lega, si preci-pitarono a Brindisi in cerca di portafogli, e, manovratida ex avventurieri fascisti e dal ministro della RealCasa, costituirono il governetto di Brindisi, il piú oscurodei governi che la storia abbia mai registrato.

Perciò l'impostazione della lotta politica rimase a fa-vore della rivoluzione, quantunque questa non si fosseancora messa in marcia.

Ma la realtà italiana, l'insopprimibile realtà che affio-ra in tutti i momenti del nostro processo storico, non po-teva non produrre piú seri tentativi di transazione.

Un sovrano decaduto nella coscienza morale del suopopolo, un primo ministro, responsabile in pieno dellacatastrofe – assai piú responsabile dello stesso Mussoli-ni, perché autore del vero disastro italiano durante lamanovra di sganciamento dalla Germania – sono certa-

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mente un ostacolo al compromesso, assai piú della stes-sa rivoluzione, assente dalle piazze per l'insufficienzadelle masse rivoluzionarie e per il periodo di smarri-mento che necessariamente sussegue alla sconfitta.

Ed ecco la conservazione intelligente levarsi nel pae-se a precisare le necessità dell'ora e a protestare controgli errori che la minuscola cricca monarchica commette-va in preda allo sfacelo e allo smarrimento.

La formula della «reggenza» apparve, quindi, nel cie-lo politico italiano come la stella che doveva indicare alpilota la rotta da seguire per riprodurre, mutatis mutan-dis, la vecchia sagoma dello Stato storico.

Sbandierata da monarchici, che per ragioni tattiche, sispingevano fino a ipotizzare la repubblica, la reggenzavenne propugnata come il toccasana di tutti i mali italia-ni, e fu dichiarata accettabile anche da quei repubblica-ni, che speravano asfissiare nella culla il nuovo pollonelegittimista.

Ma, per una fatale felicità, che costituisce il tocco deldestino, la formuletta istituzionale, che doveva ridare ilpotere a chi aveva fatto tutto il possibile per perderlo,era osteggiata proprio da coloro che erano destinati abeneficiarsene, e le forze della conservazione esaurironoalcune delle loro possibilità in una sterile lotta, che nonmancò di toccare anche le vette del pathos politico.

Questa lotta tra coloro che sognavano a occhi apertiritorni fascisti e gli onesti monarchici che, pur di salvarel'istituto miravano a ridurre tutta la questione istituzio-nale italiana a una sostituzione di persona, doveva ne-

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mente un ostacolo al compromesso, assai piú della stes-sa rivoluzione, assente dalle piazze per l'insufficienzadelle masse rivoluzionarie e per il periodo di smarri-mento che necessariamente sussegue alla sconfitta.

Ed ecco la conservazione intelligente levarsi nel pae-se a precisare le necessità dell'ora e a protestare controgli errori che la minuscola cricca monarchica commette-va in preda allo sfacelo e allo smarrimento.

La formula della «reggenza» apparve, quindi, nel cie-lo politico italiano come la stella che doveva indicare alpilota la rotta da seguire per riprodurre, mutatis mutan-dis, la vecchia sagoma dello Stato storico.

Sbandierata da monarchici, che per ragioni tattiche, sispingevano fino a ipotizzare la repubblica, la reggenzavenne propugnata come il toccasana di tutti i mali italia-ni, e fu dichiarata accettabile anche da quei repubblica-ni, che speravano asfissiare nella culla il nuovo pollonelegittimista.

Ma, per una fatale felicità, che costituisce il tocco deldestino, la formuletta istituzionale, che doveva ridare ilpotere a chi aveva fatto tutto il possibile per perderlo,era osteggiata proprio da coloro che erano destinati abeneficiarsene, e le forze della conservazione esaurironoalcune delle loro possibilità in una sterile lotta, che nonmancò di toccare anche le vette del pathos politico.

Questa lotta tra coloro che sognavano a occhi apertiritorni fascisti e gli onesti monarchici che, pur di salvarel'istituto miravano a ridurre tutta la questione istituzio-nale italiana a una sostituzione di persona, doveva ne-

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cessariamente condurre a una impasse, proprio perché lainsufficienza rivoluzionaria del paese non potenziavasufficientemente le élite e le formule che miravano allaradicale distruzione del fenomeno.

E da questa insufficienza sono scaturiti avvenimentidi vasta portata, che ancora condizionano la lotta politi-ca e che, perciò, vanno criticamente esaminati per rag-giungere quella chiarezza di vedute che è necessaria senon si vuole andare incontro ad altre sconfitte.

Contro lo stupido tentativo di salvare il regime attra-verso un neofascismo di carattere regio, la conservazio-ne intelligente non poteva non avere buon gioco, anchese dovette agitare lo spettro del processo al sovrano an-cora in carica: processo che non sarebbe potuto essereche repubblicano, come i precedenti insegnano.

Ma intorno alla monarchia si erano stretti pochi uffi-ciali in cerca di promozione e alcuni scagnozzi licenziatidal precedente padrone, e costoro non sognavano chesquadre d'azione e spedizioni punitive, ignorando: a)che, dal punto di vista funzionale, il compromesso poli-tico è un accordo tra due avversari, o almeno tra duepseudoavversari, che trovano un punto medio di recipro-ca adesione a danno degli altri veri avversari e del popo-lo (esempio: nel 1922 Mussolini compromise con la mo-narchia, rinunziando alla tendenzialità repubblicana e lamonarchia gli lasciò il potere di vessare e distruggerel'Italia); b) che un compromesso, per riuscire, dev'esseresempre in funzione europea (esempio: il fascismo nel

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cessariamente condurre a una impasse, proprio perché lainsufficienza rivoluzionaria del paese non potenziavasufficientemente le élite e le formule che miravano allaradicale distruzione del fenomeno.

E da questa insufficienza sono scaturiti avvenimentidi vasta portata, che ancora condizionano la lotta politi-ca e che, perciò, vanno criticamente esaminati per rag-giungere quella chiarezza di vedute che è necessaria senon si vuole andare incontro ad altre sconfitte.

Contro lo stupido tentativo di salvare il regime attra-verso un neofascismo di carattere regio, la conservazio-ne intelligente non poteva non avere buon gioco, anchese dovette agitare lo spettro del processo al sovrano an-cora in carica: processo che non sarebbe potuto essereche repubblicano, come i precedenti insegnano.

Ma intorno alla monarchia si erano stretti pochi uffi-ciali in cerca di promozione e alcuni scagnozzi licenziatidal precedente padrone, e costoro non sognavano chesquadre d'azione e spedizioni punitive, ignorando: a)che, dal punto di vista funzionale, il compromesso poli-tico è un accordo tra due avversari, o almeno tra duepseudoavversari, che trovano un punto medio di recipro-ca adesione a danno degli altri veri avversari e del popo-lo (esempio: nel 1922 Mussolini compromise con la mo-narchia, rinunziando alla tendenzialità repubblicana e lamonarchia gli lasciò il potere di vessare e distruggerel'Italia); b) che un compromesso, per riuscire, dev'esseresempre in funzione europea (esempio: il fascismo nel

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1922 fu una deviazione italiana della generale lotta anti-comunista in Europa); ma nella presente realtà quellostesso Churchill che, nel marzo 1932, in una riunionealla Queen's Hall parlava del «genio romano impersona-to da Mussolini, il piú grande legislatore vivente», sa-rebbe costretto a ordinare ai suoi rappresentanti in Italiadi lasciare piena libertà al popolo italiano di schiacciareil criminale tentativo di far rivivere il fascismo; c) cheun compromesso, per riuscire, dev'essere per lo menoapparentemente nuovo, cioè deve promettere a un popo-lo qualche cosa che non ha, salvo poi a togliergliela inpratica (il neofascismo, invece, era una formula vecchiae non avrebbe potuto far altro che ereditare tutto l'odioche il fascismo mussoliniano, col suo clamoroso falli-mento, aveva suscitato nel popolo italiano); d) che uncompromesso, per riuscire, dev'essere tentato sulla basedi una reale situazione politica, interamente sviluppata enon concepita a priori entro uno schema politico bello efatto, anelastico e privo di fantasia.

La conservazione intelligente, perciò, aveva tutto ildiritto d'insorgere contro una manovra destinataall'insuccesso e che prescindeva dalla reale situazionedel paese. Ma il regime non intendeva ragioni e, appog-giandosi sull'investitura ricevuta dagli Alleati conl'armistizio e sulla vecchia rettorica del patto statutario edei plebisciti, rispondeva a tutte le sollecitazioni con ri-petuti dinieghi, che mostravano soltanto che esso nonaveva sufficientemente meditato sugli errori commessi eignorava la reale portata della situazione in cui si trova-

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1922 fu una deviazione italiana della generale lotta anti-comunista in Europa); ma nella presente realtà quellostesso Churchill che, nel marzo 1932, in una riunionealla Queen's Hall parlava del «genio romano impersona-to da Mussolini, il piú grande legislatore vivente», sa-rebbe costretto a ordinare ai suoi rappresentanti in Italiadi lasciare piena libertà al popolo italiano di schiacciareil criminale tentativo di far rivivere il fascismo; c) cheun compromesso, per riuscire, dev'essere per lo menoapparentemente nuovo, cioè deve promettere a un popo-lo qualche cosa che non ha, salvo poi a togliergliela inpratica (il neofascismo, invece, era una formula vecchiae non avrebbe potuto far altro che ereditare tutto l'odioche il fascismo mussoliniano, col suo clamoroso falli-mento, aveva suscitato nel popolo italiano); d) che uncompromesso, per riuscire, dev'essere tentato sulla basedi una reale situazione politica, interamente sviluppata enon concepita a priori entro uno schema politico bello efatto, anelastico e privo di fantasia.

La conservazione intelligente, perciò, aveva tutto ildiritto d'insorgere contro una manovra destinataall'insuccesso e che prescindeva dalla reale situazionedel paese. Ma il regime non intendeva ragioni e, appog-giandosi sull'investitura ricevuta dagli Alleati conl'armistizio e sulla vecchia rettorica del patto statutario edei plebisciti, rispondeva a tutte le sollecitazioni con ri-petuti dinieghi, che mostravano soltanto che esso nonaveva sufficientemente meditato sugli errori commessi eignorava la reale portata della situazione in cui si trova-

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va.Tutto ciò accentuava la crisi, non solo perché molti

monarchici erano costretti a combattere la monarchia,ma anche perché tanti altri monarchici, assistendo aquesto inspiegabile dissenso, avevano l'impressione chel'istituto corresse mortale pericolo.

Sostanzialmente nessuna rottura del tradizionale spi-rito di compromesso si era verificata, e tutto si riducevaa un dibattito di dettaglio. Ma lo stesso fatto che controil tentativo di concentrazione monarchico-fascista, pog-giata sulla fragile base di una neoformazione di vecchifiancheggiatori e di fascisti trasformisti, patrocinata dal-la monarchia, la conservazione intelligente era costrettaa propugnare la necessità di una piú vasta concentrazio-ne di forze conservatrici intorno a una formula pseudoli-berale, che avesse avuto la possibilità d'illudere le spe-ranze innovatrici del popolo, provocava uno statod'incertezza, che certamente non deponeva a favore delsuccesso di una manovra cosí contrastata.

La situazione, perciò, rimase statica per mesi con imonarchici all'opposizione della monarchia e con ilcompromesso che restava nei desideri dei neoconten-denti, senza riuscire a catalizzarsi.

La spinta alla soluzione venne all'improvviso dal set-tore che sembrava meno indicato a produrla e la situa-zione che in seguito si è sviluppata, è divenuta cosícomplicata da renderne difficile l'analisi.

Tuttavia tale analisi dev'essere tentata se si vuol trarrequalche utile insegnamento dagli avvenimenti.

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va.Tutto ciò accentuava la crisi, non solo perché molti

monarchici erano costretti a combattere la monarchia,ma anche perché tanti altri monarchici, assistendo aquesto inspiegabile dissenso, avevano l'impressione chel'istituto corresse mortale pericolo.

Sostanzialmente nessuna rottura del tradizionale spi-rito di compromesso si era verificata, e tutto si riducevaa un dibattito di dettaglio. Ma lo stesso fatto che controil tentativo di concentrazione monarchico-fascista, pog-giata sulla fragile base di una neoformazione di vecchifiancheggiatori e di fascisti trasformisti, patrocinata dal-la monarchia, la conservazione intelligente era costrettaa propugnare la necessità di una piú vasta concentrazio-ne di forze conservatrici intorno a una formula pseudoli-berale, che avesse avuto la possibilità d'illudere le spe-ranze innovatrici del popolo, provocava uno statod'incertezza, che certamente non deponeva a favore delsuccesso di una manovra cosí contrastata.

La situazione, perciò, rimase statica per mesi con imonarchici all'opposizione della monarchia e con ilcompromesso che restava nei desideri dei neoconten-denti, senza riuscire a catalizzarsi.

La spinta alla soluzione venne all'improvviso dal set-tore che sembrava meno indicato a produrla e la situa-zione che in seguito si è sviluppata, è divenuta cosícomplicata da renderne difficile l'analisi.

Tuttavia tale analisi dev'essere tentata se si vuol trarrequalche utile insegnamento dagli avvenimenti.

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Quando, nei primi giorni dell'aprile, Palmiro Togliat-ti, rientrato dalla Russia, annunciò il proposito dei co-munisti di partecipare anche a un governo Badoglio, eragià in corso una manovra monarchica per indurre il so-vrano ad accettare la formula della reggenza.

Questa manovra, però, non era stata ancora finalizza-ta, perché la dinastia repelleva all'idea di escludere dallasuccessione al trono il principe ereditario.

È probabile che cominciasse ad apparir chiarol'errore-base di non avere, immediatamente dopo l'armi-stizio, annunciata l'abdicazione del re, e di essersi inte-starditi nella soluzione demoliberale, priva di qualsiasicontenuto politico. Ma è egualmente naturale che, nonessendosi ancora prodotte le conseguenze di questo er-rore politico, la dinastia sperasse ancora di poter correg-gere l'impostazione della lotta e salvare il prestigio delprincipe ereditario.

Se la situazione fosse rimasta sur place ancora perpoco, e se i partiti rivoluzionari avessero manovrato,come fin'allora avevano fatto, per tenere i liberali mo-narchici inchiodati alla formula della reggenza, è proba-bile che la situazione si sarebbe sbloccata da se stessacon la prima clamorosa sconfitta del regime.

In sostanza, l'impasse in cui tutta la politica italianaallora si trovava, era conseguenza dell'arresto delle ope-razioni belliche sul fronte di Cassino per il sopravvenutoinverno, e tutti avevano l'impressione, non interamenteinfondata, che la liberazione di Roma avrebbe fatalmen-te condotto alla soluzione della crisi.

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Quando, nei primi giorni dell'aprile, Palmiro Togliat-ti, rientrato dalla Russia, annunciò il proposito dei co-munisti di partecipare anche a un governo Badoglio, eragià in corso una manovra monarchica per indurre il so-vrano ad accettare la formula della reggenza.

Questa manovra, però, non era stata ancora finalizza-ta, perché la dinastia repelleva all'idea di escludere dallasuccessione al trono il principe ereditario.

È probabile che cominciasse ad apparir chiarol'errore-base di non avere, immediatamente dopo l'armi-stizio, annunciata l'abdicazione del re, e di essersi inte-starditi nella soluzione demoliberale, priva di qualsiasicontenuto politico. Ma è egualmente naturale che, nonessendosi ancora prodotte le conseguenze di questo er-rore politico, la dinastia sperasse ancora di poter correg-gere l'impostazione della lotta e salvare il prestigio delprincipe ereditario.

Se la situazione fosse rimasta sur place ancora perpoco, e se i partiti rivoluzionari avessero manovrato,come fin'allora avevano fatto, per tenere i liberali mo-narchici inchiodati alla formula della reggenza, è proba-bile che la situazione si sarebbe sbloccata da se stessacon la prima clamorosa sconfitta del regime.

In sostanza, l'impasse in cui tutta la politica italianaallora si trovava, era conseguenza dell'arresto delle ope-razioni belliche sul fronte di Cassino per il sopravvenutoinverno, e tutti avevano l'impressione, non interamenteinfondata, che la liberazione di Roma avrebbe fatalmen-te condotto alla soluzione della crisi.

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L'iniziativa Togliatti, invece, precipitò di colpo la si-tuazione, e tutti i partiti furono costretti a rivedere im-provvisamente le loro posizioni, per non rimaner tagliatidalle manovre degli altri.

La costituzionale insufficienza del paese giuocava an-cora il suo grande ruolo, e sulla scena politica italianariapparve il machiavellismo, o, meglio ancora, lo pseu-domachiavellismo, che, come si sa, è uno scadente Er-satz della vera azione politica.

La catalizzazione avvenne, dunque, con un certo sten-to, ma il minimo comune denominatore dell'intera ope-razione emerse piú dall'astuzia che dalla forza delle dot-trine. Indubbiamente il comunismo iniziò una manovrache, pur senza raggiungere interamente gli estremi dellamonarchia comunista – appunto perché aveva soltantovalore tattico – esponeva a pericoli gli altri partiti antifa-scisti.

Ma la cosa piú sorprendente fu che questi, mentre ac-cusarono i comunisti di machiavellismo, si precipitaro-no per la stessa china. È vero che la corsa verso il poterefu nascosta dietro due grandi miti: la costituente e la ne-cessità dell'intensificazione della guerra antitedesca; maè vero altresí che le resistenze furono minime. Perfino ilPartito d'azione, che avrebbe avuto tutto l'interesse di re-stare in disparte, finí per aderire, per quanto in manieraassai discutibile.

Era, dunque, la seconda sconfitta della rivoluzioneitaliana che si profilava, e a un certo punto, agli osserva-tori spassionati, non rimase che sperare nell'intransigen-

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L'iniziativa Togliatti, invece, precipitò di colpo la si-tuazione, e tutti i partiti furono costretti a rivedere im-provvisamente le loro posizioni, per non rimaner tagliatidalle manovre degli altri.

La costituzionale insufficienza del paese giuocava an-cora il suo grande ruolo, e sulla scena politica italianariapparve il machiavellismo, o, meglio ancora, lo pseu-domachiavellismo, che, come si sa, è uno scadente Er-satz della vera azione politica.

La catalizzazione avvenne, dunque, con un certo sten-to, ma il minimo comune denominatore dell'intera ope-razione emerse piú dall'astuzia che dalla forza delle dot-trine. Indubbiamente il comunismo iniziò una manovrache, pur senza raggiungere interamente gli estremi dellamonarchia comunista – appunto perché aveva soltantovalore tattico – esponeva a pericoli gli altri partiti antifa-scisti.

Ma la cosa piú sorprendente fu che questi, mentre ac-cusarono i comunisti di machiavellismo, si precipitaro-no per la stessa china. È vero che la corsa verso il poterefu nascosta dietro due grandi miti: la costituente e la ne-cessità dell'intensificazione della guerra antitedesca; maè vero altresí che le resistenze furono minime. Perfino ilPartito d'azione, che avrebbe avuto tutto l'interesse di re-stare in disparte, finí per aderire, per quanto in manieraassai discutibile.

Era, dunque, la seconda sconfitta della rivoluzioneitaliana che si profilava, e a un certo punto, agli osserva-tori spassionati, non rimase che sperare nell'intransigen-

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za monarchica.Improvvisamente venne fuori il conte Sforza con la

formula della luogotenenza – istituto che non ha nientea che fare con il caso in corso di svolgimento – e, conquesto surrogato dell'abdicazione, ogni cosa fu appiana-ta. Badoglio rimase e tutto l'antifascismo disponibile interritorio liberato si precipitò ai posti di comando. Solouna frazione del Partito d'azione – che poi era la mag-gioranza – rimase a deplorare l'occasione perduta dalsuo partito, di sottolineare una politica a grande respiro,affidata al galantomismo del tempo e del popolo italia-no. Ma questo avvenimento – che oggi appare in puraperdita, come, del resto, apparve a molti quando si pro-dusse – era condizionato dal tempo, e, meno di due mesidopo, l'occupazione di Roma portò al tramonto il terzogabinetto Badoglio.

Nella città eterna la crisi si riprodusse, ma su una sca-la piú ampia, e Badoglio fu estromesso dal potere. Essafu condizionata, però, dai risultati precedenti, e la mo-narchia si assicurò, in tal modo, attraverso la luogote-nenza, il respiro per tentare di riaversi.

Infatti due mesi dopo il liberalismo crociano operò ilconnubio con i demoliberali – che sembravano gli unicidefinitivamente sconfitti – riconducendo nella formazio-ne di governo le pecorelle smarrite, e lo stesso Togliattifu costretto a prenderne atto e a riconoscere che la com-posizione dei Comitati di liberazione era rimasta alteratae che i nemici, i veri nemici del paese, erano riusciti arimettere le mani sul governo attraverso la mediazione

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za monarchica.Improvvisamente venne fuori il conte Sforza con la

formula della luogotenenza – istituto che non ha nientea che fare con il caso in corso di svolgimento – e, conquesto surrogato dell'abdicazione, ogni cosa fu appiana-ta. Badoglio rimase e tutto l'antifascismo disponibile interritorio liberato si precipitò ai posti di comando. Solouna frazione del Partito d'azione – che poi era la mag-gioranza – rimase a deplorare l'occasione perduta dalsuo partito, di sottolineare una politica a grande respiro,affidata al galantomismo del tempo e del popolo italia-no. Ma questo avvenimento – che oggi appare in puraperdita, come, del resto, apparve a molti quando si pro-dusse – era condizionato dal tempo, e, meno di due mesidopo, l'occupazione di Roma portò al tramonto il terzogabinetto Badoglio.

Nella città eterna la crisi si riprodusse, ma su una sca-la piú ampia, e Badoglio fu estromesso dal potere. Essafu condizionata, però, dai risultati precedenti, e la mo-narchia si assicurò, in tal modo, attraverso la luogote-nenza, il respiro per tentare di riaversi.

Infatti due mesi dopo il liberalismo crociano operò ilconnubio con i demoliberali – che sembravano gli unicidefinitivamente sconfitti – riconducendo nella formazio-ne di governo le pecorelle smarrite, e lo stesso Togliattifu costretto a prenderne atto e a riconoscere che la com-posizione dei Comitati di liberazione era rimasta alteratae che i nemici, i veri nemici del paese, erano riusciti arimettere le mani sul governo attraverso la mediazione

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non filosofica dell'idealismo.

Il panorama politico italiano, perciò, nel momento incui scrivo, si presenta caotico, perché appaiono affardel-lati insieme, nella stessa diligenza, i futuri nemici di do-mani.

Evidentemente questa situazione politica è stata de-terminata sia dall'assenza di spirito rivoluzionario dellemasse, che dagli errori dei quadri politici.

Ma, se i nemici di domani sono oggi insieme a segui-to di una serie di manovre tattiche, che indubbiamentenon hanno prodotto tutti gli effetti che da esse speravanoi loro autori, non per questo si può dire che un nuovocompromesso istituzionale sia stato realizzato.

Anzi se si potesse arrischiare una diagnosi, si potreb-be ragionevolmente dedurre che è rimasta provata laenorme difficoltà della sua realizzazione, perché, nem-meno quando era il solo Mezzogiorno a determinare lacomposizione ministeriale, il regime ha potuto sopravvi-vere, se non affidandosi alla prassi del gabinetto di coa-lizione. La situazione politica è, perciò, tuttora fluida, etale sua fluidità fa rinascere la speranza.

Ormai la lotta si sta spostando sulla direttiva di mar-cia degli eserciti liberatori e saranno le masse del Nord adire la parola decisiva.

Ma, a mano a mano che l'epicentro della lotta si spo-sterà, apparirà chiaro che il compromesso non è piú pos-sibile. Non perché manchi chi sia disposto ad accettarloe propugnarlo, non perché non vi siano partiti, pullulanti

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non filosofica dell'idealismo.

Il panorama politico italiano, perciò, nel momento incui scrivo, si presenta caotico, perché appaiono affardel-lati insieme, nella stessa diligenza, i futuri nemici di do-mani.

Evidentemente questa situazione politica è stata de-terminata sia dall'assenza di spirito rivoluzionario dellemasse, che dagli errori dei quadri politici.

Ma, se i nemici di domani sono oggi insieme a segui-to di una serie di manovre tattiche, che indubbiamentenon hanno prodotto tutti gli effetti che da esse speravanoi loro autori, non per questo si può dire che un nuovocompromesso istituzionale sia stato realizzato.

Anzi se si potesse arrischiare una diagnosi, si potreb-be ragionevolmente dedurre che è rimasta provata laenorme difficoltà della sua realizzazione, perché, nem-meno quando era il solo Mezzogiorno a determinare lacomposizione ministeriale, il regime ha potuto sopravvi-vere, se non affidandosi alla prassi del gabinetto di coa-lizione. La situazione politica è, perciò, tuttora fluida, etale sua fluidità fa rinascere la speranza.

Ormai la lotta si sta spostando sulla direttiva di mar-cia degli eserciti liberatori e saranno le masse del Nord adire la parola decisiva.

Ma, a mano a mano che l'epicentro della lotta si spo-sterà, apparirà chiaro che il compromesso non è piú pos-sibile. Non perché manchi chi sia disposto ad accettarloe propugnarlo, non perché non vi siano partiti, pullulanti

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di arrivisti e trasformisti, che non agognano altro chemettere le mani nelle casse dello Stato, per quanto gra-me possano essere, non perché tutti gl'interessi parassi-tari e cleptocratici siano rassegnati alla sconfitta. Ché,anzi, queste oscure minoranze sono all'agguato, in attesadel momento propizio, e la putredine nazionale non faaltro che montare nel calderone della politica. Ma saran-no i fatti che dovranno produrre le conseguenze neces-sarie, e, di fronte ai fatti, ogni abilità di manovra è desti-nata a soccombere.

La crisi è assai profonda e tocca ormai le radici anchedella nostra costituzione economica, che, per effetto del-la politica mondiale postbellica, non potrà piú sopravvi-vere. Sono, quindi, destinati a tramontare gli stessi pre-supposti economici che avevano condizionato sia ilcompromesso giolittiano, sia quello mussoliniano, e chepotrebbero essere utilizzati per il consolidamento del re-gime. Ormai il giochetto del collegamento sotterraneotra gl'interessi padronali e gli interessi operai protettinon sarà piú possibile, perché la politica economicamondiale del dopoguerra impedirà questi connubi crimi-nosi.

E poi l'inflazione, inesorabile, finirà di bruciare lesperanze quietiste del popolo italiano e lo sospingerà,volente o nolente, sulle vie della ricostruzione ab imis.

Rinnovarsi o perire, questo è l'imperativo che ci so-vrasta, e la nostra salvezza segue strade diametralmenteopposte a quelle finora battute. Le masse saranno co-strette a capire da qual parte si trovino i loro reali inte-

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di arrivisti e trasformisti, che non agognano altro chemettere le mani nelle casse dello Stato, per quanto gra-me possano essere, non perché tutti gl'interessi parassi-tari e cleptocratici siano rassegnati alla sconfitta. Ché,anzi, queste oscure minoranze sono all'agguato, in attesadel momento propizio, e la putredine nazionale non faaltro che montare nel calderone della politica. Ma saran-no i fatti che dovranno produrre le conseguenze neces-sarie, e, di fronte ai fatti, ogni abilità di manovra è desti-nata a soccombere.

La crisi è assai profonda e tocca ormai le radici anchedella nostra costituzione economica, che, per effetto del-la politica mondiale postbellica, non potrà piú sopravvi-vere. Sono, quindi, destinati a tramontare gli stessi pre-supposti economici che avevano condizionato sia ilcompromesso giolittiano, sia quello mussoliniano, e chepotrebbero essere utilizzati per il consolidamento del re-gime. Ormai il giochetto del collegamento sotterraneotra gl'interessi padronali e gli interessi operai protettinon sarà piú possibile, perché la politica economicamondiale del dopoguerra impedirà questi connubi crimi-nosi.

E poi l'inflazione, inesorabile, finirà di bruciare lesperanze quietiste del popolo italiano e lo sospingerà,volente o nolente, sulle vie della ricostruzione ab imis.

Rinnovarsi o perire, questo è l'imperativo che ci so-vrasta, e la nostra salvezza segue strade diametralmenteopposte a quelle finora battute. Le masse saranno co-strette a capire da qual parte si trovino i loro reali inte-

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ressi se vorranno trovare la loro ragione di vivere, poi-ché le esperienze politiche hanno questo di caratteristicoche ordinariamente sono privilegio di pochi, ma diven-gono patrimonio di tutti quando il benessere, gli averi,la vita stessa sono in pericolo.

Rinnovarsi o perire è l'imperativo che ci sovrasta inogni campo, dalla politica estera a quella interna, dallapolitica economica a quella sociale, e, se il regime, in-callito e inebetito dal suo atavico spirito d'intrigo, nonvuole rinnovarsi, peggio per lui. Esso perirà.

Terminata cosí la trattazione del problema istituziona-le generale, possiamo passare all'esame della situazioneattuale di quello meridionale.

Qui il compito dello scrittore politico diventa vera-mente arduo, perché, non soltanto sarebbe necessario di-vinare se nel Mezzogiorno è maturata un'élite cosí in-transigente da escludere per sempre ogni contaminazio-ne col passato, ma sarebbe altresí necessario divinarel'atteggiamento futuro dei partiti antifascisti, per preci-sare a priori se convenga all'élite meridionale disperderela sua azione nel seno dei partiti unitari, oppure concen-trare il suo sforzo nella creazione del Partito meridiona-le d'azione. Il passato, certo, non è incoraggiante, e illettore di Rivoluzione meridionale vorrà leggere e medi-tare la serrata critica ai partiti storici, ritenendola, in par-te, come un'anticipata esposizione dei motivi di dissen-so, che avranno occasione di manifestarsi anche nel fu-turo. Tuttavia, se occorre procedere assai cauti e non so-

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ressi se vorranno trovare la loro ragione di vivere, poi-ché le esperienze politiche hanno questo di caratteristicoche ordinariamente sono privilegio di pochi, ma diven-gono patrimonio di tutti quando il benessere, gli averi,la vita stessa sono in pericolo.

Rinnovarsi o perire è l'imperativo che ci sovrasta inogni campo, dalla politica estera a quella interna, dallapolitica economica a quella sociale, e, se il regime, in-callito e inebetito dal suo atavico spirito d'intrigo, nonvuole rinnovarsi, peggio per lui. Esso perirà.

Terminata cosí la trattazione del problema istituziona-le generale, possiamo passare all'esame della situazioneattuale di quello meridionale.

Qui il compito dello scrittore politico diventa vera-mente arduo, perché, non soltanto sarebbe necessario di-vinare se nel Mezzogiorno è maturata un'élite cosí in-transigente da escludere per sempre ogni contaminazio-ne col passato, ma sarebbe altresí necessario divinarel'atteggiamento futuro dei partiti antifascisti, per preci-sare a priori se convenga all'élite meridionale disperderela sua azione nel seno dei partiti unitari, oppure concen-trare il suo sforzo nella creazione del Partito meridiona-le d'azione. Il passato, certo, non è incoraggiante, e illettore di Rivoluzione meridionale vorrà leggere e medi-tare la serrata critica ai partiti storici, ritenendola, in par-te, come un'anticipata esposizione dei motivi di dissen-so, che avranno occasione di manifestarsi anche nel fu-turo. Tuttavia, se occorre procedere assai cauti e non so-

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pravvalutare quel poco di bene che si è prodotto attra-verso tanti dolori, non bisogna assolutamente disperare,perché un fenomeno di elevazione e di consapevolezzas'è iniziato, da qualche tempo, anche nel Mezzogiorno, enon è detto che non possa un giorno fruttificare a bene-ficio di un paese che ha tanti numeri al rispetto univer-sale, e che sconta cosí amaramente il difetto originariodi formazione della sua classe dirigente.

Io credo di essere stato il primo scrittore politico cheabbia segnalato la scopertura del regime anche nel Mez-zogiorno d'Italia, e spero di non essermi ingannatoquando ho tratto da questo fenomeno conseguenzemeno pessimiste per l'avvenire.

Ora, la situazione politica del Mezzogiorno è assaidelicata, ed è probabile che gli errori delle direzioni deipartiti unitari la faranno ancora aggravare. Ma è certoche il vecchio trasformismo meridionale è in crisi, unacrisi che bisogna conoscere e approfondire in tutti i suoiaspetti, se si vuole agire con esatta cognizione di causaper rimuovere tutti gli ostacoli che ancora si frappongo-no allo sbloccamento delle situazioni locali. Perché ènecessario comprendere che il Mezzogiorno, sia dalpunto di vista economico, sia dal punto di vista politico,non presenta un panorama unitario, ma consiste in uncoacervo di situazioni locali, tenute insieme dal comunedenominatore trasformista, e che, perciò, vanno sblocca-te una per una con intelligente pazienza.

Sotto tal punto di vista io non posso non lodare il Par-tito d'azione che ha dimostrato un'esatta comprensione

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pravvalutare quel poco di bene che si è prodotto attra-verso tanti dolori, non bisogna assolutamente disperare,perché un fenomeno di elevazione e di consapevolezzas'è iniziato, da qualche tempo, anche nel Mezzogiorno, enon è detto che non possa un giorno fruttificare a bene-ficio di un paese che ha tanti numeri al rispetto univer-sale, e che sconta cosí amaramente il difetto originariodi formazione della sua classe dirigente.

Io credo di essere stato il primo scrittore politico cheabbia segnalato la scopertura del regime anche nel Mez-zogiorno d'Italia, e spero di non essermi ingannatoquando ho tratto da questo fenomeno conseguenzemeno pessimiste per l'avvenire.

Ora, la situazione politica del Mezzogiorno è assaidelicata, ed è probabile che gli errori delle direzioni deipartiti unitari la faranno ancora aggravare. Ma è certoche il vecchio trasformismo meridionale è in crisi, unacrisi che bisogna conoscere e approfondire in tutti i suoiaspetti, se si vuole agire con esatta cognizione di causaper rimuovere tutti gli ostacoli che ancora si frappongo-no allo sbloccamento delle situazioni locali. Perché ènecessario comprendere che il Mezzogiorno, sia dalpunto di vista economico, sia dal punto di vista politico,non presenta un panorama unitario, ma consiste in uncoacervo di situazioni locali, tenute insieme dal comunedenominatore trasformista, e che, perciò, vanno sblocca-te una per una con intelligente pazienza.

Sotto tal punto di vista io non posso non lodare il Par-tito d'azione che ha dimostrato un'esatta comprensione

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del fenomeno, quando non si è fatto ingannare da un fal-so spirito unitario e ha conservato la segreteria centro-meridionale come organismo tecnico della lotta meri-dionalista.

Ciò che conta, dunque, è la crisi del trasformismo,perfettamente naturale, del resto, perché continua la sco-pertura e la crisi del regime, e anche se una falange ditrasformisti, dopo aver dato vita al neofascismo del go-vernetto di Brindisi, è stata costretta a un'oscura mano-vra per ritornare a galla nelle file del Partito liberale, inposizione di subordinazione, non si può non riconoscereche la lotta politica nel Mezzogiorno, per quanto peno-samente, si orienta per strade finora mai battute, inizian-do un processo di educazione delle masse che non sipuò ancora prevedere a qual punto si arresterà.

Certo è sintomatico che, in regioni un tempo minieradelle cosí dette «personalità», miniera, cioè, di trasfor-misti decorativi, la leva dei morti non abbia avuto i van-taggi sperati, e i partiti della reazione e della conserva-zione stentino a riannodare le fila.

Invece le opposizioni istituzionali hanno piú sicuroseguito e organizzano quel poco di meglio che offre ilpaese. Tutti gli antifascisti di vera marca sono con esse,e l'azione si svolge su di un terreno potentemente mina-to non solo dai dolori del passato ma dalla stessa dina-micità della situazione, che presenta sempre nuove sor-prese.

In mezzo vi è una massa enorme, irrequieta e diso-rientata, che non aspetta che l'esito definitivo dell'urto

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del fenomeno, quando non si è fatto ingannare da un fal-so spirito unitario e ha conservato la segreteria centro-meridionale come organismo tecnico della lotta meri-dionalista.

Ciò che conta, dunque, è la crisi del trasformismo,perfettamente naturale, del resto, perché continua la sco-pertura e la crisi del regime, e anche se una falange ditrasformisti, dopo aver dato vita al neofascismo del go-vernetto di Brindisi, è stata costretta a un'oscura mano-vra per ritornare a galla nelle file del Partito liberale, inposizione di subordinazione, non si può non riconoscereche la lotta politica nel Mezzogiorno, per quanto peno-samente, si orienta per strade finora mai battute, inizian-do un processo di educazione delle masse che non sipuò ancora prevedere a qual punto si arresterà.

Certo è sintomatico che, in regioni un tempo minieradelle cosí dette «personalità», miniera, cioè, di trasfor-misti decorativi, la leva dei morti non abbia avuto i van-taggi sperati, e i partiti della reazione e della conserva-zione stentino a riannodare le fila.

Invece le opposizioni istituzionali hanno piú sicuroseguito e organizzano quel poco di meglio che offre ilpaese. Tutti gli antifascisti di vera marca sono con esse,e l'azione si svolge su di un terreno potentemente mina-to non solo dai dolori del passato ma dalla stessa dina-micità della situazione, che presenta sempre nuove sor-prese.

In mezzo vi è una massa enorme, irrequieta e diso-rientata, che non aspetta che l'esito definitivo dell'urto

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per decidersi. Perché la peculiarità dell'attuale situazio-ne è caratterizzata da una serie di fattori che non si sonoprima mai prodotti e non potranno piú riprodursi nei se-coli, che rendono l'analisi veramente palpitante, ed in-trecciano strettamente la crisi istituzionale generale conquella meridionale in rapporti di mutua interdipendenza.Infatti, durante le fasi di sviluppo del processo rivolu-zionario italiano, il Mezzogiorno politico, tutto assorbitonel trasformismo, cioè nello studio di aderire ai succes-sivi detentori del potere per finalità circoscritte al domi-nio locale, non solo non ha partecipato alle singole fasidella lotta politica, che aveva inizio e si concludevanell'Italia del nord, ma si è sempre accorto con notevoleritardo dei risultati definitivi.

È stata l'assenza del Mezzogiorno dalla vera lotta po-litica che ha reso possibile prima l'insuccesso del socia-lismo e poi il successo del fascismo, tra il 1919 ed il1922, e il processo di adesione della classe politica delsud al fascismo ha, dopo il 1922, stentato a consolidarsiperché Mussolini nella sua proteiforme ignoranza di tut-ti i problemi italiani, non seppe far altro che duplicare larappresentanza trasformista del Mezzogiorno per untempo piú lungo di quello che era necessario.

Ciò provocò, come spiego nel libro, la scopertura delregime anche nell'Italia meridionale, e non c'è da mera-vigliarsi se ora, accanto a minoranze assolutamente in-transigenti, vi sia una folla di trasformisti che aspetta.

È questa una conseguenza del fatto impreveduto e im-prevedibile che, stavolta, la lotta politica si è accesa pri-

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per decidersi. Perché la peculiarità dell'attuale situazio-ne è caratterizzata da una serie di fattori che non si sonoprima mai prodotti e non potranno piú riprodursi nei se-coli, che rendono l'analisi veramente palpitante, ed in-trecciano strettamente la crisi istituzionale generale conquella meridionale in rapporti di mutua interdipendenza.Infatti, durante le fasi di sviluppo del processo rivolu-zionario italiano, il Mezzogiorno politico, tutto assorbitonel trasformismo, cioè nello studio di aderire ai succes-sivi detentori del potere per finalità circoscritte al domi-nio locale, non solo non ha partecipato alle singole fasidella lotta politica, che aveva inizio e si concludevanell'Italia del nord, ma si è sempre accorto con notevoleritardo dei risultati definitivi.

È stata l'assenza del Mezzogiorno dalla vera lotta po-litica che ha reso possibile prima l'insuccesso del socia-lismo e poi il successo del fascismo, tra il 1919 ed il1922, e il processo di adesione della classe politica delsud al fascismo ha, dopo il 1922, stentato a consolidarsiperché Mussolini nella sua proteiforme ignoranza di tut-ti i problemi italiani, non seppe far altro che duplicare larappresentanza trasformista del Mezzogiorno per untempo piú lungo di quello che era necessario.

Ciò provocò, come spiego nel libro, la scopertura delregime anche nell'Italia meridionale, e non c'è da mera-vigliarsi se ora, accanto a minoranze assolutamente in-transigenti, vi sia una folla di trasformisti che aspetta.

È questa una conseguenza del fatto impreveduto e im-prevedibile che, stavolta, la lotta politica si è accesa pri-

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ma nel Mezzogiorno che altrove, e non è a dubitarsi che,quando le masse settentrionali interverranno con il loroformidabile peso, la paralisi del trasformismo meridio-nale non potrà che accentuarsi, secondo la logica internadel sistema.

Infatti il connettivo politico del Mezzogiorno è oggicomposto di trasformisti fascisti, che, estromessi dal po-tere dagli avvenimenti non possono far altro che estra-niarsi temporaneamente dal giuoco per poi tentare ditornare a galla a tempo debito; di trasformisti prefasci-sti, che, estranei dal potere per circa un ventennio, temo-no di errare nuovamente, cosí come errarono nel 1922; edi trasformisti postfascisti, cioè di ex antifascisti senzafede e senza idee, che non desiderano altro che collocar-si in qualche punto strategico per esigenze personali. Eal disotto, frantumata dalla mancanza delle comunica-zioni, resa diffidente dal clamoroso fallimento delleclassi dirigenti, stanca di aspettare e di soffrire, la massamuta e silenziosa.

Nessuno può dire ancora se questa massa assente eparalizzata sia disposta a restare oggetto del solito pro-cesso personalista, oppure precipiterà con fragore versoquei partiti e quei gruppi che la invitano a uscire dal tor-pore per far valere i suoi innegabili diritti. Ma nessuno –tanto meno i trasformisti – può essere sicuro a priori chesia disposta a battersi per riprodurre l'ancien regime.

Al massimo si può prevedere che continuerà a restareindifferente e apatica fino a quando la lotta sarà decisanell'Italia del Nord.

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ma nel Mezzogiorno che altrove, e non è a dubitarsi che,quando le masse settentrionali interverranno con il loroformidabile peso, la paralisi del trasformismo meridio-nale non potrà che accentuarsi, secondo la logica internadel sistema.

Infatti il connettivo politico del Mezzogiorno è oggicomposto di trasformisti fascisti, che, estromessi dal po-tere dagli avvenimenti non possono far altro che estra-niarsi temporaneamente dal giuoco per poi tentare ditornare a galla a tempo debito; di trasformisti prefasci-sti, che, estranei dal potere per circa un ventennio, temo-no di errare nuovamente, cosí come errarono nel 1922; edi trasformisti postfascisti, cioè di ex antifascisti senzafede e senza idee, che non desiderano altro che collocar-si in qualche punto strategico per esigenze personali. Eal disotto, frantumata dalla mancanza delle comunica-zioni, resa diffidente dal clamoroso fallimento delleclassi dirigenti, stanca di aspettare e di soffrire, la massamuta e silenziosa.

Nessuno può dire ancora se questa massa assente eparalizzata sia disposta a restare oggetto del solito pro-cesso personalista, oppure precipiterà con fragore versoquei partiti e quei gruppi che la invitano a uscire dal tor-pore per far valere i suoi innegabili diritti. Ma nessuno –tanto meno i trasformisti – può essere sicuro a priori chesia disposta a battersi per riprodurre l'ancien regime.

Al massimo si può prevedere che continuerà a restareindifferente e apatica fino a quando la lotta sarà decisanell'Italia del Nord.

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Ma questa situazione – che ha indubbiamente impedi-to il crollo del regime nei mesi scorsi – non potrà nonavere future ripercussioni, perché è la prima volta nellastoria politica dell'Italia unificata che il Mezzogiornod'Italia esprime minoranze rivoluzionarie e che il fonda-mentale trasformismo del paese è costretto a restareinerte, senza poter partecipare alla difesa del regime, or-mai compromesso e discreditato.

E, qualunque possa essere in futuro lo svolgimentodella crisi, questo fatto è destinato ad avere capitale im-portanza, poiché è assiomatico che nessun compromes-so sarà possibile se il Mezzogiorno sarà in subbuglio.

Questo, dunque, il panorama della lotta, e quanto piúsarà approfondita la crisi del sistema, tanto piú sarà pos-sibile distruggere anche sullo scacchiere meridionale lebasi dello Stato storico. Perciò io non mi stanco di pro-spettare ai politici di buona volontà le difficoltà in cui sitrovano i loro avversari. Soltanto se gli uomini, che oggidirigono i grandi partiti rivoluzionari, avranno una vi-sione precisa, direi quasi scientifica del fenomeno, saràpossibile lo sbloccamento di una particolare situazionepolitica che è una delle piú intricate di Europa.

E poi occorre una grande passione, quella passioneche può nascere soltanto quando ci si trova in presenzadi una grande ingiustizia. È vero che i difetti di una clas-se dirigente non possono essere prospettati in terminietici, perché essi sono prima ancora difetti delle masse,che li tollerano, ma se coloro che lotteranno per apriregli occhi al popolo non avranno l'animo infiammato da

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Ma questa situazione – che ha indubbiamente impedi-to il crollo del regime nei mesi scorsi – non potrà nonavere future ripercussioni, perché è la prima volta nellastoria politica dell'Italia unificata che il Mezzogiornod'Italia esprime minoranze rivoluzionarie e che il fonda-mentale trasformismo del paese è costretto a restareinerte, senza poter partecipare alla difesa del regime, or-mai compromesso e discreditato.

E, qualunque possa essere in futuro lo svolgimentodella crisi, questo fatto è destinato ad avere capitale im-portanza, poiché è assiomatico che nessun compromes-so sarà possibile se il Mezzogiorno sarà in subbuglio.

Questo, dunque, il panorama della lotta, e quanto piúsarà approfondita la crisi del sistema, tanto piú sarà pos-sibile distruggere anche sullo scacchiere meridionale lebasi dello Stato storico. Perciò io non mi stanco di pro-spettare ai politici di buona volontà le difficoltà in cui sitrovano i loro avversari. Soltanto se gli uomini, che oggidirigono i grandi partiti rivoluzionari, avranno una vi-sione precisa, direi quasi scientifica del fenomeno, saràpossibile lo sbloccamento di una particolare situazionepolitica che è una delle piú intricate di Europa.

E poi occorre una grande passione, quella passioneche può nascere soltanto quando ci si trova in presenzadi una grande ingiustizia. È vero che i difetti di una clas-se dirigente non possono essere prospettati in terminietici, perché essi sono prima ancora difetti delle masse,che li tollerano, ma se coloro che lotteranno per apriregli occhi al popolo non avranno l'animo infiammato da

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una grande passione, la loro azione è destinata a rimane-re sterile.

L'essenziale è che vi sia un minimum su cui far leva, equesto minimum è dato dallo stesso sviluppo del proces-so storico nazionale e da una serie di fattori concorrentiche non rendono cosí disperata la situazione di chi si ac-cinga a lottare.

Non che il personalismo meridionale sia oggi mori-bondo e un'ondata di eversione alimenti le fiamme diquell'incendio ideale che abbiamo sempre sognato.

Tutt'altro! Come già ho detto esso cova sotto le cenerie le deficienze ataviche sono in agguato per riattizzarlo.Ma il meccanismo è notevolmente arrugginito e nonfunziona piú come prima: soprattutto i fattori che unavolta costituivano un vantaggio, sembrano oggi essersitrasformati in svantaggi.

Infatti a chi approfondisca l'argomento deve apparireevidente che è piú facile far funzionare un onesto siste-ma politico che un'adulterazione trasformistica, poichéquesta ha bisogno di un'organizzazione statica e non hal'elasticità sufficiente per seguire in velocità l'andamentodei periodi rivoluzionari.

In buona sostanza, un efficiente sistema personalistaha il costante bisogno di illudere gli elettori che la com-pagine elettorale non subisce alcuna violenza e che per-ciò i rappresentanti sono veramente gli eletti del paese.Donde la necessità che tutta l'evoluzione politica proce-da a velocità minima, in maniera da permettere ai diri-genti di seguirla agevolmente, quasi fosse una naturale

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una grande passione, la loro azione è destinata a rimane-re sterile.

L'essenziale è che vi sia un minimum su cui far leva, equesto minimum è dato dallo stesso sviluppo del proces-so storico nazionale e da una serie di fattori concorrentiche non rendono cosí disperata la situazione di chi si ac-cinga a lottare.

Non che il personalismo meridionale sia oggi mori-bondo e un'ondata di eversione alimenti le fiamme diquell'incendio ideale che abbiamo sempre sognato.

Tutt'altro! Come già ho detto esso cova sotto le cenerie le deficienze ataviche sono in agguato per riattizzarlo.Ma il meccanismo è notevolmente arrugginito e nonfunziona piú come prima: soprattutto i fattori che unavolta costituivano un vantaggio, sembrano oggi essersitrasformati in svantaggi.

Infatti a chi approfondisca l'argomento deve apparireevidente che è piú facile far funzionare un onesto siste-ma politico che un'adulterazione trasformistica, poichéquesta ha bisogno di un'organizzazione statica e non hal'elasticità sufficiente per seguire in velocità l'andamentodei periodi rivoluzionari.

In buona sostanza, un efficiente sistema personalistaha il costante bisogno di illudere gli elettori che la com-pagine elettorale non subisce alcuna violenza e che per-ciò i rappresentanti sono veramente gli eletti del paese.Donde la necessità che tutta l'evoluzione politica proce-da a velocità minima, in maniera da permettere ai diri-genti di seguirla agevolmente, quasi fosse una naturale

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evoluzione di pensiero. In tal modo, mentre gli elettorinon arrivano mai ad accorgersi di essere oggetto di uncontinuo e mai arrestato processo di compromesso, glieletti non perdono il contatto con i vari governi che sisuccedono al centro. L'ideale del trasformismo meridio-nale è stato, perciò, e continua a essere, la dittatura par-lamentare giolittiana, sia perché la sua stabilità era quasiassoluta, sia perché non richiedeva quei sacrifici di pre-stigio personale che l'inconseguente regime fascista im-pose poi ai suoi adepti.

Ma il personalismo meridionale si è logorato attraver-so venti anni di fascismo, e non è stato privo di conse-guenze il fatto che Benito Mussolini si sia divertito amandare nelle province meridionali segretari federali ri-pescati in tutti gli angoli d'Italia. A furia di battere, lasua principale molla si è spezzata, e il popolo, mentre siè abituato a vedere i suoi leader piú famosi andare men-dichi per le strade in cerca di quella protezione che pri-ma erano usi accordare, ha avuto piú di un'occasione perderidere e disprezzare i nuovi capi fascisti dei quali lanullità e la sicumera politica gli ha ispirato soltanto loschifo.

Ora si vorrebbe tornare daccapo e rivarare una docileclasse dirigente meridionale, che si contenti soltanto deldominio sui comuni e sugli enti locali e lasci agli immu-tati padroni dello Stato il compito di tracciare le nuovedirettive politiche che mantengano immutato il loro ef-fettivo dominio.

Ma i trasformisti classici, quelli, cioè, che non face-

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evoluzione di pensiero. In tal modo, mentre gli elettorinon arrivano mai ad accorgersi di essere oggetto di uncontinuo e mai arrestato processo di compromesso, glieletti non perdono il contatto con i vari governi che sisuccedono al centro. L'ideale del trasformismo meridio-nale è stato, perciò, e continua a essere, la dittatura par-lamentare giolittiana, sia perché la sua stabilità era quasiassoluta, sia perché non richiedeva quei sacrifici di pre-stigio personale che l'inconseguente regime fascista im-pose poi ai suoi adepti.

Ma il personalismo meridionale si è logorato attraver-so venti anni di fascismo, e non è stato privo di conse-guenze il fatto che Benito Mussolini si sia divertito amandare nelle province meridionali segretari federali ri-pescati in tutti gli angoli d'Italia. A furia di battere, lasua principale molla si è spezzata, e il popolo, mentre siè abituato a vedere i suoi leader piú famosi andare men-dichi per le strade in cerca di quella protezione che pri-ma erano usi accordare, ha avuto piú di un'occasione perderidere e disprezzare i nuovi capi fascisti dei quali lanullità e la sicumera politica gli ha ispirato soltanto loschifo.

Ora si vorrebbe tornare daccapo e rivarare una docileclasse dirigente meridionale, che si contenti soltanto deldominio sui comuni e sugli enti locali e lasci agli immu-tati padroni dello Stato il compito di tracciare le nuovedirettive politiche che mantengano immutato il loro ef-fettivo dominio.

Ma i trasformisti classici, quelli, cioè, che non face-

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vano trapelare la sostanza del giuoco, sono semidistrutti,e anche quei pochi che sono sopravvissuti alla catastrofenon sanno piú da qual punto ricominciare.

Soprattutto hanno paura di sbagliare, e questa pauraattanaglia le loro menti e i loro cuori. Sostanzialmenteessi non nutrono piú fiducia nell'oligarchia che li abban-donò nel 1922 nelle mani inesperte di Benito Mussolini,e temono di arrivare troppo tardi... o troppo presto!

Ve ne sono alcuni che portano ancora nell'animo laferita cicatrizzata di quel tragico 1925, quando la lorofede nel regime fu amaramente delusa dall'ultimo colpodi Stato, che frantumò nelle mani di tutti le speranzedell'avvenire.

E poi non hanno discepoli e il segreto dei loro succes-si è destinato a discendere con loro nella tomba. Perquanto ce ne siano parecchi ancora in vita – ed è, dalpunto di vista nazionale, una vera disgrazia! – la gioven-tú non comprende piú il delicato meccanismo di cui siservivano e nega ogni valore al virtuosismo di cui pertanto tempo si compiacquero. La stessa gioventú trasfor-mista è oggi piú semplicista e si avvale di schemi men-tali piú elementari. Le basta iscriversi a un partito chesembra possa vincere e non pensa piú alla raffinatezzadi tenersi fuori da tutti i gruppi politici per tentare di tro-varsi sempre al traguardo insieme al vincitore. Il capola-voro meridionale, il vecchio deputato giolittiano, salan-drino, sonniniano e mussoliniano, sempre pronto a giu-stificare in nome dei supremi ideali nazionali, tutte lepolitiche, è oggi all'estremo delle forze, e bisognerebbe

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vano trapelare la sostanza del giuoco, sono semidistrutti,e anche quei pochi che sono sopravvissuti alla catastrofenon sanno piú da qual punto ricominciare.

Soprattutto hanno paura di sbagliare, e questa pauraattanaglia le loro menti e i loro cuori. Sostanzialmenteessi non nutrono piú fiducia nell'oligarchia che li abban-donò nel 1922 nelle mani inesperte di Benito Mussolini,e temono di arrivare troppo tardi... o troppo presto!

Ve ne sono alcuni che portano ancora nell'animo laferita cicatrizzata di quel tragico 1925, quando la lorofede nel regime fu amaramente delusa dall'ultimo colpodi Stato, che frantumò nelle mani di tutti le speranzedell'avvenire.

E poi non hanno discepoli e il segreto dei loro succes-si è destinato a discendere con loro nella tomba. Perquanto ce ne siano parecchi ancora in vita – ed è, dalpunto di vista nazionale, una vera disgrazia! – la gioven-tú non comprende piú il delicato meccanismo di cui siservivano e nega ogni valore al virtuosismo di cui pertanto tempo si compiacquero. La stessa gioventú trasfor-mista è oggi piú semplicista e si avvale di schemi men-tali piú elementari. Le basta iscriversi a un partito chesembra possa vincere e non pensa piú alla raffinatezzadi tenersi fuori da tutti i gruppi politici per tentare di tro-varsi sempre al traguardo insieme al vincitore. Il capola-voro meridionale, il vecchio deputato giolittiano, salan-drino, sonniniano e mussoliniano, sempre pronto a giu-stificare in nome dei supremi ideali nazionali, tutte lepolitiche, è oggi all'estremo delle forze, e bisognerebbe

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imbalsamarne qualcuno per conservarlo nel museo Tus-saud a glorificazione del fenomeno.

È vero che la politica interna dell'AMG non ha fattoaltro che incoraggiare la ripresa trasformista, ma a chiesamini attentamente la ragione intima delle cose, nonpotrà non apparire che sostanzialmente essa ne ha age-volato l'esaurimento, perché il rapido susseguirsi dei co-mandanti militari locali ha finito per accentuare l'insicu-rezza dell'avvenire.

In sostanza, l'attuale politica antifascista e le incertez-ze del domani ostacolano quel passaggio in blocco checostituiva la caratteristica principale del sistema, e non èdato vedere in quale momento del futuro diagrammaevolutivo della politica nazionale potrà verificarsi lacondizione necessaria perché la saldatura personalisticapossa avvenire. È, invece, probabile che, divisi nei sin-goli apprezzamenti temporali, i trasformisti esauriscanole loro residue possibilità o in errati interventi oppure inparimenti errate astensioni.

Ma, se la crisi del sistema è innegabile, esiste un'élitemeridionalista con idee chiare e perfetta consapevolez-za? Oppure la nuova élite, anche senza riprodurre esat-tamente gli schemi del passato, lascerà passare questoprezioso momento storico e si farà battere irrimediabil-mente?

Le difficoltà saranno sovrumane, la lotta contro il tra-sformismo non dovrà aver quartiere, e coloro che vi sidedicheranno, dovranno avere gli occhi aperti per scru-

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imbalsamarne qualcuno per conservarlo nel museo Tus-saud a glorificazione del fenomeno.

È vero che la politica interna dell'AMG non ha fattoaltro che incoraggiare la ripresa trasformista, ma a chiesamini attentamente la ragione intima delle cose, nonpotrà non apparire che sostanzialmente essa ne ha age-volato l'esaurimento, perché il rapido susseguirsi dei co-mandanti militari locali ha finito per accentuare l'insicu-rezza dell'avvenire.

In sostanza, l'attuale politica antifascista e le incertez-ze del domani ostacolano quel passaggio in blocco checostituiva la caratteristica principale del sistema, e non èdato vedere in quale momento del futuro diagrammaevolutivo della politica nazionale potrà verificarsi lacondizione necessaria perché la saldatura personalisticapossa avvenire. È, invece, probabile che, divisi nei sin-goli apprezzamenti temporali, i trasformisti esauriscanole loro residue possibilità o in errati interventi oppure inparimenti errate astensioni.

Ma, se la crisi del sistema è innegabile, esiste un'élitemeridionalista con idee chiare e perfetta consapevolez-za? Oppure la nuova élite, anche senza riprodurre esat-tamente gli schemi del passato, lascerà passare questoprezioso momento storico e si farà battere irrimediabil-mente?

Le difficoltà saranno sovrumane, la lotta contro il tra-sformismo non dovrà aver quartiere, e coloro che vi sidedicheranno, dovranno avere gli occhi aperti per scru-

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tare sul nascere le inevitabili deviazioni dei partiti stori-ci verso la creazione di nuove fonti di squilibrio a dannodel Mezzogiorno.

Ma il giuoco politico non appare piú cosí avversocome per il passato, e se gli uomini non saranno assolu-tamente inferiori al loro compito, offrirà sempre mag-giori carte a coloro che si voteranno al nuovo destino.

Fattori italiani e fattori europei renderanno possibilerimuovere gli ostacoli che finora hanno impedito l'indu-strializzazione dell'agricoltura meridionale, e la dilagan-te sfiducia nell'azione dello Stato rafforzerà lo spiritod'iniziativa individuale e arresterà il costante drenaggiodei capitali di cui l'Italia meridionale e insulare ha sof-ferto durante la sua ottantennale esperienza unitaria.

Ormai la lotta contro lo Stato burocratico-accentrato-re si impone ed è probabile che le nostre masse siano di-sposte a intenderne la portata. Quando la mostruosa in-flazione in atto avrà terminato di espropriare quella mi-serabile classe dirigente meridionale, la cui unica faticaconsisteva nel tagliare le cedole del Consolidato, si po-trà sperare che i nuovi risparmiatori intenderanno a pie-no la lezione, e vorranno impiegare il danaro in opera-zioni di trasformazione agricola, escludendo il prestitoallo Stato, che quasi sempre si traduce in un'operazionein perdita.

Lungi dall'essere un danno, il fallimento dello Statofinirà per essere un vantaggio, poiché si eliminerà dalpossesso della ricchezza una classe che viveva di vitaparassitaria, e non sentiva le sue responsabilità sociali.

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tare sul nascere le inevitabili deviazioni dei partiti stori-ci verso la creazione di nuove fonti di squilibrio a dannodel Mezzogiorno.

Ma il giuoco politico non appare piú cosí avversocome per il passato, e se gli uomini non saranno assolu-tamente inferiori al loro compito, offrirà sempre mag-giori carte a coloro che si voteranno al nuovo destino.

Fattori italiani e fattori europei renderanno possibilerimuovere gli ostacoli che finora hanno impedito l'indu-strializzazione dell'agricoltura meridionale, e la dilagan-te sfiducia nell'azione dello Stato rafforzerà lo spiritod'iniziativa individuale e arresterà il costante drenaggiodei capitali di cui l'Italia meridionale e insulare ha sof-ferto durante la sua ottantennale esperienza unitaria.

Ormai la lotta contro lo Stato burocratico-accentrato-re si impone ed è probabile che le nostre masse siano di-sposte a intenderne la portata. Quando la mostruosa in-flazione in atto avrà terminato di espropriare quella mi-serabile classe dirigente meridionale, la cui unica faticaconsisteva nel tagliare le cedole del Consolidato, si po-trà sperare che i nuovi risparmiatori intenderanno a pie-no la lezione, e vorranno impiegare il danaro in opera-zioni di trasformazione agricola, escludendo il prestitoallo Stato, che quasi sempre si traduce in un'operazionein perdita.

Lungi dall'essere un danno, il fallimento dello Statofinirà per essere un vantaggio, poiché si eliminerà dalpossesso della ricchezza una classe che viveva di vitaparassitaria, e non sentiva le sue responsabilità sociali.

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Occorre però un'élite anche poco numerosa, ma che ab-bia idee chiare e sia spietata nella sua funzione critica. Èfinito il tempo dell'apostolato individuale, e i Fortunato,i Salvemini, i De Viti De Marco possono tenersi paghidel primo lavoro di aratura, compiuto tra la indifferenzauniversale, in epoche cosí tristi che il cuore ci si riempiedi sgomento.

Se il Mezzogiorno, in un supremo sforzo creativo, or-ganizzerà questa minuscola élite senza paura e senzapietà, la lotta potrà essere lunga, ma l'esito non sarà dub-bio, poiché tutta la storia italiana non è altro che il capo-lavoro di piccoli nuclei che hanno sempre pensato e agi-to per le folle assenti.

Ma se la gioventú meridionale – questa mirabile gio-ventú cosí assetata di giustizia e di verità – spronata dal-la miseria, che è divenuta pungente, e avvilita da tantesventure, non sentirà il pungolo della resurrezione e ri-prenderà, triste e scorata, la dolorosa via dei piccoli im-pieghi e della dedizione allo Stato violento e accentrato-re, allora anche i pochi semi che sono nati per casosull'arido terreno del Mezzogiorno saranno sommersi, enuovi sistemi di compressione e di sfruttamento risorge-ranno dalle ceneri ove ora sembrano sepolti.

Certo è difficile prevedere il futuro, e la penna si arre-sta esitante sul confine della speranza, ma, in questanuova primavera della patria troppi cuori sono aperti edisposti ad accogliere le supreme verità e non è folliaabbandonare l'animo a una visione meno pessimistadell'avvenire.

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Occorre però un'élite anche poco numerosa, ma che ab-bia idee chiare e sia spietata nella sua funzione critica. Èfinito il tempo dell'apostolato individuale, e i Fortunato,i Salvemini, i De Viti De Marco possono tenersi paghidel primo lavoro di aratura, compiuto tra la indifferenzauniversale, in epoche cosí tristi che il cuore ci si riempiedi sgomento.

Se il Mezzogiorno, in un supremo sforzo creativo, or-ganizzerà questa minuscola élite senza paura e senzapietà, la lotta potrà essere lunga, ma l'esito non sarà dub-bio, poiché tutta la storia italiana non è altro che il capo-lavoro di piccoli nuclei che hanno sempre pensato e agi-to per le folle assenti.

Ma se la gioventú meridionale – questa mirabile gio-ventú cosí assetata di giustizia e di verità – spronata dal-la miseria, che è divenuta pungente, e avvilita da tantesventure, non sentirà il pungolo della resurrezione e ri-prenderà, triste e scorata, la dolorosa via dei piccoli im-pieghi e della dedizione allo Stato violento e accentrato-re, allora anche i pochi semi che sono nati per casosull'arido terreno del Mezzogiorno saranno sommersi, enuovi sistemi di compressione e di sfruttamento risorge-ranno dalle ceneri ove ora sembrano sepolti.

Certo è difficile prevedere il futuro, e la penna si arre-sta esitante sul confine della speranza, ma, in questanuova primavera della patria troppi cuori sono aperti edisposti ad accogliere le supreme verità e non è folliaabbandonare l'animo a una visione meno pessimistadell'avvenire.

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A questo punto una folla di problemi si affaccia allamente del politico e sono tutti di capitale importanza.Come sbloccare la situazione del Mezzogiorno, se essatende a riprodursi automaticamente per il giuoco di fat-tori naturali, che, se hanno perduto di vigoria, continua-no tuttavia a sussistere? E, una volta ottenuto qualchesuccesso, lungo il doloroso calvario che ancora ci atten-de, come continuare l'opera intrapresa? Attraverso qualimiti e quali formule riuscire ad avviare la soluzione?Naturalmente, a tutte queste domande non è possibile ri-spondere a priori, e e specialmente in una prefazione,che già comincia a eccedere i limiti ordinariamente as-segnati a simili composizioni. Un compito storico diquesta mole non può essere svolto che dal lavoro per lomeno di una generazione, e un povero scrittore non puòche tracciare grandi linee e niente altro.

Ma gli argomenti accennati sono troppo seducenti pernon meritare qualche rapido cenno, e il lettore di buonafede è invitato a collaborare.

Anzitutto è necessaria l'intransigenza piú assoluta, ecoloro i quali sostengono che il personalismo può esserecombattuto a poco per volta, e che, frattanto, si possonoaccogliere i trasformisti nei nuovi partiti per educarlialle nuove idee, hanno la stessa intelligenza del cafoneche riscaldò la vipera nel seno, e, perciò, non fanno altroche preparare nuove sciagure al nostro paese. Qui non sitratta delle solite differenze programmatiche che divido-no formazioni affini, ma di concezioni diametralmenteopposte di tutta la vita politica, di opposte mentalità, che

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A questo punto una folla di problemi si affaccia allamente del politico e sono tutti di capitale importanza.Come sbloccare la situazione del Mezzogiorno, se essatende a riprodursi automaticamente per il giuoco di fat-tori naturali, che, se hanno perduto di vigoria, continua-no tuttavia a sussistere? E, una volta ottenuto qualchesuccesso, lungo il doloroso calvario che ancora ci atten-de, come continuare l'opera intrapresa? Attraverso qualimiti e quali formule riuscire ad avviare la soluzione?Naturalmente, a tutte queste domande non è possibile ri-spondere a priori, e e specialmente in una prefazione,che già comincia a eccedere i limiti ordinariamente as-segnati a simili composizioni. Un compito storico diquesta mole non può essere svolto che dal lavoro per lomeno di una generazione, e un povero scrittore non puòche tracciare grandi linee e niente altro.

Ma gli argomenti accennati sono troppo seducenti pernon meritare qualche rapido cenno, e il lettore di buonafede è invitato a collaborare.

Anzitutto è necessaria l'intransigenza piú assoluta, ecoloro i quali sostengono che il personalismo può esserecombattuto a poco per volta, e che, frattanto, si possonoaccogliere i trasformisti nei nuovi partiti per educarlialle nuove idee, hanno la stessa intelligenza del cafoneche riscaldò la vipera nel seno, e, perciò, non fanno altroche preparare nuove sciagure al nostro paese. Qui non sitratta delle solite differenze programmatiche che divido-no formazioni affini, ma di concezioni diametralmenteopposte di tutta la vita politica, di opposte mentalità, che

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non possono umanamente conciliarsi; e, perciò, il primorequisito che deve caratterizzare i partiti antitrasformistiè lo spirito domenicano non solo nei rapporti interni, maanche nei rapporti interpartito.

Il trasformismo, in sostanza, è una malattia dell'interaclasse dirigente meridionale, è un vizio del sistema poli-tico italiano, e, per combatterlo, occorre sradicare lecause del male.

E come, per distruggere la malaria, non basta ingoiarenumerose pasticche di chinino o chiudere tutte le apertu-re dell'abitazione con fitte reti, ma occorre bonificarel'intero paesaggio, cosí, per combattere il trasformismo,non basta proclamarsi antitrasformista, ma occorre agirepotentemente per distruggere l'intero sistema e procede-re alla generale bonifica del paese.

Bisogna, quindi, rivolgersi direttamente alle masse efar leva su di esse, poiché tutto il lavoro di sblocca men-to della situazione consiste nel dare coscienza agli umi-li, e trasformarli da oggetto inconsapevole del vecchiobaratto trasformista in soggetto della nuova politica au-tonomista.

Questo lavoro di sbloccamento, però, non è facile.Esso dev'essere compiuto prevalentemente dal basso, eil compito dei nuovi partiti è quello di completare i ri-sultati del Risorgimento, facendo aderire le masse meri-dionali allo Stato. Solo attraverso un lavoro cosí nobilee cosí fecondo sarà possibile operare la saldatura tra ilprimo e il secondo Risorgimento, tra la rivoluzione na-zionale e quella democratica, e pervenire a una sistema-

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non possono umanamente conciliarsi; e, perciò, il primorequisito che deve caratterizzare i partiti antitrasformistiè lo spirito domenicano non solo nei rapporti interni, maanche nei rapporti interpartito.

Il trasformismo, in sostanza, è una malattia dell'interaclasse dirigente meridionale, è un vizio del sistema poli-tico italiano, e, per combatterlo, occorre sradicare lecause del male.

E come, per distruggere la malaria, non basta ingoiarenumerose pasticche di chinino o chiudere tutte le apertu-re dell'abitazione con fitte reti, ma occorre bonificarel'intero paesaggio, cosí, per combattere il trasformismo,non basta proclamarsi antitrasformista, ma occorre agirepotentemente per distruggere l'intero sistema e procede-re alla generale bonifica del paese.

Bisogna, quindi, rivolgersi direttamente alle masse efar leva su di esse, poiché tutto il lavoro di sblocca men-to della situazione consiste nel dare coscienza agli umi-li, e trasformarli da oggetto inconsapevole del vecchiobaratto trasformista in soggetto della nuova politica au-tonomista.

Questo lavoro di sbloccamento, però, non è facile.Esso dev'essere compiuto prevalentemente dal basso, eil compito dei nuovi partiti è quello di completare i ri-sultati del Risorgimento, facendo aderire le masse meri-dionali allo Stato. Solo attraverso un lavoro cosí nobilee cosí fecondo sarà possibile operare la saldatura tra ilprimo e il secondo Risorgimento, tra la rivoluzione na-zionale e quella democratica, e pervenire a una sistema-

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zione politica generale che costituisca la premessa indi-spensabile per avviare il nostro paese a godere di tutti ivantaggi dell'autogoverno.

Se ciò avverrà e il passato sarà sepolto non solo nellarettorica ufficiale, ma nella coscienza storico-politicadel popolo, il periodo tra il 1860 ed il 1943 potrà alfineapparire quale veramente è: una parentesi nel seno delRisorgimento, il quale, iniziatosi con la battaglia perl'unificazione e l'indipendenza nazionale, è destinato aconcludersi con la piena espansione politica del nostropaese.

Allora soltanto pseudoliberalismo, pseudodemocraziae fascismo, collegati tra loro da un filo sotterraneo e ori-ginati dalle stesse cause, appariranno come tappe dolo-rose e inevitabili di un lungo processo storico, che, ini-ziatosi nel 1831, con la prima predicazione mazziniana,si concluderà, dopo piú di un secolo, con la piena matu-rità del popolo italiano e con la sua capacità di servirsidi quel delicato ma prezioso strumento che è il partitopolitico, organo indispensabile per assicurare al paese ilperfetto ricambio della classe politica e la circolazionedelle élite.

L'ultimo ostacolo che ormai sbarra il passo in questolungo e doloroso cammino è il trasformismo meridiona-le, e lo sbloccamento della situazione politica del Mez-zogiorno appare come un dovere nazionale. Ma non nelsenso tradizionale che si attribuisce a questa locuzione;nel senso, cioè, problemistico e caritativo, adottato datutti i governi, succedutisi finora al potere.

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zione politica generale che costituisca la premessa indi-spensabile per avviare il nostro paese a godere di tutti ivantaggi dell'autogoverno.

Se ciò avverrà e il passato sarà sepolto non solo nellarettorica ufficiale, ma nella coscienza storico-politicadel popolo, il periodo tra il 1860 ed il 1943 potrà alfineapparire quale veramente è: una parentesi nel seno delRisorgimento, il quale, iniziatosi con la battaglia perl'unificazione e l'indipendenza nazionale, è destinato aconcludersi con la piena espansione politica del nostropaese.

Allora soltanto pseudoliberalismo, pseudodemocraziae fascismo, collegati tra loro da un filo sotterraneo e ori-ginati dalle stesse cause, appariranno come tappe dolo-rose e inevitabili di un lungo processo storico, che, ini-ziatosi nel 1831, con la prima predicazione mazziniana,si concluderà, dopo piú di un secolo, con la piena matu-rità del popolo italiano e con la sua capacità di servirsidi quel delicato ma prezioso strumento che è il partitopolitico, organo indispensabile per assicurare al paese ilperfetto ricambio della classe politica e la circolazionedelle élite.

L'ultimo ostacolo che ormai sbarra il passo in questolungo e doloroso cammino è il trasformismo meridiona-le, e lo sbloccamento della situazione politica del Mez-zogiorno appare come un dovere nazionale. Ma non nelsenso tradizionale che si attribuisce a questa locuzione;nel senso, cioè, problemistico e caritativo, adottato datutti i governi, succedutisi finora al potere.

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No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma digiustizia: non chiede aiuto, ma libertà. Se il Mezzogior-no non distruggerà le cause della sua inferiorità da sestesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l'esempiodei suoi figli migliori, tutto sarà inutile, perché paterna-lismo e trasformismo sono facce dello stesso fenomeno,e dopo il rinnovellato trionfo del primo il secondo rifa-rebbe capolino.

Definire dovere nazionale la resurrezione del Mezzo-giorno non significa, dunque, che il nuovo Stato dovràriparare materialmente i danni che lo Stato storico ha re-cati al Mezzogiorno. Significa, invece, che la politicatrasformista dev'essere abbandonata anche dall'alto eche il nuovo Stato deve smobilitare il suo apparato diprefetti, di questori e di aguzzini, che da ottant'anni nonfa altro che scoraggiare e distruggere sul nascere le libe-re iniziative del popolo meridionale. Significa capovol-gere interamente la tradizionale politica interna delloStato italiano nei confronti del Mezzogiorno, modificarele vecchie strutture e creare le nuove strutture econo-mico-politiche e politico-istituzionali entro le quali ilMezzogiorno potrà liberamente articolare le sue forze etentare di accrescerle.

Qual è, dunque, il compito dei partiti antitrasformisti,che hanno contribuito a formare il gabinetto di coalizio-ne che ora governa l'Italia? La risposta è assai semplicee deriva dalla natura delle cose: esigere che lo sblocca-mento dell'intera situazione politica meridionale abbialuogo anche dall'alto.

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No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma digiustizia: non chiede aiuto, ma libertà. Se il Mezzogior-no non distruggerà le cause della sua inferiorità da sestesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l'esempiodei suoi figli migliori, tutto sarà inutile, perché paterna-lismo e trasformismo sono facce dello stesso fenomeno,e dopo il rinnovellato trionfo del primo il secondo rifa-rebbe capolino.

Definire dovere nazionale la resurrezione del Mezzo-giorno non significa, dunque, che il nuovo Stato dovràriparare materialmente i danni che lo Stato storico ha re-cati al Mezzogiorno. Significa, invece, che la politicatrasformista dev'essere abbandonata anche dall'alto eche il nuovo Stato deve smobilitare il suo apparato diprefetti, di questori e di aguzzini, che da ottant'anni nonfa altro che scoraggiare e distruggere sul nascere le libe-re iniziative del popolo meridionale. Significa capovol-gere interamente la tradizionale politica interna delloStato italiano nei confronti del Mezzogiorno, modificarele vecchie strutture e creare le nuove strutture econo-mico-politiche e politico-istituzionali entro le quali ilMezzogiorno potrà liberamente articolare le sue forze etentare di accrescerle.

Qual è, dunque, il compito dei partiti antitrasformisti,che hanno contribuito a formare il gabinetto di coalizio-ne che ora governa l'Italia? La risposta è assai semplicee deriva dalla natura delle cose: esigere che lo sblocca-mento dell'intera situazione politica meridionale abbialuogo anche dall'alto.

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Se l'intero processo trasformistico consiste in un con-tinuo lavorio di adesione al governo delle rappresentan-ze del Mezzogiorno, sicché queste appaiono governativea vita, e possono cosí giovarsi di tutto l'apparato stataleper contrastare vittoriosamente gli sforzi che le opposi-zioni fanno per liberare il paese dalla schiavitú in cui ètenuto, è chiaro che basta tagliare questo rapporto istitu-zionale alla base e alla sommità, perché, in poco volgeredi tempo, il personalismo sia superato e la vita politicameridionale possa avviarsi lungo le rotaie della moder-nità.

Ora, non sembra che gli attuali partiti italiani, com-presi quelli che concordano con le idee svolte in questoscritto, posseggano in pieno i termini del problema. Ciòspiega perché, mentre l'attuale governo è un gabinetto dicoalizione, non svolge politica interna antitrasformista econtinua a attardarsi lungo le vie del passato.

Io mi rendo conto che si deve evitare di rompere laconcordia nazionale, ma guai se il rilievo sopra svoltofosse conseguenza di deliberazione cosciente! Preferi-sco, invece, ritenere che, nella fretta della costituzionedel governo, non sia emerso questo fondamentale profi-lo della situazione. Perché, in caso opposto, dovrei con-cludere che i partiti antitrasformisti si espongono al di-sastro per una sadica voluttà di suicidio, e che essi, per-ciò, non sono all'altezza. del compito storico loro asse-gnato.

Quando, per effetto della loro piena collaborazione, epiú per questa che per altro, apprezzabili risultati saran-

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Se l'intero processo trasformistico consiste in un con-tinuo lavorio di adesione al governo delle rappresentan-ze del Mezzogiorno, sicché queste appaiono governativea vita, e possono cosí giovarsi di tutto l'apparato stataleper contrastare vittoriosamente gli sforzi che le opposi-zioni fanno per liberare il paese dalla schiavitú in cui ètenuto, è chiaro che basta tagliare questo rapporto istitu-zionale alla base e alla sommità, perché, in poco volgeredi tempo, il personalismo sia superato e la vita politicameridionale possa avviarsi lungo le rotaie della moder-nità.

Ora, non sembra che gli attuali partiti italiani, com-presi quelli che concordano con le idee svolte in questoscritto, posseggano in pieno i termini del problema. Ciòspiega perché, mentre l'attuale governo è un gabinetto dicoalizione, non svolge politica interna antitrasformista econtinua a attardarsi lungo le vie del passato.

Io mi rendo conto che si deve evitare di rompere laconcordia nazionale, ma guai se il rilievo sopra svoltofosse conseguenza di deliberazione cosciente! Preferi-sco, invece, ritenere che, nella fretta della costituzionedel governo, non sia emerso questo fondamentale profi-lo della situazione. Perché, in caso opposto, dovrei con-cludere che i partiti antitrasformisti si espongono al di-sastro per una sadica voluttà di suicidio, e che essi, per-ciò, non sono all'altezza. del compito storico loro asse-gnato.

Quando, per effetto della loro piena collaborazione, epiú per questa che per altro, apprezzabili risultati saran-

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no raggiunti nel campo della politica estera, e quando inostri valorosi «partigiani», che appartengono intera-mente ai partiti rivoluzionari, saranno stati smobilitati eriassorbiti nel paese, la reazione monarchica, che èall'agguato, tenterà di prospettare la nuova situazione,che ne risulterà, come un merito della conservazioneanzi della reazione nazionale.

Allora soltanto i partiti antitrasformisti si accorgeran-no dell'errore di aver collaborato senza condizioni, dinon avere imposto a tempo i necessari mutamenti di po-litica interna, e di non aver profittato dell'occasione fa-vorevole per distruggere gli avversari.

La politica, nelle sue grandi linee, segue la logica del-le occasioni sfruttate o perdute, e queste ultime costitui-scono il passivo piú terribile per i partiti e i loro dirigen-ti.

È inutile illudersi di poter fare domani quello che sideve fare oggi. Domani sarà troppo tardi. E mentre scri-vo tutta la questione meridionale sta attraversando unadi quelle grandi occasioni storiche che non si ripeteran-no mai piú.

Che cosa aspettano, dunque, i partiti antitrasformistiper impostare in seno al governo la grande questione na-zionale e pretendere quello sbloccamento dall'alto checompleti e accentui lo sbloccamento dal basso, già feli-cemente avviato? Oppure è fatale questa idiosincrasiadei partiti unitari a intendere le esigenze politiche delMezzogiorno?

Perciò i veri meridionalisti, che, in questa nuova alba

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no raggiunti nel campo della politica estera, e quando inostri valorosi «partigiani», che appartengono intera-mente ai partiti rivoluzionari, saranno stati smobilitati eriassorbiti nel paese, la reazione monarchica, che èall'agguato, tenterà di prospettare la nuova situazione,che ne risulterà, come un merito della conservazioneanzi della reazione nazionale.

Allora soltanto i partiti antitrasformisti si accorgeran-no dell'errore di aver collaborato senza condizioni, dinon avere imposto a tempo i necessari mutamenti di po-litica interna, e di non aver profittato dell'occasione fa-vorevole per distruggere gli avversari.

La politica, nelle sue grandi linee, segue la logica del-le occasioni sfruttate o perdute, e queste ultime costitui-scono il passivo piú terribile per i partiti e i loro dirigen-ti.

È inutile illudersi di poter fare domani quello che sideve fare oggi. Domani sarà troppo tardi. E mentre scri-vo tutta la questione meridionale sta attraversando unadi quelle grandi occasioni storiche che non si ripeteran-no mai piú.

Che cosa aspettano, dunque, i partiti antitrasformistiper impostare in seno al governo la grande questione na-zionale e pretendere quello sbloccamento dall'alto checompleti e accentui lo sbloccamento dal basso, già feli-cemente avviato? Oppure è fatale questa idiosincrasiadei partiti unitari a intendere le esigenze politiche delMezzogiorno?

Perciò i veri meridionalisti, che, in questa nuova alba

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della nostra libera vita politica, hanno aderito ai partitiunitari, debbono attentamente vigilare e non perdere ilcontrollo della situazione. Soprattutto debbono tenersipronti per «il secondo tempo» meridionalista, la cui ine-luttabilità si presenterà quando gli attuali gruppi unitari,nell'immancabile sforzo di divenire partiti di governo, siaccingeranno a tradire le speranze del Mezzogiorno.

Il nostro paese è contornato da troppi nemici ed espo-sto a infiniti pericoli: dalla rinascita del trasformismoalle deviazioni dei partiti unitari, corre tutta una gammadi situazioni intermedie attraverso le quali un nuovocompromesso antimeridionale può facilmente sboccare.Occorre, dunque, che i gruppi meridionalisti, esistentinei partiti unitari, si tengano in contatto per non restaresorpresi dagli avvenimenti. Forse la spinta alla costitu-zione del Partito meridionale d'azione verrà dall'esterno,ma gli animi vi debbono essere preparati. Consapevo-lezza storica e consapevolezza politica sono gli impera-tivi dell'ora e, se ogni sforzo sarà fatto per diffonderetale consapevolezza nelle masse, è probabile che il mi-racolo avverrà.

Avellino, 17 settembre 1944.

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della nostra libera vita politica, hanno aderito ai partitiunitari, debbono attentamente vigilare e non perdere ilcontrollo della situazione. Soprattutto debbono tenersipronti per «il secondo tempo» meridionalista, la cui ine-luttabilità si presenterà quando gli attuali gruppi unitari,nell'immancabile sforzo di divenire partiti di governo, siaccingeranno a tradire le speranze del Mezzogiorno.

Il nostro paese è contornato da troppi nemici ed espo-sto a infiniti pericoli: dalla rinascita del trasformismoalle deviazioni dei partiti unitari, corre tutta una gammadi situazioni intermedie attraverso le quali un nuovocompromesso antimeridionale può facilmente sboccare.Occorre, dunque, che i gruppi meridionalisti, esistentinei partiti unitari, si tengano in contatto per non restaresorpresi dagli avvenimenti. Forse la spinta alla costitu-zione del Partito meridionale d'azione verrà dall'esterno,ma gli animi vi debbono essere preparati. Consapevo-lezza storica e consapevolezza politica sono gli impera-tivi dell'ora e, se ogni sforzo sarà fatto per diffonderetale consapevolezza nelle masse, è probabile che il mi-racolo avverrà.

Avellino, 17 settembre 1944.

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Gli aspetti storici della politica unitariae la questione meridionale

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Gli aspetti storici della politica unitariae la questione meridionale

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Il Risorgimento e la conquista regia

Il fallimento ideale del Risorgimento.La storia del Risorgimento italiano è ancora da scri-

vere.Troppo ha gravato su questo genere di studi l'osse-

quio al fatto compiuto e l'insufficienza di generazioni,immiserite dal fallimento di ogni sforzo ideologico pergiustificare la realizzazione dell'unità nazionale.

Tuttavia alcuni scrittori, con quel caratteristico geniodegli italiani di intuire di slancio alcune idee centrali,hanno tentato la sintesi senza aver compiuto l'analisi,hanno cercato di penetrare il meccanismo interno dellaformazione unitaria senza aver fatto il processo a ognimomento di essa.

Taluno movendo dal fallimento delle ideologie fede-raliste repubblicane (Cattaneo, Ferrari) e da un romanti-cismo neoimperiale (Oriani) talaltro, invece, prendendo

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Il Risorgimento e la conquista regia

Il fallimento ideale del Risorgimento.La storia del Risorgimento italiano è ancora da scri-

vere.Troppo ha gravato su questo genere di studi l'osse-

quio al fatto compiuto e l'insufficienza di generazioni,immiserite dal fallimento di ogni sforzo ideologico pergiustificare la realizzazione dell'unità nazionale.

Tuttavia alcuni scrittori, con quel caratteristico geniodegli italiani di intuire di slancio alcune idee centrali,hanno tentato la sintesi senza aver compiuto l'analisi,hanno cercato di penetrare il meccanismo interno dellaformazione unitaria senza aver fatto il processo a ognimomento di essa.

Taluno movendo dal fallimento delle ideologie fede-raliste repubblicane (Cattaneo, Ferrari) e da un romanti-cismo neoimperiale (Oriani) talaltro, invece, prendendo

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le mosse dal liberalismo classico (Missiroli, Gobetti) edallo stesso processo di sviluppo del socialismo nazio-nale (Salvemini), talaltro, infine, risalendo alla mancan-za di una riforma religiosa (Missiroli, Gangale), hannotentato tutti di misurare le soluzioni storiche al lume diprincipi ideali per determinarne le incomparabili defi-cienze.

Ma anche tra essi vi è un residuo teorico comune cheè conosciuto nel mondo della dottrina con la frase com-prensiva di conquista regia.

La conquista regia.La caratteristica essenziale del nostro Risorgimento è

costituita dal dissolvimento di tutte le correnti ideali,che si disputarono la direttiva della rivoluzione, nel gri-gio incedere della conquista piemontese.

Lo Stato non si formò negli animi dei cittadini, perpoi affiorare, a mano a mano che la maturazione si com-pletava, ma si estese dal Piemonte alle altre regioni ita-liane, attraverso una serie di aggiramenti, di compro-messi, di accorgimenti, che appiattirono la conquistataindipendenza, e scoprirono l'assenza del concetto di li-bertà come principio rivoluzionario.

Il risultato di questo processo fu, dunque, uno Statopiemontese territorialmente piú vasto, ma, come ispira-zione ideale, egualmente angusto. Anzi la continua ne-cessità di transazione con i ceti dominanti degli ex Statine restrinse sempre piú l'ispirazione ideale.

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le mosse dal liberalismo classico (Missiroli, Gobetti) edallo stesso processo di sviluppo del socialismo nazio-nale (Salvemini), talaltro, infine, risalendo alla mancan-za di una riforma religiosa (Missiroli, Gangale), hannotentato tutti di misurare le soluzioni storiche al lume diprincipi ideali per determinarne le incomparabili defi-cienze.

Ma anche tra essi vi è un residuo teorico comune cheè conosciuto nel mondo della dottrina con la frase com-prensiva di conquista regia.

La conquista regia.La caratteristica essenziale del nostro Risorgimento è

costituita dal dissolvimento di tutte le correnti ideali,che si disputarono la direttiva della rivoluzione, nel gri-gio incedere della conquista piemontese.

Lo Stato non si formò negli animi dei cittadini, perpoi affiorare, a mano a mano che la maturazione si com-pletava, ma si estese dal Piemonte alle altre regioni ita-liane, attraverso una serie di aggiramenti, di compro-messi, di accorgimenti, che appiattirono la conquistataindipendenza, e scoprirono l'assenza del concetto di li-bertà come principio rivoluzionario.

Il risultato di questo processo fu, dunque, uno Statopiemontese territorialmente piú vasto, ma, come ispira-zione ideale, egualmente angusto. Anzi la continua ne-cessità di transazione con i ceti dominanti degli ex Statine restrinse sempre piú l'ispirazione ideale.

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Ne derivò una conquista grigia, fredda, uniforme,che, a mano a mano che progrediva, lasciò insoluti tutti idati ideali della rivoluzione: la libertà, le autonomie lo-cali e i rapporti fra lo Stato e la Chiesa, campo classicoove si saggiano le limitazioni della libertà.

Il meccanismo della conquista fu quello di evitare, dieludere le soluzioni ideali, per stendere su di esse il velodella transazione politica.

Cosí la monarchia dimostrava di temere la spinta del-la rivoluzione, per impedire che questa, trasportando glianimi in atmosfere piú fortemente ossigenate, rendesseinutile il suo grigio intervento.

Di qui, anche dopo l'unificazione, la necessità dellecontinue transazioni con la rivoluzione, ogni qualvoltaquesta tentava di rimettersi in marcia, transazioni finorariuscite per l'immaturità politica delle masse italiane eper la scarsa risonanza dei tentativi rivoluzionari.

La politica di Cavour.Cavour fu il grande ministro di questa politica, il rea-

lizzatore per eccellenza.Egli fu l'avversario piú deciso delle correnti rivolu-

zionarie espresse dal travagliato spirito nazionale. Fede-le ministro del suo re, egli pose quei dati storici dellaconquista regia che gli anni successivi piú ampiamentesvilupparono.

Cosí s'iniziò quel processo di eviramento della rivolu-zione mercé le transazioni personali con i capi, che co-

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Ne derivò una conquista grigia, fredda, uniforme,che, a mano a mano che progrediva, lasciò insoluti tutti idati ideali della rivoluzione: la libertà, le autonomie lo-cali e i rapporti fra lo Stato e la Chiesa, campo classicoove si saggiano le limitazioni della libertà.

Il meccanismo della conquista fu quello di evitare, dieludere le soluzioni ideali, per stendere su di esse il velodella transazione politica.

Cosí la monarchia dimostrava di temere la spinta del-la rivoluzione, per impedire che questa, trasportando glianimi in atmosfere piú fortemente ossigenate, rendesseinutile il suo grigio intervento.

Di qui, anche dopo l'unificazione, la necessità dellecontinue transazioni con la rivoluzione, ogni qualvoltaquesta tentava di rimettersi in marcia, transazioni finorariuscite per l'immaturità politica delle masse italiane eper la scarsa risonanza dei tentativi rivoluzionari.

La politica di Cavour.Cavour fu il grande ministro di questa politica, il rea-

lizzatore per eccellenza.Egli fu l'avversario piú deciso delle correnti rivolu-

zionarie espresse dal travagliato spirito nazionale. Fede-le ministro del suo re, egli pose quei dati storici dellaconquista regia che gli anni successivi piú ampiamentesvilupparono.

Cosí s'iniziò quel processo di eviramento della rivolu-zione mercé le transazioni personali con i capi, che co-

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stituí l'insegnamento piú duraturo del grande ministronella storia unitaria italiana. Servendosi delle peggioricaratteristiche della razza, quali la debolezza nella fedee l'amore eccessivo per il comando, Cavour tentò spe-gnere ogni intransigenza ideale, che avesse potuto matu-rare, per lo meno nelle élite, una piú accesa passione perla libertà, isolò gli uomini che si rifiutavano tenacemen-te di aderire al suo sistema, affogò, nello stretto circolodi conservazione della monarchia piemontese, l'incendioromantico del Risorgimento.

Gli storici regi lo giustificano rispondendo chel'immaturità delle masse e il compito demiurgico, cuiegli si accinse, non comportavano altre soluzioni. Maper noi è preterintenzionale ogni ricerca, che ecceda ifreddi dati obiettivi, senza dei quali ogni comprensionedegli ulteriori sviluppi è vietata.

Anzi, tanto piú ci sembra rilevante l'esame dei datiobiettivi, quando si possa provare esatta l'affermazionedegli storici regi, perché non è nostro compito, in questasede, fare il processo al genio politico del conte di Ca-vour, ma rilevare quelle caratteristiche essenziali dellasua azione che debbono servirci a comprendere – pure acosí lunga distanza di tempo – gli avvenimenti odierni.Perciò non ci sembra di dover dimenticare che Cavourinsegnò alla monarchia il metodo attraverso cui distrug-gere i fermenti rivoluzionari, che, riprendendo la mar-cia, interrotta nel 1860, avessero preteso, anche dopol'unificazione, alterare i dati storici della conquista pie-montese.

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stituí l'insegnamento piú duraturo del grande ministronella storia unitaria italiana. Servendosi delle peggioricaratteristiche della razza, quali la debolezza nella fedee l'amore eccessivo per il comando, Cavour tentò spe-gnere ogni intransigenza ideale, che avesse potuto matu-rare, per lo meno nelle élite, una piú accesa passione perla libertà, isolò gli uomini che si rifiutavano tenacemen-te di aderire al suo sistema, affogò, nello stretto circolodi conservazione della monarchia piemontese, l'incendioromantico del Risorgimento.

Gli storici regi lo giustificano rispondendo chel'immaturità delle masse e il compito demiurgico, cuiegli si accinse, non comportavano altre soluzioni. Maper noi è preterintenzionale ogni ricerca, che ecceda ifreddi dati obiettivi, senza dei quali ogni comprensionedegli ulteriori sviluppi è vietata.

Anzi, tanto piú ci sembra rilevante l'esame dei datiobiettivi, quando si possa provare esatta l'affermazionedegli storici regi, perché non è nostro compito, in questasede, fare il processo al genio politico del conte di Ca-vour, ma rilevare quelle caratteristiche essenziali dellasua azione che debbono servirci a comprendere – pure acosí lunga distanza di tempo – gli avvenimenti odierni.Perciò non ci sembra di dover dimenticare che Cavourinsegnò alla monarchia il metodo attraverso cui distrug-gere i fermenti rivoluzionari, che, riprendendo la mar-cia, interrotta nel 1860, avessero preteso, anche dopol'unificazione, alterare i dati storici della conquista pie-montese.

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La monarchia socialista.Questo metodo costituisce ormai il sistema di gover-

no dello Stato italiano e ogni fenomeno politico può es-sere ricondotto a esso o alle sue reazioni.

Di tanto in tanto alcuni ministri hanno preteso stac-carsene o la marea, montante nel paese, ha datol'impressione di sommergerlo; ma non è passato grantempo che, all'infuori delle passioni contingenti, esso ènuovamente emerso e si è avuta la prova che era stato,pur nel silenzio della storia, sicuramente operante.

Perché la verità è sempre la stessa: l'unica contrappo-sizione dialettica esistente è quella tra conquista regia erivoluzione, tra soluzione storica e necessità ideale. E larivoluzione, o che sia bandita in nome della classe, oche sia fatta in nome della nazione, o che sia desideratain nome della libertà, è sempre diretta a placare una del-le necessità ideali rimaste insolute nel processo formati-vo dello Stato italiano, e perciò implicitamente rivoltacontro la conquista regia.

Ma, attraverso queste antitesi, avviene un giuoco diinteresse eccezionale, perché è fenomeno comunissimonella nostra storia unitaria che forze di provenienza ri-voluzionaria siano adoperate in funzione della piú grettaconservazione, e forze, cosí dette conservatrici, lavorinoin senso sovvertitore.

Tutto ciò dipende da una parte dall'immaturità gene-rale del paese e dall'altra parte dal fatto che i politici ita-liani non si rendono esatto conto di tale antitesi e agi-

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La monarchia socialista.Questo metodo costituisce ormai il sistema di gover-

no dello Stato italiano e ogni fenomeno politico può es-sere ricondotto a esso o alle sue reazioni.

Di tanto in tanto alcuni ministri hanno preteso stac-carsene o la marea, montante nel paese, ha datol'impressione di sommergerlo; ma non è passato grantempo che, all'infuori delle passioni contingenti, esso ènuovamente emerso e si è avuta la prova che era stato,pur nel silenzio della storia, sicuramente operante.

Perché la verità è sempre la stessa: l'unica contrappo-sizione dialettica esistente è quella tra conquista regia erivoluzione, tra soluzione storica e necessità ideale. E larivoluzione, o che sia bandita in nome della classe, oche sia fatta in nome della nazione, o che sia desideratain nome della libertà, è sempre diretta a placare una del-le necessità ideali rimaste insolute nel processo formati-vo dello Stato italiano, e perciò implicitamente rivoltacontro la conquista regia.

Ma, attraverso queste antitesi, avviene un giuoco diinteresse eccezionale, perché è fenomeno comunissimonella nostra storia unitaria che forze di provenienza ri-voluzionaria siano adoperate in funzione della piú grettaconservazione, e forze, cosí dette conservatrici, lavorinoin senso sovvertitore.

Tutto ciò dipende da una parte dall'immaturità gene-rale del paese e dall'altra parte dal fatto che i politici ita-liani non si rendono esatto conto di tale antitesi e agi-

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scono come se fossero in grado di svolgere una politicaautonoma.

Il piú probante esempio di questa verità ci è fornitodalla storia del Partito socialista italiano, che lentamen-te, attraverso il giuoco dell'intervenzionismo statale, silasciò aggiogare al carro del giolittismo. Cosí forze diorigine schiettamente liberali, elaborate direttamente dalpaese, furono saldate al sistema imperante attraverso ilconnettivo economico, senza che esse stesse si rendesse-ro sufficientemente conto di questa verità. La critica sal-veminiana a questa peculiare posizione del socialismoitaliano non ebbe vaste risonanze in seno al partito evalse, tutt'al piú, a alimentare lo spirito di nuove éliteche al socialismo non appartennero mai. Per lungo tem-po Salvemini sembrò un estraneo a tutti i politici italia-ni, perché questi aderivano al sistema giolittiano, anchequando sembravano avversarlo.

E in effetti, quando le opposizioni non fondino la teo-ria e la prassi su impostazione radicalmente nuova, fini-scono per aderire implicitamente alle maggioranze e siautodefiniscono come opposizioni di comodo.

Se tale precisamente non fu la posizione del PSI, tut-tavia esso entrava cosí vivamente nel giuoco della ditta-tura giolittiana da giustificare la concezione missirolianadella monarchia socialista.

Eppure nessun movimento piú di quello socialistaavrebbe potuto infrangere il metodo tradizionale pertentare di costringere il regime al giuoco dei partiti mo-derni. Ma tale movimento, senza soluzioni critiche della

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scono come se fossero in grado di svolgere una politicaautonoma.

Il piú probante esempio di questa verità ci è fornitodalla storia del Partito socialista italiano, che lentamen-te, attraverso il giuoco dell'intervenzionismo statale, silasciò aggiogare al carro del giolittismo. Cosí forze diorigine schiettamente liberali, elaborate direttamente dalpaese, furono saldate al sistema imperante attraverso ilconnettivo economico, senza che esse stesse si rendesse-ro sufficientemente conto di questa verità. La critica sal-veminiana a questa peculiare posizione del socialismoitaliano non ebbe vaste risonanze in seno al partito evalse, tutt'al piú, a alimentare lo spirito di nuove éliteche al socialismo non appartennero mai. Per lungo tem-po Salvemini sembrò un estraneo a tutti i politici italia-ni, perché questi aderivano al sistema giolittiano, anchequando sembravano avversarlo.

E in effetti, quando le opposizioni non fondino la teo-ria e la prassi su impostazione radicalmente nuova, fini-scono per aderire implicitamente alle maggioranze e siautodefiniscono come opposizioni di comodo.

Se tale precisamente non fu la posizione del PSI, tut-tavia esso entrava cosí vivamente nel giuoco della ditta-tura giolittiana da giustificare la concezione missirolianadella monarchia socialista.

Eppure nessun movimento piú di quello socialistaavrebbe potuto infrangere il metodo tradizionale pertentare di costringere il regime al giuoco dei partiti mo-derni. Ma tale movimento, senza soluzioni critiche della

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questione italiana (che invece Salvemini cominciava aelaborare come materia antisocialista) dominato da spi-rito insurrezionista, per quanto costituito di accortezzeriformiste, era esso stesso un esempio vivente della in-sufficienza italiana alla creazione del partito moderno.

La sua azione contro il regime, dunque, non potevaarrivare al cuore, ma doveva necessariamente limitarsiall'epidermide.

Il sistema delle dittature personali.Queste considerazioni spiegano a sufficienza perché

il nostro paese non poté altrimenti essere governato cheattraverso le dittature personali. Dopo aver limitato ilgiuoco dei partiti, anzi dopo aver intuito che esso è po-tenzialmente diretto a rompere il circolo tradizionaledella conquista regia, lo Stato italiano dovette, volta pervolta, fondare la sua speranza di conservazione sull'abi-lità personale dei primi ministri e sulla capacità di ade-sione, piú o meno estesa, che essi manifestavano al si-stema tradizionale.

Cosí i governi italiani furono un quid medium tra ilcancellierato germanico e i gabinetti parlamentari, es-sendo la sovranità rappresentativa riconosciuta soloquando non eccedeva i dati storici della conquista regia,anzi meglio quando si prestava compiacentemente a na-sconderli dietro la parvenza di un giuoco politico auto-nomo. Da ciò, conseguentemente, nacque lo scarso os-sequio per il parlamento, anzi il tentativo di paralizzarne

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questione italiana (che invece Salvemini cominciava aelaborare come materia antisocialista) dominato da spi-rito insurrezionista, per quanto costituito di accortezzeriformiste, era esso stesso un esempio vivente della in-sufficienza italiana alla creazione del partito moderno.

La sua azione contro il regime, dunque, non potevaarrivare al cuore, ma doveva necessariamente limitarsiall'epidermide.

Il sistema delle dittature personali.Queste considerazioni spiegano a sufficienza perché

il nostro paese non poté altrimenti essere governato cheattraverso le dittature personali. Dopo aver limitato ilgiuoco dei partiti, anzi dopo aver intuito che esso è po-tenzialmente diretto a rompere il circolo tradizionaledella conquista regia, lo Stato italiano dovette, volta pervolta, fondare la sua speranza di conservazione sull'abi-lità personale dei primi ministri e sulla capacità di ade-sione, piú o meno estesa, che essi manifestavano al si-stema tradizionale.

Cosí i governi italiani furono un quid medium tra ilcancellierato germanico e i gabinetti parlamentari, es-sendo la sovranità rappresentativa riconosciuta soloquando non eccedeva i dati storici della conquista regia,anzi meglio quando si prestava compiacentemente a na-sconderli dietro la parvenza di un giuoco politico auto-nomo. Da ciò, conseguentemente, nacque lo scarso os-sequio per il parlamento, anzi il tentativo di paralizzarne

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le funzioni ogni qualvolta ostacolavano le transazionidel regime; il prepotere della stampa, avvelenatrice dellapubblica opinione, sovvenzionata da scarsi gruppi finan-ziari per la difesa d'interessi particolari; la durezza dellarepressione dei moti popolari, solo che fossero animatida un anelito di libertà, e l'abuso della piazza quando sitrattava, invece, di vincere resistenze legalmente mani-festate. Ne risultava, quindi, un sistema politico, chenon aveva un vero e proprio centro di stabilità, che assu-meva diverse fisionomie, secondo le vicende della lotta,che doveva vivere continuamente di espedienti, semprepiú necessari e sempre piú numerosi a mano a mano cheil paese progrediva verso forme piú alte di maturazionecivile. Un sistema che ha sempre richiamato e ancora ri-chiamerà l'attenzione degli studiosi per i suoi continuimutamenti.

E, infatti, se nell'ordinato svolgimento della lotta poli-tica presso le nazioni che hanno raggiunta la piena ma-turità del regime liberale, può taluno trovare motivo diconforto spirituale, nessuno si meraviglierà se io affer-mo che dal punto di vista critico i regimi preliberali,come l'Italia, offrono tale varietà di combinazioni da riu-scire di gran lunga piú interessanti della fredda meccani-cità dei primi.

Ma, quando il critico ha scoperto il filo conduttore elo ha denudato agli occhi del lettore, non potrà non ap-parire a quale specie di espedienti il regime è costretto aricorrere sotto la spinta del suo istinto di conservazione,quale grado di immaturità svelino invece i partiti di op-

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le funzioni ogni qualvolta ostacolavano le transazionidel regime; il prepotere della stampa, avvelenatrice dellapubblica opinione, sovvenzionata da scarsi gruppi finan-ziari per la difesa d'interessi particolari; la durezza dellarepressione dei moti popolari, solo che fossero animatida un anelito di libertà, e l'abuso della piazza quando sitrattava, invece, di vincere resistenze legalmente mani-festate. Ne risultava, quindi, un sistema politico, chenon aveva un vero e proprio centro di stabilità, che assu-meva diverse fisionomie, secondo le vicende della lotta,che doveva vivere continuamente di espedienti, semprepiú necessari e sempre piú numerosi a mano a mano cheil paese progrediva verso forme piú alte di maturazionecivile. Un sistema che ha sempre richiamato e ancora ri-chiamerà l'attenzione degli studiosi per i suoi continuimutamenti.

E, infatti, se nell'ordinato svolgimento della lotta poli-tica presso le nazioni che hanno raggiunta la piena ma-turità del regime liberale, può taluno trovare motivo diconforto spirituale, nessuno si meraviglierà se io affer-mo che dal punto di vista critico i regimi preliberali,come l'Italia, offrono tale varietà di combinazioni da riu-scire di gran lunga piú interessanti della fredda meccani-cità dei primi.

Ma, quando il critico ha scoperto il filo conduttore elo ha denudato agli occhi del lettore, non potrà non ap-parire a quale specie di espedienti il regime è costretto aricorrere sotto la spinta del suo istinto di conservazione,quale grado di immaturità svelino invece i partiti di op-

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posizione.

La nuova conquista regia attraverso le masse.In verità è questa la constatazione ultima cui ogni

esame della lotta politica in Italia deve condurre: consta-tazione che sola può, quando sia generalizzata, suggeri-re il rimedio opportuno.

La conquista regia fu possibile tra il '48 ed il '70 per-ché la rivoluzione italiana fu opera di minoranze controo in assenza delle maggioranze.

L'assorbimento delle opposizioni, quindi, non dovevaessere molto difficile, sia perché erano ristretti gli inte-ressi in giuoco, sia perché le opposizioni stesse non era-no eccessivamente incoraggiate sul terreno dell'intransi-genza ideale dall'assenza delle masse.

Però, a mano a mano che queste vengono immessenella vita pubblica dall'azione elevatrice del progressoeconomico e culturale, se crescono le possibilità delgiuoco transattivo, nella prima fase dell'apporto, perl'immaturità dei nuovi venuti, che vengono utilizzati dalregime in un'opera di contrapposizione ai ceti già matu-rati, a lungo andare non dovranno tardare ad apparire lebenefiche conseguenze di questo fatto liberale.

È necessario, però, non perdere mai di vista i concettiche abbiamo tratteggiato per non commettere il facileerrore di esaltare movimenti, che, in prosieguo di tem-po, si è costretti a sconfessare! Molti italiani, in perfettabuona fede, hanno avuto continue crisi di coscienza, ap-

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posizione.

La nuova conquista regia attraverso le masse.In verità è questa la constatazione ultima cui ogni

esame della lotta politica in Italia deve condurre: consta-tazione che sola può, quando sia generalizzata, suggeri-re il rimedio opportuno.

La conquista regia fu possibile tra il '48 ed il '70 per-ché la rivoluzione italiana fu opera di minoranze controo in assenza delle maggioranze.

L'assorbimento delle opposizioni, quindi, non dovevaessere molto difficile, sia perché erano ristretti gli inte-ressi in giuoco, sia perché le opposizioni stesse non era-no eccessivamente incoraggiate sul terreno dell'intransi-genza ideale dall'assenza delle masse.

Però, a mano a mano che queste vengono immessenella vita pubblica dall'azione elevatrice del progressoeconomico e culturale, se crescono le possibilità delgiuoco transattivo, nella prima fase dell'apporto, perl'immaturità dei nuovi venuti, che vengono utilizzati dalregime in un'opera di contrapposizione ai ceti già matu-rati, a lungo andare non dovranno tardare ad apparire lebenefiche conseguenze di questo fatto liberale.

È necessario, però, non perdere mai di vista i concettiche abbiamo tratteggiato per non commettere il facileerrore di esaltare movimenti, che, in prosieguo di tem-po, si è costretti a sconfessare! Molti italiani, in perfettabuona fede, hanno avuto continue crisi di coscienza, ap-

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punto per questa ragione.Occorre convincersi che la conquista regia continua

ancora imperturbabile, riproducendo i suoi schemi e lesue soluzioni, e che, quando taluni strati della popola-zione italiana hanno dimostrato di essere pervenuti a uncerto grado di maturità e, perciò, si avviano a reagire aisistemi di dittatura personale, vi sono sempre vaste ri-serve su cui fare leva per ripetere il giuoco tradizionale.Se si vuole, quindi, uscire una volta per sempre da que-sto mortificante sistema politico occorre conoscerne afondo la natura per determinare i punti di leva per l'azio-ne politica.

Questo libro si propone di schematizzare l'applicazio-ne del giuoco in quest'ultimo turbinoso periodo dellastoria italiana, di mostrare, attraverso la natura delle op-posizioni, come esso tenda a riprodursi, e infine di chia-rire quando e con quali mezzi la rivoluzione italiana, av-viandosi a risoluzione, potrà uscire dal cerchio ristrettodella conquista regia, per entrare nel piú vasto respirodella rivolta ideale.

Forse la preparazione storica dell'autore e il suo sensocritico non sono adeguati a un compito cosí vasto, maegli si lusinga piú di approntare materiale di osservazio-ne per gli altri che conclusioni definitive per sé.

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punto per questa ragione.Occorre convincersi che la conquista regia continua

ancora imperturbabile, riproducendo i suoi schemi e lesue soluzioni, e che, quando taluni strati della popola-zione italiana hanno dimostrato di essere pervenuti a uncerto grado di maturità e, perciò, si avviano a reagire aisistemi di dittatura personale, vi sono sempre vaste ri-serve su cui fare leva per ripetere il giuoco tradizionale.Se si vuole, quindi, uscire una volta per sempre da que-sto mortificante sistema politico occorre conoscerne afondo la natura per determinare i punti di leva per l'azio-ne politica.

Questo libro si propone di schematizzare l'applicazio-ne del giuoco in quest'ultimo turbinoso periodo dellastoria italiana, di mostrare, attraverso la natura delle op-posizioni, come esso tenda a riprodursi, e infine di chia-rire quando e con quali mezzi la rivoluzione italiana, av-viandosi a risoluzione, potrà uscire dal cerchio ristrettodella conquista regia, per entrare nel piú vasto respirodella rivolta ideale.

Forse la preparazione storica dell'autore e il suo sensocritico non sono adeguati a un compito cosí vasto, maegli si lusinga piú di approntare materiale di osservazio-ne per gli altri che conclusioni definitive per sé.

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Conservazione e rivoluzione anteguerra

Il giolittismo nell'anteguerra.All'inizio della grande crisi europea, provocata dagli

ultimatum austro-tedeschi, le condizioni politiche italia-ne si trovavano consolidate nel giolittismo, che domina-va il paese, adottando volta per volta le soluzioni mini-me che gli elaborava il riformismo socialista.

Attraverso la politica dell'abile uomo di Stato pie-montese la monarchia si era fortemente consolidata esperava di riposare, per qualche lustro ancora, nella dol-ce quiete dell'equilibrio europeo all'estero e del sociali-smo di Stato all'interno, mentre i partiti di opposizioneavevano abbandonato da lungo tempo ogni critica al re-gime. Fu per ciò che allo scoppio della guerra tutti gliitaliani ebbero l'impressione di essere lanciati improvvi-samente nel vuoto.

Si apriva, infatti, una di quelle epoche in cui, doven-

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Conservazione e rivoluzione anteguerra

Il giolittismo nell'anteguerra.All'inizio della grande crisi europea, provocata dagli

ultimatum austro-tedeschi, le condizioni politiche italia-ne si trovavano consolidate nel giolittismo, che domina-va il paese, adottando volta per volta le soluzioni mini-me che gli elaborava il riformismo socialista.

Attraverso la politica dell'abile uomo di Stato pie-montese la monarchia si era fortemente consolidata esperava di riposare, per qualche lustro ancora, nella dol-ce quiete dell'equilibrio europeo all'estero e del sociali-smo di Stato all'interno, mentre i partiti di opposizioneavevano abbandonato da lungo tempo ogni critica al re-gime. Fu per ciò che allo scoppio della guerra tutti gliitaliani ebbero l'impressione di essere lanciati improvvi-samente nel vuoto.

Si apriva, infatti, una di quelle epoche in cui, doven-

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dosi richiedere a tutte le classi sociali il massimo sforzo,vengono alla luce le deficienze dei regimi e si rimette indiscussione lo stesso processo di costituzione dello Sta-to. Il senso di disorientamento che colse il paese trovò,perciò, giusta espressione nella dichiarazione di neutra-lità, che, suggerita da ragioni di politica estera, riuscivadi grande utilità anche allo sviluppo della politica inter-na. Ma, se la dichiarazione di neutralità valse a procura-re un po' di respiro alle classi dirigenti, non attenuò losviluppo di quei fenomeni politici, che dai gravissimiavvenimenti, iniziatisi in Europa, derivavano come logi-ca conseguenza.

Particolarmente grave era per la monarchia la decisio-ne dell'atteggiamento da assumere nei riguardi dellaguerra in atto, perché, se essa si decideva per la neutrali-tà, doveva temere che le correnti rivoluzionarie ripetes-sero il giuoco del Risorgimento di prospettare la monar-chia come poco sensibile alle grandi questioni nazionalie preoccupata soltanto delle fortune dinastiche, e se, in-vece, essa si decideva per l'intervento, assumeva unaterribile responsabilità rispetto alla maggioranza delpaese semiassente e effettivamente rischiava la corona.

Ma queste stesse ragioni che facevano perplessa lamonarchia, suggestionavano le scarse forze operanti delpaese che naturalmente cercavano assumere il piú logi-co e deciso degli atteggiamenti, sia nei riguardi del regi-me propriamente detto, sia nei riguardi del giolittismo,che alcuni politici credevano distinto e indipendente dalprimo. Ne derivò, quindi, una complessa varietà di at-

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dosi richiedere a tutte le classi sociali il massimo sforzo,vengono alla luce le deficienze dei regimi e si rimette indiscussione lo stesso processo di costituzione dello Sta-to. Il senso di disorientamento che colse il paese trovò,perciò, giusta espressione nella dichiarazione di neutra-lità, che, suggerita da ragioni di politica estera, riuscivadi grande utilità anche allo sviluppo della politica inter-na. Ma, se la dichiarazione di neutralità valse a procura-re un po' di respiro alle classi dirigenti, non attenuò losviluppo di quei fenomeni politici, che dai gravissimiavvenimenti, iniziatisi in Europa, derivavano come logi-ca conseguenza.

Particolarmente grave era per la monarchia la decisio-ne dell'atteggiamento da assumere nei riguardi dellaguerra in atto, perché, se essa si decideva per la neutrali-tà, doveva temere che le correnti rivoluzionarie ripetes-sero il giuoco del Risorgimento di prospettare la monar-chia come poco sensibile alle grandi questioni nazionalie preoccupata soltanto delle fortune dinastiche, e se, in-vece, essa si decideva per l'intervento, assumeva unaterribile responsabilità rispetto alla maggioranza delpaese semiassente e effettivamente rischiava la corona.

Ma queste stesse ragioni che facevano perplessa lamonarchia, suggestionavano le scarse forze operanti delpaese che naturalmente cercavano assumere il piú logi-co e deciso degli atteggiamenti, sia nei riguardi del regi-me propriamente detto, sia nei riguardi del giolittismo,che alcuni politici credevano distinto e indipendente dalprimo. Ne derivò, quindi, una complessa varietà di at-

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teggiamenti che tradusse in forma veramente plastica lesperanze e le delusioni del paese, il suo bisogno di ele-vazione politica e il timore di perdere la conquistataprosperità economica.

Le forze antigiolittiane e la scissione socialista.Cominciando, quindi, tale disamina, diremo che le

forze antigiolittiane nel periodo prebellico si condensa-vano principalmente in due nuclei che, sotto un punto divista superficiale, sembravano opposti ma, nella loro in-tima sostanza, erano simili, tanto vero che, in un succes-sivo sviluppo di tempo, non tardarono a trovare il terre-no comune per l'azione: il gruppo del socialismo antiri-formista o rivoluzionario, capitanato, piú che da altri, daMussolini, e i gruppi di opposizione costituzionale e na-zionalista, facenti capo da una parte ad Antonio Salan-dra e Sidney Sonnino e, dall'altra, a Enrico Corradini.Comune finalità politica era la distruzione della dittaturaparlamentare giolittiana; comune metodo di lotta conse-guentemente la tattica antiparlamentare, sebbene gli unisi mostrassero pronti a trasportare le folle attraversoazioni extralegali e gli altri mirassero a creare, fin d'allo-ra, il mito del paese contrario al parlamento per giustifi-care i metodi di illegalismo messi in opera dai primi: di-vergenti invece erano le finalità piú remote assegnateall'azione, perché, mentre gli uni favoleggiavano di ri-voluzione sociale, gli altri affermavano di voler agire sulterreno della conservazione.

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teggiamenti che tradusse in forma veramente plastica lesperanze e le delusioni del paese, il suo bisogno di ele-vazione politica e il timore di perdere la conquistataprosperità economica.

Le forze antigiolittiane e la scissione socialista.Cominciando, quindi, tale disamina, diremo che le

forze antigiolittiane nel periodo prebellico si condensa-vano principalmente in due nuclei che, sotto un punto divista superficiale, sembravano opposti ma, nella loro in-tima sostanza, erano simili, tanto vero che, in un succes-sivo sviluppo di tempo, non tardarono a trovare il terre-no comune per l'azione: il gruppo del socialismo antiri-formista o rivoluzionario, capitanato, piú che da altri, daMussolini, e i gruppi di opposizione costituzionale e na-zionalista, facenti capo da una parte ad Antonio Salan-dra e Sidney Sonnino e, dall'altra, a Enrico Corradini.Comune finalità politica era la distruzione della dittaturaparlamentare giolittiana; comune metodo di lotta conse-guentemente la tattica antiparlamentare, sebbene gli unisi mostrassero pronti a trasportare le folle attraversoazioni extralegali e gli altri mirassero a creare, fin d'allo-ra, il mito del paese contrario al parlamento per giustifi-care i metodi di illegalismo messi in opera dai primi: di-vergenti invece erano le finalità piú remote assegnateall'azione, perché, mentre gli uni favoleggiavano di ri-voluzione sociale, gli altri affermavano di voler agire sulterreno della conservazione.

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Siccome, però, era impossibile raggiungere i rispettiviprogrammi massimi, ne risultava comune il compito sto-rico immediato.

Quando scoppiò la guerra europea e si cominciò a di-scutere, di fronte alle gravi ripercussioni internazionaliche essa provocava e alla possibilità di soluzione delproblema irredentista italiano, della necessità di un no-stro intervento nel conflitto europeo, le divergenze di fi-nalità e di metodo non potevano non riprodursi, sia per-ché ogni gruppo possedeva una dogmatica politica pro-pria, sia perché la guerra, presentandosi come fattoremondiale, rimetteva in discussione tutto il processo for-mativo dello Stato unitario italiano.

Fu, perciò, che il Partito socialista, che fin allora ave-va offerta una formale compattezza di indirizzo, rivelòla sua doppia anima e si scisse in due correnti, che nontardarono a assumere atteggiamenti antitetici.

Contribuí indubbiamente a tale scissione, oltre che ladiversa valutazione del fatto mondiale della guerra edell'atteggiamento dogmatico che nei confronti di essodoveva tenere il proletariato, secondo i sacri canonidell'antimilitarismo allora di moda, anche la diversa po-sizione che da vario tempo avevano assunto nei riguardidella politica giolittiana le due ali in cui allora il sociali-smo italiano si divideva, per cui mentre la frazione rivo-luzionaria era portata dal suo stesso istinto a tentare, at-traverso l'alea della guerra, la carta sovvertitrice, i rifor-misti della Confederazione generale del lavoro e gli or-todossi del verbo antimilitarista vedevano nel fenomeno

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Siccome, però, era impossibile raggiungere i rispettiviprogrammi massimi, ne risultava comune il compito sto-rico immediato.

Quando scoppiò la guerra europea e si cominciò a di-scutere, di fronte alle gravi ripercussioni internazionaliche essa provocava e alla possibilità di soluzione delproblema irredentista italiano, della necessità di un no-stro intervento nel conflitto europeo, le divergenze di fi-nalità e di metodo non potevano non riprodursi, sia per-ché ogni gruppo possedeva una dogmatica politica pro-pria, sia perché la guerra, presentandosi come fattoremondiale, rimetteva in discussione tutto il processo for-mativo dello Stato unitario italiano.

Fu, perciò, che il Partito socialista, che fin allora ave-va offerta una formale compattezza di indirizzo, rivelòla sua doppia anima e si scisse in due correnti, che nontardarono a assumere atteggiamenti antitetici.

Contribuí indubbiamente a tale scissione, oltre che ladiversa valutazione del fatto mondiale della guerra edell'atteggiamento dogmatico che nei confronti di essodoveva tenere il proletariato, secondo i sacri canonidell'antimilitarismo allora di moda, anche la diversa po-sizione che da vario tempo avevano assunto nei riguardidella politica giolittiana le due ali in cui allora il sociali-smo italiano si divideva, per cui mentre la frazione rivo-luzionaria era portata dal suo stesso istinto a tentare, at-traverso l'alea della guerra, la carta sovvertitrice, i rifor-misti della Confederazione generale del lavoro e gli or-todossi del verbo antimilitarista vedevano nel fenomeno

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bellico un serio pericolo per i miglioramenti economiciconquistati e per la posizione di pseudointellettualismoassunta dalle oligarchie da loro rappresentate. Cosicchémentre i primi, aderendo a una logica puramente forma-le e per niente permeata dalla realtà di formazione e divita del movimento operaio italiano, si proponevano discalzare il regime attraverso e oltre la dittatura giolittia-na, i secondi, convinti della realtà di formazione e divita di tale movimento, temendo che la distruzione delladittatura giolittiana potesse rendere possibili ritorni pa-dronali a carattere specificatamente reazionario, si attac-cavano disperatamente al dogma antimilitarista, fiducio-si di far opera di conservazione entro uno schema verba-le di sovversivismo.

Antigiolittismo borghese.Parimenti i partiti borghesi venivano frazionati dalla

lotta tra il giolittismo e l'opposizione costituzionale nonsoltanto perché, nei confronti della guerra, diversa pote-va essere la posizione da assumere, ma anche perché,pure per la borghesia, ogni eventuale soluzione si pro-spettava in funzione di politica interna.

Infatti, era naturale che la Destra cosí detta liberale el'associazione nazionalista, da poco sorta, si rifiutasserodi seguire il giolittismo imperante nella sua soluzioneconservatrice e fossero tentati, dopo aver innestata laloro azione sullo schema dell'irredentismo di sinistra,anche allo scopo di incontrare il giuoco monarchico nel

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bellico un serio pericolo per i miglioramenti economiciconquistati e per la posizione di pseudointellettualismoassunta dalle oligarchie da loro rappresentate. Cosicchémentre i primi, aderendo a una logica puramente forma-le e per niente permeata dalla realtà di formazione e divita del movimento operaio italiano, si proponevano discalzare il regime attraverso e oltre la dittatura giolittia-na, i secondi, convinti della realtà di formazione e divita di tale movimento, temendo che la distruzione delladittatura giolittiana potesse rendere possibili ritorni pa-dronali a carattere specificatamente reazionario, si attac-cavano disperatamente al dogma antimilitarista, fiducio-si di far opera di conservazione entro uno schema verba-le di sovversivismo.

Antigiolittismo borghese.Parimenti i partiti borghesi venivano frazionati dalla

lotta tra il giolittismo e l'opposizione costituzionale nonsoltanto perché, nei confronti della guerra, diversa pote-va essere la posizione da assumere, ma anche perché,pure per la borghesia, ogni eventuale soluzione si pro-spettava in funzione di politica interna.

Infatti, era naturale che la Destra cosí detta liberale el'associazione nazionalista, da poco sorta, si rifiutasserodi seguire il giolittismo imperante nella sua soluzioneconservatrice e fossero tentati, dopo aver innestata laloro azione sullo schema dell'irredentismo di sinistra,anche allo scopo di incontrare il giuoco monarchico nel

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suo secondo tempo di sviluppo, di distruggere le posi-zioni giolittiane e concorrere a accendere ipoteca nelgiuoco sovvertitore.

La natura di questo lavoro e la brevità dello spazio cipermettono soltanto di accennare, ma a chi attentamenteesamini la posizione ideologica dell'interventismo na-zionalista nel 1915 non potrà sfuggire questo mutuo diidee, già avvenuto nel decennio precedente, tra la Sini-stra irredentista e antidinastica e la Destra conservatrice.L'irredentismo, durante trent'anni, era stato un motivosovversivo, un motivo critico contro la monarchia, iltentativo, cioè, di dimostrare l'impotenza monarchica arisolvere tutto il problema nazionale. Ebbene, nel 1915noi troviamo il bagaglio ideologico dell'irredentismo didestra a servizio dei gruppi che, in politica interna, era-no agli antipodi degli inventori della critica irredentisti-ca, adoperato a frantumare e distruggere quello stessosistema di governo che la realtà italiana aveva fatto con-seguire a placare e realizzare le idee politiche dei nazio-nalisti di sinistra.

Interventismo rivoluzionario.E perciò nell'imminenza della guerra, secondo uno

schema grossolano, che tuttavia presenta notevoli limitidi approssimazione, le forze politiche italiane si divide-vano in quattro grandi gruppi, che giuocavano abbinan-dosi a vicenda sui due terreni della rivoluzione o dellaconservazione sociale attraverso il mantenimento o la

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suo secondo tempo di sviluppo, di distruggere le posi-zioni giolittiane e concorrere a accendere ipoteca nelgiuoco sovvertitore.

La natura di questo lavoro e la brevità dello spazio cipermettono soltanto di accennare, ma a chi attentamenteesamini la posizione ideologica dell'interventismo na-zionalista nel 1915 non potrà sfuggire questo mutuo diidee, già avvenuto nel decennio precedente, tra la Sini-stra irredentista e antidinastica e la Destra conservatrice.L'irredentismo, durante trent'anni, era stato un motivosovversivo, un motivo critico contro la monarchia, iltentativo, cioè, di dimostrare l'impotenza monarchica arisolvere tutto il problema nazionale. Ebbene, nel 1915noi troviamo il bagaglio ideologico dell'irredentismo didestra a servizio dei gruppi che, in politica interna, era-no agli antipodi degli inventori della critica irredentisti-ca, adoperato a frantumare e distruggere quello stessosistema di governo che la realtà italiana aveva fatto con-seguire a placare e realizzare le idee politiche dei nazio-nalisti di sinistra.

Interventismo rivoluzionario.E perciò nell'imminenza della guerra, secondo uno

schema grossolano, che tuttavia presenta notevoli limitidi approssimazione, le forze politiche italiane si divide-vano in quattro grandi gruppi, che giuocavano abbinan-dosi a vicenda sui due terreni della rivoluzione o dellaconservazione sociale attraverso il mantenimento o la

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distruzione della dittatura giolittiana.Tali gruppi erano: a) interventismo rivoluzionario; b)

interventismo nazionalista-conservatore o monarchico;c) neutralismo giolittiano-conservatore; d) neutralismorivoluzionario o, per meglio dire, socialista.

L'interventismo rivoluzionario, risultante dal conglo-merato di alcune frazioni di sinistra del Partito sociali-sta, e dalla quasi totalità del Partito repubblicano, intui-va, per quanto grossolanamente e senza sufficiente chia-rezza teorica, che la guerra avrebbe richiesto uno sforzocollettivo cosí imponente da obbligare la dittatura giolit-tiana a logorarsi rapidamente; avrebbe determinato,cioè, una necessità di apporto di nuove forze, che, nonpotendo trovare sistemazione nei vecchi schemi politici,avrebbero potuto permettere non soltanto il sovverti-mento della dittatura parlamentare giolittiana, ma altresíil sovvertimento dello stesso regime.

Questo, secondo l'interventismo rivoluzionario, risul-tava dal continuo assorbimento che il potere regio avevaoperato di quasi tutte le scarse forze affiorate, durante ilperiodo giolittiano, alla vita pubblica italiana, forze cheattraverso la transigenza, avevano perduto ogni autono-mia, se pure avevano acquistato potere. Sicché, identifi-candosi il regime col giolittismo, sarebbe stato assai fa-cile distruggere il primo dopo che al secondo si fosseromozzate le ali.

Quanto fosse esatto questo calcolo e quanto fossecontemporaneamente illusorio risulterà piú chiaramentein seguito dallo stesso svolgersi dei fatti, che, confer-

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distruzione della dittatura giolittiana.Tali gruppi erano: a) interventismo rivoluzionario; b)

interventismo nazionalista-conservatore o monarchico;c) neutralismo giolittiano-conservatore; d) neutralismorivoluzionario o, per meglio dire, socialista.

L'interventismo rivoluzionario, risultante dal conglo-merato di alcune frazioni di sinistra del Partito sociali-sta, e dalla quasi totalità del Partito repubblicano, intui-va, per quanto grossolanamente e senza sufficiente chia-rezza teorica, che la guerra avrebbe richiesto uno sforzocollettivo cosí imponente da obbligare la dittatura giolit-tiana a logorarsi rapidamente; avrebbe determinato,cioè, una necessità di apporto di nuove forze, che, nonpotendo trovare sistemazione nei vecchi schemi politici,avrebbero potuto permettere non soltanto il sovverti-mento della dittatura parlamentare giolittiana, ma altresíil sovvertimento dello stesso regime.

Questo, secondo l'interventismo rivoluzionario, risul-tava dal continuo assorbimento che il potere regio avevaoperato di quasi tutte le scarse forze affiorate, durante ilperiodo giolittiano, alla vita pubblica italiana, forze cheattraverso la transigenza, avevano perduto ogni autono-mia, se pure avevano acquistato potere. Sicché, identifi-candosi il regime col giolittismo, sarebbe stato assai fa-cile distruggere il primo dopo che al secondo si fosseromozzate le ali.

Quanto fosse esatto questo calcolo e quanto fossecontemporaneamente illusorio risulterà piú chiaramentein seguito dallo stesso svolgersi dei fatti, che, confer-

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mando talune premesse iniziali e smentendone altre, haimposto alla storia un diverso cammino.

Certo è, però, che l'interventismo di sinistra, mentreignorò quasi del tutto la tradizione italiana in virtú dellaquale le guerre del Risorgimento furono sempre banditedall'opposizione rivoluzionaria e eseguite e sfruttate dalpotere regio, sicché mai la prima poté giovarsene controil secondo, anzi fu sempre costretta dopo a transigere,non tenne calcolo che nel giuoco di sfruttamento deglieffetti della guerra avrebbe avuto altresí concorrentesleale e terribile il socialismo neutralista, verso cuil'indiscutibile immaturità politica italiana avrebbe fattoprecipitare le masse in uno sforzo conservatore.

Interventismo regio.Puntava contro la dittatura giolittiana anche l'inter-

ventismo nazionalista-conservatore o monarchico, risul-tante dal conglomerato delle forze cosí dette liberali didestra e dai nazionalisti, che si riportavano alla tradizio-ne piemontese dinastica, per cui l'iniziativa dell'unifica-zione italiana doveva essere riservata alla casa regnanteper impedire che il fattore nazionalista potesse esseresfruttato dai partiti rivoluzionari.

Contemporaneamente, accentrando, per le proprie fi-nalità, il concetto della rivoluzionarietà della guerra,l'interventismo conservatore credeva di poter rivolgerele nuove forze, la cui maturazione sarebbe stata accen-tuata dal fatto bellico, contro la fortuna parlamentare di

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mando talune premesse iniziali e smentendone altre, haimposto alla storia un diverso cammino.

Certo è, però, che l'interventismo di sinistra, mentreignorò quasi del tutto la tradizione italiana in virtú dellaquale le guerre del Risorgimento furono sempre banditedall'opposizione rivoluzionaria e eseguite e sfruttate dalpotere regio, sicché mai la prima poté giovarsene controil secondo, anzi fu sempre costretta dopo a transigere,non tenne calcolo che nel giuoco di sfruttamento deglieffetti della guerra avrebbe avuto altresí concorrentesleale e terribile il socialismo neutralista, verso cuil'indiscutibile immaturità politica italiana avrebbe fattoprecipitare le masse in uno sforzo conservatore.

Interventismo regio.Puntava contro la dittatura giolittiana anche l'inter-

ventismo nazionalista-conservatore o monarchico, risul-tante dal conglomerato delle forze cosí dette liberali didestra e dai nazionalisti, che si riportavano alla tradizio-ne piemontese dinastica, per cui l'iniziativa dell'unifica-zione italiana doveva essere riservata alla casa regnanteper impedire che il fattore nazionalista potesse esseresfruttato dai partiti rivoluzionari.

Contemporaneamente, accentrando, per le proprie fi-nalità, il concetto della rivoluzionarietà della guerra,l'interventismo conservatore credeva di poter rivolgerele nuove forze, la cui maturazione sarebbe stata accen-tuata dal fatto bellico, contro la fortuna parlamentare di

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Giolitti.E ciò anche in dipendenza di quell'elaborazione dot-

trinale del concetto dello Stato nazionale che allora co-minciava, e che, agitando, al di sopra di ogni altro, ilconcetto della nazione, intesa organicamente come entea sé, e non come conglomerato degli individui che lacompongono, mirava a distruggere quel poco di potereeffettivo che al parlamento la dittatura giolittiana avevacreduto lasciare, perché il popolo non fosse distrattodalle vie legali dell'urna e della scheda.

Cosí i conservatori del regime non temevano di ab-bracciare un compito sovvertitore, mettendosi in con-correnza con i rivoluzionari piú veri e maggiori, pur disboccare a forme politiche di vera e propria reazione so-ciale.

Neutralismo giolittiano.Il neutralismo giolittiano invece partiva da una conce-

zione eminentemente storica, e, perciò, nel senso piú as-soluto, conservatrice, in quanto, mentre intuiva che ilfatto rivoluzionario della guerra costituiva un diretto at-tentato alla propria sovranità, nutriva scarsa fiducia nel-la possibilità di riuscita della iniziativa monarchica perle realizzazioni nazionali.

Abituato a cercare nel chiuso di poche idee la solu-zione dei problemi interni, rifuggiva, per temperamento,dall'immischiarsi nelle faccende dell'Europa turbolenta econvinto che il popolo italiano avesse già dato il massi-

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Giolitti.E ciò anche in dipendenza di quell'elaborazione dot-

trinale del concetto dello Stato nazionale che allora co-minciava, e che, agitando, al di sopra di ogni altro, ilconcetto della nazione, intesa organicamente come entea sé, e non come conglomerato degli individui che lacompongono, mirava a distruggere quel poco di potereeffettivo che al parlamento la dittatura giolittiana avevacreduto lasciare, perché il popolo non fosse distrattodalle vie legali dell'urna e della scheda.

Cosí i conservatori del regime non temevano di ab-bracciare un compito sovvertitore, mettendosi in con-correnza con i rivoluzionari piú veri e maggiori, pur disboccare a forme politiche di vera e propria reazione so-ciale.

Neutralismo giolittiano.Il neutralismo giolittiano invece partiva da una conce-

zione eminentemente storica, e, perciò, nel senso piú as-soluto, conservatrice, in quanto, mentre intuiva che ilfatto rivoluzionario della guerra costituiva un diretto at-tentato alla propria sovranità, nutriva scarsa fiducia nel-la possibilità di riuscita della iniziativa monarchica perle realizzazioni nazionali.

Abituato a cercare nel chiuso di poche idee la solu-zione dei problemi interni, rifuggiva, per temperamento,dall'immischiarsi nelle faccende dell'Europa turbolenta econvinto che il popolo italiano avesse già dato il massi-

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mo di espressione politica con la socialdemocrazia a usogiolittiano e che, perciò, bisognasse concedergli il tem-po e il respiro per altri progressi, cercava nascondere eovattare ogni altro bisogno, che eccedesse il dato imme-diato dello sviluppo materiale, entro un velo di indiffe-renza, che in parte era calcolo e in parte era anche in-comprensione.

Però, non potendo opporre un'assoluta immobilità difronte allo scottante problema irredentistico e all'impul-so proveniente da tutto un secolo di elaborazione delconcetto di nazione, era costretto a prospettare esso stes-so una soluzione di politica internazionale, che si rac-chiuse nel cosí detto «parecchio».

Naturalmente, siccome i tempi erano maturi per altridestini e in tutta Europa si era aperta una vera e propriacrisi di civiltà, la formula giolittiana si presentava comela piú debole, anche perché non riusciva a contraddire,anzi in parte ammetteva, le ragioni ideologiche, cui ledue formule avversarie si innestavano. Fu, perciò, chedopo lunghe esitazioni la guerra fu dichiarata malgradoche i consigli giolittiani suonassero assai bene alla mag-gioranza delle orecchie italiane.

Neutralismo socialista.Quanto, poi, al neutralismo cosí detto rivoluzionario,

che trovò il suo migliore araldo nel socialismo ufficiale,non può non risultare evidente il carattere conservatoreche ne costituiva la base, comune del resto al giolittismo

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mo di espressione politica con la socialdemocrazia a usogiolittiano e che, perciò, bisognasse concedergli il tem-po e il respiro per altri progressi, cercava nascondere eovattare ogni altro bisogno, che eccedesse il dato imme-diato dello sviluppo materiale, entro un velo di indiffe-renza, che in parte era calcolo e in parte era anche in-comprensione.

Però, non potendo opporre un'assoluta immobilità difronte allo scottante problema irredentistico e all'impul-so proveniente da tutto un secolo di elaborazione delconcetto di nazione, era costretto a prospettare esso stes-so una soluzione di politica internazionale, che si rac-chiuse nel cosí detto «parecchio».

Naturalmente, siccome i tempi erano maturi per altridestini e in tutta Europa si era aperta una vera e propriacrisi di civiltà, la formula giolittiana si presentava comela piú debole, anche perché non riusciva a contraddire,anzi in parte ammetteva, le ragioni ideologiche, cui ledue formule avversarie si innestavano. Fu, perciò, chedopo lunghe esitazioni la guerra fu dichiarata malgradoche i consigli giolittiani suonassero assai bene alla mag-gioranza delle orecchie italiane.

Neutralismo socialista.Quanto, poi, al neutralismo cosí detto rivoluzionario,

che trovò il suo migliore araldo nel socialismo ufficiale,non può non risultare evidente il carattere conservatoreche ne costituiva la base, comune del resto al giolittismo

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di cui il socialismo delle cooperative e dei sussidi costi-tuiva un non dissimulato satellite.

Però, per quella doppia posizione ideologica caratteri-stica del PSI negli ultimi anni, in virtú della quale men-tre esso si presentava come rivoluzionario rispetto allaformazione politica dello Stato italiano, in effetti e permassima parte molto aspettava dalla azione di esso nelcampo economico, il PSI mentre era interessato al man-tenimento della dittatura giolittiana, credeva di fare attodi saggia politica preordinando la speculazione sui dolo-ri e sulle conseguenze della guerra, e preparando cosí ilterreno per il sovversivismo generico e assurdo.

Concludendo, quindi, mentre rispetto alla dittaturagiolittiana si abbinavano l'interventismo rivoluzionariocon quello nazionalista contro il neutralismo giolittianoe socialista, rispetto al regime l'interventismo rivoluzio-nario si abbinava al neutralismo socialista contro il bi-nomio interventismo nazionalista e neutralismo giolit-tiano.

Da questo schieramento contraddittorio e assurdo nonpoteva nascere che il caos del dopoguerra.

Infatti, ognuno potrà facilmente rilevare che tutte lequattro correnti esaminate erano assolutamente fuoridella questione italiana, fuori dei concetti di libertà poli-tica e di giustizia tributaria che ne costituiscono l'essen-za, e perciò in lotta tra loro solo per rappresentare le oli-garchie parassitarie o trasformiste della nazione. Quelletra esse che avevano già aderito ai dati storici della con-quista piemontese erano assolutamente impossibilitate

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di cui il socialismo delle cooperative e dei sussidi costi-tuiva un non dissimulato satellite.

Però, per quella doppia posizione ideologica caratteri-stica del PSI negli ultimi anni, in virtú della quale men-tre esso si presentava come rivoluzionario rispetto allaformazione politica dello Stato italiano, in effetti e permassima parte molto aspettava dalla azione di esso nelcampo economico, il PSI mentre era interessato al man-tenimento della dittatura giolittiana, credeva di fare attodi saggia politica preordinando la speculazione sui dolo-ri e sulle conseguenze della guerra, e preparando cosí ilterreno per il sovversivismo generico e assurdo.

Concludendo, quindi, mentre rispetto alla dittaturagiolittiana si abbinavano l'interventismo rivoluzionariocon quello nazionalista contro il neutralismo giolittianoe socialista, rispetto al regime l'interventismo rivoluzio-nario si abbinava al neutralismo socialista contro il bi-nomio interventismo nazionalista e neutralismo giolit-tiano.

Da questo schieramento contraddittorio e assurdo nonpoteva nascere che il caos del dopoguerra.

Infatti, ognuno potrà facilmente rilevare che tutte lequattro correnti esaminate erano assolutamente fuoridella questione italiana, fuori dei concetti di libertà poli-tica e di giustizia tributaria che ne costituiscono l'essen-za, e perciò in lotta tra loro solo per rappresentare le oli-garchie parassitarie o trasformiste della nazione. Quelletra esse che avevano già aderito ai dati storici della con-quista piemontese erano assolutamente impossibilitate

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ad assumere un compito rivoluzionario; quelle, invece,che pretendevano di elevarsi contro la tradizione monar-chica erano lontane dall'ossatura della questione italianae perciò prive di contenuto sostanziale. Se non avevanoancora transatto, erano destinate a transigere. La riprovadi queste verità si trova nel fatto che nessuna correntepolitica ebbe di mira la questione del Mezzogiorno etenne conto delle possibilità rivoluzionarie che ne deri-vavano.

Le quattro correnti politiche suddescritte erano comedelle anfore vuote pronte a contenere qualsiasi liquido.

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ad assumere un compito rivoluzionario; quelle, invece,che pretendevano di elevarsi contro la tradizione monar-chica erano lontane dall'ossatura della questione italianae perciò prive di contenuto sostanziale. Se non avevanoancora transatto, erano destinate a transigere. La riprovadi queste verità si trova nel fatto che nessuna correntepolitica ebbe di mira la questione del Mezzogiorno etenne conto delle possibilità rivoluzionarie che ne deri-vavano.

Le quattro correnti politiche suddescritte erano comedelle anfore vuote pronte a contenere qualsiasi liquido.

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La rivoluzione in atto: il bolscevismo

Primi sintomi bolscevici.Durante lo svolgimento della guerra, la compressione

militare, l'esistenza della censura e la permanenza sottole armi di tutte le nuove generazioni non potevano cheritardare lo scoppio del fenomeno rivoluzionario previ-sto nel 1915.

Tuttavia vi furono fatti, come la propaganda disfatti-sta, che, affiorati improvvisamente all'epoca della scon-fitta di Caporetto, gettarono strani barbagli di luce sullapsicologia delle masse italiane, e provarono che mentrela debolezza dello Stato unitario sempre piú progrediva,nel paese si determinavano vaste correnti di agitazionerivoluzionaria.

Si manifestarono cosí i primi sintomi non solo del va-sto temporale che si sarebbe scatenato poi, ma anchedell'indirizzo che la psicologia delle masse subiva. Infat-

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La rivoluzione in atto: il bolscevismo

Primi sintomi bolscevici.Durante lo svolgimento della guerra, la compressione

militare, l'esistenza della censura e la permanenza sottole armi di tutte le nuove generazioni non potevano cheritardare lo scoppio del fenomeno rivoluzionario previ-sto nel 1915.

Tuttavia vi furono fatti, come la propaganda disfatti-sta, che, affiorati improvvisamente all'epoca della scon-fitta di Caporetto, gettarono strani barbagli di luce sullapsicologia delle masse italiane, e provarono che mentrela debolezza dello Stato unitario sempre piú progrediva,nel paese si determinavano vaste correnti di agitazionerivoluzionaria.

Si manifestarono cosí i primi sintomi non solo del va-sto temporale che si sarebbe scatenato poi, ma anchedell'indirizzo che la psicologia delle masse subiva. Infat-

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ti, cominciava a apparire fatale che lo scoppio della ri-voluzione russa e le aspirazioni messianiche, di cui, inquell'ora di orgia spirituale, tutti i proletariati europeierano narcotizzati, dovessero ben presto produrre ulte-riori conseguenze.

Specialmente in Italia, poi, l'influenza bolscevica sipreannunziava enorme, sia per l'originaria debolezzadello Stato unitario, sia per l'immaturità di tutte le cor-renti e partiti politici esistenti nel paese, sia ancora perla stanchezza derivante dalla guerra, che doveva inevita-bilmente disporre le masse a esaurire in un atto di nega-zione totale ogni proposito ricostruttivo.

Ripresa interventista e sconfitta di Bissolati.Tuttavia questo stato d'animo venne, per un certo pe-

riodo di tempo, neutralizzato dalla vittoria militare, cheparve conferire alle correnti interventiste nuovo vigore epiú larga vitalità.

Ma la sconfitta diplomatica di Versailles e il perdura-re della guerra, attraverso la politica dei trattati, distrus-sero gli effetti della vittoria militare e indebolirono igruppi interventisti, prospettando nuovamente, comeelemento essenziale della psicologia collettiva italiana,il disfattismo postcaporettiano.

Veramente a questo risultato condusse anche la lottatra l'interventismo imperialista e quello bissolatiano,conclusasi con la sconfitta di quest'ultimo. Ma questeragioni di debolezza interna dell'interventismo sarebbe-

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ti, cominciava a apparire fatale che lo scoppio della ri-voluzione russa e le aspirazioni messianiche, di cui, inquell'ora di orgia spirituale, tutti i proletariati europeierano narcotizzati, dovessero ben presto produrre ulte-riori conseguenze.

Specialmente in Italia, poi, l'influenza bolscevica sipreannunziava enorme, sia per l'originaria debolezzadello Stato unitario, sia per l'immaturità di tutte le cor-renti e partiti politici esistenti nel paese, sia ancora perla stanchezza derivante dalla guerra, che doveva inevita-bilmente disporre le masse a esaurire in un atto di nega-zione totale ogni proposito ricostruttivo.

Ripresa interventista e sconfitta di Bissolati.Tuttavia questo stato d'animo venne, per un certo pe-

riodo di tempo, neutralizzato dalla vittoria militare, cheparve conferire alle correnti interventiste nuovo vigore epiú larga vitalità.

Ma la sconfitta diplomatica di Versailles e il perdura-re della guerra, attraverso la politica dei trattati, distrus-sero gli effetti della vittoria militare e indebolirono igruppi interventisti, prospettando nuovamente, comeelemento essenziale della psicologia collettiva italiana,il disfattismo postcaporettiano.

Veramente a questo risultato condusse anche la lottatra l'interventismo imperialista e quello bissolatiano,conclusasi con la sconfitta di quest'ultimo. Ma questeragioni di debolezza interna dell'interventismo sarebbe-

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ro rapidamente scomparse se la sconfitta diplomaticanon avesse conferito nuovo vigore al neutralismo socia-lista.

Questo, poi, traeva la sua prima consistenza dalla ma-turità economica, cui erano pervenuti i ceti operai du-rante il periodo giolittiano – maturità che li aveva affer-mati in vittoriosa concorrenza con taluni ceti della pic-cola borghesia impiegatizia e umanistica – e era alimen-tato oltre che dal generale indebolimento delle classimedie in tutta Europa, anche dalla speciale situazionepsicologica italiana.

La diffusione del bolscevismo.Fu cosí che il precipitoso diffondersi del bolscevismo,

il suo contagio esteso con rapidità incredibile anche fraceti economicamente agli antipodi di ogni movimentocomunista, perché assolutamente fuori del processo diproletarizzazione, apparvero come il piú grave sintomodell'immaturità rivoluzionaria del paese.

Si riproduceva, quindi, sotto altro profilo, un fenome-no caratteristicamente italiano: lo sforzo puramente ver-bale di applicare alla realtà nostra, semifeudale e preca-pitalistica, schemi rivoluzionari astratti, prodotti da altripopoli per differenti realtà sociali e interpretati dai no-stri rivoluzionari in maniera assolutamente arbitraria eanarchica, anche a causa della distanza e delle scarsenotizie che di essi allora si avevano.

A mano a mano che la smobilitazione continuava e

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ro rapidamente scomparse se la sconfitta diplomaticanon avesse conferito nuovo vigore al neutralismo socia-lista.

Questo, poi, traeva la sua prima consistenza dalla ma-turità economica, cui erano pervenuti i ceti operai du-rante il periodo giolittiano – maturità che li aveva affer-mati in vittoriosa concorrenza con taluni ceti della pic-cola borghesia impiegatizia e umanistica – e era alimen-tato oltre che dal generale indebolimento delle classimedie in tutta Europa, anche dalla speciale situazionepsicologica italiana.

La diffusione del bolscevismo.Fu cosí che il precipitoso diffondersi del bolscevismo,

il suo contagio esteso con rapidità incredibile anche fraceti economicamente agli antipodi di ogni movimentocomunista, perché assolutamente fuori del processo diproletarizzazione, apparvero come il piú grave sintomodell'immaturità rivoluzionaria del paese.

Si riproduceva, quindi, sotto altro profilo, un fenome-no caratteristicamente italiano: lo sforzo puramente ver-bale di applicare alla realtà nostra, semifeudale e preca-pitalistica, schemi rivoluzionari astratti, prodotti da altripopoli per differenti realtà sociali e interpretati dai no-stri rivoluzionari in maniera assolutamente arbitraria eanarchica, anche a causa della distanza e delle scarsenotizie che di essi allora si avevano.

A mano a mano che la smobilitazione continuava e

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che le masse combattenti venivano iniettate nel paese, ilprocesso patologico si accentuava per effetto di azioni ereazioni meccaniche cumulantisi tra di loro e si verifica-rono con esattezza le previsioni psicologiche su cui ave-vano fatto affidamento le frazioni neutraliste, quando trail 1914 e il 1915, avevano preso posizione.

Però, mentre i loro calcoli demagogici trovavano cla-morosa conferma nel fermento delle folle, si accentuavail dissidio tra le aspirazioni confuse delle masse e la pre-parazione programmatica dei partiti e appariva quindinaturale cosí l'adesione dei dirigenti alla indifferenziataideologia neutralista, come il loro tentativo di limitare leaspirazioni delle masse.

Ma ciò che contribuí notevolmente ad accrescere ilsuccesso iniziale del bolscevismo fu il colossale diso-rientamento delle classi dominanti.

Di fronte al dilagare dell'ideologia massimalista tra lemasse, la borghesia italiana fu presa da una paura folle.L'esempio della Russia, ove l'antica classe dirigente do-veva subire tutti i rigori rivoluzionari, e il mito giacobi-no che alitava in tutti i paesi europei, invece di aguzzarel'acume politico della borghesia italiana per suggerirle irimedi con cui superare o illudere la crisi, parvero terro-rizzarla in maniera cosí decisiva da comunicare all'inte-ro paese l'aspettativa del grande evento imminente.

Era quello il periodo in cui in tutta Italia si parlavapubblicamente di punire gli interventisti, di istituire ilregno della vendetta sociale, e conseguentemente non èda meravigliarsi che, in presenza di un fenomeno pato-

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che le masse combattenti venivano iniettate nel paese, ilprocesso patologico si accentuava per effetto di azioni ereazioni meccaniche cumulantisi tra di loro e si verifica-rono con esattezza le previsioni psicologiche su cui ave-vano fatto affidamento le frazioni neutraliste, quando trail 1914 e il 1915, avevano preso posizione.

Però, mentre i loro calcoli demagogici trovavano cla-morosa conferma nel fermento delle folle, si accentuavail dissidio tra le aspirazioni confuse delle masse e la pre-parazione programmatica dei partiti e appariva quindinaturale cosí l'adesione dei dirigenti alla indifferenziataideologia neutralista, come il loro tentativo di limitare leaspirazioni delle masse.

Ma ciò che contribuí notevolmente ad accrescere ilsuccesso iniziale del bolscevismo fu il colossale diso-rientamento delle classi dominanti.

Di fronte al dilagare dell'ideologia massimalista tra lemasse, la borghesia italiana fu presa da una paura folle.L'esempio della Russia, ove l'antica classe dirigente do-veva subire tutti i rigori rivoluzionari, e il mito giacobi-no che alitava in tutti i paesi europei, invece di aguzzarel'acume politico della borghesia italiana per suggerirle irimedi con cui superare o illudere la crisi, parvero terro-rizzarla in maniera cosí decisiva da comunicare all'inte-ro paese l'aspettativa del grande evento imminente.

Era quello il periodo in cui in tutta Italia si parlavapubblicamente di punire gli interventisti, di istituire ilregno della vendetta sociale, e conseguentemente non èda meravigliarsi che, in presenza di un fenomeno pato-

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logico cosí imponente, le classi dirigenti reagissero sol-tanto in sede di paura.

D'altra parte, le tendenze anarchiche della vecchiaborghesia italiana accrebbero notevolmente il disorien-tamento, perché, invece di schierarsi a difesa dello Sta-to, ne aggravarono la crisi.

Infatti in quell'epoca lo Stato italiano ricevette il col-po piú rude con l'impresa fiumana, che rischiò di com-promettere in una serie di avventure diplomatiche lacompattezza della nazione. Lo Stato italiano restò so-speso in aria, aggredito dal garibaldinismo che si ripro-duceva sulla quarta sponda contro ogni tradizione di ac-quiescenza monarchica, e non sorretto dai nuovi cetioperai che se ne erano estraniati per correr dietroall'inafferrabile mito bolscevico.

Invano in quel torbido periodo di reciproca incom-prensione il presidente del Consiglio on. Nitti invocò easpettò dalla collaborazione socialista la base politicaper tentare di creare una formazione piú vasta di quellagiolittiana.

Il socialismo italiano, perduto dietro i sogni evane-scenti delle steppe russe, si accaní a portare colpi su col-pi a quella formazione, di cui in sede ideale doveva co-stituire parte integrante e nella realtà si costituiva nemi-co. Cosí l'on. Nitti poté accumulare tre differenti mini-steri in attesa che la crisi riuscisse a una soluzione logi-ca, su cui egli avesse potuto poggiarsi, e logorò per lun-go periodo di tempo la sua carriera politica in un tentati-vo di tanta immaturità. Ma perché la situazione del pae-

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logico cosí imponente, le classi dirigenti reagissero sol-tanto in sede di paura.

D'altra parte, le tendenze anarchiche della vecchiaborghesia italiana accrebbero notevolmente il disorien-tamento, perché, invece di schierarsi a difesa dello Sta-to, ne aggravarono la crisi.

Infatti in quell'epoca lo Stato italiano ricevette il col-po piú rude con l'impresa fiumana, che rischiò di com-promettere in una serie di avventure diplomatiche lacompattezza della nazione. Lo Stato italiano restò so-speso in aria, aggredito dal garibaldinismo che si ripro-duceva sulla quarta sponda contro ogni tradizione di ac-quiescenza monarchica, e non sorretto dai nuovi cetioperai che se ne erano estraniati per correr dietroall'inafferrabile mito bolscevico.

Invano in quel torbido periodo di reciproca incom-prensione il presidente del Consiglio on. Nitti invocò easpettò dalla collaborazione socialista la base politicaper tentare di creare una formazione piú vasta di quellagiolittiana.

Il socialismo italiano, perduto dietro i sogni evane-scenti delle steppe russe, si accaní a portare colpi su col-pi a quella formazione, di cui in sede ideale doveva co-stituire parte integrante e nella realtà si costituiva nemi-co. Cosí l'on. Nitti poté accumulare tre differenti mini-steri in attesa che la crisi riuscisse a una soluzione logi-ca, su cui egli avesse potuto poggiarsi, e logorò per lun-go periodo di tempo la sua carriera politica in un tentati-vo di tanta immaturità. Ma perché la situazione del pae-

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se risulti sufficientemente chiara occorre precisare losviluppo che vennero assumendo le altre correnti italia-ne di fronte al fatto neorivoluzionario.

L'interventismo rivoluzionario in gara col bolscevi-smo.

La corrente dell'interventismo rivoluzionario, costi-tuitasi in fasci di combattimento a opera di Mussolini,non trovò di meglio che seguire nella scia rivoluzionariail massimalismo ufficiale.

Dopo aver formulato un programma rivoluzionario,che però si arrestava a pure modificazioni formali nellacostituzione dello Stato, si esercitò lungamente in unaaspra concorrenza demagogica contro i socialisti ufficia-li, che venivano quotidianamente accusati di non voleree di non saper fare la rivoluzione.

Abbacinato dalla falsa idea che le direttive della rivo-luzione in atto non potessero essere altro che socialiste,Mussolini sognò d'impadronirsi del movimento, al pun-to in cui i socialisti ufficiali si fossero dimostrati imparialla fortuna, e perciò per lungo tempo li tallonò con pa-zienza e audacia, non mancando di rilevare in ogni oc-casione le loro perplessità.

Gli solleticava la speranza l'accumularsi dei loro erro-ri nei riguardi degli ufficiali combattenti e la mancanzadi un programma di ricostruzione che potesse dare aglianimi, desiderosi di novità, un nuovo pascolo spirituale,come gli suggeriva l'istinto che il Psi avrebbe perduto

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se risulti sufficientemente chiara occorre precisare losviluppo che vennero assumendo le altre correnti italia-ne di fronte al fatto neorivoluzionario.

L'interventismo rivoluzionario in gara col bolscevi-smo.

La corrente dell'interventismo rivoluzionario, costi-tuitasi in fasci di combattimento a opera di Mussolini,non trovò di meglio che seguire nella scia rivoluzionariail massimalismo ufficiale.

Dopo aver formulato un programma rivoluzionario,che però si arrestava a pure modificazioni formali nellacostituzione dello Stato, si esercitò lungamente in unaaspra concorrenza demagogica contro i socialisti ufficia-li, che venivano quotidianamente accusati di non voleree di non saper fare la rivoluzione.

Abbacinato dalla falsa idea che le direttive della rivo-luzione in atto non potessero essere altro che socialiste,Mussolini sognò d'impadronirsi del movimento, al pun-to in cui i socialisti ufficiali si fossero dimostrati imparialla fortuna, e perciò per lungo tempo li tallonò con pa-zienza e audacia, non mancando di rilevare in ogni oc-casione le loro perplessità.

Gli solleticava la speranza l'accumularsi dei loro erro-ri nei riguardi degli ufficiali combattenti e la mancanzadi un programma di ricostruzione che potesse dare aglianimi, desiderosi di novità, un nuovo pascolo spirituale,come gli suggeriva l'istinto che il Psi avrebbe perduto

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l'occasione rivoluzionaria attraverso le linee del parla-mentarismo, di cui i suoi ceti dirigenti costituivano partesostanziale e integrante.

Però questi calcoli puramente meccanici e la stessacomplessità della situazione gli impedivano di vedereche sul terreno prescelto egli sarebbe stato certamentebattuto non solo dal PSI, ma, in un momento successivo,anche da altri partiti, perché o il bolscevismo sboccavain un moto rivoluzionario, e le prime conseguenze ditale moto sarebbero state antimussoliniane, oppure siesauriva in conati sterili e la ripresa borghese non pote-va mai avvenire sulla stessa base di lotta del socialismo,su cui Mussolini allora poggiava.

Ma in quel momento, forse, il trionfo bolscevico e lasegreta speranza di un riassorbimento nelle file del so-cialismo ufficiale impedivano al mussolinismo di con-trollare tutte le sue ipotesi e tutte le sue tesi e di guarda-re piú lontano dalla realtà immediata.

Tanto piú che l'interventismo rivoluzionario, poggian-do sul patriottismo, mostrava di porsi a cavaliere di ognialtra tendenza.

La tendenza sovvertitrice dell'interventismo conser-vatore.

L'interventismo conservatore, invece, non poteva faraltro che irrigidirsi nelle sue posizioni antebelliche etentare di resistervi, in attesa che gli errori degli altri e lariscossa dei ceti medi potessero permettergli di accen-

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l'occasione rivoluzionaria attraverso le linee del parla-mentarismo, di cui i suoi ceti dirigenti costituivano partesostanziale e integrante.

Però questi calcoli puramente meccanici e la stessacomplessità della situazione gli impedivano di vedereche sul terreno prescelto egli sarebbe stato certamentebattuto non solo dal PSI, ma, in un momento successivo,anche da altri partiti, perché o il bolscevismo sboccavain un moto rivoluzionario, e le prime conseguenze ditale moto sarebbero state antimussoliniane, oppure siesauriva in conati sterili e la ripresa borghese non pote-va mai avvenire sulla stessa base di lotta del socialismo,su cui Mussolini allora poggiava.

Ma in quel momento, forse, il trionfo bolscevico e lasegreta speranza di un riassorbimento nelle file del so-cialismo ufficiale impedivano al mussolinismo di con-trollare tutte le sue ipotesi e tutte le sue tesi e di guarda-re piú lontano dalla realtà immediata.

Tanto piú che l'interventismo rivoluzionario, poggian-do sul patriottismo, mostrava di porsi a cavaliere di ognialtra tendenza.

La tendenza sovvertitrice dell'interventismo conser-vatore.

L'interventismo conservatore, invece, non poteva faraltro che irrigidirsi nelle sue posizioni antebelliche etentare di resistervi, in attesa che gli errori degli altri e lariscossa dei ceti medi potessero permettergli di accen-

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tuare la propria funzione di conservazione.Però, siccome i gruppi politici che abbiamo, per ra-

gione di metodo, riuniti sotto il termine comprensivo diinterventismo conservatore, avevano concepito il dise-gno di distruggere la dittatura giolittiana, dovettero du-rante questo periodo assolvere un compito sovvertitore,tentando di far scaturire la crisi istituzionale soltantocontro il parlamentarismo, su cui si assideva sovrano lostatista di Dronero.

In ciò essi ebbero fin d'allora alleato l'interventismodi sinistra, che, intuendo la funzione conservatrice delPSI, collega al protezionismo e al parlamentarismo, mi-rava a adeguarsi alla mentalità rivoluzionaria delle mas-se attraverso il liberalismo e l'antiparlamentarismo.

Non sfuggirà certamente, ed è stata già ampiamenterilevata, la contraddizione intrinseca tra la funzione diconservazione, che i gruppi interventisti monarchici as-sumevano di assolvere, e il compito di sovvertimentodel parlamentarismo giolittiano, unico baluardo del regi-me, di cui si dilettavano per ragioni di predominio inter-no come, del pari, non sfuggirà la fatalità di taluni atteg-giamenti, dipendente, piú che altro, dalla completa im-maturità politica e storica dei partiti e delle masse italia-ne.

A ogni modo ci sembra sufficientemente chiaro chementre i gruppi dell'interventismo monarchico procla-mavano a chiacchiere di voler opporsi all'inflazione bol-scevica, in effetto, distruggendo il residuo prestigio del-le pubbliche istituzioni, riuscivano completamente allo

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tuare la propria funzione di conservazione.Però, siccome i gruppi politici che abbiamo, per ra-

gione di metodo, riuniti sotto il termine comprensivo diinterventismo conservatore, avevano concepito il dise-gno di distruggere la dittatura giolittiana, dovettero du-rante questo periodo assolvere un compito sovvertitore,tentando di far scaturire la crisi istituzionale soltantocontro il parlamentarismo, su cui si assideva sovrano lostatista di Dronero.

In ciò essi ebbero fin d'allora alleato l'interventismodi sinistra, che, intuendo la funzione conservatrice delPSI, collega al protezionismo e al parlamentarismo, mi-rava a adeguarsi alla mentalità rivoluzionaria delle mas-se attraverso il liberalismo e l'antiparlamentarismo.

Non sfuggirà certamente, ed è stata già ampiamenterilevata, la contraddizione intrinseca tra la funzione diconservazione, che i gruppi interventisti monarchici as-sumevano di assolvere, e il compito di sovvertimentodel parlamentarismo giolittiano, unico baluardo del regi-me, di cui si dilettavano per ragioni di predominio inter-no come, del pari, non sfuggirà la fatalità di taluni atteg-giamenti, dipendente, piú che altro, dalla completa im-maturità politica e storica dei partiti e delle masse italia-ne.

A ogni modo ci sembra sufficientemente chiaro chementre i gruppi dell'interventismo monarchico procla-mavano a chiacchiere di voler opporsi all'inflazione bol-scevica, in effetto, distruggendo il residuo prestigio del-le pubbliche istituzioni, riuscivano completamente allo

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scopo opposto.Veramente essi ritenevano che il bolscevismo e la

conseguente agitazione del paese fossero un prodottodel parlamentarismo e del malgoverno giolittiano, e nongià un fatto neorivoluzionario, e, perciò, s'illudevano difare opera di conservazione eliminando le cause delmale, ma essi scambiavano per queste dei fatti puramen-te episodici e che, del resto, nel complesso giuoco degliavvenimenti facevano funzione di freno, piuttosto che dispinta.

Nella loro testarda incomprensione storico-politica,essi non avevano compreso che il giolittismo era il piúperfetto organo di conservazione, che, data l'immaturitàitaliana, era stato possibile creare con i pochi interessiautonomi che erano riusciti a farsi valere attraverso lalotta politica.

Insistendo perciò nell'aggressione al giolittismo ri-schiavano di distruggere ogni benefico effetto del loroatteggiamento interventista nel giuoco della concorrenzapostbellica.

Ma, in verità, è forse effetto di uno spostamento criti-co quello di attribuire ai gruppi e agli uomini grande ri-gore dialettico durante la lotta, mentre, invece, molto èdovuto al caso e piú che altro al giuoco degli interessiche hanno una logica tutt'affatto particolare.

Cosí questi gruppi dell'interventismo conservatore,presi nel ferreo dilemma da una parte di servire gli inte-ressi parassitari dell'industria pesante, bisognosa di av-venture e agitazioni internazionali per i propri affari, e,

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scopo opposto.Veramente essi ritenevano che il bolscevismo e la

conseguente agitazione del paese fossero un prodottodel parlamentarismo e del malgoverno giolittiano, e nongià un fatto neorivoluzionario, e, perciò, s'illudevano difare opera di conservazione eliminando le cause delmale, ma essi scambiavano per queste dei fatti puramen-te episodici e che, del resto, nel complesso giuoco degliavvenimenti facevano funzione di freno, piuttosto che dispinta.

Nella loro testarda incomprensione storico-politica,essi non avevano compreso che il giolittismo era il piúperfetto organo di conservazione, che, data l'immaturitàitaliana, era stato possibile creare con i pochi interessiautonomi che erano riusciti a farsi valere attraverso lalotta politica.

Insistendo perciò nell'aggressione al giolittismo ri-schiavano di distruggere ogni benefico effetto del loroatteggiamento interventista nel giuoco della concorrenzapostbellica.

Ma, in verità, è forse effetto di uno spostamento criti-co quello di attribuire ai gruppi e agli uomini grande ri-gore dialettico durante la lotta, mentre, invece, molto èdovuto al caso e piú che altro al giuoco degli interessiche hanno una logica tutt'affatto particolare.

Cosí questi gruppi dell'interventismo conservatore,presi nel ferreo dilemma da una parte di servire gli inte-ressi parassitari dell'industria pesante, bisognosa di av-venture e agitazioni internazionali per i propri affari, e,

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perciò, portata a opporsi a ogni tentativo di stabilizza-zione pacifista che il popolo italiano avesse fatto sentireattraverso il parlamento, e dall'altra di tentare un esperi-mento di conservazione, che, interessando ceti piú este-si, avesse avuto meno precarietà, erano costretti a sce-gliere il primo corno del dilemma e a compiere opera disovvertimento generale pur di tentare di mantenere laconservazione particolare.

Giolitti salva il regime.Intanto la corrente del neutralismo conservatore, fra

tanto rimescolio di avvenimenti, sperava ripigliar vigo-re.

Anzitutto le dava motivo di speranza l'ondata di rea-zione alla guerra che si manifestava in ogni angolo dellapenisola e l'intrinseca incapacità rivoluzionaria del PSI,che, non potendo superare la fase delle agitazioni e degliscatti a vuoto, non riusciva di molto a differenziarsi dal-le altre correnti neutraliste costituzionali.

Ma soprattutto costituiva una ragione di potenziamen-to il disagio spirituale, in cui progressivamente veniva acadere il popolo italiano, perché, mentre la rivoluzionein marcia era di carattere piccolo borghese, la soluzioneche si proponeva era nettamente proletaria; mentre sisentiva il bisogno di una rivoluzione politica, che ade-guasse le istituzioni e la rappresentazione alla realtàeconomica del paese, gli estremisti bolscevici parlavanodi rivoluzione sociale.

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perciò, portata a opporsi a ogni tentativo di stabilizza-zione pacifista che il popolo italiano avesse fatto sentireattraverso il parlamento, e dall'altra di tentare un esperi-mento di conservazione, che, interessando ceti piú este-si, avesse avuto meno precarietà, erano costretti a sce-gliere il primo corno del dilemma e a compiere opera disovvertimento generale pur di tentare di mantenere laconservazione particolare.

Giolitti salva il regime.Intanto la corrente del neutralismo conservatore, fra

tanto rimescolio di avvenimenti, sperava ripigliar vigo-re.

Anzitutto le dava motivo di speranza l'ondata di rea-zione alla guerra che si manifestava in ogni angolo dellapenisola e l'intrinseca incapacità rivoluzionaria del PSI,che, non potendo superare la fase delle agitazioni e degliscatti a vuoto, non riusciva di molto a differenziarsi dal-le altre correnti neutraliste costituzionali.

Ma soprattutto costituiva una ragione di potenziamen-to il disagio spirituale, in cui progressivamente veniva acadere il popolo italiano, perché, mentre la rivoluzionein marcia era di carattere piccolo borghese, la soluzioneche si proponeva era nettamente proletaria; mentre sisentiva il bisogno di una rivoluzione politica, che ade-guasse le istituzioni e la rappresentazione alla realtàeconomica del paese, gli estremisti bolscevici parlavanodi rivoluzione sociale.

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Ne nasceva quindi un grande squilibrio tra le aspira-zioni collettive e le formule degli agitatori e, di fronte aquesta caotica realtà, gli stessi gruppi veramente rivolu-zionari erano costretti a ripiegare su posizioni di conser-vazione.

Era, insomma, cosí radicale l'immaturità rivoluziona-ria del popolo italiano che, verso l'agosto del 1920, sirese possibile la creazione di una nuova formazione po-litica intorno a Giolitti, quando l'equilibrio politico dalui creato nel periodo prebellico era completamente fra-nante. Infatti, quando Giovanni Giolitti risalí al poterefu accolto come un trionfatore e tutte le frazioni italianeinchinarono le bandiere dinanzi a lui, come se fosse ilcapo di una rivoluzione vittoriosa. E in quel momento ilgiolittismo trionfa dell'immaturità dei suoi avversari.Assunto al potere, Giolitti rimise in funzione il vecchiometodo trasformistico e mentre cercò lusingare in unprimo tempo gli istinti demagogici della rivoluzioneproletaria con le imposte straordinarie, successivamentemise ogni opera per incanalare il fascismo entro glischemi della conservazione monarchica.

Ma se con questa politica provocò il primo successopostbellico della monarchia, riproponendola come ter-mine di transazione, se non di soluzione, della crisi ita-liana, non riuscí però a salvare il proprio sistema politi-co, e a riprodurre gli schemi cui si era affidato vittorio-samente nell'anteguerra.

Si può dire anzi che, costretto dalla necessità ad averel'appoggio del PPI, che, durante tutto il tempo del suo

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Ne nasceva quindi un grande squilibrio tra le aspira-zioni collettive e le formule degli agitatori e, di fronte aquesta caotica realtà, gli stessi gruppi veramente rivolu-zionari erano costretti a ripiegare su posizioni di conser-vazione.

Era, insomma, cosí radicale l'immaturità rivoluziona-ria del popolo italiano che, verso l'agosto del 1920, sirese possibile la creazione di una nuova formazione po-litica intorno a Giolitti, quando l'equilibrio politico dalui creato nel periodo prebellico era completamente fra-nante. Infatti, quando Giovanni Giolitti risalí al poterefu accolto come un trionfatore e tutte le frazioni italianeinchinarono le bandiere dinanzi a lui, come se fosse ilcapo di una rivoluzione vittoriosa. E in quel momento ilgiolittismo trionfa dell'immaturità dei suoi avversari.Assunto al potere, Giolitti rimise in funzione il vecchiometodo trasformistico e mentre cercò lusingare in unprimo tempo gli istinti demagogici della rivoluzioneproletaria con le imposte straordinarie, successivamentemise ogni opera per incanalare il fascismo entro glischemi della conservazione monarchica.

Ma se con questa politica provocò il primo successopostbellico della monarchia, riproponendola come ter-mine di transazione, se non di soluzione, della crisi ita-liana, non riuscí però a salvare il proprio sistema politi-co, e a riprodurre gli schemi cui si era affidato vittorio-samente nell'anteguerra.

Si può dire anzi che, costretto dalla necessità ad averel'appoggio del PPI, che, durante tutto il tempo del suo

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governo, ne costituí il gruppo principale, dovette adotta-re le soluzioni medie che il giovane partito veniva ela-borando e in tanto piú riuscí in quanto piú dovette allon-tanarsi dal sistema del governo personale per sentire leesigenze di un partito.

Quest'antitesi, appena accennata all'inizio, fu in se-guito una delle ragioni dell'insuccesso della formazionee della fine dell'esperimento. A essa è forse dovuto chelo statista di Dronero non ebbe il tempo di attendere chelo scioglimento della crisi massimalista gli permettessedi assorbire in un nuovo esperimento di governo i socia-listi unitari.

Ma piú ancora nocque al giolittismo la necessità didover sopravvalutare le correnti dell'interventismo di si-nistra, che, costituitesi in fasci di combattimento, segui-vano una tattica insurrezionista, cioè antigiolittiana. Ap-pena appena egli poté, con l'includerli nei blocchi nazio-nali durante le elezioni generali del 1921, inserirli ecomprometterli nel giuoco monarchico, ma non gli riu-scí altresí di fissarli in una formazione, o posteriormen-te, ciò che sarebbe stato piú naturale, di distruggerli. Itempi erano veramente grossi e mentre Giolitti aspettaval'avvento del socialismo unitario e si sforzava di resiste-re all'attacco del PPI, che mirava a trarre dalla propor-zionale e dal governo di gabinetto le conseguenze di unavera e propria rivoluzione politica, era costretto ad alle-varsi nel seno la vipera fascista, sperando di rubare altempo qualche battuta, per poi schiacciarla.

Ma il tempo questa volta fu galantuomo e l'ondata fa-

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governo, ne costituí il gruppo principale, dovette adotta-re le soluzioni medie che il giovane partito veniva ela-borando e in tanto piú riuscí in quanto piú dovette allon-tanarsi dal sistema del governo personale per sentire leesigenze di un partito.

Quest'antitesi, appena accennata all'inizio, fu in se-guito una delle ragioni dell'insuccesso della formazionee della fine dell'esperimento. A essa è forse dovuto chelo statista di Dronero non ebbe il tempo di attendere chelo scioglimento della crisi massimalista gli permettessedi assorbire in un nuovo esperimento di governo i socia-listi unitari.

Ma piú ancora nocque al giolittismo la necessità didover sopravvalutare le correnti dell'interventismo di si-nistra, che, costituitesi in fasci di combattimento, segui-vano una tattica insurrezionista, cioè antigiolittiana. Ap-pena appena egli poté, con l'includerli nei blocchi nazio-nali durante le elezioni generali del 1921, inserirli ecomprometterli nel giuoco monarchico, ma non gli riu-scí altresí di fissarli in una formazione, o posteriormen-te, ciò che sarebbe stato piú naturale, di distruggerli. Itempi erano veramente grossi e mentre Giolitti aspettaval'avvento del socialismo unitario e si sforzava di resiste-re all'attacco del PPI, che mirava a trarre dalla propor-zionale e dal governo di gabinetto le conseguenze di unavera e propria rivoluzione politica, era costretto ad alle-varsi nel seno la vipera fascista, sperando di rubare altempo qualche battuta, per poi schiacciarla.

Ma il tempo questa volta fu galantuomo e l'ondata fa-

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scista, maturata con la furia della procella, incanalando-si nel greto della tradizionale politica monarchica, rubòal vecchio di Dronero un nuova entrata in tempo.

Fedele servitore della monarchia, Giolitti trionfò an-che, attraverso il fascismo, ma questo nuovo trionfo vol-le come prezzo il crollo della sua dittatura personale.

La collaborazione del Partito popolare.Fu detto che l'esperimento giolittiano fallí e non fu

possibile ripeterlo per i malefici effetti della proporzio-nale e per l'intransigenza di don Sturzo, ma, in effetto,esso continuò fino alla marcia su Roma, attraverso luo-gotenenti e affini, e non poté piú resistere perché, cadutoil protagonista, la rivoluzione montava nuovamente nelpaese sommergendo ogni vestigio del passato.

In realtà, perché la situazione appaia limpida e denu-data dalle sovrastrutture che le passioni di parte vi han-no incrostato, è necessario ricordare l'importanza cheebbe fin dal 1919 il sorgere del Partito popolare italiano,primo e grandioso tentativo di presa di posizione nelcaos del dopoguerra.

Noi non possiamo soverchiamente estenderci su tutti ifenomeni di cui imprendiamo a discutere, perché lo spa-zio ci è avaro, ma ci sembra che chiunque voglia inten-dere la realtà italiana deve tener per fermo, senza biso-gno di speciale dimostrazione, che il sorgere del PPI nel1919 significò il riconoscimento esplicito da parte dellaChiesa dell'iniziato moto di rinnovamento dei nostri isti-

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scista, maturata con la furia della procella, incanalando-si nel greto della tradizionale politica monarchica, rubòal vecchio di Dronero un nuova entrata in tempo.

Fedele servitore della monarchia, Giolitti trionfò an-che, attraverso il fascismo, ma questo nuovo trionfo vol-le come prezzo il crollo della sua dittatura personale.

La collaborazione del Partito popolare.Fu detto che l'esperimento giolittiano fallí e non fu

possibile ripeterlo per i malefici effetti della proporzio-nale e per l'intransigenza di don Sturzo, ma, in effetto,esso continuò fino alla marcia su Roma, attraverso luo-gotenenti e affini, e non poté piú resistere perché, cadutoil protagonista, la rivoluzione montava nuovamente nelpaese sommergendo ogni vestigio del passato.

In realtà, perché la situazione appaia limpida e denu-data dalle sovrastrutture che le passioni di parte vi han-no incrostato, è necessario ricordare l'importanza cheebbe fin dal 1919 il sorgere del Partito popolare italiano,primo e grandioso tentativo di presa di posizione nelcaos del dopoguerra.

Noi non possiamo soverchiamente estenderci su tutti ifenomeni di cui imprendiamo a discutere, perché lo spa-zio ci è avaro, ma ci sembra che chiunque voglia inten-dere la realtà italiana deve tener per fermo, senza biso-gno di speciale dimostrazione, che il sorgere del PPI nel1919 significò il riconoscimento esplicito da parte dellaChiesa dell'iniziato moto di rinnovamento dei nostri isti-

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tuti politici e della necessità, anche per essa, di servirsidel metodo liberale per sostenere la sua azione politica.

Questa verità, di cui le nostre classi dirigenti non sisono ancora convinte, svela tutto un programma di azio-ne papale, che ringiovanisce di molti lustri la politicacattolica e mostra come la Chiesa dia prove di profondavitalità, proprio in epoche in cui ai superficiali potrebbesembrare l'opposto.

Non piú, dunque, patti Gentiloni, e politica clerico-moderata, non piú adesione al regime a scopo transatti-vo, ma, intuendo il processo rivoluzionario in marcia nelpaese, la Chiesa, attraverso il PPI, tenta di impadronirsidel nostro problema istituzionale, prevenendo cosí im-plicitamente ogni rinnovellato tentativo di giurisdiziona-lismo tradizionale da parte dello Stato italiano. Si pro-pone, cosí, per la prima volta in Italia quella doppia fac-cia di tutti i partiti di centro, che ne costituisce l'aspettopiú caratteristico e rende la loro azione a volta rivolu-zionaria a volta conservatrice.

Cosí il PPI, cercando d'inalveare il torrente rivoluzio-nario entro lo schema di idee tradizionali, mira a ferma-re il processo di disintegrazione dello Stato burocraticoaccentratore entro le linee di un nuovo Stato parlamen-tare, salvando istituti piú distanti, quali il parlamento, ilprincipio maggioritario, il governo di gabinetto e la pro-prietà privata, mentre aggredendo alle radici lo Stato bu-rocratico accentratore, in ciò che esso aveva prodotto dipiú perfetto: la dittatura giolittiana, esercita un'azionepotentemente rivoluzionaria, di cui ancora durano anzi

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tuti politici e della necessità, anche per essa, di servirsidel metodo liberale per sostenere la sua azione politica.

Questa verità, di cui le nostre classi dirigenti non sisono ancora convinte, svela tutto un programma di azio-ne papale, che ringiovanisce di molti lustri la politicacattolica e mostra come la Chiesa dia prove di profondavitalità, proprio in epoche in cui ai superficiali potrebbesembrare l'opposto.

Non piú, dunque, patti Gentiloni, e politica clerico-moderata, non piú adesione al regime a scopo transatti-vo, ma, intuendo il processo rivoluzionario in marcia nelpaese, la Chiesa, attraverso il PPI, tenta di impadronirsidel nostro problema istituzionale, prevenendo cosí im-plicitamente ogni rinnovellato tentativo di giurisdiziona-lismo tradizionale da parte dello Stato italiano. Si pro-pone, cosí, per la prima volta in Italia quella doppia fac-cia di tutti i partiti di centro, che ne costituisce l'aspettopiú caratteristico e rende la loro azione a volta rivolu-zionaria a volta conservatrice.

Cosí il PPI, cercando d'inalveare il torrente rivoluzio-nario entro lo schema di idee tradizionali, mira a ferma-re il processo di disintegrazione dello Stato burocraticoaccentratore entro le linee di un nuovo Stato parlamen-tare, salvando istituti piú distanti, quali il parlamento, ilprincipio maggioritario, il governo di gabinetto e la pro-prietà privata, mentre aggredendo alle radici lo Stato bu-rocratico accentratore, in ciò che esso aveva prodotto dipiú perfetto: la dittatura giolittiana, esercita un'azionepotentemente rivoluzionaria, di cui ancora durano anzi

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s'intensificano i contraccolpi.Ciò spiega perché il PPI, mentre collaborò con tutti i

gabinetti, compreso quello fascista, si batté disperata-mente per la proporzionale e per il gabinetto di coalizio-ne.

In effetto l'azione del PPI durante questo periodo,cosí vivamente discussa e malfamata, non fu chiara erettilinea; essa fu alquanto alterata dal demagogismo dicui era infetta la sinistra migliolina e dallo sforzo diequilibrare l'indirizzo del partito tra tante opposte e di-vergenti correnti, ma non bisogna dimenticare che il po-polarismo era costretto a agire in un momento rivoluzio-nario in mezzo a cozzanti interessi e quindi era estrema-mente difficile seguire una condotta che fosse aperta-mente consapevole di tutte le finalità da raggiungere.

Cosí non tutti compresero che era fatale che il PPI,pur essendo costretto dalle circostanze a un primo attodi collaborazione, si opponesse poi a una definitiva rein-carnazione giolittiana, per la stessa dialettica della storiain movimento, che aveva portato alla nascita del giova-ne partito con programma conservatore e decentratore.

Era in sostanza una nuova formula di conservazionesociale che aveva proposta nel 1919 il PPI, fondata nonsul predominio parlamentare di un uomo, ma sul giuocodi un partito, che, tentando di organizzare gli interessidella maggioranza dei produttori italiani, si sforzava diraggiungere un equilibrio sociale meno innaturale delprecedente e perciò piú profondamente conservatore.

Paragonando tale formula a quelle di molte frazioni

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s'intensificano i contraccolpi.Ciò spiega perché il PPI, mentre collaborò con tutti i

gabinetti, compreso quello fascista, si batté disperata-mente per la proporzionale e per il gabinetto di coalizio-ne.

In effetto l'azione del PPI durante questo periodo,cosí vivamente discussa e malfamata, non fu chiara erettilinea; essa fu alquanto alterata dal demagogismo dicui era infetta la sinistra migliolina e dallo sforzo diequilibrare l'indirizzo del partito tra tante opposte e di-vergenti correnti, ma non bisogna dimenticare che il po-polarismo era costretto a agire in un momento rivoluzio-nario in mezzo a cozzanti interessi e quindi era estrema-mente difficile seguire una condotta che fosse aperta-mente consapevole di tutte le finalità da raggiungere.

Cosí non tutti compresero che era fatale che il PPI,pur essendo costretto dalle circostanze a un primo attodi collaborazione, si opponesse poi a una definitiva rein-carnazione giolittiana, per la stessa dialettica della storiain movimento, che aveva portato alla nascita del giova-ne partito con programma conservatore e decentratore.

Era in sostanza una nuova formula di conservazionesociale che aveva proposta nel 1919 il PPI, fondata nonsul predominio parlamentare di un uomo, ma sul giuocodi un partito, che, tentando di organizzare gli interessidella maggioranza dei produttori italiani, si sforzava diraggiungere un equilibrio sociale meno innaturale delprecedente e perciò piú profondamente conservatore.

Paragonando tale formula a quelle di molte frazioni

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conservatrici o pseudoconservatrici della borghesia ita-liana si vedrà quanta differenza correva tra un partito dimasse come quello popolare, proteso ad assorbire lamaggior somma di interessi medi, appunto per poter as-solvere il suo compito storico, e le frazioni suddette, tut-te intente a nascondere dietro l'idolo della nazione gliinteressi di una casta o di una fazione.

Di qui l'urto inevitabile tra le due tendenze di conser-vazione, che si trasformava in conato rivoluzionario. Difronte al PPI, affermante nella realtà quotidiana la prassidel partito e dell'organizzazione moderna, la dittaturagiolittiana non sapeva contrapporre che la vecchia coali-zione di interessi trasformistici rimasti a difendere, inpieno campo nemico, posizioni di difesa sorpassate, edera assolutamente inadatta a trasformarsi secondo leidee e lo spirito dei tempi nuovi.

Era, quindi, fatale che scoppiasse assai viva la lotta eche il giolittismo ne uscisse sconfitto.

Questa lotta diffuse la leggenda del bolscevismo bian-co e il PPI parve per intero sovvertitore. Invece essoesercitò una profonda funzione di conservazione socia-le, che culminò nel tentativo di collaborazione col fasci-smo.

La crisi socialista.Ma il rivolgimento politico italiano ebbe il suo epi-

centro nel travaglio del Partito socialista che trasformòla crisi istituzionale in crisi di partito.

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conservatrici o pseudoconservatrici della borghesia ita-liana si vedrà quanta differenza correva tra un partito dimasse come quello popolare, proteso ad assorbire lamaggior somma di interessi medi, appunto per poter as-solvere il suo compito storico, e le frazioni suddette, tut-te intente a nascondere dietro l'idolo della nazione gliinteressi di una casta o di una fazione.

Di qui l'urto inevitabile tra le due tendenze di conser-vazione, che si trasformava in conato rivoluzionario. Difronte al PPI, affermante nella realtà quotidiana la prassidel partito e dell'organizzazione moderna, la dittaturagiolittiana non sapeva contrapporre che la vecchia coali-zione di interessi trasformistici rimasti a difendere, inpieno campo nemico, posizioni di difesa sorpassate, edera assolutamente inadatta a trasformarsi secondo leidee e lo spirito dei tempi nuovi.

Era, quindi, fatale che scoppiasse assai viva la lotta eche il giolittismo ne uscisse sconfitto.

Questa lotta diffuse la leggenda del bolscevismo bian-co e il PPI parve per intero sovvertitore. Invece essoesercitò una profonda funzione di conservazione socia-le, che culminò nel tentativo di collaborazione col fasci-smo.

La crisi socialista.Ma il rivolgimento politico italiano ebbe il suo epi-

centro nel travaglio del Partito socialista che trasformòla crisi istituzionale in crisi di partito.

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Sotto questo primo profilo il PSI apparve un organodi conservazione, rivelando quasi subito la sua posizio-ne originaria. Esso offrí agli urti bolscevizzanti una resi-stenza cosí accanita che alla lunga finí per averne ragio-ne. In verità il bolscevismo corrispose al sentimento in-distinto della necessità di uno sforzo rivoluzionario persistemare in un nuovo Stato tutte le forze che la guerraaveva fatto improvvisamente affiorare nella realtà politi-ca italiana.

Queste forze, sollecitate ad agire soltanto in conse-guenza di un fatto meccanico, non possedevano meno-mamente i termini del problema italiano, e quindi, ripro-ducevano la nostra vecchia e caratteristica insufficienzadi cercare la soluzione di un problema particolare in si-stemi di idee di carattere europeo. In generale, esse ap-partenevano alle regioni dell'Italia del nord, ove il capi-talismo ha già fatta la sua apparizione e ove, conseguen-temente, talune élite operaie hanno da tempo preso pos-sesso delle idee rivoluzionarie socialiste.

Commettendo, quindi, il facile errore di credere chele condizioni economiche, morali, sociali di tutte le altreregioni italiane fossero identiche a quelle del Piemonteo della Lombardia, e ignorando, naturalmente da buonicittadini del nord, che tanta parte d'Italia è ancora in re-gime precapitalistico e feudale, i nuovi rivoluzionarierano portati a ritenere estensibile a tutta l'Italia la for-mula comunista, senza comprendere che su di un terre-no cosí franoso essi venivano a totalmente compromet-tere il loro ruolo di rivoluzionari.

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Sotto questo primo profilo il PSI apparve un organodi conservazione, rivelando quasi subito la sua posizio-ne originaria. Esso offrí agli urti bolscevizzanti una resi-stenza cosí accanita che alla lunga finí per averne ragio-ne. In verità il bolscevismo corrispose al sentimento in-distinto della necessità di uno sforzo rivoluzionario persistemare in un nuovo Stato tutte le forze che la guerraaveva fatto improvvisamente affiorare nella realtà politi-ca italiana.

Queste forze, sollecitate ad agire soltanto in conse-guenza di un fatto meccanico, non possedevano meno-mamente i termini del problema italiano, e quindi, ripro-ducevano la nostra vecchia e caratteristica insufficienzadi cercare la soluzione di un problema particolare in si-stemi di idee di carattere europeo. In generale, esse ap-partenevano alle regioni dell'Italia del nord, ove il capi-talismo ha già fatta la sua apparizione e ove, conseguen-temente, talune élite operaie hanno da tempo preso pos-sesso delle idee rivoluzionarie socialiste.

Commettendo, quindi, il facile errore di credere chele condizioni economiche, morali, sociali di tutte le altreregioni italiane fossero identiche a quelle del Piemonteo della Lombardia, e ignorando, naturalmente da buonicittadini del nord, che tanta parte d'Italia è ancora in re-gime precapitalistico e feudale, i nuovi rivoluzionarierano portati a ritenere estensibile a tutta l'Italia la for-mula comunista, senza comprendere che su di un terre-no cosí franoso essi venivano a totalmente compromet-tere il loro ruolo di rivoluzionari.

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Ma forse ciò era inevitabile perché nessuna forzaumana avrebbe potuto impedire la suggestione della ri-voluzione russa che operava cosí potentemente anchepresso altri popoli europei.

Presi dal mito russo, i socialisti italiani erano per unarivoluzione qualsiasi, quasi per bisogno fisico di moto, enon perché avessero elaborato un sistema da attuare nel-la realtà. Trascinati da false ideologie, facevano centrodella loro eccitabilità rivoluzionaria il loro io, senza al-cun contatto con la realtà del paese, con la situazionedelle classi sociali, con la distribuzione della ricchezza;si chiudevano in un astrattismo rivoluzionario vuoto eantimarxistico, allo stesso modo che la borghesia cosídetta progressista si era trincerata nell'astrattismo giuri-dico parlamentare.

Ma la caratteristica di tutto il movimento bolscevicofu che nessuno dei rivoluzionari si rese conto della si-tuazione del PSI e della sua tendenza alla conservazio-ne. Questa incomprensione continuò anche quando il Psicominciò a trasformare i conati rivoluzionari delle follein lotte di tattica contingente, cioè quando condusse lalotta politica a stagnare nel mare morto delle tendenze.

Eppure questa incomprensione era fatale: la sinistrabolscevica, anche dopo la critica quasi decennaledell'«Unità» salveminiana non arrivò a comprendere chela Destra riformista aveva a lungo costituito uno dei pi-loni della formazione politica giolittiana e, quindi, lungidal poter agevolare i conati rivoluzionari, era interessataa frenare gli impulsi. Questa incomprensione apparve

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Ma forse ciò era inevitabile perché nessuna forzaumana avrebbe potuto impedire la suggestione della ri-voluzione russa che operava cosí potentemente anchepresso altri popoli europei.

Presi dal mito russo, i socialisti italiani erano per unarivoluzione qualsiasi, quasi per bisogno fisico di moto, enon perché avessero elaborato un sistema da attuare nel-la realtà. Trascinati da false ideologie, facevano centrodella loro eccitabilità rivoluzionaria il loro io, senza al-cun contatto con la realtà del paese, con la situazionedelle classi sociali, con la distribuzione della ricchezza;si chiudevano in un astrattismo rivoluzionario vuoto eantimarxistico, allo stesso modo che la borghesia cosídetta progressista si era trincerata nell'astrattismo giuri-dico parlamentare.

Ma la caratteristica di tutto il movimento bolscevicofu che nessuno dei rivoluzionari si rese conto della si-tuazione del PSI e della sua tendenza alla conservazio-ne. Questa incomprensione continuò anche quando il Psicominciò a trasformare i conati rivoluzionari delle follein lotte di tattica contingente, cioè quando condusse lalotta politica a stagnare nel mare morto delle tendenze.

Eppure questa incomprensione era fatale: la sinistrabolscevica, anche dopo la critica quasi decennaledell'«Unità» salveminiana non arrivò a comprendere chela Destra riformista aveva a lungo costituito uno dei pi-loni della formazione politica giolittiana e, quindi, lungidal poter agevolare i conati rivoluzionari, era interessataa frenare gli impulsi. Questa incomprensione apparve

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perfino nelle accuse che i comunisti lanciavano ai so-cialpatrioti, genericamente intonate alla realtà di moltipaesi europei, ma prive di qualsiasi riferimento alla real-tà politica italiana.

Parimenti la concezione unitaria serratiana, secondo ilcostume dei politici italiani, si esauriva nel vano tentati-vo di mantenere insieme con formule puramente verbalii conglomerati che erano confluiti nel PSI, senza render-si sufficiente conto dell'assurdità dialettica di un similetentativo di mediazione unitaria e senza contemporanea-mente proporre un programma rivoluzionario unico cheavesse potuto far scattare nel campo della realtà storicail colosso dai piedi di argilla.

I soli, che forse avevano coscienza della loro posizio-ne dialettica, erano gli unitari. Asserragliati intorno allaConfederazione generale del lavoro, convinti di rappre-sentare aristocrazie operaie pervenute a un notevole gra-do di floridezza economica, e perciò timorose di perder-la, decisi a insistere, fino al possibile, nella tattica parla-mentare, che aveva loro fruttato risultati cosí brillanti,essi resistevano in tutti i modi alla mentalità miracolistadell'ora e deprecavano apertamente il pericolo che, attra-verso il prosieguo di agitazioni convulse, avessero asvegliarsi altri ceti naturalmente ed economicamente av-versi a quelli da loro rappresentati, dormienti il loro son-no secolare. Questa antinomia insuperabile, dipendentenon tanto dalla lotta che nel campo della teoria i comu-nisti hanno sempre combattuto contro i riformisti, quan-to dalla specifica situazione italiana, culminò nell'episo-

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perfino nelle accuse che i comunisti lanciavano ai so-cialpatrioti, genericamente intonate alla realtà di moltipaesi europei, ma prive di qualsiasi riferimento alla real-tà politica italiana.

Parimenti la concezione unitaria serratiana, secondo ilcostume dei politici italiani, si esauriva nel vano tentati-vo di mantenere insieme con formule puramente verbalii conglomerati che erano confluiti nel PSI, senza render-si sufficiente conto dell'assurdità dialettica di un similetentativo di mediazione unitaria e senza contemporanea-mente proporre un programma rivoluzionario unico cheavesse potuto far scattare nel campo della realtà storicail colosso dai piedi di argilla.

I soli, che forse avevano coscienza della loro posizio-ne dialettica, erano gli unitari. Asserragliati intorno allaConfederazione generale del lavoro, convinti di rappre-sentare aristocrazie operaie pervenute a un notevole gra-do di floridezza economica, e perciò timorose di perder-la, decisi a insistere, fino al possibile, nella tattica parla-mentare, che aveva loro fruttato risultati cosí brillanti,essi resistevano in tutti i modi alla mentalità miracolistadell'ora e deprecavano apertamente il pericolo che, attra-verso il prosieguo di agitazioni convulse, avessero asvegliarsi altri ceti naturalmente ed economicamente av-versi a quelli da loro rappresentati, dormienti il loro son-no secolare. Questa antinomia insuperabile, dipendentenon tanto dalla lotta che nel campo della teoria i comu-nisti hanno sempre combattuto contro i riformisti, quan-to dalla specifica situazione italiana, culminò nell'episo-

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dio dell'occupazione delle fabbriche, quando i riformisti,col semplice ostruzionismo, presero i rivoluzionari bol-scevici al laccio della loro paura demagogica.

Cosi tramontò in maniera decisiva il mito russo in Ita-lia; e si cominciò a comprendere, per quanto in formaappena subcosciente, che la prima fase della nostra rivo-luzione postbellica si chiudeva in perdita.

Essa si sarebbe chiusa egualmente in perdita anchenel caso che l'occupazione delle fabbriche fosse real-mente sboccata in un atto rivoluzionario perché taleesperimento avrebbe dovuto quanto prima fare i conticon la reale situazione economica italiana, ove non sa-rebbe stato possibile, cosí come in Russia, trascinarsidietro i contadini distribuendo loro le terre, per il sem-plice fatto che queste erano già in massima parte appro-priate. Da quel momento si può dire che i riformisti ave-vano già vinto. Tutti i fatti posteriori, le lotte di tendenzae le scissioni non sono che conseguenza di questa vitto-ria. Non avendo le idee per trascinare in un atto di libe-razione la maggioranza del popolo italiano, le minoran-ze bolsceviche, dal campo rivoluzionario, ripiegaronosulla critica interna e si accanirono vanamente contro gliuomini del riformismo, senza comprendere che, se essefossero state veramente mature, Turati avrebbe fatto lafine di Kerenskij, e nessuna diga avrebbe potuto tratte-nere l'urto delle onde.

Ed effettivamente in quelle ore difficili non vi furonodighe e il vecchio Giolitti fece affidamento piú sulla te-rapia dell'esperienza che sui fucili dei soldati. Fondan-

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dio dell'occupazione delle fabbriche, quando i riformisti,col semplice ostruzionismo, presero i rivoluzionari bol-scevici al laccio della loro paura demagogica.

Cosi tramontò in maniera decisiva il mito russo in Ita-lia; e si cominciò a comprendere, per quanto in formaappena subcosciente, che la prima fase della nostra rivo-luzione postbellica si chiudeva in perdita.

Essa si sarebbe chiusa egualmente in perdita anchenel caso che l'occupazione delle fabbriche fosse real-mente sboccata in un atto rivoluzionario perché taleesperimento avrebbe dovuto quanto prima fare i conticon la reale situazione economica italiana, ove non sa-rebbe stato possibile, cosí come in Russia, trascinarsidietro i contadini distribuendo loro le terre, per il sem-plice fatto che queste erano già in massima parte appro-priate. Da quel momento si può dire che i riformisti ave-vano già vinto. Tutti i fatti posteriori, le lotte di tendenzae le scissioni non sono che conseguenza di questa vitto-ria. Non avendo le idee per trascinare in un atto di libe-razione la maggioranza del popolo italiano, le minoran-ze bolsceviche, dal campo rivoluzionario, ripiegaronosulla critica interna e si accanirono vanamente contro gliuomini del riformismo, senza comprendere che, se essefossero state veramente mature, Turati avrebbe fatto lafine di Kerenskij, e nessuna diga avrebbe potuto tratte-nere l'urto delle onde.

Ed effettivamente in quelle ore difficili non vi furonodighe e il vecchio Giolitti fece affidamento piú sulla te-rapia dell'esperienza che sui fucili dei soldati. Fondan-

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do, quindi, la sua politica sul dissenso socialista e alle-vando nel suo seno le prime formazioni fasciste, il vec-chio di Dronero cominciò a incanalare il torrente turbi-noso verso altri sbocchi.

Le baronie rosse.Ma la realtà del paese era superiore a tutti i calcoli dei

politicanti. Un esercito sterminato di gente era libero daogni freno e deciso a affermarsi nel campo della politi-ca. Si produsse, cosí, quello che i primi scrittori fascistidefinirono il fenomeno delle baronie rosse, e che costi-tuí indubbiamente la prima forma di reazione del paesealla crisi dell'unitarismo socialista.

Infatti, quantunque l'unitarismo socialista fosse statogià distrutto all'epoca dell'occupazione delle fabbrichedalla vittoria riformista, l'unità formale del partito rima-neva ancora in piedi, ma, anziché essere elemento dicoordinazione degli sforzi collettivi, era d'impaccioall'ulteriore sviluppo della crisi.

Tanto piú che i fenomeni primigeni venivano accen-tuati da tale situazione di cose e, in attesa dell'atto di se-parazione, i dirigenti non trovavano di meglio che insi-stere nell'astrattismo rivoluzionario, anche per poterprendere posizione senza far eccessivi sforzi di com-prensione, nella divisione del bottino della tradizionesocialista.

Era naturale che i dirigenti locali, non trovando piúnell'accentuato astrattismo del centro la guida per l'azio-

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do, quindi, la sua politica sul dissenso socialista e alle-vando nel suo seno le prime formazioni fasciste, il vec-chio di Dronero cominciò a incanalare il torrente turbi-noso verso altri sbocchi.

Le baronie rosse.Ma la realtà del paese era superiore a tutti i calcoli dei

politicanti. Un esercito sterminato di gente era libero daogni freno e deciso a affermarsi nel campo della politi-ca. Si produsse, cosí, quello che i primi scrittori fascistidefinirono il fenomeno delle baronie rosse, e che costi-tuí indubbiamente la prima forma di reazione del paesealla crisi dell'unitarismo socialista.

Infatti, quantunque l'unitarismo socialista fosse statogià distrutto all'epoca dell'occupazione delle fabbrichedalla vittoria riformista, l'unità formale del partito rima-neva ancora in piedi, ma, anziché essere elemento dicoordinazione degli sforzi collettivi, era d'impaccioall'ulteriore sviluppo della crisi.

Tanto piú che i fenomeni primigeni venivano accen-tuati da tale situazione di cose e, in attesa dell'atto di se-parazione, i dirigenti non trovavano di meglio che insi-stere nell'astrattismo rivoluzionario, anche per poterprendere posizione senza far eccessivi sforzi di com-prensione, nella divisione del bottino della tradizionesocialista.

Era naturale che i dirigenti locali, non trovando piúnell'accentuato astrattismo del centro la guida per l'azio-

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ne pratica, si vedessero costretti a aderire assai pii stret-tamente alle varie realtà regionali.

Cosí accanto all'esperimento torinese dell'«OrdineNuovo» si videro le dittature romagnole e emiliane.

Si trattava in verità di fenomeni economici sociali epolitici assolutamente divergenti, che riuscivano a coesi-stere nello stesso partito soltanto perché mancava nelcentro e alla periferia la coscienza di tanta diversità.

È questo il primo nocciolo di sviluppo del fascismo.Essendo il fascismo una reazione borghese al bolsce-

vismo, non poteva nascere e prodursi se non nei luoghiove il bolscevismo maggiormente eccedeva come potereincontrollato di pochi individui, come dittatura non sol-tanto sulla borghesia ma altresí sul proletariato.

Solo cosí le due manifestazioni politiche possono in-tendersi come facce distinte del medesimo fenomeno,che è lo sforzo del popolo italiano di arrivare, attraversotentativi molteplici, a comprendere la necessità dialetti-ca dello Stato, e a fondarlo sulla maggior somma di in-teressi e di volontà.

Bolscevismo, gabinetto di coalizione e debolezza dello Stato.

Ma tuttavia il bolscevismo, spogliato delle costruzio-ni astratte degli organi direttivi, che non riuscirono quasimai a incarnarsi in fatti storici, non è del tutto quel feno-meno aberrante che la critica ha voluto far credere.

Esso indubbiamente costituí la prima forma di self-

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ne pratica, si vedessero costretti a aderire assai pii stret-tamente alle varie realtà regionali.

Cosí accanto all'esperimento torinese dell'«OrdineNuovo» si videro le dittature romagnole e emiliane.

Si trattava in verità di fenomeni economici sociali epolitici assolutamente divergenti, che riuscivano a coesi-stere nello stesso partito soltanto perché mancava nelcentro e alla periferia la coscienza di tanta diversità.

È questo il primo nocciolo di sviluppo del fascismo.Essendo il fascismo una reazione borghese al bolsce-

vismo, non poteva nascere e prodursi se non nei luoghiove il bolscevismo maggiormente eccedeva come potereincontrollato di pochi individui, come dittatura non sol-tanto sulla borghesia ma altresí sul proletariato.

Solo cosí le due manifestazioni politiche possono in-tendersi come facce distinte del medesimo fenomeno,che è lo sforzo del popolo italiano di arrivare, attraversotentativi molteplici, a comprendere la necessità dialetti-ca dello Stato, e a fondarlo sulla maggior somma di in-teressi e di volontà.

Bolscevismo, gabinetto di coalizione e debolezza dello Stato.

Ma tuttavia il bolscevismo, spogliato delle costruzio-ni astratte degli organi direttivi, che non riuscirono quasimai a incarnarsi in fatti storici, non è del tutto quel feno-meno aberrante che la critica ha voluto far credere.

Esso indubbiamente costituí la prima forma di self-

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government d'Italia, il primo tentativo da parte di massesconfinate di cittadini di permeare lo Stato italiano.

Se questo fenomeno, presentito da quasi tutte le cor-renti politiche italiane nel 1915, fosse stato compreso eincanalato, l'Italia avrebbe risparmiato tante agitazionisterili, e lo Stato ne sarebbe uscito enormemente rinfor-zato.

Ma lo Stato italiano è lo Stato dei pochi e lotta tuttoraper rimanere tale. Esso è uno squisito e sensibile organodi mediazione politica, di cui si servono ristretti gruppidi persone per mantenere in piedi interessi particolaristi-ci e parassitari. Si comprende benissimo che non potevacedere senza combattere. L'atto rivoluzionario divenivauna necessità.

Ma le masse che urgevano nelle piazze e nei circoliproletari anelando di affermarsi nella prassi della demo-crazia diretta non intuivano, né potevano intuire che ilPSI era l'organo del paternalismo riformista e della coo-perazione parassitaria, che si prestava a deviare la mareadal suo obiettivo.

Fu perciò che i ceti dirigenti in tre anni riuscirono,con puerili espedienti, a salvare lo Stato dai rivoluziona-ri.

Esso visse misero, cachettico, ignorato, e forse ap-punto perciò si salvò. Per lungo tempo abdicò perfino lefunzioni di polizia, le prime a nascere, le ultime a mori-re, credendo di potere cosí superare la crisi.

Ma, in effetto, esso si indeboliva sempre piú, perden-do, giorno per giorno, la sua ragione giuridica di essere.

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government d'Italia, il primo tentativo da parte di massesconfinate di cittadini di permeare lo Stato italiano.

Se questo fenomeno, presentito da quasi tutte le cor-renti politiche italiane nel 1915, fosse stato compreso eincanalato, l'Italia avrebbe risparmiato tante agitazionisterili, e lo Stato ne sarebbe uscito enormemente rinfor-zato.

Ma lo Stato italiano è lo Stato dei pochi e lotta tuttoraper rimanere tale. Esso è uno squisito e sensibile organodi mediazione politica, di cui si servono ristretti gruppidi persone per mantenere in piedi interessi particolaristi-ci e parassitari. Si comprende benissimo che non potevacedere senza combattere. L'atto rivoluzionario divenivauna necessità.

Ma le masse che urgevano nelle piazze e nei circoliproletari anelando di affermarsi nella prassi della demo-crazia diretta non intuivano, né potevano intuire che ilPSI era l'organo del paternalismo riformista e della coo-perazione parassitaria, che si prestava a deviare la mareadal suo obiettivo.

Fu perciò che i ceti dirigenti in tre anni riuscirono,con puerili espedienti, a salvare lo Stato dai rivoluziona-ri.

Esso visse misero, cachettico, ignorato, e forse ap-punto perciò si salvò. Per lungo tempo abdicò perfino lefunzioni di polizia, le prime a nascere, le ultime a mori-re, credendo di potere cosí superare la crisi.

Ma, in effetto, esso si indeboliva sempre piú, perden-do, giorno per giorno, la sua ragione giuridica di essere.

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Ciò avvenne perché la borghesia dirigente ebbe paurad'impiegarlo come organo di ristabilimento dell'ordineesteriore, e lasciò agli interessati di organizzare la pro-pria difesa con milizie private. Questa condotta riusci-rebbe assolutamente incomprensibile, se non fosse suffi-cientemente chiaro che la rappresentanza legale delloStato era ormai avulsa dalla realtà, e che nel frattempoera maturata nel paese una nuova borghesia, nemica siadel socialismo che del parlamentarismo, la quale spera-va compiere per suo conto una vera e propria rivoluzio-ne. La stranezza di questa condizione di cose era poi ag-gravata dal fatto che allo Stato nessuna forza poteva piúvenire dal parlamento per la semplice ragione che, attra-verso questo, tentava di ordinarsi e prevalere una nuovademocrazia.

Infatti, le rappresentanze parlamentari del PPI e laparte riformista del PSI dopo aver imposto la proporzio-nale, miravano apertamente a trarre tutte le altre conse-guenze del principio proporzionalistico sia nel campopolitico sia in quello amministrativo, cercando cosí diadeguare la nostra prassi costituzionale a quella delleborghesie piú evolute di Europa.

Attraverso questi sforzi parlamentari le rappresentan-ze politiche dei due piú numerosi partiti italiani, mentresi sforzavano di creare uno sbocco legale alla rivoluzio-ne vociante nelle piazze, speravano di consolidare i lorotrionfi postbellici con una nuova forma di legalità.

Ma in questo sforzo la nuova democrazia falliva com-pletamente per la resistenza accanita dei ceti dirigenti e

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Ciò avvenne perché la borghesia dirigente ebbe paurad'impiegarlo come organo di ristabilimento dell'ordineesteriore, e lasciò agli interessati di organizzare la pro-pria difesa con milizie private. Questa condotta riusci-rebbe assolutamente incomprensibile, se non fosse suffi-cientemente chiaro che la rappresentanza legale delloStato era ormai avulsa dalla realtà, e che nel frattempoera maturata nel paese una nuova borghesia, nemica siadel socialismo che del parlamentarismo, la quale spera-va compiere per suo conto una vera e propria rivoluzio-ne. La stranezza di questa condizione di cose era poi ag-gravata dal fatto che allo Stato nessuna forza poteva piúvenire dal parlamento per la semplice ragione che, attra-verso questo, tentava di ordinarsi e prevalere una nuovademocrazia.

Infatti, le rappresentanze parlamentari del PPI e laparte riformista del PSI dopo aver imposto la proporzio-nale, miravano apertamente a trarre tutte le altre conse-guenze del principio proporzionalistico sia nel campopolitico sia in quello amministrativo, cercando cosí diadeguare la nostra prassi costituzionale a quella delleborghesie piú evolute di Europa.

Attraverso questi sforzi parlamentari le rappresentan-ze politiche dei due piú numerosi partiti italiani, mentresi sforzavano di creare uno sbocco legale alla rivoluzio-ne vociante nelle piazze, speravano di consolidare i lorotrionfi postbellici con una nuova forma di legalità.

Ma in questo sforzo la nuova democrazia falliva com-pletamente per la resistenza accanita dei ceti dirigenti e

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la risultante dell'incrociarsi di tutte queste azioni e rea-zioni era sempre di carattere negativo: il perpetuarsi del-la dittatura giolittiana fino al terzo gabinetto Facta. Cosímentre i ceti dirigenti continuavano a rimanere aggrap-pati alla nuda forma, all'astrazione legale dello Stato, dicui non sapevano piú servirsi, la rivoluzione proletarianon riusciva né a prevalere nelle piazze e a spazzare gliultimi residui di un legalitarismo impotente, né a preva-lere nel parlamento per imporre una volta per sempre ilgabinetto di coalizione.

D'altra parte, le frazioni medio e piccolo borghesi,che avevano sempre costituito la base del regime, siestraniavano sempre piú dalla forma parlamentare, anzidivenivano nettamente antiparlamentariste, riproducen-do cosí in germe le insufficienze bolsceviche.

Lo stesso atto di negazione totale, che aveva cosí vi-vamente attratto le frazioni rivoluzionarie del proletaria-to, conquideva la piccola e la media borghesia, e il fa-scismo sorgeva come antibolscevismo dittatoriale.

Lo Stato di tutti, comica fictio juris, stava in mezzosenza sapere a chi doveva appoggiarsi: dopo aver invo-cato la legalità contro i bolscevichi non seppe imporla aifascisti quando questi dimostrarono di aver ereditato inpieno lo spirito dei loro avversari.

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la risultante dell'incrociarsi di tutte queste azioni e rea-zioni era sempre di carattere negativo: il perpetuarsi del-la dittatura giolittiana fino al terzo gabinetto Facta. Cosímentre i ceti dirigenti continuavano a rimanere aggrap-pati alla nuda forma, all'astrazione legale dello Stato, dicui non sapevano piú servirsi, la rivoluzione proletarianon riusciva né a prevalere nelle piazze e a spazzare gliultimi residui di un legalitarismo impotente, né a preva-lere nel parlamento per imporre una volta per sempre ilgabinetto di coalizione.

D'altra parte, le frazioni medio e piccolo borghesi,che avevano sempre costituito la base del regime, siestraniavano sempre piú dalla forma parlamentare, anzidivenivano nettamente antiparlamentariste, riproducen-do cosí in germe le insufficienze bolsceviche.

Lo stesso atto di negazione totale, che aveva cosí vi-vamente attratto le frazioni rivoluzionarie del proletaria-to, conquideva la piccola e la media borghesia, e il fa-scismo sorgeva come antibolscevismo dittatoriale.

Lo Stato di tutti, comica fictio juris, stava in mezzosenza sapere a chi doveva appoggiarsi: dopo aver invo-cato la legalità contro i bolscevichi non seppe imporla aifascisti quando questi dimostrarono di aver ereditato inpieno lo spirito dei loro avversari.

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La rivoluzione in marcia: il fascismo

Le origini.Frazionato e municipalizzato il movimento bolscevi-

co, ogni eventuale reazione non poteva essere che fra-zionaria e municipale.

La prima segreta origine del fascismo è dunque rura-le, anche perché l'Italia rurale è la realtà demograficapiú distante economicamente e spiritualmente dal movi-mento operaio. Era naturale che ivi l'opera antistorica eimpolitica dei baronetti rossi suscitasse la prima reazio-ne.

Di fronte allo Stato inerte e all'avversario incapace direalizzare il novus ordo, la borghesia fu spinta da ragio-ni meccaniche al combattimento. Non vi era altra via discampo che la difesa privata. Solo successivamente teo-rizzò il metodo e comprese che esso poteva essere ele-vato a sistema, ma a ciò contribuí, piú che altro, il suc-

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La rivoluzione in marcia: il fascismo

Le origini.Frazionato e municipalizzato il movimento bolscevi-

co, ogni eventuale reazione non poteva essere che fra-zionaria e municipale.

La prima segreta origine del fascismo è dunque rura-le, anche perché l'Italia rurale è la realtà demograficapiú distante economicamente e spiritualmente dal movi-mento operaio. Era naturale che ivi l'opera antistorica eimpolitica dei baronetti rossi suscitasse la prima reazio-ne.

Di fronte allo Stato inerte e all'avversario incapace direalizzare il novus ordo, la borghesia fu spinta da ragio-ni meccaniche al combattimento. Non vi era altra via discampo che la difesa privata. Solo successivamente teo-rizzò il metodo e comprese che esso poteva essere ele-vato a sistema, ma a ciò contribuí, piú che altro, il suc-

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cesso.Nel primo momento invece la reazione fu soltanto fi-

sica, e dipese, piú che altro, dall'astrattismo rivoluziona-rio degli avversari.

Fu tale astrattismo che, provocando una forte com-pressione sui ceti medi, li alienò dal mito rivoluzionarioe li spinse sempre piú nelle braccia della reazione.

Infatti sollecitato da un falso concetto dell'internazio-nalismo e piú ancora dai relitti del neutralismo, il bol-scevismo italiano credette di poter impunemente negarela guerra e i sentimenti di coloro che vi avevano parteci-pato, senza tener presente che questi erano in generale iproletari delle città o delle campagne, e che un'azione ri-voluzionaria non poteva prescindere, cosí come era av-venuto in Russia, dalle forze armate del paese.

Premuta tra questa formazione cosí abnorme, quale fuil bolscevismo, e la resistenza dell'alta borghesia indu-striale, desiderosa di sottrarsi alle conseguenze econo-miche della guerra, la piccola borghesia aderiva ancoraal contenuto politico e economico dello Stato. La suapsicologia era ancora imperniata sul concetto della dife-sa dell'ordine sociale e della valutazione della vittoriamilitare, cui essa aveva potentemente contribuito for-nendo i quadri degli ufficiali subalterni.

D'altra parte, il massimalismo socialista non avevafatto niente per comprenderne gli interessi nel suo tenta-tivo di ricostruzione. Mentre in Russia Lenin aveva ade-rito alla realtà economica del paese, non insistendo piúsul concetto astratto della socializzazione della terra, in

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cesso.Nel primo momento invece la reazione fu soltanto fi-

sica, e dipese, piú che altro, dall'astrattismo rivoluziona-rio degli avversari.

Fu tale astrattismo che, provocando una forte com-pressione sui ceti medi, li alienò dal mito rivoluzionarioe li spinse sempre piú nelle braccia della reazione.

Infatti sollecitato da un falso concetto dell'internazio-nalismo e piú ancora dai relitti del neutralismo, il bol-scevismo italiano credette di poter impunemente negarela guerra e i sentimenti di coloro che vi avevano parteci-pato, senza tener presente che questi erano in generale iproletari delle città o delle campagne, e che un'azione ri-voluzionaria non poteva prescindere, cosí come era av-venuto in Russia, dalle forze armate del paese.

Premuta tra questa formazione cosí abnorme, quale fuil bolscevismo, e la resistenza dell'alta borghesia indu-striale, desiderosa di sottrarsi alle conseguenze econo-miche della guerra, la piccola borghesia aderiva ancoraal contenuto politico e economico dello Stato. La suapsicologia era ancora imperniata sul concetto della dife-sa dell'ordine sociale e della valutazione della vittoriamilitare, cui essa aveva potentemente contribuito for-nendo i quadri degli ufficiali subalterni.

D'altra parte, il massimalismo socialista non avevafatto niente per comprenderne gli interessi nel suo tenta-tivo di ricostruzione. Mentre in Russia Lenin aveva ade-rito alla realtà economica del paese, non insistendo piúsul concetto astratto della socializzazione della terra, in

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Italia si lasciava intendere che l'espropriazione anchedelle piccole quote sarebbe stata un fatto compiuto.

Veramente scarse furono in questo periodo le affer-mazioni programmatiche ufficiali del Partito socialista,forse perché ogni aspetto del movimento era diretto acopiare pedestremente quello russo. Ma quest'assenza dipensiero ufficiale, autorizzando le piú assurde e giacobi-ne manifestazioni di gregari, rese sempre piú possibilel'accentuarsi del distacco tra i rivoluzionari e le classimedie e rinforzò la tendenza di queste ultime a resistereall'azione dei primi.

La piccola borghesia si stacca dallo Stato.Tuttavia il malcontento piccolo borghese per le vicen-

de italiane si esplicò in sordina, sia perché la insurrezio-ne del fenomeno bolscevico era stata cosí violenta chenessuno voleva rischiare l'avvenire, sia perché si aspet-tava sempre l'azione correttrice dello Stato, di cui i pic-coli borghesi reputavano di essere base e milizia.

Ma lo Stato italiano era ormai cosí svuotato di conte-nuto che, fino a quando i piccoli borghesi ne invocaronol'azione legale, ebbe paura di muoversi, perché suppone-va il processo di bolscevizzazione piú imponente diquello che, in effetti, era, e, quando i piccoli borghesi sidecisero a agire direttamente, non poté intervenire pernon riuscire di vantaggio ai suoi nemici.

Fu durante questo periodo che si operò il distacco de-cisivo della piccola borghesia dallo Stato, che rimase un

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Italia si lasciava intendere che l'espropriazione anchedelle piccole quote sarebbe stata un fatto compiuto.

Veramente scarse furono in questo periodo le affer-mazioni programmatiche ufficiali del Partito socialista,forse perché ogni aspetto del movimento era diretto acopiare pedestremente quello russo. Ma quest'assenza dipensiero ufficiale, autorizzando le piú assurde e giacobi-ne manifestazioni di gregari, rese sempre piú possibilel'accentuarsi del distacco tra i rivoluzionari e le classimedie e rinforzò la tendenza di queste ultime a resistereall'azione dei primi.

La piccola borghesia si stacca dallo Stato.Tuttavia il malcontento piccolo borghese per le vicen-

de italiane si esplicò in sordina, sia perché la insurrezio-ne del fenomeno bolscevico era stata cosí violenta chenessuno voleva rischiare l'avvenire, sia perché si aspet-tava sempre l'azione correttrice dello Stato, di cui i pic-coli borghesi reputavano di essere base e milizia.

Ma lo Stato italiano era ormai cosí svuotato di conte-nuto che, fino a quando i piccoli borghesi ne invocaronol'azione legale, ebbe paura di muoversi, perché suppone-va il processo di bolscevizzazione piú imponente diquello che, in effetti, era, e, quando i piccoli borghesi sidecisero a agire direttamente, non poté intervenire pernon riuscire di vantaggio ai suoi nemici.

Fu durante questo periodo che si operò il distacco de-cisivo della piccola borghesia dallo Stato, che rimase un

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puro nomen juris, e nacque il fascismo con carattere ri-voluzionario.

Numerose classi di cittadini, fin'allora rimaste immo-bili, vennero risolutamente spinte sul terreno rivoluzio-nario, e, deluse dall'azione statale, assorbirono rapida-mente tutta la retorica antiparlamentare nazionalista, so-gnando ritorni dittatoriali.

Il fascismo contro lo Stato.In verità, per queste origini e per queste cause si po-

sero fin da questo momento i caratteri piú sostanziali delfascismo, e cioè la concezione che il parlamento sia cau-sa di rovina per i popoli, e l'illusione che l'istituto possasuperarsi con forme di rappresentanza plebiscitaria.

Cosí mentre da una parte le forze conservatrici incap-sulate nel PSI si avviavano lentamente a disintegrarsidal bolscevismo per adempiere la loro missione, le po-che forze di conservazione borghese si alienarono dalloStato, elaborando dottrine antidemocratiche e antiparla-mentari. Ma questa fase fu di breve durata perché laneutralità dello Stato italiano nei conflitti di piazza di-venne fatalmente appoggio palese, se non dello Statocome ente, per lo meno dei singoli organi statali, e l'esi-to fortunato delle prime azioni fasciste determinò il rapi-do apporto di numerose forze antibolsceviche alla causadella reazione.

Sotto la spinta degli avvenimenti e la pressione dellanuova psicologia delle masse, il fascismo modificò le

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puro nomen juris, e nacque il fascismo con carattere ri-voluzionario.

Numerose classi di cittadini, fin'allora rimaste immo-bili, vennero risolutamente spinte sul terreno rivoluzio-nario, e, deluse dall'azione statale, assorbirono rapida-mente tutta la retorica antiparlamentare nazionalista, so-gnando ritorni dittatoriali.

Il fascismo contro lo Stato.In verità, per queste origini e per queste cause si po-

sero fin da questo momento i caratteri piú sostanziali delfascismo, e cioè la concezione che il parlamento sia cau-sa di rovina per i popoli, e l'illusione che l'istituto possasuperarsi con forme di rappresentanza plebiscitaria.

Cosí mentre da una parte le forze conservatrici incap-sulate nel PSI si avviavano lentamente a disintegrarsidal bolscevismo per adempiere la loro missione, le po-che forze di conservazione borghese si alienarono dalloStato, elaborando dottrine antidemocratiche e antiparla-mentari. Ma questa fase fu di breve durata perché laneutralità dello Stato italiano nei conflitti di piazza di-venne fatalmente appoggio palese, se non dello Statocome ente, per lo meno dei singoli organi statali, e l'esi-to fortunato delle prime azioni fasciste determinò il rapi-do apporto di numerose forze antibolsceviche alla causadella reazione.

Sotto la spinta degli avvenimenti e la pressione dellanuova psicologia delle masse, il fascismo modificò le

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sue pretese dottrinarie e svuotò il cosí detto programmadi tutte le imbottiture bolsceviche.

Queste imbottiture create nel 1919 per fare la concor-renza al movimento rivoluzionario rosso erano divenuteingombranti, e ormai occorreva liberarsene: ultimo attodi questa conversione programmatica fu la rinunzia allatendenzialità repubblicana.

Dopo di ciò le due frazioni interventiste avvicinatedal compito antigiolittiano si misero facilmente d'accor-do sulla base della distruzione dello Stato parlamentare,per creare quello che venne chiamato, con uno sconcioverbale, lo «Stato fascista».

Infatti durante questo periodo tutti parlavano con en-tusiasmo di questo feticcio. Mussolini credeva definirloquando affermava che esso attacca mentre lo Stato libe-rale si difende, ma nessuno ha mai capito che cosa siaquesto Stato fascista, inventato in una notte di ebbrezzada una redazione giornalistica e agitato come un fanta-sma contro lo Stato prodotto dalla filosofia liberale.Come sempre, i rivoluzionari invece di preoccuparsi diun'antitesi storica (Stato liberale contro Stato italiano)ebbero la stolta superbia di inventare un'antitesi idealeinesistente.

Primi tentativi antifascisti.Naturalmente, a mano a mano che la formazione fa-

scista si ingrossava e il suo attacco, non piú al bolscevi-smo ma allo Stato italiano, si accentuava, le altre frazio-

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sue pretese dottrinarie e svuotò il cosí detto programmadi tutte le imbottiture bolsceviche.

Queste imbottiture create nel 1919 per fare la concor-renza al movimento rivoluzionario rosso erano divenuteingombranti, e ormai occorreva liberarsene: ultimo attodi questa conversione programmatica fu la rinunzia allatendenzialità repubblicana.

Dopo di ciò le due frazioni interventiste avvicinatedal compito antigiolittiano si misero facilmente d'accor-do sulla base della distruzione dello Stato parlamentare,per creare quello che venne chiamato, con uno sconcioverbale, lo «Stato fascista».

Infatti durante questo periodo tutti parlavano con en-tusiasmo di questo feticcio. Mussolini credeva definirloquando affermava che esso attacca mentre lo Stato libe-rale si difende, ma nessuno ha mai capito che cosa siaquesto Stato fascista, inventato in una notte di ebbrezzada una redazione giornalistica e agitato come un fanta-sma contro lo Stato prodotto dalla filosofia liberale.Come sempre, i rivoluzionari invece di preoccuparsi diun'antitesi storica (Stato liberale contro Stato italiano)ebbero la stolta superbia di inventare un'antitesi idealeinesistente.

Primi tentativi antifascisti.Naturalmente, a mano a mano che la formazione fa-

scista si ingrossava e il suo attacco, non piú al bolscevi-smo ma allo Stato italiano, si accentuava, le altre frazio-

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ni politiche tentavano schierarsi in funzione di conser-vazione.

È questo un momento assai delicato nel giuoco dialet-tico dello sviluppo fascista perché a varie riprese vienetentato il fronte unico antifascista intorno a uomini cosídetti liberali, come De Nicola e Orlando – specialmenteintorno al primo – fronte unico che non riesce, oltre cheper l'insufficienza politica dei designati, anche perchérapidamente emerge l'equivoco che dovrebbe presidiar-lo.

Infatti, esisteva una profonda antitesi tra i vari gruppiche avrebbero dovuto contribuire a formare il ministerodi sinistra, perché mentre il giolittismo, dopo aver scate-nato il fascismo per salvare il regime, voleva giovarsidelle sinistre per salvare se stesso, queste ultime inten-devano sfociare in una forma di Stato ove il dominio delparlamento si affermasse incontrastato, anche contro ta-lune prerogative costituzionali della corona, e, perciò,implicitamente si rendevano incompatibili col piú inti-mo contenuto del giolittismo stesso.

Specialmente i popolari, sotto la guida di Sturzo, era-no pervasi da questa idea fondamentale, che animava laloro politica. Essi, col comprendere nel loro programmale tesi sul decentramento, avevano accesa una vasta ipo-teca sul Mezzogiorno e non erano disposti a essere con-servatori al centro quando facevano tanto affidamentosull'azione rivoluzionaria alla periferia.

Mirando a realizzare intero il loro programma nonpotevano permettere che le loro fortune elettorali servis-

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ni politiche tentavano schierarsi in funzione di conser-vazione.

È questo un momento assai delicato nel giuoco dialet-tico dello sviluppo fascista perché a varie riprese vienetentato il fronte unico antifascista intorno a uomini cosídetti liberali, come De Nicola e Orlando – specialmenteintorno al primo – fronte unico che non riesce, oltre cheper l'insufficienza politica dei designati, anche perchérapidamente emerge l'equivoco che dovrebbe presidiar-lo.

Infatti, esisteva una profonda antitesi tra i vari gruppiche avrebbero dovuto contribuire a formare il ministerodi sinistra, perché mentre il giolittismo, dopo aver scate-nato il fascismo per salvare il regime, voleva giovarsidelle sinistre per salvare se stesso, queste ultime inten-devano sfociare in una forma di Stato ove il dominio delparlamento si affermasse incontrastato, anche contro ta-lune prerogative costituzionali della corona, e, perciò,implicitamente si rendevano incompatibili col piú inti-mo contenuto del giolittismo stesso.

Specialmente i popolari, sotto la guida di Sturzo, era-no pervasi da questa idea fondamentale, che animava laloro politica. Essi, col comprendere nel loro programmale tesi sul decentramento, avevano accesa una vasta ipo-teca sul Mezzogiorno e non erano disposti a essere con-servatori al centro quando facevano tanto affidamentosull'azione rivoluzionaria alla periferia.

Mirando a realizzare intero il loro programma nonpotevano permettere che le loro fortune elettorali servis-

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sero al giolittismo per salvarsi.Ciò spiega perché la designazione piú spontanea delle

sinistre era per F. S. Nitti, la cui decisa personalità, se ri-produceva nel campo economico e sociale l'intrinsecocontenuto del giolittismo, era però disposta a romperneil dominio nel campo politico-istituzionale.

Ma questa designazione, profondamente invisa alleformazioni filofasciste, e perciò di difficile attuazionepratica, riusciva altresí ostile alle vecchie classi dirigen-ti, che intuivano facilmente che il giovane presidente delConsiglio avrebbe potentemente contribuito a liquidarle,agevolando le nuove forze di conservazione elaboratedal socialismo unitario e dal popolarismo.

Quindi ogni possibilità di soluzione dell'insolubileproblema ripiegava sul nome di Giovanni Giolitti: ilquale, però, avendo visto fallito il tentativo antisociali-sta e antipopolare fatto con l'elezioni del 1921, era co-stretto a riprendere i suoi propositi trasformisti attraver-so l'accordo con le sinistre.

Si comprende agevolmente che a tale tentativo spe-cialmente i popolari non si potessero prestare.

Bisogna riconoscere che nei riguardi del giolittismo ilcapo dei popolari, Luigi Sturzo, ha esercitato una azionerivoluzionaria di primissimo ordine. Forse egli era lusin-gato dall'idea di poter debellare il trasformismo e i cetiche lo sostenevano senza interrompere la tradizione co-stituzionale, anzi allargandone l'imperio, ma, anche se intale calcolo gli avvenimenti furono piú forti di lui e lodisillusero, è certo che la coerenza logica di questa poli-

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sero al giolittismo per salvarsi.Ciò spiega perché la designazione piú spontanea delle

sinistre era per F. S. Nitti, la cui decisa personalità, se ri-produceva nel campo economico e sociale l'intrinsecocontenuto del giolittismo, era però disposta a romperneil dominio nel campo politico-istituzionale.

Ma questa designazione, profondamente invisa alleformazioni filofasciste, e perciò di difficile attuazionepratica, riusciva altresí ostile alle vecchie classi dirigen-ti, che intuivano facilmente che il giovane presidente delConsiglio avrebbe potentemente contribuito a liquidarle,agevolando le nuove forze di conservazione elaboratedal socialismo unitario e dal popolarismo.

Quindi ogni possibilità di soluzione dell'insolubileproblema ripiegava sul nome di Giovanni Giolitti: ilquale, però, avendo visto fallito il tentativo antisociali-sta e antipopolare fatto con l'elezioni del 1921, era co-stretto a riprendere i suoi propositi trasformisti attraver-so l'accordo con le sinistre.

Si comprende agevolmente che a tale tentativo spe-cialmente i popolari non si potessero prestare.

Bisogna riconoscere che nei riguardi del giolittismo ilcapo dei popolari, Luigi Sturzo, ha esercitato una azionerivoluzionaria di primissimo ordine. Forse egli era lusin-gato dall'idea di poter debellare il trasformismo e i cetiche lo sostenevano senza interrompere la tradizione co-stituzionale, anzi allargandone l'imperio, ma, anche se intale calcolo gli avvenimenti furono piú forti di lui e lodisillusero, è certo che la coerenza logica di questa poli-

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tica e la dirittura con cui fu condotta contribuirono po-tentemente alla distruzione del trasformismo giolittiano,obbligando i ceti dirigenti a entrare nel giuoco rivolu-zionario, in cui è fatale che siano irrimediabilmente bat-tuti.

Cosí falli l'ultimo tentativo conservatore del vecchioregime.

La materia era sorda e invano il vecchio di Dronero siaffaccendò nelle pratiche cosí dette demiurgiche, siaquando tentò galvanizzare i moribondi suoi seguaci neiblocchi nazionali, sia quando il fascismo trionfantes'illuse di poter riordinare le forze della rivoluzione co-stituzionale battute nella piazza.

Ormai il giolittismo era sconfitto e il dilemma che siimponeva era: o l'avventura fascista o la democraziaparlamentare.

Messi finalmente alle strette, non potendo piú far levasugli uomini di paglia del liberalismo trasformista, i cetidirigenti non esitarono a scegliere il primo corno del di-lemma, sperando di trovare in Benito Mussolini il nuo-vo dominatore della vita pubblica italiana.

Il fascismo partito di maggioranza.A questo punto cominciò il trasformismo del duce del

fascismo e l'accostamento del regime al nuovo astro.Anzitutto gli industriali, incoraggiati dalle prime ope-

razioni punitive che avevano gettato il panico nelle mas-se bolsceviche e avevano svelato l'insufficienza rivolu-

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tica e la dirittura con cui fu condotta contribuirono po-tentemente alla distruzione del trasformismo giolittiano,obbligando i ceti dirigenti a entrare nel giuoco rivolu-zionario, in cui è fatale che siano irrimediabilmente bat-tuti.

Cosí falli l'ultimo tentativo conservatore del vecchioregime.

La materia era sorda e invano il vecchio di Dronero siaffaccendò nelle pratiche cosí dette demiurgiche, siaquando tentò galvanizzare i moribondi suoi seguaci neiblocchi nazionali, sia quando il fascismo trionfantes'illuse di poter riordinare le forze della rivoluzione co-stituzionale battute nella piazza.

Ormai il giolittismo era sconfitto e il dilemma che siimponeva era: o l'avventura fascista o la democraziaparlamentare.

Messi finalmente alle strette, non potendo piú far levasugli uomini di paglia del liberalismo trasformista, i cetidirigenti non esitarono a scegliere il primo corno del di-lemma, sperando di trovare in Benito Mussolini il nuo-vo dominatore della vita pubblica italiana.

Il fascismo partito di maggioranza.A questo punto cominciò il trasformismo del duce del

fascismo e l'accostamento del regime al nuovo astro.Anzitutto gli industriali, incoraggiati dalle prime ope-

razioni punitive che avevano gettato il panico nelle mas-se bolsceviche e avevano svelato l'insufficienza rivolu-

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zionaria dei dirigenti socialisti, spinti dalla loro mentali-tà feudale, che considera i loro interessi degni di prote-zione anche a discapito degli interessi altrui, decisero difinanziare il movimento per sfruttarne almeno i primieffetti di compressione.

A niente valse che fin d'allora scrittori lungimiranti,come il Salvatorelli, lanciassero il loro grido di allarmecontro questa stolta illusione dei capitalisti nostrani, aniente valse che il pericolo del sovversivismo tricolorevenisse prospettato con colori vivaci: gli industriali nonintendevano il problema se non da un punto di vistastrettamente materiale, si potrebbe anzi dire in funzionedi vendetta.

Basta tener presente la recente polemica Einaudi-Confederazione generale dell'industria per rilevarequanta incoscienza presidi tuttora i calcoli politici dellamaggior parte degli industriali italiani.

Cosí il movimento fascista, sorto nel 1919 in concor-renza alla rivoluzione bolscevica, con programma rivo-luzionario e antiplutocratico, nel 1921-22 si lasciò in-capsulare dagli interessi capitalistici. Il «Popolo d'Italia»divenne organo dei «produttori italiani» per poi, a manoa mano che il trasformismo mussoliniano progrediva,far scomparire anche questa etichetta e rimanere organopersonale del suo fondatore.

Sovvenzionato dagli industriali, il movimento fascistasi sviluppò rapidamente e trovò aiuti insperati dovun-que. La mancanza di qualsiasi idea dello Stato anche incoloro che rivestivano le cariche statali piú alte, il tradi-

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zionaria dei dirigenti socialisti, spinti dalla loro mentali-tà feudale, che considera i loro interessi degni di prote-zione anche a discapito degli interessi altrui, decisero difinanziare il movimento per sfruttarne almeno i primieffetti di compressione.

A niente valse che fin d'allora scrittori lungimiranti,come il Salvatorelli, lanciassero il loro grido di allarmecontro questa stolta illusione dei capitalisti nostrani, aniente valse che il pericolo del sovversivismo tricolorevenisse prospettato con colori vivaci: gli industriali nonintendevano il problema se non da un punto di vistastrettamente materiale, si potrebbe anzi dire in funzionedi vendetta.

Basta tener presente la recente polemica Einaudi-Confederazione generale dell'industria per rilevarequanta incoscienza presidi tuttora i calcoli politici dellamaggior parte degli industriali italiani.

Cosí il movimento fascista, sorto nel 1919 in concor-renza alla rivoluzione bolscevica, con programma rivo-luzionario e antiplutocratico, nel 1921-22 si lasciò in-capsulare dagli interessi capitalistici. Il «Popolo d'Italia»divenne organo dei «produttori italiani» per poi, a manoa mano che il trasformismo mussoliniano progrediva,far scomparire anche questa etichetta e rimanere organopersonale del suo fondatore.

Sovvenzionato dagli industriali, il movimento fascistasi sviluppò rapidamente e trovò aiuti insperati dovun-que. La mancanza di qualsiasi idea dello Stato anche incoloro che rivestivano le cariche statali piú alte, il tradi-

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zionale spirito di avventura di uomini politici investitidelle cure del governo, in concorrenza con l'abbassa-mento del costume politico che aveva reso possibilel'ascensione alle alte cariche degli ultimi venuti, rende-vano possibile ogni specie di avventure, e non pochi fu-rono i funzionari statali che negoziarono per proprioconto i telegrafi o le ferrovie ai trionfatori del momento,nella speranza di riuscire benemeriti al nuovo regime.Né minor ausilio raccolse la sedizione fra i ceti militari,specialmente nel campo degli ufficiali silurati o conge-dati, che mal potevano rassegnarsi alla vita del riposo,mediocre e incolore.

Costoro si gettarono nei pericoli della guerra civilecon slancio, lieti di avere delle truppe da comandare, de-gli ordini da eseguire, delle trincee da espugnare, tantopiú lieti quanto meno il pericolo bellico esisteva, spe-cialmente, in confronto ai rischi della guerra recente-mente combattuta.

Ma l'apporto maggiore al movimento fascista fu datopiú che dai combattenti dai postcombattenti, dalle cosid-dette generazioni della guerra, cioè dai giovanissimi chealla guerra non avevano partecipato, ma che, essendousciti di pubertà in quel periodo, avevano succhiatonell'ambiente saturo tutte le esaltazioni e i veleni dellaguerra. Questi giovani, non conoscendo per esperienzadiretta i dolori e gli orrori dei combattimenti, avevanoassorbito dalla psicosi bellica soltanto la parte romanti-ca, l'amore indifferenziato per la patria, l'esaltazione im-perialista oltre ogni limite di concretezza, la passione

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zionale spirito di avventura di uomini politici investitidelle cure del governo, in concorrenza con l'abbassa-mento del costume politico che aveva reso possibilel'ascensione alle alte cariche degli ultimi venuti, rende-vano possibile ogni specie di avventure, e non pochi fu-rono i funzionari statali che negoziarono per proprioconto i telegrafi o le ferrovie ai trionfatori del momento,nella speranza di riuscire benemeriti al nuovo regime.Né minor ausilio raccolse la sedizione fra i ceti militari,specialmente nel campo degli ufficiali silurati o conge-dati, che mal potevano rassegnarsi alla vita del riposo,mediocre e incolore.

Costoro si gettarono nei pericoli della guerra civilecon slancio, lieti di avere delle truppe da comandare, de-gli ordini da eseguire, delle trincee da espugnare, tantopiú lieti quanto meno il pericolo bellico esisteva, spe-cialmente, in confronto ai rischi della guerra recente-mente combattuta.

Ma l'apporto maggiore al movimento fascista fu datopiú che dai combattenti dai postcombattenti, dalle cosid-dette generazioni della guerra, cioè dai giovanissimi chealla guerra non avevano partecipato, ma che, essendousciti di pubertà in quel periodo, avevano succhiatonell'ambiente saturo tutte le esaltazioni e i veleni dellaguerra. Questi giovani, non conoscendo per esperienzadiretta i dolori e gli orrori dei combattimenti, avevanoassorbito dalla psicosi bellica soltanto la parte romanti-ca, l'amore indifferenziato per la patria, l'esaltazione im-perialista oltre ogni limite di concretezza, la passione

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per le avventure e le decorazioni, di modo che credette-ro trovare nella riproduzione artificiale del fenomenol'atmosfera da essi sognata nelle romanticherie della pri-ma giovinezza.

Questa psicosi spiega perché la fase eroica del fasci-smo fu puramente squadrista e non politica, perché, an-che dopo l'avvento al potere, il fascismo pretese essereancora e sempre squadrismo, e di esso la frazione piúgiacobinamente vivace fu quella che mai si seppe di-staccare dalla pratica della violenza.

Ma, appunto perciò, si poté compiere quella colossaleconvergenza di forze sul fascismo che nell'ottobre del1922 rese possibile la marcia su Roma.

Se il fascismo fosse stato un movimento politico con-creto con ideologie e propositi definiti, guidato da sele-zionati dirigenti e prodotto, non dall'immaturità di gene-razioni ultime, che allora solo prendevano contatto conorganizzazioni cosí delicate come quelle collettive, madalla maturazione di vere e proprie nuove formazionipolitiche, non sarebbe avvenuta quella colossale conver-sione di forze che ammirammo nel 1922, perché nessu-no dei vecchi ceti avrebbe potuto sperare di impadronir-si del movimento per finalità proprie.

In tale ipotesi il fascismo non sarebbe andato a Roma,ma ci avrebbe dato un tipo di partito conservatore a ca-rattere moderno, che avrebbe notevolmente contribuitoalla normalizzazione della vita pubblica italiana.

Ma nessuno può pensare di modificare la storia, eperciò nuove sorprese dovevano essere riservate all'Ita-

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per le avventure e le decorazioni, di modo che credette-ro trovare nella riproduzione artificiale del fenomenol'atmosfera da essi sognata nelle romanticherie della pri-ma giovinezza.

Questa psicosi spiega perché la fase eroica del fasci-smo fu puramente squadrista e non politica, perché, an-che dopo l'avvento al potere, il fascismo pretese essereancora e sempre squadrismo, e di esso la frazione piúgiacobinamente vivace fu quella che mai si seppe di-staccare dalla pratica della violenza.

Ma, appunto perciò, si poté compiere quella colossaleconvergenza di forze sul fascismo che nell'ottobre del1922 rese possibile la marcia su Roma.

Se il fascismo fosse stato un movimento politico con-creto con ideologie e propositi definiti, guidato da sele-zionati dirigenti e prodotto, non dall'immaturità di gene-razioni ultime, che allora solo prendevano contatto conorganizzazioni cosí delicate come quelle collettive, madalla maturazione di vere e proprie nuove formazionipolitiche, non sarebbe avvenuta quella colossale conver-sione di forze che ammirammo nel 1922, perché nessu-no dei vecchi ceti avrebbe potuto sperare di impadronir-si del movimento per finalità proprie.

In tale ipotesi il fascismo non sarebbe andato a Roma,ma ci avrebbe dato un tipo di partito conservatore a ca-rattere moderno, che avrebbe notevolmente contribuitoalla normalizzazione della vita pubblica italiana.

Ma nessuno può pensare di modificare la storia, eperciò nuove sorprese dovevano essere riservate all'Ita-

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lia.

Il fascismo e il proletariato.Infatti il movimento fascista cominciò ben presto a

estendersi anche nel campo proletario. Specialmentenella bassa valle padana la conversione delle leghe rosseal fascismo si susseguí con un crescendo spaventoso.Costrette dall'offensiva bellica, sollecitate dalla disoccu-pazione incalzante, rese piú sensibili alla politica da unventennio di parassitismo statale, queste leghe dovetterorisolvere ancora una volta il problema della zuppa quoti-diana attraverso la politica e come avevano fatto allegra-mente il socialismo all'epoca dei governi democratici, siaffrettarono a fare il fascismo all'epoca del governo anti-democratico.

Cosí l'immaturità di questi proletari, cui due anni pri-ma il Partito socialista aveva preteso affidare le sortidella rivoluzione, permise ai sociologi del littorio dipronosticare la fine della lotta e la collaborazione delleclassi, e alla piccola borghesia di accettare questa tera-pia con la credulità di femminucce erudite dal ciarlata-no.

Concludendo, il Partito fascista, alla vigilia della mar-cia su Roma, si presentava come un amalgama informedi forze discordanti e contraddittorie, tenute insieme dalprestigio personale di un uomo, che, nella immaturitàgenerale del paese, era riuscito a carpire a quasi tutti iceti una cambiale di fiducia.

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lia.

Il fascismo e il proletariato.Infatti il movimento fascista cominciò ben presto a

estendersi anche nel campo proletario. Specialmentenella bassa valle padana la conversione delle leghe rosseal fascismo si susseguí con un crescendo spaventoso.Costrette dall'offensiva bellica, sollecitate dalla disoccu-pazione incalzante, rese piú sensibili alla politica da unventennio di parassitismo statale, queste leghe dovetterorisolvere ancora una volta il problema della zuppa quoti-diana attraverso la politica e come avevano fatto allegra-mente il socialismo all'epoca dei governi democratici, siaffrettarono a fare il fascismo all'epoca del governo anti-democratico.

Cosí l'immaturità di questi proletari, cui due anni pri-ma il Partito socialista aveva preteso affidare le sortidella rivoluzione, permise ai sociologi del littorio dipronosticare la fine della lotta e la collaborazione delleclassi, e alla piccola borghesia di accettare questa tera-pia con la credulità di femminucce erudite dal ciarlata-no.

Concludendo, il Partito fascista, alla vigilia della mar-cia su Roma, si presentava come un amalgama informedi forze discordanti e contraddittorie, tenute insieme dalprestigio personale di un uomo, che, nella immaturitàgenerale del paese, era riuscito a carpire a quasi tutti iceti una cambiale di fiducia.

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Quest'amalgama pretendeva tener insieme, in nomedel mito della nazione, interessi proletari e interessi pa-dronali, produttori e parassiti, rivoluzionari e trasformi-sti, mediandoli successivamente e contraddittoriamenteper mantenere in piedi una esigua e inconcludente schie-ra di ex socialisti rivoluzionari, scettici e cinici, assolu-tamente incapaci di risolvere il problema italiano appun-to per la loro origine barricadiera.

La marcia su Roma.Ma il regime era ormai ridotto allo stremo e non era il

caso di sottilizzare. Il giolittismo era battuto e non si po-teva farlo risorgere. Non vi era alcuna ancora di salvez-za. Occorreva impadronirsi della nuova formazione, puravendo la vaga sensazione dei pericoli che si correvano.

D'altronde i fascisti erano intransigenti a chiacchieree Mussolini comprendeva che un momento simile non sisarebbe piú ripresentato. Se egli avesse dovuto ritardareper coinvolgere il regime nella caduta del giolittismo,avrebbe potuto vedersi sfuggire di mano la manovra.D'altra parte, chi poteva conoscere di quali forze dispo-nesse ancora la corona, chi poteva prevedere quali risul-tati avrebbe prodotto una presa di posizione contro lamonarchia? Avrebbero ancora le classi dirigenti conti-nuato a vedere nel fascismo il salvatore dell'Italia dalbolscevismo o piuttosto non avrebbero finito per accor-gersi che esso ne era diventato l'erede?

La cosiddetta rivoluzione, dunque, doveva essere mo-

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Quest'amalgama pretendeva tener insieme, in nomedel mito della nazione, interessi proletari e interessi pa-dronali, produttori e parassiti, rivoluzionari e trasformi-sti, mediandoli successivamente e contraddittoriamenteper mantenere in piedi una esigua e inconcludente schie-ra di ex socialisti rivoluzionari, scettici e cinici, assolu-tamente incapaci di risolvere il problema italiano appun-to per la loro origine barricadiera.

La marcia su Roma.Ma il regime era ormai ridotto allo stremo e non era il

caso di sottilizzare. Il giolittismo era battuto e non si po-teva farlo risorgere. Non vi era alcuna ancora di salvez-za. Occorreva impadronirsi della nuova formazione, puravendo la vaga sensazione dei pericoli che si correvano.

D'altronde i fascisti erano intransigenti a chiacchieree Mussolini comprendeva che un momento simile non sisarebbe piú ripresentato. Se egli avesse dovuto ritardareper coinvolgere il regime nella caduta del giolittismo,avrebbe potuto vedersi sfuggire di mano la manovra.D'altra parte, chi poteva conoscere di quali forze dispo-nesse ancora la corona, chi poteva prevedere quali risul-tati avrebbe prodotto una presa di posizione contro lamonarchia? Avrebbero ancora le classi dirigenti conti-nuato a vedere nel fascismo il salvatore dell'Italia dalbolscevismo o piuttosto non avrebbero finito per accor-gersi che esso ne era diventato l'erede?

La cosiddetta rivoluzione, dunque, doveva essere mo-

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narchica o non essere. Non vi era altra via, e Mussolinida buon tattico lo comprese a tempo.

Però, anche dopo l'insurrezione armata, la coronaebbe taluni scrupoli costituzionali, tanto vero che la pri-ma designazione non fu per Mussolini, ma per Salandra.

Ma, chiarite nella notte fatale le preoccupazioni dina-stiche e dimostrato piú chiaramente lo spirito legittimi-sta del duce, questi venne incaricato della formazionedel nuovo gabinetto, che seguendo la tradizione italianafu nella forma esteriore di pura coalizione.

A questo punto tutti respirarono; la rivoluzione avevaraggiunto il suo sbocco legale: viva la rivoluzione!

Pochi si accorsero che con la marcia su Roma la rivo-luzione era passata dal paese nello Stato, distruggendole ultime finzioni legali rimaste in piedi nel crollo uni-versale, e non sostituendovi nient'altro che il vuotopneumatico e l'arbitrio di un partito. Tutti i calcoli ma-chiavellici, tanto della corona quanto di Mussolini, tantodei conservatori quanto dei rivoluzionari, erano, quindi,destinati al fallimento.

Con il nuovo governo non si poteva raggiungere né lastabilizzazione né la sconfitta delle opposizioni, ma sipoteva riuscire soltanto a illudere per breve tempo lesperanze di rinnovamento del paese. È stato lungamentediscusso se la marcia su Roma fu una rivoluzione in pie-na regola o una sommossa vittoriosa, oppure un colpo diStato o varie di queste cose insieme, ma questa discus-sione, che denota ancora una volta di quanto spirito for-malistico e antistorico siano nutriti i nostri scrittori di

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narchica o non essere. Non vi era altra via, e Mussolinida buon tattico lo comprese a tempo.

Però, anche dopo l'insurrezione armata, la coronaebbe taluni scrupoli costituzionali, tanto vero che la pri-ma designazione non fu per Mussolini, ma per Salandra.

Ma, chiarite nella notte fatale le preoccupazioni dina-stiche e dimostrato piú chiaramente lo spirito legittimi-sta del duce, questi venne incaricato della formazionedel nuovo gabinetto, che seguendo la tradizione italianafu nella forma esteriore di pura coalizione.

A questo punto tutti respirarono; la rivoluzione avevaraggiunto il suo sbocco legale: viva la rivoluzione!

Pochi si accorsero che con la marcia su Roma la rivo-luzione era passata dal paese nello Stato, distruggendole ultime finzioni legali rimaste in piedi nel crollo uni-versale, e non sostituendovi nient'altro che il vuotopneumatico e l'arbitrio di un partito. Tutti i calcoli ma-chiavellici, tanto della corona quanto di Mussolini, tantodei conservatori quanto dei rivoluzionari, erano, quindi,destinati al fallimento.

Con il nuovo governo non si poteva raggiungere né lastabilizzazione né la sconfitta delle opposizioni, ma sipoteva riuscire soltanto a illudere per breve tempo lesperanze di rinnovamento del paese. È stato lungamentediscusso se la marcia su Roma fu una rivoluzione in pie-na regola o una sommossa vittoriosa, oppure un colpo diStato o varie di queste cose insieme, ma questa discus-sione, che denota ancora una volta di quanto spirito for-malistico e antistorico siano nutriti i nostri scrittori di

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cose politiche, se può essere utile nei confronti del sig.Mussolini, che invoca i diritti della rivoluzione soltantoquando si tratta di giustificare gli istinti criminali del re-gime, e li dimentica quando si tratta di indulgere allepretese dei plutocrati che finanziano il suo partito, è sto-ricamente oziosa quando si pensi che la marcia suRoma, cosí com'è figurata nell'arte aulica del pittore Ga-limberti, fu un avvenimento storico sui generis di coloreprettamente italiano, che, come tutti i nostri avvenimentipolitici, era diretto a nascondere la crisi, piuttosto che aportarla a maturazione.

I conati realizzatori del fascismo.A ogni modo il fascismo ben presto fu a Roma e con-

quistò il governo, ma non riuscí contemporaneamente aconquistare lo Stato.

Venne coniata la nuova e brutta frase «fascistizzazio-ne dello Stato» per significare questa necessità dialetti-ca. Ma come poteva il partito vittorioso creare un nuovotipo di Stato se non aveva idee e se le riforme costitu-zionali proposte dal comm. Bianchi furono messe in ri-dicolo da tutto il paese?

Veramente il fascismo ebbe un primo momento di eb-brezza, quando rispolverò negli archivi i vecchi progettiobliati di riforma dell'antico regime e tentò vararli inuna furia panica di distruzione, tra i lazzi dei fiancheg-giatori che sputavano volentieri in faccia al loro passato,gridando ai quattro venti che, mai e poi mai, si era visto

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cose politiche, se può essere utile nei confronti del sig.Mussolini, che invoca i diritti della rivoluzione soltantoquando si tratta di giustificare gli istinti criminali del re-gime, e li dimentica quando si tratta di indulgere allepretese dei plutocrati che finanziano il suo partito, è sto-ricamente oziosa quando si pensi che la marcia suRoma, cosí com'è figurata nell'arte aulica del pittore Ga-limberti, fu un avvenimento storico sui generis di coloreprettamente italiano, che, come tutti i nostri avvenimentipolitici, era diretto a nascondere la crisi, piuttosto che aportarla a maturazione.

I conati realizzatori del fascismo.A ogni modo il fascismo ben presto fu a Roma e con-

quistò il governo, ma non riuscí contemporaneamente aconquistare lo Stato.

Venne coniata la nuova e brutta frase «fascistizzazio-ne dello Stato» per significare questa necessità dialetti-ca. Ma come poteva il partito vittorioso creare un nuovotipo di Stato se non aveva idee e se le riforme costitu-zionali proposte dal comm. Bianchi furono messe in ri-dicolo da tutto il paese?

Veramente il fascismo ebbe un primo momento di eb-brezza, quando rispolverò negli archivi i vecchi progettiobliati di riforma dell'antico regime e tentò vararli inuna furia panica di distruzione, tra i lazzi dei fiancheg-giatori che sputavano volentieri in faccia al loro passato,gridando ai quattro venti che, mai e poi mai, si era visto

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un fenomeno cosí grande di riforme burocratiche, parto-rito con simile rapidità dalla mente dei ministri.

Ma tutto ciò, se valse a illudere per qualche mese ilpubblico grosso, non serví, in definitiva, a placare la cri-si del paese, desideroso di ben altre novità.

Del resto il fascismo, per lo stesso modo di formazio-ne, che noi abbiamo tentato, quanto piú ci è stato possi-bile, di definire, non poteva soddisfare tutte le esigenzerivoluzionarie del paese, perché, pur essendo alla baseun movimento rivoluzionario, era diretto da un'élite cheaveva già transato con tutte le forze della conservazionesociale preesistente.

Queste forze gli impedivano qualsiasi attentato siaalla costituzione politica sia alla costituzione economicadel paese, precludendogli tutte le vie attraverso cui la ri-voluzione poteva realmente farsi. Cosí tutta la novitàpolitica del fascismo si riduceva a una sostituzione vio-lenta di uomini nelle cariche pubbliche fatta per via mi-litare (cioè per una via estremamente dannosa al fasci-smo stesso, che vedeva prevalere nelle sue stesse file ipiú violenti e perciò i meno competenti, operando cosíuna selezione a rovescio), che permetteva di nasconderele deficienze politiche del movimento sotto la compres-sione dello squadrismo.

D'altra parte, nemmeno nel campo amministrativo ilfascismo poteva operare grandi cose. Esso avrebbe po-tuto, per le sue origini rurali e per la sua spregiudicatez-za rivoluzionaria, tentare d'iniziare la lotta contro la bu-rocrazia, cercando di disimpegnare, quanto piú era pos-

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un fenomeno cosí grande di riforme burocratiche, parto-rito con simile rapidità dalla mente dei ministri.

Ma tutto ciò, se valse a illudere per qualche mese ilpubblico grosso, non serví, in definitiva, a placare la cri-si del paese, desideroso di ben altre novità.

Del resto il fascismo, per lo stesso modo di formazio-ne, che noi abbiamo tentato, quanto piú ci è stato possi-bile, di definire, non poteva soddisfare tutte le esigenzerivoluzionarie del paese, perché, pur essendo alla baseun movimento rivoluzionario, era diretto da un'élite cheaveva già transato con tutte le forze della conservazionesociale preesistente.

Queste forze gli impedivano qualsiasi attentato siaalla costituzione politica sia alla costituzione economicadel paese, precludendogli tutte le vie attraverso cui la ri-voluzione poteva realmente farsi. Cosí tutta la novitàpolitica del fascismo si riduceva a una sostituzione vio-lenta di uomini nelle cariche pubbliche fatta per via mi-litare (cioè per una via estremamente dannosa al fasci-smo stesso, che vedeva prevalere nelle sue stesse file ipiú violenti e perciò i meno competenti, operando cosíuna selezione a rovescio), che permetteva di nasconderele deficienze politiche del movimento sotto la compres-sione dello squadrismo.

D'altra parte, nemmeno nel campo amministrativo ilfascismo poteva operare grandi cose. Esso avrebbe po-tuto, per le sue origini rurali e per la sua spregiudicatez-za rivoluzionaria, tentare d'iniziare la lotta contro la bu-rocrazia, cercando di disimpegnare, quanto piú era pos-

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sibile, la vita delle province dal prepotere del centro, madopo le transazioni compiute non poteva piú azzardareuna lotta simile, sia perché la sua ideologia fondamenta-le era il rinsaldamento dell'unitarismo dispotico e livel-latore, rappresentato in Italia unicamente dal prepoteredella burocrazia, sia perché, mettendosi contro questopotere onnipotente e irresponsabile dello Stato, avrebberischiato di spezzare la continuità della pubblica ammi-nistrazione, deludendo cosí immediatamente le colossalisperanze del paese, stanco degli scioperi degli impiegatistatali.

Fu perciò che il fascismo dovette contentarsi di attua-re soltanto quelle riforme che la burocrazia stessa in al-tri periodi di crisi aveva approntato per salvarsi, e che,passato il pericolo, erano state passate agli atti.

Molti furono i progetti, alcuni relativi a criteri di dif-ferente aggruppamento dei servizi statali, altri mutuatidal liberalismo e diretti a retrocedere all'iniziativa priva-ta particolari servizi pubblici, altri ancora derivati dalsocialismo di Stato e diretti a difesa di interessi parassi-tari. Ma nessuno di essi riuscí a essere realizzato quandooffendeva gl'interessi dei ceti politici dominanti.

Cosí la politica fascista, integrata dalla finanza delministro De Stefani diretta a incoraggiare le classi ab-bienti anche se, anzi proprio, a danno delle classi umili,accreditò in molti la convinzione che il fascismo fosseuna pura e semplice reazione padronale e che si potesse-ro interamente trascurare tutti gli altri aspetti della suaformazione.

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sibile, la vita delle province dal prepotere del centro, madopo le transazioni compiute non poteva piú azzardareuna lotta simile, sia perché la sua ideologia fondamenta-le era il rinsaldamento dell'unitarismo dispotico e livel-latore, rappresentato in Italia unicamente dal prepoteredella burocrazia, sia perché, mettendosi contro questopotere onnipotente e irresponsabile dello Stato, avrebberischiato di spezzare la continuità della pubblica ammi-nistrazione, deludendo cosí immediatamente le colossalisperanze del paese, stanco degli scioperi degli impiegatistatali.

Fu perciò che il fascismo dovette contentarsi di attua-re soltanto quelle riforme che la burocrazia stessa in al-tri periodi di crisi aveva approntato per salvarsi, e che,passato il pericolo, erano state passate agli atti.

Molti furono i progetti, alcuni relativi a criteri di dif-ferente aggruppamento dei servizi statali, altri mutuatidal liberalismo e diretti a retrocedere all'iniziativa priva-ta particolari servizi pubblici, altri ancora derivati dalsocialismo di Stato e diretti a difesa di interessi parassi-tari. Ma nessuno di essi riuscí a essere realizzato quandooffendeva gl'interessi dei ceti politici dominanti.

Cosí la politica fascista, integrata dalla finanza delministro De Stefani diretta a incoraggiare le classi ab-bienti anche se, anzi proprio, a danno delle classi umili,accreditò in molti la convinzione che il fascismo fosseuna pura e semplice reazione padronale e che si potesse-ro interamente trascurare tutti gli altri aspetti della suaformazione.

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La crisi del fascismo.Tale semplicismo nascondeva il vero aspetto del pro-

blema e cioè che, nello stesso momento in cui il fasci-smo era giunto a Roma, era cominciata la sua crisi.

Legato al bolscevismo da un simile destino, il fasci-smo doveva subire lo stesso sbandamento. Risultava in-fatti impossibile di realizzare politicamente le formuleastratte, che ne costituivano il mito, senza correre il ri-schio di agire sulla sua stessa formazione, disgregando-la. Questa contraddizione intrinseca veniva, poi, accen-tuata dalla politica finanziaria adottata dal governo aesclusivo beneficio dei ceti plutocratici.

Infatti, mentre il fascismo era stato, per un certo tem-po, e piú ancora era stato teorizzato come la lotta diclasse della piccola borghesia, era evidente fin dal suosorgere che esso avrebbe dovuto soccombere proprio nelcampo delle delusioni di questa classe.

E, invero, gli sforzi politici postbellici di tutti i cetierano rivolti a sottrarsi alle conseguenze economichedella guerra. Il bolscevismo, sotto questo profilo, fu iltentativo del proletariato cittadino di capovolgere la si-tuazione economica italiana a proprio vantaggio, risol-vendo non solo il problema contingente delle spese diguerra, ma altresí quello piú vasto della distribuzionedelle ricchezze.

Il fascismo invece, mentre nel suo primo nascere rap-presentò lo sforzo di liberazione della piccola borghesia,i cui interessi, dipendendo in molta parte dall'azione

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La crisi del fascismo.Tale semplicismo nascondeva il vero aspetto del pro-

blema e cioè che, nello stesso momento in cui il fasci-smo era giunto a Roma, era cominciata la sua crisi.

Legato al bolscevismo da un simile destino, il fasci-smo doveva subire lo stesso sbandamento. Risultava in-fatti impossibile di realizzare politicamente le formuleastratte, che ne costituivano il mito, senza correre il ri-schio di agire sulla sua stessa formazione, disgregando-la. Questa contraddizione intrinseca veniva, poi, accen-tuata dalla politica finanziaria adottata dal governo aesclusivo beneficio dei ceti plutocratici.

Infatti, mentre il fascismo era stato, per un certo tem-po, e piú ancora era stato teorizzato come la lotta diclasse della piccola borghesia, era evidente fin dal suosorgere che esso avrebbe dovuto soccombere proprio nelcampo delle delusioni di questa classe.

E, invero, gli sforzi politici postbellici di tutti i cetierano rivolti a sottrarsi alle conseguenze economichedella guerra. Il bolscevismo, sotto questo profilo, fu iltentativo del proletariato cittadino di capovolgere la si-tuazione economica italiana a proprio vantaggio, risol-vendo non solo il problema contingente delle spese diguerra, ma altresí quello piú vasto della distribuzionedelle ricchezze.

Il fascismo invece, mentre nel suo primo nascere rap-presentò lo sforzo di liberazione della piccola borghesia,i cui interessi, dipendendo in molta parte dall'azione

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economica dello Stato, erano stati danneggiati, piú perincomprensione che per calcolo, dalla lotta fra le altreclassi, nel suo secondo momento incarnò la reazione delcapitalismo, attraverso altre classi, sia ai pericoli econo-mici del proletariato sia della stessa piccola borghesia.D'altra parte questa famosa ricostruzione delle finanzestatali doveva pur farsi a carico di qualcuno, e perciò,data l'intonazione plutocratica del governo fascista, erafatale che dovessero soffrirne le classi umili, che eranole piú numerose.

Ecco, dunque, che il fascismo, sollecitato a realizzareil mito della ricostruzione, che era un mito piccolo bor-ghese, doveva comprimere proprio l'economia piccoloborghese.

Ma la grandiosità della crisi, che si spalancava ai pie-di del fascismo, era complicata appunto dall'incrociarsidelle azioni e delle reazioni delle forze che del partitocostituivano l'amalgama.

Infatti, mentre i gruppi cosiddetti costituzionali, che,dopo la marcia su Roma, si erano affrettati a gettarsi neiranghi del nuovo partito, urgevano per ricondurre lasommossa piccolo borghese a stagnare nel vecchio sche-ma dello Stato unitario prebellico, le originarie forze ri-voluzionarie della formazione fascista, timorose di esse-re rivolte in funzione di conservazione, e non sapendo,d'altra parte, come assolvere il loro compito, si rinserra-vano sempre piú nello squadrismo, svelando l'intrinsecadebolezza del cosiddetto Stato forte.

Mussolini era, quindi, costretto dalle necessità del suo

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economica dello Stato, erano stati danneggiati, piú perincomprensione che per calcolo, dalla lotta fra le altreclassi, nel suo secondo momento incarnò la reazione delcapitalismo, attraverso altre classi, sia ai pericoli econo-mici del proletariato sia della stessa piccola borghesia.D'altra parte questa famosa ricostruzione delle finanzestatali doveva pur farsi a carico di qualcuno, e perciò,data l'intonazione plutocratica del governo fascista, erafatale che dovessero soffrirne le classi umili, che eranole piú numerose.

Ecco, dunque, che il fascismo, sollecitato a realizzareil mito della ricostruzione, che era un mito piccolo bor-ghese, doveva comprimere proprio l'economia piccoloborghese.

Ma la grandiosità della crisi, che si spalancava ai pie-di del fascismo, era complicata appunto dall'incrociarsidelle azioni e delle reazioni delle forze che del partitocostituivano l'amalgama.

Infatti, mentre i gruppi cosiddetti costituzionali, che,dopo la marcia su Roma, si erano affrettati a gettarsi neiranghi del nuovo partito, urgevano per ricondurre lasommossa piccolo borghese a stagnare nel vecchio sche-ma dello Stato unitario prebellico, le originarie forze ri-voluzionarie della formazione fascista, timorose di esse-re rivolte in funzione di conservazione, e non sapendo,d'altra parte, come assolvere il loro compito, si rinserra-vano sempre piú nello squadrismo, svelando l'intrinsecadebolezza del cosiddetto Stato forte.

Mussolini era, quindi, costretto dalle necessità del suo

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compito a equilibrare le due correnti, non già in un ordi-ne definitivo di governo, perché nessuna sintesi era dia-letticamente possibile, ma in uno sforzo di atteggiamentipersonali diretti a ritardare per quanto era possibile loscioglimento della situazione.

Questo atteggiamento era destinato a deludere e quel-li che, attribuendogli il compito di aver effettuata unavera e propria rivoluzione, aspettavano dalla sua operadi legislatore il nuovo ordine politico-sociale, e quelliche, attribuendogli invece il ruolo di servitore del regi-me, aspettavano dalla sua opera di conservatore la scon-fitta di tutte le aspettative rivoluzionarie del paese, com-prese quelle diffuse nel campo fascista.

La politica delle due porte aperte.Ma questa politica, definita brillantemente da Mario

Vinciguerra «delle due porte aperte», non poteva conti-nuare indefinitamente, appunto perché era niente altroche un espediente appena giustificabile, se fosse statodiretto a prender tempo per poi organizzare una rete diinteressi medi, intorno a cui precostituire la difesa delregime contro gli assalti delle delusioni rivoluzionarie.

Ma Mussolini ebbe paura di abbandonare a tempo lapolitica delle due porte aperte, o non comprese quandoquesto tempo fu venuto. Egli preferí continuare a atteg-giarsi a duce della rivoluzione, pur comprendendo chenon poteva mettere in atto nessun apprezzabile muta-mento nell'organizzazione dello Stato.

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compito a equilibrare le due correnti, non già in un ordi-ne definitivo di governo, perché nessuna sintesi era dia-letticamente possibile, ma in uno sforzo di atteggiamentipersonali diretti a ritardare per quanto era possibile loscioglimento della situazione.

Questo atteggiamento era destinato a deludere e quel-li che, attribuendogli il compito di aver effettuata unavera e propria rivoluzione, aspettavano dalla sua operadi legislatore il nuovo ordine politico-sociale, e quelliche, attribuendogli invece il ruolo di servitore del regi-me, aspettavano dalla sua opera di conservatore la scon-fitta di tutte le aspettative rivoluzionarie del paese, com-prese quelle diffuse nel campo fascista.

La politica delle due porte aperte.Ma questa politica, definita brillantemente da Mario

Vinciguerra «delle due porte aperte», non poteva conti-nuare indefinitamente, appunto perché era niente altroche un espediente appena giustificabile, se fosse statodiretto a prender tempo per poi organizzare una rete diinteressi medi, intorno a cui precostituire la difesa delregime contro gli assalti delle delusioni rivoluzionarie.

Ma Mussolini ebbe paura di abbandonare a tempo lapolitica delle due porte aperte, o non comprese quandoquesto tempo fu venuto. Egli preferí continuare a atteg-giarsi a duce della rivoluzione, pur comprendendo chenon poteva mettere in atto nessun apprezzabile muta-mento nell'organizzazione dello Stato.

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La sua abilità demagogica lo abbandonò sul confinedelle sagre proprio là dove cominciava il vero imperati-vo categorico della politica.

Egli non seppe né distruggere la vecchia finzione li-berale del governo superiore ai partiti, né attuare in pie-no la concezione giacobina dello Stato-partito e ondeg-giò perplesso, seguendo gli istinti dei suoi squadristi at-traverso discorsi di pura violenza verbale, non senza ac-carezzare, volta per volta, gli istinti trasformistici deivecchi ceti dirigenti.

Questo nuovo trasformismo, subito avvertito dai po-chi gruppi culturali italiani forniti di sensibilità politica,incominciò col famoso discorso d'inizio in Montecito-rio, quando il capo del fascismo trincerò abilmente lesue rinunzie rivoluzionarie sotto il frasario da squadri-sta.

Nell'aula sorda e grigia, ove avrebbero potuto bivac-care i manipoli, non solo fu lasciato a sedere il parla-mento nazionale, istituzione politica che si pretendevagià defenestrata in sede di dottrina nazionalfascista, maaddirittura la XXVI legislatura, che tante accuse avevasollevato nell'incandescente e mutevole pubblica opinio-ne.

Se Emanuele Kant decapitò Iddio e Massimiliano Ro-bespierre decapitò il re, Benito Mussolini, dopo aver let-to nell'aula sorda e grigia di Montecitorio un articolo difondo del «Popolo d'Italia», decapitò nessuno... machiese i pieni poteri alla XXVI legislatura. La voluta tra-gedia si chiudeva nella farsa.

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La sua abilità demagogica lo abbandonò sul confinedelle sagre proprio là dove cominciava il vero imperati-vo categorico della politica.

Egli non seppe né distruggere la vecchia finzione li-berale del governo superiore ai partiti, né attuare in pie-no la concezione giacobina dello Stato-partito e ondeg-giò perplesso, seguendo gli istinti dei suoi squadristi at-traverso discorsi di pura violenza verbale, non senza ac-carezzare, volta per volta, gli istinti trasformistici deivecchi ceti dirigenti.

Questo nuovo trasformismo, subito avvertito dai po-chi gruppi culturali italiani forniti di sensibilità politica,incominciò col famoso discorso d'inizio in Montecito-rio, quando il capo del fascismo trincerò abilmente lesue rinunzie rivoluzionarie sotto il frasario da squadri-sta.

Nell'aula sorda e grigia, ove avrebbero potuto bivac-care i manipoli, non solo fu lasciato a sedere il parla-mento nazionale, istituzione politica che si pretendevagià defenestrata in sede di dottrina nazionalfascista, maaddirittura la XXVI legislatura, che tante accuse avevasollevato nell'incandescente e mutevole pubblica opinio-ne.

Se Emanuele Kant decapitò Iddio e Massimiliano Ro-bespierre decapitò il re, Benito Mussolini, dopo aver let-to nell'aula sorda e grigia di Montecitorio un articolo difondo del «Popolo d'Italia», decapitò nessuno... machiese i pieni poteri alla XXVI legislatura. La voluta tra-gedia si chiudeva nella farsa.

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Il fascismo rivoluzionario contro il trasformismo mussoliniano.

Tuttavia la rivoluzione fascista continuò sotterranea-mente il suo cammino.

Il fenomeno che abbiamo osservato per il bolscevi-smo si ripeté per il fascismo.

Le aspettazioni messianiche dei giovani fascisti eranocosí forti che essi mal si rassegnavano all'inerzia del go-verno.

Infatti la prima mossa rivoluzionaria degli intransi-genti fu di distruggere l'autorità e la funzione dei prefet-ti.

Il potere si frantumò secondo necessità politiche loca-li, si estraniò quanto piú fu possibile dal centro per ade-rire alla realtà regionale.

Al capolega si sostituí il fiduciario fascista, alla legail direttorio: dovunque pullularono i dittatori che aboli-rono le leggi, il costume, la buona creanza e altre veritàconvenzionali e a esse sostituirono l'arbitrio e la violen-za.

Il governo avrebbe voluto impedire tutto questo feu-dalismo, ma era impotente sia perché era trasformistico,sia perché la teoria dello Stato-partito lo rendeva schia-vo del PNF.

Cosí il primo ministero Mussolini, malgrado il forteascendente e l'accorgimento del suo capo, che era giuntofino al punto di chiedere la collaborazione del PPI, mal-grado la tranquillità apparente di tutto il popolo italiano,

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Il fascismo rivoluzionario contro il trasformismo mussoliniano.

Tuttavia la rivoluzione fascista continuò sotterranea-mente il suo cammino.

Il fenomeno che abbiamo osservato per il bolscevi-smo si ripeté per il fascismo.

Le aspettazioni messianiche dei giovani fascisti eranocosí forti che essi mal si rassegnavano all'inerzia del go-verno.

Infatti la prima mossa rivoluzionaria degli intransi-genti fu di distruggere l'autorità e la funzione dei prefet-ti.

Il potere si frantumò secondo necessità politiche loca-li, si estraniò quanto piú fu possibile dal centro per ade-rire alla realtà regionale.

Al capolega si sostituí il fiduciario fascista, alla legail direttorio: dovunque pullularono i dittatori che aboli-rono le leggi, il costume, la buona creanza e altre veritàconvenzionali e a esse sostituirono l'arbitrio e la violen-za.

Il governo avrebbe voluto impedire tutto questo feu-dalismo, ma era impotente sia perché era trasformistico,sia perché la teoria dello Stato-partito lo rendeva schia-vo del PNF.

Cosí il primo ministero Mussolini, malgrado il forteascendente e l'accorgimento del suo capo, che era giuntofino al punto di chiedere la collaborazione del PPI, mal-grado la tranquillità apparente di tutto il popolo italiano,

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si svelava debolissimo: infatti, non poteva fare la con-servazione perché di provenienza rivoluzionaria e nonvoleva fare la rivoluzione perché prigioniero delle forzedella conservazione sociale.

In tale condizione di cose la crisi fascista non potevanon allargarsi. I primi sintomi di tale allargamento furo-no l'allontanamento dei fascisti dissidenti, di cui alcunireagivano al giacobinismo, dimostrando di aver asse-gnato al movimento compiti di democrazia sociale, altrireagivano al trasformismo, dimostrando di volersi atte-nere alle pregiudiziali rivoluzionarie. Si svelava cosíall'occhio dell'osservatore imparziale la repellenza rivo-luzionaria a lasciarsi imprigionare nel trasformismomussoliniano, anche se la campagna condotta nel paeseper reclutare nuovi adepti fruttava al partito dominanteuna significativa collezione di arrivisti.

Il fascismo e gli altri partiti.Ma nemmeno nel campo del governo le cose procede-

vano secondo le aspettative, perché gli uomini di fedenon fascista, inclusi nel gabinetto, chiedevano al duceche, con il riconoscimento esplicito della loro posizioneministeriale, fosse vietato ai fascisti delle province didanneggiare le loro basi elettorali.

In sostanza essi, intuendo di essere necessari al giuo-co trasformista del duce, volevano istituire e perfeziona-re con lui un vero e proprio contratto do ut des.

Ma essi si sbagliavano rotondamente, come si sbagliò

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si svelava debolissimo: infatti, non poteva fare la con-servazione perché di provenienza rivoluzionaria e nonvoleva fare la rivoluzione perché prigioniero delle forzedella conservazione sociale.

In tale condizione di cose la crisi fascista non potevanon allargarsi. I primi sintomi di tale allargamento furo-no l'allontanamento dei fascisti dissidenti, di cui alcunireagivano al giacobinismo, dimostrando di aver asse-gnato al movimento compiti di democrazia sociale, altrireagivano al trasformismo, dimostrando di volersi atte-nere alle pregiudiziali rivoluzionarie. Si svelava cosíall'occhio dell'osservatore imparziale la repellenza rivo-luzionaria a lasciarsi imprigionare nel trasformismomussoliniano, anche se la campagna condotta nel paeseper reclutare nuovi adepti fruttava al partito dominanteuna significativa collezione di arrivisti.

Il fascismo e gli altri partiti.Ma nemmeno nel campo del governo le cose procede-

vano secondo le aspettative, perché gli uomini di fedenon fascista, inclusi nel gabinetto, chiedevano al duceche, con il riconoscimento esplicito della loro posizioneministeriale, fosse vietato ai fascisti delle province didanneggiare le loro basi elettorali.

In sostanza essi, intuendo di essere necessari al giuo-co trasformista del duce, volevano istituire e perfeziona-re con lui un vero e proprio contratto do ut des.

Ma essi si sbagliavano rotondamente, come si sbagliò

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il duce stesso quando credette risolvere la situazione conla dichiarazione di amicizia al Partito demosociale, ocon altri espedienti perché l'intransigenza dei fascisti diprovincia era tale che i propositi conciliativi del centrovenivano, a volta a volta, frustrati dalle esigenze dellaperiferia.

Specialmente nei riguardi del PPI questa antitesi ap-parve evidente, perché non era possibile far coesistere alungo lo spirito ciecamente totalitario del fascismo conle ragioni ideali e storiche, che avevano trovato la loroconcretazione nel giovane partito.

Forse l'esperimento che questo volle fare, collaboran-do anche col fascismo, fu in funzione di quello sforzocostante che esso condusse in tutto il periodo postbellicopur di adempiere, anche in mezzo al terremoto politicoitaliano, la sua funzione di centro, che poi, in tempi dirivoluzione, si traduce in nient'altro che in funzione diconservazione.

Ma, appunto perciò, la collaborazione non era possi-bile, perché il centrismo popolare avrebbe richiesto unoStato costituito su interessi medi consolidati e non inebollizione, una relativa calma nel paese, un governopadrone dei suoi destini e non preoccupato degli umoridi una fazione.

In effetti, il governo centrale cercò di non scoprire edesasperare questa antinomia per quanto fu possibile, mala collaborazione con i popolari, dopo alcuni timidi ten-tativi nel campo municipale, doveva fallire appunto perl'intransigenza dei fascisti locali, che ripresero a dispetto

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il duce stesso quando credette risolvere la situazione conla dichiarazione di amicizia al Partito demosociale, ocon altri espedienti perché l'intransigenza dei fascisti diprovincia era tale che i propositi conciliativi del centrovenivano, a volta a volta, frustrati dalle esigenze dellaperiferia.

Specialmente nei riguardi del PPI questa antitesi ap-parve evidente, perché non era possibile far coesistere alungo lo spirito ciecamente totalitario del fascismo conle ragioni ideali e storiche, che avevano trovato la loroconcretazione nel giovane partito.

Forse l'esperimento che questo volle fare, collaboran-do anche col fascismo, fu in funzione di quello sforzocostante che esso condusse in tutto il periodo postbellicopur di adempiere, anche in mezzo al terremoto politicoitaliano, la sua funzione di centro, che poi, in tempi dirivoluzione, si traduce in nient'altro che in funzione diconservazione.

Ma, appunto perciò, la collaborazione non era possi-bile, perché il centrismo popolare avrebbe richiesto unoStato costituito su interessi medi consolidati e non inebollizione, una relativa calma nel paese, un governopadrone dei suoi destini e non preoccupato degli umoridi una fazione.

In effetti, il governo centrale cercò di non scoprire edesasperare questa antinomia per quanto fu possibile, mala collaborazione con i popolari, dopo alcuni timidi ten-tativi nel campo municipale, doveva fallire appunto perl'intransigenza dei fascisti locali, che ripresero a dispetto

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del governo la loro funzione totalitaria.Ben presto si comprese che, essendo fallita la colla-

borazione popolare nelle province, non poteva oltre con-tinuare a Roma e che il patto di collaborazione, corri-spondendo a una reciproca illusione, era destinato a es-sere denunziato.

D'altra parte, essendosi intensificata la situazione ri-voluzionaria italiana, il PPI era logicamente portato aprendere in esame il preciso contenuto della politica go-vernativa e le possibilità dell'avvenire per decidersi se-condo prospettive piú ampie.

Questo esame di coscienza non poteva non assodareche la politica padronale del fascismo, riproducendo,anzi peggiorando il vecchio Stato burocratico-accentra-tore, che veniva spogliato di tutti gli orpelli e le finzionilegali, atti a farlo ritenere un vero e proprio Stato di di-ritto, lo trasformava in organo della reazione contro cuila nuova ondata rivoluzionaria si addensava nel sotto-suolo della storia.

Di fronte a questa situazione il PPI, rivedendo la suaposizione tattica, era costretto non soltanto a negare algoverno fascista ogni aiuto, spingendolo sempre piú nel-la fase reattiva, ma era sollecitato a prendere posto sulnuovo terreno di lotta.

E tale necessità appariva tanto piú operante quantopiú i cosiddetti partiti liberali o democratici, svelando laloro natura di organismi trasformistici, abdicavano di-nanzi alla vittoria fascista, lasciando alle opposizioni li-bero il terreno della difesa della libertà dal loro mo-

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del governo la loro funzione totalitaria.Ben presto si comprese che, essendo fallita la colla-

borazione popolare nelle province, non poteva oltre con-tinuare a Roma e che il patto di collaborazione, corri-spondendo a una reciproca illusione, era destinato a es-sere denunziato.

D'altra parte, essendosi intensificata la situazione ri-voluzionaria italiana, il PPI era logicamente portato aprendere in esame il preciso contenuto della politica go-vernativa e le possibilità dell'avvenire per decidersi se-condo prospettive piú ampie.

Questo esame di coscienza non poteva non assodareche la politica padronale del fascismo, riproducendo,anzi peggiorando il vecchio Stato burocratico-accentra-tore, che veniva spogliato di tutti gli orpelli e le finzionilegali, atti a farlo ritenere un vero e proprio Stato di di-ritto, lo trasformava in organo della reazione contro cuila nuova ondata rivoluzionaria si addensava nel sotto-suolo della storia.

Di fronte a questa situazione il PPI, rivedendo la suaposizione tattica, era costretto non soltanto a negare algoverno fascista ogni aiuto, spingendolo sempre piú nel-la fase reattiva, ma era sollecitato a prendere posto sulnuovo terreno di lotta.

E tale necessità appariva tanto piú operante quantopiú i cosiddetti partiti liberali o democratici, svelando laloro natura di organismi trasformistici, abdicavano di-nanzi alla vittoria fascista, lasciando alle opposizioni li-bero il terreno della difesa della libertà dal loro mo-

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struoso equivoco.Fu, perciò, che don Sturzo, con una di quelle mosse

che fanno di lui uno dei piú abili uomini politici italiani,al congresso di Torino preparò il terreno per la nuovamanovra, senza tuttavia assumersi la responsabilità deldistacco, che lasciò invece all'irosa suscettibilità del sig.Mussolini.

Cosí fu inferto il primo gravissimo colpo al trasformi-smo mussoliniano. Restavano sí nel ministero il duca diCesarò ed il sig. Carnazza, ma, mentre quest'ultimo fucostretto a tesserarsi, il primo, pur non rappresentandoun vero e proprio partito organizzato, ma poche posizio-ni elettorali personali, non dovette tardare a seguire ilPartito popolare se volle cercare nell'insorgente antifa-scismo meridionale una ragione di vita pel suo partito.

Un espediente: la nuova legge elettorale.Intanto il fascismo agrario si rinforzava sostituendo

quasi del tutto nelle zone di origine il riformismo socia-lista, con gli stessi caratteri di turbolenza e di parassiti-smo. Invece nelle città guadagnavano terreno le opposi-zioni. Specialmente quella che Salvatorelli definiva laborghesia umanistica ci faceva assistere a una di quelleimprovvise conversioni che sono caratteristiche dellastoria politica italiana. Sotto la compressione fascistaessa aderiva principalmente alla critica dell'opposizionecostituzionale e dei socialisti unitari, privando cosí il fa-scismo di ogni contenuto romantico.

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struoso equivoco.Fu, perciò, che don Sturzo, con una di quelle mosse

che fanno di lui uno dei piú abili uomini politici italiani,al congresso di Torino preparò il terreno per la nuovamanovra, senza tuttavia assumersi la responsabilità deldistacco, che lasciò invece all'irosa suscettibilità del sig.Mussolini.

Cosí fu inferto il primo gravissimo colpo al trasformi-smo mussoliniano. Restavano sí nel ministero il duca diCesarò ed il sig. Carnazza, ma, mentre quest'ultimo fucostretto a tesserarsi, il primo, pur non rappresentandoun vero e proprio partito organizzato, ma poche posizio-ni elettorali personali, non dovette tardare a seguire ilPartito popolare se volle cercare nell'insorgente antifa-scismo meridionale una ragione di vita pel suo partito.

Un espediente: la nuova legge elettorale.Intanto il fascismo agrario si rinforzava sostituendo

quasi del tutto nelle zone di origine il riformismo socia-lista, con gli stessi caratteri di turbolenza e di parassiti-smo. Invece nelle città guadagnavano terreno le opposi-zioni. Specialmente quella che Salvatorelli definiva laborghesia umanistica ci faceva assistere a una di quelleimprovvise conversioni che sono caratteristiche dellastoria politica italiana. Sotto la compressione fascistaessa aderiva principalmente alla critica dell'opposizionecostituzionale e dei socialisti unitari, privando cosí il fa-scismo di ogni contenuto romantico.

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In tale condizione di cose al partito dominante, nonrimaneva altro che far leva sui ceti rurali intensificandoil reclutamento della MVSN per dominare con la forzale città. Cosí si accentuava quel fenomeno di lotta tra lacittà e la campagna, già prodottosi all'epoca del bolsce-vismo, e da cui, solo per immaturità delle masse, il fa-scismo traeva nuove forze per continuare la sua politicapadronale.

Ma questa politica aveva tutti i caratteri dell'instabili-tà. Non era possibile deludere contemporaneamente leragioni della rivoluzione e della reazione, appoggiando-si esclusivamente alla milizia di partito: non era possibi-le continuare il trasformismo con le idee, quando la se-cessione del PPI svelava l'intrinseca debolezza del go-verno nel campo politico: soprattutto non era possibilecontinuare a governare contro le classi dirigenti vecchieconservando il parlamento da esse eletto.

È vero che il fascismo stentava a produrre la nuovaclasse dirigente, ma appunto perciò, occorreva crearlaper forza, meccanicamente. E il paternalismo del sig.Mussolini si accinse anche a questa fatica.

Era forse la fatica piú ingrata, perché il buio in cui na-vigava il governo era cosí fitto che veniva di istintod'aggrapparsi al manganello del generale De Bono e dilasciare in pace gli scogli istituzionali per paura di farpeggio, ma vi sono delle ore nella storia in cui maturanole grandi decisioni, e il sig. Mussolini, buon tattico, locomprese quando lanciò alle turbe attonite il grande an-nunzio elettorale.

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In tale condizione di cose al partito dominante, nonrimaneva altro che far leva sui ceti rurali intensificandoil reclutamento della MVSN per dominare con la forzale città. Cosí si accentuava quel fenomeno di lotta tra lacittà e la campagna, già prodottosi all'epoca del bolsce-vismo, e da cui, solo per immaturità delle masse, il fa-scismo traeva nuove forze per continuare la sua politicapadronale.

Ma questa politica aveva tutti i caratteri dell'instabili-tà. Non era possibile deludere contemporaneamente leragioni della rivoluzione e della reazione, appoggiando-si esclusivamente alla milizia di partito: non era possibi-le continuare il trasformismo con le idee, quando la se-cessione del PPI svelava l'intrinseca debolezza del go-verno nel campo politico: soprattutto non era possibilecontinuare a governare contro le classi dirigenti vecchieconservando il parlamento da esse eletto.

È vero che il fascismo stentava a produrre la nuovaclasse dirigente, ma appunto perciò, occorreva crearlaper forza, meccanicamente. E il paternalismo del sig.Mussolini si accinse anche a questa fatica.

Era forse la fatica piú ingrata, perché il buio in cui na-vigava il governo era cosí fitto che veniva di istintod'aggrapparsi al manganello del generale De Bono e dilasciare in pace gli scogli istituzionali per paura di farpeggio, ma vi sono delle ore nella storia in cui maturanole grandi decisioni, e il sig. Mussolini, buon tattico, locomprese quando lanciò alle turbe attonite il grande an-nunzio elettorale.

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D'altronde è tradizionale in Italia che il governo chefaccia le elezioni raccolga un numero di adesioni moltomaggiore di quelle che effettivamente ha, appunto per-ché fa le elezioni.

Veramente ciò avrebbe dovuto essere privo d'impor-tanza per un governo rivoluzionario, ma il sig. Mussoli-ni era sempre incerto sul modo come organizzare il suodominio e perciò mostrava di non sgradire gli appoggidei ministeriali di professione.

In queste constatazioni è tutta la fotografia della si-tuazione psicologica in cui si trovava il governo, quandopropose al parlamento la riforma elettorale, col confes-sato scopo di creare a ogni costo una maggioranza par-lamentare al governo.

Cosí fu impostata una grande battaglia di chiacchiere,che doveva avere l'unico scopo di distrarre il paese dallelusinghe rivoluzionarie circolanti nel fondo di ogni cuo-re. Le opposizioni, pur conoscendo a priori che la rifor-ma sarebbe egualmente passata, accolsero con gioial'annunzio della battaglia, sicure di logorare fortementeil governo sul terreno dei criteri giuridici che debbonopresiedere la rappresentanza e di prospettarlo come ne-mico della libertà.

Il fascismo, con quella inconseguenza che è in ognisuo atto, accettò la sfida, dichiarando che esso avrebbesempre avuto la forza per fare a meno del consenso, eche solo per far piacere agli avversari intendeva avvaler-si dei congegni legali.

A chi imprende serenamente a analizzare questa posi-

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D'altronde è tradizionale in Italia che il governo chefaccia le elezioni raccolga un numero di adesioni moltomaggiore di quelle che effettivamente ha, appunto per-ché fa le elezioni.

Veramente ciò avrebbe dovuto essere privo d'impor-tanza per un governo rivoluzionario, ma il sig. Mussoli-ni era sempre incerto sul modo come organizzare il suodominio e perciò mostrava di non sgradire gli appoggidei ministeriali di professione.

In queste constatazioni è tutta la fotografia della si-tuazione psicologica in cui si trovava il governo, quandopropose al parlamento la riforma elettorale, col confes-sato scopo di creare a ogni costo una maggioranza par-lamentare al governo.

Cosí fu impostata una grande battaglia di chiacchiere,che doveva avere l'unico scopo di distrarre il paese dallelusinghe rivoluzionarie circolanti nel fondo di ogni cuo-re. Le opposizioni, pur conoscendo a priori che la rifor-ma sarebbe egualmente passata, accolsero con gioial'annunzio della battaglia, sicure di logorare fortementeil governo sul terreno dei criteri giuridici che debbonopresiedere la rappresentanza e di prospettarlo come ne-mico della libertà.

Il fascismo, con quella inconseguenza che è in ognisuo atto, accettò la sfida, dichiarando che esso avrebbesempre avuto la forza per fare a meno del consenso, eche solo per far piacere agli avversari intendeva avvaler-si dei congegni legali.

A chi imprende serenamente a analizzare questa posi-

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zione fascista non potrà sfuggire il senso di grottesco dicui e impregnata.

Invero l'opinione pubblica, che all'epoca della marciasu Roma era stata facilmente attratta dal miraggio delpareggio finanziario a breve scadenza, della ricostruzio-ne imminente, della necessità di un'energica politica na-zionale, non riusciva a comprendere perché il governofascista, disponendo di cosí valido aiuto, dovesse ricor-rere alla violenza, soprattutto perché, attraverso tutti gliatti del partito dominante, lungi dall'emergere anche unlontano ma sicuro proposito di ricostruzione, emergessesoltanto l'idea di tenere a ogni costo il potere anche con-tro il volere della maggioranza del popolo. Il fascismo,che si era largamente giovato dello stesso errore com-messo dal bolscevismo, vi ricadeva con una leggerezza,spiegabile solo quando si ammetta, senza bisogno dispeciale dimostrazione, che esso del bolscevismo avevaereditato alcune caratteristiche e necessità fondamentali.

Tuttavia la riforma elettorale fu approvata proprio perl'intervento dei vecchi ceti dirigenti che fecero presentela necessità del governo di doversi disimpegnaredall'estremismo fascista appoggiandosi a una salda mag-gioranza parlamentare.

Per la terza volta, dunque, nel giro di due anni il fa-scismo mussoliniano era costretto a transigere con i vec-chi ceti dirigenti e accettare da loro il passaporto perl'azione.

Pare che il vecchio Giolitti, nominato presidente dellaCommissione parlamentare per lo studio della legge

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zione fascista non potrà sfuggire il senso di grottesco dicui e impregnata.

Invero l'opinione pubblica, che all'epoca della marciasu Roma era stata facilmente attratta dal miraggio delpareggio finanziario a breve scadenza, della ricostruzio-ne imminente, della necessità di un'energica politica na-zionale, non riusciva a comprendere perché il governofascista, disponendo di cosí valido aiuto, dovesse ricor-rere alla violenza, soprattutto perché, attraverso tutti gliatti del partito dominante, lungi dall'emergere anche unlontano ma sicuro proposito di ricostruzione, emergessesoltanto l'idea di tenere a ogni costo il potere anche con-tro il volere della maggioranza del popolo. Il fascismo,che si era largamente giovato dello stesso errore com-messo dal bolscevismo, vi ricadeva con una leggerezza,spiegabile solo quando si ammetta, senza bisogno dispeciale dimostrazione, che esso del bolscevismo avevaereditato alcune caratteristiche e necessità fondamentali.

Tuttavia la riforma elettorale fu approvata proprio perl'intervento dei vecchi ceti dirigenti che fecero presentela necessità del governo di doversi disimpegnaredall'estremismo fascista appoggiandosi a una salda mag-gioranza parlamentare.

Per la terza volta, dunque, nel giro di due anni il fa-scismo mussoliniano era costretto a transigere con i vec-chi ceti dirigenti e accettare da loro il passaporto perl'azione.

Pare che il vecchio Giolitti, nominato presidente dellaCommissione parlamentare per lo studio della legge

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elettorale, nell'insistere perché questo aborto giuridicofosse approvato, dicesse sorridendo: «Quanto peggio è,meglio è», frase che dovrebbe rimanere storica perchéin essa sí che è racchiuso lo spirito di Machiavelli!

Ma il duce del fascismo, occupato a studiarequest'autore nelle falsificazioni imponenti dei tiranni be-stiali, non si accorgeva della sua presenza silenziosa eoperante!

In quella circostanza e come contraccolpo del con-gresso di Torino avvenne la scissione del PPI, che per-dette taluni gruppi parlamentari, giornalistici e bancaripiú interessati ad amicarsi il governo per finalità parti-colari, che a seguire il partito nel suo programma di de-mocrazia cristiana su cui, sotto la spinta fascista, semprepiú si arroccava.

Le elezioni rivoluzionarie.Approvata la nuova legge elettorale parve che il go-

verno non intendesse servirsene. Forse questo fu il veropensiero del sig. Mussolini in quel periodo di tempo, sesi pensa che difficilmente egli avrebbe potuto trovareuna Camera piú docile di quella che si era lasciata ol-traggiare senza un senso di ribellione.

Ma la crisi del fascismo, che si approfondiva semprepiú, richiedeva nuovi espedienti antirivoluzionari, cioètrasformistici, per placare la impazienza delle masse. Sele opposizioni, per la stessa necessità di plasmarsi e se-lezionarsi, dovevano battagliare quotidianamente col fa-

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elettorale, nell'insistere perché questo aborto giuridicofosse approvato, dicesse sorridendo: «Quanto peggio è,meglio è», frase che dovrebbe rimanere storica perchéin essa sí che è racchiuso lo spirito di Machiavelli!

Ma il duce del fascismo, occupato a studiarequest'autore nelle falsificazioni imponenti dei tiranni be-stiali, non si accorgeva della sua presenza silenziosa eoperante!

In quella circostanza e come contraccolpo del con-gresso di Torino avvenne la scissione del PPI, che per-dette taluni gruppi parlamentari, giornalistici e bancaripiú interessati ad amicarsi il governo per finalità parti-colari, che a seguire il partito nel suo programma di de-mocrazia cristiana su cui, sotto la spinta fascista, semprepiú si arroccava.

Le elezioni rivoluzionarie.Approvata la nuova legge elettorale parve che il go-

verno non intendesse servirsene. Forse questo fu il veropensiero del sig. Mussolini in quel periodo di tempo, sesi pensa che difficilmente egli avrebbe potuto trovareuna Camera piú docile di quella che si era lasciata ol-traggiare senza un senso di ribellione.

Ma la crisi del fascismo, che si approfondiva semprepiú, richiedeva nuovi espedienti antirivoluzionari, cioètrasformistici, per placare la impazienza delle masse. Sele opposizioni, per la stessa necessità di plasmarsi e se-lezionarsi, dovevano battagliare quotidianamente col fa-

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scismo, questo non era libero dallo stesso imperativo.Esso aveva bisogno di offrire ai suoi adepti sempre nuo-vi obiettivi per galvanizzarne gli sforzi e le aspirazionialmeno in un'unità formale, capace di illuderli di perse-guire finalità rivoluzionarie, anche quando tentava difarli scivolare nello scialbo legalitarismo prerivoluzio-nario. In sostanza che cosa poteva interessare al fasci-smo il quorum del 25 o del 35 per cento, quando ritene-va di aver fatto la rivoluzione?

Che importanza poteva avere la conquista del parla-mento quando la sua ideologia primordiale era antide-mocratica e antiparlamentare? Non doveva tutto ciò de-ludere le aspettative del movimento?

Ma l'immaturità del partitone era tale che esso accolsel'annunzio della fiera elettorale come se si trattassedell'inizio di una vera azione rivoluzionaria. Per unastrana deviazione politica, che fornisce, in sintesi contutti gli altri sintomi, la prova dell'insufficienza storicadel popolo italiano a forme di autonomia spirituale econseguentemente politica, le masse fasciste non si ac-corsero che, lanciate nella fiera elettorale, venivano as-sunte in funzione di conservazione, e che, anche se con imanganelli e con la violenza fossero riuscite a non farvotare gli avversari, questi trionfavano sempre, in quan-to che li obbligavano a aderire al loro sistema politico.

Fu forse perciò che, dopo approvata la legge elettora-le, Mussolini fu lungamente perplesso nel bandire leelezioni?

O piuttosto ebbe paura delle bizze interne del partito

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scismo, questo non era libero dallo stesso imperativo.Esso aveva bisogno di offrire ai suoi adepti sempre nuo-vi obiettivi per galvanizzarne gli sforzi e le aspirazionialmeno in un'unità formale, capace di illuderli di perse-guire finalità rivoluzionarie, anche quando tentava difarli scivolare nello scialbo legalitarismo prerivoluzio-nario. In sostanza che cosa poteva interessare al fasci-smo il quorum del 25 o del 35 per cento, quando ritene-va di aver fatto la rivoluzione?

Che importanza poteva avere la conquista del parla-mento quando la sua ideologia primordiale era antide-mocratica e antiparlamentare? Non doveva tutto ciò de-ludere le aspettative del movimento?

Ma l'immaturità del partitone era tale che esso accolsel'annunzio della fiera elettorale come se si trattassedell'inizio di una vera azione rivoluzionaria. Per unastrana deviazione politica, che fornisce, in sintesi contutti gli altri sintomi, la prova dell'insufficienza storicadel popolo italiano a forme di autonomia spirituale econseguentemente politica, le masse fasciste non si ac-corsero che, lanciate nella fiera elettorale, venivano as-sunte in funzione di conservazione, e che, anche se con imanganelli e con la violenza fossero riuscite a non farvotare gli avversari, questi trionfavano sempre, in quan-to che li obbligavano a aderire al loro sistema politico.

Fu forse perciò che, dopo approvata la legge elettora-le, Mussolini fu lungamente perplesso nel bandire leelezioni?

O piuttosto ebbe paura delle bizze interne del partito

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e, piú che altro, dei fiancheggiatori?Ma il fatto stesso di avere apprestato il nuovo conge-

gno elettorale aveva messo un fremito negli aspirantialla medaglietta, che, in periodo rivoluzionario, invecedi diminuire, erano notevolmente aumentati.

D'altra parte, non si poteva indefinitamente governarecol vecchio parlamento quando nuove forze e nuovi ag-gruppamenti si erano determinati nel paese.

Fu perciò che, sotto la pressione degli avvenimenti, ilgoverno fascista si decise a bandire la fiera elettorale e alanciare le camicie nere alla conquista del parlamento.La storia di quest'impresa non ha che assai scarsa im-portanza sia per quanto riguarda la formazione delle li-ste sia per quanto riguarda la conquista dei seggi.

Le liste furono formate con criteri vecchio stile, an-che perché il fascismo non aveva ancora prodotto la fa-mosa élite di cui si vantava. In molte province si dovet-tero includere notevoli schiere di fiancheggiatori o dicosiddetti competenti, per impedire contraccolpi eletto-rali di carattere locale che minacciavano la consistenzadella lista governativa.

Questa semplice constatazione è rivelatrice di una si-tuazione politica in cui il serio si mescola al grottesco,la rivoluzione si sposa alla farsa.

Il fascismo, fenomeno rivoluzionario e antiparlamen-tare, si decide a parlamentarizzarsi per poter mantenereal governo la sua formazione d'élite, e tuttavia non puònemmeno parlamentarizzarsi da se stesso, ma deve chie-dere aiuto alle schiere dei fiancheggiatori, cioè dei vec-

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e, piú che altro, dei fiancheggiatori?Ma il fatto stesso di avere apprestato il nuovo conge-

gno elettorale aveva messo un fremito negli aspirantialla medaglietta, che, in periodo rivoluzionario, invecedi diminuire, erano notevolmente aumentati.

D'altra parte, non si poteva indefinitamente governarecol vecchio parlamento quando nuove forze e nuovi ag-gruppamenti si erano determinati nel paese.

Fu perciò che, sotto la pressione degli avvenimenti, ilgoverno fascista si decise a bandire la fiera elettorale e alanciare le camicie nere alla conquista del parlamento.La storia di quest'impresa non ha che assai scarsa im-portanza sia per quanto riguarda la formazione delle li-ste sia per quanto riguarda la conquista dei seggi.

Le liste furono formate con criteri vecchio stile, an-che perché il fascismo non aveva ancora prodotto la fa-mosa élite di cui si vantava. In molte province si dovet-tero includere notevoli schiere di fiancheggiatori o dicosiddetti competenti, per impedire contraccolpi eletto-rali di carattere locale che minacciavano la consistenzadella lista governativa.

Questa semplice constatazione è rivelatrice di una si-tuazione politica in cui il serio si mescola al grottesco,la rivoluzione si sposa alla farsa.

Il fascismo, fenomeno rivoluzionario e antiparlamen-tare, si decide a parlamentarizzarsi per poter mantenereal governo la sua formazione d'élite, e tuttavia non puònemmeno parlamentarizzarsi da se stesso, ma deve chie-dere aiuto alle schiere dei fiancheggiatori, cioè dei vec-

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chi governanti spodestati.Non si poteva certamente immaginare una posizione

politica piú contraddittoria di questa.Ma la rivoluzione esisteva a dispetto di tutte le forma-

zioni in lotta, e in specie a dispetto del fascismo ufficia-le, che vedeva ogni giorno frustrati i suoi calcoli dallarealtà sociale del paese.

Essa riuscí a spezzare la delicata funzione del mecca-nismo elettorale: le elezioni vennero fatte in tutta Italiacon estrema violenza. I metodi meridionali di lotta ven-nero estesi all'Italia. La MVSN, presidio armato del par-tito dominante, venne impiegata per terrorizzare special-mente le zone rurali e impedire alle opposizioni di eser-citare ogni propaganda elettorale.

Cosí il fascismo-rivoluzione, cioè il fascismo delleprovince, trionfò del trasformismo e gli spezzò nellemani l'incantesimo. La scheda non serví a niente: la pa-rola spettò ancora una volta al randello.

Tuttavia queste elezioni generali valsero a chiarireuno stato di psicologia delle masse di notevole impor-tanza: il processo di polarizzazione agli estremi del cor-po elettorale. La sconfitta di Bonomi a Milano e il limi-tato seguito di Amendola nel sud contrapposti al succes-so elettorale del Partito comunista, chiarirono il progres-sivo indebolimento delle tesi medie, la scarsa fiducia delcorpo elettorale in quelle soluzioni costituzionali chemiravano ad annullare il fatto rivoluzionario e a ricosti-tuire sulle basi del 1915 il dominio delle classi dirigenti.

Il paese cosí lasciò intendere di esigere la reale solu-

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chi governanti spodestati.Non si poteva certamente immaginare una posizione

politica piú contraddittoria di questa.Ma la rivoluzione esisteva a dispetto di tutte le forma-

zioni in lotta, e in specie a dispetto del fascismo ufficia-le, che vedeva ogni giorno frustrati i suoi calcoli dallarealtà sociale del paese.

Essa riuscí a spezzare la delicata funzione del mecca-nismo elettorale: le elezioni vennero fatte in tutta Italiacon estrema violenza. I metodi meridionali di lotta ven-nero estesi all'Italia. La MVSN, presidio armato del par-tito dominante, venne impiegata per terrorizzare special-mente le zone rurali e impedire alle opposizioni di eser-citare ogni propaganda elettorale.

Cosí il fascismo-rivoluzione, cioè il fascismo delleprovince, trionfò del trasformismo e gli spezzò nellemani l'incantesimo. La scheda non serví a niente: la pa-rola spettò ancora una volta al randello.

Tuttavia queste elezioni generali valsero a chiarireuno stato di psicologia delle masse di notevole impor-tanza: il processo di polarizzazione agli estremi del cor-po elettorale. La sconfitta di Bonomi a Milano e il limi-tato seguito di Amendola nel sud contrapposti al succes-so elettorale del Partito comunista, chiarirono il progres-sivo indebolimento delle tesi medie, la scarsa fiducia delcorpo elettorale in quelle soluzioni costituzionali chemiravano ad annullare il fatto rivoluzionario e a ricosti-tuire sulle basi del 1915 il dominio delle classi dirigenti.

Il paese cosí lasciò intendere di esigere la reale solu-

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zione del problema italiano anche sul terreno della for-za. A ogni modo queste elezioni, mentre potenziarono leopposizioni, che, in una lotta cosí severa, selezionaronodirigenti e gregari, accentuarono notevolmente la crisifascista, dimostrando a tutti gli ingredienti della forma-zione quale distanza separava l'élite dirigente dai propo-siti rivoluzionari della massa.

La politica delle due porte aperte veniva, dunque, bat-tuta in breccia sia dalle opposizioni sia dal fascismostesso, e il tentativo di creare una nuova formazione par-lamentare, su cui appoggiarsi, cadeva senza risultato.Cosi la situazione rivoluzionaria della periferia si riper-cuoteva nuovamente al centro.

Il fascismo non sa servirsi del parlamento.Ma il culmine della crisi veniva raggiunto poco dopo

quando si trattò di far funzionare il parlamento.Per quanto l'immaturità del paese fosse enorme, per

quanto il fascismo intransigente si fosse lasciato convo-gliare sul terreno parlamentare, non appariva possibile,quando il parlamento riaprí i suoi battenti, consentirealle opposizioni l'esercizio del controllo.

Vi era, dunque, una situazione estremamente tesa, dacui era difficile uscire, perché le opposizioni erano por-tate dalla stessa crisi fascista e dal rinnovato voto popo-lare a esercitare con energia la critica ai metodi del go-verno, approfittando dell'imbarazzo in cui questo si tro-vava di dovere, da una parte, subire l'intransigenza dei

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zione del problema italiano anche sul terreno della for-za. A ogni modo queste elezioni, mentre potenziarono leopposizioni, che, in una lotta cosí severa, selezionaronodirigenti e gregari, accentuarono notevolmente la crisifascista, dimostrando a tutti gli ingredienti della forma-zione quale distanza separava l'élite dirigente dai propo-siti rivoluzionari della massa.

La politica delle due porte aperte veniva, dunque, bat-tuta in breccia sia dalle opposizioni sia dal fascismostesso, e il tentativo di creare una nuova formazione par-lamentare, su cui appoggiarsi, cadeva senza risultato.Cosi la situazione rivoluzionaria della periferia si riper-cuoteva nuovamente al centro.

Il fascismo non sa servirsi del parlamento.Ma il culmine della crisi veniva raggiunto poco dopo

quando si trattò di far funzionare il parlamento.Per quanto l'immaturità del paese fosse enorme, per

quanto il fascismo intransigente si fosse lasciato convo-gliare sul terreno parlamentare, non appariva possibile,quando il parlamento riaprí i suoi battenti, consentirealle opposizioni l'esercizio del controllo.

Vi era, dunque, una situazione estremamente tesa, dacui era difficile uscire, perché le opposizioni erano por-tate dalla stessa crisi fascista e dal rinnovato voto popo-lare a esercitare con energia la critica ai metodi del go-verno, approfittando dell'imbarazzo in cui questo si tro-vava di dovere, da una parte, subire l'intransigenza dei

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rivoluzionari e dall'altra adottare come terreno di lottaquello parlamentare assai propizio agli avversari. Cosí ilgoverno non sapeva essere né giacobino, come lo vole-vano i fascisti, né parlamentare, come cercavano di farloessere gli oppositori, ma doveva mantenersi in una lineache cumulava tutti gli svantaggi dei due sistemi.

Ma una posizione cosí ibrida non poteva durare a lun-go anche perché le opposizioni erano interessate a avva-lersi della tribuna e delle immunità parlamentari per di-scutere a fondo la situazione politica. Esse si sforzavanodi trascinare il governo sul terreno della legalità per ten-tare di batterlo.

Questa tattica non poteva, d'altra parte, che rendereassolutamente debole la soluzione governativa, e rinfor-zare l'estremismo fascista, spingendolo verso le estremeconseguenze.

Queste giuste previsioni, infatti, si verificarono pun-tualmente all'apertura del parlamento.

La prima settimana fu una solenne beneficiata per leopposizioni, specialmente per quelle che rinserravanotutta la loro critica nell'astrattismo legalitario.

L'estremismo fascista era furente: il governo era diso-rientato completamente.

Il delitto Matteotti.In tali condizioni di cose si determinò l'ambiente in

cui scoppiò il delitto Matteotti, che precipitò di colpo lasituazione.

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rivoluzionari e dall'altra adottare come terreno di lottaquello parlamentare assai propizio agli avversari. Cosí ilgoverno non sapeva essere né giacobino, come lo vole-vano i fascisti, né parlamentare, come cercavano di farloessere gli oppositori, ma doveva mantenersi in una lineache cumulava tutti gli svantaggi dei due sistemi.

Ma una posizione cosí ibrida non poteva durare a lun-go anche perché le opposizioni erano interessate a avva-lersi della tribuna e delle immunità parlamentari per di-scutere a fondo la situazione politica. Esse si sforzavanodi trascinare il governo sul terreno della legalità per ten-tare di batterlo.

Questa tattica non poteva, d'altra parte, che rendereassolutamente debole la soluzione governativa, e rinfor-zare l'estremismo fascista, spingendolo verso le estremeconseguenze.

Queste giuste previsioni, infatti, si verificarono pun-tualmente all'apertura del parlamento.

La prima settimana fu una solenne beneficiata per leopposizioni, specialmente per quelle che rinserravanotutta la loro critica nell'astrattismo legalitario.

L'estremismo fascista era furente: il governo era diso-rientato completamente.

Il delitto Matteotti.In tali condizioni di cose si determinò l'ambiente in

cui scoppiò il delitto Matteotti, che precipitò di colpo lasituazione.

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Sotto l'impressione del terribile delitto tutte le forzedi opposizione si videro improvvisamente rinforzate dacorrenti impetuose di opinione pubblica, che reclamava-no giustizia contro gli assassini e mostravano chiara-mente di ritenere coinvolto, almeno nella responsabilitàmorale, il governo.

Di fronte a queste ondate di opinione pubblica assolu-tamente imprevedute dagli organi ministeriali, che ave-vano preso per moneta contante sia il consenso sia lacalma apparente del paese, Mussolini si vide perduto.

Le sue prime dichiarazioni furono fredde, compassa-te. Egli sperava di poter ancora mantenere l'equilibriotra le diverse correnti in lotta. Ma l'affare Matteotti eramolto piú grave di quello che il fascismo immaginava,perché era destinato a dare la prova della capacità di re-sistenza della debolissima sutura che teneva unite cor-renti cosí disparate, sutura che consisteva nella abilitàtrasformistica del duce.

Mussolini tenta il salvataggio.Sotto la pressione continua e incalzante degli avveni-

menti il giuoco sfuggí completamente di mano al signorMussolini, che, assalito dal panico, accumulò errori suerrori. Probabilmente se egli si fosse alzato in parlamen-to per sostenere la tesi del delitto di Stato nessunoavrebbe osato reagire, ma questa tesi richiedeva altrastatura e il sig. Mussolini si era già rivelato un demago-go senza alcuna passione rivoluzionaria. Gli avvenimen-

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Sotto l'impressione del terribile delitto tutte le forzedi opposizione si videro improvvisamente rinforzate dacorrenti impetuose di opinione pubblica, che reclamava-no giustizia contro gli assassini e mostravano chiara-mente di ritenere coinvolto, almeno nella responsabilitàmorale, il governo.

Di fronte a queste ondate di opinione pubblica assolu-tamente imprevedute dagli organi ministeriali, che ave-vano preso per moneta contante sia il consenso sia lacalma apparente del paese, Mussolini si vide perduto.

Le sue prime dichiarazioni furono fredde, compassa-te. Egli sperava di poter ancora mantenere l'equilibriotra le diverse correnti in lotta. Ma l'affare Matteotti eramolto piú grave di quello che il fascismo immaginava,perché era destinato a dare la prova della capacità di re-sistenza della debolissima sutura che teneva unite cor-renti cosí disparate, sutura che consisteva nella abilitàtrasformistica del duce.

Mussolini tenta il salvataggio.Sotto la pressione continua e incalzante degli avveni-

menti il giuoco sfuggí completamente di mano al signorMussolini, che, assalito dal panico, accumulò errori suerrori. Probabilmente se egli si fosse alzato in parlamen-to per sostenere la tesi del delitto di Stato nessunoavrebbe osato reagire, ma questa tesi richiedeva altrastatura e il sig. Mussolini si era già rivelato un demago-go senza alcuna passione rivoluzionaria. Gli avvenimen-

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ti, non fronteggiati con rimedi straordinari, e secondol'unica via logica che ancora rimaneva aperta, ben prestosoverchiarono la mediocre prassi governativa dell'uomo.

Di fronte allo scoppio di morbosa sensibilità dell'opi-nione pubblica, il sig. Mussolini non seppe far altro cheiniziare egli stesso il processo al regime, nella segretasperanza di aver grazia presso gli avversari e di potercontinuare la politica delle due porte aperte. Sotto que-sta mediocre impressione egli ordinò l'arresto dei suoicollaboratori piú fidati come mandanti in omicidio, sve-lando per primo al paese attonito la esistenza di una veraorganizzazione nichilista annidata nel suo gabinetto.

Questo primo errore colossale partorí gli altri, perchérese possibile il ritorno controffensivo dei fiancheggia-tori. Questi avevano già permeato il movimento fascistasperando di poter rivolgere Mussolini in funzione diconservazione, ma di fronte alla sua politica anodinastavano sempre in vedetta per evitare che il tempera-mento del duce giocasse loro qualche sorpresa.

Soprattutto sospettavano le origini rivoluzionariedell'uomo e del movimento, e dall'esperienza di quelprimo periodo di governo avevano già tratto la convin-zione che occorresse liberarsi dal fascismo per evidentiragioni di conservazione.

Non parve, perciò, che dovessero attendere un'altraoccasione per svolgere la loro contromarcia difensiva.

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ti, non fronteggiati con rimedi straordinari, e secondol'unica via logica che ancora rimaneva aperta, ben prestosoverchiarono la mediocre prassi governativa dell'uomo.

Di fronte allo scoppio di morbosa sensibilità dell'opi-nione pubblica, il sig. Mussolini non seppe far altro cheiniziare egli stesso il processo al regime, nella segretasperanza di aver grazia presso gli avversari e di potercontinuare la politica delle due porte aperte. Sotto que-sta mediocre impressione egli ordinò l'arresto dei suoicollaboratori piú fidati come mandanti in omicidio, sve-lando per primo al paese attonito la esistenza di una veraorganizzazione nichilista annidata nel suo gabinetto.

Questo primo errore colossale partorí gli altri, perchérese possibile il ritorno controffensivo dei fiancheggia-tori. Questi avevano già permeato il movimento fascistasperando di poter rivolgere Mussolini in funzione diconservazione, ma di fronte alla sua politica anodinastavano sempre in vedetta per evitare che il tempera-mento del duce giocasse loro qualche sorpresa.

Soprattutto sospettavano le origini rivoluzionariedell'uomo e del movimento, e dall'esperienza di quelprimo periodo di governo avevano già tratto la convin-zione che occorresse liberarsi dal fascismo per evidentiragioni di conservazione.

Non parve, perciò, che dovessero attendere un'altraoccasione per svolgere la loro contromarcia difensiva.

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La manovra fiancheggiatrice.Invano Mussolini tentò galvanizzare la crisi rinun-

ziando al portafogli dell'Interno e silurando De Bono nelposto di direttore generale della PS: i fiancheggiatori in-calzarono, fatti sempre piú esperti della debolezza av-versaria.

In verità questa politica fiancheggiatrice aveva il van-taggio di costituire un centro di manovra, che, mentreavrebbe potuto costringere Mussolini, con la quotidianaminaccia di secessione, ad abbracciare definitivamentela politica normalizzatrice, si prospettava già come ele-mento di stabilizzazione nel caso di vittoria delle oppo-sizioni.

Oltre di ciò questo centro sperava di poter seguire esfruttare tutte le emozioni della piccola borghesia chetornava a orientarsi verso le cosí dette soluzioni demo-cratiche, e minacciava, perciò, di diventare preda delleopposizioni.

Era in sostanza questa una politica a doppia facciache faceva sperare ai fiancheggiatori di essere in ognicaso presenti alla successione.

Essi ritenevano di aver costituito sempre la vera forzadel fascismo e perciò si tenevano convinti di poterlo ob-bligare ad agire secondo i loro desideri o di poterlo ucci-dere sol che avessero voluto.

Di fronte a questa manovra Mussolini adottò la solitapolitica pendolare: annunziò la legalizzazione al senatoper non accentuare le preoccupazioni costituzionali dei

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La manovra fiancheggiatrice.Invano Mussolini tentò galvanizzare la crisi rinun-

ziando al portafogli dell'Interno e silurando De Bono nelposto di direttore generale della PS: i fiancheggiatori in-calzarono, fatti sempre piú esperti della debolezza av-versaria.

In verità questa politica fiancheggiatrice aveva il van-taggio di costituire un centro di manovra, che, mentreavrebbe potuto costringere Mussolini, con la quotidianaminaccia di secessione, ad abbracciare definitivamentela politica normalizzatrice, si prospettava già come ele-mento di stabilizzazione nel caso di vittoria delle oppo-sizioni.

Oltre di ciò questo centro sperava di poter seguire esfruttare tutte le emozioni della piccola borghesia chetornava a orientarsi verso le cosí dette soluzioni demo-cratiche, e minacciava, perciò, di diventare preda delleopposizioni.

Era in sostanza questa una politica a doppia facciache faceva sperare ai fiancheggiatori di essere in ognicaso presenti alla successione.

Essi ritenevano di aver costituito sempre la vera forzadel fascismo e perciò si tenevano convinti di poterlo ob-bligare ad agire secondo i loro desideri o di poterlo ucci-dere sol che avessero voluto.

Di fronte a questa manovra Mussolini adottò la solitapolitica pendolare: annunziò la legalizzazione al senatoper non accentuare le preoccupazioni costituzionali dei

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patres conscripti, ed esaltò lo spirito bellicoso deglisquadristi nelle adunate regionali; profittò dell'uccisionedel deputato Casalini per dar risalto alla disciplina delsuo partito e disconobbe ogni valore alla secessione par-lamentare delle opposizioni, dichiarandosi pago di go-vernare attraverso le comparse della maggioranza.

Ma questo giuoco non aveva piú probabilità di riusci-ta di fronte al contegno dei ceti dirigenti che cercavanodisperatamente di potenziare il giuoco dei fiancheggia-tori.

Cosí assistemmo a una serie di fatti rivelatori dellamanovra di accerchiamento, che impedivano assoluta-mente al governo di ripetere con successo il suo motopendolare: distacco dei mutilati e dei combattenti, di-stacco dei liberali di sinistra, distacco dei giolittiani.

Con un crescendo continuo Mussolini veniva ricac-ciato verso l'estremismo farinacciano, mobilitandoglicontro una per una le stesse forze che nel 1922 lo aveva-no aiutato ad agguantare il potere.

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patres conscripti, ed esaltò lo spirito bellicoso deglisquadristi nelle adunate regionali; profittò dell'uccisionedel deputato Casalini per dar risalto alla disciplina delsuo partito e disconobbe ogni valore alla secessione par-lamentare delle opposizioni, dichiarandosi pago di go-vernare attraverso le comparse della maggioranza.

Ma questo giuoco non aveva piú probabilità di riusci-ta di fronte al contegno dei ceti dirigenti che cercavanodisperatamente di potenziare il giuoco dei fiancheggia-tori.

Cosí assistemmo a una serie di fatti rivelatori dellamanovra di accerchiamento, che impedivano assoluta-mente al governo di ripetere con successo il suo motopendolare: distacco dei mutilati e dei combattenti, di-stacco dei liberali di sinistra, distacco dei giolittiani.

Con un crescendo continuo Mussolini veniva ricac-ciato verso l'estremismo farinacciano, mobilitandoglicontro una per una le stesse forze che nel 1922 lo aveva-no aiutato ad agguantare il potere.

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Il Mezzogiorno e lo Stato unitario

Le basi storiche della conquista regia nel Mezzo-giorno.

La conquista regia trovò il suo campo classico di ap-plicazione nel Mezzogiorno che, pur avendo dato all'Ita-lia i primi annunzi di libertà si accorse all'indomanidell'impresa garibaldina, di essere stato conquistato.

Eppure, il Mezzogiorno elaborò la filosofia della De-stra storica, dottrina classica del liberalismo italiano, econtribuí potentemente con gli albertisti, cioè con i pa-trioti sostenitori dell'unificazione attraverso l'opera dellacasa sabauda, a formare e dirigere il nuovo Stato!

A un primo esame non si riesce, perciò, a comprende-re perché il centralismo piemontese poté estendersi an-che nel Sud, tutto livellando sotto l'uniformità di schemielaborati nei freddi uffici della burocrazia.

Nell'incomprensione di questo fenomeno si rischia

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Il Mezzogiorno e lo Stato unitario

Le basi storiche della conquista regia nel Mezzo-giorno.

La conquista regia trovò il suo campo classico di ap-plicazione nel Mezzogiorno che, pur avendo dato all'Ita-lia i primi annunzi di libertà si accorse all'indomanidell'impresa garibaldina, di essere stato conquistato.

Eppure, il Mezzogiorno elaborò la filosofia della De-stra storica, dottrina classica del liberalismo italiano, econtribuí potentemente con gli albertisti, cioè con i pa-trioti sostenitori dell'unificazione attraverso l'opera dellacasa sabauda, a formare e dirigere il nuovo Stato!

A un primo esame non si riesce, perciò, a comprende-re perché il centralismo piemontese poté estendersi an-che nel Sud, tutto livellando sotto l'uniformità di schemielaborati nei freddi uffici della burocrazia.

Nell'incomprensione di questo fenomeno si rischia

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cosí di giustificare, senza critica, il piú cieco e brutaleunitarismo, come di non afferrare il potente contenutolibertario e le ragioni storiche che accreditano semprepiú le dottrine autonomiste.

Centralismo meridionale.Fattori naturali e fattori morali impedirono al Mezzo-

giorno d'Italia, dopo che la colonizzazione ellenica,sempre ristretta alle coste e impedita di diffondersinell'interno dall'ostilità delle popolazioni barbare di pa-stori, fu sopraffatta dall'occupazione romana, di svolge-re una sua originale civiltà.

Forse furono inizio della sua decadenza le terribilistragi e i saccheggi della guerra contro Pirro e della se-conda punica, che, secondo il Beloch, determinaronouna sensibile diminuzione di popolazione, e la susse-guente conquista dell'Africa, che costituendo questa co-lonia in granaio dell'impero, tolse importanza alla cerea-licoltura della Sicilia e del Mezzogiorno continentale:certo è che mentre la vita municipale del Nord seppe su-perare le invasioni barbariche, e imporre ai conquistatoridi adattarsi a essa, obbligando specialmente i longobar-di, che ebbero dominio piú lungo e piú stabile, ad adot-tare un ordinamento militare frazionato, che rispondevaalle esigenze di tanti centri autonomi di vita, lo squallo-re dell'ambiente rurale del Sud e il sopraggiunto isola-mento commerciale facilitarono il costituirsi di un orga-nismo accentrato ed ereditario quale fu il ducato di Be-

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cosí di giustificare, senza critica, il piú cieco e brutaleunitarismo, come di non afferrare il potente contenutolibertario e le ragioni storiche che accreditano semprepiú le dottrine autonomiste.

Centralismo meridionale.Fattori naturali e fattori morali impedirono al Mezzo-

giorno d'Italia, dopo che la colonizzazione ellenica,sempre ristretta alle coste e impedita di diffondersinell'interno dall'ostilità delle popolazioni barbare di pa-stori, fu sopraffatta dall'occupazione romana, di svolge-re una sua originale civiltà.

Forse furono inizio della sua decadenza le terribilistragi e i saccheggi della guerra contro Pirro e della se-conda punica, che, secondo il Beloch, determinaronouna sensibile diminuzione di popolazione, e la susse-guente conquista dell'Africa, che costituendo questa co-lonia in granaio dell'impero, tolse importanza alla cerea-licoltura della Sicilia e del Mezzogiorno continentale:certo è che mentre la vita municipale del Nord seppe su-perare le invasioni barbariche, e imporre ai conquistatoridi adattarsi a essa, obbligando specialmente i longobar-di, che ebbero dominio piú lungo e piú stabile, ad adot-tare un ordinamento militare frazionato, che rispondevaalle esigenze di tanti centri autonomi di vita, lo squallo-re dell'ambiente rurale del Sud e il sopraggiunto isola-mento commerciale facilitarono il costituirsi di un orga-nismo accentrato ed ereditario quale fu il ducato di Be-

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nevento, con scarsa luce di cultura, seppur capace di re-sistere militarmente alla potenza carolingia, estesasiagevolmente fino alle rive del Garigliano.

Nel ducato di Benevento era un primo abbozzo delregno, quale poi riuscirono a formarlo i normanni, quan-do liberarono la costa dai bizantini e la vicina Sicilia daisaraceni, eredi gli uni e gli altri delle tradizioni ellenichee puniche.

Da allora questa vasta parte d'Italia di scarsa fertilità,dove rare sono le piogge e i fiumi hanno carattere tor-rentizio, contraddistinta dal latifondo e dalle coltureestensive, visse separata dal resto della penisola, e, dopola conquista angioina, conferí ogni facoltà direttiva,ogni forma di attività spirituale a Napoli, la grande egloriosa parassita in continuo aumento, perché tutte leintelligenze, le energie del regno vi confluivano ad ac-crescere l'autorità e il fasto di una corte che voleva emu-lare lo splendore di quella di Francia.

I normanni fondarono il regno, limitarono i poteri,fissarono gli obblighi militari, riconobbero i titolid'investitura dei baroni, con Ruggero agevolarono lavita municipale, garantendo alle università la facoltà diliberamente regolarsi secondo i propri usi, costumi econsuetudini, e introdussero diverse arti e manifatturenel regno, tra cui importantissima l'industria della seta,divenuta in seguito oggetto di un attivissimo commer-cio. Federico di Svevia, seguendo la loro tradizione, det-te allo Stato un piú sicuro ordinamento e quasi precorsela formazione della grande monarchia assoluta e buro-

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nevento, con scarsa luce di cultura, seppur capace di re-sistere militarmente alla potenza carolingia, estesasiagevolmente fino alle rive del Garigliano.

Nel ducato di Benevento era un primo abbozzo delregno, quale poi riuscirono a formarlo i normanni, quan-do liberarono la costa dai bizantini e la vicina Sicilia daisaraceni, eredi gli uni e gli altri delle tradizioni ellenichee puniche.

Da allora questa vasta parte d'Italia di scarsa fertilità,dove rare sono le piogge e i fiumi hanno carattere tor-rentizio, contraddistinta dal latifondo e dalle coltureestensive, visse separata dal resto della penisola, e, dopola conquista angioina, conferí ogni facoltà direttiva,ogni forma di attività spirituale a Napoli, la grande egloriosa parassita in continuo aumento, perché tutte leintelligenze, le energie del regno vi confluivano ad ac-crescere l'autorità e il fasto di una corte che voleva emu-lare lo splendore di quella di Francia.

I normanni fondarono il regno, limitarono i poteri,fissarono gli obblighi militari, riconobbero i titolid'investitura dei baroni, con Ruggero agevolarono lavita municipale, garantendo alle università la facoltà diliberamente regolarsi secondo i propri usi, costumi econsuetudini, e introdussero diverse arti e manifatturenel regno, tra cui importantissima l'industria della seta,divenuta in seguito oggetto di un attivissimo commer-cio. Federico di Svevia, seguendo la loro tradizione, det-te allo Stato un piú sicuro ordinamento e quasi precorsela formazione della grande monarchia assoluta e buro-

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cratica, che si delineò in Europa nel secolo XVI e arrivòal suo apogeo nel secolo XVIII. Egli infatti, perché nonseguissero il pericoloso esempio dei comuni del Nord,rintuzzò le velleità autonomiste delle città e contempo-raneamente vietò tutte le degenerazioni dell'ordinamen-to feudale, proibí ai baroni ogni altra giurisdizione al difuori di quella civile di primo grado, e tenne cosí altal'autorità dei judiciarii da renderla paragonabile solo aquella dei grandi ufficiali provinciali del potere esecuti-vo nell'età moderna.

Ma la conquista angioina e l'insurrezione siciliana –l'una allentando i freni alla feudalità, l'altra troncandoogni possibilità di espansione della monarchia verso ilsud e l'oriente – dovevano deprimere e modificare que-sta relativamente dignitosa organizzazione statale a cuile altre parti d'Italia guardavano con deferente meravi-glia.

L'azione antifeudale della monarchia assoluta e la formazione della borghesia terriera.

Il Mezzogiorno, offerto all'alta banca fiorentina comecolonia di sfruttamento economico, taglieggiato dal feu-dalismo, immiserito dal distacco della Sicilia e dalleconseguenti guerre, cominciò a precipitare verso la rovi-na, e, nonostante la parentesi aragonese, in cui fu possi-bile un relativo rifiorimento delle università demaniali efeudali, non si riebbe piú, finché il successivo periodoviceregale e la folle tracotanza dei baroni non lo spinse

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cratica, che si delineò in Europa nel secolo XVI e arrivòal suo apogeo nel secolo XVIII. Egli infatti, perché nonseguissero il pericoloso esempio dei comuni del Nord,rintuzzò le velleità autonomiste delle città e contempo-raneamente vietò tutte le degenerazioni dell'ordinamen-to feudale, proibí ai baroni ogni altra giurisdizione al difuori di quella civile di primo grado, e tenne cosí altal'autorità dei judiciarii da renderla paragonabile solo aquella dei grandi ufficiali provinciali del potere esecuti-vo nell'età moderna.

Ma la conquista angioina e l'insurrezione siciliana –l'una allentando i freni alla feudalità, l'altra troncandoogni possibilità di espansione della monarchia verso ilsud e l'oriente – dovevano deprimere e modificare que-sta relativamente dignitosa organizzazione statale a cuile altre parti d'Italia guardavano con deferente meravi-glia.

L'azione antifeudale della monarchia assoluta e la formazione della borghesia terriera.

Il Mezzogiorno, offerto all'alta banca fiorentina comecolonia di sfruttamento economico, taglieggiato dal feu-dalismo, immiserito dal distacco della Sicilia e dalleconseguenti guerre, cominciò a precipitare verso la rovi-na, e, nonostante la parentesi aragonese, in cui fu possi-bile un relativo rifiorimento delle università demaniali efeudali, non si riebbe piú, finché il successivo periodoviceregale e la folle tracotanza dei baroni non lo spinse

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in una situazione di degenerazione anarchica, che ac-crebbe di mille doppi le sue miserie.

In verità molte accuse sono state lanciate alla dinastiaborbonica specialmente da parte dei liberali negli ultimianni del suo dominio, e nella sua politica liberticidavenne identificata l'origine della maggior parte delle di-sgrazie meridionali di cui il governo «negatore di Dio»parve avesse assunto tutte le responsabilità. Ma è giusti-zia riconoscere che la politica borbonica fu quasi sem-pre superiore alla sua fama, e che molte colpe attribuite-le furono piuttosto il risultato di una complessa ereditàstorica, di cui il primo e piú grande merito spetta allapolitica economica spagnola, arrendatrice, per usare unvocabolo dell'epoca, oltre ogni limite non di giustiziama di umanità. Certo è che nel periodo feudale la dina-stia borbonica, con Carlo III e Ferdinando IV, tentò libe-rarsi dal peso morto del feudalismo sia ponendo riparoalle offese recate dalla giustizia baronale, con il largouso delle piú squisite prerogative regie, la grazia el'indulto, sia rigettando la pretesa che i diritti feudali do-vessero essere privilegiati e preferiti come quelli fiscali,sia organizzando la regia polizia.

E il suo tentativo antifeudale giunse fino a emanarel'editto del 1792, rimasto sí senza utile effetto, ma me-morabile per il suo significato, col quale, sciogliendoogni promiscuità d'usi e conservando i diritti dei coloniperpetui, si davano a censo, con assoluta prelazione deinullatenenti, i demani, sia feudali che universali.

In verità questo tentativo borbonico di riprendere la

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in una situazione di degenerazione anarchica, che ac-crebbe di mille doppi le sue miserie.

In verità molte accuse sono state lanciate alla dinastiaborbonica specialmente da parte dei liberali negli ultimianni del suo dominio, e nella sua politica liberticidavenne identificata l'origine della maggior parte delle di-sgrazie meridionali di cui il governo «negatore di Dio»parve avesse assunto tutte le responsabilità. Ma è giusti-zia riconoscere che la politica borbonica fu quasi sem-pre superiore alla sua fama, e che molte colpe attribuite-le furono piuttosto il risultato di una complessa ereditàstorica, di cui il primo e piú grande merito spetta allapolitica economica spagnola, arrendatrice, per usare unvocabolo dell'epoca, oltre ogni limite non di giustiziama di umanità. Certo è che nel periodo feudale la dina-stia borbonica, con Carlo III e Ferdinando IV, tentò libe-rarsi dal peso morto del feudalismo sia ponendo riparoalle offese recate dalla giustizia baronale, con il largouso delle piú squisite prerogative regie, la grazia el'indulto, sia rigettando la pretesa che i diritti feudali do-vessero essere privilegiati e preferiti come quelli fiscali,sia organizzando la regia polizia.

E il suo tentativo antifeudale giunse fino a emanarel'editto del 1792, rimasto sí senza utile effetto, ma me-morabile per il suo significato, col quale, sciogliendoogni promiscuità d'usi e conservando i diritti dei coloniperpetui, si davano a censo, con assoluta prelazione deinullatenenti, i demani, sia feudali che universali.

In verità questo tentativo borbonico di riprendere la

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funzione dell'assolutismo illuminato, che un secolo pri-ma avrebbe potuto ancora svolgere un vero e propriotema di politica nazionale, era ormai svalutato da neces-sità storiche europee, che, preparando la rivoluzionefrancese, superavano del tutto la concezione dell'assolu-tismo. Fu perciò, che lo svolgimento piú pieno della lot-ta antifeudale poté esplicarsi nel periodo francese, con-temporaneamente al tentativo di diffondere anche nelMezzogiorno le istituzioni rappresentative.

Da questo momento lotta sociale e lotta politica si fu-sero e i dati storici della monarchia assoluta venneromessi in discussione anche nel Mezzogiorno.

Infatti a chi imprenda a studiare la storia del regnodelle Due Sicilie dal prorompere del primo anelito di li-bertà nella Repubblica partenopea fino alla unificazioneitaliana, non potrà sfuggire un fenomeno sociale che è lachiave di volta di ogni avvenimento posteriore. Inten-diamo accennare al sorgere e pervenire a maturità politi-ca di una nuova classe sociale, che acquista sempre piúautonomia e caratteristiche proprie: la borghesia rurale.Questa classe si componeva non soltanto dei proprietariterrieri, ma anche di magistrati, avvocati, medici, impie-gati, che data la struttura economico-sociale del Mezzo-giorno non erano altro che una propaggine della orga-nizzazione della proprietà fondiaria.

La sua origine si deve ricercare nell'azione antibaro-nale della monarchia, diretta a ricondurre a unità la pro-prietà terriera, spezzando i vincoli particolari a essa im-posti sotto il nome generico di usi civici, e sostituendo

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funzione dell'assolutismo illuminato, che un secolo pri-ma avrebbe potuto ancora svolgere un vero e propriotema di politica nazionale, era ormai svalutato da neces-sità storiche europee, che, preparando la rivoluzionefrancese, superavano del tutto la concezione dell'assolu-tismo. Fu perciò, che lo svolgimento piú pieno della lot-ta antifeudale poté esplicarsi nel periodo francese, con-temporaneamente al tentativo di diffondere anche nelMezzogiorno le istituzioni rappresentative.

Da questo momento lotta sociale e lotta politica si fu-sero e i dati storici della monarchia assoluta venneromessi in discussione anche nel Mezzogiorno.

Infatti a chi imprenda a studiare la storia del regnodelle Due Sicilie dal prorompere del primo anelito di li-bertà nella Repubblica partenopea fino alla unificazioneitaliana, non potrà sfuggire un fenomeno sociale che è lachiave di volta di ogni avvenimento posteriore. Inten-diamo accennare al sorgere e pervenire a maturità politi-ca di una nuova classe sociale, che acquista sempre piúautonomia e caratteristiche proprie: la borghesia rurale.Questa classe si componeva non soltanto dei proprietariterrieri, ma anche di magistrati, avvocati, medici, impie-gati, che data la struttura economico-sociale del Mezzo-giorno non erano altro che una propaggine della orga-nizzazione della proprietà fondiaria.

La sua origine si deve ricercare nell'azione antibaro-nale della monarchia, diretta a ricondurre a unità la pro-prietà terriera, spezzando i vincoli particolari a essa im-posti sotto il nome generico di usi civici, e sostituendo

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la piccola alla grande proprietà.Ma la spinta maggiore alla formazione di questa clas-

se fu data dalla rivoluzione partenopea, che, con le leggieversive della feudalità accelerò il trapasso economicodella proprietà ai ceti borghesi che da pochi anni sorge-vano dalla massa confusa del proletariato rurale.

Le ragioni giuridiche formali che giustificavano lalotta alla feudalità furono brillantemente riassunte daigiuspubblicisti, che si occuparono del tema, nel vantag-gio della classe padronale di favorire la trasformazionedel feudo in allodio, per acquistare piú larga possibilitàdi sfruttamento della sua proprietà, e nel compenso cheil popolo avrebbe tratto dalle quotizzazioni in cambiodella sparizione storica dei diversi usi civici.

Ma queste ragioni se trovano giustificazione socialenella generale tendenza del secolo a una maggiore e piúintima appropriazione delle fonti di produzione dellaricchezza e, quindi, nel Mezzogiorno, della terra, furononell'applicazione pratica assai lungi dal realizzare queicriteri di giustizia astratta da cui movevano i sostenitoridelle riforme. Tanto vero che la questione demanialeriaffiora a ogni movimento che sembra scuotere il domi-nio delle classi dirigenti; e non è gran tempo che lo stes-so fascismo a mezzo di Arrigo Serpieri tornava a elabo-rare le ragioni ideali di giustizia che inutilmente nel1799 e nel 1861 erano state invocate.

In effetti, le leggi eversive della feudalità servironomolto piú a potenziare la borghesia rurale in formazioneche a sollevare le misere condizioni del popolo, perché

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la piccola alla grande proprietà.Ma la spinta maggiore alla formazione di questa clas-

se fu data dalla rivoluzione partenopea, che, con le leggieversive della feudalità accelerò il trapasso economicodella proprietà ai ceti borghesi che da pochi anni sorge-vano dalla massa confusa del proletariato rurale.

Le ragioni giuridiche formali che giustificavano lalotta alla feudalità furono brillantemente riassunte daigiuspubblicisti, che si occuparono del tema, nel vantag-gio della classe padronale di favorire la trasformazionedel feudo in allodio, per acquistare piú larga possibilitàdi sfruttamento della sua proprietà, e nel compenso cheil popolo avrebbe tratto dalle quotizzazioni in cambiodella sparizione storica dei diversi usi civici.

Ma queste ragioni se trovano giustificazione socialenella generale tendenza del secolo a una maggiore e piúintima appropriazione delle fonti di produzione dellaricchezza e, quindi, nel Mezzogiorno, della terra, furononell'applicazione pratica assai lungi dal realizzare queicriteri di giustizia astratta da cui movevano i sostenitoridelle riforme. Tanto vero che la questione demanialeriaffiora a ogni movimento che sembra scuotere il domi-nio delle classi dirigenti; e non è gran tempo che lo stes-so fascismo a mezzo di Arrigo Serpieri tornava a elabo-rare le ragioni ideali di giustizia che inutilmente nel1799 e nel 1861 erano state invocate.

In effetti, le leggi eversive della feudalità servironomolto piú a potenziare la borghesia rurale in formazioneche a sollevare le misere condizioni del popolo, perché

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le rivendiche contro gli usurpatori, in massima parteborghesi, non essendo state condotte a fondo, non elimi-narono le cause di ingiustizia, e le quotizzazioni rimase-ro quasi del tutto senza esito perché numerosissime fu-rono le quote non assegnate per mancanza di richieste epiú ancora furono quelle retrocesse per mancanza di ca-pitali occorrenti per la messa a coltura. Molte altre infi-ne furono vendute con contratti simulati agli stessi usur-patori, malgrado il divieto della legge.

Fu cosí che tutto il sistema giuridico di eversione del-la feudalità non riuscí ad altro scopo che a elaborare sto-ricamente la borghesia rurale. Essa si venne un po' daper tutto sostituendo alla vecchia classe feudale, di cuiassorbí per conseguenza la funzione economica, con-trapponendosi, con eguale tenacia, allo sforzo di riven-dicazione delle classi piú umili. Lentamente la sua forzacominciò a divenire cosí notevole che i Borboni, tornatidopo la parentesi repubblicana, si cominciarono a preoc-cupare, intuendo, per quanto vagamente, di trovarsi inpresenza di una classe politicamente rivoluzionaria.

Essi cercarono porvi un riparo, dichiarando solenne-mente con Ferdinando I, che la feudalità, ostile, piú chead altri, allo stesso sistema monarchico, non sarebbe sta-ta ripristinata. Ma questo gesto politico non ebbe moltarisonanza per un complesso di ragioni che si possono ri-condurre sotto due ordini di idee: a) la necessità per laborghesia rurale di conquistare il potere politico, dopoaver conquistato il potere economico allo scopo di ga-rantirsi sia da eventuali ritorni feudali sia da ulteriori

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le rivendiche contro gli usurpatori, in massima parteborghesi, non essendo state condotte a fondo, non elimi-narono le cause di ingiustizia, e le quotizzazioni rimase-ro quasi del tutto senza esito perché numerosissime fu-rono le quote non assegnate per mancanza di richieste epiú ancora furono quelle retrocesse per mancanza di ca-pitali occorrenti per la messa a coltura. Molte altre infi-ne furono vendute con contratti simulati agli stessi usur-patori, malgrado il divieto della legge.

Fu cosí che tutto il sistema giuridico di eversione del-la feudalità non riuscí ad altro scopo che a elaborare sto-ricamente la borghesia rurale. Essa si venne un po' daper tutto sostituendo alla vecchia classe feudale, di cuiassorbí per conseguenza la funzione economica, con-trapponendosi, con eguale tenacia, allo sforzo di riven-dicazione delle classi piú umili. Lentamente la sua forzacominciò a divenire cosí notevole che i Borboni, tornatidopo la parentesi repubblicana, si cominciarono a preoc-cupare, intuendo, per quanto vagamente, di trovarsi inpresenza di una classe politicamente rivoluzionaria.

Essi cercarono porvi un riparo, dichiarando solenne-mente con Ferdinando I, che la feudalità, ostile, piú chead altri, allo stesso sistema monarchico, non sarebbe sta-ta ripristinata. Ma questo gesto politico non ebbe moltarisonanza per un complesso di ragioni che si possono ri-condurre sotto due ordini di idee: a) la necessità per laborghesia rurale di conquistare il potere politico, dopoaver conquistato il potere economico allo scopo di ga-rantirsi sia da eventuali ritorni feudali sia da ulteriori

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sviluppi proletari; b) l'adesione della borghesia piú intel-ligente alle idee illuministiche della rivoluzione france-se, come sviluppo storico-politico del sistema economi-co di cui era un prodotto.

La politica borbonica e l'equivoco liberale.Nacque cosí un formidabile equivoco che non poco

contribuí a potenziare la rivoluzione italiana, perché,mentre la borghesia economicamente conservatrice, fucostretta a esser politicamente rivoluzionaria, la monar-chia, che aveva potentemente contribuito con la sua lot-ta antifeudale a crearne le fortune economiche, e, anchedopo il processo di maturazione, aderiva strettamente aidati economici del dominio della nuova classe, noncomprese che il concetto dell'assolutismo era divenutoormai antistorico e che invece sarebbe stato assai facilecostruire con gli stessi interessi borghesi un saldo siste-ma di conservazione monarchica.

E questo equivoco, mentre fu fatale alla dinastia bor-bonica, che perdette il trono nella lotta che ne seguí,pose le prime basi della conquista piemontese, perchépolarizzò, attraverso una lunga serie di vicende e di er-rori, che non è compito dell'opera specificare, le speran-ze dei liberali napoletani verso il Piemonte, come solaforza unificatrice d'Italia.

Né occorre meravigliarsi di questa polarizzazione, siaperché i cosiddetti liberali napoletani erano sostanzial-mente dei conservatori, sia perché il loro ideale politico

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sviluppi proletari; b) l'adesione della borghesia piú intel-ligente alle idee illuministiche della rivoluzione france-se, come sviluppo storico-politico del sistema economi-co di cui era un prodotto.

La politica borbonica e l'equivoco liberale.Nacque cosí un formidabile equivoco che non poco

contribuí a potenziare la rivoluzione italiana, perché,mentre la borghesia economicamente conservatrice, fucostretta a esser politicamente rivoluzionaria, la monar-chia, che aveva potentemente contribuito con la sua lot-ta antifeudale a crearne le fortune economiche, e, anchedopo il processo di maturazione, aderiva strettamente aidati economici del dominio della nuova classe, noncomprese che il concetto dell'assolutismo era divenutoormai antistorico e che invece sarebbe stato assai facilecostruire con gli stessi interessi borghesi un saldo siste-ma di conservazione monarchica.

E questo equivoco, mentre fu fatale alla dinastia bor-bonica, che perdette il trono nella lotta che ne seguí,pose le prime basi della conquista piemontese, perchépolarizzò, attraverso una lunga serie di vicende e di er-rori, che non è compito dell'opera specificare, le speran-ze dei liberali napoletani verso il Piemonte, come solaforza unificatrice d'Italia.

Né occorre meravigliarsi di questa polarizzazione, siaperché i cosiddetti liberali napoletani erano sostanzial-mente dei conservatori, sia perché il loro ideale politico

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era monarchico.Si pone cosí fin da quest'epoca la caratteristica princi-

pale del liberalismo meridionale consistente nello sforzodella borghesia di risolvere, nel generale problemadell'unificazione d'Italia, la necessità del suo dominioregionale. In sostanza i liberali meridionali trovavanonel centralismo piemontese l'incarnazione giuridico-burocratica di quell'ideale politico, verso cui, invano,avevano cercato di spingere l'assolutismo borbonico.

Nessuno, quindi, si meraviglierà che la conquista re-gia divenisse il loro ideale, anche se furono costretti alottare in nome di quello Stato che Bertrando Spaventa eCamillo De Meis avevano sognato anacronisticamentedi fondare in un paese che non aveva saputo nemmenopotenziare di tutte le sue ragioni lo Stato assoluto.

Cosicché, quando nel 1860 l'isolamento diplomatico,la ribellione della Sicilia e l'audace impresa garibaldinasegnarono l'ultima ora del regno borbonico, l'unione delpaese era già avvenuta sulla base della fusione dei duecentralismi e sulla mutuazione fra l'astrattismo istituzio-nale piemontese e la realtà semifeudale del Mezzogior-no.

L'azione antifeudale durante la luogotenenza.Unificato il regno queste direttive continuarono. Però

lo studioso non può non rilevare lo sforzo del governoluogotenenziale per riprendere le classiche direttive an-tifeudali. Fiorí cosí nuovamente la legislazione dema-

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era monarchico.Si pone cosí fin da quest'epoca la caratteristica princi-

pale del liberalismo meridionale consistente nello sforzodella borghesia di risolvere, nel generale problemadell'unificazione d'Italia, la necessità del suo dominioregionale. In sostanza i liberali meridionali trovavanonel centralismo piemontese l'incarnazione giuridico-burocratica di quell'ideale politico, verso cui, invano,avevano cercato di spingere l'assolutismo borbonico.

Nessuno, quindi, si meraviglierà che la conquista re-gia divenisse il loro ideale, anche se furono costretti alottare in nome di quello Stato che Bertrando Spaventa eCamillo De Meis avevano sognato anacronisticamentedi fondare in un paese che non aveva saputo nemmenopotenziare di tutte le sue ragioni lo Stato assoluto.

Cosicché, quando nel 1860 l'isolamento diplomatico,la ribellione della Sicilia e l'audace impresa garibaldinasegnarono l'ultima ora del regno borbonico, l'unione delpaese era già avvenuta sulla base della fusione dei duecentralismi e sulla mutuazione fra l'astrattismo istituzio-nale piemontese e la realtà semifeudale del Mezzogior-no.

L'azione antifeudale durante la luogotenenza.Unificato il regno queste direttive continuarono. Però

lo studioso non può non rilevare lo sforzo del governoluogotenenziale per riprendere le classiche direttive an-tifeudali. Fiorí cosí nuovamente la legislazione dema-

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niale e le istruzioni ministeriali parlarono ancora unavolta di ingiustizie commesse, di torti da riparare, di ri-vendiche da sperimentare. Tutto ciò derivò evidente-mente da fenomeni d'incomprensione storica perché laburocrazia del nuovo regime, credendo di dover conti-nuare la rivoluzione, non trovò di meglio che riattaccar-si alle armi illuministiche della vecchia Repubblica par-tenopea e muovere in guerra contro il feudalismo. Lanuova borghesia naturalmente lasciò fare fino a quandola legislazione eversiva, attaccando gli ultimi residuidella feudalità, le permise di completare la sua opera diirrobustimento economico. Oltre questo limite invece ilconquistato potere servi a scongiurare ogni iattura eco-nomica.

Infatti i borghesi, impadronitisi della rappresentanzapolitica delle province e dei comuni, posero ogni speciedi ostacolo alla azione antifeudale, impedirono cioè chele riforme legislative si risolvessero in effettivo benefi-cio delle classi piú umili.

Cosí gli usurpatori divenuti grandi elettori, stroncaro-no ogni azione rivoluzionaria diretta contro il loro domi-nio. Veramente questo prepotere della borghesia ruralepoté sorgere e affermarsi, perché mancava quasi del tut-to l'industria e l'immaturità politica e civile delle altreclassi era smisurata.

Ma esso fu ottenuto a un prezzo assai caro: l'abbando-no di ogni pretesa di controllo sullo Stato e l'adesioneincondizionata alla politica dei ceti dominanti del Nord.Nella loro terribile immaturità politica, nel loro gretto

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niale e le istruzioni ministeriali parlarono ancora unavolta di ingiustizie commesse, di torti da riparare, di ri-vendiche da sperimentare. Tutto ciò derivò evidente-mente da fenomeni d'incomprensione storica perché laburocrazia del nuovo regime, credendo di dover conti-nuare la rivoluzione, non trovò di meglio che riattaccar-si alle armi illuministiche della vecchia Repubblica par-tenopea e muovere in guerra contro il feudalismo. Lanuova borghesia naturalmente lasciò fare fino a quandola legislazione eversiva, attaccando gli ultimi residuidella feudalità, le permise di completare la sua opera diirrobustimento economico. Oltre questo limite invece ilconquistato potere servi a scongiurare ogni iattura eco-nomica.

Infatti i borghesi, impadronitisi della rappresentanzapolitica delle province e dei comuni, posero ogni speciedi ostacolo alla azione antifeudale, impedirono cioè chele riforme legislative si risolvessero in effettivo benefi-cio delle classi piú umili.

Cosí gli usurpatori divenuti grandi elettori, stroncaro-no ogni azione rivoluzionaria diretta contro il loro domi-nio. Veramente questo prepotere della borghesia ruralepoté sorgere e affermarsi, perché mancava quasi del tut-to l'industria e l'immaturità politica e civile delle altreclassi era smisurata.

Ma esso fu ottenuto a un prezzo assai caro: l'abbando-no di ogni pretesa di controllo sullo Stato e l'adesioneincondizionata alla politica dei ceti dominanti del Nord.Nella loro terribile immaturità politica, nel loro gretto

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particolarismo i borghesi meridionali non compreseroche il loro dominio era quanto mai labile perché privodel controllo sullo Stato, non si accorsero che i loro in-teressi venivano manomessi, che la giustizia distributivaveniva conculcata e si lasciarono spingere sempre piúnel chiuso orizzonte degli interessi locali.

Lo Stato italiano, assolutamente privo di ogni velleitàetica, di fronte al chiuso particolarismo di questa classemeridionale, ebbe un giuoco assai facile perché la sua li-nea di politica generale coincise con la stretta mentalitàdei popoli conquistati.

Tutta l'azione unitaria nel Mezzogiorno dimostròquanto fosse radicata la prassi del governo paterno equanto poco pericolo avrebbe corso il Borbone se aves-se tenuto fede alla costituzione.

Le critiche della Destra storica.Veramente questa situazione di cose non rimase senza

reazione specialmente per opera della destra liberale, masi trattò di critiche teoriche che, se servirono a porre ifondamenti della questione meridionale, non poteronoavere alcuna utilità pratica. Il pensiero della Destra sto-rica, postulando la necessità di creazione dello Statomoderno come sostanza etica di un popolo pervenuto acoscienza di sé, faceva implicitamente, in sede filosofi-ca, la critica al processo di formazione dello Stato unita-rio, per quanto non fosse piú in grado di tradurre in datistorici le postulazioni ideali.

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particolarismo i borghesi meridionali non compreseroche il loro dominio era quanto mai labile perché privodel controllo sullo Stato, non si accorsero che i loro in-teressi venivano manomessi, che la giustizia distributivaveniva conculcata e si lasciarono spingere sempre piúnel chiuso orizzonte degli interessi locali.

Lo Stato italiano, assolutamente privo di ogni velleitàetica, di fronte al chiuso particolarismo di questa classemeridionale, ebbe un giuoco assai facile perché la sua li-nea di politica generale coincise con la stretta mentalitàdei popoli conquistati.

Tutta l'azione unitaria nel Mezzogiorno dimostròquanto fosse radicata la prassi del governo paterno equanto poco pericolo avrebbe corso il Borbone se aves-se tenuto fede alla costituzione.

Le critiche della Destra storica.Veramente questa situazione di cose non rimase senza

reazione specialmente per opera della destra liberale, masi trattò di critiche teoriche che, se servirono a porre ifondamenti della questione meridionale, non poteronoavere alcuna utilità pratica. Il pensiero della Destra sto-rica, postulando la necessità di creazione dello Statomoderno come sostanza etica di un popolo pervenuto acoscienza di sé, faceva implicitamente, in sede filosofi-ca, la critica al processo di formazione dello Stato unita-rio, per quanto non fosse piú in grado di tradurre in datistorici le postulazioni ideali.

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Questa critica, se da una parte investiva il problemacentrale dello Stato italiano come conquista regia,dall'altra aggrediva già la questione meridionale comemalattia, che restringeva la completa circolazione dellanazione.

Specialmente dopo la caduta parlamentare di questopartito, e dopo che tutte le formazioni borbonicamenteconservatrici si furono gettate nella politica trasformisti-ca inaugurata dalla Sinistra, il pensiero della Destra di-venne profondamente rivoluzionario.

Le dottrine sull'autonomismo, sul decentramento, sul-le garanzie costituzionali, la critica violenta ai sistemidello Stato di polizia, che continuamente emerge nonappena si scrosta la vernice legalitaria, l'odio per la tran-sazione e per il compromesso costituirono le armi dellabattaglia che la Destra liberale ingaggiò contro quelloStato unitario che essa stessa aveva potentemente con-tribuito a creare.

Ma se questa contraddizione intrinseca e l'immaturitàgenerale del paese fecero apparire come antistorica que-sta seconda fase dell'attività politica della Destra, non sipuò disconoscere che a essa si deve di aver seminato iprimi germi della critica alla politica unitaria, e aver ini-ziato il logorio del regime.

Si trattava, però, di una critica a assai lunga scadenzae tutti i maggiori uomini politici della Destra morirononella tristezza di un fallimento ideale senza confine.

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Questa critica, se da una parte investiva il problemacentrale dello Stato italiano come conquista regia,dall'altra aggrediva già la questione meridionale comemalattia, che restringeva la completa circolazione dellanazione.

Specialmente dopo la caduta parlamentare di questopartito, e dopo che tutte le formazioni borbonicamenteconservatrici si furono gettate nella politica trasformisti-ca inaugurata dalla Sinistra, il pensiero della Destra di-venne profondamente rivoluzionario.

Le dottrine sull'autonomismo, sul decentramento, sul-le garanzie costituzionali, la critica violenta ai sistemidello Stato di polizia, che continuamente emerge nonappena si scrosta la vernice legalitaria, l'odio per la tran-sazione e per il compromesso costituirono le armi dellabattaglia che la Destra liberale ingaggiò contro quelloStato unitario che essa stessa aveva potentemente con-tribuito a creare.

Ma se questa contraddizione intrinseca e l'immaturitàgenerale del paese fecero apparire come antistorica que-sta seconda fase dell'attività politica della Destra, non sipuò disconoscere che a essa si deve di aver seminato iprimi germi della critica alla politica unitaria, e aver ini-ziato il logorio del regime.

Si trattava, però, di una critica a assai lunga scadenzae tutti i maggiori uomini politici della Destra morirononella tristezza di un fallimento ideale senza confine.

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La borghesia meridionale si assicura il dominio at-traverso il trasformismo.

Ridotta cosí in un ambito puramente regionale, la vitapolitica del Mezzogiorno illanguidí. Perfino quei prodi-gi di pensiero individuale di cui ci aveva dato cosí per-spicuo esempio la Destra, scomparvero.

Divenuta padrona del campo, la borghesia rurale ade-guò ogni sforzo politico alla sua mentalità particolarista.

Dovunque fu istituito il partito del medico condottocontro quello del farmacista, e del segretario comunalecontro quello del maestro fiduciario: una lotta di feuda-lismi per impadronirsi del municipio e di là favorire i fe-deli e opprimere gli avversari.

Tutta la lotta, dunque, si organizzò intorno alla cassadel comune, e sugli addebiti amministrativi la prefetturariuscí a innestare una serie di ricatti legali a favore deipartiti dominanti.

È perciò che d'allora i partiti meridionali sono stati,per lo meno tendenzialmente, ministeriali. Infatti, se essisono al potere, debbono essere ministeriali per evitare lenoie delle inchieste amministrative; se, invece, sonoall'opposizione, aspirano al favore del governo per poterdetronizzare gli avversari.

In tale condizione di cose, l'organizzazione politicameridionale non poteva consistere che in una mediazio-ne continua tra i vari governi succedentisi al centro e leinerti masse meridionali, assenti dalle istituzioni: media-zione esercitata dai deputati, che portavano ai governi in

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La borghesia meridionale si assicura il dominio at-traverso il trasformismo.

Ridotta cosí in un ambito puramente regionale, la vitapolitica del Mezzogiorno illanguidí. Perfino quei prodi-gi di pensiero individuale di cui ci aveva dato cosí per-spicuo esempio la Destra, scomparvero.

Divenuta padrona del campo, la borghesia rurale ade-guò ogni sforzo politico alla sua mentalità particolarista.

Dovunque fu istituito il partito del medico condottocontro quello del farmacista, e del segretario comunalecontro quello del maestro fiduciario: una lotta di feuda-lismi per impadronirsi del municipio e di là favorire i fe-deli e opprimere gli avversari.

Tutta la lotta, dunque, si organizzò intorno alla cassadel comune, e sugli addebiti amministrativi la prefetturariuscí a innestare una serie di ricatti legali a favore deipartiti dominanti.

È perciò che d'allora i partiti meridionali sono stati,per lo meno tendenzialmente, ministeriali. Infatti, se essisono al potere, debbono essere ministeriali per evitare lenoie delle inchieste amministrative; se, invece, sonoall'opposizione, aspirano al favore del governo per poterdetronizzare gli avversari.

In tale condizione di cose, l'organizzazione politicameridionale non poteva consistere che in una mediazio-ne continua tra i vari governi succedentisi al centro e leinerti masse meridionali, assenti dalle istituzioni: media-zione esercitata dai deputati, che portavano ai governi in

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carica i voti e la tranquillità delle masse meridionali, ene ricevevano favoritismi e impunità per i loro protetti.Cosí avvenne che il popolo, il quale credeva, deponendouna scheda, di compiere un atto rivoluzionario, finí pervotare i suoi aguzzini, perché il deputato è, quasi sem-pre, soltanto l'eletto del sindaco, e il governo in carica,per ottenere il voto del deputato, deve proteggere il sin-daco.

Sorse, quindi, nel paese il trasformismo, perché esi-steva, in ogni momento, nel parlamento una massa divotanti, ansiosi del favore ministeriale, necessitati dallostesso sistema elettoralistico, di cui erano la espressione,a chiedere sussidio per i pochi interessi privati che rap-presentavano ed esisteva, in ogni momento, anche pergoverni, che nel paese erano in nettissima minoranza, lapossibilità di creare durature combinazioni politiche, ce-mentando, attraverso una sintesi non hegeliana, gli inte-ressi di qualche gruppo del Nord con gli affari di tutti iladruncoli dichiarati contabili del Sud.

Né si poteva uscire da questo sistema votando per leopposizioni, perché queste, prodotto dello stesso climastorico e sociale, non aspiravano a altro che a soppianta-re i deputati di maggioranza nella loro tradizionale fun-zione trasformistica.

Due meridionalisti: Giustino Fortunato, Antonio DeViti De Marco.

Contro la politica unitaria però continuò la critica del-

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carica i voti e la tranquillità delle masse meridionali, ene ricevevano favoritismi e impunità per i loro protetti.Cosí avvenne che il popolo, il quale credeva, deponendouna scheda, di compiere un atto rivoluzionario, finí pervotare i suoi aguzzini, perché il deputato è, quasi sem-pre, soltanto l'eletto del sindaco, e il governo in carica,per ottenere il voto del deputato, deve proteggere il sin-daco.

Sorse, quindi, nel paese il trasformismo, perché esi-steva, in ogni momento, nel parlamento una massa divotanti, ansiosi del favore ministeriale, necessitati dallostesso sistema elettoralistico, di cui erano la espressione,a chiedere sussidio per i pochi interessi privati che rap-presentavano ed esisteva, in ogni momento, anche pergoverni, che nel paese erano in nettissima minoranza, lapossibilità di creare durature combinazioni politiche, ce-mentando, attraverso una sintesi non hegeliana, gli inte-ressi di qualche gruppo del Nord con gli affari di tutti iladruncoli dichiarati contabili del Sud.

Né si poteva uscire da questo sistema votando per leopposizioni, perché queste, prodotto dello stesso climastorico e sociale, non aspiravano a altro che a soppianta-re i deputati di maggioranza nella loro tradizionale fun-zione trasformistica.

Due meridionalisti: Giustino Fortunato, Antonio DeViti De Marco.

Contro la politica unitaria però continuò la critica del-

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le élite liberali. Sennonché, a mano a mano che il nuovoStato funzionava e metteva, perciò, a nudo le sue defi-cienze ideali, questa critica si allontanava dai cieli dellaastrazione teorica, ove in massima parte l'aveva spinta laDestra liberale, per concretarsi in atteggiamenti di mag-giore aderenza alla realtà. Fu cosí che in mezzo a tantamiseria sorsero i primi germi della vita. Con quel pro-cesso caratteristico delle grandi questioni storiche, chesono casi di coscienza individuale, prima ancora di di-venire patrimonio di élite, l'elaborazione critica dellaquestione meridionale si affermò per opera di due isola-ti: Giustino Fortunato e Antonio De Viti De Marco.

Il primo dal cuore della Basilicata pietrosa intese tuttal'ironia del mito virgiliano della fecondità meridionale, earmato degli ultimi risultati degli studi geologici, geo-grafici, storici e agrologici, mosse guerra ai parti dellafantasia poetica, prospettando l'inferiorità del Mezzo-giorno come fatale.

Discendendo culturalmente da quella scuola liberaleche aveva teorizzato la felicità nazionale, egli invocò in-dirizzi generali di governo atti a riparare le ingiustiziestoriche dell'unità, e, sentendosi unico veggente in unaterra di ciechi, rivestí le sue perorazioni di un tale pro-fondo pessimismo, che ancora oggi le sue pagine desta-no un'accorata commozione.

Però il suo orizzonte politico non andò oltre la conce-zione storica dello Stato italiano, e, perciò, la profondareazione spirituale verso le classi trasformiste del suopaese, gli vietò d'intendere le possibilità rivoluzionarie

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le élite liberali. Sennonché, a mano a mano che il nuovoStato funzionava e metteva, perciò, a nudo le sue defi-cienze ideali, questa critica si allontanava dai cieli dellaastrazione teorica, ove in massima parte l'aveva spinta laDestra liberale, per concretarsi in atteggiamenti di mag-giore aderenza alla realtà. Fu cosí che in mezzo a tantamiseria sorsero i primi germi della vita. Con quel pro-cesso caratteristico delle grandi questioni storiche, chesono casi di coscienza individuale, prima ancora di di-venire patrimonio di élite, l'elaborazione critica dellaquestione meridionale si affermò per opera di due isola-ti: Giustino Fortunato e Antonio De Viti De Marco.

Il primo dal cuore della Basilicata pietrosa intese tuttal'ironia del mito virgiliano della fecondità meridionale, earmato degli ultimi risultati degli studi geologici, geo-grafici, storici e agrologici, mosse guerra ai parti dellafantasia poetica, prospettando l'inferiorità del Mezzo-giorno come fatale.

Discendendo culturalmente da quella scuola liberaleche aveva teorizzato la felicità nazionale, egli invocò in-dirizzi generali di governo atti a riparare le ingiustiziestoriche dell'unità, e, sentendosi unico veggente in unaterra di ciechi, rivestí le sue perorazioni di un tale pro-fondo pessimismo, che ancora oggi le sue pagine desta-no un'accorata commozione.

Però il suo orizzonte politico non andò oltre la conce-zione storica dello Stato italiano, e, perciò, la profondareazione spirituale verso le classi trasformiste del suopaese, gli vietò d'intendere le possibilità rivoluzionarie

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del decentramento amministrativo.Il secondo, partendo dal liberalismo economico che è

il primo scheletro di ogni sistema liberale, svelò al Mez-zogiorno tutto il danno proveniente dal protezionismodoganale, instaurato a beneficio di poche industrie privi-legiate, e a danno della produzione agricola – principale,se non unica, fonte di vita della nazione e del Mezzo-giorno – e con il suo apostolato trentennale cercò salda-re le poche forze antiprotezioniste del Nord con le rap-presentanze del Mezzogiorno per un'azione comune. Maentrambi fallirono al loro scopo, perché, isolati dal loropessimismo e dall'immaturità generale del paese, conce-pirono il male sub specie aeternitatis, e sperarono salutesoltanto dall'azione dello Stato, senza poter ancor intra-vedere le forze autonome da gettare nel fervore dellabattaglia.

Gaetano Salvemini e l'«Unità».Questa posizione statica venne, però, ben presto supe-

rata dalla critica salveminiana all'azione del Partito so-cialista italiano.

Figlio di quella Puglia, ove intorno al latifondo e allacoltura estensiva dei cereali cozzano le plebi sterminatecontro ristrette classi di proprietari, Gaetano Salveminifu portato dal suo stesso tentativo di istituire la lotta diclasse nel Mezzogiorno a elaborare la critica di quelPartito socialista italiano, che nel settentrione, elevandole plebi, stabiliva interi i termini liberali della lotta poli-

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del decentramento amministrativo.Il secondo, partendo dal liberalismo economico che è

il primo scheletro di ogni sistema liberale, svelò al Mez-zogiorno tutto il danno proveniente dal protezionismodoganale, instaurato a beneficio di poche industrie privi-legiate, e a danno della produzione agricola – principale,se non unica, fonte di vita della nazione e del Mezzo-giorno – e con il suo apostolato trentennale cercò salda-re le poche forze antiprotezioniste del Nord con le rap-presentanze del Mezzogiorno per un'azione comune. Maentrambi fallirono al loro scopo, perché, isolati dal loropessimismo e dall'immaturità generale del paese, conce-pirono il male sub specie aeternitatis, e sperarono salutesoltanto dall'azione dello Stato, senza poter ancor intra-vedere le forze autonome da gettare nel fervore dellabattaglia.

Gaetano Salvemini e l'«Unità».Questa posizione statica venne, però, ben presto supe-

rata dalla critica salveminiana all'azione del Partito so-cialista italiano.

Figlio di quella Puglia, ove intorno al latifondo e allacoltura estensiva dei cereali cozzano le plebi sterminatecontro ristrette classi di proprietari, Gaetano Salveminifu portato dal suo stesso tentativo di istituire la lotta diclasse nel Mezzogiorno a elaborare la critica di quelPartito socialista italiano, che nel settentrione, elevandole plebi, stabiliva interi i termini liberali della lotta poli-

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tica.Analizzando tale azione, si presentava imprescindibi-

le la necessità di spiegare il perché dell'insuccesso so-cialista nel Mezzogiorno e delle sue deformazioni inquelle poche zone ove il nuovo verbo era riuscito ad at-tecchire. Evidentemente vi era qualche cosa che eraestranea all'ambiente meridionale e che impediva l'unitàdel movimento socialista, qualche cosa che non era con-naturale al marxismo, ma prodotto specifico del climaitaliano. Quest'ostacolo fu subito identificato e la que-stione meridionale apparve al Salvemini come presup-posto della questione sociale. Da allora il grande scritto-re pugliese prese a combattere tutte le oligarchie, sia pa-dronali sia operaie, costituite sul sacrificio degli interes-si generali.

Dapprima la sua critica investí il partito stesso in cuimilitava, avvivandosi della segreta speranza di poterlorichiamare alle sue origini libertarie e disincagliare dallapolitica della difesa di categorie per spingerlo nel vivodella questione italiana: poi si sollevò ancor piú in alto aindagare le responsabilità d'intere generazioni, quandola sua nuova fede lo costrinse a restituire la tessera. Mala critica salveminiana, pur superando, con una investi-gazione fedele e pertinace delle cause del male, la fasepessimistica del problema, non poté ancora evadere ilchiuso orizzonte del problemismo. La necessità dell'ana-lisi rivelatrice e il processo di maturazione politica an-cora all'inizio non consentivano sintesi affrettate, e, puravendo Salvemini già identificato nelle classi della pro-

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tica.Analizzando tale azione, si presentava imprescindibi-

le la necessità di spiegare il perché dell'insuccesso so-cialista nel Mezzogiorno e delle sue deformazioni inquelle poche zone ove il nuovo verbo era riuscito ad at-tecchire. Evidentemente vi era qualche cosa che eraestranea all'ambiente meridionale e che impediva l'unitàdel movimento socialista, qualche cosa che non era con-naturale al marxismo, ma prodotto specifico del climaitaliano. Quest'ostacolo fu subito identificato e la que-stione meridionale apparve al Salvemini come presup-posto della questione sociale. Da allora il grande scritto-re pugliese prese a combattere tutte le oligarchie, sia pa-dronali sia operaie, costituite sul sacrificio degli interes-si generali.

Dapprima la sua critica investí il partito stesso in cuimilitava, avvivandosi della segreta speranza di poterlorichiamare alle sue origini libertarie e disincagliare dallapolitica della difesa di categorie per spingerlo nel vivodella questione italiana: poi si sollevò ancor piú in alto aindagare le responsabilità d'intere generazioni, quandola sua nuova fede lo costrinse a restituire la tessera. Mala critica salveminiana, pur superando, con una investi-gazione fedele e pertinace delle cause del male, la fasepessimistica del problema, non poté ancora evadere ilchiuso orizzonte del problemismo. La necessità dell'ana-lisi rivelatrice e il processo di maturazione politica an-cora all'inizio non consentivano sintesi affrettate, e, puravendo Salvemini già identificato nelle classi della pro-

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duzione terriera la miniera dell'antitrasformismo rivolu-zionario, l'azione pratica gli apparve ancora sconsigliatadalle necessità quotidiane della battaglia ideale.

Il Partito radicale.Ma, mentre l'«Unità» salveminiana assolveva questo

importante compito ideologico, si perfezionava e produ-ceva frutti, specialmente nel Mezzogiorno, un movi-mento piú schiettamente politico, che è compitodell'opera ricordare: il movimento radicale.

Esso, quantunque fosse nato prima dell'«Unità» sal-veminiana, produsse i suoi maggiori frutti proprio quan-do questa rivista iniziò la sua critica.

I due movimenti rimasero, però, esterni l'uno all'altro:la forte e saporita linfa salveminiana non si comunicòall'opportunismo radicale, e mentre il tentativo unitariofu il piú radicale sforzo antitrasformistico che la storiapolitica italiana registri, il radicalismo non tardò a con-vergere nella vasta corrente giolittiana.

Soltanto nell'immediato dopoguerra, quando il giolit-tismo sembrava offuscato e si scatenava l'inflazione bol-scevica, le due correnti si fusero nel Partito del rinnova-mento, ma io sono convinto che, anche se Gaetano Sal-vemini non fosse stato allontanato dalla politica militan-te da un banale accidente, l'unione rinnovatrice nonavrebbe potuto assai a lungo mantenersi.

Questi rilievi chiariscono cosí quale fu la vera naturadel Partito radicale e degli altri movimenti che a esso si

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duzione terriera la miniera dell'antitrasformismo rivolu-zionario, l'azione pratica gli apparve ancora sconsigliatadalle necessità quotidiane della battaglia ideale.

Il Partito radicale.Ma, mentre l'«Unità» salveminiana assolveva questo

importante compito ideologico, si perfezionava e produ-ceva frutti, specialmente nel Mezzogiorno, un movi-mento piú schiettamente politico, che è compitodell'opera ricordare: il movimento radicale.

Esso, quantunque fosse nato prima dell'«Unità» sal-veminiana, produsse i suoi maggiori frutti proprio quan-do questa rivista iniziò la sua critica.

I due movimenti rimasero, però, esterni l'uno all'altro:la forte e saporita linfa salveminiana non si comunicòall'opportunismo radicale, e mentre il tentativo unitariofu il piú radicale sforzo antitrasformistico che la storiapolitica italiana registri, il radicalismo non tardò a con-vergere nella vasta corrente giolittiana.

Soltanto nell'immediato dopoguerra, quando il giolit-tismo sembrava offuscato e si scatenava l'inflazione bol-scevica, le due correnti si fusero nel Partito del rinnova-mento, ma io sono convinto che, anche se Gaetano Sal-vemini non fosse stato allontanato dalla politica militan-te da un banale accidente, l'unione rinnovatrice nonavrebbe potuto assai a lungo mantenersi.

Questi rilievi chiariscono cosí quale fu la vera naturadel Partito radicale e degli altri movimenti che a esso si

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possono ricondurre.Oggi dovrebbe essere chiaro che, se le masse meri-

dionali credettero compiere uno sforzo di autonomia edi emancipazione dal grigio cerchio della politica unita-ria, attraverso la generazione degli avvocati radicali, cheaffiorò alla vita pubblica nei primi anni del secolo nuo-vo, i dirigenti non potevano agire contro i dati storici delgiolittismo nel Mezzogiorno senza incidere gli interessidella loro classe.

Prima ancora di entrare nella politica militante, essierano giolittiani per temperamento, per idee, per interes-si, e perciò non potevano nemmeno intuire con qualiidee e con quali forze la politica giolittiana poteva esse-re frantumata.

Il movimento, quindi, tra il 1908 e il 1913 fu rapida-mente assorbito dal giolittismo, contro cui restò a com-battere la sua dura battaglia il solo Gaetano Salvemini.

Le masse rurali del Mezzogiorno dovettero accorgersiancora una volta di avere agito completamente a vuoto.

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possono ricondurre.Oggi dovrebbe essere chiaro che, se le masse meri-

dionali credettero compiere uno sforzo di autonomia edi emancipazione dal grigio cerchio della politica unita-ria, attraverso la generazione degli avvocati radicali, cheaffiorò alla vita pubblica nei primi anni del secolo nuo-vo, i dirigenti non potevano agire contro i dati storici delgiolittismo nel Mezzogiorno senza incidere gli interessidella loro classe.

Prima ancora di entrare nella politica militante, essierano giolittiani per temperamento, per idee, per interes-si, e perciò non potevano nemmeno intuire con qualiidee e con quali forze la politica giolittiana poteva esse-re frantumata.

Il movimento, quindi, tra il 1908 e il 1913 fu rapida-mente assorbito dal giolittismo, contro cui restò a com-battere la sua dura battaglia il solo Gaetano Salvemini.

Le masse rurali del Mezzogiorno dovettero accorgersiancora una volta di avere agito completamente a vuoto.

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Mezzogiorno, guerra e fascismo

Il neutralismo meridionale.L'avvicinarsi della guerra e le polemiche tra interven-

tisti e neutralisti non modificarono i dati storici della po-litica meridionale che, essendo quasi del tutto trasformi-stica, non poteva attivamente sentire i gravi probleminazionali affioranti nelle discussioni di quei giorni.

E cosí, piú per passività che per calcolo, il Mezzo-giorno fu quasi interamente neutralista. L'adesione poli-tica al giolittismo, il particolarismo trasformista e lapaura atavica di provocare rivolgimenti pericolosi, spin-sero i ceti dirigenti meridionali nella piú conservatricedelle correnti italiane: il neutralismo monarchico. Ciònon tolse che con uguale disinvoltura, dichiarata laguerra, i deputati meridionali si iscrivessero in quel fa-scio parlamentare che ebbe la funzione di correggere insede di rappresentanza il fondamentale neutralismo del

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Mezzogiorno, guerra e fascismo

Il neutralismo meridionale.L'avvicinarsi della guerra e le polemiche tra interven-

tisti e neutralisti non modificarono i dati storici della po-litica meridionale che, essendo quasi del tutto trasformi-stica, non poteva attivamente sentire i gravi probleminazionali affioranti nelle discussioni di quei giorni.

E cosí, piú per passività che per calcolo, il Mezzo-giorno fu quasi interamente neutralista. L'adesione poli-tica al giolittismo, il particolarismo trasformista e lapaura atavica di provocare rivolgimenti pericolosi, spin-sero i ceti dirigenti meridionali nella piú conservatricedelle correnti italiane: il neutralismo monarchico. Ciònon tolse che con uguale disinvoltura, dichiarata laguerra, i deputati meridionali si iscrivessero in quel fa-scio parlamentare che ebbe la funzione di correggere insede di rappresentanza il fondamentale neutralismo del

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paese.Ma, a parte che questa contraddizione, dichiarata pu-

ramente apparente, venne giustificata con le finalità pa-triottiche del momento, nessuno si potrà meravigliaredel mutato atteggiamento, quando rifletterà sull'intrinse-co contenuto del trasformismo, riposto nella necessità diadesione incondizionata al potere centrale per esclusivefinalità di politica regionale.

Durante la guerra, quindi, il meccanismo trasformisti-co continuò tranquillamente a funzionare quasi senzascosse.

La smobilitazione.Cessata, invece, la guerra, e immessa nelle vene della

nazione la grande novità demografica costituita daicombattenti, si cominciarono ben presto a notare deisintomi di movimento.

A chi imprenda a studiare con animo scevro da pre-concetti e da miracolismi l'influenza che questo grandefatto storico ha esercitato sulla questione meridionale,non potrà sfuggire, che mentre la guerra, pur avendo se-minato qua e là germi eminentemente rivoluzionari, nonè riuscita a dare la spinta al popolo meridionale per en-trare finalmente nel quadro della vita politica nazionale,tuttavia ha lasciato confusamente intravedere alle masseche la vecchia immobilità era non soltanto indecorosa,ma addirittura dannosa.

Difatti, se da una parte la guerra ha rappresentato un

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paese.Ma, a parte che questa contraddizione, dichiarata pu-

ramente apparente, venne giustificata con le finalità pa-triottiche del momento, nessuno si potrà meravigliaredel mutato atteggiamento, quando rifletterà sull'intrinse-co contenuto del trasformismo, riposto nella necessità diadesione incondizionata al potere centrale per esclusivefinalità di politica regionale.

Durante la guerra, quindi, il meccanismo trasformisti-co continuò tranquillamente a funzionare quasi senzascosse.

La smobilitazione.Cessata, invece, la guerra, e immessa nelle vene della

nazione la grande novità demografica costituita daicombattenti, si cominciarono ben presto a notare deisintomi di movimento.

A chi imprenda a studiare con animo scevro da pre-concetti e da miracolismi l'influenza che questo grandefatto storico ha esercitato sulla questione meridionale,non potrà sfuggire, che mentre la guerra, pur avendo se-minato qua e là germi eminentemente rivoluzionari, nonè riuscita a dare la spinta al popolo meridionale per en-trare finalmente nel quadro della vita politica nazionale,tuttavia ha lasciato confusamente intravedere alle masseche la vecchia immobilità era non soltanto indecorosa,ma addirittura dannosa.

Difatti, se da una parte la guerra ha rappresentato un

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grande fatto unitario, e, perciò, sotto un certo profilo,antimeridionale, ha però dall'altra parte contribuito, conl'obbligatorietà del servizio militare, a elevare in piú va-ste categorie di cittadini il tenore generale della vita equindi a provocare fermentazioni nuove che non poteva-no non avere riflessi anche nel campo della politica. Ma,siccome tali fermentazioni corrispondevano soltanto aun indistinto bisogno di novità, mentre non riuscivano asboccare in nuove manifestazioni politiche, sentivanotutto il disagio delle vecchie forme, da cui erano impo-tenti a sollevarsi.

È perciò che tutti i movimenti, sviluppatisi nell'imme-diato dopoguerra, mentre, per il semplice fatto del loroverificarsi, hanno dato la sensazione di una oscura co-scienza politica meridionale, tuttora in formazione, han-no riprodotto nel loro caratteristico atteggiarsi la vec-chia forma trasformistica, che si dimostra, cosí, espres-sione fedele di un ciclo storico e sociale, non perancosuperato dagli sforzi delle nuove generazioni, affiorantialla vita pubblica.

Basta prendere in esame i primi movimenti sviluppa-tisi nel Mezzogiorno – azione del PPI e movimento deicombattenti – per convincersi della verità di queste pro-posizioni.

L'insuccesso del Partito popolare.Nessun partito aveva sulla carta maggiori probabilità

di successo del Partito popolare italiano, sia per la pro-

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grande fatto unitario, e, perciò, sotto un certo profilo,antimeridionale, ha però dall'altra parte contribuito, conl'obbligatorietà del servizio militare, a elevare in piú va-ste categorie di cittadini il tenore generale della vita equindi a provocare fermentazioni nuove che non poteva-no non avere riflessi anche nel campo della politica. Ma,siccome tali fermentazioni corrispondevano soltanto aun indistinto bisogno di novità, mentre non riuscivano asboccare in nuove manifestazioni politiche, sentivanotutto il disagio delle vecchie forme, da cui erano impo-tenti a sollevarsi.

È perciò che tutti i movimenti, sviluppatisi nell'imme-diato dopoguerra, mentre, per il semplice fatto del loroverificarsi, hanno dato la sensazione di una oscura co-scienza politica meridionale, tuttora in formazione, han-no riprodotto nel loro caratteristico atteggiarsi la vec-chia forma trasformistica, che si dimostra, cosí, espres-sione fedele di un ciclo storico e sociale, non perancosuperato dagli sforzi delle nuove generazioni, affiorantialla vita pubblica.

Basta prendere in esame i primi movimenti sviluppa-tisi nel Mezzogiorno – azione del PPI e movimento deicombattenti – per convincersi della verità di queste pro-posizioni.

L'insuccesso del Partito popolare.Nessun partito aveva sulla carta maggiori probabilità

di successo del Partito popolare italiano, sia per la pro-

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fonda cattolicità del popolo meridionale, sia per il pro-gramma che un meridionale di genio, Luigi Sturzo, ave-va saputo predisporre a contenere entro le sue pieghe ri-poste, non soltanto le necessità del presente, ma anchele piú audaci previsioni dell'avvenire.

Ebbene, che cosa è avvenuto del Partito popolare nelMezzogiorno? La risposta è semplice: il giovane partitoè stato assottigliato, assorbito, disperso nel trasformi-smo. Si votò per i candidati popolari non perché si ve-desse in essi i rappresentanti di quelle idee e di quel pro-gramma, ma per simpatia personale e per ragioni di con-trapposizione, quando non addirittura per ragioni di fa-voritismo.

L'azione dei combattenti.Egualmente si esaurí l'azione dei combattenti.Tornati dalle trincee, questi giovani portavano

nell'animo un vago istinto di novità. Avevano peregrina-to per quattro o cinque anni, avevano combattuto controe a fianco di popoli tra i piú civili di Europa, erano, in-somma, stati sottoposti a un'incubazione forzata: nessu-na meraviglia, quindi, che a una forma di romanticismopolitico, vagamente maturata nei loro spiriti, sembrasseindispensabile la distruzione del vecchio ordine.

Una vittoria del trasformismo.Mentre nelle province settentrionali tutto questo ro-

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fonda cattolicità del popolo meridionale, sia per il pro-gramma che un meridionale di genio, Luigi Sturzo, ave-va saputo predisporre a contenere entro le sue pieghe ri-poste, non soltanto le necessità del presente, ma anchele piú audaci previsioni dell'avvenire.

Ebbene, che cosa è avvenuto del Partito popolare nelMezzogiorno? La risposta è semplice: il giovane partitoè stato assottigliato, assorbito, disperso nel trasformi-smo. Si votò per i candidati popolari non perché si ve-desse in essi i rappresentanti di quelle idee e di quel pro-gramma, ma per simpatia personale e per ragioni di con-trapposizione, quando non addirittura per ragioni di fa-voritismo.

L'azione dei combattenti.Egualmente si esaurí l'azione dei combattenti.Tornati dalle trincee, questi giovani portavano

nell'animo un vago istinto di novità. Avevano peregrina-to per quattro o cinque anni, avevano combattuto controe a fianco di popoli tra i piú civili di Europa, erano, in-somma, stati sottoposti a un'incubazione forzata: nessu-na meraviglia, quindi, che a una forma di romanticismopolitico, vagamente maturata nei loro spiriti, sembrasseindispensabile la distruzione del vecchio ordine.

Una vittoria del trasformismo.Mentre nelle province settentrionali tutto questo ro-

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manticismo politico mirava – per quanto in forme disor-dinate e tumultuose – a superare la vecchia organizza-zione borghese, corrispondentemente al grado di svilup-po ivi assunto dalla lotta di classe, nel Mezzogiornod'Italia, anche corrispondentemente al grado di sviluppoivi assunto dalla lotta politica, mirava a distruggere e su-perare la concezione trasformistica.

Ma, siccome non si trattava di un movimento perfet-tamente maturato, non poteva non ricadere nello stessoinconveniente che imprendeva a combattere.

Propugnatori del movimento erano soprattutto i gio-vani ufficiali, in massima parte figli di quei borghesi ru-rali contro cui doveva sferrarsi l'offensiva.

Educati dai loro padri e imbevuti, durante tutto il pe-riodo d'incubazione, d'idee feudali, essi, per quanto par-lassero di «partiti organizzati», di «partiti di massa»,ecc., non concepivano che la vecchia, tradizionale lottamunicipale contro l'odiato avversario.

I dissidi di famiglia, le risse per il predominio locale,in taluni casi durate anni, non potevano in definitiva nonpermeare anche la nuova lotta.

Seguaci del movimento non erano già gruppi di gio-vani, esponenti di una classe definita, solidalmente pog-giati su interessi specificati, e, perciò, costituenti organi-smi in grado di controllare le deviazioni dei capi e cor-reggerle, ma era una folla indistinta di giovani artigianie contadini, sbattuti attraverso l'inferno della guerra,senza nessun corredo di esperienza critica, sicuri soltan-to, come i loro padri, dei vantaggi derivanti, anzi cre-

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manticismo politico mirava – per quanto in forme disor-dinate e tumultuose – a superare la vecchia organizza-zione borghese, corrispondentemente al grado di svilup-po ivi assunto dalla lotta di classe, nel Mezzogiornod'Italia, anche corrispondentemente al grado di sviluppoivi assunto dalla lotta politica, mirava a distruggere e su-perare la concezione trasformistica.

Ma, siccome non si trattava di un movimento perfet-tamente maturato, non poteva non ricadere nello stessoinconveniente che imprendeva a combattere.

Propugnatori del movimento erano soprattutto i gio-vani ufficiali, in massima parte figli di quei borghesi ru-rali contro cui doveva sferrarsi l'offensiva.

Educati dai loro padri e imbevuti, durante tutto il pe-riodo d'incubazione, d'idee feudali, essi, per quanto par-lassero di «partiti organizzati», di «partiti di massa»,ecc., non concepivano che la vecchia, tradizionale lottamunicipale contro l'odiato avversario.

I dissidi di famiglia, le risse per il predominio locale,in taluni casi durate anni, non potevano in definitiva nonpermeare anche la nuova lotta.

Seguaci del movimento non erano già gruppi di gio-vani, esponenti di una classe definita, solidalmente pog-giati su interessi specificati, e, perciò, costituenti organi-smi in grado di controllare le deviazioni dei capi e cor-reggerle, ma era una folla indistinta di giovani artigianie contadini, sbattuti attraverso l'inferno della guerra,senza nessun corredo di esperienza critica, sicuri soltan-to, come i loro padri, dei vantaggi derivanti, anzi cre-

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scenti dall'esercizio del mestiere e dalla coltivazione delcampo, ma anche disposti, per quella serie di residuipsicologici, derivanti dalle meraviglie accumulatesi nelloro spirito durante la guerra, a subire gli effetti di unapropaganda attaccante soltanto la superficie delle cose.

È cosí che la lotta, guidata spiritualmente dai padri,contro cui doveva rivolgersi, combattuta da truppe ben-date, non poteva rappresentare altro che un nuovo emaggiore trionfo dell'odiato trasformismo.

Certo non poco aveva contribuito al fermento dei gio-vani spiriti la piú vasta conoscenza del nord dell'Italia, ilmaggior contatto con forme di vita piú avanzata nel gra-do della civiltà; ma questa fermentazione, se giustifica-va la smania delle novità, non aveva approdato alla for-mazione di una superiore coscienza degli interessi ingiuoco, anzi aveva maggiormente contribuito a nascon-derli sotto il falso velame delle parole. Incapaci di risali-re alla causa fondamentale dei loro insuccessi, ripostaappunto nella mancanza di una dottrina politica aderenteagli interessi, i giovani reduci attribuivano la colpa dellaloro mancata azione rivoluzionaria ora a questo, ora aquel capo, ora a questo ora a quell'indirizzo.

E cosí aderirono, a volta a volta, secondo la cieca lo-gica dell'irrazionale, al Partito del rinnovamento e allademocrazia, al Partito liberale e a quello fascista, rifu-giandosi poi di quando in quando, dopo vari insuccessi edelusioni, nella formula dell'apoliticismo, che, perciò,era un comodo velo per nascondere un piú intenso aneli-to di politicità.

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scenti dall'esercizio del mestiere e dalla coltivazione delcampo, ma anche disposti, per quella serie di residuipsicologici, derivanti dalle meraviglie accumulatesi nelloro spirito durante la guerra, a subire gli effetti di unapropaganda attaccante soltanto la superficie delle cose.

È cosí che la lotta, guidata spiritualmente dai padri,contro cui doveva rivolgersi, combattuta da truppe ben-date, non poteva rappresentare altro che un nuovo emaggiore trionfo dell'odiato trasformismo.

Certo non poco aveva contribuito al fermento dei gio-vani spiriti la piú vasta conoscenza del nord dell'Italia, ilmaggior contatto con forme di vita piú avanzata nel gra-do della civiltà; ma questa fermentazione, se giustifica-va la smania delle novità, non aveva approdato alla for-mazione di una superiore coscienza degli interessi ingiuoco, anzi aveva maggiormente contribuito a nascon-derli sotto il falso velame delle parole. Incapaci di risali-re alla causa fondamentale dei loro insuccessi, ripostaappunto nella mancanza di una dottrina politica aderenteagli interessi, i giovani reduci attribuivano la colpa dellaloro mancata azione rivoluzionaria ora a questo, ora aquel capo, ora a questo ora a quell'indirizzo.

E cosí aderirono, a volta a volta, secondo la cieca lo-gica dell'irrazionale, al Partito del rinnovamento e allademocrazia, al Partito liberale e a quello fascista, rifu-giandosi poi di quando in quando, dopo vari insuccessi edelusioni, nella formula dell'apoliticismo, che, perciò,era un comodo velo per nascondere un piú intenso aneli-to di politicità.

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Desiderosi di superare con un atto poderoso di volon-tà lo stagno mortificante del trasformismo, essi si affan-navano a svolgere un'azione autonoma, ma costretti dal-la meccanica del movimento ad agire nel campo munici-pale, e privi, com'erano nella generalità dei casi, di uo-mini pratici di amministrazione, ricadevano, volta a vol-ta, nelle mani di capi locali, estranei al loro movimento,che si affrettavano a inserirli nel sistema da distruggere.

Altrove, invece, i vecchi amministratori sfuggivano lapresa, ritirandosi nell'ombra, e attendevano dalla giusti-zia riparatrice del tempo e dall'imperizia avversaria unritorno trionfale.

Cosí il movimento, privo di profonde ragioni ideolo-giche che gli dessero un'anima, abbandonato agli effi-meri risultati di una fermentazione istintiva, battuto inbreccia dalla realtà quotidiana, si esauriva, si disfacevain conati vani.

Nel frattempo le vecchie classi trasformistiche corre-vano ai ripari, e, favorite mirabilmente dalla crisi econo-mica che incombeva sul paese, sbandavano facilmentele esigue schiere dei rinnovatori.

Le restrizioni dell'emigrazione europea e oceanica ela crisi degli studi, contribuivano fortemente a metterealla mercé dei vecchi le nuove schiere dei riformatori.

Ma, mentre tutto ciò estraniava dalla politica i pochigiovani preparati ad affrontare il problema della vita,contribuiva notevolmente a minare il terreno per futuriincendi.

Qua e là, però, il movimento dei combattenti raggiun-

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Desiderosi di superare con un atto poderoso di volon-tà lo stagno mortificante del trasformismo, essi si affan-navano a svolgere un'azione autonoma, ma costretti dal-la meccanica del movimento ad agire nel campo munici-pale, e privi, com'erano nella generalità dei casi, di uo-mini pratici di amministrazione, ricadevano, volta a vol-ta, nelle mani di capi locali, estranei al loro movimento,che si affrettavano a inserirli nel sistema da distruggere.

Altrove, invece, i vecchi amministratori sfuggivano lapresa, ritirandosi nell'ombra, e attendevano dalla giusti-zia riparatrice del tempo e dall'imperizia avversaria unritorno trionfale.

Cosí il movimento, privo di profonde ragioni ideolo-giche che gli dessero un'anima, abbandonato agli effi-meri risultati di una fermentazione istintiva, battuto inbreccia dalla realtà quotidiana, si esauriva, si disfacevain conati vani.

Nel frattempo le vecchie classi trasformistiche corre-vano ai ripari, e, favorite mirabilmente dalla crisi econo-mica che incombeva sul paese, sbandavano facilmentele esigue schiere dei rinnovatori.

Le restrizioni dell'emigrazione europea e oceanica ela crisi degli studi, contribuivano fortemente a metterealla mercé dei vecchi le nuove schiere dei riformatori.

Ma, mentre tutto ciò estraniava dalla politica i pochigiovani preparati ad affrontare il problema della vita,contribuiva notevolmente a minare il terreno per futuriincendi.

Qua e là, però, il movimento dei combattenti raggiun-

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geva la sua via, assumeva forme che preludevano alpossesso di un orizzonte politico: il sorgere del Partitosardo d'azione, poteva rappresentare un insegnamentonotevole. Difatti, per un istante, il movimento dei com-battenti molisani arieggiò nel centro dell'Italia meridio-nale la magnifica organizzazione dei sardi di Lussu e diBellieni.

Sembrava iniziarsi la rivolta contro il sistema cheaveva signoreggiato l'Italia fin allora, la rivolta dei cetirurali del Mezzogiorno contro le oligarchie parassitariedel settentrione: sembrava che, dentro il ristretto circolosanguigno della vecchia Italia fossero, finalmente, perproiettarsi le nuove correnti meridionali.

Ma si trattò soltanto di sprazzi ingannevoli, che fini-rono per aumentare le tenebre.

Intanto le agitazioni ed i disagi del settentrione nonpotevano non avere riflessi anche nel Mezzogiorno, nelsenso cioè di distrarre da un compito rivoluzionario ipochi gruppi che si avviavano ad avere consistenza e di-namismo propri.

Il fascismo nel Mezzogiorno: Aurelio Padovani.Falliti gli sforzi precedenti, riassorbiti nel trasformi-

smo trionfante i pochi tentativi originali di novità – per-durando le condizioni obiettive di disagio, anzi aggra-vandosi per il progressivo precipitare della crisi delloStato italiano – l'animo di molti giovani si rivolse versoil fascismo, con simpatia nuova.

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geva la sua via, assumeva forme che preludevano alpossesso di un orizzonte politico: il sorgere del Partitosardo d'azione, poteva rappresentare un insegnamentonotevole. Difatti, per un istante, il movimento dei com-battenti molisani arieggiò nel centro dell'Italia meridio-nale la magnifica organizzazione dei sardi di Lussu e diBellieni.

Sembrava iniziarsi la rivolta contro il sistema cheaveva signoreggiato l'Italia fin allora, la rivolta dei cetirurali del Mezzogiorno contro le oligarchie parassitariedel settentrione: sembrava che, dentro il ristretto circolosanguigno della vecchia Italia fossero, finalmente, perproiettarsi le nuove correnti meridionali.

Ma si trattò soltanto di sprazzi ingannevoli, che fini-rono per aumentare le tenebre.

Intanto le agitazioni ed i disagi del settentrione nonpotevano non avere riflessi anche nel Mezzogiorno, nelsenso cioè di distrarre da un compito rivoluzionario ipochi gruppi che si avviavano ad avere consistenza e di-namismo propri.

Il fascismo nel Mezzogiorno: Aurelio Padovani.Falliti gli sforzi precedenti, riassorbiti nel trasformi-

smo trionfante i pochi tentativi originali di novità – per-durando le condizioni obiettive di disagio, anzi aggra-vandosi per il progressivo precipitare della crisi delloStato italiano – l'animo di molti giovani si rivolse versoil fascismo, con simpatia nuova.

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La stessa elasticità del programma fascista, oscillantetra una rivoluzione verbale, una democrazia miracolistae un reazionarismo effettivo, rendeva possibile a ciascu-no di vedere in tale partito il toccasana per tutte le ma-lattie. Soprattutto piaceva a taluni giovani il volontari-smo, di cui il fascismo si faceva propagatore, e i metodidi azione militare, quasi che la lotta politica fosse urtodi due eserciti e non guerra di civiltà.

Il movimento si diffuse un po' da per tutto, special-mente tra i giovani, ma per molto tempo rimase quasinascosto e non riuscí in alcun modo a turbare il tranquil-lo sonno dei partiti dominanti.

Dopo la marcia su Roma il processo di diffusione fuinfinitamente piú rapido per le ragioni che in seguitospiegheremo; ma il fascismo meridionale non ebbe ca-ratteristiche interessanti se non nella Campania, ove benpresto emerse la figura del capitano Aurelio Padovani.Giovane, proveniente da origini modeste, Aurelio Pado-vani si innamorò della lotta alle poche istituzioni cam-pane che potessero correttamente qualificarsi socialiste:le organizzazioni portuarie, i metallurgici, i tessili, glioperai dei trasporti, e dimostrò in tale lotta il suo corag-gio di valoroso combattente.

Ma, sia perché tali istituzioni non avevano mai avutouna grande potenza nella vita pubblica partenopea, siaperché la lotta antisocialista era scarsamente sentita, ilmovimento padovaniano durante il suo primo fiorireparve piú che altro uno sforzo mimetico.

Non che i giovani, che vi parteciparono, si propones-

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La stessa elasticità del programma fascista, oscillantetra una rivoluzione verbale, una democrazia miracolistae un reazionarismo effettivo, rendeva possibile a ciascu-no di vedere in tale partito il toccasana per tutte le ma-lattie. Soprattutto piaceva a taluni giovani il volontari-smo, di cui il fascismo si faceva propagatore, e i metodidi azione militare, quasi che la lotta politica fosse urtodi due eserciti e non guerra di civiltà.

Il movimento si diffuse un po' da per tutto, special-mente tra i giovani, ma per molto tempo rimase quasinascosto e non riuscí in alcun modo a turbare il tranquil-lo sonno dei partiti dominanti.

Dopo la marcia su Roma il processo di diffusione fuinfinitamente piú rapido per le ragioni che in seguitospiegheremo; ma il fascismo meridionale non ebbe ca-ratteristiche interessanti se non nella Campania, ove benpresto emerse la figura del capitano Aurelio Padovani.Giovane, proveniente da origini modeste, Aurelio Pado-vani si innamorò della lotta alle poche istituzioni cam-pane che potessero correttamente qualificarsi socialiste:le organizzazioni portuarie, i metallurgici, i tessili, glioperai dei trasporti, e dimostrò in tale lotta il suo corag-gio di valoroso combattente.

Ma, sia perché tali istituzioni non avevano mai avutouna grande potenza nella vita pubblica partenopea, siaperché la lotta antisocialista era scarsamente sentita, ilmovimento padovaniano durante il suo primo fiorireparve piú che altro uno sforzo mimetico.

Non che i giovani, che vi parteciparono, si propones-

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sero puramente e semplicemente l'imitazione delle gestadei loro compagni del Nord, ma, in effetto, la trascuran-za di ogni dettaglio della questione meridionale e il pro-seguire di quello spirito vagamente romantico, che ab-biamo già rilevato nella prima agitazione dei combatten-ti, dimostrarono la scarsa consistenza rivoluzionaria diquel movimento, svolgentesi tra la noncuranza universa-le.

In verità occorre precisare, per intendere appienol'esattezza di tutte queste proposizioni, che la maggio-ranza dei cittadini del Sud fin quasi alla vigilia dellamarcia su Roma non mostrava neppure verbalmente dicredere esaurito il compito storico dello Stato cosiddettoliberale e perciò si gloriava di sentirsi abbastanza distan-te sia dal bolscevismo sia dal fascismo.

I ceti dirigenti, poi, piuttosto che impensierirsi daquesta azione, che altrove mirava a soppiantarli, la guar-davano con discreta simpatia, considerandola come unacura preventiva degli eccessi bolscevici, nel Sud mai so-verchiamente sviluppati: i fascisti, invece, assorbiti a ri-produrre tutto il fenomeno squadristico, non sapevanoaffrontare la questione del trasformismo, di cui solo teo-ricamente si dicevano nemici.

I primi si sentivano sempre abbastanza forti per poterdilazionare il pericolo: i secondi non credevano alla pos-sibilità di un successo e quindi esaurivano la loro azionein pratiche a fondamento religioso.

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sero puramente e semplicemente l'imitazione delle gestadei loro compagni del Nord, ma, in effetto, la trascuran-za di ogni dettaglio della questione meridionale e il pro-seguire di quello spirito vagamente romantico, che ab-biamo già rilevato nella prima agitazione dei combatten-ti, dimostrarono la scarsa consistenza rivoluzionaria diquel movimento, svolgentesi tra la noncuranza universa-le.

In verità occorre precisare, per intendere appienol'esattezza di tutte queste proposizioni, che la maggio-ranza dei cittadini del Sud fin quasi alla vigilia dellamarcia su Roma non mostrava neppure verbalmente dicredere esaurito il compito storico dello Stato cosiddettoliberale e perciò si gloriava di sentirsi abbastanza distan-te sia dal bolscevismo sia dal fascismo.

I ceti dirigenti, poi, piuttosto che impensierirsi daquesta azione, che altrove mirava a soppiantarli, la guar-davano con discreta simpatia, considerandola come unacura preventiva degli eccessi bolscevici, nel Sud mai so-verchiamente sviluppati: i fascisti, invece, assorbiti a ri-produrre tutto il fenomeno squadristico, non sapevanoaffrontare la questione del trasformismo, di cui solo teo-ricamente si dicevano nemici.

I primi si sentivano sempre abbastanza forti per poterdilazionare il pericolo: i secondi non credevano alla pos-sibilità di un successo e quindi esaurivano la loro azionein pratiche a fondamento religioso.

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Un errore fatale.A chi ben consideri questo breve periodo della vita

italiana non potrà sfuggire che il fascismo deve il suosuccesso nell'ottobre 1922 proprio a queste sue deficien-ze rivoluzionarie nel Sud, che resero possibili le conti-nue idiosincrasie parlamentari, esplicatesi nel fallimentodel grande ministero di sinistra.

La mancanza di allarme del pericolo nelle masse par-lamentari meridionali impedí il sorgere di quel fronteunico contro il nuovo nemico che avanzava minacciososulla ribalta della storia; fronte unico che, invocato ar-dentemente da taluni gruppi socialisti, avrebbe impeditoil momentaneo crollo del principio costituzionale dellacollaborazione dei partiti e del governo di gabinetto.

Ma, a chi meglio penetri il meccanismo del giuocopolitico, non potrà sfuggire la remota fatalità di questoatteggiamento parlamentare meridionale, derivantedall'intima essenza del trasformismo.

Come potevano, infatti, i poveri deputati del Sud sen-tire lo svilupparsi del pericolo se gli organi centrali era-no avulsi completamente dalla loro funzione, e non co-municavano piú alcuna vibrazione alle schiere dei lorosostenitori?

Perché, se il trasformismo corrisponde appunto a que-sta funzione quasi secolare delle rappresentanze meri-dionali di rinunziare alla vera lotta politica per mediareil potere governativo alle oscure masse del Sud; se cioèle rappresentanze meridionali lasciano volentieri agli

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Un errore fatale.A chi ben consideri questo breve periodo della vita

italiana non potrà sfuggire che il fascismo deve il suosuccesso nell'ottobre 1922 proprio a queste sue deficien-ze rivoluzionarie nel Sud, che resero possibili le conti-nue idiosincrasie parlamentari, esplicatesi nel fallimentodel grande ministero di sinistra.

La mancanza di allarme del pericolo nelle masse par-lamentari meridionali impedí il sorgere di quel fronteunico contro il nuovo nemico che avanzava minacciososulla ribalta della storia; fronte unico che, invocato ar-dentemente da taluni gruppi socialisti, avrebbe impeditoil momentaneo crollo del principio costituzionale dellacollaborazione dei partiti e del governo di gabinetto.

Ma, a chi meglio penetri il meccanismo del giuocopolitico, non potrà sfuggire la remota fatalità di questoatteggiamento parlamentare meridionale, derivantedall'intima essenza del trasformismo.

Come potevano, infatti, i poveri deputati del Sud sen-tire lo svilupparsi del pericolo se gli organi centrali era-no avulsi completamente dalla loro funzione, e non co-municavano piú alcuna vibrazione alle schiere dei lorosostenitori?

Perché, se il trasformismo corrisponde appunto a que-sta funzione quasi secolare delle rappresentanze meri-dionali di rinunziare alla vera lotta politica per mediareil potere governativo alle oscure masse del Sud; se cioèle rappresentanze meridionali lasciano volentieri agli

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uomini del settentrione tutta la politica, per accontentar-si della modesta parte di patrocinatori di privati interes-si, come potevano intendere l'avvicinarsi del pericolo,quando l'organo centrale era ormai distrutto?

Ecco perché si arrivò al congresso di Napoli senzache nessuno avesse pensato a organizzare una trincea.

Questa mancanza di comprensione degli avvenimentida parte dei deputati meridionali, però, se costituí, forse,la ragione precipua della vittoria fascista, rappresentò,invece, dopo la marcia su Roma, la ragione prima dellasconfitta fascista come visione giacobina di governo.

Il congresso di Napoli.All'epoca della marcia su Roma, il Mezzogiorno non

era peranco conquistato, e solo allora il fascismo si ac-corgeva dell'esistenza di una questione meridionale, cheè poi la vera questione italiana. Basta rileggere il discor-so che l'on. Mussolini pronunziò in quella circostanzaper vedere in quali condizioni ideologiche il Partito fa-scista si presentava al giudizio del popolo meridionale.

Ebbene, in tutto il discorso, travagliato dalle perples-sità dell'ora, non vi è che un solo periodo che accennialla questione meridionale. Eccolo: «Sono qui, con noi,i fratelli della sponda dalmatica tradita, ma che non in-tende arrendersi; sono qui i fascisti di Trieste, dell'Istria,della Venezia tridentina, di tutta l'Italia settentrionale;sono qui anche i fascisti delle isole, della Sicilia e dellaSardegna, tutti qui ad affermare solennemente, catego-

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uomini del settentrione tutta la politica, per accontentar-si della modesta parte di patrocinatori di privati interes-si, come potevano intendere l'avvicinarsi del pericolo,quando l'organo centrale era ormai distrutto?

Ecco perché si arrivò al congresso di Napoli senzache nessuno avesse pensato a organizzare una trincea.

Questa mancanza di comprensione degli avvenimentida parte dei deputati meridionali, però, se costituí, forse,la ragione precipua della vittoria fascista, rappresentò,invece, dopo la marcia su Roma, la ragione prima dellasconfitta fascista come visione giacobina di governo.

Il congresso di Napoli.All'epoca della marcia su Roma, il Mezzogiorno non

era peranco conquistato, e solo allora il fascismo si ac-corgeva dell'esistenza di una questione meridionale, cheè poi la vera questione italiana. Basta rileggere il discor-so che l'on. Mussolini pronunziò in quella circostanzaper vedere in quali condizioni ideologiche il Partito fa-scista si presentava al giudizio del popolo meridionale.

Ebbene, in tutto il discorso, travagliato dalle perples-sità dell'ora, non vi è che un solo periodo che accennialla questione meridionale. Eccolo: «Sono qui, con noi,i fratelli della sponda dalmatica tradita, ma che non in-tende arrendersi; sono qui i fascisti di Trieste, dell'Istria,della Venezia tridentina, di tutta l'Italia settentrionale;sono qui anche i fascisti delle isole, della Sicilia e dellaSardegna, tutti qui ad affermare solennemente, catego-

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ricamente, la nostra indistruttibile fede unitaria, che in-tende respingere ogni piú larvato tentativo di autonomi-smo e separatismo.»

Eccitati dagli applausi, trascinati nei giorni successividagli avvenimenti incalzanti, i fascisti meridionali nonintesero il preciso significato di queste parole, non com-presero che il fascismo intendeva seguire nel Mezzo-giorno una politica identica a quella dei passati governi,cioè era disposto, pur di raggiungere il potere, a sacrifi-care le aspirazioni antitrasformistiche dei migliori fasci-sti meridionali.

Se tanto essi avessero compreso, se avessero intuitoche con le loro mani si cingevano un nuovo collare dischiavitú, ben piú solido di quello che volevano abban-donare, forse la marcia su Roma non sarebbe avvenuta.Perché quel congresso, preparato dai dirigenti, non perprendere contatto con l'anima del Mezzogiorno, ma peravvicinarsi a Roma, si sarebbe trasformato in grandi as-sisi politiche ove sarebbe emerso il profondo dissidiosotterraneo tra il fascismo settentrionale e il nostro, dan-do a quest'ultimo tale un contenuto rivoluzionario daconvincere i capi del movimento a una profonda revisio-ne dei fini e dei mezzi.

Il fascismo si espande.Ma gli avvenimenti precipitarono: avvenne la marcia

su Roma. Improvvisamente Aurelio Padovani divenne ilviceré di Napoli.

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ricamente, la nostra indistruttibile fede unitaria, che in-tende respingere ogni piú larvato tentativo di autonomi-smo e separatismo.»

Eccitati dagli applausi, trascinati nei giorni successividagli avvenimenti incalzanti, i fascisti meridionali nonintesero il preciso significato di queste parole, non com-presero che il fascismo intendeva seguire nel Mezzo-giorno una politica identica a quella dei passati governi,cioè era disposto, pur di raggiungere il potere, a sacrifi-care le aspirazioni antitrasformistiche dei migliori fasci-sti meridionali.

Se tanto essi avessero compreso, se avessero intuitoche con le loro mani si cingevano un nuovo collare dischiavitú, ben piú solido di quello che volevano abban-donare, forse la marcia su Roma non sarebbe avvenuta.Perché quel congresso, preparato dai dirigenti, non perprendere contatto con l'anima del Mezzogiorno, ma peravvicinarsi a Roma, si sarebbe trasformato in grandi as-sisi politiche ove sarebbe emerso il profondo dissidiosotterraneo tra il fascismo settentrionale e il nostro, dan-do a quest'ultimo tale un contenuto rivoluzionario daconvincere i capi del movimento a una profonda revisio-ne dei fini e dei mezzi.

Il fascismo si espande.Ma gli avvenimenti precipitarono: avvenne la marcia

su Roma. Improvvisamente Aurelio Padovani divenne ilviceré di Napoli.

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Passati i primi giorni di perplessità e di spavento, so-prattutto passato il fugace entusiasmo meridionale per lemanifestazioni coreografiche del partito trionfante, larealtà politica cominciò a emergere dalle nebbie dellechiacchiere dei piccoli trionfatori.

I vecchi gruppi trasformistici, i nuovi gruppi emersidai movimenti precedenti e sistematisi attraverso le vit-torie elettorali, insomma tutti quelli che si erano già in-nestati nel vecchio tronco trasformistico, divennero dicolpo anti Stato.

Le piccole minoranze armate, dilettandosi di manife-stazioni prettamente mimetiche, poco preoccupandosidella reale situazione del paese, credettero di dichiarareimmediatamente la guerra a tutto il mondo, e cosí inizia-rono occupazioni di pubblici uffici, violenze private esimili manifestazioni, che ebbero il pregio di frazionar-si, comune per comune, secondo le varie configurazionilocali.

Naturalmente queste azioni, dato il loro carattere dimunicipalità, erano assolutamente prive di un filo unicoconduttore, e si rivolgevano ora contro i cosí detti nittia-ni, ora contro i giolittiani, ora contro i democratici so-ciali e liberali, riuscendo poi, per forza di incidenza, oraa favore dei nittiani ora a favore dei giolittiani, ora a fa-vore dei democratici sociali e dei liberali.

Cosí il fenomeno di adesione alla realtà trasformisticaincominciò subito.

Là dove il fascismo era rappresentato da elementiamici del partito al potere furono sollecitati provvedi-

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Passati i primi giorni di perplessità e di spavento, so-prattutto passato il fugace entusiasmo meridionale per lemanifestazioni coreografiche del partito trionfante, larealtà politica cominciò a emergere dalle nebbie dellechiacchiere dei piccoli trionfatori.

I vecchi gruppi trasformistici, i nuovi gruppi emersidai movimenti precedenti e sistematisi attraverso le vit-torie elettorali, insomma tutti quelli che si erano già in-nestati nel vecchio tronco trasformistico, divennero dicolpo anti Stato.

Le piccole minoranze armate, dilettandosi di manife-stazioni prettamente mimetiche, poco preoccupandosidella reale situazione del paese, credettero di dichiarareimmediatamente la guerra a tutto il mondo, e cosí inizia-rono occupazioni di pubblici uffici, violenze private esimili manifestazioni, che ebbero il pregio di frazionar-si, comune per comune, secondo le varie configurazionilocali.

Naturalmente queste azioni, dato il loro carattere dimunicipalità, erano assolutamente prive di un filo unicoconduttore, e si rivolgevano ora contro i cosí detti nittia-ni, ora contro i giolittiani, ora contro i democratici so-ciali e liberali, riuscendo poi, per forza di incidenza, oraa favore dei nittiani ora a favore dei giolittiani, ora a fa-vore dei democratici sociali e dei liberali.

Cosí il fenomeno di adesione alla realtà trasformisticaincominciò subito.

Là dove il fascismo era rappresentato da elementiamici del partito al potere furono sollecitati provvedi-

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menti contro le minoranze; là dove era rappresentatodalle opposizioni s'iniziò la lotta alle amministrazionilocali; là dove, invece, non era stato ancora accaparrato,fu una ressa terribile di gente di ogni risma per infiltrar-si.

Prendete, dunque, quei fenomeni descritti a propositodel primo movimento dei combattenti, ingranditeli a di-smisura, esasperateli fino all'impossibile e avrete il qua-dro della situazione campana durante quel periodo. Inverità, Aurelio Padovani tentò di fronteggiare questo va-sto fenomeno politico, cercando soprattutto di infondereall'azione dei suoi adepti un senso di eticità attraverso laformula dell'intransigenza.

Ma questa formula, se ha un grande valore morale,non ha mai avuto un valore politico, specialmente perpartiti di governo, e contrastava stranamente con la real-tà del possesso del potere da parte delle supreme gerar-chie fasciste, e, perciò, con la necessità di assorbire ilmaggior numero di forze possibili.

Essa non era una formula d'attacco, ma di difesa, eperciò non poteva non indebolire lo sforzo politico dichi era costretto a usarla.

Tuttavia Aurelio Padovani brancolò superbamente nelcaos, cercando sempre di costruire il nuovo mondo. For-mò sezioni, ne sciolse, destituí fiduciari, rifece direttorii,impastò, spastò, sempre cercando di raggiungere unaperfezione politica, che era una categoria puramente for-male. Questo sforzo, assurdo dal punto di vista politico,ma bello dal punto di vista morale, fu deriso universal-

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menti contro le minoranze; là dove era rappresentatodalle opposizioni s'iniziò la lotta alle amministrazionilocali; là dove, invece, non era stato ancora accaparrato,fu una ressa terribile di gente di ogni risma per infiltrar-si.

Prendete, dunque, quei fenomeni descritti a propositodel primo movimento dei combattenti, ingranditeli a di-smisura, esasperateli fino all'impossibile e avrete il qua-dro della situazione campana durante quel periodo. Inverità, Aurelio Padovani tentò di fronteggiare questo va-sto fenomeno politico, cercando soprattutto di infondereall'azione dei suoi adepti un senso di eticità attraverso laformula dell'intransigenza.

Ma questa formula, se ha un grande valore morale,non ha mai avuto un valore politico, specialmente perpartiti di governo, e contrastava stranamente con la real-tà del possesso del potere da parte delle supreme gerar-chie fasciste, e, perciò, con la necessità di assorbire ilmaggior numero di forze possibili.

Essa non era una formula d'attacco, ma di difesa, eperciò non poteva non indebolire lo sforzo politico dichi era costretto a usarla.

Tuttavia Aurelio Padovani brancolò superbamente nelcaos, cercando sempre di costruire il nuovo mondo. For-mò sezioni, ne sciolse, destituí fiduciari, rifece direttorii,impastò, spastò, sempre cercando di raggiungere unaperfezione politica, che era una categoria puramente for-male. Questo sforzo, assurdo dal punto di vista politico,ma bello dal punto di vista morale, fu deriso universal-

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mente, tanto sembrò impossibile che un uomo solo po-tesse, col semplice irrigidirsi, riformare il costume poli-tico di una regione.

Il nazionalismo campano.Ma il trasformismo non si diede per vinto e, mentre i

cavalli di Troia, spinti nel feroce esercito padovaniano,divenivano piú numerosi, quelli che non avevano potutoentrare nella categoria dei privilegiati, timorosi di resta-re indietro nella divisione delle grazie governative, sidettero a sfruttare la camicia azzurra.

Cosí buona parte dell'antifascismo locale, cioè i ne-mici di quelli che erano riusciti a penetrare nel fascismoufficiale, divennero nazionalisti, e noi vedemmo i se-guaci dei due partiti, affratellati al centro dalla comu-nanza delle idee e dalla gioia del conquistato potere,nelle province bastonarsi di santa ragione.

Talora l'abilità trasformistica dei capi arrivò fino alpunto di tentare d'impadronirsi dei due partiti.

Un autorevole e simpatico sindaco meridionale mispiegava, all'inizio di questo svolgimento storico, cheegli aveva preveduto tutte le eventualità e cosí mentreegli restava democratico, il nipote era riuscito a ottenerel'incarico di costituire la sezione fascista e il segretariocomunale aveva già costituita la sezione nazionalista.Cosí, egli aggiungeva, i miei avversari debbono esserper forza... antinazionali.

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mente, tanto sembrò impossibile che un uomo solo po-tesse, col semplice irrigidirsi, riformare il costume poli-tico di una regione.

Il nazionalismo campano.Ma il trasformismo non si diede per vinto e, mentre i

cavalli di Troia, spinti nel feroce esercito padovaniano,divenivano piú numerosi, quelli che non avevano potutoentrare nella categoria dei privilegiati, timorosi di resta-re indietro nella divisione delle grazie governative, sidettero a sfruttare la camicia azzurra.

Cosí buona parte dell'antifascismo locale, cioè i ne-mici di quelli che erano riusciti a penetrare nel fascismoufficiale, divennero nazionalisti, e noi vedemmo i se-guaci dei due partiti, affratellati al centro dalla comu-nanza delle idee e dalla gioia del conquistato potere,nelle province bastonarsi di santa ragione.

Talora l'abilità trasformistica dei capi arrivò fino alpunto di tentare d'impadronirsi dei due partiti.

Un autorevole e simpatico sindaco meridionale mispiegava, all'inizio di questo svolgimento storico, cheegli aveva preveduto tutte le eventualità e cosí mentreegli restava democratico, il nipote era riuscito a ottenerel'incarico di costituire la sezione fascista e il segretariocomunale aveva già costituita la sezione nazionalista.Cosí, egli aggiungeva, i miei avversari debbono esserper forza... antinazionali.

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I deputati meridionali impugnano l'arma della coe-renza.

Naturalmente, però, accanto a questi trasformismi dasemplicioni, in lotta terribile tra loro, rimaneva in piediil trasformismo piú vero e maggiore, quello che si po-trebbe dire delle competenze elettorali: i deputati.

Questi signori compresero subito che il miglior calco-lo politico era quello di restare al proprio posto, impu-gnando l'arma della coerenza. Movendosi, lasciandosiprendere dal panico, mentre correvano il rischio di scre-ditarsi tra la gente che odia ferocemente i girella, avreb-bero contribuito a accreditare la deduzione politica, chequesta fermentazione di avventurieri grandi e piccolicorrispondeva effettivamente a una mutata situazionepolitica, come si scriveva negli ordini del giorno diquell'epoca, e che i fascisti della prima, della seconda edella sesta giornata rappresentavano effettivamente ilnuovo popolo meridionale.

Ecco che i deputati meridionali concepirono l'arditodisegno di rimaner immobili mentre infuriava il muli-nello. Era questo un abilissimo modo di conservazione,e una efficace politica verso il governo, assolutamenteignaro delle cose nostre.

Se il governo, essi ragionavano, crede sul serio, conquella incomprensione della nostra anima che è caratte-ristica negli uomini del Nord, che questi giovanetti ine-sperti rappresentino la terra bruciata, noi gli dimostrere-mo col solo fatto di restare immobili, che s'inganna a

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I deputati meridionali impugnano l'arma della coe-renza.

Naturalmente, però, accanto a questi trasformismi dasemplicioni, in lotta terribile tra loro, rimaneva in piediil trasformismo piú vero e maggiore, quello che si po-trebbe dire delle competenze elettorali: i deputati.

Questi signori compresero subito che il miglior calco-lo politico era quello di restare al proprio posto, impu-gnando l'arma della coerenza. Movendosi, lasciandosiprendere dal panico, mentre correvano il rischio di scre-ditarsi tra la gente che odia ferocemente i girella, avreb-bero contribuito a accreditare la deduzione politica, chequesta fermentazione di avventurieri grandi e piccolicorrispondeva effettivamente a una mutata situazionepolitica, come si scriveva negli ordini del giorno diquell'epoca, e che i fascisti della prima, della seconda edella sesta giornata rappresentavano effettivamente ilnuovo popolo meridionale.

Ecco che i deputati meridionali concepirono l'arditodisegno di rimaner immobili mentre infuriava il muli-nello. Era questo un abilissimo modo di conservazione,e una efficace politica verso il governo, assolutamenteignaro delle cose nostre.

Se il governo, essi ragionavano, crede sul serio, conquella incomprensione della nostra anima che è caratte-ristica negli uomini del Nord, che questi giovanetti ine-sperti rappresentino la terra bruciata, noi gli dimostrere-mo col solo fatto di restare immobili, che s'inganna a

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partito.Gli dimostreremo cioè che senza di noi non può go-

vernare, perché noi siamo la quintessenza del tecnici-smo elettorale, conosciamo a menadito i bisogni e leaspirazioni del nostro popolo, e, perciò, possiamo intel-ligentemente esercitare quella funzione di mediazione,cui lo stesso governo aspira.

Certo, il fascismo ufficiale nell'ebbrezza del primotrionfo e nella erronea convinzione di poter fondare ungoverno giacobino, non comprese che non era buonapolitica l'aspettare che Padovani riuscisse a conquistarsila maggioranza nel Mezzogiorno, quando vi era una mi-niera di ministerialismo a ogni costo pronta per esseresfruttata. Ma, a mano a mano che ci allontanammo dallamarcia su Roma, e che si profilò sempre piú l'aderenzacompleta della politica del governo allo stato delle vereforze del paese, non poté non emergere nella sua giustaluce l'importanza storica, che ebbe in questo periodo laresistenza passiva dei deputati meridionali.

L'intransigenza padovaniana.Intanto la lotta tra il fascismo e il nazionalismo cam-

pano, balzando in prima linea, contribuiva sempre piú aproiettare nell'ombra la resistenza passiva dei deputati,desiderosi e grati della tregua loro concessa.

Questa lotta sorgeva come conseguenza della cosid-detta «intransigenza padovaniana» e assumeva il suoaspetto piú clamoroso in dipendenza del patto di pacifi-

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partito.Gli dimostreremo cioè che senza di noi non può go-

vernare, perché noi siamo la quintessenza del tecnici-smo elettorale, conosciamo a menadito i bisogni e leaspirazioni del nostro popolo, e, perciò, possiamo intel-ligentemente esercitare quella funzione di mediazione,cui lo stesso governo aspira.

Certo, il fascismo ufficiale nell'ebbrezza del primotrionfo e nella erronea convinzione di poter fondare ungoverno giacobino, non comprese che non era buonapolitica l'aspettare che Padovani riuscisse a conquistarsila maggioranza nel Mezzogiorno, quando vi era una mi-niera di ministerialismo a ogni costo pronta per esseresfruttata. Ma, a mano a mano che ci allontanammo dallamarcia su Roma, e che si profilò sempre piú l'aderenzacompleta della politica del governo allo stato delle vereforze del paese, non poté non emergere nella sua giustaluce l'importanza storica, che ebbe in questo periodo laresistenza passiva dei deputati meridionali.

L'intransigenza padovaniana.Intanto la lotta tra il fascismo e il nazionalismo cam-

pano, balzando in prima linea, contribuiva sempre piú aproiettare nell'ombra la resistenza passiva dei deputati,desiderosi e grati della tregua loro concessa.

Questa lotta sorgeva come conseguenza della cosid-detta «intransigenza padovaniana» e assumeva il suoaspetto piú clamoroso in dipendenza del patto di pacifi-

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cazione tra fascisti e nazionalisti.Bisogna riconoscere, e lo abbiamo già accennato, che

il capitano Padovani, chiusosi nella formula della intran-sigenza, aveva tentato, per quanto poteva essere nelleforze di un uomo solo, di arginare i fenomeni di arrivi-smo. Inchieste feroci, da lui compiute contro fascistidella prima ora, scioglimenti di fasci, decretati con la ri-voltella in pugno, avevano avvertito la gente che il capodella Campania voleva evitare la cuccagna. È vero síche, dopo aver sciolto il fascio ostile alla amministrazio-ne comunale, aveva dovuto per necessità di cose ricrear-lo tra i clienti dell'amministrazione, ma è anche vero chequesta rigidità di concezione costituiva una potente re-mora all'ingresso di parecchi tra gli avventurieri piúnoti.

Fu, perciò, che il nazionalismo, partito buon ultimonella corsa dell'organizzazione demagogica, si gonfiòimprovvisamente come un torrente, e, per naturale mec-canica di cose, si sentí avvampare di spirito antifascista,cioè antipadovaniano. Non fu certamente un antifasci-smo teorico, derivante da una diversa concezione dellalotta politica, ma fu l'odio del servitore cacciato versol'altero padrone. Cosí il patto di pacificazione, votato aRoma dai capi, non si poteva mettere in esecuzione, acausa, proprio di tutti i municipi, le congreghe di caritàe le altre pubbliche istituzioni che i contendenti si dispu-tavano.

Ma Aurelio Padovani credeva sul serio di possedereuna grande idea. Egli si trovava in uno stato di esalta-

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cazione tra fascisti e nazionalisti.Bisogna riconoscere, e lo abbiamo già accennato, che

il capitano Padovani, chiusosi nella formula della intran-sigenza, aveva tentato, per quanto poteva essere nelleforze di un uomo solo, di arginare i fenomeni di arrivi-smo. Inchieste feroci, da lui compiute contro fascistidella prima ora, scioglimenti di fasci, decretati con la ri-voltella in pugno, avevano avvertito la gente che il capodella Campania voleva evitare la cuccagna. È vero síche, dopo aver sciolto il fascio ostile alla amministrazio-ne comunale, aveva dovuto per necessità di cose ricrear-lo tra i clienti dell'amministrazione, ma è anche vero chequesta rigidità di concezione costituiva una potente re-mora all'ingresso di parecchi tra gli avventurieri piúnoti.

Fu, perciò, che il nazionalismo, partito buon ultimonella corsa dell'organizzazione demagogica, si gonfiòimprovvisamente come un torrente, e, per naturale mec-canica di cose, si sentí avvampare di spirito antifascista,cioè antipadovaniano. Non fu certamente un antifasci-smo teorico, derivante da una diversa concezione dellalotta politica, ma fu l'odio del servitore cacciato versol'altero padrone. Cosí il patto di pacificazione, votato aRoma dai capi, non si poteva mettere in esecuzione, acausa, proprio di tutti i municipi, le congreghe di caritàe le altre pubbliche istituzioni che i contendenti si dispu-tavano.

Ma Aurelio Padovani credeva sul serio di possedereuna grande idea. Egli si trovava in uno stato di esalta-

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zione, che gli faceva apparire miracolosa la sua formuladi intransigenza. Egli vedeva nel nazionalismo campanol'anticristo, il principio del male contrapposto al princi-pio del bene e considerava reprobi tutti quelli che si op-ponevano o solo dubitavano dei suoi sforzi. E alloras'impegnò la lotta, in cui egli era destinato a sicura scon-fitta.

I termini della lotta.Stava contro di lui, prima di ogni cosa, quello stesso

principio di rigida disciplina gerarchica di cui egli si erafatto banditore tra le genti; la necessità dell'esecuzionedel patto di tacitazione anche nella Campania, ove, cer-tamente, non si presentavano condizioni diverse daquelle delle altre regioni; l'opportunità da parte del ducedi saggiare vittoriosamente la sua forza anche con i suoidiscepoli, e affermare in cospetto di tutti i suoi propositidi riordinamento.

Non gli giovava l'atteggiamento d'indipendenza equasi di critica al ravvicinamento con la Chiesa, dipen-dente dalla antica sua appartenenza alla massoneria.

Gli nuoceva l'aver risollevato e aver insistito sullasterile formula della tendenzialità repubblicana, abban-donata definitivamente dal duce ai piedi del trono,nell'atto di farsi riassorbire dal sistema di casa Savoia.

Ma soprattutto aveva contro di sé tutte le vecchie for-ze monarchiche e costituzionali della regione, che, purintuendo l'inefficacia rivoluzionaria di quella fermenta-

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zione, che gli faceva apparire miracolosa la sua formuladi intransigenza. Egli vedeva nel nazionalismo campanol'anticristo, il principio del male contrapposto al princi-pio del bene e considerava reprobi tutti quelli che si op-ponevano o solo dubitavano dei suoi sforzi. E alloras'impegnò la lotta, in cui egli era destinato a sicura scon-fitta.

I termini della lotta.Stava contro di lui, prima di ogni cosa, quello stesso

principio di rigida disciplina gerarchica di cui egli si erafatto banditore tra le genti; la necessità dell'esecuzionedel patto di tacitazione anche nella Campania, ove, cer-tamente, non si presentavano condizioni diverse daquelle delle altre regioni; l'opportunità da parte del ducedi saggiare vittoriosamente la sua forza anche con i suoidiscepoli, e affermare in cospetto di tutti i suoi propositidi riordinamento.

Non gli giovava l'atteggiamento d'indipendenza equasi di critica al ravvicinamento con la Chiesa, dipen-dente dalla antica sua appartenenza alla massoneria.

Gli nuoceva l'aver risollevato e aver insistito sullasterile formula della tendenzialità repubblicana, abban-donata definitivamente dal duce ai piedi del trono,nell'atto di farsi riassorbire dal sistema di casa Savoia.

Ma soprattutto aveva contro di sé tutte le vecchie for-ze monarchiche e costituzionali della regione, che, purintuendo l'inefficacia rivoluzionaria di quella fermenta-

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zione, temevano che la prolungata insistenza su di unprogramma di intransigenza potesse consolidare le posi-zioni locali dei loro giovani contraddittori.

Queste forze, facenti capo al presidente della Camera,a ex ministri e sottosegretari di Stato, installate salda-mente su forti posizioni elettorali, sorrette in vari puntida una milizia volontaria piú potente del fascismo stes-so: la malavita, premevano terribilmente contro il pove-ro Padovani, reo di non volersi piegare ai loro voleri.

Sembrava che la lotta fosse guidata dal deputato Gre-co, ma, in verità, quest'ultimo era soltanto un simbolo.

Il suo nome, assunto a indicare il fascismo transigentecontro quello intransigente, racchiudeva le speranze diquei gruppi che intendevano riprendere attraverso il fa-scismo la funzione di mediazione fra il governo e il pae-se.

In verità, e quest'osservazione s'impone senz'altro perevitare illazioni esagerate da questa posizione di fatto, ilpadovanesimo non aveva niente di rivoluzionario, per-ché riproduceva integralmente la accennata organizza-zione medianica tra governo e paese. Nelle province, ifiduciari e i direttorii non miravano ad altro che a essereassunti dalle popolazioni come fonti di favoritismi, el'azione intransigente verso i capi diveniva transigenteverso i gregari, purché disposti a tradire.

Ma, appunto perciò, minacciando di riuscire questosvolgimento politico a nient'altro che a una sostituzionedi persone, destava allarme grandissimo, e da ogni partesi esplicavano sforzi colossali per non distruggere nella

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zione, temevano che la prolungata insistenza su di unprogramma di intransigenza potesse consolidare le posi-zioni locali dei loro giovani contraddittori.

Queste forze, facenti capo al presidente della Camera,a ex ministri e sottosegretari di Stato, installate salda-mente su forti posizioni elettorali, sorrette in vari puntida una milizia volontaria piú potente del fascismo stes-so: la malavita, premevano terribilmente contro il pove-ro Padovani, reo di non volersi piegare ai loro voleri.

Sembrava che la lotta fosse guidata dal deputato Gre-co, ma, in verità, quest'ultimo era soltanto un simbolo.

Il suo nome, assunto a indicare il fascismo transigentecontro quello intransigente, racchiudeva le speranze diquei gruppi che intendevano riprendere attraverso il fa-scismo la funzione di mediazione fra il governo e il pae-se.

In verità, e quest'osservazione s'impone senz'altro perevitare illazioni esagerate da questa posizione di fatto, ilpadovanesimo non aveva niente di rivoluzionario, per-ché riproduceva integralmente la accennata organizza-zione medianica tra governo e paese. Nelle province, ifiduciari e i direttorii non miravano ad altro che a essereassunti dalle popolazioni come fonti di favoritismi, el'azione intransigente verso i capi diveniva transigenteverso i gregari, purché disposti a tradire.

Ma, appunto perciò, minacciando di riuscire questosvolgimento politico a nient'altro che a una sostituzionedi persone, destava allarme grandissimo, e da ogni partesi esplicavano sforzi colossali per non distruggere nella

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mente delle popolazioni il rapporto tra rappresentanti erappresentati.

Bisogna pur riconoscere che il padovanesimo, esiguoall'epoca della marcia su Roma, era assolutamente privodi un'élite che potesse lottare nel campo del trasformi-smo con i vecchi uomini politici.

Conseguentemente in tutta la Campania perduravauna situazione di cose assolutamente insostenibile, per-ché mentre da una parte l'azione padovaniana non avevagran che scalfito le posizioni trasformistiche dei piú for-ti deputati campani, dall'altra parte per la secchezza del-la sua intransigenza non faceva prevedere maggioritrionfi per l'avvenire sia nel campo di un rivoluzionari-smo effettivo, sia nel campo dello stesso trasformismo.

La sconfitta di Padovani.In tale condizione di cose il governo non poteva non

essere contro l'intransigenza padovaniana.Infatti, di fronte all'insufficienza rivoluzionaria del fa-

scismo al centro, che non riusciva a superare il trasfor-mismo costituzionale prima, e parlamentare dopo, ma sispingeva ormai verso i ritorni parlamentaristici attraver-so il paese, il governo non poteva piú sopportare steriliconati rivoluzionari alla periferia.

Se Mussolini avesse potuto, avrebbe egli stesso fattoquelle innovazioni istituzionali che gli sarebbero sem-brate piú opportune: ma, cessata la prima intenzione, ilgoverno non poteva sopportare pacificamente che la ri-

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mente delle popolazioni il rapporto tra rappresentanti erappresentati.

Bisogna pur riconoscere che il padovanesimo, esiguoall'epoca della marcia su Roma, era assolutamente privodi un'élite che potesse lottare nel campo del trasformi-smo con i vecchi uomini politici.

Conseguentemente in tutta la Campania perduravauna situazione di cose assolutamente insostenibile, per-ché mentre da una parte l'azione padovaniana non avevagran che scalfito le posizioni trasformistiche dei piú for-ti deputati campani, dall'altra parte per la secchezza del-la sua intransigenza non faceva prevedere maggioritrionfi per l'avvenire sia nel campo di un rivoluzionari-smo effettivo, sia nel campo dello stesso trasformismo.

La sconfitta di Padovani.In tale condizione di cose il governo non poteva non

essere contro l'intransigenza padovaniana.Infatti, di fronte all'insufficienza rivoluzionaria del fa-

scismo al centro, che non riusciva a superare il trasfor-mismo costituzionale prima, e parlamentare dopo, ma sispingeva ormai verso i ritorni parlamentaristici attraver-so il paese, il governo non poteva piú sopportare steriliconati rivoluzionari alla periferia.

Se Mussolini avesse potuto, avrebbe egli stesso fattoquelle innovazioni istituzionali che gli sarebbero sem-brate piú opportune: ma, cessata la prima intenzione, ilgoverno non poteva sopportare pacificamente che la ri-

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voluzione, fallita al centro, si riproducesse alla periferia,sia perché tutto ciò costituiva sostanzialmente un tenta-tivo rivoluzionario contro il novus ordo che il governoaveva creduto di prescegliere, sia perché nessun gover-no in Italia può azzardarsi a fare sostanziali mutazioniquando ha il Mezzogiorno in subbuglio.

Il padovanesimo creava dunque una situazione politi-ca di una stranezza inverosimile, perché, mentre venivaad attaccare proprio uno dei puntelli del regime, nellapersona del presidente della Camera, lasciava scopertala posizione del governo, che si trovava nella incredibilecondizione di non poter servirsi del partito padovanianoperché intransigente, e di non poter ancora aderire allevecchie e potenti forze costituzionali perché combattutedal fascismo ufficiale.

Padovani, quindi, stava fermo come una diga contro ilfurore delle acque, che urgevano da ogni parte e si in-frangevano schiumanti contro la durezza della pietra.

Ma, come qualsiasi diga deve finire per soccomberesotto il crescente urto dei marosi, cosí anche Padovanifu sconfitto, e sul cadavere del suo entusiasmo giovanilepassò la marea. Il fascismo campano fu riassorbito nelpartito ufficiale e le preoccupazioni transigenti del go-verno ebbero una tregua.

Padovani veramente cadde su una questione di disci-plina. Egli fu espulso, quasi che la sua intransigenzafosse stata contro lo spirito del partito!

È questo uno dei tanti capricci della storia, una delleprove che gli uomini non sempre si accorgono della di-

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voluzione, fallita al centro, si riproducesse alla periferia,sia perché tutto ciò costituiva sostanzialmente un tenta-tivo rivoluzionario contro il novus ordo che il governoaveva creduto di prescegliere, sia perché nessun gover-no in Italia può azzardarsi a fare sostanziali mutazioniquando ha il Mezzogiorno in subbuglio.

Il padovanesimo creava dunque una situazione politi-ca di una stranezza inverosimile, perché, mentre venivaad attaccare proprio uno dei puntelli del regime, nellapersona del presidente della Camera, lasciava scopertala posizione del governo, che si trovava nella incredibilecondizione di non poter servirsi del partito padovanianoperché intransigente, e di non poter ancora aderire allevecchie e potenti forze costituzionali perché combattutedal fascismo ufficiale.

Padovani, quindi, stava fermo come una diga contro ilfurore delle acque, che urgevano da ogni parte e si in-frangevano schiumanti contro la durezza della pietra.

Ma, come qualsiasi diga deve finire per soccomberesotto il crescente urto dei marosi, cosí anche Padovanifu sconfitto, e sul cadavere del suo entusiasmo giovanilepassò la marea. Il fascismo campano fu riassorbito nelpartito ufficiale e le preoccupazioni transigenti del go-verno ebbero una tregua.

Padovani veramente cadde su una questione di disci-plina. Egli fu espulso, quasi che la sua intransigenzafosse stata contro lo spirito del partito!

È questo uno dei tanti capricci della storia, una delleprove che gli uomini non sempre si accorgono della di-

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rezione che essi scelgono nel cammino.Il partito non comprese che Padovani interpretava per

suo conto, forse inconsciamente, ma plasticamente,l'unica ragione di vita del fascismo contro il trasformi-smo di governo, tentava l'unica via contraria all'assimi-lazione delle nuove forze nel circolo vitale, rappresenta-va, insomma, la prima trincea su cui cominciava la bat-taglia del governo con il partito per disintegrarsi da que-sto e passare a rappresentare altri interessi, e invece disorreggere questo giovane, di integrare il suo sforzo diquel contenuto ideale che forse alla rigidità dell'azionepadovaniana difettava, non seppe far altro che espellerlocon un motivo regolamentare, come se si fosse trattatodi un caporale punito con la sala di rigore!

Il Partito fascista non si accorse che consacrava l'ini-zio della sua decadenza e che dopo Padovani altri capi,rei di aver fallacemente creduto al contenuto rivoluzio-nario del fascismo, avrebbero dovuto essere sacrificatiai bisogni quotidiani dell'azione governativa.

L'intransigenza dei trasformisti e la débacle dei de-putati uscenti.

Caduto Aurelio Padovani, il fascismo poté piú rapida-mente adeguarsi alla tradizione trasformistica del Mez-zogiorno, e, espulsi o obbligati a uscire i testardi seguacidel viceduce sconfitto, si rivolse a raccogliere nel suoseno tutte le opposizioni ai deputati uscenti, quando nonfu possibile assorbire costoro.

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rezione che essi scelgono nel cammino.Il partito non comprese che Padovani interpretava per

suo conto, forse inconsciamente, ma plasticamente,l'unica ragione di vita del fascismo contro il trasformi-smo di governo, tentava l'unica via contraria all'assimi-lazione delle nuove forze nel circolo vitale, rappresenta-va, insomma, la prima trincea su cui cominciava la bat-taglia del governo con il partito per disintegrarsi da que-sto e passare a rappresentare altri interessi, e invece disorreggere questo giovane, di integrare il suo sforzo diquel contenuto ideale che forse alla rigidità dell'azionepadovaniana difettava, non seppe far altro che espellerlocon un motivo regolamentare, come se si fosse trattatodi un caporale punito con la sala di rigore!

Il Partito fascista non si accorse che consacrava l'ini-zio della sua decadenza e che dopo Padovani altri capi,rei di aver fallacemente creduto al contenuto rivoluzio-nario del fascismo, avrebbero dovuto essere sacrificatiai bisogni quotidiani dell'azione governativa.

L'intransigenza dei trasformisti e la débacle dei de-putati uscenti.

Caduto Aurelio Padovani, il fascismo poté piú rapida-mente adeguarsi alla tradizione trasformistica del Mez-zogiorno, e, espulsi o obbligati a uscire i testardi seguacidel viceduce sconfitto, si rivolse a raccogliere nel suoseno tutte le opposizioni ai deputati uscenti, quando nonfu possibile assorbire costoro.

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Cosí il processo di fascistizzazione del Mezzogiorno,arrestato in Campania per l'intransigenza padovaniana,poté notevolmente accentuarsi, e la lotta fu polarizzatacontro i vecchi deputati, che, tuttavia, non avevanomancato di infiltrare cavalli di Troia nella formazionefascista o di atteggiarsi a fiancheggiatori in nome dellecomuni idealità di ricostruzione nazionale.

Senonché mentre la logica della sconfitta padovania-na avrebbe suggerito che il fascismo di governo si fosseavvicinato quanto piú era possibile alla prassi cosí dettaliberale, cercando di raccogliere intorno alla propriabandiera tutti gli ascari dei passati governi, riverniciatiper l'occasione, la realtà rivelò piú strane intransigenze.

Veramente per far ciò il fascismo avrebbe dovuto de-sistere dall'idea di un'organizzazione giacobina nel Sudper non costringere vecchi parlamentari, affermati nellecariche pubbliche, a far getto della loro dignità persona-le con la richiesta di iscrizione ai fasci o quanto menoavrebbe dovuto affidar loro segretamente la costituzionedelle sezioni, autorizzando i prefetti a seguire il criteriotradizionale del maggior numero di voti. Invece nientedi tutto questo: l'intransigenza piú feroce fu bandita e ideputati fiancheggiatori divennero nemici per forza.

All'intransigenza antitrasformistica del Padovani il fa-scismo ufficiale sostituí l'intransigenza settaria dei tra-sformisti, prestando la propria forza a chiunque volesseusarne e abusarne per prepotere o vendetta personale.Innestato quindi il principio d'intransigenza al purulentoterreno del trasformismo, il primo risultato che ne deri-

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Cosí il processo di fascistizzazione del Mezzogiorno,arrestato in Campania per l'intransigenza padovaniana,poté notevolmente accentuarsi, e la lotta fu polarizzatacontro i vecchi deputati, che, tuttavia, non avevanomancato di infiltrare cavalli di Troia nella formazionefascista o di atteggiarsi a fiancheggiatori in nome dellecomuni idealità di ricostruzione nazionale.

Senonché mentre la logica della sconfitta padovania-na avrebbe suggerito che il fascismo di governo si fosseavvicinato quanto piú era possibile alla prassi cosí dettaliberale, cercando di raccogliere intorno alla propriabandiera tutti gli ascari dei passati governi, riverniciatiper l'occasione, la realtà rivelò piú strane intransigenze.

Veramente per far ciò il fascismo avrebbe dovuto de-sistere dall'idea di un'organizzazione giacobina nel Sudper non costringere vecchi parlamentari, affermati nellecariche pubbliche, a far getto della loro dignità persona-le con la richiesta di iscrizione ai fasci o quanto menoavrebbe dovuto affidar loro segretamente la costituzionedelle sezioni, autorizzando i prefetti a seguire il criteriotradizionale del maggior numero di voti. Invece nientedi tutto questo: l'intransigenza piú feroce fu bandita e ideputati fiancheggiatori divennero nemici per forza.

All'intransigenza antitrasformistica del Padovani il fa-scismo ufficiale sostituí l'intransigenza settaria dei tra-sformisti, prestando la propria forza a chiunque volesseusarne e abusarne per prepotere o vendetta personale.Innestato quindi il principio d'intransigenza al purulentoterreno del trasformismo, il primo risultato che ne deri-

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vò fu quello di prospettare i deputati trasformisti comevittime della violenza e rinsaldare i legami di simpatiadel popolo verso di loro.

In effetto, il cieco settarismo del partito dominante ela sua terribile ignoranza di ogni aspetto della questionemeridionale non gli fecero comprendere il grande segre-to del giolittismo nelle nostre contrade, riposto nellosforzo di assorbire volta per volta tutti gli uomini politi-ci che, per simpatia delle popolazioni o per valore per-sonale, emergevano. Cosí Giolitti riusciva a darel'impressione di non coartare la volontà degli elettori.

Questi, salvo casi eccezionali, venivano lasciati liberidi votare a loro talento specialmente quando tutti i can-didati in lotta si professavano governativi, e nel deporrela scheda, credevano sempre di compiere un atto di so-vranità.

Il governo, quindi, lungi dall'intervenire con atti diret-ti a violare il costume del paese, cercava di agevolarlo,combattendo invece i pochi tentativi diretti a superarlo.Cosí, senza eccessive reazioni, Giolitti faceva funziona-re le forze politiche del paese nel modo piú naturale.

Il fascismo, invece, sconvolse tutto questo processodi formazione politica e pretese imporre gli uomini. Nontenne presente che nei risultati delle elezioni meridionalientravano anche in parte la natura e la psicologia dellepopolazioni, e, per colmo d'inavvedutezza, pretese im-porre proprio gli uomini che sul terreno trasformisticoerano stati già battuti.

Si precisò, cosí, in tutto il Mezzogiorno, una lotta ter-

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vò fu quello di prospettare i deputati trasformisti comevittime della violenza e rinsaldare i legami di simpatiadel popolo verso di loro.

In effetto, il cieco settarismo del partito dominante ela sua terribile ignoranza di ogni aspetto della questionemeridionale non gli fecero comprendere il grande segre-to del giolittismo nelle nostre contrade, riposto nellosforzo di assorbire volta per volta tutti gli uomini politi-ci che, per simpatia delle popolazioni o per valore per-sonale, emergevano. Cosí Giolitti riusciva a darel'impressione di non coartare la volontà degli elettori.

Questi, salvo casi eccezionali, venivano lasciati liberidi votare a loro talento specialmente quando tutti i can-didati in lotta si professavano governativi, e nel deporrela scheda, credevano sempre di compiere un atto di so-vranità.

Il governo, quindi, lungi dall'intervenire con atti diret-ti a violare il costume del paese, cercava di agevolarlo,combattendo invece i pochi tentativi diretti a superarlo.Cosí, senza eccessive reazioni, Giolitti faceva funziona-re le forze politiche del paese nel modo piú naturale.

Il fascismo, invece, sconvolse tutto questo processodi formazione politica e pretese imporre gli uomini. Nontenne presente che nei risultati delle elezioni meridionalientravano anche in parte la natura e la psicologia dellepopolazioni, e, per colmo d'inavvedutezza, pretese im-porre proprio gli uomini che sul terreno trasformisticoerano stati già battuti.

Si precisò, cosí, in tutto il Mezzogiorno, una lotta ter-

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ribile tra i nuovi e i vecchi, che, in qualche momento, ri-chiamò l'attenzione dell'Italia intera, provocando i piústrani giudizi da parte degli scrittori settentrionali. Aquesti sembrò assurdo che il Mezzogiorno, che tuttavianon aveva avuto bolscevismo, resistesse cosí accanita-mente alla penetrazione fascista, e per spiegare il feno-meno per poco non elevarono la grama vita politica me-ridionale a specchio e maestra delle genti.

Ma, in verità, la lotta era tra la vecchia classe dirigen-te, rimasta legata, suo malgrado, alla dittatura legalepassata, e la nuova classe dirigente, che veniva a pro-spettarsi come longa manus della dittatura legale in for-mazione, cioè tra il trasformismo vecchio e quello nuo-vo. Fino a questo punto del processo di sviluppo dellalotta, il governo aveva un magnifico giuoco, perché glisi presentavano come rivali nell'epoca di mediazione trai suoi favori e i voti delle popolazioni due correnti poli-tiche perfettamente identiche come origine, perché sca-turite entrambe dal sottosuolo trasformistico. Esso,quindi, poteva scegliere liberamente, troncando la lottatra le due fazioni nel punto in cui gliene sarebbe potutoderivare il massimo beneficio.

Invece i dirigenti del partito dominante non ebberonessuna cognizione di questa situazione di cose, e il fa-scismo completò anche nel Sud la sua funzione rivolu-zionaria. Infatti, attraverso il giuoco di imposizione del-le rappresentanze locali amiche del nuovo governo,giuoco che si svolgeva per via militare, scoprí troppoapertamente agli occhi delle popolazioni attonite l'essen-

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ribile tra i nuovi e i vecchi, che, in qualche momento, ri-chiamò l'attenzione dell'Italia intera, provocando i piústrani giudizi da parte degli scrittori settentrionali. Aquesti sembrò assurdo che il Mezzogiorno, che tuttavianon aveva avuto bolscevismo, resistesse cosí accanita-mente alla penetrazione fascista, e per spiegare il feno-meno per poco non elevarono la grama vita politica me-ridionale a specchio e maestra delle genti.

Ma, in verità, la lotta era tra la vecchia classe dirigen-te, rimasta legata, suo malgrado, alla dittatura legalepassata, e la nuova classe dirigente, che veniva a pro-spettarsi come longa manus della dittatura legale in for-mazione, cioè tra il trasformismo vecchio e quello nuo-vo. Fino a questo punto del processo di sviluppo dellalotta, il governo aveva un magnifico giuoco, perché glisi presentavano come rivali nell'epoca di mediazione trai suoi favori e i voti delle popolazioni due correnti poli-tiche perfettamente identiche come origine, perché sca-turite entrambe dal sottosuolo trasformistico. Esso,quindi, poteva scegliere liberamente, troncando la lottatra le due fazioni nel punto in cui gliene sarebbe potutoderivare il massimo beneficio.

Invece i dirigenti del partito dominante non ebberonessuna cognizione di questa situazione di cose, e il fa-scismo completò anche nel Sud la sua funzione rivolu-zionaria. Infatti, attraverso il giuoco di imposizione del-le rappresentanze locali amiche del nuovo governo,giuoco che si svolgeva per via militare, scoprí troppoapertamente agli occhi delle popolazioni attonite l'essen-

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za vera della questione meridionale e trasmutò improv-visamente i facili entusiasmi della prima ora in apertedeplorazioni.

Le elezioni.Ma il colpo di grazia fu dato dalle elezioni, in cui ri-

fulse maggiormente l'inconseguenza della politica fasci-sta. In verità quando la nuova fiera elettorale fu bandita,molti che si sforzavano di trovare il filo conduttore nellapolitica governativa, credettero che il fascismo volessedefinire e fissare la sua posizione nel Sud, tentando diassorbire il maggior numero di forze possibili senza pre-giudizi di provenienza, accentuando cosí per il Mezzo-giorno la politica che nel resto d'Italia svolgeva in con-fronto di tutti i gruppi cosí detti fiancheggiatori.

Ma il modo come furono compilate le liste, il dissidioscoppiato con Orlando, De Nicola, Fera, Colosimo e DeNava dopo di averne sollecitata l'entrata nel listone,chiarirono sufficientemente che il fascismo procedeva acaso, senza idee organiche e che, anche nel Sud, comenel Nord, dopo aver tradito la rivoluzione, non sapevafare nemmeno la piú gretta delle conservazioni.

Quest'atteggiamento fu dovuto alla mancanza di forzaper opporsi alle pressioni di tutti i piccoli avventurieriinfiltratisi nel movimento. Esso mentre liquidò definiti-vamente tutti i deputati uscenti, che non poterono piúsperare in un movimento di riscossa, perché compro-messi dalla politica di fiancheggiamento, determinò in-

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za vera della questione meridionale e trasmutò improv-visamente i facili entusiasmi della prima ora in apertedeplorazioni.

Le elezioni.Ma il colpo di grazia fu dato dalle elezioni, in cui ri-

fulse maggiormente l'inconseguenza della politica fasci-sta. In verità quando la nuova fiera elettorale fu bandita,molti che si sforzavano di trovare il filo conduttore nellapolitica governativa, credettero che il fascismo volessedefinire e fissare la sua posizione nel Sud, tentando diassorbire il maggior numero di forze possibili senza pre-giudizi di provenienza, accentuando cosí per il Mezzo-giorno la politica che nel resto d'Italia svolgeva in con-fronto di tutti i gruppi cosí detti fiancheggiatori.

Ma il modo come furono compilate le liste, il dissidioscoppiato con Orlando, De Nicola, Fera, Colosimo e DeNava dopo di averne sollecitata l'entrata nel listone,chiarirono sufficientemente che il fascismo procedeva acaso, senza idee organiche e che, anche nel Sud, comenel Nord, dopo aver tradito la rivoluzione, non sapevafare nemmeno la piú gretta delle conservazioni.

Quest'atteggiamento fu dovuto alla mancanza di forzaper opporsi alle pressioni di tutti i piccoli avventurieriinfiltratisi nel movimento. Esso mentre liquidò definiti-vamente tutti i deputati uscenti, che non poterono piúsperare in un movimento di riscossa, perché compro-messi dalla politica di fiancheggiamento, determinò in-

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vece l'inizio di un movimento di convergenza di nume-rose forze verso le opposizioni.

A completare questo stato d'animo contribuí poi po-tentemente il modo come furono condotte le elezionistesse, attraverso la violenza piú sfacciata e il piú com-pleto abbandono di ogni garanzia per l'elettore.

Il regime non poteva piú apertamente svelarsi nellasua inconsistente brutalità: i pochi meridionali intelli-genti non potevano avere alleati piú ciechi e piú potenti.L'elezioni fasciste del 6 aprile, svelando anche agli ani-mi piú retrivi la terribile consistenza della questione me-ridionale, cominciarono a polarizzare gli animi verso so-luzioni piú radicali.

Oggi, per merito del fascismo, esiste nel Mezzogior-no una situazione psicologica di sospensione, attraversocui s'intuisce che il vecchio trasformismo non può piúattecchire, e che il popolo aspetta, dalle classi dirigenti,nuove idee per la lotta.

Il distacco dei fiancheggiatori.Il modo come furono fatte le elezioni e il nuovo spiri-

to pubblico determinarono il distacco dei fiancheggiato-ri.

Questo fenomeno che nel resto d'Italia cominciò uffi-cialmente dopo il delitto Matteotti, nel Mezzogiorno av-venne prima per evidenti ragioni di politica locale.

Infatti, appunto perché i capi del liberalismo meridio-nale erano stati travolti nella formazione anarchica delle

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vece l'inizio di un movimento di convergenza di nume-rose forze verso le opposizioni.

A completare questo stato d'animo contribuí poi po-tentemente il modo come furono condotte le elezionistesse, attraverso la violenza piú sfacciata e il piú com-pleto abbandono di ogni garanzia per l'elettore.

Il regime non poteva piú apertamente svelarsi nellasua inconsistente brutalità: i pochi meridionali intelli-genti non potevano avere alleati piú ciechi e piú potenti.L'elezioni fasciste del 6 aprile, svelando anche agli ani-mi piú retrivi la terribile consistenza della questione me-ridionale, cominciarono a polarizzare gli animi verso so-luzioni piú radicali.

Oggi, per merito del fascismo, esiste nel Mezzogior-no una situazione psicologica di sospensione, attraversocui s'intuisce che il vecchio trasformismo non può piúattecchire, e che il popolo aspetta, dalle classi dirigenti,nuove idee per la lotta.

Il distacco dei fiancheggiatori.Il modo come furono fatte le elezioni e il nuovo spiri-

to pubblico determinarono il distacco dei fiancheggiato-ri.

Questo fenomeno che nel resto d'Italia cominciò uffi-cialmente dopo il delitto Matteotti, nel Mezzogiorno av-venne prima per evidenti ragioni di politica locale.

Infatti, appunto perché i capi del liberalismo meridio-nale erano stati travolti nella formazione anarchica delle

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liste, era indispensabile mantenere i quadri intatti, perimpedire che potessero divenire preda delle opposizionipiú accese.

Questa necessità si rendeva tanto piú evidente quantopiú i medi ceti professionali e impiegatizi che nell'Italiameridionale sono tuttora politicamente i piú attivi, mani-festavano la tendenza a riversarsi nelle file dell'opposi-zione costituzionale e del socialismo unitario, minac-ciando cosí di sfuggire al giuoco del liberalismo fian-cheggiatore.

Occorreva, perciò, seguire la conversione dei propriseguaci per ripigliarne il dominio: il passaggio alla op-posizione, prima larvata, poi aperta, dei fiancheggiatorimeridionali, rispondeva quindi a una necessità di lotta, eil «Mattino», che nel Mezzogiorno è il giornale piú lettoe piú influente, non tardò a rinnegare il filofascismo del-la prima ora.

La scopertura del regime.Ma il fascismo ufficiale, invece di definire il suo at-

teggiamento e dimostrare di comprendere la situazione,credette sul serio che l'altissima percentuale di voti, ri-portati nel Mezzogiorno, corrispondesse a una salda si-tuazione politica. Perciò, invece di correre ai ripari, nonseppe fare di meglio che trattare da nemici i fiancheg-giatori meridionali. Questo errore e la maggiore libertàconsentita, per rappresaglia, ai piccoli dominatori locali,contribuirono per contrapposto ad agevolare la manovra

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liste, era indispensabile mantenere i quadri intatti, perimpedire che potessero divenire preda delle opposizionipiú accese.

Questa necessità si rendeva tanto piú evidente quantopiú i medi ceti professionali e impiegatizi che nell'Italiameridionale sono tuttora politicamente i piú attivi, mani-festavano la tendenza a riversarsi nelle file dell'opposi-zione costituzionale e del socialismo unitario, minac-ciando cosí di sfuggire al giuoco del liberalismo fian-cheggiatore.

Occorreva, perciò, seguire la conversione dei propriseguaci per ripigliarne il dominio: il passaggio alla op-posizione, prima larvata, poi aperta, dei fiancheggiatorimeridionali, rispondeva quindi a una necessità di lotta, eil «Mattino», che nel Mezzogiorno è il giornale piú lettoe piú influente, non tardò a rinnegare il filofascismo del-la prima ora.

La scopertura del regime.Ma il fascismo ufficiale, invece di definire il suo at-

teggiamento e dimostrare di comprendere la situazione,credette sul serio che l'altissima percentuale di voti, ri-portati nel Mezzogiorno, corrispondesse a una salda si-tuazione politica. Perciò, invece di correre ai ripari, nonseppe fare di meglio che trattare da nemici i fiancheg-giatori meridionali. Questo errore e la maggiore libertàconsentita, per rappresaglia, ai piccoli dominatori locali,contribuirono per contrapposto ad agevolare la manovra

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di conversione avversaria.Ne derivò una situazione di détente cosí aperta che il

delitto Matteotti aggravò notevolmente con la sua forzaprobante.

D'allora, data la scopertura del regime nel Mezzogior-no e nelle popolazioni del sud è un travaglio per trovarela soluzione politica alla crisi spirituale del paese. Tutticomprendono che il regime cosí detto trasformistico nonpuò reggere e che la speculazione dei vari governi unita-ri sulle forze del sud deve una volta per sempre cessare.Tutti comprendono che occorre da oggi difendere gli in-teressi meridionali con spirito d'intransigenza e conesatta comprensione di causa.

Ma l'immaturità generale del paese e l'equivoco che siannida nel campo dell'antifascismo rischiano di deviarenuovamente questo utile sentimento delle popolazioni informazioni che, riproducendo la tara unitaria, sono mol-to piú pericolose della infantile ingenuità del fascismo.

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di conversione avversaria.Ne derivò una situazione di détente cosí aperta che il

delitto Matteotti aggravò notevolmente con la sua forzaprobante.

D'allora, data la scopertura del regime nel Mezzogior-no e nelle popolazioni del sud è un travaglio per trovarela soluzione politica alla crisi spirituale del paese. Tutticomprendono che il regime cosí detto trasformistico nonpuò reggere e che la speculazione dei vari governi unita-ri sulle forze del sud deve una volta per sempre cessare.Tutti comprendono che occorre da oggi difendere gli in-teressi meridionali con spirito d'intransigenza e conesatta comprensione di causa.

Ma l'immaturità generale del paese e l'equivoco che siannida nel campo dell'antifascismo rischiano di deviarenuovamente questo utile sentimento delle popolazioni informazioni che, riproducendo la tara unitaria, sono mol-to piú pericolose della infantile ingenuità del fascismo.

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I partiti storicie la questione meridionale

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I partiti storicie la questione meridionale

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Fallimento fascista e nuova conquista regia

I dati della conquista piemontese in pericolo.Da tutta questa storia di errori e di deviazioni balza

fuori una prima constatazione: il regime è scoperto, e iltentativo di riprodurre, attraverso il fascismo, i dati sto-rici della conquista piemontese è fallito. Tale scoperturadel regime, iniziatasi nel Nord, nell'immediato dopo-guerra, con la fase bolscevica, è terminata nel Mezzo-giorno con la fase fascista.

Infatti il bolscevismo, rompendo l'equilibrio tradizio-nale nel Nord suscitava la reazione fascista che potevasorgere e affermarsi per la stasi meridionale, e questareazione, sorpassando i limiti originari di partenza, e co-stretta a svolgersi, per la sua stessa natura, in forma uni-taria, mentre non sanava la scopertura del regime nelNord, la estendeva anche al Sud, completando cosí lafase del processo distruttivo. I due movimenti, perciò,

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Fallimento fascista e nuova conquista regia

I dati della conquista piemontese in pericolo.Da tutta questa storia di errori e di deviazioni balza

fuori una prima constatazione: il regime è scoperto, e iltentativo di riprodurre, attraverso il fascismo, i dati sto-rici della conquista piemontese è fallito. Tale scoperturadel regime, iniziatasi nel Nord, nell'immediato dopo-guerra, con la fase bolscevica, è terminata nel Mezzo-giorno con la fase fascista.

Infatti il bolscevismo, rompendo l'equilibrio tradizio-nale nel Nord suscitava la reazione fascista che potevasorgere e affermarsi per la stasi meridionale, e questareazione, sorpassando i limiti originari di partenza, e co-stretta a svolgersi, per la sua stessa natura, in forma uni-taria, mentre non sanava la scopertura del regime nelNord, la estendeva anche al Sud, completando cosí lafase del processo distruttivo. I due movimenti, perciò,

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hanno avuto un'efficacia nella vita nazionale, che soltan-to lo storico futuro potrà valutare. Dovrebbe cominciareora la seconda fase, quella del processo costruttivo, mol-to piú pericolosa della prima, perché ereditandone talu-ne esigenze e talune immaturità può condurre a altreforme di compromesso non meno pericolose di quelleabbattute.

È necessario, quindi, tentare di penetrare appieno nel-la storia anteatta, sia per afferrare il segreto dei duegrandi movimenti di masse verificatisi, sia per rintrac-ciare i germi del passato attraverso l'impostazione delleopposizioni che pretendono impadronirsi dell'avvenire.

Il bolscevismo, primo tentativo di impadronirsi del-lo Stato.

Il massimalismo socialista fu un tentativo immaturo esfortunato di permeare l'azione dello Stato da parte digrandi masse, ancora rozze e inesperte dei pubblici affa-ri, e perciò abbacinate da un mito straniero astratto e ir-realizzabile.

Queste masse intuivano vagamente l'angustia delladittatura giolittiana e perciò postulavano la creazione diuno Stato in cui avessero potuto giuocare con il loropeso, allora del tutto indifferenziato. Pertanto la crisi delPartito socialista sorse proprio dal conflitto tra questemasse e le oligarchie che erano già pervenute a funzionedi élite.

Mentre queste ultime lentamente avevano assunto una

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hanno avuto un'efficacia nella vita nazionale, che soltan-to lo storico futuro potrà valutare. Dovrebbe cominciareora la seconda fase, quella del processo costruttivo, mol-to piú pericolosa della prima, perché ereditandone talu-ne esigenze e talune immaturità può condurre a altreforme di compromesso non meno pericolose di quelleabbattute.

È necessario, quindi, tentare di penetrare appieno nel-la storia anteatta, sia per afferrare il segreto dei duegrandi movimenti di masse verificatisi, sia per rintrac-ciare i germi del passato attraverso l'impostazione delleopposizioni che pretendono impadronirsi dell'avvenire.

Il bolscevismo, primo tentativo di impadronirsi del-lo Stato.

Il massimalismo socialista fu un tentativo immaturo esfortunato di permeare l'azione dello Stato da parte digrandi masse, ancora rozze e inesperte dei pubblici affa-ri, e perciò abbacinate da un mito straniero astratto e ir-realizzabile.

Queste masse intuivano vagamente l'angustia delladittatura giolittiana e perciò postulavano la creazione diuno Stato in cui avessero potuto giuocare con il loropeso, allora del tutto indifferenziato. Pertanto la crisi delPartito socialista sorse proprio dal conflitto tra questemasse e le oligarchie che erano già pervenute a funzionedi élite.

Mentre queste ultime lentamente avevano assunto una

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funzione piccolo borghese appunto in conseguenza delgiolittismo, le masse, specialmente rurali, restavano aldi fuori di questo legame con la dittatura giolittiana, eperciò erano tentate di distruggere il dominio per una af-fermazione piú ampia di libertà politica e economica.Risultante di questo urto interno fu che il partito nonpoté riaderire al giolittismo, né provocarne esso stessola disfatta. In tale condizione di cose sorgeva naturale latendenza a stabilizzare la crisi in una formula mediache, distruggendo il giolittismo come concezione di re-gime paterno, non ne distruggesse contemporaneamentela funzione economica.

Questa linea di sviluppo, in verità, rispondeva a unanecessità costituzionale del socialismo italiano, che legrandi masse avrebbero dovuto forse un giorno combat-tere, ma che durante il suo inizio agevolavano con illoro stesso peso: la necessità di assicurare alle formazio-ni piccolo borghesi, affiorate dal movimento operaio,per lo meno una parte di potere politico, sia per garantir-le dai ritorni reazionari del regime, sia per evitare gli ul-teriori sviluppi rivoluzionari della crisi.

In altri termini, si verificava anche per il proletariatooperaio del Nord ciò che era avvenuto per la borghesiameridionale durante il regime borbonico: la necessità diassicurarsi il potere politico, dopo di aver acquistatoquello economico.

Tale necessità era ancora piú urgente in quelle zonedella valle padana ove il socialismo agrario era fiorito inmargine ai grandi lavori di bonifica perché l'intervento

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funzione piccolo borghese appunto in conseguenza delgiolittismo, le masse, specialmente rurali, restavano aldi fuori di questo legame con la dittatura giolittiana, eperciò erano tentate di distruggere il dominio per una af-fermazione piú ampia di libertà politica e economica.Risultante di questo urto interno fu che il partito nonpoté riaderire al giolittismo, né provocarne esso stessola disfatta. In tale condizione di cose sorgeva naturale latendenza a stabilizzare la crisi in una formula mediache, distruggendo il giolittismo come concezione di re-gime paterno, non ne distruggesse contemporaneamentela funzione economica.

Questa linea di sviluppo, in verità, rispondeva a unanecessità costituzionale del socialismo italiano, che legrandi masse avrebbero dovuto forse un giorno combat-tere, ma che durante il suo inizio agevolavano con illoro stesso peso: la necessità di assicurare alle formazio-ni piccolo borghesi, affiorate dal movimento operaio,per lo meno una parte di potere politico, sia per garantir-le dai ritorni reazionari del regime, sia per evitare gli ul-teriori sviluppi rivoluzionari della crisi.

In altri termini, si verificava anche per il proletariatooperaio del Nord ciò che era avvenuto per la borghesiameridionale durante il regime borbonico: la necessità diassicurarsi il potere politico, dopo di aver acquistatoquello economico.

Tale necessità era ancora piú urgente in quelle zonedella valle padana ove il socialismo agrario era fiorito inmargine ai grandi lavori di bonifica perché l'intervento

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dello Stato come distributore di lavori era piú che maiindispensabile dopo la guerra e fatalmente i rivoluziona-ri di quelle regioni erano portati a proclamare la necessi-tà d'impadronirsi dello Stato per sottrarre all'odiata bor-ghesia questa importante funzione di distribuzione diricchezze. Eguale tendenza manifestarono gli operaidelle industrie protette contro il rivoluzionarismo di ta-luni gruppi teorizzanti la lotta di classe integrale. L'uni-ca formazione quindi che avrebbe potuto garantire talenecessità era la creazione di uno Stato socialdemocrati-co attraverso gli accordi con la democrazia radicale ecol Partito popolare.

Ciò spiega il perché dei reiterati tentativi socialisti dilimitazione costituzionale della corona per la formazio-ne dello Stato parlamentare.

Il massimalismo, perciò, rappresentò lo sforzo di unaélite di nuova formazione per perfezionare il suo domi-nio economico mercé il potere politico, e le reazioni invari sensi di sterminate masse di manovra escluse daibenefici di tale politica e tuttavia desiderose di non limi-tare la loro funzione a quella di peso morto nello svilup-po del piano.

Giolitti, il socialismo di Stato e il fascismo.Di fronte a questo sviluppo il giolittismo, che stava

per essere superato in una fase piú moderna di interes-senza economica e di mediazione politica, reagí e, sve-lando tutto il suo spirito reazionario, si volse verso le

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dello Stato come distributore di lavori era piú che maiindispensabile dopo la guerra e fatalmente i rivoluziona-ri di quelle regioni erano portati a proclamare la necessi-tà d'impadronirsi dello Stato per sottrarre all'odiata bor-ghesia questa importante funzione di distribuzione diricchezze. Eguale tendenza manifestarono gli operaidelle industrie protette contro il rivoluzionarismo di ta-luni gruppi teorizzanti la lotta di classe integrale. L'uni-ca formazione quindi che avrebbe potuto garantire talenecessità era la creazione di uno Stato socialdemocrati-co attraverso gli accordi con la democrazia radicale ecol Partito popolare.

Ciò spiega il perché dei reiterati tentativi socialisti dilimitazione costituzionale della corona per la formazio-ne dello Stato parlamentare.

Il massimalismo, perciò, rappresentò lo sforzo di unaélite di nuova formazione per perfezionare il suo domi-nio economico mercé il potere politico, e le reazioni invari sensi di sterminate masse di manovra escluse daibenefici di tale politica e tuttavia desiderose di non limi-tare la loro funzione a quella di peso morto nello svilup-po del piano.

Giolitti, il socialismo di Stato e il fascismo.Di fronte a questo sviluppo il giolittismo, che stava

per essere superato in una fase piú moderna di interes-senza economica e di mediazione politica, reagí e, sve-lando tutto il suo spirito reazionario, si volse verso le

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formazioni di destra, maturate in quella piccola borghe-sia umanistica, che aveva visto con terrore l'affermarsidella borghesia socialista.

Il giolittismo vedeva malvolentieri la fine del suo pre-potere e non voleva assolutamente rinunziare alla fun-zione di mediazione politica assunta dal 1900 in poi. Sidiceva lieto di continuare la politica di benevolenza ver-so le masse, a parole s'inghirlandava di tutte le gemmedel liberalismo politico, ma, nella realtà, pretendeva an-cora di farla da padrone, adottando le soluzioni che glivenivano prospettate dai partiti di massa non come risul-tanti del giuoco delle forze in lotta, ma come concessio-ni della borghesia illuminata e progressista.

Entro i limiti di questa peculiare concezione politica,il giolittismo in un primo tempo assecondò tutti i movi-menti diretti a realizzare il cosiddetto ministero di sini-stra, non comprendendo che su questo terreno era giàstato preceduto dal nittismo, che si sforzava di armoniz-zare gli interessi dei partiti di massa con quelli dellaborghesia radicaleggiante, senza pretendere contempo-raneamente di farli passare attraverso la pressione delregime paterno.

Quando in un secondo tempo questa realtà divennechiara all'occhio dello statista di Dronero, egli brandí lafrusta fascista. Ma ancora una volta, la vipera morse ilciarlatano.

In verità il fascismo, nel suo primo sorgere, avevatentato di assumere una funzione libertaria contro il pre-dominio piccolo borghese del socialismo di Stato e del

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formazioni di destra, maturate in quella piccola borghe-sia umanistica, che aveva visto con terrore l'affermarsidella borghesia socialista.

Il giolittismo vedeva malvolentieri la fine del suo pre-potere e non voleva assolutamente rinunziare alla fun-zione di mediazione politica assunta dal 1900 in poi. Sidiceva lieto di continuare la politica di benevolenza ver-so le masse, a parole s'inghirlandava di tutte le gemmedel liberalismo politico, ma, nella realtà, pretendeva an-cora di farla da padrone, adottando le soluzioni che glivenivano prospettate dai partiti di massa non come risul-tanti del giuoco delle forze in lotta, ma come concessio-ni della borghesia illuminata e progressista.

Entro i limiti di questa peculiare concezione politica,il giolittismo in un primo tempo assecondò tutti i movi-menti diretti a realizzare il cosiddetto ministero di sini-stra, non comprendendo che su questo terreno era giàstato preceduto dal nittismo, che si sforzava di armoniz-zare gli interessi dei partiti di massa con quelli dellaborghesia radicaleggiante, senza pretendere contempo-raneamente di farli passare attraverso la pressione delregime paterno.

Quando in un secondo tempo questa realtà divennechiara all'occhio dello statista di Dronero, egli brandí lafrusta fascista. Ma ancora una volta, la vipera morse ilciarlatano.

In verità il fascismo, nel suo primo sorgere, avevatentato di assumere una funzione libertaria contro il pre-dominio piccolo borghese del socialismo di Stato e del

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giolittismo, e si era colorito vagamente di rivoluzionari-smo operaio e di autonomismo politico. Ma, sorto terri-torialmente in una zona industriale e demograficamentetra le schiere della piccola borghesia umanistica, ormaipoliticamente battuta, non era in condizione di afferrarela realtà italiana per farsi interprete di quelle necessitàrivoluzionarie che le grandi masse non riuscivano anco-ra a esprimere. Ciò spiega perché da una parte il giolitti-smo poté sperare di operare la sua conservazione attra-verso lo spauracchio fascista, e dall'altra il sig. Mussoli-ni non sentí fin da allora i pericoli della manovra cuiaderiva.

E infatti la prima adesione giolittiana al fascismo co-minciò a determinare lo spostamento delle masse ruraliprotette dal movimento operaio a quello fascista, e a chiben consideri il fondamento delle cose non potrà nonapparire che la crociata contro il socialismo, colorita diaccenni libertari, corrispose soltanto a questa necessitàdel regime di sottrarre al movimento operaio queste for-ze intimamente connesse all'azione statale.

Cosí il fascismo cominciò a potenziarsi specialmentein quella bassa pianura padana ove l'azione economicadello Stato sulle masse era ed è sensibilissima e questasua origine e le necessità che doveva assolvere, lo porta-rono ad accettare quella dottrina nazionalista della colla-borazione di classe, attraverso le corporazioni sindacali,che costituisce il piú audace tentativo di impadronirsidella funzione economica del socialismo di Stato.

Ma questo sviluppo fece sí che il paternalismo giolit-

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giolittismo, e si era colorito vagamente di rivoluzionari-smo operaio e di autonomismo politico. Ma, sorto terri-torialmente in una zona industriale e demograficamentetra le schiere della piccola borghesia umanistica, ormaipoliticamente battuta, non era in condizione di afferrarela realtà italiana per farsi interprete di quelle necessitàrivoluzionarie che le grandi masse non riuscivano anco-ra a esprimere. Ciò spiega perché da una parte il giolitti-smo poté sperare di operare la sua conservazione attra-verso lo spauracchio fascista, e dall'altra il sig. Mussoli-ni non sentí fin da allora i pericoli della manovra cuiaderiva.

E infatti la prima adesione giolittiana al fascismo co-minciò a determinare lo spostamento delle masse ruraliprotette dal movimento operaio a quello fascista, e a chiben consideri il fondamento delle cose non potrà nonapparire che la crociata contro il socialismo, colorita diaccenni libertari, corrispose soltanto a questa necessitàdel regime di sottrarre al movimento operaio queste for-ze intimamente connesse all'azione statale.

Cosí il fascismo cominciò a potenziarsi specialmentein quella bassa pianura padana ove l'azione economicadello Stato sulle masse era ed è sensibilissima e questasua origine e le necessità che doveva assolvere, lo porta-rono ad accettare quella dottrina nazionalista della colla-borazione di classe, attraverso le corporazioni sindacali,che costituisce il piú audace tentativo di impadronirsidella funzione economica del socialismo di Stato.

Ma questo sviluppo fece sí che il paternalismo giolit-

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tiano, avulso dal suo sistema originario, elaborato sottoveste di dottrina sindacale, reso autonomo, passasse nel-le mani della borghesia antigiolittiana, che pose per con-to suo la successione al vecchio di Dronero.

Ciò spiega perché il fascismo, pur transigendo nelmomento stesso del suo sviluppo col regime, si pose su-bito come avversario del giolittismo di cui negò in teo-ria i dati storici, mentre in pratica, in buona parte, li ri-produsse.

In seguito poi la lotta con il socialismo operaio e lapossibilità della riscossa socialdemocratica giolittiana,spinsero il fascismo sempre piú nella fase reattiva che ilregime, superando le previsioni del vecchio di Dronero,scelse per la sua salvezza.

Naturalmente questa corsa fascista alla reazione coin-cise sempre piú col doppio processo di elaborazione,che il socialismo subí come risultante delle forze in mo-vimento. Infatti, da una parte, il movimento operaio ri-masto fedele alle sue origini riscattò la sua funzione li-berale e, dall'altra, le forze operaie con funzione conser-vatrice si staccarono da quelle rivoluzionarie.

Insufficienza dell'azione mussoliniana.Ma, mentre nel movimento operaio avveniva questa

grande semplificazione di forze e di obiettivi, il fasci-smo, accogliendo nel suo seno tutti i tossici della vitapubblica italiana, appropriandosi del compito storico delsocialismo di Stato, lasciandosi permeare dalle necessità

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tiano, avulso dal suo sistema originario, elaborato sottoveste di dottrina sindacale, reso autonomo, passasse nel-le mani della borghesia antigiolittiana, che pose per con-to suo la successione al vecchio di Dronero.

Ciò spiega perché il fascismo, pur transigendo nelmomento stesso del suo sviluppo col regime, si pose su-bito come avversario del giolittismo di cui negò in teo-ria i dati storici, mentre in pratica, in buona parte, li ri-produsse.

In seguito poi la lotta con il socialismo operaio e lapossibilità della riscossa socialdemocratica giolittiana,spinsero il fascismo sempre piú nella fase reattiva che ilregime, superando le previsioni del vecchio di Dronero,scelse per la sua salvezza.

Naturalmente questa corsa fascista alla reazione coin-cise sempre piú col doppio processo di elaborazione,che il socialismo subí come risultante delle forze in mo-vimento. Infatti, da una parte, il movimento operaio ri-masto fedele alle sue origini riscattò la sua funzione li-berale e, dall'altra, le forze operaie con funzione conser-vatrice si staccarono da quelle rivoluzionarie.

Insufficienza dell'azione mussoliniana.Ma, mentre nel movimento operaio avveniva questa

grande semplificazione di forze e di obiettivi, il fasci-smo, accogliendo nel suo seno tutti i tossici della vitapubblica italiana, appropriandosi del compito storico delsocialismo di Stato, lasciandosi permeare dalle necessità

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dell'industrialismo protetto e del regime, in una frenesiapanica di dominio si scordò di essere né piú né menoche la lotta di classe del giolittismo e in un delirio di su-perbia si proclamò avversario e liquidatore testamenta-rio del liberalismo europeo.

Per un certo periodo la prosa tronfia del nuovo profe-ta segnò antitesi mondiali inesistenti e quindi sentimmodelirare di compito antidemocratico, antiliberale, antiso-cialista assegnato dalla storia al fascismo, quasi che nonsi trattasse delle convulsioni di un regime duro a morire.La verità, invece, è piú modesta, perché se si vuol parla-re di un'antitesi col liberalismo filosofico questa è con-naturale non al fascismo ma addirittura al regime, e se sivuole, invece, parlare di un'antitesi al preteso liberali-smo dello Stato italiano niente vi è di meno esistente edi meno vero.

Malgrado tutto ciò, però, il fascismo alla base fu unmovimento liberale. Spinto a effettuare la reazione attra-verso le folle e non soltanto attraverso le forze di poli-zia, il regime fu costretto a riconoscere talune necessitàelementari delle masse rurali, di cui dovette servirsi e ilrassismo bene spesso corrispose a un bisogno, di reazio-ne al centralismo romano.

Anche se l'élite dirigente si pose rapidamente al servi-zio degli industriali e non ebbe timore di svolgere unapolitica stupidamente padronale, essa dovette concederenon poco al peso delle masse e contribuí alla loro educa-zione politica, avvicinandole sempre piú ai concetti diautonomia ove debbono fatalmente sboccare.

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dell'industrialismo protetto e del regime, in una frenesiapanica di dominio si scordò di essere né piú né menoche la lotta di classe del giolittismo e in un delirio di su-perbia si proclamò avversario e liquidatore testamenta-rio del liberalismo europeo.

Per un certo periodo la prosa tronfia del nuovo profe-ta segnò antitesi mondiali inesistenti e quindi sentimmodelirare di compito antidemocratico, antiliberale, antiso-cialista assegnato dalla storia al fascismo, quasi che nonsi trattasse delle convulsioni di un regime duro a morire.La verità, invece, è piú modesta, perché se si vuol parla-re di un'antitesi col liberalismo filosofico questa è con-naturale non al fascismo ma addirittura al regime, e se sivuole, invece, parlare di un'antitesi al preteso liberali-smo dello Stato italiano niente vi è di meno esistente edi meno vero.

Malgrado tutto ciò, però, il fascismo alla base fu unmovimento liberale. Spinto a effettuare la reazione attra-verso le folle e non soltanto attraverso le forze di poli-zia, il regime fu costretto a riconoscere talune necessitàelementari delle masse rurali, di cui dovette servirsi e ilrassismo bene spesso corrispose a un bisogno, di reazio-ne al centralismo romano.

Anche se l'élite dirigente si pose rapidamente al servi-zio degli industriali e non ebbe timore di svolgere unapolitica stupidamente padronale, essa dovette concederenon poco al peso delle masse e contribuí alla loro educa-zione politica, avvicinandole sempre piú ai concetti diautonomia ove debbono fatalmente sboccare.

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Naturalmente, siccome il sig. Mussolini era l'unicocervello pensante del movimento, le sue responsabilitàsono infinite come infinita sarà la sua sconfitta. A chiun-que analizzi il suo doppio giuoco politico, che volevasembrare prodotto di somma abilità, non potrà sfuggireinvece che esso era frutto soltanto d'incomprensione e dipaura.

Nessun uomo, forse, pur avendo avuto cosí largo po-tere, si è lasciato cosí vincere piú che dagli avvenimentidai piccoli uomini che lo circondavano.

Salito al potere in un momento di smarrimento gene-rale e quando gli uomini decisi a non abdicare la loropersonalità erano pochissimi, egli aveva aperte dinanzi asé tutte le vie, da quella massima di fare la rivoluzionedelle forze rurali a quella minima di sostituire Giolittinel giuoco trasformistico. Unica via preclusa era quelladella violenza per la violenza, quella del feudalismosquadristico!

E egli, invece, quella scelse.Dopo aver strappato un mandato di fiducia a tutti i

ceti, prima e dopo la marcia su Roma, godeva cosí lar-gamente il favore della monarchia da poterla anche tra-dire. Invece preferí ondeggiare in un trasformismo in-concludente, che valse soltanto a nascondere per un cer-to tempo il reale dominio degli anarchici del direttorio.In verità egli ebbe cosí scarsa fede nei suoi propositi ri-voluzionari che ebbe paura di iniziarne l'attuazione, op-pure conosceva cosí poco il meccanismo dello Stato chenon seppe da qual punto cominciare le promesse rifor-

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Naturalmente, siccome il sig. Mussolini era l'unicocervello pensante del movimento, le sue responsabilitàsono infinite come infinita sarà la sua sconfitta. A chiun-que analizzi il suo doppio giuoco politico, che volevasembrare prodotto di somma abilità, non potrà sfuggireinvece che esso era frutto soltanto d'incomprensione e dipaura.

Nessun uomo, forse, pur avendo avuto cosí largo po-tere, si è lasciato cosí vincere piú che dagli avvenimentidai piccoli uomini che lo circondavano.

Salito al potere in un momento di smarrimento gene-rale e quando gli uomini decisi a non abdicare la loropersonalità erano pochissimi, egli aveva aperte dinanzi asé tutte le vie, da quella massima di fare la rivoluzionedelle forze rurali a quella minima di sostituire Giolittinel giuoco trasformistico. Unica via preclusa era quelladella violenza per la violenza, quella del feudalismosquadristico!

E egli, invece, quella scelse.Dopo aver strappato un mandato di fiducia a tutti i

ceti, prima e dopo la marcia su Roma, godeva cosí lar-gamente il favore della monarchia da poterla anche tra-dire. Invece preferí ondeggiare in un trasformismo in-concludente, che valse soltanto a nascondere per un cer-to tempo il reale dominio degli anarchici del direttorio.In verità egli ebbe cosí scarsa fede nei suoi propositi ri-voluzionari che ebbe paura di iniziarne l'attuazione, op-pure conosceva cosí poco il meccanismo dello Stato chenon seppe da qual punto cominciare le promesse rifor-

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me. E cosí la sua azione sembrò sovversiva là dove eratrasformista, e viceversa.

Opposizione dei revisionismi fascisti e del mussoli-nismo alle necessità ideali della rivoluzione italia-na.

Queste deficienze del duce e il logorio terribile che inconseguenza il regime ha subito non potevano non pro-durre ripercussioni nello stesso campo fascista. E, infat-ti, a esse si deve il nascere del revisionismo, che, si notibene, si divide in due ali che sono perfettamente antiteti-che: revisionismo trasformista e revisionismo rivoluzio-nario.

Il primo ritiene che il compito del fascismo sia quellodi schiacciare il bolscevismo, impadronirsi dello Statostorico e provvedere alla formazione di un governo for-te, capace di ristabilire il dominio della legge. In altritermini, sfronda tutte le pretese rivoluzionarie del movi-mento e combatte il governo perché si trastulla in pro-positi rivoluzionari che non possono non contrastare laeffettiva prassi trasformistica. È insomma un revisioni-smo che, abbandonando il doppio giuoco mussoliniano,abbraccia consciamente il trasformismo e mira a trarnetutte le conseguenze utili al proprio dominio.

Il secondo, invece, vuol tener fede al conclamato con-tenuto rivoluzionario e, perciò, reagisce alla politica tra-sformistica.

Esso ritiene che il liberalismo sia completamente su-

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me. E cosí la sua azione sembrò sovversiva là dove eratrasformista, e viceversa.

Opposizione dei revisionismi fascisti e del mussoli-nismo alle necessità ideali della rivoluzione italia-na.

Queste deficienze del duce e il logorio terribile che inconseguenza il regime ha subito non potevano non pro-durre ripercussioni nello stesso campo fascista. E, infat-ti, a esse si deve il nascere del revisionismo, che, si notibene, si divide in due ali che sono perfettamente antiteti-che: revisionismo trasformista e revisionismo rivoluzio-nario.

Il primo ritiene che il compito del fascismo sia quellodi schiacciare il bolscevismo, impadronirsi dello Statostorico e provvedere alla formazione di un governo for-te, capace di ristabilire il dominio della legge. In altritermini, sfronda tutte le pretese rivoluzionarie del movi-mento e combatte il governo perché si trastulla in pro-positi rivoluzionari che non possono non contrastare laeffettiva prassi trasformistica. È insomma un revisioni-smo che, abbandonando il doppio giuoco mussoliniano,abbraccia consciamente il trasformismo e mira a trarnetutte le conseguenze utili al proprio dominio.

Il secondo, invece, vuol tener fede al conclamato con-tenuto rivoluzionario e, perciò, reagisce alla politica tra-sformistica.

Esso ritiene che il liberalismo sia completamente su-

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perato e rimasticando alcune formulette dell'attualismogentiliano pretende che il sig. Mussolini riformi tuttal'impalcatura dello Stato allo scopo di tradurre nellarealtà le idee della nuova dottrina filosofica.

Entrambe queste correnti ripugnano per opposte ra-gioni alla prassi del sig. Mussolini, dichiarando di averescarsa fiducia nella politica della violenza rassista e de-gli accorgimenti governativi, ma entrambe ignorano ilproblema italiano nella precisa consistenza e perciòsono costrette o a ripiegare nel neogiolittismo o a ripro-durre l'astrattismo rivoluzionario del bolscevismo.

Queste considerazioni spiegano brevemente entroquali linee si dissolverà non soltanto il governo mussoli-niano, ma il movimento fascista stesso in tutte le suetendenze e sfumature.

Intanto è assolutamente degno di nota che non soltan-to il governo mussoliniano, ma le stesse correnti critichedel fascismo siano cosí distanti dalla questione italianache sembrano addirittura straniere. Esse ignorano l'Italiaagricola e i suoi bisogni e perciò si arroccano semprepiú intorno al protezionismo industriale e al corporativi-smo di Stato, ignorano l'Italia meridionale e perciò insi-stono nella violenza tributaria e politica, ignorano l'ane-lito di libertà del popolo italiano e perciò sognano di to-gliergli perfino le astrazioni istituzionali della carta al-bertina.

La questione italiana è tutta contro di loro e le revi-sioni non ne afferrano o ne integrano nessun lato.

Forse Mussolini ebbe qualche barlume di veggenza

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perato e rimasticando alcune formulette dell'attualismogentiliano pretende che il sig. Mussolini riformi tuttal'impalcatura dello Stato allo scopo di tradurre nellarealtà le idee della nuova dottrina filosofica.

Entrambe queste correnti ripugnano per opposte ra-gioni alla prassi del sig. Mussolini, dichiarando di averescarsa fiducia nella politica della violenza rassista e de-gli accorgimenti governativi, ma entrambe ignorano ilproblema italiano nella precisa consistenza e perciòsono costrette o a ripiegare nel neogiolittismo o a ripro-durre l'astrattismo rivoluzionario del bolscevismo.

Queste considerazioni spiegano brevemente entroquali linee si dissolverà non soltanto il governo mussoli-niano, ma il movimento fascista stesso in tutte le suetendenze e sfumature.

Intanto è assolutamente degno di nota che non soltan-to il governo mussoliniano, ma le stesse correnti critichedel fascismo siano cosí distanti dalla questione italianache sembrano addirittura straniere. Esse ignorano l'Italiaagricola e i suoi bisogni e perciò si arroccano semprepiú intorno al protezionismo industriale e al corporativi-smo di Stato, ignorano l'Italia meridionale e perciò insi-stono nella violenza tributaria e politica, ignorano l'ane-lito di libertà del popolo italiano e perciò sognano di to-gliergli perfino le astrazioni istituzionali della carta al-bertina.

La questione italiana è tutta contro di loro e le revi-sioni non ne afferrano o ne integrano nessun lato.

Forse Mussolini ebbe qualche barlume di veggenza

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quando proclamò di voler poggiarsi sull'Italia rurale,ma, a parte che questa affermazione è contraddetta datutta la sua politica e con le frasi non si governa, egli eratratto anche questa volta in inganno dalla lotta padana,che non solo non è la questione italiana, ma ne è la stes-sa negazione.

Se Mussolini sogna nel suo aperto tentativo di resi-stenza al regime di farsi capo di un fascismo che possacostituire il primo nocciolo di arroccamento della futurarivoluzione italiana, si disinganni: anzitutto, perché ilmovimento rurale non potrà non essere contro i dati sto-rici del padanesimo e secondariamente perché, fino aquando non si produca la remota rivolta rurale, lo stessopadanesimo potrà sempre costituire la base per i succes-sori del fascismo nel governo dello Stato.

Rimangono sí ancora le forze sanamente rivoluziona-rie, quelle che sia pure inconsciamente hanno sognato difare il loro ingresso nella storia a mezzo del fascismo,ma queste non potranno tardare a convincersi del com-promesso di cui sono state oggetto e perciò dovranno fa-talmente gravitare verso altri partiti. Gli errori antitra-sformistici di Mussolini non potranno piú salvarlo e per-ciò egli dovrà sempre piú esaurirsi nei ritorni trasformi-stici, finché non lo raggiungerà la vendetta fiancheggia-trice.

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quando proclamò di voler poggiarsi sull'Italia rurale,ma, a parte che questa affermazione è contraddetta datutta la sua politica e con le frasi non si governa, egli eratratto anche questa volta in inganno dalla lotta padana,che non solo non è la questione italiana, ma ne è la stes-sa negazione.

Se Mussolini sogna nel suo aperto tentativo di resi-stenza al regime di farsi capo di un fascismo che possacostituire il primo nocciolo di arroccamento della futurarivoluzione italiana, si disinganni: anzitutto, perché ilmovimento rurale non potrà non essere contro i dati sto-rici del padanesimo e secondariamente perché, fino aquando non si produca la remota rivolta rurale, lo stessopadanesimo potrà sempre costituire la base per i succes-sori del fascismo nel governo dello Stato.

Rimangono sí ancora le forze sanamente rivoluziona-rie, quelle che sia pure inconsciamente hanno sognato difare il loro ingresso nella storia a mezzo del fascismo,ma queste non potranno tardare a convincersi del com-promesso di cui sono state oggetto e perciò dovranno fa-talmente gravitare verso altri partiti. Gli errori antitra-sformistici di Mussolini non potranno piú salvarlo e per-ciò egli dovrà sempre piú esaurirsi nei ritorni trasformi-stici, finché non lo raggiungerà la vendetta fiancheggia-trice.

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La manovra fiancheggiatrice per ristabilire i dati storici della conquista regia.

In effetti la manovra fiancheggiatrice costituisce oggila spina dorsale della politica italiana, e in ciò sta la con-danna del fascismo e delle opposizioni, l'uno fallito a talpunto da permettere ai battuti della vigilia di tentare lariscossa, le altre cosí deboli e perplesse da temere addi-rittura l'eventualità della successione.

In queste brevi considerazioni si congloba dunquetutta la dolorosa realtà italiana, lotta di impotenze e ditransazioni, dominio di ristretti circoli di politicanti at-teggiantisi a eterni salvatori della patria. Cosí, mentre losfondo della psiche collettiva non riesce a superarel'angusto e vuoto quadro del combattentismo, il giolitti-smo si ripresenta, come nel 1920, arbitro e liquidatore diuna situazione. I reduci, quelli che, assumendo di averfinalmente fatta l'Italia sui campi di battaglia, pretende-vano di fare gli italiani patrioti e cittadini, liberi nelloStato nazionale e padroni del loro destino, dopo aver co-stituito la base della politica dittatoriale di una fazione,che, solo a chiacchiere, diceva di voler rappresentarel'Italia del lavoro e della produzione, la grande Italia delsacrificio silenzioso e degli oscuri eroismi, passano a farda sgabello a quell'uomo e a quel sistema che ieri,nell'esaltazione della rissa, fu definito nemico del paese.E intorno a questo programma si mobilitano le forze piúeterogenee e meno politiche, pur di non affrontare abimis il problema italiano, anche se l'impostazione di

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La manovra fiancheggiatrice per ristabilire i dati storici della conquista regia.

In effetti la manovra fiancheggiatrice costituisce oggila spina dorsale della politica italiana, e in ciò sta la con-danna del fascismo e delle opposizioni, l'uno fallito a talpunto da permettere ai battuti della vigilia di tentare lariscossa, le altre cosí deboli e perplesse da temere addi-rittura l'eventualità della successione.

In queste brevi considerazioni si congloba dunquetutta la dolorosa realtà italiana, lotta di impotenze e ditransazioni, dominio di ristretti circoli di politicanti at-teggiantisi a eterni salvatori della patria. Cosí, mentre losfondo della psiche collettiva non riesce a superarel'angusto e vuoto quadro del combattentismo, il giolitti-smo si ripresenta, come nel 1920, arbitro e liquidatore diuna situazione. I reduci, quelli che, assumendo di averfinalmente fatta l'Italia sui campi di battaglia, pretende-vano di fare gli italiani patrioti e cittadini, liberi nelloStato nazionale e padroni del loro destino, dopo aver co-stituito la base della politica dittatoriale di una fazione,che, solo a chiacchiere, diceva di voler rappresentarel'Italia del lavoro e della produzione, la grande Italia delsacrificio silenzioso e degli oscuri eroismi, passano a farda sgabello a quell'uomo e a quel sistema che ieri,nell'esaltazione della rissa, fu definito nemico del paese.E intorno a questo programma si mobilitano le forze piúeterogenee e meno politiche, pur di non affrontare abimis il problema italiano, anche se l'impostazione di

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questo problema fatta con cognizione di causa e serietàdi propositi debba costare altri dieci anni di fascismo.

E è perciò che la manovra fiancheggiatrice è destinataal successo. Tentando di ripristinare per intero i dati sto-rici della conquista piemontese, scossi dall'azione del fa-scismo, il movimento dei fiancheggiatori si palesa fon-dato sulla tradizione italiana e perciò ha già al suo iniziol'appoggio del regime.

La sconfitta del fascismo e del mussolinismo e la im-maturità delle opposizioni a una battaglia sostanziale,che sorpassi la sterile schermaglia legalitaria, in cuiMussolini si è fatto imprigionare, concorrono ad assicu-rare il successo a questa manovra fiancheggiatrice.

Insufficienza ideale del cartello delle sinistre.Queste considerazioni caratterizzano in pieno la per-

fetta natura del cosí detto cartello delle sinistre, cui ipartiti componenti si sforzano di dare un contenuto sicu-ro sulla base del minimo comune denominatore amen-doliano. Aggregato temporaneo di partiti diversi essonon può svolgere altro che un compito negativo, oltre ilquale si apre spaventoso il baratro del dissenso e del fal-limento. Conseguentemente il cartello delle sinistre nonpuò aspirare alla vittoria, ma deve contentarsi soltantodi logorare il fascismo sul terreno della libertà astratta.Poiché il partito dominante ha commesso l'imperdonabi-le errore di mettere in discussione taluni principi fonda-mentali del vivere civile e ha preteso piegare un popolo

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questo problema fatta con cognizione di causa e serietàdi propositi debba costare altri dieci anni di fascismo.

E è perciò che la manovra fiancheggiatrice è destinataal successo. Tentando di ripristinare per intero i dati sto-rici della conquista piemontese, scossi dall'azione del fa-scismo, il movimento dei fiancheggiatori si palesa fon-dato sulla tradizione italiana e perciò ha già al suo iniziol'appoggio del regime.

La sconfitta del fascismo e del mussolinismo e la im-maturità delle opposizioni a una battaglia sostanziale,che sorpassi la sterile schermaglia legalitaria, in cuiMussolini si è fatto imprigionare, concorrono ad assicu-rare il successo a questa manovra fiancheggiatrice.

Insufficienza ideale del cartello delle sinistre.Queste considerazioni caratterizzano in pieno la per-

fetta natura del cosí detto cartello delle sinistre, cui ipartiti componenti si sforzano di dare un contenuto sicu-ro sulla base del minimo comune denominatore amen-doliano. Aggregato temporaneo di partiti diversi essonon può svolgere altro che un compito negativo, oltre ilquale si apre spaventoso il baratro del dissenso e del fal-limento. Conseguentemente il cartello delle sinistre nonpuò aspirare alla vittoria, ma deve contentarsi soltantodi logorare il fascismo sul terreno della libertà astratta.Poiché il partito dominante ha commesso l'imperdonabi-le errore di mettere in discussione taluni principi fonda-mentali del vivere civile e ha preteso piegare un popolo

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intero al suo giogo con l'avvilente metodo dell'ingiuria edel bastone, il cartello delle sinistre si è potuto costituiree può funzionare rivendicando l'astrazione della libertà,senza precisarne i limiti, le possibilità di applicazione e iceti privilegiati.

Compito questo certamente assai importante, quandoun partito eleva a metodo di governo l'omicidio e la le-sione personale e si rifiuta di riconoscere agli avversariil diritto all'integrità personale, ma transeunte e condan-nato a nascondere, piuttosto che a sviluppare, la lottapolitica. Quando un governo qualsiasi, foss'anche mili-tare, sarà intervenuto a ristabilire non le libertà politiche– che è tutt'altra cosa – ma l'eguaglianza dei cittadini di-nanzi alla legge penale e avrà distrutto il medievale di-ritto di asilo della milizia e del partito, il compito delcartello delle sinistre sarà cessato e molti dei gruppi cheoggi vi aderiscono dovranno nuovamente staccarseneper riprendere in pieno la loro funzione critica.

Se il sig. Mussolini non si fosse lasciata chiudere die-tro le spalle persino questa porta, riducendosi a invocaredal suo partito il ristabilimento della legge penale comeuna concessione caritativa, e dagli avversari l'amnistia,perfino un terzo gabinetto da lui presieduto potrebbe to-gliere al cartello delle sinistre quest'arma, intorno a cui èstato possibile l'arroccamento.

Dato, perciò, questo carattere peculiare del cartellodelle sinistre, la soluzione della questione italiana nonpuò essere ricercata, se non al di fuori di esso, nei singo-li partiti che lo compongono. È su questo terreno che

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intero al suo giogo con l'avvilente metodo dell'ingiuria edel bastone, il cartello delle sinistre si è potuto costituiree può funzionare rivendicando l'astrazione della libertà,senza precisarne i limiti, le possibilità di applicazione e iceti privilegiati.

Compito questo certamente assai importante, quandoun partito eleva a metodo di governo l'omicidio e la le-sione personale e si rifiuta di riconoscere agli avversariil diritto all'integrità personale, ma transeunte e condan-nato a nascondere, piuttosto che a sviluppare, la lottapolitica. Quando un governo qualsiasi, foss'anche mili-tare, sarà intervenuto a ristabilire non le libertà politiche– che è tutt'altra cosa – ma l'eguaglianza dei cittadini di-nanzi alla legge penale e avrà distrutto il medievale di-ritto di asilo della milizia e del partito, il compito delcartello delle sinistre sarà cessato e molti dei gruppi cheoggi vi aderiscono dovranno nuovamente staccarseneper riprendere in pieno la loro funzione critica.

Se il sig. Mussolini non si fosse lasciata chiudere die-tro le spalle persino questa porta, riducendosi a invocaredal suo partito il ristabilimento della legge penale comeuna concessione caritativa, e dagli avversari l'amnistia,perfino un terzo gabinetto da lui presieduto potrebbe to-gliere al cartello delle sinistre quest'arma, intorno a cui èstato possibile l'arroccamento.

Dato, perciò, questo carattere peculiare del cartellodelle sinistre, la soluzione della questione italiana nonpuò essere ricercata, se non al di fuori di esso, nei singo-li partiti che lo compongono. È su questo terreno che

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una ripresa della lotta politica dovrà avvenire e è su que-sto terreno che debbono essere saggiate le idee e le forzeche si contendono la successione fascista.

Spostando, perciò, la nostra analisi al secondo tempoantifascista verremo ricercando attraverso le posizionistrategiche e tattiche dei vari partiti le vestigia del pas-sato per potere quindi sulla stregua delle osservazioniraccolte postulare interamente tutte le necessità idealidella rivoluzione italiana.

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una ripresa della lotta politica dovrà avvenire e è su que-sto terreno che debbono essere saggiate le idee e le forzeche si contendono la successione fascista.

Spostando, perciò, la nostra analisi al secondo tempoantifascista verremo ricercando attraverso le posizionistrategiche e tattiche dei vari partiti le vestigia del pas-sato per potere quindi sulla stregua delle osservazioniraccolte postulare interamente tutte le necessità idealidella rivoluzione italiana.

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I liberali e i democratici

La lotta tra Giolitti e Salandra continua attraverso il fiancheggiamento al fascismo.

In pochi paesi d'Europa la denominazione politica «li-berale» e «democratico» è stata assunta, a volta a volta,da partiti e fazioni piú disparate, e in cui lo spirito illibe-rale e antidemocratico fosse piú diffuso.

Non credo, perciò, opportuno cosí di addentrarminell'esame delle differenze ideologiche, che pur esistonotra le correnti liberali e quelle democratiche, come diuscire dalla disamina della situazione politica italianaquale si presenta storicamente in questo momento in re-lazione a quel particolare campo di studio che ho chia-mato la «ricostruzione» e che costituisce l'oggetto delmio discorso.

Isolando, per ora – per poterne parlare a parte – le po-che minoranze culturali, che si riportano all'insegna-

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I liberali e i democratici

La lotta tra Giolitti e Salandra continua attraverso il fiancheggiamento al fascismo.

In pochi paesi d'Europa la denominazione politica «li-berale» e «democratico» è stata assunta, a volta a volta,da partiti e fazioni piú disparate, e in cui lo spirito illibe-rale e antidemocratico fosse piú diffuso.

Non credo, perciò, opportuno cosí di addentrarminell'esame delle differenze ideologiche, che pur esistonotra le correnti liberali e quelle democratiche, come diuscire dalla disamina della situazione politica italianaquale si presenta storicamente in questo momento in re-lazione a quel particolare campo di studio che ho chia-mato la «ricostruzione» e che costituisce l'oggetto delmio discorso.

Isolando, per ora – per poterne parlare a parte – le po-che minoranze culturali, che si riportano all'insegna-

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mento tradizionale del liberalismo filosofico, si può af-fermare che le forze liberali sopravvissute alla marcia suRoma si possono classificare in tre gruppi: quelle fian-cheggiatrici che fanno capo agli on. Giolitti e Salandra,quelle cosiddette demosociali organizzate dall'on. Co-lonna di Cesarò e quelle di opposizione costituzionalecapitanate dagli on. Amendola, Albertini e Bonomi.

Passando, quindi, a parlare dei fiancheggiatori, dire-mo che è soltanto per ragionare di metodo e in conse-guenza dell'atteggiamento formale assunto nei riguardidel fascismo che abbiamo messo insieme queste duecorrenti liberali cosí caratteristiche del nostro paese.

In verità, a chi si accinga a esaminare il loro contenu-to non potrà sfuggire, al di sotto della grigia uniformitàideale, corrispondente perfettamente alla immaturità delpopolo e all'adesione completa ai dati storici della con-quista regia, le profonde antinomie che hanno scavato,tra le due correnti, divisioni incolmabili.

Una prima differenza, intanto, anche nel lato formaledei rapporti di fiancheggiamento al fascismo, si concretain questo che, mentre l'on. Giolitti si è sforzato di man-tenere un atteggiamento autonomo per non essere co-stretto a entrare nella lista nazionale, l'on. Salandra nonha avuto difficoltà di stringere piú intimi rapporti col fa-scismo, anzi di accettare, col discorso di Milano, l'on.Mussolini come suo capo.

Questa differenza è dipesa dal fatto che i liberali sa-landrini, subordinati dalla funzione di sovvertimento daessi assunta in concorrenza con lo stesso fascismo, cre-

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mento tradizionale del liberalismo filosofico, si può af-fermare che le forze liberali sopravvissute alla marcia suRoma si possono classificare in tre gruppi: quelle fian-cheggiatrici che fanno capo agli on. Giolitti e Salandra,quelle cosiddette demosociali organizzate dall'on. Co-lonna di Cesarò e quelle di opposizione costituzionalecapitanate dagli on. Amendola, Albertini e Bonomi.

Passando, quindi, a parlare dei fiancheggiatori, dire-mo che è soltanto per ragionare di metodo e in conse-guenza dell'atteggiamento formale assunto nei riguardidel fascismo che abbiamo messo insieme queste duecorrenti liberali cosí caratteristiche del nostro paese.

In verità, a chi si accinga a esaminare il loro contenu-to non potrà sfuggire, al di sotto della grigia uniformitàideale, corrispondente perfettamente alla immaturità delpopolo e all'adesione completa ai dati storici della con-quista regia, le profonde antinomie che hanno scavato,tra le due correnti, divisioni incolmabili.

Una prima differenza, intanto, anche nel lato formaledei rapporti di fiancheggiamento al fascismo, si concretain questo che, mentre l'on. Giolitti si è sforzato di man-tenere un atteggiamento autonomo per non essere co-stretto a entrare nella lista nazionale, l'on. Salandra nonha avuto difficoltà di stringere piú intimi rapporti col fa-scismo, anzi di accettare, col discorso di Milano, l'on.Mussolini come suo capo.

Questa differenza è dipesa dal fatto che i liberali sa-landrini, subordinati dalla funzione di sovvertimento daessi assunta in concorrenza con lo stesso fascismo, cre-

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devano di poter assorbire il fenomeno rivoluzionarioadattandolo alle proprie finalità; mentre il giolittismo,conscio di avere nel giovane partito un nemico, volevaevitare sterili confusioni.

In sostanza i giolittiani non hanno mai perduto di vi-sta che lo scoppio fascista avveniva principalmente con-tro il loro sistema, e, se non hanno potuto prendere aper-ta posizione di combattimento contro il fenomeno, ciò èdipeso proprio dal fatto che l'insorgere del fascismo erastato sollecitato dal loro capo per tentare di riassorbirlonei dati storici della monarchia italiana. Il loro piano po-litico può racchiudersi nel seguente dilemma: se la lorosconfitta era determinata a una necessità di ordine supe-riore, quale l'assorbimento dei fasci nella politica mo-narchica, questa stessa necessità doveva aiutarli in unmomento successivo, a trionfare come metodo, e attra-verso il trionfo del metodo molte posizioni personaliavrebbero potuto essere mantenute: se invece tale assor-bimento non era possibile per l'intrinseca rivoluzionarie-tà del fenomeno, automaticamente la loro successioneverso la monarchia sarebbe dovuta risorgere per effettodella compromissione del fascismo di governo.

Il loro atteggiamento di fiancheggiatori autonomi ri-spondeva, dunque, a una necessità prettamente raziona-le, ultimo tentativo di salvataggio del sistema, anche aldi là delle fortune personali degli uomini che lo rappre-sentavano.

I liberali salandrini, invece, consci che lo scoppio fa-scista aveva precipuo carattere antigiolittiano, credettero

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devano di poter assorbire il fenomeno rivoluzionarioadattandolo alle proprie finalità; mentre il giolittismo,conscio di avere nel giovane partito un nemico, volevaevitare sterili confusioni.

In sostanza i giolittiani non hanno mai perduto di vi-sta che lo scoppio fascista avveniva principalmente con-tro il loro sistema, e, se non hanno potuto prendere aper-ta posizione di combattimento contro il fenomeno, ciò èdipeso proprio dal fatto che l'insorgere del fascismo erastato sollecitato dal loro capo per tentare di riassorbirlonei dati storici della monarchia italiana. Il loro piano po-litico può racchiudersi nel seguente dilemma: se la lorosconfitta era determinata a una necessità di ordine supe-riore, quale l'assorbimento dei fasci nella politica mo-narchica, questa stessa necessità doveva aiutarli in unmomento successivo, a trionfare come metodo, e attra-verso il trionfo del metodo molte posizioni personaliavrebbero potuto essere mantenute: se invece tale assor-bimento non era possibile per l'intrinseca rivoluzionarie-tà del fenomeno, automaticamente la loro successioneverso la monarchia sarebbe dovuta risorgere per effettodella compromissione del fascismo di governo.

Il loro atteggiamento di fiancheggiatori autonomi ri-spondeva, dunque, a una necessità prettamente raziona-le, ultimo tentativo di salvataggio del sistema, anche aldi là delle fortune personali degli uomini che lo rappre-sentavano.

I liberali salandrini, invece, consci che lo scoppio fa-scista aveva precipuo carattere antigiolittiano, credettero

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di poter piú strettamente saldarsi al trionfatore, sia peraccentuarne il carattere di adesione al regime monarchi-co, sia per assicurare la continuità dell'azione antigiolit-tiana. Ciò spiega perché la stampa salandrina ha servitolungamente in umiltà il fascismo, anzi ne ha rinfocolatoil carattere sovvertitore, illudendosi che la funzione anti-giolittiana potesse essere a lungo e vittoriosamenteespletata, senza incidere il regime.

La realtà, però, si è assunta il compito di chiarire aisalandrini e ai giolittiani la profonda erroneità delle loroconcezioni.

Infatti, il salandrismo è stato sollecitato, dal continua-to attacco fascista al regime, a assumere gradualmenteposizione antifascista, mentre il giolittismo ha finalmen-te compreso che dall'insuccesso fascista non residua senon in minima parte una posizione giolittiana.

Non sarebbe stato possibile prevedere un fallimentomaggiore e bisogna render grazie al fascismo che, logo-randosi nell'impotenza di risolvere il problema italiano,ha logorato con sé queste vecchie posizioni del passato.

Anche se, per un momento, la successione mussoli-niana dovesse essere raccolta da Giolitti o da Salandra oda entrambi, non è su questo terreno che avverrà la rico-struzione.

Cosí la dottrina della libertà, elaborata dal Salandranel discorso di Milano, che è assolutamente al di fuoridella concezione dello Stato moderno, come l'ottimismogiolittiano di un ulteriore successo transattivo con leoscure necessità ideali della crisi italiana, costituiscono

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di poter piú strettamente saldarsi al trionfatore, sia peraccentuarne il carattere di adesione al regime monarchi-co, sia per assicurare la continuità dell'azione antigiolit-tiana. Ciò spiega perché la stampa salandrina ha servitolungamente in umiltà il fascismo, anzi ne ha rinfocolatoil carattere sovvertitore, illudendosi che la funzione anti-giolittiana potesse essere a lungo e vittoriosamenteespletata, senza incidere il regime.

La realtà, però, si è assunta il compito di chiarire aisalandrini e ai giolittiani la profonda erroneità delle loroconcezioni.

Infatti, il salandrismo è stato sollecitato, dal continua-to attacco fascista al regime, a assumere gradualmenteposizione antifascista, mentre il giolittismo ha finalmen-te compreso che dall'insuccesso fascista non residua senon in minima parte una posizione giolittiana.

Non sarebbe stato possibile prevedere un fallimentomaggiore e bisogna render grazie al fascismo che, logo-randosi nell'impotenza di risolvere il problema italiano,ha logorato con sé queste vecchie posizioni del passato.

Anche se, per un momento, la successione mussoli-niana dovesse essere raccolta da Giolitti o da Salandra oda entrambi, non è su questo terreno che avverrà la rico-struzione.

Cosí la dottrina della libertà, elaborata dal Salandranel discorso di Milano, che è assolutamente al di fuoridella concezione dello Stato moderno, come l'ottimismogiolittiano di un ulteriore successo transattivo con leoscure necessità ideali della crisi italiana, costituiscono

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terreni troppo sterili per poter illudere le nuove forzeche si vanno affermando nel paese, pur attraverso smar-rimenti fatali e disillusioni profonde.

Il gruppo demosociale relitto del giolittismo.Anche il gruppetto della Democrazia sociale si pasce

di illusioni sulla soluzione della crisi, e ha creduto digiocare di abilità cosí nell'entrare a far parte del primogabinetto Mussolini come nell'uscirne.

Ma nessuna abilità potrà mai togliere a questo gruppola sua precipua caratteristica: di essere cioè un relitto deltrasformismo giolittiano, che riesce a vivere per l'istinti-vo antifascismo delle popolazioni meridionali.

Limitato, ormai, alle contrade del Sud e soprattuttoalla Sicilia, il gruppo della Democrazia sociale non haelaborato alcuna soluzione critica del problema meridio-nale, anzi si appoggia prevalentemente a quei ceti dellapiccola borghesia rurale, che nel Mezzogiorno costitui-scono la matrice piú prolifica del trasformismo. Nelcampo dell'organizzazione statale e della lotta politicatenta riprodurre anacronisticamente il caratteristico ro-manticismo del radicalismo cavallottiano, senza tenerpresente che la condanna di questa dottrina fu segnataappunto dal suo confluire nel giolittismo.

La sua inconsistenza ideologica e l'intima essenza tra-sformistica potranno assegnare a questo gruppo la posi-zione d'ingrediente nel cartello delle sinistre, ma gli ne-gano qualsiasi efficacia nel campo ricostruttivo.

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terreni troppo sterili per poter illudere le nuove forzeche si vanno affermando nel paese, pur attraverso smar-rimenti fatali e disillusioni profonde.

Il gruppo demosociale relitto del giolittismo.Anche il gruppetto della Democrazia sociale si pasce

di illusioni sulla soluzione della crisi, e ha creduto digiocare di abilità cosí nell'entrare a far parte del primogabinetto Mussolini come nell'uscirne.

Ma nessuna abilità potrà mai togliere a questo gruppola sua precipua caratteristica: di essere cioè un relitto deltrasformismo giolittiano, che riesce a vivere per l'istinti-vo antifascismo delle popolazioni meridionali.

Limitato, ormai, alle contrade del Sud e soprattuttoalla Sicilia, il gruppo della Democrazia sociale non haelaborato alcuna soluzione critica del problema meridio-nale, anzi si appoggia prevalentemente a quei ceti dellapiccola borghesia rurale, che nel Mezzogiorno costitui-scono la matrice piú prolifica del trasformismo. Nelcampo dell'organizzazione statale e della lotta politicatenta riprodurre anacronisticamente il caratteristico ro-manticismo del radicalismo cavallottiano, senza tenerpresente che la condanna di questa dottrina fu segnataappunto dal suo confluire nel giolittismo.

La sua inconsistenza ideologica e l'intima essenza tra-sformistica potranno assegnare a questo gruppo la posi-zione d'ingrediente nel cartello delle sinistre, ma gli ne-gano qualsiasi efficacia nel campo ricostruttivo.

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La riforma costituzionale e la riforma dello Stato.Piú complessa si presenta all'esame l'azione politica

dell'opposizione costituzionale, che s'incentra nel trino-mio Albertini-Amendola-Bonomi.

Questa formazione che col libro di Bonomi ci ha for-nito una notevole critica del fascismo, e col «Corrieredella Sera» e il «Mondo» conduce la piú assidua batta-glia contro il governo, ha tentato, col discorso pronun-ziato dall'onorevole Amendola a Napoli, di precisare lelinee attraverso cui dovrebbe avvenire la ricostruzione.Esaminiamo, dunque, questo documento.

Il primo rilievo che colpisce è che con questo tipo diopposizione costituzionale ci s'incontra per la prima vol-ta nella convinzione precisa, che la Costituzione del1848, la vecchia Carta albertina, è battuta in breccia daogni parte e non resiste piú. Essa non riesce a soddisfarei ceti che credono di aver fatta una rivoluzione vittorio-sa, né quelli che momentaneamente ne hanno dovuto su-bire lo scoppio. Attraverso lo sforzo di dover prendereposizione contro la riforma junkerista proposta dal fa-scismo è evidente che l'impostazione polemica del di-scorso amendoliano è rivolta a raggiungere un fine con-trorivoluzionario sia quando propone – si badi, in sededi pura ipotesi – la separazione del potere costituente daquello legislativo, o postula la necessità di creazionedello Stato contro il parossismo del potere esecutivo; siaquando afferma l'indipendenza istituzionale della magi-stratura o mira a integrare il principio della maggioranza

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La riforma costituzionale e la riforma dello Stato.Piú complessa si presenta all'esame l'azione politica

dell'opposizione costituzionale, che s'incentra nel trino-mio Albertini-Amendola-Bonomi.

Questa formazione che col libro di Bonomi ci ha for-nito una notevole critica del fascismo, e col «Corrieredella Sera» e il «Mondo» conduce la piú assidua batta-glia contro il governo, ha tentato, col discorso pronun-ziato dall'onorevole Amendola a Napoli, di precisare lelinee attraverso cui dovrebbe avvenire la ricostruzione.Esaminiamo, dunque, questo documento.

Il primo rilievo che colpisce è che con questo tipo diopposizione costituzionale ci s'incontra per la prima vol-ta nella convinzione precisa, che la Costituzione del1848, la vecchia Carta albertina, è battuta in breccia daogni parte e non resiste piú. Essa non riesce a soddisfarei ceti che credono di aver fatta una rivoluzione vittorio-sa, né quelli che momentaneamente ne hanno dovuto su-bire lo scoppio. Attraverso lo sforzo di dover prendereposizione contro la riforma junkerista proposta dal fa-scismo è evidente che l'impostazione polemica del di-scorso amendoliano è rivolta a raggiungere un fine con-trorivoluzionario sia quando propone – si badi, in sededi pura ipotesi – la separazione del potere costituente daquello legislativo, o postula la necessità di creazionedello Stato contro il parossismo del potere esecutivo; siaquando afferma l'indipendenza istituzionale della magi-stratura o mira a integrare il principio della maggioranza

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parlamentare con la riforma del senato e con il decentra-mento amministrativo.

Necessariamente questa controrivoluzione amendo-liana si contrappone sia alla rivoluzione che circola allabase della formazione avversaria e che, sul serio, vuoleraggiungere posizioni politiche nuove, sia al fascismo digoverno che, nell'incomprensione storica degli avveni-menti, mira a cristallizzare la propria fortuna politicaanche nella costituzione degli Shogun giapponesi. Sicontrappone alla rivoluzione-base perché mira a delu-derla attraverso espedienti formali, cercando di ripro-durre, entro mutata veste, il dominio dei vecchi ceti sul-lo Stato: si contrappone vittoriosamente al fascismo digoverno perché vuole sostituire all'anarchia feudale deinuovi padroni un pensiero fondato sulla tradizione.

Questa coerenza alla tradizione in verità costituisceuna forza politica di prim'ordine che il fascismo a tortoderide, specialmente quando non sa o non può contrap-porle un pensiero organicamente nuovo.

Amendola non ha il temperamento mussoliniano e,perciò, non farà una nuova marcia su Roma stile messi-cano. Si affannerà, invece, a stendere sulle colonne del«Mondo» quei suoi periodi quadrati e robusti che piace-vano tanto alla piccola borghesia italiana nel periodoeroico dell'antifascismo, e che ora stancano per la mo-notonia; cosí continuerà la marcia silenziosa e pazienteal potere che lungo i sentieri abbandonati dal mussolini-smo egli conduce da due anni alla ricerca di una nuovaconquista regia.

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parlamentare con la riforma del senato e con il decentra-mento amministrativo.

Necessariamente questa controrivoluzione amendo-liana si contrappone sia alla rivoluzione che circola allabase della formazione avversaria e che, sul serio, vuoleraggiungere posizioni politiche nuove, sia al fascismo digoverno che, nell'incomprensione storica degli avveni-menti, mira a cristallizzare la propria fortuna politicaanche nella costituzione degli Shogun giapponesi. Sicontrappone alla rivoluzione-base perché mira a delu-derla attraverso espedienti formali, cercando di ripro-durre, entro mutata veste, il dominio dei vecchi ceti sul-lo Stato: si contrappone vittoriosamente al fascismo digoverno perché vuole sostituire all'anarchia feudale deinuovi padroni un pensiero fondato sulla tradizione.

Questa coerenza alla tradizione in verità costituisceuna forza politica di prim'ordine che il fascismo a tortoderide, specialmente quando non sa o non può contrap-porle un pensiero organicamente nuovo.

Amendola non ha il temperamento mussoliniano e,perciò, non farà una nuova marcia su Roma stile messi-cano. Si affannerà, invece, a stendere sulle colonne del«Mondo» quei suoi periodi quadrati e robusti che piace-vano tanto alla piccola borghesia italiana nel periodoeroico dell'antifascismo, e che ora stancano per la mo-notonia; cosí continuerà la marcia silenziosa e pazienteal potere che lungo i sentieri abbandonati dal mussolini-smo egli conduce da due anni alla ricerca di una nuovaconquista regia.

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Amendola, però, in caso di vittoria, non incendierà leféeries luminose della legislazione fascista dei primimesi: non si precipiterà nelle cantine dei ministeri perrintracciarvi progetti scartati dall'esperienza trentennalegiolittiana: non illuderà la rivoluzione, ma soprattuttonon deluderà la conservazione. Egli ha le sue idee giàfatte e noi le conosciamo. La sua polemica antifascista èstata per lo meno utile a impedire – cosa che, del resto,il suo temperamento non gli avrebbe permesso – cheegli possa presentarsi in veste di rivoluzionario.

La conservazione intelligente.Amendola è, dunque, la conservazione intelligente.

Egli conosce l'attrattiva di certe formule verbali chehanno costituito lungamente il bagaglio della piccolaborghesia italiana e le ripresenta al pubblico verniciate anuovo, sicuro che non hanno perduto l'antico fascino,anche perché corrispondono a generalizzazioni di pro-blemi insoluti.

Un esempio caratteristico di tale profilo mentale ci èofferto dal problema meridionale, di cui egli ci dàun'impostazione formale, senza soluzione sostanziale.

Egli dice:

Questa organizzazione dello Stato di cui abbiamo disegnatoqualche linea e che deve essere oggetto di serio studio, rispondein modo particolare al genio e al bisogno del Mezzogiorno: tradi-zionale campo di manovre per tutti gli eccessi e gli abusi del po-tere esecutivo. Collaborando a rendere necessaria la riorganizza-

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Amendola, però, in caso di vittoria, non incendierà leféeries luminose della legislazione fascista dei primimesi: non si precipiterà nelle cantine dei ministeri perrintracciarvi progetti scartati dall'esperienza trentennalegiolittiana: non illuderà la rivoluzione, ma soprattuttonon deluderà la conservazione. Egli ha le sue idee giàfatte e noi le conosciamo. La sua polemica antifascista èstata per lo meno utile a impedire – cosa che, del resto,il suo temperamento non gli avrebbe permesso – cheegli possa presentarsi in veste di rivoluzionario.

La conservazione intelligente.Amendola è, dunque, la conservazione intelligente.

Egli conosce l'attrattiva di certe formule verbali chehanno costituito lungamente il bagaglio della piccolaborghesia italiana e le ripresenta al pubblico verniciate anuovo, sicuro che non hanno perduto l'antico fascino,anche perché corrispondono a generalizzazioni di pro-blemi insoluti.

Un esempio caratteristico di tale profilo mentale ci èofferto dal problema meridionale, di cui egli ci dàun'impostazione formale, senza soluzione sostanziale.

Egli dice:

Questa organizzazione dello Stato di cui abbiamo disegnatoqualche linea e che deve essere oggetto di serio studio, rispondein modo particolare al genio e al bisogno del Mezzogiorno: tradi-zionale campo di manovre per tutti gli eccessi e gli abusi del po-tere esecutivo. Collaborando a rendere necessaria la riorganizza-

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zione, anzi la creazione dello Stato, il Mezzogiorno lavorerà asottrarsi a una condizione d'inferiorità che oggi piú che mai, dopooltre sessant'anni di vita unitaria, gli grava sulle spalle in modoumiliante.

In uno spirito nobilmente unitario e italiano (qual è propriodella nostra tradizione) i meridionali debbono essere chiamati aconsiderare il tema che direttamente li riguarda.

Ecco, dunque, uno degli esempi piú caratteristici delcome si delude il problema meridionale. L'impostazioneè concettualmente esatta ma per un partito rivoluziona-rio, non per un partito che aspira a esser chiamato da unmomento all'altro al governo.

Difatti un'azione che mirasse a chiamare i meridionalia risolvere il problema che direttamente li riguarda do-vrebbe essere diretta a organizzare tutte le forze anti-tra-sformistiche del Mezzogiorno, cioè tutte le forze che alpresente sono oggetto del baratto trasformistico. Soltan-to queste forze possono rompere il circolo vizioso entrocui si annoda la vita pubblica meridionale.

Ma per organizzarle e poterle, poi, scagliare nella bat-taglia, occorre un'opera lunga e paziente che l'opposi-zione costituzionale non può compiere, appunto perchédeve conquistare subito il potere.

Una riprova di questa posizione si ha nel fatto che ilmaggiore seguito dell'opposizione amendoliana è reclu-tato proprio tra quei ceti medi meridionali che fino allamarcia su Roma furono il cardine principale del giolitti-smo e nei primi giorni di entusiasmo per il fascismo fu-rono i piú strenui e convinti sostenitori del manganello

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zione, anzi la creazione dello Stato, il Mezzogiorno lavorerà asottrarsi a una condizione d'inferiorità che oggi piú che mai, dopooltre sessant'anni di vita unitaria, gli grava sulle spalle in modoumiliante.

In uno spirito nobilmente unitario e italiano (qual è propriodella nostra tradizione) i meridionali debbono essere chiamati aconsiderare il tema che direttamente li riguarda.

Ecco, dunque, uno degli esempi piú caratteristici delcome si delude il problema meridionale. L'impostazioneè concettualmente esatta ma per un partito rivoluziona-rio, non per un partito che aspira a esser chiamato da unmomento all'altro al governo.

Difatti un'azione che mirasse a chiamare i meridionalia risolvere il problema che direttamente li riguarda do-vrebbe essere diretta a organizzare tutte le forze anti-tra-sformistiche del Mezzogiorno, cioè tutte le forze che alpresente sono oggetto del baratto trasformistico. Soltan-to queste forze possono rompere il circolo vizioso entrocui si annoda la vita pubblica meridionale.

Ma per organizzarle e poterle, poi, scagliare nella bat-taglia, occorre un'opera lunga e paziente che l'opposi-zione costituzionale non può compiere, appunto perchédeve conquistare subito il potere.

Una riprova di questa posizione si ha nel fatto che ilmaggiore seguito dell'opposizione amendoliana è reclu-tato proprio tra quei ceti medi meridionali che fino allamarcia su Roma furono il cardine principale del giolitti-smo e nei primi giorni di entusiasmo per il fascismo fu-rono i piú strenui e convinti sostenitori del manganello

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filosofico.

Amendola e la questione meridionale.L'insurrezione dei ceti produttori del Mezzogiorno

non potrà svilupparsi che su diverso terreno politico.Del resto il pensiero amendoliano ha un decisivo pre-

cedente in materia che soltanto la cattiva memoria degliitaliani può dimenticare: il discorso di Sala Consilina,pronunziato, si noti bene, l'1 ottobre 1922.

Basterà citarne il brano piú significativo per convin-cersi di tutto il retroscena psicologico, nascosto dietro leformule odierne.

Nel 1919, quando l'alta e media Italia piegavano sotto la onda-ta bolscevica, il Mezzogiorno non piegò né si scosse: baluardodello Stato e della società italiana.

Esso non ha perciò verso il Partito fascista alcun debito di gra-titudine, né saprebbe tollerare l'importazione di metodi ai qualimancherebbe, tra le sue popolazioni amanti dell'ordinato lavoro efedeli allo Stato, qualsiasi giustificazione di difesa sociale e di ri-torsione politica. È dunque necessario, se il fascismo vuol tentarequesta prova, che esso venga col viatico di un programma positi-vo e di idee felicemente costruttive. Quale programma? Qualiidee?

Qualche primo indizio indurrebbe a credere che esso tenterà diriscattare un programma specifico attraverso la litania ben notadei problemi piú propriamente meridionali oggetto di cosí ponde-rosa e trita letteratura! Ebbene, se cosí sarà, possiamo esser certiche nulla di nuovo potrà essere detto in questo campo. Or sonoalcuni mesi, allorché ebbi l'onore di parlare agli amici della pro-

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filosofico.

Amendola e la questione meridionale.L'insurrezione dei ceti produttori del Mezzogiorno

non potrà svilupparsi che su diverso terreno politico.Del resto il pensiero amendoliano ha un decisivo pre-

cedente in materia che soltanto la cattiva memoria degliitaliani può dimenticare: il discorso di Sala Consilina,pronunziato, si noti bene, l'1 ottobre 1922.

Basterà citarne il brano piú significativo per convin-cersi di tutto il retroscena psicologico, nascosto dietro leformule odierne.

Nel 1919, quando l'alta e media Italia piegavano sotto la onda-ta bolscevica, il Mezzogiorno non piegò né si scosse: baluardodello Stato e della società italiana.

Esso non ha perciò verso il Partito fascista alcun debito di gra-titudine, né saprebbe tollerare l'importazione di metodi ai qualimancherebbe, tra le sue popolazioni amanti dell'ordinato lavoro efedeli allo Stato, qualsiasi giustificazione di difesa sociale e di ri-torsione politica. È dunque necessario, se il fascismo vuol tentarequesta prova, che esso venga col viatico di un programma positi-vo e di idee felicemente costruttive. Quale programma? Qualiidee?

Qualche primo indizio indurrebbe a credere che esso tenterà diriscattare un programma specifico attraverso la litania ben notadei problemi piú propriamente meridionali oggetto di cosí ponde-rosa e trita letteratura! Ebbene, se cosí sarà, possiamo esser certiche nulla di nuovo potrà essere detto in questo campo. Or sonoalcuni mesi, allorché ebbi l'onore di parlare agli amici della pro-

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vincia convenuti a Salerno, riassumevo il programma della rico-struzione del Meridione in questi termini: accompagnare ancora,con devozione e con spirito di sacrificio, lo sforzo della finanzanazionale verso il raggiungimento dell'equilibrio, e collocareun'ipoteca nazionale sui primi margini attivi che si verificheran-no in avvenire onde attuare un grande piano generale di creazio-ne nel Mezzogiorno degli impianti fondamentali necessari allavita di un popolo civile, col metodo organico e intensivo che fuimpiegato per la ricostruzione delle terre liberate. Né penso chein questa materia vi sia oggi altro da aggiungere.

Ma la reazionarietà del pensiero amendoliano, piú cheda questa posizione (che non può non far ricordare le re-centi polemiche del «Mondo» contro i progetti caritatividell'on Mussolini per conquistare il Mezzogiorno) emer-ge chiara dal brano seguente che è tutto una fotografiadella teoria e della prassi amendoliana nel Sud.

Si vuole ancora e sempre ripetere il tema della riscossa del po-polo meridionale dal giuoco delle camarille e delle clientele chene avviliscono il costume politico. Cosí si disse quando si volle ilsuffragio universale: senonché le riforme si aggiungono alle rifor-me, e l'argomento resta sempre in piedi, a disposizione della reto-rica politica che abitualmente si accompagna alla questione meri-dionale. Orbene: io ho rivendicato altra volta, nella sede parla-mentare, e rivendico anche oggi il valore sociale, politico e mora-le, delle cosí dette posizioni personali, attraverso le quali si orga-nizza la vita pubblica nel Mezzogiorno. Esse rappresentano, benespesso, patrimoni preziosi di prestigio e centri naturali e insoppri-mibili di un'organizzazione di rapporti politici, assai piú salda eassai piú sana di quella che è rappresentata dalle tessere dei partiticosí detti di massa. Esse hanno, dietro di sé, tradizioni vecchie vi-

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vincia convenuti a Salerno, riassumevo il programma della rico-struzione del Meridione in questi termini: accompagnare ancora,con devozione e con spirito di sacrificio, lo sforzo della finanzanazionale verso il raggiungimento dell'equilibrio, e collocareun'ipoteca nazionale sui primi margini attivi che si verificheran-no in avvenire onde attuare un grande piano generale di creazio-ne nel Mezzogiorno degli impianti fondamentali necessari allavita di un popolo civile, col metodo organico e intensivo che fuimpiegato per la ricostruzione delle terre liberate. Né penso chein questa materia vi sia oggi altro da aggiungere.

Ma la reazionarietà del pensiero amendoliano, piú cheda questa posizione (che non può non far ricordare le re-centi polemiche del «Mondo» contro i progetti caritatividell'on Mussolini per conquistare il Mezzogiorno) emer-ge chiara dal brano seguente che è tutto una fotografiadella teoria e della prassi amendoliana nel Sud.

Si vuole ancora e sempre ripetere il tema della riscossa del po-polo meridionale dal giuoco delle camarille e delle clientele chene avviliscono il costume politico. Cosí si disse quando si volle ilsuffragio universale: senonché le riforme si aggiungono alle rifor-me, e l'argomento resta sempre in piedi, a disposizione della reto-rica politica che abitualmente si accompagna alla questione meri-dionale. Orbene: io ho rivendicato altra volta, nella sede parla-mentare, e rivendico anche oggi il valore sociale, politico e mora-le, delle cosí dette posizioni personali, attraverso le quali si orga-nizza la vita pubblica nel Mezzogiorno. Esse rappresentano, benespesso, patrimoni preziosi di prestigio e centri naturali e insoppri-mibili di un'organizzazione di rapporti politici, assai piú salda eassai piú sana di quella che è rappresentata dalle tessere dei partiticosí detti di massa. Esse hanno, dietro di sé, tradizioni vecchie vi-

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gorose, e hanno contribuito efficacemente in tutto il dopoguerra –e contribuiranno anche domani – a preservare una larga parted'Italia da pericolosi sconvolgimenti politici.

Che cosa si pretenderebbe oggi di tentare contro questa natura-le organizzazione della grande maggioranza delle popolazionimeridionali? Non vi sono che due vie da prendere: o assicurarse-ne l'adesione e il dominio morale, con la persuasione e le buoneopere civili, o coalizzare contro di essa tutte le minoranze deimalcontenti, degli squalificati, degli irregolari.

Non auguro questa seconda via, che conduce allo sfruttamentofazioso degli elementi torbidi e dei rancori locali, a nessun partitoil quale si proponga di lavorare onestamente per l'avvenire d'Ita-lia! Ma il Mezzogiorno non si domina con la considerazione deiproblemi locali, o con lo sfruttamento delle sue divisioni di parte;la sua anima istintivamente e entusiasticamente unitaria guardaansiosa ai destini della sua grande patria, e chi vuole raggiungerlae avvicinarla a sé deve parlare d'Italia, deve additare le vie checondurranno l'Italia a superare le difficoltà della crisi postbellica ea ritrovare, nel pieno godimento della pace ben meritata, il segre-to della sua rinnovata fortuna.

Ora l'anima del Mezzogiorno, che è, come dicevo, istintiva-mente e entusiasticamente unitaria, si esprime attraverso un cre-do politico che consta di due articoli fondamentali: monarchia edemocrazia.

Tutti i dati storici della conquista piemontese sono,dunque, vivi e operanti nel pensiero di Amendola, che,come tutti gli uomini politici del Sud pervenuti a noto-rietà, è in funzione di stretta conservazione d'interessinordici.

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gorose, e hanno contribuito efficacemente in tutto il dopoguerra –e contribuiranno anche domani – a preservare una larga parted'Italia da pericolosi sconvolgimenti politici.

Che cosa si pretenderebbe oggi di tentare contro questa natura-le organizzazione della grande maggioranza delle popolazionimeridionali? Non vi sono che due vie da prendere: o assicurarse-ne l'adesione e il dominio morale, con la persuasione e le buoneopere civili, o coalizzare contro di essa tutte le minoranze deimalcontenti, degli squalificati, degli irregolari.

Non auguro questa seconda via, che conduce allo sfruttamentofazioso degli elementi torbidi e dei rancori locali, a nessun partitoil quale si proponga di lavorare onestamente per l'avvenire d'Ita-lia! Ma il Mezzogiorno non si domina con la considerazione deiproblemi locali, o con lo sfruttamento delle sue divisioni di parte;la sua anima istintivamente e entusiasticamente unitaria guardaansiosa ai destini della sua grande patria, e chi vuole raggiungerlae avvicinarla a sé deve parlare d'Italia, deve additare le vie checondurranno l'Italia a superare le difficoltà della crisi postbellica ea ritrovare, nel pieno godimento della pace ben meritata, il segre-to della sua rinnovata fortuna.

Ora l'anima del Mezzogiorno, che è, come dicevo, istintiva-mente e entusiasticamente unitaria, si esprime attraverso un cre-do politico che consta di due articoli fondamentali: monarchia edemocrazia.

Tutti i dati storici della conquista piemontese sono,dunque, vivi e operanti nel pensiero di Amendola, che,come tutti gli uomini politici del Sud pervenuti a noto-rietà, è in funzione di stretta conservazione d'interessinordici.

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L'opposizione costituzionale futura riserva della conquista regia.

Ciò posto, e malgrado tutte le affermazioni in contra-rio, è evidente che l'opposizione costituzionale non è unpartito liberale.

Veramente i teorici di quest'aggruppamento si richia-mano continuamente ai principi del costituzionalismo edel parlamentarismo, parlano di ripristinare le libertàsoppresse dal fascismo, impugnano la libertà di criticacontro la violenza privata. Ma appunto perciò il grupponon esce dalla concezione tradizionale dello Stato italia-no e non è liberale.

Esso non reagisce a ciò che vi è di caratteristiconell'azione fascista, e cioè l'adesione di forze neorivolu-zionarie alla conquista regia, ma reagisce proprio aquell'elemento della violenza che costituisce il maggiorpericolo per la conquista regia.

In altri termini, Amendola suggerisce una formulache il temperamento sovversivo di Mussolini è portato ascartare, ma non si pone se non formalmente su di unterreno diverso da quello di Mussolini.

Se non fosse per quel famoso «temperamento» la col-laborazione Mussolini-Amendola sarebbe già un fattocompiuto.

Mussolini crede di potere ancora reggersi con la for-ma di creazione spontanea del militarismo fascista, chenon si può diversamente definire che una nuova speciedi feudalismo antistatale; Amendola ritiene che ogni

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L'opposizione costituzionale futura riserva della conquista regia.

Ciò posto, e malgrado tutte le affermazioni in contra-rio, è evidente che l'opposizione costituzionale non è unpartito liberale.

Veramente i teorici di quest'aggruppamento si richia-mano continuamente ai principi del costituzionalismo edel parlamentarismo, parlano di ripristinare le libertàsoppresse dal fascismo, impugnano la libertà di criticacontro la violenza privata. Ma appunto perciò il grupponon esce dalla concezione tradizionale dello Stato italia-no e non è liberale.

Esso non reagisce a ciò che vi è di caratteristiconell'azione fascista, e cioè l'adesione di forze neorivolu-zionarie alla conquista regia, ma reagisce proprio aquell'elemento della violenza che costituisce il maggiorpericolo per la conquista regia.

In altri termini, Amendola suggerisce una formulache il temperamento sovversivo di Mussolini è portato ascartare, ma non si pone se non formalmente su di unterreno diverso da quello di Mussolini.

Se non fosse per quel famoso «temperamento» la col-laborazione Mussolini-Amendola sarebbe già un fattocompiuto.

Mussolini crede di potere ancora reggersi con la for-ma di creazione spontanea del militarismo fascista, chenon si può diversamente definire che una nuova speciedi feudalismo antistatale; Amendola ritiene che ogni

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qualvolta siano stati abbandonati anche nella forma idati storici della conquista regia, si son corsi seri perico-li rivoluzionari, cioè si sono compromesse le conquistesoprattutto economiche degli scarsi ceti dirigenti delloStato italiano. Se non si vuole, perciò, continuarenell'opera di sovvertimento iniziata dal bolscevismo, eproseguita dal fascismo, bisogna tornare all'ossequio in-tegrale dello Statuto albertino, modificato (se occorre)nella forma, per dare l'illusione di sopprimere gli istitutiformali, attraverso cui è possibile lo sconfinato arbitriodel potere esecutivo.

Ma questi avvedimenti riformatori non sono direttialla base, cioè alla distruzione del permanente compro-messo che alimenta la politica italiana: essi sono soltan-to diretti a nascondere le soluzioni di continuità che ilfascismo vi ha lasciato. La politica di Amendola è per-ciò piú reazionaria di quella di Mussolini, e mentre ilcompromesso tra quest'ultimo e la politica regia è sem-pre in pericolo per opera delle forze veramente rivolu-zionarie imprigionate nel fascismo, il compromesso tral'opposizione costituzionale e la politica regia è formal-mente perfetto.

Amendola, per parte sua, portandosi dietro l'antifasci-smo della piccola borghesia meridionale, garantisce im-mediatamente la saldatura del regime col Mezzogiorno.

L'illiberalità di questa formazione non potrebbe esse-re piú evidente. Lo Stato moderno è ancora da venire.

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qualvolta siano stati abbandonati anche nella forma idati storici della conquista regia, si son corsi seri perico-li rivoluzionari, cioè si sono compromesse le conquistesoprattutto economiche degli scarsi ceti dirigenti delloStato italiano. Se non si vuole, perciò, continuarenell'opera di sovvertimento iniziata dal bolscevismo, eproseguita dal fascismo, bisogna tornare all'ossequio in-tegrale dello Statuto albertino, modificato (se occorre)nella forma, per dare l'illusione di sopprimere gli istitutiformali, attraverso cui è possibile lo sconfinato arbitriodel potere esecutivo.

Ma questi avvedimenti riformatori non sono direttialla base, cioè alla distruzione del permanente compro-messo che alimenta la politica italiana: essi sono soltan-to diretti a nascondere le soluzioni di continuità che ilfascismo vi ha lasciato. La politica di Amendola è per-ciò piú reazionaria di quella di Mussolini, e mentre ilcompromesso tra quest'ultimo e la politica regia è sem-pre in pericolo per opera delle forze veramente rivolu-zionarie imprigionate nel fascismo, il compromesso tral'opposizione costituzionale e la politica regia è formal-mente perfetto.

Amendola, per parte sua, portandosi dietro l'antifasci-smo della piccola borghesia meridionale, garantisce im-mediatamente la saldatura del regime col Mezzogiorno.

L'illiberalità di questa formazione non potrebbe esse-re piú evidente. Lo Stato moderno è ancora da venire.

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Il liberalismo affidato alla difesa di gruppi cultura-li.

Il compito di battersi per lo Stato moderno è, per ora,affidato a esigue minoranze culturali, senza precisiobiettivi politici. Trattasi in massima parte di studiosiche sono pervenuti a maturazione culturale attraversogli studi di filosofia e che, perciò, hanno compiuto nelloro spirito non una, ma dieci rivoluzioni. Questi studio-si sono, in generale, degli isolati, cui la solitudine raffor-za, invece d'indebolire, l'intransigenza.

Tuttavia è pregio dell'opera ricordare il movimentopolitico che si svolge intorno alla «Rivoluzione Libera-le» di Piero Gobetti, che mira a creare una nuova classedirigente, presso cui le idee liberali abbiano piú vastoasilo.

In generale i collaboratori della «Rivoluzione Libera-le» sono pervenuti a una precisa impostazione critica delliberalismo attraverso l'analisi del processo di formazio-ne dello Stato unitario, di cui vengono successivamentescoprendo e svelando tutte le transazioni; e il loro sforzoè rivolto a creare una dottrina rivoluzionaria dello Statoitaliano che si contrapponga vittoriosamente alla forma-zione storica, senza riprodurne gli errori.

È per ora un compito puramente culturale, che, inparte, segue altri tentativi del genere, come 1'«Unità» ela «Voce» politica; in parte, li sovrasta, specialmentequando superando il problemismo, si sforza di pervenirealla nozione integrale dello Stato e della lotta politica.

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Il liberalismo affidato alla difesa di gruppi cultura-li.

Il compito di battersi per lo Stato moderno è, per ora,affidato a esigue minoranze culturali, senza precisiobiettivi politici. Trattasi in massima parte di studiosiche sono pervenuti a maturazione culturale attraversogli studi di filosofia e che, perciò, hanno compiuto nelloro spirito non una, ma dieci rivoluzioni. Questi studio-si sono, in generale, degli isolati, cui la solitudine raffor-za, invece d'indebolire, l'intransigenza.

Tuttavia è pregio dell'opera ricordare il movimentopolitico che si svolge intorno alla «Rivoluzione Libera-le» di Piero Gobetti, che mira a creare una nuova classedirigente, presso cui le idee liberali abbiano piú vastoasilo.

In generale i collaboratori della «Rivoluzione Libera-le» sono pervenuti a una precisa impostazione critica delliberalismo attraverso l'analisi del processo di formazio-ne dello Stato unitario, di cui vengono successivamentescoprendo e svelando tutte le transazioni; e il loro sforzoè rivolto a creare una dottrina rivoluzionaria dello Statoitaliano che si contrapponga vittoriosamente alla forma-zione storica, senza riprodurne gli errori.

È per ora un compito puramente culturale, che, inparte, segue altri tentativi del genere, come 1'«Unità» ela «Voce» politica; in parte, li sovrasta, specialmentequando superando il problemismo, si sforza di pervenirealla nozione integrale dello Stato e della lotta politica.

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Nel campo storico specialmente la rivista addita e inco-raggia i movimenti veramente liberali, mentre svela atempo i sottintesi reazionari di dottrine demagogiche. Ildirettore della rivista ha anzi scritto per la collezione distudi sociali diretti dal Mondolfo un saggio che porta iltitolo di Rivoluzione Liberale,1 in cui il metodo è appli-cato ai vari partiti storici, con speciale simpatia ai movi-menti proletari, diretti a prendere possesso spiritualmen-te del meccanismo di produzione e a sboccare in forma-zioni di democrazia diretta.

Non tutti i postulati del brillante saggio sono concor-demente condivisi dagli scrittori e dai simpatizzanti del-la rivista, specialmente da quelli, che, conoscendo a fon-do la questione meridionale, vedono piú complessamen-te la realtà italiana e non sono portati a sopravvalutare ilmovimento operaio come storicamente si è prodotto inItalia. Ma indubbiamente il saggio costituisce uno deipiú significativi documenti dell'epoca presente.

Il gruppo di «Rivoluzione Liberale» costituisce, quin-di, l'unica frazione veramente liberale che esista in Ita-lia. Il suo compito deve restare ancora a lungo limitato aun'opera di cultura e di controllo, se non vuole perderela necessaria intransigenza.

1 [Nuova edizione Torino, G. Einaudi, 1947. – N. d. E.].

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Nel campo storico specialmente la rivista addita e inco-raggia i movimenti veramente liberali, mentre svela atempo i sottintesi reazionari di dottrine demagogiche. Ildirettore della rivista ha anzi scritto per la collezione distudi sociali diretti dal Mondolfo un saggio che porta iltitolo di Rivoluzione Liberale,1 in cui il metodo è appli-cato ai vari partiti storici, con speciale simpatia ai movi-menti proletari, diretti a prendere possesso spiritualmen-te del meccanismo di produzione e a sboccare in forma-zioni di democrazia diretta.

Non tutti i postulati del brillante saggio sono concor-demente condivisi dagli scrittori e dai simpatizzanti del-la rivista, specialmente da quelli, che, conoscendo a fon-do la questione meridionale, vedono piú complessamen-te la realtà italiana e non sono portati a sopravvalutare ilmovimento operaio come storicamente si è prodotto inItalia. Ma indubbiamente il saggio costituisce uno deipiú significativi documenti dell'epoca presente.

Il gruppo di «Rivoluzione Liberale» costituisce, quin-di, l'unica frazione veramente liberale che esista in Ita-lia. Il suo compito deve restare ancora a lungo limitato aun'opera di cultura e di controllo, se non vuole perderela necessaria intransigenza.

1 [Nuova edizione Torino, G. Einaudi, 1947. – N. d. E.].

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L'opera di «Rivoluzione Liberale» e il comitato del-le opposizioni.

Questa considerazione chiarisce l'errore in cui sonocaduti numerosi aderenti alla rivista quando hanno pre-teso formare i cosiddetti «Gruppi della Rivoluzione Li-berale» e soprattutto aderire al comitato delle opposizio-ni.

Anzitutto la formazione dei gruppi a base politica, as-segnando agli iscritti scopi piú vicini all'azione pratica,li allontana sempre piú da quella funzione critica checostituiva prima il loro privilegio.

La rivista cessa di essere organo di esegesi scientifica,dinanzi a cui tutti i partiti e tutte le formazioni politichesono eguali, per divenire essa stessa fonte d'ispirazionedi un gruppo in lotta, strumento di elaborazione di unasola parte.

Tuttavia nessuno potrebbe contestare – né, in linead'ipotesi, si contesta per il futuro – l'utilità di una tra-sformazione simile se effettivamente la realtà politicaitaliana si fosse avvicinata ai piú elementari principi del-la dottrina liberale, in maniera da non esservi alcun peri-colo nell'abbandono della funzione critica per la funzio-ne costruttiva.

Ma dolorosamente la realtà è sempre cosí immaturache il controllo teorico è oggi piú che mai necessario persvelare a tempo i compromessi che si verificano nelcampo dell'antifascismo allo scopo di creare un governoqualsiasi.

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L'opera di «Rivoluzione Liberale» e il comitato del-le opposizioni.

Questa considerazione chiarisce l'errore in cui sonocaduti numerosi aderenti alla rivista quando hanno pre-teso formare i cosiddetti «Gruppi della Rivoluzione Li-berale» e soprattutto aderire al comitato delle opposizio-ni.

Anzitutto la formazione dei gruppi a base politica, as-segnando agli iscritti scopi piú vicini all'azione pratica,li allontana sempre piú da quella funzione critica checostituiva prima il loro privilegio.

La rivista cessa di essere organo di esegesi scientifica,dinanzi a cui tutti i partiti e tutte le formazioni politichesono eguali, per divenire essa stessa fonte d'ispirazionedi un gruppo in lotta, strumento di elaborazione di unasola parte.

Tuttavia nessuno potrebbe contestare – né, in linead'ipotesi, si contesta per il futuro – l'utilità di una tra-sformazione simile se effettivamente la realtà politicaitaliana si fosse avvicinata ai piú elementari principi del-la dottrina liberale, in maniera da non esservi alcun peri-colo nell'abbandono della funzione critica per la funzio-ne costruttiva.

Ma dolorosamente la realtà è sempre cosí immaturache il controllo teorico è oggi piú che mai necessario persvelare a tempo i compromessi che si verificano nelcampo dell'antifascismo allo scopo di creare un governoqualsiasi.

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L'abbandono della posizione critica, quindi, non hagiustificazioni sufficienti.

Tale errore, poi, è stato aggravato dall'entrata deigruppi nel cosiddetto «cartello delle opposizioni», orga-nizzazione prettamente contingente e senza contenutoprogrammatico unitario, diretta al solo e unico scopo disconfiggere sullo stesso terreno costituzionale il gover-no fascista.

Credo inutile ulteriormente specificare perché da que-sta adesione al comitato delle opposizioni la funzionecritica della rivista e dei gruppi risulti limitata.

Ma, in mancanza d'altro, dovrebbe bastare quanto aldirettore della rivista è accaduto ultimamente a proposi-to di una sua frase critica sull'operato politico del muti-lato Delcroix.

Le opposizioni, cosí dette costituzionali, disturbatenel lavoro di organizzazione del pateracchio antifascistamercé il distacco dei fiancheggiatori, mutilati e combat-tenti, dalla maggioranza mussoliniana, lungi dal difen-dere il Gobetti con la ricerca di una interpretazione poli-tica della frase, si sono affrettati a isolarne l'eventualeresponsabilità, giungendo perfino a prospettare il pub-blicista liberale come nemico.

Speriamo, pertanto, che l'insegnamento non vada per-duto e che la «Rivoluzione Liberale» possa essere riser-vata alla sua funzione di critica, di cui vi sarà ancora alungo bisogno per l'evidente immaturità delle varie for-mazioni politiche italiane.

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L'abbandono della posizione critica, quindi, non hagiustificazioni sufficienti.

Tale errore, poi, è stato aggravato dall'entrata deigruppi nel cosiddetto «cartello delle opposizioni», orga-nizzazione prettamente contingente e senza contenutoprogrammatico unitario, diretta al solo e unico scopo disconfiggere sullo stesso terreno costituzionale il gover-no fascista.

Credo inutile ulteriormente specificare perché da que-sta adesione al comitato delle opposizioni la funzionecritica della rivista e dei gruppi risulti limitata.

Ma, in mancanza d'altro, dovrebbe bastare quanto aldirettore della rivista è accaduto ultimamente a proposi-to di una sua frase critica sull'operato politico del muti-lato Delcroix.

Le opposizioni, cosí dette costituzionali, disturbatenel lavoro di organizzazione del pateracchio antifascistamercé il distacco dei fiancheggiatori, mutilati e combat-tenti, dalla maggioranza mussoliniana, lungi dal difen-dere il Gobetti con la ricerca di una interpretazione poli-tica della frase, si sono affrettati a isolarne l'eventualeresponsabilità, giungendo perfino a prospettare il pub-blicista liberale come nemico.

Speriamo, pertanto, che l'insegnamento non vada per-duto e che la «Rivoluzione Liberale» possa essere riser-vata alla sua funzione di critica, di cui vi sarà ancora alungo bisogno per l'evidente immaturità delle varie for-mazioni politiche italiane.

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I popolari

Tripartizione dell'azione liberale.L'azione che il Partito popolare italiano è destinato a

svolgere nel futuro sarà, né piú né meno, che la conti-nuazione di quella svolta finora. Noi vi abbiamo ripetu-tamente accennato nella prima parte di questo studio, eperciò non crediamo di doverci ripetere.

Ci sembra, però, che il popolarismo sia una concezio-ne centrista cosí connaturale all'attuale struttura socialeda non temere rapidi tramonti, e che lo sforzo del suomassimo profeta Luigi Sturzo sia appunto diretto ad ac-cumulare tali riserve teoriche al giovane partito da assi-curargli in ogni caso l'avvenire.

È perciò che a causa della peculiare crisi dello Statoitaliano il PPI dovrà ancora a lungo esercitare una deci-siva azione rivoluzionaria, alternata a forti contraccolpidi conservazione, e nessuno potrà dire con sicurezza

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I popolari

Tripartizione dell'azione liberale.L'azione che il Partito popolare italiano è destinato a

svolgere nel futuro sarà, né piú né meno, che la conti-nuazione di quella svolta finora. Noi vi abbiamo ripetu-tamente accennato nella prima parte di questo studio, eperciò non crediamo di doverci ripetere.

Ci sembra, però, che il popolarismo sia una concezio-ne centrista cosí connaturale all'attuale struttura socialeda non temere rapidi tramonti, e che lo sforzo del suomassimo profeta Luigi Sturzo sia appunto diretto ad ac-cumulare tali riserve teoriche al giovane partito da assi-curargli in ogni caso l'avvenire.

È perciò che a causa della peculiare crisi dello Statoitaliano il PPI dovrà ancora a lungo esercitare una deci-siva azione rivoluzionaria, alternata a forti contraccolpidi conservazione, e nessuno potrà dire con sicurezza

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quando sarà giunto il momento per una piú decisa cri-stallizzazione degli interessi che lo potenziano. Occorre-rà, quindi, spezzettare minutamente la speciale fisiono-mia del PPI per non commettere il facile errore di esage-rare uno dei suoi elementi costitutivi a danno degli altri.

Nel campo economico: funzione di conservazione.Iniziando tale analisi ci sembra necessario agevolare

la trattazione della materia distinguendo il campo dellapolitica economica, cosí da quello della politica parla-mentare come dalla concezione dello Stato.

Nel campo della politica economica l'azione del PPI èsolidamente incentrata nella difesa della proprietà priva-ta. Anzi di questo tradizionale istituto economico il PPIdifende la forma piú sicuramente conservatrice, qual èla piccola proprietà, che interessa alla istituzione il mag-gior numero di difese.

E poiché la lotta economica non è contemplazioneimmobile di fortune consolidate, ma è creazione perpe-tua di fortune nuove entro schemi giuridici duraturi assi-curante un indefinito ricambio sociale, il PPI non limitala sua azione a un'inerte simpatia verso la piccola pro-prietà, ma propone delle soluzioni legislative atte a ri-condurre allo schema preferito i problemi del passato,rimasti finora insoluti.

Questa considerazione svela e giustifica la logica in-terna del progetto di colonizzazione nazionale del lati-fondo, che è stato a torto aspramente criticato come

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quando sarà giunto il momento per una piú decisa cri-stallizzazione degli interessi che lo potenziano. Occorre-rà, quindi, spezzettare minutamente la speciale fisiono-mia del PPI per non commettere il facile errore di esage-rare uno dei suoi elementi costitutivi a danno degli altri.

Nel campo economico: funzione di conservazione.Iniziando tale analisi ci sembra necessario agevolare

la trattazione della materia distinguendo il campo dellapolitica economica, cosí da quello della politica parla-mentare come dalla concezione dello Stato.

Nel campo della politica economica l'azione del PPI èsolidamente incentrata nella difesa della proprietà priva-ta. Anzi di questo tradizionale istituto economico il PPIdifende la forma piú sicuramente conservatrice, qual èla piccola proprietà, che interessa alla istituzione il mag-gior numero di difese.

E poiché la lotta economica non è contemplazioneimmobile di fortune consolidate, ma è creazione perpe-tua di fortune nuove entro schemi giuridici duraturi assi-curante un indefinito ricambio sociale, il PPI non limitala sua azione a un'inerte simpatia verso la piccola pro-prietà, ma propone delle soluzioni legislative atte a ri-condurre allo schema preferito i problemi del passato,rimasti finora insoluti.

Questa considerazione svela e giustifica la logica in-terna del progetto di colonizzazione nazionale del lati-fondo, che è stato a torto aspramente criticato come

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espressione di una tendenza socializzatrice. Esso, inve-ce, può sicuramente ricondursi alla formula preferita dalPPI nel campo della politica economica: rinvigorimentodella piccola anche attraverso la distruzione della gran-de proprietà.

Ma l'orizzonte di un partito come il popolare non po-teva limitarsi alla difesa della piccola proprietà, cioè alladifesa di una categoria, e perciò esso si estende anche allavoro agricolo.

Tale estensione specialmente nelle categorie che han-no piú stretto legame giuridico con la proprietà (mezza-dria, colonia, soccida, locazione semplice), discendevacome una conseguenza logica dalle premesse, e non po-teva trovare altro modo di esplicazione pratica che attra-verso le forme di organizzazione sindacale che non sonosocialiste, ma soltanto moderne.

In verità la politica sindacale del giovane partito gliha procurato una grande quantità di critiche cui metteconto accennare soltanto per ragion di metodo. Ognunoperò può comprendere quanto esse siano inesatte, spe-cialmente quando ricordi l'antinterventismo e l'antipro-tezionismo del PPI, diretti a distruggere e superare laformazione storica dello Stato unitario.

Cosí, sotto questo profilo, il popolarismo, pur assu-mendo una fisionomia ben distinta dagli altri partiti,conclude tutta la sua prassi nel quadro della piccola pro-prietà, esercitando lodevolmente la sua duratura funzio-ne di conservazione.

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espressione di una tendenza socializzatrice. Esso, inve-ce, può sicuramente ricondursi alla formula preferita dalPPI nel campo della politica economica: rinvigorimentodella piccola anche attraverso la distruzione della gran-de proprietà.

Ma l'orizzonte di un partito come il popolare non po-teva limitarsi alla difesa della piccola proprietà, cioè alladifesa di una categoria, e perciò esso si estende anche allavoro agricolo.

Tale estensione specialmente nelle categorie che han-no piú stretto legame giuridico con la proprietà (mezza-dria, colonia, soccida, locazione semplice), discendevacome una conseguenza logica dalle premesse, e non po-teva trovare altro modo di esplicazione pratica che attra-verso le forme di organizzazione sindacale che non sonosocialiste, ma soltanto moderne.

In verità la politica sindacale del giovane partito gliha procurato una grande quantità di critiche cui metteconto accennare soltanto per ragion di metodo. Ognunoperò può comprendere quanto esse siano inesatte, spe-cialmente quando ricordi l'antinterventismo e l'antipro-tezionismo del PPI, diretti a distruggere e superare laformazione storica dello Stato unitario.

Cosí, sotto questo profilo, il popolarismo, pur assu-mendo una fisionomia ben distinta dagli altri partiti,conclude tutta la sua prassi nel quadro della piccola pro-prietà, esercitando lodevolmente la sua duratura funzio-ne di conservazione.

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Nel campo parlamentare: funzione rivoluzionaria.La proposizione di queste direttive e lo sforzo pratico

per raggiungerle, portano il PPI sul terreno piú propriodella questione meridionale, che, grosso modo, può con-densarsi nel binomio: autonomia amministrativa e liber-tà economica.

Di colpo, quindi, gli obiettivi economici del partitodiventano rivoluzionari, rivolti cioè a sostituire allo Sta-to burocratico-accentratore lo Stato parlamentare decen-trato, e distruggere cosí i privilegi dei gruppi che dirigo-no la politica italiana.

Attraverso le libertà economiche e politiche il PPImira a assicurare il trionfo delle classi medie antiparas-sitarie e dei rurali, contro l'attuale prepotere dei gruppiprivilegiati che si servono dello Stato come organo dimediazione economica.

Il PPI è perciò antisocialista e anticapitalista, aggre-dendo contemporaneamente il socialismo di Stato e ilprotezionismo industriale, facce opposte di uno stessofenomeno. Esso si pone contro i dati fondamentali dellaconquista regia e propone delle formule politiche chesono un tentativo abbastanza serio di revisione del Ri-sorgimento nei suoi risultati concreti.

Il tentativo neoguelfo, fallito nel 1848 perché si chie-deva un'adesione completa del Vaticano, istituto antista-tale per eccellenza, alla formazione dello Stato moder-no, si presenta oggi piú seriamente temibile per l'assen-za ufficiale del Vaticano dalla lotta e per lo svolgimento

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Nel campo parlamentare: funzione rivoluzionaria.La proposizione di queste direttive e lo sforzo pratico

per raggiungerle, portano il PPI sul terreno piú propriodella questione meridionale, che, grosso modo, può con-densarsi nel binomio: autonomia amministrativa e liber-tà economica.

Di colpo, quindi, gli obiettivi economici del partitodiventano rivoluzionari, rivolti cioè a sostituire allo Sta-to burocratico-accentratore lo Stato parlamentare decen-trato, e distruggere cosí i privilegi dei gruppi che dirigo-no la politica italiana.

Attraverso le libertà economiche e politiche il PPImira a assicurare il trionfo delle classi medie antiparas-sitarie e dei rurali, contro l'attuale prepotere dei gruppiprivilegiati che si servono dello Stato come organo dimediazione economica.

Il PPI è perciò antisocialista e anticapitalista, aggre-dendo contemporaneamente il socialismo di Stato e ilprotezionismo industriale, facce opposte di uno stessofenomeno. Esso si pone contro i dati fondamentali dellaconquista regia e propone delle formule politiche chesono un tentativo abbastanza serio di revisione del Ri-sorgimento nei suoi risultati concreti.

Il tentativo neoguelfo, fallito nel 1848 perché si chie-deva un'adesione completa del Vaticano, istituto antista-tale per eccellenza, alla formazione dello Stato moder-no, si presenta oggi piú seriamente temibile per l'assen-za ufficiale del Vaticano dalla lotta e per lo svolgimento

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dell'azione attraverso la prassi piú propria del partito po-litico.

Anzi lo svolgimento di questa prassi, nel campo diuno Stato la cui formazione storica non è liberale, hapotuto permettere all'audace fantasia di don Sturzo discegliere per l'attuazione del suo programma proprio ilmetodo liberale, come sistema di antitesi al contenutosostanziale dello Stato italiano, senza correre pericolo divedere, almeno per ora, capovolta la propria posizionedialettica.

Cosí don Sturzo, attraverso questa felice impostazio-ne teorica, riesce a dissimulare quel tanto di contenutoreazionario, che esiste in ogni partito a base cattolica,nascondendo l'insufficienza delle sue soluzioni idealisotto la rivoluzionarietà delle soluzioni giuridiche. Iltentativo della Democrazia cristiana odierna mostraquanto cammino l'idea dello Stato ha fatto, pur tra de-viazioni fatali e conati infruttuosi, nel nostro paese.

Nel campo istituzionale: funzione reazionaria.Queste insufficienze ideali del popolarismo si scopro-

no piú agevolmente quando si scivola nella zona minatadelle relazioni tra lo Stato e la Chiesa, terreno classicodelle limitazioni antistatali e dei tentativi reazionari.

È qui, dunque, che occorre saggiare le possibilità delPPI per una vera politica di libertà, e che il sottintesoreazionario maggiormente si svela.

Anzitutto l'incessante polemica del popolarismo con-

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dell'azione attraverso la prassi piú propria del partito po-litico.

Anzi lo svolgimento di questa prassi, nel campo diuno Stato la cui formazione storica non è liberale, hapotuto permettere all'audace fantasia di don Sturzo discegliere per l'attuazione del suo programma proprio ilmetodo liberale, come sistema di antitesi al contenutosostanziale dello Stato italiano, senza correre pericolo divedere, almeno per ora, capovolta la propria posizionedialettica.

Cosí don Sturzo, attraverso questa felice impostazio-ne teorica, riesce a dissimulare quel tanto di contenutoreazionario, che esiste in ogni partito a base cattolica,nascondendo l'insufficienza delle sue soluzioni idealisotto la rivoluzionarietà delle soluzioni giuridiche. Iltentativo della Democrazia cristiana odierna mostraquanto cammino l'idea dello Stato ha fatto, pur tra de-viazioni fatali e conati infruttuosi, nel nostro paese.

Nel campo istituzionale: funzione reazionaria.Queste insufficienze ideali del popolarismo si scopro-

no piú agevolmente quando si scivola nella zona minatadelle relazioni tra lo Stato e la Chiesa, terreno classicodelle limitazioni antistatali e dei tentativi reazionari.

È qui, dunque, che occorre saggiare le possibilità delPPI per una vera politica di libertà, e che il sottintesoreazionario maggiormente si svela.

Anzitutto l'incessante polemica del popolarismo con-

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tro la concezione filosofica dello Stato moderno che nonpuò vivere nel pensiero dualistico del cattolicismo, chia-risce che la teoria del giovane partito è in aperta rottacon tutto il pensiero razionalista moderno.

Il tentativo sturziano di frantumare quello che eglichiama lo Stato panteista sul terreno delle libertà forma-li, e di contrapporre la concezione democraticocristianaa quella democratico panteista dimostra chiaramente cheil terreno della teocrazia non è menomamente abbando-nato. Lungi dal teorizzare il concetto filosofico della li-bertà come idea essenziale dello Stato, il popolarismo ècostretto a pluralizzare le libertà, assumendone il soloprofilo giuridico, con il sottinteso teorico di servirsi, peresempio, della cosí detta libertà della Chiesa, al solo eunico scopo di lotta contro lo Stato e non già al fine diintegrare del contenuto libertario questo ultimo. È per-ciò che, pur volgendosi nel campo opposto, il pensieropopolare non supera la concezione giurisdizionalista, dicui anzi si può dire, senza tema di paradosso, capovolge,riproducendoli, i dati storici.

Infatti l'unità della coscienza, teorizzata dal liberali-smo filosofico, viene spezzata per comporre ancora unavolta il dissidio ideale tra lo Stato e la Chiesa sopra unabase eminentemente storica. Soltanto che, durante la lot-ta secolare, la teocrazia, avendo compreso che il metodocosiddetto liberale, lungi dall'essere pericoloso, può di-venire utile, è riuscita a impadronirsene per agitarlocontro lo Stato italiano che, avendolo formalmente adot-tato, non sa o non può servirsene per realizzazioni so-

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tro la concezione filosofica dello Stato moderno che nonpuò vivere nel pensiero dualistico del cattolicismo, chia-risce che la teoria del giovane partito è in aperta rottacon tutto il pensiero razionalista moderno.

Il tentativo sturziano di frantumare quello che eglichiama lo Stato panteista sul terreno delle libertà forma-li, e di contrapporre la concezione democraticocristianaa quella democratico panteista dimostra chiaramente cheil terreno della teocrazia non è menomamente abbando-nato. Lungi dal teorizzare il concetto filosofico della li-bertà come idea essenziale dello Stato, il popolarismo ècostretto a pluralizzare le libertà, assumendone il soloprofilo giuridico, con il sottinteso teorico di servirsi, peresempio, della cosí detta libertà della Chiesa, al solo eunico scopo di lotta contro lo Stato e non già al fine diintegrare del contenuto libertario questo ultimo. È per-ciò che, pur volgendosi nel campo opposto, il pensieropopolare non supera la concezione giurisdizionalista, dicui anzi si può dire, senza tema di paradosso, capovolge,riproducendoli, i dati storici.

Infatti l'unità della coscienza, teorizzata dal liberali-smo filosofico, viene spezzata per comporre ancora unavolta il dissidio ideale tra lo Stato e la Chiesa sopra unabase eminentemente storica. Soltanto che, durante la lot-ta secolare, la teocrazia, avendo compreso che il metodocosiddetto liberale, lungi dall'essere pericoloso, può di-venire utile, è riuscita a impadronirsene per agitarlocontro lo Stato italiano che, avendolo formalmente adot-tato, non sa o non può servirsene per realizzazioni so-

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stanziali.Ne deriva, quindi, che se la polemica popolare contro

lo Stato italiano, cosí come è storicamente costituito, èoltremodo brillante e dimostra quanta virtú di adatta-mento abbiano certe formule quando siano prive di realecontenuto, la polemica invece con lo Stato moderno ri-mette lo Stato popolare (l'aggettivo è necessario perquanto don Sturzo mostri di detestarlo) sulla base diquello storico, mostrando cosí che il processo dualisticopuò servire a finalità puramente polemiche, ma non hasostanziale virtú dialettica.

La politica ecclesiastica fascista e il Vaticano.Una riprova di questi rilievi può trovarsi nella reazio-

ne papale alla politica ecclesiastica fascista.Il fascismo, spinto dalla sua stessa origine, consisten-

te in una reazione sui generis dello Stato burocratico-accentratore all'attacco istituzionale dei socialisti e deipopolari, illuso dalle possibilità di realizzazione dellatesi nazionalistica della Chiesa che serve lo Stato, ab-bandonò la formula cavouriana e le elaborazioni manci-niane e crispine sul giurisdizionalismo moderno, che co-stituivano le piú sicure esperienze del regime in materia,per tentare di richiamare l'azione papale nel solo camporeligioso, concedendole via libera nella politica scolasti-ca. In sostanza il fascismo, mentre credette di agire an-cora nel campo della separazione religiosa, puramenteillusorio per il carattere universale della Chiesa, si pro-

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stanziali.Ne deriva, quindi, che se la polemica popolare contro

lo Stato italiano, cosí come è storicamente costituito, èoltremodo brillante e dimostra quanta virtú di adatta-mento abbiano certe formule quando siano prive di realecontenuto, la polemica invece con lo Stato moderno ri-mette lo Stato popolare (l'aggettivo è necessario perquanto don Sturzo mostri di detestarlo) sulla base diquello storico, mostrando cosí che il processo dualisticopuò servire a finalità puramente polemiche, ma non hasostanziale virtú dialettica.

La politica ecclesiastica fascista e il Vaticano.Una riprova di questi rilievi può trovarsi nella reazio-

ne papale alla politica ecclesiastica fascista.Il fascismo, spinto dalla sua stessa origine, consisten-

te in una reazione sui generis dello Stato burocratico-accentratore all'attacco istituzionale dei socialisti e deipopolari, illuso dalle possibilità di realizzazione dellatesi nazionalistica della Chiesa che serve lo Stato, ab-bandonò la formula cavouriana e le elaborazioni manci-niane e crispine sul giurisdizionalismo moderno, che co-stituivano le piú sicure esperienze del regime in materia,per tentare di richiamare l'azione papale nel solo camporeligioso, concedendole via libera nella politica scolasti-ca. In sostanza il fascismo, mentre credette di agire an-cora nel campo della separazione religiosa, puramenteillusorio per il carattere universale della Chiesa, si pro-

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pose di disintegrare dal PPI tutte le forze di inerte con-servazione sociale, tra cui comprendeva, per effetto dipura inversione ottica, lo stesso Vaticano, arrivando allacreazione di un partito clericofascista, che nell'ossequiomai smentito al regime – di cui aveva sempre fatto parteanche quando le apparenze avevano potuto far credere ilcontrario – doveva trarre lo spunto per convincere PioXI a ripetere l'offensiva di papa Sarto contro la Demo-crazia cristiana.

Ma, di fronte a questa manovra nazionalfascista, ilVaticano, intuendo la crisi dello Stato italiano, ha rispo-sto con una politica a doppia faccia, e mentre non haostacolato, anzi ha incoraggiato, la formazione clerico-fascista, per avere l'occasione e il modo di sfruttare finoal possibile l'abbandono dei canoni giurisdizionalisti, hacontinuato a sostenere il PPI nella lotta di attacco al re-gime, sperando di forzare quest'ultimo sempre piú lungola via delle dedizioni confessionalistiche.

Questa politica ha presentato cosí per il Vaticano ildoppio vantaggio di spingere ancor piú il regime sullavia conciliatoristica, su cui i pubblicisti vaticani si sonomessi da tempo, e di accendere una vasta ipotecasull'avvenire politico del nostro paese allontanando ognipossibilità di crisi nazionale sul terreno dell'ideale delloStato etico del liberalismo puro.

Cosí mentre la nuova politica vaticana ha chiaramen-te mostrato di voler sgombrare il campo dai reticolatidel giurisdizionalismo, dietro cui lo Stato si era trincera-to per timore di affrontare in pieno l'idea universale cat-

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pose di disintegrare dal PPI tutte le forze di inerte con-servazione sociale, tra cui comprendeva, per effetto dipura inversione ottica, lo stesso Vaticano, arrivando allacreazione di un partito clericofascista, che nell'ossequiomai smentito al regime – di cui aveva sempre fatto parteanche quando le apparenze avevano potuto far credere ilcontrario – doveva trarre lo spunto per convincere PioXI a ripetere l'offensiva di papa Sarto contro la Demo-crazia cristiana.

Ma, di fronte a questa manovra nazionalfascista, ilVaticano, intuendo la crisi dello Stato italiano, ha rispo-sto con una politica a doppia faccia, e mentre non haostacolato, anzi ha incoraggiato, la formazione clerico-fascista, per avere l'occasione e il modo di sfruttare finoal possibile l'abbandono dei canoni giurisdizionalisti, hacontinuato a sostenere il PPI nella lotta di attacco al re-gime, sperando di forzare quest'ultimo sempre piú lungola via delle dedizioni confessionalistiche.

Questa politica ha presentato cosí per il Vaticano ildoppio vantaggio di spingere ancor piú il regime sullavia conciliatoristica, su cui i pubblicisti vaticani si sonomessi da tempo, e di accendere una vasta ipotecasull'avvenire politico del nostro paese allontanando ognipossibilità di crisi nazionale sul terreno dell'ideale delloStato etico del liberalismo puro.

Cosí mentre la nuova politica vaticana ha chiaramen-te mostrato di voler sgombrare il campo dai reticolatidel giurisdizionalismo, dietro cui lo Stato si era trincera-to per timore di affrontare in pieno l'idea universale cat-

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tolica, già postula la libertà, sicura di poter battere suquesto terreno lo striminzito Stato italiano.

In sostanza il Vaticano non potrebbe mostrare unmaggior possesso dei termini sia dell'antitesi storica siadi quella ideale. Esso è convinto che lo Stato italianonon arriverà mai alla pienezza etica, non sarà mai per-meato di universalità, e perciò, conoscendo assai bene dipossedere il sussidio dell'idea universale piú antica, siaccorge che il campo della libertà è piú fertile che quel-lo del giurisdizionalismo e dei concordati e vuole scen-dere nella vita per sconfiggervi la menzogna liberaledello Stato.

Un dilemma terribile si presenta per lo Stato italiano:o arrendersi anche nel campo giurisdizionalista o esserebattuto come formazione storica.

L'antitesi non potrebbe essere piú rovente e il Vatica-no è disposto a esasperarla fino a quel limite oltre ilquale può spalancarsi l'abisso del razionalismo moder-no.

Ma siccome il razionalismo moderno è nemico cosídell'idea cattolica come dello Stato storico italiano, ilVaticano è sicuro che l'alleanza con quest'ultimo controla soluzione ideale, anche attraverso la lotta, non saràdistrutta.

In sostanza il popolarismo rappresenta la formula at-traverso cui una nuova alleanza potrà realizzarsi tra ilregime e la Chiesa.

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tolica, già postula la libertà, sicura di poter battere suquesto terreno lo striminzito Stato italiano.

In sostanza il Vaticano non potrebbe mostrare unmaggior possesso dei termini sia dell'antitesi storica siadi quella ideale. Esso è convinto che lo Stato italianonon arriverà mai alla pienezza etica, non sarà mai per-meato di universalità, e perciò, conoscendo assai bene dipossedere il sussidio dell'idea universale piú antica, siaccorge che il campo della libertà è piú fertile che quel-lo del giurisdizionalismo e dei concordati e vuole scen-dere nella vita per sconfiggervi la menzogna liberaledello Stato.

Un dilemma terribile si presenta per lo Stato italiano:o arrendersi anche nel campo giurisdizionalista o esserebattuto come formazione storica.

L'antitesi non potrebbe essere piú rovente e il Vatica-no è disposto a esasperarla fino a quel limite oltre ilquale può spalancarsi l'abisso del razionalismo moder-no.

Ma siccome il razionalismo moderno è nemico cosídell'idea cattolica come dello Stato storico italiano, ilVaticano è sicuro che l'alleanza con quest'ultimo controla soluzione ideale, anche attraverso la lotta, non saràdistrutta.

In sostanza il popolarismo rappresenta la formula at-traverso cui una nuova alleanza potrà realizzarsi tra ilregime e la Chiesa.

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Futura alleanza antirazionalistica tra lo Stato stori-co e la Chiesa.

Prima di arrivare però a questa nuova saldatura la lot-ta sarà assai aspra perché il regime tenterà ancora di ri-produrre la dittatura legale, cui ha affidato le sue fortunedal 1860 in poi. Durante questa fase il PPI sarà il natura-le alleato di tutti i partiti che lotteranno contro lo Statoburocratico-accentratore per l'affermazione di un idealelibertario.

Quest'alleanza, però, sarà temporanea perché oltre glistretti confini di questa lotta comune, si apre il piú vastocampo dei dissensi filosofici e sostanziali, si apre ilcampo della reazione antirazionalista che il PPI tentaspostare dal terreno piú proprio della speculazione filo-sofica sul terreno della politica.

I veri nemici sono, quindi, oggi, uniti per l'immaturitàideale del regime e il parassitismo dei ceti che lo sosten-gono.

Contro lo spaventevole nichilismo spirituale di questaincrostazione d'interessi intorno a un concetto originariodi violenza il PPI ha potuto sollevare la bandiera dellalibertà, capovolgendo cosí, nel campo puramente stori-co, un'antitesi che resta intatta nel campo ideale.

Nessun commento piú grave potrebbe farsi alla situa-zione italiana, misto di tragico e di grottesco, di passio-ne ideale e di parassitismo volgare. Lo stesso Vaticano,ritenuto fino a ieri alla retroguardia di tutte le forze so-ciali, sentito il puzzo di cadavere, è balzato in testa nella

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Futura alleanza antirazionalistica tra lo Stato stori-co e la Chiesa.

Prima di arrivare però a questa nuova saldatura la lot-ta sarà assai aspra perché il regime tenterà ancora di ri-produrre la dittatura legale, cui ha affidato le sue fortunedal 1860 in poi. Durante questa fase il PPI sarà il natura-le alleato di tutti i partiti che lotteranno contro lo Statoburocratico-accentratore per l'affermazione di un idealelibertario.

Quest'alleanza, però, sarà temporanea perché oltre glistretti confini di questa lotta comune, si apre il piú vastocampo dei dissensi filosofici e sostanziali, si apre ilcampo della reazione antirazionalista che il PPI tentaspostare dal terreno piú proprio della speculazione filo-sofica sul terreno della politica.

I veri nemici sono, quindi, oggi, uniti per l'immaturitàideale del regime e il parassitismo dei ceti che lo sosten-gono.

Contro lo spaventevole nichilismo spirituale di questaincrostazione d'interessi intorno a un concetto originariodi violenza il PPI ha potuto sollevare la bandiera dellalibertà, capovolgendo cosí, nel campo puramente stori-co, un'antitesi che resta intatta nel campo ideale.

Nessun commento piú grave potrebbe farsi alla situa-zione italiana, misto di tragico e di grottesco, di passio-ne ideale e di parassitismo volgare. Lo stesso Vaticano,ritenuto fino a ieri alla retroguardia di tutte le forze so-ciali, sentito il puzzo di cadavere, è balzato in testa nella

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successione storica. La breccia di Porta Pia è capovoltae la conquista regia forse finirà per provocare quellapontificia. La vendetta della storia non potrebbe esserepiú paradossale!

Pericoli dell'azione «popolare».Tuttavia i calcoli vaticani non sono cosí semplici

come a prima vista parrebbe. Lo spirito giuridico, è pursempre una delle forme dello spirito speculativo, e iconcetti di autonomia e di libertà, su cui il PPI è costret-to a far leva nella lotta antidittatoriale, costituisconosempre l'anticamera del razionalismo.

Non è, quindi, detto che il Vaticano sia cosí sicuro dipoter richiamare il molosso dopo averlo aizzato e che lospirito razionalista non abbia a sorgere sull’arido sche-ma del formalismo giuridico.

È perciò che il PPI sarà ancora a lungo uno degli al-fieri piú validi nella battaglia antistatale.

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successione storica. La breccia di Porta Pia è capovoltae la conquista regia forse finirà per provocare quellapontificia. La vendetta della storia non potrebbe esserepiú paradossale!

Pericoli dell'azione «popolare».Tuttavia i calcoli vaticani non sono cosí semplici

come a prima vista parrebbe. Lo spirito giuridico, è pursempre una delle forme dello spirito speculativo, e iconcetti di autonomia e di libertà, su cui il PPI è costret-to a far leva nella lotta antidittatoriale, costituisconosempre l'anticamera del razionalismo.

Non è, quindi, detto che il Vaticano sia cosí sicuro dipoter richiamare il molosso dopo averlo aizzato e che lospirito razionalista non abbia a sorgere sull’arido sche-ma del formalismo giuridico.

È perciò che il PPI sarà ancora a lungo uno degli al-fieri piú validi nella battaglia antistatale.

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I socialisti unitari

Tripartizione del Partito socialista.Per comprendere interamente la formazione storica

dei nuovi partiti proletari bisogna rifarsi al caos bolsce-vico e tener presente che la caratteristica essenziale diquel periodo fu appunto la lotta aspra e tenace tra i rifor-misti e i rivoluzionari, corrispondente non già a uno ste-rile dissenso dottrinale, ma alla stessa posizione delledue frazioni nei riguardi dello Stato unitario.

Era naturale che questa demarcazione, determinantela crisi socialista nel momento dell'ascesa rivoluziona-ria, dovesse, nel periodo successivo, sboccare nel pro-cesso generale di tripartizione che, sotto l'urto della real-tà, subí il bolscevismo italiano. Questo processo di tri-partizione corrispose a una maggiore aderenza agli inte-ressi e alla tradizione, secondo le linee di minor resi-stenza che, nel seno stesso dell'immaturità socialista, si

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I socialisti unitari

Tripartizione del Partito socialista.Per comprendere interamente la formazione storica

dei nuovi partiti proletari bisogna rifarsi al caos bolsce-vico e tener presente che la caratteristica essenziale diquel periodo fu appunto la lotta aspra e tenace tra i rifor-misti e i rivoluzionari, corrispondente non già a uno ste-rile dissenso dottrinale, ma alla stessa posizione delledue frazioni nei riguardi dello Stato unitario.

Era naturale che questa demarcazione, determinantela crisi socialista nel momento dell'ascesa rivoluziona-ria, dovesse, nel periodo successivo, sboccare nel pro-cesso generale di tripartizione che, sotto l'urto della real-tà, subí il bolscevismo italiano. Questo processo di tri-partizione corrispose a una maggiore aderenza agli inte-ressi e alla tradizione, secondo le linee di minor resi-stenza che, nel seno stesso dell'immaturità socialista, si

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determinarono.Infatti, mentre il frazionamento unitario e comunista

corrispose a un processo di adesione alla realtà econo-mica e politica del paese, il permanere del massimali-smo dimostrò ancora una volta quale forza abbia, anchenel campo rivoluzionario, la tradizione.

Il socialismo unitario e la monarchia socialista.Queste origini chiariscono sufficientemente la fisio-

nomia del Partito socialista unitario, rimasto alla conce-zione della monarchia socialista, anzi deciso quanto maia piú strettamente aderirvi per garantire gli interessi chegli erano stati affidati.

Era nella stessa logica del movimento – e piú ancoralo sarà per il futuro – la tendenza a abbandonare le posi-zioni formali per la difesa di quelle sostanziali, a sacrifi-care il marxismo rivoluzionario al democraticismo con-servatore, per sforzarsi di essere il partito delle realizza-zioni immediate piuttosto che l'elaboratore dei futuri or-dini sociali.

Tutto ciò era, dunque, nell'ordine naturale delle cose,perché, se è possibile prospettarsi come l'organo dellesoluzioni avvenire pur essendo strumento di difesa degliinteressi presenti, non è possibile continuare nel giuoco,quando questi interessi siano minacciati e la loro difesadev'essere compiuta a viso aperto.

In tal caso si rende necessario far funzionare l'istintoconservatore a discapito delle giustificazioni rivoluzio-

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determinarono.Infatti, mentre il frazionamento unitario e comunista

corrispose a un processo di adesione alla realtà econo-mica e politica del paese, il permanere del massimali-smo dimostrò ancora una volta quale forza abbia, anchenel campo rivoluzionario, la tradizione.

Il socialismo unitario e la monarchia socialista.Queste origini chiariscono sufficientemente la fisio-

nomia del Partito socialista unitario, rimasto alla conce-zione della monarchia socialista, anzi deciso quanto maia piú strettamente aderirvi per garantire gli interessi chegli erano stati affidati.

Era nella stessa logica del movimento – e piú ancoralo sarà per il futuro – la tendenza a abbandonare le posi-zioni formali per la difesa di quelle sostanziali, a sacrifi-care il marxismo rivoluzionario al democraticismo con-servatore, per sforzarsi di essere il partito delle realizza-zioni immediate piuttosto che l'elaboratore dei futuri or-dini sociali.

Tutto ciò era, dunque, nell'ordine naturale delle cose,perché, se è possibile prospettarsi come l'organo dellesoluzioni avvenire pur essendo strumento di difesa degliinteressi presenti, non è possibile continuare nel giuoco,quando questi interessi siano minacciati e la loro difesadev'essere compiuta a viso aperto.

In tal caso si rende necessario far funzionare l'istintoconservatore a discapito delle giustificazioni rivoluzio-

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narie e aderire anche in sede politica alla realtà econo-mica.

Ecco perché, dopo infinito tentennare, Filippo Turatinel 1922 salí per la prima volta le scale del Quirinale.L'esempio non poteva essere piú probante.

Sotto l'urto della rivoluzione che, aggirato lo scogliobolscevico, si rovesciava nell'alveo fascista, il sociali-smo di destra fu costretto a compiere un gesto politico –cui per il passato si era costantemente rifiutato per pre-giudizi formali – nella speranza di allontanare il colpodi Stato imminente, non comprendendo che era già de-terminata dalla stessa logica della conquista regia l'ade-sione al fascismo, nel momento stesso in cui quest'ulti-mo si affermava come movimento di rivoluzione vitto-riosa.

Una maggiore incomprensione della realtà italiana,pur attraverso la perfetta sensibilità dei propri interessi,l'unitarismo turatiano non avrebbe potuto dimostrare.Ma il passo ormai era dato, e, poiché la classe dirigenteitaliana accentuava i ritorni reazionari, distruggendoquella legalità che essa stessa aveva creato, il socialismounitario, pur vedendo fallire i suoi propositi collabora-zionisti, ottenne dalla situazione politica nazionale il co-modo beneficio di potere unificare la sua politica senzapatenti scoperture.

Poté cioè gradatamente assumere la difesa di quelparlamento e di quella democrazia, costituenti gli organidel suo dominio prebellico, in cui prima di allora nonaveva potuto o voluto collaborare per pregiudizi dema-

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narie e aderire anche in sede politica alla realtà econo-mica.

Ecco perché, dopo infinito tentennare, Filippo Turatinel 1922 salí per la prima volta le scale del Quirinale.L'esempio non poteva essere piú probante.

Sotto l'urto della rivoluzione che, aggirato lo scogliobolscevico, si rovesciava nell'alveo fascista, il sociali-smo di destra fu costretto a compiere un gesto politico –cui per il passato si era costantemente rifiutato per pre-giudizi formali – nella speranza di allontanare il colpodi Stato imminente, non comprendendo che era già de-terminata dalla stessa logica della conquista regia l'ade-sione al fascismo, nel momento stesso in cui quest'ulti-mo si affermava come movimento di rivoluzione vitto-riosa.

Una maggiore incomprensione della realtà italiana,pur attraverso la perfetta sensibilità dei propri interessi,l'unitarismo turatiano non avrebbe potuto dimostrare.Ma il passo ormai era dato, e, poiché la classe dirigenteitaliana accentuava i ritorni reazionari, distruggendoquella legalità che essa stessa aveva creato, il socialismounitario, pur vedendo fallire i suoi propositi collabora-zionisti, ottenne dalla situazione politica nazionale il co-modo beneficio di potere unificare la sua politica senzapatenti scoperture.

Poté cioè gradatamente assumere la difesa di quelparlamento e di quella democrazia, costituenti gli organidel suo dominio prebellico, in cui prima di allora nonaveva potuto o voluto collaborare per pregiudizi dema-

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gogici, senza essere costretto a abbandonare quel terre-no di opposizione su cui aveva fatto le sue fortune.

In altri termini il fascismo, con la sua azione obbli-gante, permise al socialismo unitario di svolgere il temadella collaborazione con le democrazie borghesi sul ter-reno dell'opposizione, piuttosto che sul terreno del go-verno, senza essere costretto a abbandonare il suo carat-tere di futura riserva della monarchia socialista.

Saldatura con l'amendolismo e assorbimento dei ceti medi.

Sotto questa spinta il socialismo unitario va semprepiú diluendo la sua caratteristica formazione operaia perdivenire un partito di ceti medi.

Esso divide con l'opposizione costituzionale il compi-to di organizzare l'antifascismo della piccola borghesia ecosí si pone in prima linea nel cartello delle sinistre perla successione al potere.

Con l'opposizione costituzionale e i popolari il socia-lismo unitario è già pronto a formare quel ministero disinistra, per cui Filippo Turati nel 1922 salí invano lescale del Quirinale.

Il fascismo, perciò, dovrebb'essere una parentesi oltrela quale l'unitarismo è pronto a riannodare quelle filache l'agitazione bolscevica prima e il colpo di Stato fa-scista poi gli hanno spezzate nelle mani.

Nessun altro insegnamento questi due anni di passio-ne avrebbero fornito al popolo italiano, per cui al di so-

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gogici, senza essere costretto a abbandonare quel terre-no di opposizione su cui aveva fatto le sue fortune.

In altri termini il fascismo, con la sua azione obbli-gante, permise al socialismo unitario di svolgere il temadella collaborazione con le democrazie borghesi sul ter-reno dell'opposizione, piuttosto che sul terreno del go-verno, senza essere costretto a abbandonare il suo carat-tere di futura riserva della monarchia socialista.

Saldatura con l'amendolismo e assorbimento dei ceti medi.

Sotto questa spinta il socialismo unitario va semprepiú diluendo la sua caratteristica formazione operaia perdivenire un partito di ceti medi.

Esso divide con l'opposizione costituzionale il compi-to di organizzare l'antifascismo della piccola borghesia ecosí si pone in prima linea nel cartello delle sinistre perla successione al potere.

Con l'opposizione costituzionale e i popolari il socia-lismo unitario è già pronto a formare quel ministero disinistra, per cui Filippo Turati nel 1922 salí invano lescale del Quirinale.

Il fascismo, perciò, dovrebb'essere una parentesi oltrela quale l'unitarismo è pronto a riannodare quelle filache l'agitazione bolscevica prima e il colpo di Stato fa-scista poi gli hanno spezzate nelle mani.

Nessun altro insegnamento questi due anni di passio-ne avrebbero fornito al popolo italiano, per cui al di so-

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pra di ogni considerazione ideale e materiale si potrebbefacilmente tornare a quel sistema di protezionismo indu-striale e di socialismo di Stato, che trovò nel giolittismoil suo capolavoro.

Se il fascismo è stato l'esasperazione parossisticadell'unitarismo italiano e del prepotere incontrastato del-la conquista regia, il socialismo unitario non ha difficol-tà a aderire a una formazione politica che sia soltantoun'attenuazione del fenomeno.

Ecco perché il suo accostamento all'opposizione co-stituzionale si fa sempre piú intimo: scompaiono lenta-mente quelle poche differenze che potrebbero disturbarel'unità dell'azione e l'unitarismo socialista aderisce sem-pre piú al giuoco conservatore dell'on. Amendola e del«Corriere della Sera».

Lo spettro illiberale della monarchia socialista riappa-re all'orizzonte come un porto sicuro in cui ripararedopo tanta tempesta.

Il socialismo unitario e la questione meridionale.La questione meridionale è ancora di là da venire e la

saldatura col Mezzogiorno è lasciata quasi interamentealla opposizione costituzionale e ai demosociali, le cuirispettive posizioni abbiamo già analizzato.

Vi sono, sí, alcuni gruppi tesserati, specialmente nellaCampania, ma essi là dove non rientrano nel clima ge-nerale del protezionismo industriale e del socialismo diStato, e perciò si riannodano a indirizzi politici pretta-

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pra di ogni considerazione ideale e materiale si potrebbefacilmente tornare a quel sistema di protezionismo indu-striale e di socialismo di Stato, che trovò nel giolittismoil suo capolavoro.

Se il fascismo è stato l'esasperazione parossisticadell'unitarismo italiano e del prepotere incontrastato del-la conquista regia, il socialismo unitario non ha difficol-tà a aderire a una formazione politica che sia soltantoun'attenuazione del fenomeno.

Ecco perché il suo accostamento all'opposizione co-stituzionale si fa sempre piú intimo: scompaiono lenta-mente quelle poche differenze che potrebbero disturbarel'unità dell'azione e l'unitarismo socialista aderisce sem-pre piú al giuoco conservatore dell'on. Amendola e del«Corriere della Sera».

Lo spettro illiberale della monarchia socialista riappa-re all'orizzonte come un porto sicuro in cui ripararedopo tanta tempesta.

Il socialismo unitario e la questione meridionale.La questione meridionale è ancora di là da venire e la

saldatura col Mezzogiorno è lasciata quasi interamentealla opposizione costituzionale e ai demosociali, le cuirispettive posizioni abbiamo già analizzato.

Vi sono, sí, alcuni gruppi tesserati, specialmente nellaCampania, ma essi là dove non rientrano nel clima ge-nerale del protezionismo industriale e del socialismo diStato, e perciò si riannodano a indirizzi politici pretta-

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mente nordici, corrispondono, invece, al clima specialedel Mezzogiorno delle simpatie personali se non dellecamarille locali. Insomma pur quando si esce dal quadrodello Stato unitario non si superano i dati storici dellaquestione meridionale.

Questa posizione rispetto al problema del Mezzogior-no, che è poi il problema italiano per eccellenza, chiari-sce perché l'unitarismo socialista si sente estraneo al tur-binoso tentativo di affioramento dei rurali, che si va len-tamente producendo nelle viscere della storia contempo-ranea. Anzi, poiché questo affioramento è potenzial-mente il piú radicale tentativo di attacco al sistema dellamonarchia socialista, cui tende con rinnovate energiel'unitarismo socialista, la posizione di questa correntenazionale è destinata a passare sempre piú dall'indiffe-renza sospettosa alla guerra dichiarata. Salvo il caso cheil socialismo unitario non voglia abbandonare alla lorosorte le categorie collegate al protezionismo, negandocosí una delle piú peculiari sue caratteristiche.

Ma questo caso sarebbe cosí rivoluzionario rispetto alsistema che la dottrina non si rifiuterebbe di prenderloin esame.

Per ora le rispettive posizioni politiche sono quelle danoi tratteggiate e il Partito socialista unitario potrà avereun giuoco assai favorevole nel tentativo di creare un go-verno di sinistra, che assicuri finalmente i progressi eco-nomici delle democrazie operaie del Nord, ma non hanessuna carta da giocare sul terreno maggiore della rico-struzione nazionale.

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mente nordici, corrispondono, invece, al clima specialedel Mezzogiorno delle simpatie personali se non dellecamarille locali. Insomma pur quando si esce dal quadrodello Stato unitario non si superano i dati storici dellaquestione meridionale.

Questa posizione rispetto al problema del Mezzogior-no, che è poi il problema italiano per eccellenza, chiari-sce perché l'unitarismo socialista si sente estraneo al tur-binoso tentativo di affioramento dei rurali, che si va len-tamente producendo nelle viscere della storia contempo-ranea. Anzi, poiché questo affioramento è potenzial-mente il piú radicale tentativo di attacco al sistema dellamonarchia socialista, cui tende con rinnovate energiel'unitarismo socialista, la posizione di questa correntenazionale è destinata a passare sempre piú dall'indiffe-renza sospettosa alla guerra dichiarata. Salvo il caso cheil socialismo unitario non voglia abbandonare alla lorosorte le categorie collegate al protezionismo, negandocosí una delle piú peculiari sue caratteristiche.

Ma questo caso sarebbe cosí rivoluzionario rispetto alsistema che la dottrina non si rifiuterebbe di prenderloin esame.

Per ora le rispettive posizioni politiche sono quelle danoi tratteggiate e il Partito socialista unitario potrà avereun giuoco assai favorevole nel tentativo di creare un go-verno di sinistra, che assicuri finalmente i progressi eco-nomici delle democrazie operaie del Nord, ma non hanessuna carta da giocare sul terreno maggiore della rico-struzione nazionale.

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Esso è un partito che si è servito del metodo liberaleper far aderire allo Stato alcune categorie, ma è un parti-to illiberale nello spirito appunto perché non eccedegl'interessi di tali categorie.

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Esso è un partito che si è servito del metodo liberaleper far aderire allo Stato alcune categorie, ma è un parti-to illiberale nello spirito appunto perché non eccedegl'interessi di tali categorie.

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I socialisti massimalisti

Centrismo serratiano e massimalismo. Scarsa vitali-tà del fenomeno.

L'equivoco del centrismo serratiano, che noi abbiamorilevato nella precedente trattazione, continua la sua ste-rile vita in questo partito, dopo l'espressa adesione delsuo iniziatore al comunismo.

Continua piú per ragioni di fredda meccanicità, perimpulso di tradizione inerte, che per un vero apporto diforze ideali, e l'inutilità politica della sua esistenza appa-re piú lampante allorché si rifletta che la funzione cen-trista poteva essere indispensabile durante l'inflazionebolscevica allo scopo di evitare il frazionamento delpartito, ma non ha alcuna utilità oggi che il fraziona-mento è avvenuto e che le due correnti laterali vannosempre piú divergendo dalle posizioni primitive.

In queste circostanze di tempo e di fatti voler insistere

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I socialisti massimalisti

Centrismo serratiano e massimalismo. Scarsa vitali-tà del fenomeno.

L'equivoco del centrismo serratiano, che noi abbiamorilevato nella precedente trattazione, continua la sua ste-rile vita in questo partito, dopo l'espressa adesione delsuo iniziatore al comunismo.

Continua piú per ragioni di fredda meccanicità, perimpulso di tradizione inerte, che per un vero apporto diforze ideali, e l'inutilità politica della sua esistenza appa-re piú lampante allorché si rifletta che la funzione cen-trista poteva essere indispensabile durante l'inflazionebolscevica allo scopo di evitare il frazionamento delpartito, ma non ha alcuna utilità oggi che il fraziona-mento è avvenuto e che le due correnti laterali vannosempre piú divergendo dalle posizioni primitive.

In queste circostanze di tempo e di fatti voler insistere

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nell'elevare a giustificazione dell'esistenza di un partitovivo una posizione tattica di un partito morto, significadar prova di tale incomprensione del momento storicoda giustificare gli apprezzamenti piú radicali.

Queste considerazioni appaiono tanto piú evidentiquando si analizza la struttura del partito sia alla streguadei principi teorici generali, sia delle peculiari esigenzedella questione italiana.

Alla stregua dei principi teorici generali, mentre ilmassimalismo non eccede la concezione democraticadegli unitari, vuole a ogni costo mantenere in vita quelmito insurrezionale verbale, che fu peculiare caratteristi-ca del vecchio Partito socialista e che tuttora trova pla-stica espressione nella prosa blanquista dell'«Avanti!».Sotto questo profilo la teoria fondamentale del massi-malismo si riduce all'illusione ottica di poter con pureproiezioni verbali di carattere insurrezionale eccederel'intimo contenuto democratico che lo assimila agli uni-tari, e impedire la precipitazione delle masse organizza-te verso costoro.

È necessaria, perciò, un'ulteriore chiarificazionenell'impostazione politica del partito, dopo la quale, noicrediamo, il massimalismo dovrebbe scindersi per libe-rare le sue forze verso l'attrazione unitaria o comunista.

Ma se, contro la nostra previsione, dopo tale revisionedovesse residuare una ragione specifica di esistenza delpartito, nessuna miglior occasione per dimostrarel'inconsistenza delle critiche.

Alla stregua delle peculiari esigenze della questione

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nell'elevare a giustificazione dell'esistenza di un partitovivo una posizione tattica di un partito morto, significadar prova di tale incomprensione del momento storicoda giustificare gli apprezzamenti piú radicali.

Queste considerazioni appaiono tanto piú evidentiquando si analizza la struttura del partito sia alla streguadei principi teorici generali, sia delle peculiari esigenzedella questione italiana.

Alla stregua dei principi teorici generali, mentre ilmassimalismo non eccede la concezione democraticadegli unitari, vuole a ogni costo mantenere in vita quelmito insurrezionale verbale, che fu peculiare caratteristi-ca del vecchio Partito socialista e che tuttora trova pla-stica espressione nella prosa blanquista dell'«Avanti!».Sotto questo profilo la teoria fondamentale del massi-malismo si riduce all'illusione ottica di poter con pureproiezioni verbali di carattere insurrezionale eccederel'intimo contenuto democratico che lo assimila agli uni-tari, e impedire la precipitazione delle masse organizza-te verso costoro.

È necessaria, perciò, un'ulteriore chiarificazionenell'impostazione politica del partito, dopo la quale, noicrediamo, il massimalismo dovrebbe scindersi per libe-rare le sue forze verso l'attrazione unitaria o comunista.

Ma se, contro la nostra previsione, dopo tale revisionedovesse residuare una ragione specifica di esistenza delpartito, nessuna miglior occasione per dimostrarel'inconsistenza delle critiche.

Alla stregua delle peculiari esigenze della questione

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italiana il massimalismo, rappresentando un relittodell'inflazione bolscevica, è sempre assai distante daquelle direttive di chiarificazione, che s'impongono allarivoluzione nazionale, sia perché, in definitiva, cercaidentificare la sua azione politica con interessi operai, dicui non è chiaramente definito se aderiscano al sistemaprotezionista e intervenzionista esistente, sia perché conil mito insurrezionista perpetua l'equivoco fondamentaledella politica italiana di impedire il raggruppamento de-gli interessi conservatori in organi con fisionomia distin-ta. Sotto questo profilo anzi si può affermare, senzatema di dire un paradosso, che il Partito socialista unita-rio rappresenta già un piccolo, ma sensibile progressoverso questa prima fase di chiarificazione, dialettica-mente necessaria per ottenere una maggiore coscienzadegli interessi e delle posizioni politiche in giuoco, eperciò, corrisponde a una fase píú liberale della rivolu-zione italiana.

Riassumendo, quindi, noi riteniamo che il Partitomassimalista abbia un giuoco assai limitato come fer-mento attivo della ricostruzione e le sue direttive politi-che si muovono contro lo svolgimento dialettico dellacrisi nazionale.

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italiana il massimalismo, rappresentando un relittodell'inflazione bolscevica, è sempre assai distante daquelle direttive di chiarificazione, che s'impongono allarivoluzione nazionale, sia perché, in definitiva, cercaidentificare la sua azione politica con interessi operai, dicui non è chiaramente definito se aderiscano al sistemaprotezionista e intervenzionista esistente, sia perché conil mito insurrezionista perpetua l'equivoco fondamentaledella politica italiana di impedire il raggruppamento de-gli interessi conservatori in organi con fisionomia distin-ta. Sotto questo profilo anzi si può affermare, senzatema di dire un paradosso, che il Partito socialista unita-rio rappresenta già un piccolo, ma sensibile progressoverso questa prima fase di chiarificazione, dialettica-mente necessaria per ottenere una maggiore coscienzadegli interessi e delle posizioni politiche in giuoco, eperciò, corrisponde a una fase píú liberale della rivolu-zione italiana.

Riassumendo, quindi, noi riteniamo che il Partitomassimalista abbia un giuoco assai limitato come fer-mento attivo della ricostruzione e le sue direttive politi-che si muovono contro lo svolgimento dialettico dellacrisi nazionale.

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I comunisti

Le critiche al socialismo italiano e i consigli di fab-brica.

La storia del giovane Partito comunista è in buonaparte la storia di un processo critico-politico, iniziatosiparallelamente al nascere del fascismo, che non è desti-nato a esaurirsi cosí presto.

Abbiamo esaminato altrove il carattere peculiaredell'inflazione bolscevica nell'immediato dopoguerra eabbiamo dimostrato come essa corrispondesse a un par-ticolare momento della vita italiana, in cui le masse nonavendo ancora acquistato coscienza della posizione poli-tica del partito venivano a proiettarsi in pieno regimed'immaturità.

Questo regime fu transitorio perché non era possibileche assai a lungo frazioni veramente rivoluzionarie ri-manessero legate alla conservazione della monarchia so-

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I comunisti

Le critiche al socialismo italiano e i consigli di fab-brica.

La storia del giovane Partito comunista è in buonaparte la storia di un processo critico-politico, iniziatosiparallelamente al nascere del fascismo, che non è desti-nato a esaurirsi cosí presto.

Abbiamo esaminato altrove il carattere peculiaredell'inflazione bolscevica nell'immediato dopoguerra eabbiamo dimostrato come essa corrispondesse a un par-ticolare momento della vita italiana, in cui le masse nonavendo ancora acquistato coscienza della posizione poli-tica del partito venivano a proiettarsi in pieno regimed'immaturità.

Questo regime fu transitorio perché non era possibileche assai a lungo frazioni veramente rivoluzionarie ri-manessero legate alla conservazione della monarchia so-

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cialista.La falsa posizione del PSI doveva necessariamente

portare alla creazione di dottrine rivoluzionarie, che, at-traverso la critica del partito, giungessero a percepire ladialettica di tutto il problema italiano.

Senza voler seguire la storia dei congressi e le vicen-de della polemica socialista, che si scatenò furiosaall'indomani del fallimento bolscevico, e cercando di at-tenerci quanto piú possibile allo schema delle idee inlotta, ci sembra che il primo tentativo di accostarsi allarealtà rivoluzionaria del paese fu quello espletato dalgruppo torinese dell'«Ordine Nuovo», per creare i consi-gli di fabbrica. Di fronte al tipo di organizzazione sinda-cale prevalso in Italia, diretto allo scopo di garantireall'operaio sempre maggiori aumenti di salario, lascian-do intatta la forma di produzione capitalistica; di fronte,cioè, alla rinunzia implicita dell'operaio a affacciare lemaggiori pretese sociali sui mezzi di produzione in cam-bio del piatto di lenticchie degli aumenti di salario – ne-cessariamente negati quando l'andamento del mercatomettesse in pericolo il profitto capitalistico – i comunistiintuirono che il fallimento delle dottrine rivoluzionariein Italia era sempre avvenuto per effetto del legame diinteressi che si stabiliva nella prassi riformista tra indu-striali e operai.

Conseguentemente il comunismo era portato a studia-re il modo con cui poter rompere questa solidarietàd'interessi che, pur attraverso la parvenza della lotta, sicreava fra le due classi rivali.

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cialista.La falsa posizione del PSI doveva necessariamente

portare alla creazione di dottrine rivoluzionarie, che, at-traverso la critica del partito, giungessero a percepire ladialettica di tutto il problema italiano.

Senza voler seguire la storia dei congressi e le vicen-de della polemica socialista, che si scatenò furiosaall'indomani del fallimento bolscevico, e cercando di at-tenerci quanto piú possibile allo schema delle idee inlotta, ci sembra che il primo tentativo di accostarsi allarealtà rivoluzionaria del paese fu quello espletato dalgruppo torinese dell'«Ordine Nuovo», per creare i consi-gli di fabbrica. Di fronte al tipo di organizzazione sinda-cale prevalso in Italia, diretto allo scopo di garantireall'operaio sempre maggiori aumenti di salario, lascian-do intatta la forma di produzione capitalistica; di fronte,cioè, alla rinunzia implicita dell'operaio a affacciare lemaggiori pretese sociali sui mezzi di produzione in cam-bio del piatto di lenticchie degli aumenti di salario – ne-cessariamente negati quando l'andamento del mercatomettesse in pericolo il profitto capitalistico – i comunistiintuirono che il fallimento delle dottrine rivoluzionariein Italia era sempre avvenuto per effetto del legame diinteressi che si stabiliva nella prassi riformista tra indu-striali e operai.

Conseguentemente il comunismo era portato a studia-re il modo con cui poter rompere questa solidarietàd'interessi che, pur attraverso la parvenza della lotta, sicreava fra le due classi rivali.

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Fu allora che gli scrittori dell'«Ordine Nuovo», riela-borando per proprio conto la dottrina marxista, ebberola intuizione che la preparazione rivoluzionaria dell'ope-raio dovesse farsi nella fabbrica, nel vivo stesso del pro-cesso di produzione, di cui occorreva, prima di ogni al-tra cosa, impadronirsi psicologicamente, se poi si volevamaterialmente gestirlo.

Questa intuizione portava logicamente a preferire, frai sistemi di organizzazione operaia, gli organismi di in-terferenza e controllo nei processi piú delicati della pro-duzione, ai mezzi di lotta per gli aumenti di salari; por-tava a elaborare teoricamente i consigli di fabbrica intesiappunto come palestre di addestramento operaio al pos-sesso di tutti gli organismi dello sviluppo della produ-zione.

Gli operai avrebbero cosí imparato il funzionamentodelle industrie nella parte piú alta, nel giuoco stesso delcapitalismo, nel meccanismo delicato dell'acquisto dellematerie prime e della ricerca dei mercati di vendita, e,nel momento tragico della palingenesi sociale, avrebbe-ro potuto rapidamente impadronirsi dei meccanismi diproduzione e farli perfettamente funzionare.

Occorreva, dunque, formare la nuova classe dirigentein seno all'antica, e farla poi scoppiare dal bozzolo diformazione al momento opportuno. Io non intendo, per ifini limitati di questo lavoro, prendere a discutere lacoerenza logica di questa concezione, come, del pari,accennare soltanto alle critiche che la sociologia paretia-na rivolge al nocciolo fondamentale della dottrina, ne-

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Fu allora che gli scrittori dell'«Ordine Nuovo», riela-borando per proprio conto la dottrina marxista, ebberola intuizione che la preparazione rivoluzionaria dell'ope-raio dovesse farsi nella fabbrica, nel vivo stesso del pro-cesso di produzione, di cui occorreva, prima di ogni al-tra cosa, impadronirsi psicologicamente, se poi si volevamaterialmente gestirlo.

Questa intuizione portava logicamente a preferire, frai sistemi di organizzazione operaia, gli organismi di in-terferenza e controllo nei processi piú delicati della pro-duzione, ai mezzi di lotta per gli aumenti di salari; por-tava a elaborare teoricamente i consigli di fabbrica intesiappunto come palestre di addestramento operaio al pos-sesso di tutti gli organismi dello sviluppo della produ-zione.

Gli operai avrebbero cosí imparato il funzionamentodelle industrie nella parte piú alta, nel giuoco stesso delcapitalismo, nel meccanismo delicato dell'acquisto dellematerie prime e della ricerca dei mercati di vendita, e,nel momento tragico della palingenesi sociale, avrebbe-ro potuto rapidamente impadronirsi dei meccanismi diproduzione e farli perfettamente funzionare.

Occorreva, dunque, formare la nuova classe dirigentein seno all'antica, e farla poi scoppiare dal bozzolo diformazione al momento opportuno. Io non intendo, per ifini limitati di questo lavoro, prendere a discutere lacoerenza logica di questa concezione, come, del pari,accennare soltanto alle critiche che la sociologia paretia-na rivolge al nocciolo fondamentale della dottrina, ne-

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gando che il proletariato, che è uno dei termini dell'anti-tesi attuale, possa riuscire a prevalere e a determinare lanuova fase economico-sociale, ma credo coerenteall'argomento che ci occupa rilevare che la dottrinadell'«Ordine Nuovo» rappresenta un grande progressonel campo della revisione socialista verso la ulterioreprecisazione del problema italiano.

Mercé questa dottrina, per la prima volta l'estremismosocialista abbandona il rivoluzionarismo verbale e ilblanquismo integrale, che era divenuto tradizionale tra irivoluzionari italiani, e si afferma su problemi concretidi cui vuole superare logicamente le difficoltà.

Quindi non piú voli fantastici e cadute irreparabili,ma un lungo periodo di elaborazione pratica delle idee edelle formazioni politiche per mantenersi rivoluziona-riamente aderenti alla realtà economico-sociale del pae-se. Ma se la teoria dei consigli di fabbrica e il marxismointegrale di Gramsci, che ne fu il teorizzatore, costitui-vano un audace tentativo di élite per la presa di possessodi nuove ideologie rivoluzionarie, atte a rovesciare lastasi del movimento operaio italiano, difficilmente pote-vano lottare sul terreno pratico con il riformismo sinda-cale della Confederazione generale del lavoro. Tra unapresa di possesso puramente spirituale e i sicuri vantag-gi degli aumenti di salario, la maggioranza degli operaiitaliani sceglieva questi ultimi, dimostrando cosí di ade-rire piú alla prassi del determinismo economico che è labase del riformismo, che all'idealismo marxista, cuiclassicamente il Gramsci si richiamava.

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gando che il proletariato, che è uno dei termini dell'anti-tesi attuale, possa riuscire a prevalere e a determinare lanuova fase economico-sociale, ma credo coerenteall'argomento che ci occupa rilevare che la dottrinadell'«Ordine Nuovo» rappresenta un grande progressonel campo della revisione socialista verso la ulterioreprecisazione del problema italiano.

Mercé questa dottrina, per la prima volta l'estremismosocialista abbandona il rivoluzionarismo verbale e ilblanquismo integrale, che era divenuto tradizionale tra irivoluzionari italiani, e si afferma su problemi concretidi cui vuole superare logicamente le difficoltà.

Quindi non piú voli fantastici e cadute irreparabili,ma un lungo periodo di elaborazione pratica delle idee edelle formazioni politiche per mantenersi rivoluziona-riamente aderenti alla realtà economico-sociale del pae-se. Ma se la teoria dei consigli di fabbrica e il marxismointegrale di Gramsci, che ne fu il teorizzatore, costitui-vano un audace tentativo di élite per la presa di possessodi nuove ideologie rivoluzionarie, atte a rovesciare lastasi del movimento operaio italiano, difficilmente pote-vano lottare sul terreno pratico con il riformismo sinda-cale della Confederazione generale del lavoro. Tra unapresa di possesso puramente spirituale e i sicuri vantag-gi degli aumenti di salario, la maggioranza degli operaiitaliani sceglieva questi ultimi, dimostrando cosí di ade-rire piú alla prassi del determinismo economico che è labase del riformismo, che all'idealismo marxista, cuiclassicamente il Gramsci si richiamava.

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La realtà italiana veniva pertanto nuovamente saggia-ta, ma non interamente afferrata; anzi il comunismo sirendeva finalmente conto che la grande maggioranzadelle organizzazioni operaie era legata al sistema prote-zionista e non ne poteva essere disimpegnata se non di-struggendo il protezionismo stesso.

Ponendosi, quindi, questo problema il comunismo ar-rivava finalmente alla radice stessa della questione ita-liana, si convinceva della necessità urgente, anche senon confessata, di distruggere lo Stato burocratico-accentratore, che in Italia rappresenta, in maniera pal-mare, la cristallizzazione degli interessi parassitari co-muni a tutti i ceti sociali.

La rivoluzione rurale e la questione meridionale.Ma in Italia lo Stato burocratico-accentratore non si

può distruggere se non facendo leva sugli interessi as-senti, sulle classi ancora da maturare, sui ceti rurali.

È questa la grande riserva italiana, la falange che di-struggerà il trasformismo, le dittature personali e il pre-potere della burocrazia; è questa la grande riserva uma-na oppressa e perciò potenzialmente rivoluzionaria.Cosí il comunismo, nato fenomeno urbano, ha compresodi dover divenire fenomeno rurale; nato dalla industriaha dovuto chiedere presidio all'agricoltura.

I passi di questa marcia sono assai significativi.Dapprima sotto la spinta dell'esempio russo, che di

giorno in giorno si chiarisce sempre piú impregnato di

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La realtà italiana veniva pertanto nuovamente saggia-ta, ma non interamente afferrata; anzi il comunismo sirendeva finalmente conto che la grande maggioranzadelle organizzazioni operaie era legata al sistema prote-zionista e non ne poteva essere disimpegnata se non di-struggendo il protezionismo stesso.

Ponendosi, quindi, questo problema il comunismo ar-rivava finalmente alla radice stessa della questione ita-liana, si convinceva della necessità urgente, anche senon confessata, di distruggere lo Stato burocratico-accentratore, che in Italia rappresenta, in maniera pal-mare, la cristallizzazione degli interessi parassitari co-muni a tutti i ceti sociali.

La rivoluzione rurale e la questione meridionale.Ma in Italia lo Stato burocratico-accentratore non si

può distruggere se non facendo leva sugli interessi as-senti, sulle classi ancora da maturare, sui ceti rurali.

È questa la grande riserva italiana, la falange che di-struggerà il trasformismo, le dittature personali e il pre-potere della burocrazia; è questa la grande riserva uma-na oppressa e perciò potenzialmente rivoluzionaria.Cosí il comunismo, nato fenomeno urbano, ha compresodi dover divenire fenomeno rurale; nato dalla industriaha dovuto chiedere presidio all'agricoltura.

I passi di questa marcia sono assai significativi.Dapprima sotto la spinta dell'esempio russo, che di

giorno in giorno si chiarisce sempre piú impregnato di

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ruralità, poi sotto la pressione del fascismo, le cui fortu-ne nascono prima che altrove nelle campagne, e ivi soc-comberanno, infine, seguendo un movimento generaleeuropeo che gl'inglesi chiamano green rising, movimen-to verde, e che già in taluni paesi si afferma vittoriosa-mente contro lo Stato burocratico-accentratore, il comu-nismo italiano si viene allontanando dalla rigida conce-zione marxista per avvicinarsi al leninismo piú puro.Esso non soltanto teorizza la rivoluzione italiana comeuna rivoluzione contadina, ma con la prassi organizzati-va cerca di adeguarsi a questa necessità nazionale.

Molti errori del vecchio socialismo italiano, che te-meva a parole la rivoluzione piccolo borghese mentre larappresentava nei fatti e si affannava in conseguenza apartire in guerra contro l'istituto della piccola proprietà,vengono corretti, con il chiaro proposito di abbandonarei pregiudizi formali, che nella realtà italiana si possonosenz'altro definire reazionari, e di sboccare in forme diorganizzazione collettiva veramente rivoluzionarie.

Si legge, infatti, nelle istruzioni emanate dal PCI:

Non è possibile pensare che gli operai del nord d'Italia possanocondurre vittoriosamente la lotta per il potere politico e mantener-ne domani il possesso, se una stretta alleanza essi non attuino coilarghi strati della popolazione contadina del Centro e del Mezzo-giorno d'Italia. Questa alleanza è una premessa alla messa inmoto della classe lavoratrice d'Italia contro la borghesia.

La dichiarata impotenza delle élite operaie del Nord arisolvere da sole il problema italiano, porta finalmente il

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ruralità, poi sotto la pressione del fascismo, le cui fortu-ne nascono prima che altrove nelle campagne, e ivi soc-comberanno, infine, seguendo un movimento generaleeuropeo che gl'inglesi chiamano green rising, movimen-to verde, e che già in taluni paesi si afferma vittoriosa-mente contro lo Stato burocratico-accentratore, il comu-nismo italiano si viene allontanando dalla rigida conce-zione marxista per avvicinarsi al leninismo piú puro.Esso non soltanto teorizza la rivoluzione italiana comeuna rivoluzione contadina, ma con la prassi organizzati-va cerca di adeguarsi a questa necessità nazionale.

Molti errori del vecchio socialismo italiano, che te-meva a parole la rivoluzione piccolo borghese mentre larappresentava nei fatti e si affannava in conseguenza apartire in guerra contro l'istituto della piccola proprietà,vengono corretti, con il chiaro proposito di abbandonarei pregiudizi formali, che nella realtà italiana si possonosenz'altro definire reazionari, e di sboccare in forme diorganizzazione collettiva veramente rivoluzionarie.

Si legge, infatti, nelle istruzioni emanate dal PCI:

Non è possibile pensare che gli operai del nord d'Italia possanocondurre vittoriosamente la lotta per il potere politico e mantener-ne domani il possesso, se una stretta alleanza essi non attuino coilarghi strati della popolazione contadina del Centro e del Mezzo-giorno d'Italia. Questa alleanza è una premessa alla messa inmoto della classe lavoratrice d'Italia contro la borghesia.

La dichiarata impotenza delle élite operaie del Nord arisolvere da sole il problema italiano, porta finalmente il

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comunismo a studiare la questione meridionale, e affer-rare attraverso quali meccanismi la politica dello Statoitaliano opprime le popolazioni lavoratrici del Sud. Arri-vato a questo punto al giovane partito non resta checompiere un ultimo passo: intuire cioè che, appunto per-ché tutto il problema rivoluzionario italiano consistenella soluzione della questione meridionale, è nel Mez-zogiorno che risiedono le vere forze rivoluzionarie d'Ita-lia. Sembrerà un paradosso, ma è cosí: sono le forze cheoggi costituiscono l'oggetto del baratto trasformisticoche, divenendo finalmente soggetto dell'azione politica,sono destinate a rappresentare la leva potente della rivo-luzione in marcia.

Gli sforzi rivoluzionari postbellici di talune frazionidel popolo italiano, falliti per l'assenza delle masse me-ridionali, avranno coronamento solo quando l'epicentrodella rivoluzione sarà portato nel Sud.

Il comunismo, infatti, non tarda a compierequest'ulteriore passo.

Il programma d'azione [è la parola d'ordine] del partito per laorganizzazione dei contadini in Italia ha inizio nel Mezzogiorno.Tutte le sezioni e le cellule comuniste del Mezzogiorno sono mo-bilitate per il successo del compito preminente che il partito sipropone. Poiché la stragrande maggioranza dei comunisti delMezzogiorno appartengono alle categorie dei contadini poveri,dei piccoli fittavoli, essi debbono formare i quadri della futura or-ganizzazione meridionale dei contadini che dovrà poi creare laFederazione nazionale.

Il congresso nazionale costitutivo della Federazione dei conta-

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comunismo a studiare la questione meridionale, e affer-rare attraverso quali meccanismi la politica dello Statoitaliano opprime le popolazioni lavoratrici del Sud. Arri-vato a questo punto al giovane partito non resta checompiere un ultimo passo: intuire cioè che, appunto per-ché tutto il problema rivoluzionario italiano consistenella soluzione della questione meridionale, è nel Mez-zogiorno che risiedono le vere forze rivoluzionarie d'Ita-lia. Sembrerà un paradosso, ma è cosí: sono le forze cheoggi costituiscono l'oggetto del baratto trasformisticoche, divenendo finalmente soggetto dell'azione politica,sono destinate a rappresentare la leva potente della rivo-luzione in marcia.

Gli sforzi rivoluzionari postbellici di talune frazionidel popolo italiano, falliti per l'assenza delle masse me-ridionali, avranno coronamento solo quando l'epicentrodella rivoluzione sarà portato nel Sud.

Il comunismo, infatti, non tarda a compierequest'ulteriore passo.

Il programma d'azione [è la parola d'ordine] del partito per laorganizzazione dei contadini in Italia ha inizio nel Mezzogiorno.Tutte le sezioni e le cellule comuniste del Mezzogiorno sono mo-bilitate per il successo del compito preminente che il partito sipropone. Poiché la stragrande maggioranza dei comunisti delMezzogiorno appartengono alle categorie dei contadini poveri,dei piccoli fittavoli, essi debbono formare i quadri della futura or-ganizzazione meridionale dei contadini che dovrà poi creare laFederazione nazionale.

Il congresso nazionale costitutivo della Federazione dei conta-

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dini dovrà essere preceduto da un congresso dei contadini delMezzogiorno.

Ecco, dunque, che il PCI è pervenuto finalmente sulvero terreno della questione meridionale, superandol'infinita barriera dei pregiudizi politici.

Il comunismo italiano movimento liberale.Questa marcia impetuosa verso la verità costituisce

indubbiamente una nota di maturità politica cosí potenteda porre il Partito comunista in prima linea tra i movi-menti liberali italiani.

Se è vera la teoria missiroliana che in Italia oggi lafunzione liberale è stata interamente ereditata dai partitisocialisti, questa teoria è tanto piú vera per il comuni-smo che ha avuto il coraggio di una revisione program-matica veramente eccezionale.

Il merito di tale revisione va quasi del tutto attribuitoal Gramsci, che ha saputo mantenere la sua azione poli-tica egualmente distante cosí dalle astrazioni teologichedella sinistra (Bordiga), tanto estremiste da costituirel'estrema sinistra di tutta la Terza internazionale, comedalle simpatie socialiste della destra (Gennari), e ha sa-puto raccogliere la parte essenziale dell'insegnamentoleninista, collegando il programma della rivoluzione ita-liana, al vasto movimento rurale che in tutta Europa af-fiora sempre piú dalle viscere della storia.

Cosí il giovane studioso sardo, dopo essere stato il

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dini dovrà essere preceduto da un congresso dei contadini delMezzogiorno.

Ecco, dunque, che il PCI è pervenuto finalmente sulvero terreno della questione meridionale, superandol'infinita barriera dei pregiudizi politici.

Il comunismo italiano movimento liberale.Questa marcia impetuosa verso la verità costituisce

indubbiamente una nota di maturità politica cosí potenteda porre il Partito comunista in prima linea tra i movi-menti liberali italiani.

Se è vera la teoria missiroliana che in Italia oggi lafunzione liberale è stata interamente ereditata dai partitisocialisti, questa teoria è tanto piú vera per il comuni-smo che ha avuto il coraggio di una revisione program-matica veramente eccezionale.

Il merito di tale revisione va quasi del tutto attribuitoal Gramsci, che ha saputo mantenere la sua azione poli-tica egualmente distante cosí dalle astrazioni teologichedella sinistra (Bordiga), tanto estremiste da costituirel'estrema sinistra di tutta la Terza internazionale, comedalle simpatie socialiste della destra (Gennari), e ha sa-puto raccogliere la parte essenziale dell'insegnamentoleninista, collegando il programma della rivoluzione ita-liana, al vasto movimento rurale che in tutta Europa af-fiora sempre piú dalle viscere della storia.

Cosí il giovane studioso sardo, dopo essere stato il

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primo a ricercare i veri motivi dialettici della crisi italia-na attraverso la teoria dei consigli di fabbrica, è stato ilprimo a scoprire il nocciolo del problema italiano attra-verso lo sviluppo dell'azione agraria.

Partito dal comunismo, non ha avuto difficoltà di per-venire rapidamente sul terreno piú proprio ai movimentiautonomisti, incontrandosi cosí con la prepotente origi-nalità dei suoi conterranei Lussu e Bellieni, teorizzatoridel Partito sardo d'azione.

Questa confluenza non è fortuita e costituisce d'altrocanto la prova che la questione meridionale batte sem-pre piú alle porte. Ruit hora!

Ostacoli alla sua azione.Tuttavia il movimento incontra su questo terreno tre

pregiudiziali che sono destinate a rallentarne l'efficacia.In linea teorica generale, esso trova limitazione nella

concezione base del marxismo critico, permeato profon-damente di sfiducia sulla capacità politica delle classirurali, e affermante che la loro mentalità non eccede iquadri piccolo borghesi.

Questa limitazione è destinata a operare sia dall'inter-no sia dall'esterno e potrà essere scarsamente combattu-ta con l'affermazione – del resto giustissima – che la ri-voluzione rurale, sia o non sia piccolo borghese, è sem-pre una fase necessaria della piú grande rivoluzione pro-letaria.

In sostanza non si riuscirà mai a distruggere all'inter-

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primo a ricercare i veri motivi dialettici della crisi italia-na attraverso la teoria dei consigli di fabbrica, è stato ilprimo a scoprire il nocciolo del problema italiano attra-verso lo sviluppo dell'azione agraria.

Partito dal comunismo, non ha avuto difficoltà di per-venire rapidamente sul terreno piú proprio ai movimentiautonomisti, incontrandosi cosí con la prepotente origi-nalità dei suoi conterranei Lussu e Bellieni, teorizzatoridel Partito sardo d'azione.

Questa confluenza non è fortuita e costituisce d'altrocanto la prova che la questione meridionale batte sem-pre piú alle porte. Ruit hora!

Ostacoli alla sua azione.Tuttavia il movimento incontra su questo terreno tre

pregiudiziali che sono destinate a rallentarne l'efficacia.In linea teorica generale, esso trova limitazione nella

concezione base del marxismo critico, permeato profon-damente di sfiducia sulla capacità politica delle classirurali, e affermante che la loro mentalità non eccede iquadri piccolo borghesi.

Questa limitazione è destinata a operare sia dall'inter-no sia dall'esterno e potrà essere scarsamente combattu-ta con l'affermazione – del resto giustissima – che la ri-voluzione rurale, sia o non sia piccolo borghese, è sem-pre una fase necessaria della piú grande rivoluzione pro-letaria.

In sostanza non si riuscirà mai a distruggere all'inter-

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no delle formazioni comuniste la mentalità messianica,e all'esterno la sfiducia verso un partito che, pur procla-mando la rivoluzione integrale, si limita a sollecitarel'affioramento piccolo borghese.

Sempre in linea generale, ma con particolare riferi-mento alla questione italiana, trova limitazione nellastorica incompatibilità di taluni interessi operai con gliinteressi rurali.

A tale proposito sarà sommamente interessante segui-re l'azione del giovane partito nel campo della politicaeconomica e specialmente nei riguardi degli operai im-piegati nelle industrie protette. È questo il terreno di piúaspra battaglia per i meridionalisti; e certamente i comu-nisti non penseranno di superare le difficoltà, che inevi-tabilmente si presenteranno, mutuando dal vecchio Par-tito socialista la comoda ma reazionaria formuladell'astensione da tali questioni, definite piccolo borghe-si.

La terza e piú grave limitazione sarà segnata dallaprevenzione ostile dei meridionali contro il concettostesso del comunismo.

È vero che il partito ha previsto questo pericolo quan-do ha concepito l'azione della sezione agraria come dicarattere puramente sindacale e non politico, sí da ren-dere possibile l'ingresso anche ai non tesserati comuni-sti; ma è del pari vero che la prevenzione opererà ancoraa lungo, almeno fino a quando le masse meridionali nonperverranno a un piú elevato grado di maturità politica.

Ciò non pertanto il lavoro che il giovane partito potrà

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no delle formazioni comuniste la mentalità messianica,e all'esterno la sfiducia verso un partito che, pur procla-mando la rivoluzione integrale, si limita a sollecitarel'affioramento piccolo borghese.

Sempre in linea generale, ma con particolare riferi-mento alla questione italiana, trova limitazione nellastorica incompatibilità di taluni interessi operai con gliinteressi rurali.

A tale proposito sarà sommamente interessante segui-re l'azione del giovane partito nel campo della politicaeconomica e specialmente nei riguardi degli operai im-piegati nelle industrie protette. È questo il terreno di piúaspra battaglia per i meridionalisti; e certamente i comu-nisti non penseranno di superare le difficoltà, che inevi-tabilmente si presenteranno, mutuando dal vecchio Par-tito socialista la comoda ma reazionaria formuladell'astensione da tali questioni, definite piccolo borghe-si.

La terza e piú grave limitazione sarà segnata dallaprevenzione ostile dei meridionali contro il concettostesso del comunismo.

È vero che il partito ha previsto questo pericolo quan-do ha concepito l'azione della sezione agraria come dicarattere puramente sindacale e non politico, sí da ren-dere possibile l'ingresso anche ai non tesserati comuni-sti; ma è del pari vero che la prevenzione opererà ancoraa lungo, almeno fino a quando le masse meridionali nonperverranno a un piú elevato grado di maturità politica.

Ciò non pertanto il lavoro che il giovane partito potrà

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svolgere in concorrenza con altri partiti liberali sarà no-tevole, perché agevolato dalla profonda rivoluzionarietàche si è determinata nel Mezzogiorno in conseguenzadello sgoverno fascista.

Se questa nostra impressione non è errata, l'unico par-tito che potrà concorrere vittoriosamente su questo ter-reno è quello meridionale d'azione che dovrà fatalmentesorgere. Ma di ciò in altra sede.

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svolgere in concorrenza con altri partiti liberali sarà no-tevole, perché agevolato dalla profonda rivoluzionarietàche si è determinata nel Mezzogiorno in conseguenzadello sgoverno fascista.

Se questa nostra impressione non è errata, l'unico par-tito che potrà concorrere vittoriosamente su questo ter-reno è quello meridionale d'azione che dovrà fatalmentesorgere. Ma di ciò in altra sede.

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I repubblicani

Il Partito repubblicano prima della guerra.La conquista regia sommerse, durante il Risorgimen-

to, tutte le correnti repubblicane, che avevano sognato dirisolvere la lotta per l'indipendenza dallo straniero insie-me a quello per la libertà, e iniziò la distruzione conti-nua e pertinace dei fermenti ideali che pretesero ripro-porre agli italiani come termini di soluzione i dati spiri-tuali dell'unitarismo mazziniano e quelli politici del fe-deralismo di Cattaneo e Ferrari.

Ne derivò, quindi, che mentre la stessa mediocritàdella politica regia rese necessario il permanere dellaprotesta repubblicana, le transazioni per il potere e la so-lidarietà dell'insegnamento mazziniano adeguaronosempre piú questa protesta al livello del regime, di cuiin certi momenti il repubblicanesimo divenne addiritturaun'opposizione di comodo.

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I repubblicani

Il Partito repubblicano prima della guerra.La conquista regia sommerse, durante il Risorgimen-

to, tutte le correnti repubblicane, che avevano sognato dirisolvere la lotta per l'indipendenza dallo straniero insie-me a quello per la libertà, e iniziò la distruzione conti-nua e pertinace dei fermenti ideali che pretesero ripro-porre agli italiani come termini di soluzione i dati spiri-tuali dell'unitarismo mazziniano e quelli politici del fe-deralismo di Cattaneo e Ferrari.

Ne derivò, quindi, che mentre la stessa mediocritàdella politica regia rese necessario il permanere dellaprotesta repubblicana, le transazioni per il potere e la so-lidarietà dell'insegnamento mazziniano adeguaronosempre piú questa protesta al livello del regime, di cuiin certi momenti il repubblicanesimo divenne addiritturaun'opposizione di comodo.

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Successivamente, il sorgere del Partito socialista e isuccessi del giolittismo, che riuscí a confinare il grossodelle forze repubblicane nel campo della reazione pa-dronale, accentuarono ancor piú questo scolorirsi dellevecchie ideologie rivoluzionarie, assicurando al Partitosocialista, per lunghissimo tempo permeato soltanto diappetiti economici, una posizione preminente nel campodell'opposizione.

Cosí il regime, dopo aver ridotto la lotta politica nelcampo arido dell'economia, riuscí talvolta a allearsi vali-damente con lo stesso Partito repubblicano nel tentativodi limitare il contenuto libertario del movimento sociali-sta negli stretti limiti di affermazioni oligarchiche. Anzi,il successo del regime andò tant'oltre, che esso tentòperfino d'impadronirsi delle ideologie repubblicanequando pose Mazzini tra i fattori dello Stato e ne pubbli-cò ufficialmente le opere. Cosí il mito, staccato dallospirito, divenne nuovo elemento di conquista politica eai repubblicani non rimase altro che la coreografia pa-triottica e un'indifferenziata protesta, che non si sapevapiú a quali principi e a quali fatti si riannodasse. Attra-verso questo processo il vecchio rivoluzionarismo misti-co del Risorgimento disparve residuando nient'altro cheun generico irredentismo, di cui il regime poté aver ra-gione durante la guerra.

Correnti revisionistiche.Contemporaneamente, però, a questo processo dege-

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Successivamente, il sorgere del Partito socialista e isuccessi del giolittismo, che riuscí a confinare il grossodelle forze repubblicane nel campo della reazione pa-dronale, accentuarono ancor piú questo scolorirsi dellevecchie ideologie rivoluzionarie, assicurando al Partitosocialista, per lunghissimo tempo permeato soltanto diappetiti economici, una posizione preminente nel campodell'opposizione.

Cosí il regime, dopo aver ridotto la lotta politica nelcampo arido dell'economia, riuscí talvolta a allearsi vali-damente con lo stesso Partito repubblicano nel tentativodi limitare il contenuto libertario del movimento sociali-sta negli stretti limiti di affermazioni oligarchiche. Anzi,il successo del regime andò tant'oltre, che esso tentòperfino d'impadronirsi delle ideologie repubblicanequando pose Mazzini tra i fattori dello Stato e ne pubbli-cò ufficialmente le opere. Cosí il mito, staccato dallospirito, divenne nuovo elemento di conquista politica eai repubblicani non rimase altro che la coreografia pa-triottica e un'indifferenziata protesta, che non si sapevapiú a quali principi e a quali fatti si riannodasse. Attra-verso questo processo il vecchio rivoluzionarismo misti-co del Risorgimento disparve residuando nient'altro cheun generico irredentismo, di cui il regime poté aver ra-gione durante la guerra.

Correnti revisionistiche.Contemporaneamente, però, a questo processo dege-

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nerativo della maggioranza del partito si sviluppava e siorganizzava la critica delle giovani élite, che, anelanti diriassumere la funzione rivoluzionaria, mal sopportavanol'adesione della politica del partito agli schemi idealidella conquista regia.

Esse comprendevano finalmente che il loro movimen-to stagnava in una contrapposizione statica al regime,perché non aveva piú né l'animo né la mente per rielabo-rare, secondo le necessità del nuovo orientamento politi-co, gli insegnamenti dei maestri.

Secondo queste correnti, che, con vocabolo di moda,potrebbero chiamarsi revisionistiche, occorreva operareuna sintesi tra il messianismo mazziniano e il federali-smo cattaneiano e ferrariano, allo scopo di postulare neiconfronti dello Stato storico tutte le esigenze ideali dellalibertà. Non limitarsi, quindi, a agitare la bandieradell'irredentismo, su cui la monarchia, in caso di guerra,avrebbe ancora una volta vinto, ma estendere la criticaallo Stato italiano in toto, nelle sue supreme ragioniideali, nel suo medioevalismo politico, nell'accentra-mento, nella quotidiana violazione della libertà.

Queste correnti revisionistiche però rimasero soffoca-te, prima dalla guerra e poi dal massimalismo: dallaguerra, perché franata la base irredentista, i repubblicanifurono trascinati sempre piú nell'orbita della conquistaregia; dal massimalismo, perché impedí loro di prendereproficuamente posizione nel periodo postbellico, anziimpedí di assumere addirittura la direzione del movi-mento e avviarlo verso concreta realizzazione, nel mo-

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nerativo della maggioranza del partito si sviluppava e siorganizzava la critica delle giovani élite, che, anelanti diriassumere la funzione rivoluzionaria, mal sopportavanol'adesione della politica del partito agli schemi idealidella conquista regia.

Esse comprendevano finalmente che il loro movimen-to stagnava in una contrapposizione statica al regime,perché non aveva piú né l'animo né la mente per rielabo-rare, secondo le necessità del nuovo orientamento politi-co, gli insegnamenti dei maestri.

Secondo queste correnti, che, con vocabolo di moda,potrebbero chiamarsi revisionistiche, occorreva operareuna sintesi tra il messianismo mazziniano e il federali-smo cattaneiano e ferrariano, allo scopo di postulare neiconfronti dello Stato storico tutte le esigenze ideali dellalibertà. Non limitarsi, quindi, a agitare la bandieradell'irredentismo, su cui la monarchia, in caso di guerra,avrebbe ancora una volta vinto, ma estendere la criticaallo Stato italiano in toto, nelle sue supreme ragioniideali, nel suo medioevalismo politico, nell'accentra-mento, nella quotidiana violazione della libertà.

Queste correnti revisionistiche però rimasero soffoca-te, prima dalla guerra e poi dal massimalismo: dallaguerra, perché franata la base irredentista, i repubblicanifurono trascinati sempre piú nell'orbita della conquistaregia; dal massimalismo, perché impedí loro di prendereproficuamente posizione nel periodo postbellico, anziimpedí di assumere addirittura la direzione del movi-mento e avviarlo verso concreta realizzazione, nel mo-

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mento in cui la monarchia socialista faceva bancarotta.Conseguentemente, il revisionismo dovette continua-

re a operare come forza interna del partito, senza riusci-re a piegarlo verso le necessità ideali della rivoluzionefino a che il fascismo, svelando di colpo tutte le defi-cienze del regime, non spinse il processo rivoluzionarionelle piú intime connessure della Costituzione, mostran-do anche ai ciechi l'assenza di ogni contenuto etico nellaformazione dello Stato italiano.

Fu allora che apparve piú chiaro che nel repubblica-nesimo coesistevano due diverse formazioni politiche,con due diverse anime, frutto di due situazioni storichedistinte, anzi avverse, destinate a scontrarsi in un avve-nire piú o meno prossimo.

Anzi, sotto la pressione del fascismo, questa posizio-ne dialettica cominciò a risolversi perché il fascismo,convogliando tutte le forze della reazione sociale e poli-tica, depurò il Partito repubblicano delle numerose sco-rie che in esso avevano depositato settant'anni d'inerzia,e accentuò la messa in luce della sinistra revisionista.

Oggi le speranze del partito sono riposte tutte in que-sta frazione e nelle sue idee e l'esperienza aventiniana,rafforzata dalla pedagogia fascista, è destinata a convali-darne sempre piú le tesi.

Oliviero Zuccarini e la «Critica politica».Esaminiamo, quindi, brevemente le possibilità del

neorepubblicanesimo, che ha trovato in Oliviero Zucca-

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mento in cui la monarchia socialista faceva bancarotta.Conseguentemente, il revisionismo dovette continua-

re a operare come forza interna del partito, senza riusci-re a piegarlo verso le necessità ideali della rivoluzionefino a che il fascismo, svelando di colpo tutte le defi-cienze del regime, non spinse il processo rivoluzionarionelle piú intime connessure della Costituzione, mostran-do anche ai ciechi l'assenza di ogni contenuto etico nellaformazione dello Stato italiano.

Fu allora che apparve piú chiaro che nel repubblica-nesimo coesistevano due diverse formazioni politiche,con due diverse anime, frutto di due situazioni storichedistinte, anzi avverse, destinate a scontrarsi in un avve-nire piú o meno prossimo.

Anzi, sotto la pressione del fascismo, questa posizio-ne dialettica cominciò a risolversi perché il fascismo,convogliando tutte le forze della reazione sociale e poli-tica, depurò il Partito repubblicano delle numerose sco-rie che in esso avevano depositato settant'anni d'inerzia,e accentuò la messa in luce della sinistra revisionista.

Oggi le speranze del partito sono riposte tutte in que-sta frazione e nelle sue idee e l'esperienza aventiniana,rafforzata dalla pedagogia fascista, è destinata a convali-darne sempre piú le tesi.

Oliviero Zuccarini e la «Critica politica».Esaminiamo, quindi, brevemente le possibilità del

neorepubblicanesimo, che ha trovato in Oliviero Zucca-

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rini e nel gruppo di «Critica politica» una originale teo-rizzazione.

Tutti i difetti dello Stato storico derivano dall'accen-tramento e dal processo di burocratizzazione. Sotto laspinta degli interessi particolari e delle oligarchie – pa-dronali o operaie poco conta – che si affacciano alla vitapolitica, lo Stato è costretto a intervenire continuamentenel campo economico e sociale, per spostare interessi,concedere premi, in una parola assicurare, anche a dan-no della generalità, le fortune degli esigui gruppi che locomandano. Di qui la necessità di estendere l'invadenzadella pubblica amministrazione, aumentarne sempre piúil potere dittatoriale, sottrarsi a tutti i controlli.

Questo sistema, che nel periodo prebellico probabil-mente corrispondeva a intrinseche necessità di sviluppoe di affermazione di alcuni gruppi politici, dovrà fatal-mente portare al fallimento dello Stato nel campo eco-nomico e sociale.

Infatti a mano a mano che una sempre maggiore som-ma di interessi opposti verranno compressi apparirà tut-ta l'angustia del sistema e verranno potenziate le forzedestinate a distruggerlo. Questa tendenza sta per diveni-re comune a tutti i paesi di Europa: storicamente il bol-scevismo russo e il fascismo italiano nascono dalla ri-volta dei rurali, anche se hanno deviato verso il rafforza-mento della tendenza accentratrice. Tale deviazione,però, non esclude che la rivolta rurale esista, e sia desti-nata a riprendere il suo corso anche oltre, se non controil bolscevismo e il fascismo, non appena la spinta inizia-

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rini e nel gruppo di «Critica politica» una originale teo-rizzazione.

Tutti i difetti dello Stato storico derivano dall'accen-tramento e dal processo di burocratizzazione. Sotto laspinta degli interessi particolari e delle oligarchie – pa-dronali o operaie poco conta – che si affacciano alla vitapolitica, lo Stato è costretto a intervenire continuamentenel campo economico e sociale, per spostare interessi,concedere premi, in una parola assicurare, anche a dan-no della generalità, le fortune degli esigui gruppi che locomandano. Di qui la necessità di estendere l'invadenzadella pubblica amministrazione, aumentarne sempre piúil potere dittatoriale, sottrarsi a tutti i controlli.

Questo sistema, che nel periodo prebellico probabil-mente corrispondeva a intrinseche necessità di sviluppoe di affermazione di alcuni gruppi politici, dovrà fatal-mente portare al fallimento dello Stato nel campo eco-nomico e sociale.

Infatti a mano a mano che una sempre maggiore som-ma di interessi opposti verranno compressi apparirà tut-ta l'angustia del sistema e verranno potenziate le forzedestinate a distruggerlo. Questa tendenza sta per diveni-re comune a tutti i paesi di Europa: storicamente il bol-scevismo russo e il fascismo italiano nascono dalla ri-volta dei rurali, anche se hanno deviato verso il rafforza-mento della tendenza accentratrice. Tale deviazione,però, non esclude che la rivolta rurale esista, e sia desti-nata a riprendere il suo corso anche oltre, se non controil bolscevismo e il fascismo, non appena la spinta inizia-

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le si sarà indebolita, e la storia avrà mostrato ai ceti inte-ressati che i risultati raggiunti sono opposti alle inten-zioni. Il contenuto di tale rivolta non potrà non esserediretto che a raggiungere questi due obiettivi: disinte-grare la politica dagli interessi, ripristinando il profiloideale dello Stato, e decentrare la pubblica amministra-zione.

Su questo campo la battaglia sarà lunga, aspra e pienadi difficoltà: occorrerà vincere pregiudizi, interessi, in-crostazioni programmatiche, e soprattutto l'errored'impostazione politica dei partiti a base unitaria che simodellano sullo Stato, riproducendone la struttura.

Sviluppi ideali in corso.Il Partito repubblicano deve perciò non soltanto ces-

sare di essere un partito formale per divenire sempre piúrivoluzionario, ma soprattutto assumere la forma di mo-vimento, allo scopo di convogliare forze e tendenze affi-ni.

Questo il contenuto critico e politico del repubblica-nesimo zuccariniano, che dovrà non poco lottare perprevalere nel suo partito, ove ancora si affermano statid'animo e tendenze antiquate, che ostacolano, se non al-tro, col semplice peso, la marcia delle idee nuove.

Sarà una lotta intensa e piena d'interesse ideale, cheprogredirà a mano a mano che la crisi statale si sveleràagli occhi di tutti, ma il cui esito non dovrebbe esseredubbio se il partito vorrà evitare altre crisi e altri frazio-

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le si sarà indebolita, e la storia avrà mostrato ai ceti inte-ressati che i risultati raggiunti sono opposti alle inten-zioni. Il contenuto di tale rivolta non potrà non esserediretto che a raggiungere questi due obiettivi: disinte-grare la politica dagli interessi, ripristinando il profiloideale dello Stato, e decentrare la pubblica amministra-zione.

Su questo campo la battaglia sarà lunga, aspra e pienadi difficoltà: occorrerà vincere pregiudizi, interessi, in-crostazioni programmatiche, e soprattutto l'errored'impostazione politica dei partiti a base unitaria che simodellano sullo Stato, riproducendone la struttura.

Sviluppi ideali in corso.Il Partito repubblicano deve perciò non soltanto ces-

sare di essere un partito formale per divenire sempre piúrivoluzionario, ma soprattutto assumere la forma di mo-vimento, allo scopo di convogliare forze e tendenze affi-ni.

Questo il contenuto critico e politico del repubblica-nesimo zuccariniano, che dovrà non poco lottare perprevalere nel suo partito, ove ancora si affermano statid'animo e tendenze antiquate, che ostacolano, se non al-tro, col semplice peso, la marcia delle idee nuove.

Sarà una lotta intensa e piena d'interesse ideale, cheprogredirà a mano a mano che la crisi statale si sveleràagli occhi di tutti, ma il cui esito non dovrebbe esseredubbio se il partito vorrà evitare altre crisi e altri frazio-

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namenti. Salvo il caso che le correnti revisioniste nonsiano portate a deviare e slargarsi verso movimenti affi-ni, esterni al Partito repubblicano stesso.

In ogni caso, però, durante questo periodo di autocri-tica, la corrente zuccariniana avrà ancora molto lavoroda compiere se vorrà affermarsi come centro di tutta lafutura fase di rivoluzione politica del nostro paese.

Intanto, in attesa di altri eventi, essa da una parte sisforza di incoraggiare tutti i movimenti di rivolta controlo Stato storico e, dall'altra, tenta in sede teorica di ela-borare le soluzioni giuridico-istituzionali, che dovrannoassicurare la semplificazione dello Stato e l'autonomiadegli enti autarchici. La sua è, perciò, una posizione dipensiero assai originale, che non accenna ancora a avvi-cinarsi alle masse per consacrarsi nella politica militan-te.

Tuttavia non sarà inopportuno rilevare che mentrel'appartenenza al Partito repubblicano contiene in genereun equivoco, lo sforzo teorico. di creare intero a priori ilfuturo Stato, costituisce una limitazione illuministica,destinata a rallentare la volontà di azione: l'equivoco èriposto in ciò che non è ancora dimostrata la compatibi-lità, circa le forme di organizzazione, tra partiti autono-misti e Partito repubblicano unitario, modellato sulloStato storico, e la limitazione illuministica consistenell'impossibilità di dare forma giuridica a ciò che poli-ticamente ancora non è.

Ma di ciò forse si potrà piú completamente giudicaredopo la pubblicazione del libro che Oliviero Zuccarini

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namenti. Salvo il caso che le correnti revisioniste nonsiano portate a deviare e slargarsi verso movimenti affi-ni, esterni al Partito repubblicano stesso.

In ogni caso, però, durante questo periodo di autocri-tica, la corrente zuccariniana avrà ancora molto lavoroda compiere se vorrà affermarsi come centro di tutta lafutura fase di rivoluzione politica del nostro paese.

Intanto, in attesa di altri eventi, essa da una parte sisforza di incoraggiare tutti i movimenti di rivolta controlo Stato storico e, dall'altra, tenta in sede teorica di ela-borare le soluzioni giuridico-istituzionali, che dovrannoassicurare la semplificazione dello Stato e l'autonomiadegli enti autarchici. La sua è, perciò, una posizione dipensiero assai originale, che non accenna ancora a avvi-cinarsi alle masse per consacrarsi nella politica militan-te.

Tuttavia non sarà inopportuno rilevare che mentrel'appartenenza al Partito repubblicano contiene in genereun equivoco, lo sforzo teorico. di creare intero a priori ilfuturo Stato, costituisce una limitazione illuministica,destinata a rallentare la volontà di azione: l'equivoco èriposto in ciò che non è ancora dimostrata la compatibi-lità, circa le forme di organizzazione, tra partiti autono-misti e Partito repubblicano unitario, modellato sulloStato storico, e la limitazione illuministica consistenell'impossibilità di dare forma giuridica a ciò che poli-ticamente ancora non è.

Ma di ciò forse si potrà piú completamente giudicaredopo la pubblicazione del libro che Oliviero Zuccarini

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ha consacrato all'importante argomento.Per ora il pensiero della corrente raccolta intorno alla

«Critica politica» costituisce uno dei piú caratteristicidocumenti di questo momento e non può non richiamarele simpatie di quanti anelano a piú decisi miglioramentinel costume e nell'organizzazione politica del nostropaese.

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ha consacrato all'importante argomento.Per ora il pensiero della corrente raccolta intorno alla

«Critica politica» costituisce uno dei piú caratteristicidocumenti di questo momento e non può non richiamarele simpatie di quanti anelano a piú decisi miglioramentinel costume e nell'organizzazione politica del nostropaese.

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Lo Stato storicoe la rivoluzione meridionale

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Lo Stato storicoe la rivoluzione meridionale

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La rivoluzione meridionale

Aspetti fisici della questione meridionale.Gli scrittori di meteorologia e di idraulica hanno mes-

so in rilievo alcuni caratteri fisici climatico-tellurici,quali la scarsa e irregolare piovosità e la cattiva distribu-zione idraulica, aggravata dal progressivo disboscamen-to, che chiariscono l'originaria inferiorità naturale delMezzogiorno, mentre gli scrittori di geologia e geogra-fia fisica hanno completato il quadro, derivando dallatardiva emersione della punta della penisola e dalla co-stituzione geologica la spiegazione della sua miseria mi-neraria e della scarsa prevalenza delle terre fertili. Ma lestesse scienze hanno riconosciuto che l'inferiorità eco-nomica del Mezzogiorno non è irreparabile e suggeri-scono i rimedi atti a attenuarla.

Parimenti gli scrittori di agrologia, partendo dai datipluviometrici, idraulici, geologici e geografici hanno

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La rivoluzione meridionale

Aspetti fisici della questione meridionale.Gli scrittori di meteorologia e di idraulica hanno mes-

so in rilievo alcuni caratteri fisici climatico-tellurici,quali la scarsa e irregolare piovosità e la cattiva distribu-zione idraulica, aggravata dal progressivo disboscamen-to, che chiariscono l'originaria inferiorità naturale delMezzogiorno, mentre gli scrittori di geologia e geogra-fia fisica hanno completato il quadro, derivando dallatardiva emersione della punta della penisola e dalla co-stituzione geologica la spiegazione della sua miseria mi-neraria e della scarsa prevalenza delle terre fertili. Ma lestesse scienze hanno riconosciuto che l'inferiorità eco-nomica del Mezzogiorno non è irreparabile e suggeri-scono i rimedi atti a attenuarla.

Parimenti gli scrittori di agrologia, partendo dai datipluviometrici, idraulici, geologici e geografici hanno

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messo in chiaro entro quali limiti l'inferiorità fisica delMezzogiorno si ripercuota nel campo della produzioneagraria, specialmente di quella cerealicola, e non hannomancato di avvertire che l'intelligenza e l'attività umanemolto potrebbero fare non soltanto per colmare questedeficienze originarie, ma per trasformarle, almeno inparte, in vantaggi, sviluppando e organizzando la produ-zione delle primizie da fornire ai mercati settentrionali aprezzi e a condizioni di quasi monopolio.

Veramente il Mezzogiorno non è stato sempre misera-bile e arretrato, ma ha invece avuto lunghe fasi di splen-dore. La sua inferiorità naturale quindi non è assolutama relativa. Gli storici, infatti, ci insegnano che ogniqualvolta il Mezzogiorno è divenuto centro di propul-sione del commercio con l'Oriente ha svolto una fiorenteciviltà e è, invece, decaduto quando è stato assorbito inaltri sistemi economico-politici, che lo hanno rapida-mente ridotto a funzione di colonia.

Ed è perciò che furono particolarmente esiziali perl'economia meridionale il governo angioino e quello vi-cereale, che sacrificarono interamente le finanze delpaese alla violenza depredatrice dell'alta banca fiorenti-na prima e all'arrendamento spagnolo poi, riducendo ilMezzogiorno a un tale stato di prostrazione economicache ancor oggi perdura.

Cosí si spiega come e perché la nostra terra giunsefino alla vigilia dell'unificazione italiana povera e squal-lida, senza classi dirigenti, senza idee politiche concrete,ignorando completamente se stessa, e divenne, dopo la

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messo in chiaro entro quali limiti l'inferiorità fisica delMezzogiorno si ripercuota nel campo della produzioneagraria, specialmente di quella cerealicola, e non hannomancato di avvertire che l'intelligenza e l'attività umanemolto potrebbero fare non soltanto per colmare questedeficienze originarie, ma per trasformarle, almeno inparte, in vantaggi, sviluppando e organizzando la produ-zione delle primizie da fornire ai mercati settentrionali aprezzi e a condizioni di quasi monopolio.

Veramente il Mezzogiorno non è stato sempre misera-bile e arretrato, ma ha invece avuto lunghe fasi di splen-dore. La sua inferiorità naturale quindi non è assolutama relativa. Gli storici, infatti, ci insegnano che ogniqualvolta il Mezzogiorno è divenuto centro di propul-sione del commercio con l'Oriente ha svolto una fiorenteciviltà e è, invece, decaduto quando è stato assorbito inaltri sistemi economico-politici, che lo hanno rapida-mente ridotto a funzione di colonia.

Ed è perciò che furono particolarmente esiziali perl'economia meridionale il governo angioino e quello vi-cereale, che sacrificarono interamente le finanze delpaese alla violenza depredatrice dell'alta banca fiorenti-na prima e all'arrendamento spagnolo poi, riducendo ilMezzogiorno a un tale stato di prostrazione economicache ancor oggi perdura.

Cosí si spiega come e perché la nostra terra giunsefino alla vigilia dell'unificazione italiana povera e squal-lida, senza classi dirigenti, senza idee politiche concrete,ignorando completamente se stessa, e divenne, dopo la

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conquista piemontese, colonia di sfruttamento del capi-tale settentrionale in formazione, che non soltanto nientefece per aiutare il Mezzogiorno a risolvere la sua crisisecolare, ma fu invece interessato a impedire ogni suoprogresso economico e sociale dal bisogno imperioso ditenerlo sempre nella fase di mercato di consumo, pernon essere costretto a abbandonare, nella grande lottadelle nazioni, l'impalcatura protezionista che, almeno inparte, ne assicurava lo sviluppo.

Rimasto quindi immobile, anzi sempre piú schiaccia-to dalla compressione tributaria e politica del nuovo Sta-to, il Mezzogiorno non poté piú smaltire l'aumento dipopolazione se non attraverso l'emigrazione, che pro-gressivamente divenne il suo fenomeno demografico eeconomico piú importante.

Infatti, mentre da una parte il flusso migratorio rap-presentò una notevole perdita di popolazione, che nonandò esente da conseguenze dolorose, costituí dall'altrauna delle piú forti risorse finanziarie della nuova Italia,che notevolmente hanno contribuito al suo progressoeconomico specialmente dal 1890 in poi.

La compressione economica del Nord sul Sud e l'emigrazione.

Emerge, quindi, chiaro fin da questo momento che aaggravare gli originari fenomeni di inferiorità economi-ca e di patologia demografica che caratterizzano la co-stituzione sociale del Mezzogiorno molto ha contribuito

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conquista piemontese, colonia di sfruttamento del capi-tale settentrionale in formazione, che non soltanto nientefece per aiutare il Mezzogiorno a risolvere la sua crisisecolare, ma fu invece interessato a impedire ogni suoprogresso economico e sociale dal bisogno imperioso ditenerlo sempre nella fase di mercato di consumo, pernon essere costretto a abbandonare, nella grande lottadelle nazioni, l'impalcatura protezionista che, almeno inparte, ne assicurava lo sviluppo.

Rimasto quindi immobile, anzi sempre piú schiaccia-to dalla compressione tributaria e politica del nuovo Sta-to, il Mezzogiorno non poté piú smaltire l'aumento dipopolazione se non attraverso l'emigrazione, che pro-gressivamente divenne il suo fenomeno demografico eeconomico piú importante.

Infatti, mentre da una parte il flusso migratorio rap-presentò una notevole perdita di popolazione, che nonandò esente da conseguenze dolorose, costituí dall'altrauna delle piú forti risorse finanziarie della nuova Italia,che notevolmente hanno contribuito al suo progressoeconomico specialmente dal 1890 in poi.

La compressione economica del Nord sul Sud e l'emigrazione.

Emerge, quindi, chiaro fin da questo momento che aaggravare gli originari fenomeni di inferiorità economi-ca e di patologia demografica che caratterizzano la co-stituzione sociale del Mezzogiorno molto ha contribuito

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e contribuisce tuttora lo Stato, che, organo supremo deldiritto, da fonte precipua e unica di eticità, si trasformain Italia in organo del privilegio, in fonte continua e per-severante dell'ingiustizia.

Con la sua politica finanziaria, lo Stato non soltantonon fa niente per rimuovere quelle ragioni di ordine na-turale che costituiscono causa di inferiorità delle nostreterre, ma contribuisce a aggravarle, addossando al Mez-zogiorno, costituito in mercato di arrendamento dellaplutocrazia industriale del settentrione, tutte le conse-guenze di un protezionismo ingiusto e antinazionale;adottando un sistema tributario, assolutamente spere-quato a danno della ricchezza immobiliare prevalentenel Sud, e consentendo, anzi incoraggiando, il continuodrenaggio di capitali meridionali nelle banche del Norde nel debito pubblico, per finalità che col risorgimentodel Mezzogiorno non soltanto nulla hanno a che vedere,ma sono addirittura antitetiche.

Naturalmente queste benemerenze dello Stato,nell'ordine economico e finanziario costituendo né piúné meno che una violenza all'ordine naturale delle cose,debbono essere completate con un'azione di pari violen-za nel campo giuridico e istituzionale.

È noto, infatti, che uno dei tanti elementi della infe-riorità del Mezzogiorno è costituito dall'immobilità dellasua ossatura economico-feudale, derivante dai relitti le-gislativi del feudalismo che ancora perdurano, e dallamancanza di una legislazione moderna, diretta, da unaparte, a trasformare, secondo i consigli dei competenti, i

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e contribuisce tuttora lo Stato, che, organo supremo deldiritto, da fonte precipua e unica di eticità, si trasformain Italia in organo del privilegio, in fonte continua e per-severante dell'ingiustizia.

Con la sua politica finanziaria, lo Stato non soltantonon fa niente per rimuovere quelle ragioni di ordine na-turale che costituiscono causa di inferiorità delle nostreterre, ma contribuisce a aggravarle, addossando al Mez-zogiorno, costituito in mercato di arrendamento dellaplutocrazia industriale del settentrione, tutte le conse-guenze di un protezionismo ingiusto e antinazionale;adottando un sistema tributario, assolutamente spere-quato a danno della ricchezza immobiliare prevalentenel Sud, e consentendo, anzi incoraggiando, il continuodrenaggio di capitali meridionali nelle banche del Norde nel debito pubblico, per finalità che col risorgimentodel Mezzogiorno non soltanto nulla hanno a che vedere,ma sono addirittura antitetiche.

Naturalmente queste benemerenze dello Stato,nell'ordine economico e finanziario costituendo né piúné meno che una violenza all'ordine naturale delle cose,debbono essere completate con un'azione di pari violen-za nel campo giuridico e istituzionale.

È noto, infatti, che uno dei tanti elementi della infe-riorità del Mezzogiorno è costituito dall'immobilità dellasua ossatura economico-feudale, derivante dai relitti le-gislativi del feudalismo che ancora perdurano, e dallamancanza di una legislazione moderna, diretta, da unaparte, a trasformare, secondo i consigli dei competenti, i

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patti agrari e, dall'altra, a proteggere i produttori dalleantigiuridiche, seppure legali, vessazioni di una classedi proprietari terrieri, assenti dai campi, nemici di ogniprogresso, sforniti di qualsiasi senso di umanità e solooccupati a sfruttare una vera e propria deviazione delloro diritto di proprietà.

Ora, lo Stato italiano, anche in questo campo, nonsoltanto non fa niente per debellare questa dannosa im-mobilità, tentando di adattare la legislazione ai bisognidelle classi produttive, per aiutarle nel loro sforzo diemancipazione, ma interviene a impedire che l'equili-brio artificiale possa essere rotto, ogni qualvolta la pres-sione delle nuove energie comincia ad affermarsi.

Queste deviazioni statali, derivanti dall'adesione delmassimo organo di azione collettiva a interessi partico-lari e al dominio di classi parassitarie, spiega l'affermar-si dell'accentramento statale e l'invadenza della pubblicaamministrazione, che distruggono ogni germe di pro-gresso degli enti autarchici – nel Mezzogiorno natural-mente deboli, perché non sorretti da nessuna linfa di spi-rito municipale – e pervertono ogni tentativo di privatainiziativa.

Cosí alla scarsa tradizione statale e alle sopravviven-ze feudali si aggiunge addirittura l'odio per lo Stato eper il concetto di autorità.

Il contadino meridionale, il sobrio e resistente lavora-tore che ha trasportato l'humus nella zona della cretasotto le vette dell'Appennino e ivi vive in una capannadi paglia e di mota, con l'asino e col maiale, in france-

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patti agrari e, dall'altra, a proteggere i produttori dalleantigiuridiche, seppure legali, vessazioni di una classedi proprietari terrieri, assenti dai campi, nemici di ogniprogresso, sforniti di qualsiasi senso di umanità e solooccupati a sfruttare una vera e propria deviazione delloro diritto di proprietà.

Ora, lo Stato italiano, anche in questo campo, nonsoltanto non fa niente per debellare questa dannosa im-mobilità, tentando di adattare la legislazione ai bisognidelle classi produttive, per aiutarle nel loro sforzo diemancipazione, ma interviene a impedire che l'equili-brio artificiale possa essere rotto, ogni qualvolta la pres-sione delle nuove energie comincia ad affermarsi.

Queste deviazioni statali, derivanti dall'adesione delmassimo organo di azione collettiva a interessi partico-lari e al dominio di classi parassitarie, spiega l'affermar-si dell'accentramento statale e l'invadenza della pubblicaamministrazione, che distruggono ogni germe di pro-gresso degli enti autarchici – nel Mezzogiorno natural-mente deboli, perché non sorretti da nessuna linfa di spi-rito municipale – e pervertono ogni tentativo di privatainiziativa.

Cosí alla scarsa tradizione statale e alle sopravviven-ze feudali si aggiunge addirittura l'odio per lo Stato eper il concetto di autorità.

Il contadino meridionale, il sobrio e resistente lavora-tore che ha trasportato l'humus nella zona della cretasotto le vette dell'Appennino e ivi vive in una capannadi paglia e di mota, con l'asino e col maiale, in france-

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scana comunione, conosce lo Stato soltanto per le multee il carcere che gli commina attraverso regolamenti rite-nuti infami e scritti soltanto per proteggere i signori de-diti all'ozio e allo sfruttamento dei lavoratori, ma nonper le cure e gli aiuti che presti al suo sforzo tenace, e ilgiorno delle elezioni se in un momento di estrema ribel-lione vuole votare contro il rappresentante di quel go-verno che lo spoglia e lo opprime viene afferrato, chiusoin un portone, perquisito, confessato e comunicato, e in-fine spedito sotto scorta competente a votare per il suooppressore.

Siano finalmente rese grazie al fascismo che esten-dendo il 6 aprile 1924 a tutt'Italia questo metodo plebi-scitario, ha proposto in forma unitaria il problema dellalibertà di voto!

La politica finanziaria dello Stato italiano e la ditta-tura antimeridionale.

È vero che tutto ciò è possibile perché le plebi meri-dionali sono oltre che povere anche assai incolte, e nonriescono a prendere possesso delle idee moderne di or-ganizzazione collettiva, ma è anche vero che in questocampo l'azione statale si palesa, almeno per ora, defi-ciente.

E è naturale, perché uno Stato che nacque dalla con-quista regia e si organizzò per tutelare e sviluppare inte-ressi particolaristici non poteva intendere certi imperati-vi etici, che richiedono invece una piú ampia giustifica-

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scana comunione, conosce lo Stato soltanto per le multee il carcere che gli commina attraverso regolamenti rite-nuti infami e scritti soltanto per proteggere i signori de-diti all'ozio e allo sfruttamento dei lavoratori, ma nonper le cure e gli aiuti che presti al suo sforzo tenace, e ilgiorno delle elezioni se in un momento di estrema ribel-lione vuole votare contro il rappresentante di quel go-verno che lo spoglia e lo opprime viene afferrato, chiusoin un portone, perquisito, confessato e comunicato, e in-fine spedito sotto scorta competente a votare per il suooppressore.

Siano finalmente rese grazie al fascismo che esten-dendo il 6 aprile 1924 a tutt'Italia questo metodo plebi-scitario, ha proposto in forma unitaria il problema dellalibertà di voto!

La politica finanziaria dello Stato italiano e la ditta-tura antimeridionale.

È vero che tutto ciò è possibile perché le plebi meri-dionali sono oltre che povere anche assai incolte, e nonriescono a prendere possesso delle idee moderne di or-ganizzazione collettiva, ma è anche vero che in questocampo l'azione statale si palesa, almeno per ora, defi-ciente.

E è naturale, perché uno Stato che nacque dalla con-quista regia e si organizzò per tutelare e sviluppare inte-ressi particolaristici non poteva intendere certi imperati-vi etici, che richiedono invece una piú ampia giustifica-

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zione ideale, e la cui difesa non può in nessun caso esse-re affidata a gruppi egoistici interessati a crearsi una le-galità dittatoriale.

Si svela, quindi, una situazione di fatto che chiariscela situazione di diritto e se ne mostra contemporanea-mente causa e effetto, per quella nota legge dell'interdi-pendenza dei fenomeni collettivi, che trova sua princi-pale applicazione nelle scienze sociali.

Cosí nel campo piú strettamente politico, mentre iltrasformismo, che indubbiamente deriva dall'immobilitàgiuridico-istituzionale, cui è legata quasi tutta la classedirigente meridionale, è contemporaneamente causa ditale immobilità, nemmeno scossa dal fallimento di tutti iconati meridionalisti, l'assenza di un ceto medio liberta-rio è insieme origine e effetto del permanere del trasfor-mismo.

In tale condizione di cose è intuitivo che non si puòaspettar salute dall'azione riformatrice dello Stato, per laevidente sua incapacità di tutelare gli interessi generalicontro e anche oltre gli interessi particolari che lo per-meano, o dall'azione correttiva dei partiti, che riprodu-cono nella loro organica costituzione tutte le deficienzedella società italiana: bisogna invece affrontare, anchenel campo politico, scientificamente il problema per cer-care di potenziare con intransigenza giacobina gli scarsielementi di soluzione che pure esistono, per quanto allostato soltanto tendenziale e latente.

Altrimenti la lezione di questi anni eccezionali e leprime scosse al regime rimarrebbero senza sanzione.

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zione ideale, e la cui difesa non può in nessun caso esse-re affidata a gruppi egoistici interessati a crearsi una le-galità dittatoriale.

Si svela, quindi, una situazione di fatto che chiariscela situazione di diritto e se ne mostra contemporanea-mente causa e effetto, per quella nota legge dell'interdi-pendenza dei fenomeni collettivi, che trova sua princi-pale applicazione nelle scienze sociali.

Cosí nel campo piú strettamente politico, mentre iltrasformismo, che indubbiamente deriva dall'immobilitàgiuridico-istituzionale, cui è legata quasi tutta la classedirigente meridionale, è contemporaneamente causa ditale immobilità, nemmeno scossa dal fallimento di tutti iconati meridionalisti, l'assenza di un ceto medio liberta-rio è insieme origine e effetto del permanere del trasfor-mismo.

In tale condizione di cose è intuitivo che non si puòaspettar salute dall'azione riformatrice dello Stato, per laevidente sua incapacità di tutelare gli interessi generalicontro e anche oltre gli interessi particolari che lo per-meano, o dall'azione correttiva dei partiti, che riprodu-cono nella loro organica costituzione tutte le deficienzedella società italiana: bisogna invece affrontare, anchenel campo politico, scientificamente il problema per cer-care di potenziare con intransigenza giacobina gli scarsielementi di soluzione che pure esistono, per quanto allostato soltanto tendenziale e latente.

Altrimenti la lezione di questi anni eccezionali e leprime scosse al regime rimarrebbero senza sanzione.

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La questione meridionale è politica e rivoluziona-ria.

Finalmente la questione meridionale svela intera lasua squisita natura politica, dinanzi a cui gli aspetti tec-nici scompaiono per la loro evidente unilateralità, e sipalesa risolubile, prima ancora che nel campo legislati-vo, nelle coscienze individuali, cioè in quell'azione piústrettamente e piú spiritualmente politica, destinata apreparare l'humus su cui lo Stato di diritto dovrà final-mente sorgere. E in ciò sta la sua rivoluzionarietà.

Fino a quando i conati rinnovatori italiani si aggire-ranno nel cielo imponderabile delle astrazioni filosofi-che e dei conseguenti giuochi di proposizioni e di solu-zioni verbali, o si incanaleranno nei solchi aridi dellemarce regie, lo Stato burocratico-accentratore non teme-rà sconfitte perché risorgerà dalla polvere fin dopol'estrema umiliazione.

La questione italiana è, dunque, la questione meridio-nale, e la rivoluzione italiana sarà la rivoluzione meri-dionale. Ma con quali forze, con quali forme si può ten-tare questo compito?

Le forze produttive del Mezzogiorno contro lo Stato.Se è vero quanto affermano gli studiosi di questo pro-

blema, che la sua soluzione è legata alla creazione di unsistema agrario-industriale, che con le colture specializ-zate si accaparri i mercati settentrionali per la venditadelle primizie, e con lo sviluppo industriale si metta in

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La questione meridionale è politica e rivoluziona-ria.

Finalmente la questione meridionale svela intera lasua squisita natura politica, dinanzi a cui gli aspetti tec-nici scompaiono per la loro evidente unilateralità, e sipalesa risolubile, prima ancora che nel campo legislati-vo, nelle coscienze individuali, cioè in quell'azione piústrettamente e piú spiritualmente politica, destinata apreparare l'humus su cui lo Stato di diritto dovrà final-mente sorgere. E in ciò sta la sua rivoluzionarietà.

Fino a quando i conati rinnovatori italiani si aggire-ranno nel cielo imponderabile delle astrazioni filosofi-che e dei conseguenti giuochi di proposizioni e di solu-zioni verbali, o si incanaleranno nei solchi aridi dellemarce regie, lo Stato burocratico-accentratore non teme-rà sconfitte perché risorgerà dalla polvere fin dopol'estrema umiliazione.

La questione italiana è, dunque, la questione meridio-nale, e la rivoluzione italiana sarà la rivoluzione meri-dionale. Ma con quali forze, con quali forme si può ten-tare questo compito?

Le forze produttive del Mezzogiorno contro lo Stato.Se è vero quanto affermano gli studiosi di questo pro-

blema, che la sua soluzione è legata alla creazione di unsistema agrario-industriale, che con le colture specializ-zate si accaparri i mercati settentrionali per la venditadelle primizie, e con lo sviluppo industriale si metta in

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condizione di conquistare i mercati orientali, e che lecondizioni climatiche e idrologiche, mentre ci mettonoin stato di inferiorità, non ci vietano però di trasformarele nostre colture, in conformità della costituzione geo-grafica e climatica, purché non vengano sottratti ai no-stri agricoltori i capitali occorrenti; e se è vero che unagenerale sistemazione idraulica in tutto il Mezzogiorno,mentre migliorerebbe le condizioni generali dell'agricol-tura, ci fornirebbe altresí la forza motrice per industria-lizzare le nostre terre; è altresí vero che lo sviluppo diquesto piano, che naturalmente dovrebbe avvenire a tap-pe, non può essere opera che delle forze che attualmentesono danneggiate dallo Stato storico, e che, in conse-guenza dell'immaturità generale del paese, non ancoragli si contrappongono.

Occorre quindi svegliare queste forze, impedire cheprecipitino nel trasformismo, inquadrarle pazientemen-te, e, senza fretta di arrivare subito, sottrarle alle terribiliinsidie dell'isolamento e delle lusinghe.

Né vale dire che queste forze ancora non esistonoperché attraverso l'emigrazione è andato maturando unmedio ceto di piccoli capitalisti, spregiudicati, amantidel lavoro e del guadagno, che già guardano con profon-da diffidenza le classi dello sfruttamento terriero; attra-verso le grandi trasformazioni economiche della guerraè affiorata una classe di coltivatori, di commercianti e diesportatori, che soffrono terribilmente per la massacran-te pressione tributaria, il protezionismo doganale el'assurdo sistema giuridico, in cui è imprigionata la pro-

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condizione di conquistare i mercati orientali, e che lecondizioni climatiche e idrologiche, mentre ci mettonoin stato di inferiorità, non ci vietano però di trasformarele nostre colture, in conformità della costituzione geo-grafica e climatica, purché non vengano sottratti ai no-stri agricoltori i capitali occorrenti; e se è vero che unagenerale sistemazione idraulica in tutto il Mezzogiorno,mentre migliorerebbe le condizioni generali dell'agricol-tura, ci fornirebbe altresí la forza motrice per industria-lizzare le nostre terre; è altresí vero che lo sviluppo diquesto piano, che naturalmente dovrebbe avvenire a tap-pe, non può essere opera che delle forze che attualmentesono danneggiate dallo Stato storico, e che, in conse-guenza dell'immaturità generale del paese, non ancoragli si contrappongono.

Occorre quindi svegliare queste forze, impedire cheprecipitino nel trasformismo, inquadrarle pazientemen-te, e, senza fretta di arrivare subito, sottrarle alle terribiliinsidie dell'isolamento e delle lusinghe.

Né vale dire che queste forze ancora non esistonoperché attraverso l'emigrazione è andato maturando unmedio ceto di piccoli capitalisti, spregiudicati, amantidel lavoro e del guadagno, che già guardano con profon-da diffidenza le classi dello sfruttamento terriero; attra-verso le grandi trasformazioni economiche della guerraè affiorata una classe di coltivatori, di commercianti e diesportatori, che soffrono terribilmente per la massacran-te pressione tributaria, il protezionismo doganale el'assurdo sistema giuridico, in cui è imprigionata la pro-

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duzione meridionale: e dopo di loro anche la classe deicontadini, dei mezzadri, dei fittavoli, dei braccianti co-mincia a intuire la realtà economico-sociale in cui vive esoffre.

Bisogna, quindi, non lasciar perdere queste importantimaturazioni politico-sociali e convogliarne il disagio sulterreno della critica antistatale.

Solo cosí la rivoluzione italiana, in marcia da diecianni, acquisterà quella concretezza storica che le darà uncontenuto. Altrimenti resterà astrattismo sovversivo,convulsione, vociferatio, sfruttamento di disoccupati edi avventurieri, campo di manovra per le successivetransazioni dei ceti dominanti, e non diverrà mai con-quista ordinata e cosciente dello Stato da parte dei pro-duttori, lotta politica nel senso liberale della parola.

La rivoluzione meridionale.E questa lotta politica deve necessariamente comin-

ciare nel Mezzogiorno, anche se, in prosieguo di tempo,altre regioni italiane dovranno imitarla e si renderannonecessari sviluppi piú ampi.

Solo dove gli uomini hanno molto sofferto e si sonocontinuamente domandati se vivevano in uno Stato o inuna colonia, è possibile concepire concretamente una ri-voluzione statale, e arrivare a possedere quella decisioneche la storia ci insegna essere anche frutto di grandeesasperazione.

Solo nelle regioni piú danneggiate dall'unitarismo

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duzione meridionale: e dopo di loro anche la classe deicontadini, dei mezzadri, dei fittavoli, dei braccianti co-mincia a intuire la realtà economico-sociale in cui vive esoffre.

Bisogna, quindi, non lasciar perdere queste importantimaturazioni politico-sociali e convogliarne il disagio sulterreno della critica antistatale.

Solo cosí la rivoluzione italiana, in marcia da diecianni, acquisterà quella concretezza storica che le darà uncontenuto. Altrimenti resterà astrattismo sovversivo,convulsione, vociferatio, sfruttamento di disoccupati edi avventurieri, campo di manovra per le successivetransazioni dei ceti dominanti, e non diverrà mai con-quista ordinata e cosciente dello Stato da parte dei pro-duttori, lotta politica nel senso liberale della parola.

La rivoluzione meridionale.E questa lotta politica deve necessariamente comin-

ciare nel Mezzogiorno, anche se, in prosieguo di tempo,altre regioni italiane dovranno imitarla e si renderannonecessari sviluppi piú ampi.

Solo dove gli uomini hanno molto sofferto e si sonocontinuamente domandati se vivevano in uno Stato o inuna colonia, è possibile concepire concretamente una ri-voluzione statale, e arrivare a possedere quella decisioneche la storia ci insegna essere anche frutto di grandeesasperazione.

Solo nelle regioni piú danneggiate dall'unitarismo

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storico la critica alla conquista piemontese è mordente,intrisa di sangue e di miseria, e la tradizione del Risorgi-mento non è ricatto di ceti resi opulenti dal sacrificiouniversale, ma aspirazione ideale a un ordine superioreche faccia finalmente l'Italia madre ai suoi figli.

Resi finalmente edotti dell'inferiorità delle soluzionistoriche e dei danni che ci ha recato un patriottismo uffi-ciale, permeato dal piú basso materialismo economico,noi dovremo riattaccarci alle grandi correnti libertariedel Risorgimento, decisi a impedire tutti i giuochi delregime per riassorbirci nel fruttifero sistema della con-quista regia.

Impostando l'azione contro lo Stato, noi imposteremofinalmente la lotta contro le classi trasformistiche delSud, che non potranno non essere travolte nella rovinadelle loro infinite colpe.

La rivoluzione italiana sarà meridionale o non sarà.

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storico la critica alla conquista piemontese è mordente,intrisa di sangue e di miseria, e la tradizione del Risorgi-mento non è ricatto di ceti resi opulenti dal sacrificiouniversale, ma aspirazione ideale a un ordine superioreche faccia finalmente l'Italia madre ai suoi figli.

Resi finalmente edotti dell'inferiorità delle soluzionistoriche e dei danni che ci ha recato un patriottismo uffi-ciale, permeato dal piú basso materialismo economico,noi dovremo riattaccarci alle grandi correnti libertariedel Risorgimento, decisi a impedire tutti i giuochi delregime per riassorbirci nel fruttifero sistema della con-quista regia.

Impostando l'azione contro lo Stato, noi imposteremofinalmente la lotta contro le classi trasformistiche delSud, che non potranno non essere travolte nella rovinadelle loro infinite colpe.

La rivoluzione italiana sarà meridionale o non sarà.

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L'autonomismo

Partiti unitari e autonomismo.Precisato cosí l'intrinseco contenuto del movimento

meridionalista e delle forze antitrasformistiche cui do-vrebbe essere affidato, rimane da esaminare la formache il movimento dovrebbe assumere per rispondere allasua funzione.

Naturalmente questo esame va compiuto in termini direlatività, essendo indubbiamente illiberale e destinatoal fallimento ogni tentativo diretto a incarcerare la sto-ria, e perciò le osservazioni che in seguito saranno svol-te hanno valore piú di proposte per la discussione che disoluzioni definitive.

Intanto un primo esame della situazione italiana post-bellica ci dimostra che là dove nel Mezzogiorno conti-nentale e insulare si sono manifestate nuove espressionidi vita politica, queste non hanno trovato altro terreno su

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L'autonomismo

Partiti unitari e autonomismo.Precisato cosí l'intrinseco contenuto del movimento

meridionalista e delle forze antitrasformistiche cui do-vrebbe essere affidato, rimane da esaminare la formache il movimento dovrebbe assumere per rispondere allasua funzione.

Naturalmente questo esame va compiuto in termini direlatività, essendo indubbiamente illiberale e destinatoal fallimento ogni tentativo diretto a incarcerare la sto-ria, e perciò le osservazioni che in seguito saranno svol-te hanno valore piú di proposte per la discussione che disoluzioni definitive.

Intanto un primo esame della situazione italiana post-bellica ci dimostra che là dove nel Mezzogiorno conti-nentale e insulare si sono manifestate nuove espressionidi vita politica, queste non hanno trovato altro terreno su

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cui inquadrarsi che l'autonomismo.Di fronte al grigio profilo dei partiti a carattere unita-

rio, preoccupati di compiere prima della lotta le sintesidella vita, le scarse manifestazioni autonomiste postbel-liche lampeggiano di tale luce da illuminare di grandesplendore gli orizzonti futuri.

Sembra quasi che i giovani ordinatori dell'autonomi-smo, lasciandosi guidare dall'istinto prima che dalla teo-ria, abbiano scelto il terreno piú suggestivo per un'ampiaaffermazione di volontà, disconoscendo, almeno in par-te, gli sforzi che i partiti unitari hanno pur compiuto perimpadronirsi del movimento meridionale.

E invero nessuno vorrà negare – e nei precedenti ca-pitoli ci siamo sforzati di metterlo in rilievo con la mag-giore obiettività – che numerosi partiti si vanno avvici-nando, per lo meno in linea teorica, alla soluzione delproblema a mano a mano che la crisi dello Stato richia-ma l'attenzione italiana verso orizzonti prima ignorati oscarsamente esplorati. Cosí mentre il PPI cerca giovarsidella sua felice impostazione programmatica su questoproblema, e una notevole frazione del Partito repubbli-cano si afferma sempre píú sul terreno federalista, ilPartito comunista spera di poter effettuare una possenteorganizzazione contadina assai simile a quella che, conla rivoluzione leninista, ha trionfato in Russia.

Ma questi tre movimenti, pur deponendo della matu-rità del problema, non esauriscono in pieno le aspirazio-ni rinnovatrici del Mezzogiorno, appunto perché forni-scono le sintesi prima di aver fatto nascere le antitesi, li-

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cui inquadrarsi che l'autonomismo.Di fronte al grigio profilo dei partiti a carattere unita-

rio, preoccupati di compiere prima della lotta le sintesidella vita, le scarse manifestazioni autonomiste postbel-liche lampeggiano di tale luce da illuminare di grandesplendore gli orizzonti futuri.

Sembra quasi che i giovani ordinatori dell'autonomi-smo, lasciandosi guidare dall'istinto prima che dalla teo-ria, abbiano scelto il terreno piú suggestivo per un'ampiaaffermazione di volontà, disconoscendo, almeno in par-te, gli sforzi che i partiti unitari hanno pur compiuto perimpadronirsi del movimento meridionale.

E invero nessuno vorrà negare – e nei precedenti ca-pitoli ci siamo sforzati di metterlo in rilievo con la mag-giore obiettività – che numerosi partiti si vanno avvici-nando, per lo meno in linea teorica, alla soluzione delproblema a mano a mano che la crisi dello Stato richia-ma l'attenzione italiana verso orizzonti prima ignorati oscarsamente esplorati. Cosí mentre il PPI cerca giovarsidella sua felice impostazione programmatica su questoproblema, e una notevole frazione del Partito repubbli-cano si afferma sempre píú sul terreno federalista, ilPartito comunista spera di poter effettuare una possenteorganizzazione contadina assai simile a quella che, conla rivoluzione leninista, ha trionfato in Russia.

Ma questi tre movimenti, pur deponendo della matu-rità del problema, non esauriscono in pieno le aspirazio-ni rinnovatrici del Mezzogiorno, appunto perché forni-scono le sintesi prima di aver fatto nascere le antitesi, li-

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mitando cosí l'anelito di autonomia spirituale, che ha in-fine cominciato a affiorare nelle nuove generazioni me-ridionali.

Essi attenuano il rigore dell'antitesi attraverso una im-postazione unitaria, che indubbiamente contribuisce aneutralizzare la loro azione meridionalista col peso dialtri interessi strettamente nordici.

Né si dica che questo rilievo investa soltanto il latoformale della questione, sia perché le osservazioni cheprecedono si preoccupano di fatti sostanzialmente politi-ci, sia perché, anche ammesso che ingenti forze meri-dionali riuscissero a permeare uno dei tre partiti storici(se li riuscissero a permeare tutti e tre vi sarebbe tale di-visione di forze da produrre danno maggiore) è assoluta-mente falso che potrebbero senz'altro giovarsi della tra-dizione e della forza del partito conquistato, ma invecenon farebbero altro che spostare la lotta dal libero giuo-co delle forze politiche al terreno delle competizioni in-terne di partito, operando cosí una limitazione alla pro-pria azione che un giorno potrebbe divenire dannosa.

Necessità dialettica dell'antitesi tra unitarismo e au-tonomismo.

Posto cosí il problema, non dovrebbe tardare a appa-rire che l'antitesi tra movimenti unitari e movimenti au-tonomisti costituisce, prima di ogni altra cosa, una ne-cessità dialettica, che induce a diffidare di ogni nuovasoluzione unitaria, fornita bella e pronta, o con la scusa

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mitando cosí l'anelito di autonomia spirituale, che ha in-fine cominciato a affiorare nelle nuove generazioni me-ridionali.

Essi attenuano il rigore dell'antitesi attraverso una im-postazione unitaria, che indubbiamente contribuisce aneutralizzare la loro azione meridionalista col peso dialtri interessi strettamente nordici.

Né si dica che questo rilievo investa soltanto il latoformale della questione, sia perché le osservazioni cheprecedono si preoccupano di fatti sostanzialmente politi-ci, sia perché, anche ammesso che ingenti forze meri-dionali riuscissero a permeare uno dei tre partiti storici(se li riuscissero a permeare tutti e tre vi sarebbe tale di-visione di forze da produrre danno maggiore) è assoluta-mente falso che potrebbero senz'altro giovarsi della tra-dizione e della forza del partito conquistato, ma invecenon farebbero altro che spostare la lotta dal libero giuo-co delle forze politiche al terreno delle competizioni in-terne di partito, operando cosí una limitazione alla pro-pria azione che un giorno potrebbe divenire dannosa.

Necessità dialettica dell'antitesi tra unitarismo e au-tonomismo.

Posto cosí il problema, non dovrebbe tardare a appa-rire che l'antitesi tra movimenti unitari e movimenti au-tonomisti costituisce, prima di ogni altra cosa, una ne-cessità dialettica, che induce a diffidare di ogni nuovasoluzione unitaria, fornita bella e pronta, o con la scusa

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della lotta sociale, o sotto l'illusorio pretesto di realizza-re la libertà.

E, invero, quale aspetto piú profondo e piú vero dellalotta sociale in Italia di quello meridionale, che è lottadegli sfruttati contro gli sfruttatori, e quale anelito liber-tario maggiore di quello che si oppone a un opprimentestatalismo e a un padronato medioevale?

Ormai per noi non rimane piú dubbio che soluzioneunitaria significhi oggi, e ancora per molto tempo, pan-neggiamento dialettico di interessi, che hanno paura del-la lotta aperta, e conseguentemente sono portati a sfug-gire la libera creazione del nuovo equilibrio nazionale,come risultante delle forze in concorso, per postulare,invece, un equilibrio artificiale, in cui sia già prestabilitoil privilegio cui aspirano.

In linea teorica, quindi, non si può non riconoscere lanecessità della piú completa contrapposizione tra le for-ze in giuoco, perché anche le soluzioni transattive che inprocesso di tempo dovessero eventualmente rendersi ne-cessarie rappresentino giusta e cosciente contemperanzadegli opposti interessi e non già sacrificio incondiziona-to di uno dei contendenti.

Nel campo pratico poi, la contrapposizione servirà apreparare all'intransigenza necessaria per sostenere lalotta sia le future classi dirigenti sia le masse, la cui psi-cologia è prevalentemente orientata a prendere per mo-neta contante i movimenti e le formule con cui i ceti pri-vilegiati cercano stornare le minacce che si addensanosul loro capo.

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della lotta sociale, o sotto l'illusorio pretesto di realizza-re la libertà.

E, invero, quale aspetto piú profondo e piú vero dellalotta sociale in Italia di quello meridionale, che è lottadegli sfruttati contro gli sfruttatori, e quale anelito liber-tario maggiore di quello che si oppone a un opprimentestatalismo e a un padronato medioevale?

Ormai per noi non rimane piú dubbio che soluzioneunitaria significhi oggi, e ancora per molto tempo, pan-neggiamento dialettico di interessi, che hanno paura del-la lotta aperta, e conseguentemente sono portati a sfug-gire la libera creazione del nuovo equilibrio nazionale,come risultante delle forze in concorso, per postulare,invece, un equilibrio artificiale, in cui sia già prestabilitoil privilegio cui aspirano.

In linea teorica, quindi, non si può non riconoscere lanecessità della piú completa contrapposizione tra le for-ze in giuoco, perché anche le soluzioni transattive che inprocesso di tempo dovessero eventualmente rendersi ne-cessarie rappresentino giusta e cosciente contemperanzadegli opposti interessi e non già sacrificio incondiziona-to di uno dei contendenti.

Nel campo pratico poi, la contrapposizione servirà apreparare all'intransigenza necessaria per sostenere lalotta sia le future classi dirigenti sia le masse, la cui psi-cologia è prevalentemente orientata a prendere per mo-neta contante i movimenti e le formule con cui i ceti pri-vilegiati cercano stornare le minacce che si addensanosul loro capo.

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È questo il fattore spirituale che piú ha fatto difettoper il passato, altrimenti non avrebbe dovuto essere pos-sibile il confluire di tutti i movimenti meridionali neltrasformismo: è questo, quindi, il fattore che piú si deverafforzare per il futuro.

Varrà certo molto di piú il riuscire a organizzare unmovimento senza eccessive pretese numeriche, ma com-pleto nel suo spirito di contrapposizione, che una dellesolite infornate confusionarie, che disperdono nell'allu-vione i pochi germi di vita esistenti.

Soltanto cosí sarà possibile contrapporre alle soluzio-ni storiche una larga serie di soluzioni ideali, affidateall'elaborazione di uomini che abbiano bandita l'idea delsuccesso immediato, appunto perché nella severità delloro spirito hanno scartata l'adesione ai partiti dalle faci-li conquiste governative o anche soltanto dalle realizza-zioni probabili, per dedicarsi, invece, a una lotta di lun-ga mano e di difficile esecuzione.

Anche se una intera generazione dovesse esaurirsinell'agitazione di questo problema secolare, in manierada riuscire a imporlo all'attenzione di tutti gli italiani, epotesse, nel suo declinare, assistere a un trionfo soltantoideale, perché effettuato dalla generazione seguente,avrebbe sempre ben meritato della patria, sacrificando lefortune personali al grande compito di immettere final-mente il Mezzogiorno nella politica italiana.

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È questo il fattore spirituale che piú ha fatto difettoper il passato, altrimenti non avrebbe dovuto essere pos-sibile il confluire di tutti i movimenti meridionali neltrasformismo: è questo, quindi, il fattore che piú si deverafforzare per il futuro.

Varrà certo molto di piú il riuscire a organizzare unmovimento senza eccessive pretese numeriche, ma com-pleto nel suo spirito di contrapposizione, che una dellesolite infornate confusionarie, che disperdono nell'allu-vione i pochi germi di vita esistenti.

Soltanto cosí sarà possibile contrapporre alle soluzio-ni storiche una larga serie di soluzioni ideali, affidateall'elaborazione di uomini che abbiano bandita l'idea delsuccesso immediato, appunto perché nella severità delloro spirito hanno scartata l'adesione ai partiti dalle faci-li conquiste governative o anche soltanto dalle realizza-zioni probabili, per dedicarsi, invece, a una lotta di lun-ga mano e di difficile esecuzione.

Anche se una intera generazione dovesse esaurirsinell'agitazione di questo problema secolare, in manierada riuscire a imporlo all'attenzione di tutti gli italiani, epotesse, nel suo declinare, assistere a un trionfo soltantoideale, perché effettuato dalla generazione seguente,avrebbe sempre ben meritato della patria, sacrificando lefortune personali al grande compito di immettere final-mente il Mezzogiorno nella politica italiana.

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«Self-government» meridionale e particolarismo.Quest'affermazione ci porta sul terreno piú proprio

dell'autonomismo, e chiarisce la necessità da parte delpopolo meridionale di conquistarsi il self-government, eelaborarne le soluzioni pratiche in contraddizione apertaa tutte le esigenze del paternalismo.

Ora, il self-government, prima che nelle istituzioni enelle leggi, deve nascere nello spirito dei cittadini, èfunzione critica di distacco da ogni forma di autorità chenon sia l'autorità della libertà, è contrapposizione a tuttele forme di violenza, è insomma armonia di libere co-scienze che tutelano i loro interessi legittimamente con-quistati.

E la stessa parola «autonomismo», significando que-sto distacco spirituale, si palesa forma sufficiente a com-prendere tutte le necessità etiche del governo diretto.

Il problemismo salveminiano e in generale la criticadei meridionalisti ci hanno fornito la base di molte solu-zioni particolari, ma spetta all'autonomismo operare lasintesi e postulare quello stato di animo che possa tra-sfondere il pensiero nell'azione.

Nel momento presente, dopo l'opera distruttiva del fa-scismo che ha corroso le basi storiche del trasformismoe del personalismo, svelandone la miseria morale el'insufficienza politica, e durante la fase di soluzioni dicontinuità che gli sussegue, l'autonomismo si presentapadrone del campo e capace di riempire il vuoto dellecoscienze.

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«Self-government» meridionale e particolarismo.Quest'affermazione ci porta sul terreno piú proprio

dell'autonomismo, e chiarisce la necessità da parte delpopolo meridionale di conquistarsi il self-government, eelaborarne le soluzioni pratiche in contraddizione apertaa tutte le esigenze del paternalismo.

Ora, il self-government, prima che nelle istituzioni enelle leggi, deve nascere nello spirito dei cittadini, èfunzione critica di distacco da ogni forma di autorità chenon sia l'autorità della libertà, è contrapposizione a tuttele forme di violenza, è insomma armonia di libere co-scienze che tutelano i loro interessi legittimamente con-quistati.

E la stessa parola «autonomismo», significando que-sto distacco spirituale, si palesa forma sufficiente a com-prendere tutte le necessità etiche del governo diretto.

Il problemismo salveminiano e in generale la criticadei meridionalisti ci hanno fornito la base di molte solu-zioni particolari, ma spetta all'autonomismo operare lasintesi e postulare quello stato di animo che possa tra-sfondere il pensiero nell'azione.

Nel momento presente, dopo l'opera distruttiva del fa-scismo che ha corroso le basi storiche del trasformismoe del personalismo, svelandone la miseria morale el'insufficienza politica, e durante la fase di soluzioni dicontinuità che gli sussegue, l'autonomismo si presentapadrone del campo e capace di riempire il vuoto dellecoscienze.

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Se il popolo meridionale è finalmente compreso dellanecessità di fabbricarsi da se stesso il proprio destino edi abbandonare la triste abitudine di attendere dallaProvvidenza divina o dal governo la carità, questo mo-mento non dovrebbe passare invano e la lezione fascistadovrebbe giovare a qualche cosa.

I migliori figli del Mezzogiorno, che vivono ognigiorno in se stessi questa terribile tragedia politica che èla questione meridionale, aspettano con ansia i segni au-gurali per iniziare questa colossale impresa di civiltà, etemono nel piú riposto angolo del cuore che i loro ragio-namenti non siano frutto di fantasia.

Ma questa stessa disposizione psicologica delle élite,questa segreta passione di sogno sposata al piú arido ra-zionalismo io penso sia il primo segno di una matura-zione, che, in ogni caso, richiederà sforzi molteplici elungo decorso di tempo.

Rotto il sistema del trasformismo e del personalismoe costretto dal fascismo a una lotta unitaria dal cui sche-letro la violenza secolare è balzata fuori senza veli, ilMezzogiorno si è quasi ripiegato su se stesso per ripen-sare la sua sventura, e trarre insegnamento e propositivirili per il domani. Questo stato d'animo è la prima fasedi quel processo di autonomia che noi invochiamo dallastoria, con ardore di credenti nella sua missione. Né sidica che tale stato d'animo sia particolarista e perciò dacombattersi, perché, anche se lo fosse, rappresenterebbesempre un progresso rispetto al passato.

Forse uno dei sintomi maggiori dell'immaturità italia-

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Se il popolo meridionale è finalmente compreso dellanecessità di fabbricarsi da se stesso il proprio destino edi abbandonare la triste abitudine di attendere dallaProvvidenza divina o dal governo la carità, questo mo-mento non dovrebbe passare invano e la lezione fascistadovrebbe giovare a qualche cosa.

I migliori figli del Mezzogiorno, che vivono ognigiorno in se stessi questa terribile tragedia politica che èla questione meridionale, aspettano con ansia i segni au-gurali per iniziare questa colossale impresa di civiltà, etemono nel piú riposto angolo del cuore che i loro ragio-namenti non siano frutto di fantasia.

Ma questa stessa disposizione psicologica delle élite,questa segreta passione di sogno sposata al piú arido ra-zionalismo io penso sia il primo segno di una matura-zione, che, in ogni caso, richiederà sforzi molteplici elungo decorso di tempo.

Rotto il sistema del trasformismo e del personalismoe costretto dal fascismo a una lotta unitaria dal cui sche-letro la violenza secolare è balzata fuori senza veli, ilMezzogiorno si è quasi ripiegato su se stesso per ripen-sare la sua sventura, e trarre insegnamento e propositivirili per il domani. Questo stato d'animo è la prima fasedi quel processo di autonomia che noi invochiamo dallastoria, con ardore di credenti nella sua missione. Né sidica che tale stato d'animo sia particolarista e perciò dacombattersi, perché, anche se lo fosse, rappresenterebbesempre un progresso rispetto al passato.

Forse uno dei sintomi maggiori dell'immaturità italia-

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na è stato l'assenza di particolarismi politici pur dopol'unificazione di sette Stati: indice questo che, all'infuoridel Piemonte, in nessun'altra regione d'Italia era matura-ta una classe politica nettamente definita, e che l'unitàdell'azione statale restò affidata soltanto alla burocrazia.

Ma se sarà necessario attraversare una fase di vero eproprio particolarismo politico, io credo che i meridio-nali non dovrebbero assolutamente temere le specula-zioni che intorno al vocabolo o alle sue deviazioni certa-mente tenteranno i falsi sacerdoti dell'unità italiana, per-ché niente è piú santo del particolarismo quando si ren-da necessario per combattere ingorde oligarchie.

Autonomismo e separatismo.Ma l'autonomismo non è né particolarismo né separa-

tismo. È invece una dottrina politica diretta a raggiunge-re una piú intima e profonda unità. Sotto questo profiloè anzi l'unica corrente che continui idealisticamente latradizione del Risorgimento e soltanto i ladri del Nord, ei loro manutengoli politici e giornalistici, potrebbero inmalinconici accessi atrabiliari negare questa volontà.

L'Italia è ormai fatta da settant'anni e nessuno pensadi disfarla, la sua unità si è rafforzata potentemente nellarecente guerra, che ha visto combattere e morire, uno afianco dell'altro, i figli di tutte le regioni, e ha livellatole aspirazioni di tutti i cittadini nelle ore della trepida-zione e della fede.

Ma appunto queste comuni benemerenze e questi sa-

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na è stato l'assenza di particolarismi politici pur dopol'unificazione di sette Stati: indice questo che, all'infuoridel Piemonte, in nessun'altra regione d'Italia era matura-ta una classe politica nettamente definita, e che l'unitàdell'azione statale restò affidata soltanto alla burocrazia.

Ma se sarà necessario attraversare una fase di vero eproprio particolarismo politico, io credo che i meridio-nali non dovrebbero assolutamente temere le specula-zioni che intorno al vocabolo o alle sue deviazioni certa-mente tenteranno i falsi sacerdoti dell'unità italiana, per-ché niente è piú santo del particolarismo quando si ren-da necessario per combattere ingorde oligarchie.

Autonomismo e separatismo.Ma l'autonomismo non è né particolarismo né separa-

tismo. È invece una dottrina politica diretta a raggiunge-re una piú intima e profonda unità. Sotto questo profiloè anzi l'unica corrente che continui idealisticamente latradizione del Risorgimento e soltanto i ladri del Nord, ei loro manutengoli politici e giornalistici, potrebbero inmalinconici accessi atrabiliari negare questa volontà.

L'Italia è ormai fatta da settant'anni e nessuno pensadi disfarla, la sua unità si è rafforzata potentemente nellarecente guerra, che ha visto combattere e morire, uno afianco dell'altro, i figli di tutte le regioni, e ha livellatole aspirazioni di tutti i cittadini nelle ore della trepida-zione e della fede.

Ma appunto queste comuni benemerenze e questi sa-

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crifici danno ogni diritto alle genti meridionali di esige-re la distruzione del vecchio organismo economico-poli-tico, attraverso cui le oligarchie del Nord sono riuscite acreare una vera e propria dittatura ai danni del Mezzo-giorno, dissanguandolo economicamente e non educan-dolo politicamente.

Quest'azione è bene il prosieguo e il completamentodella guerra combattuta; e nessuno può dubitare dellapurezza della fede civile dei meridionali, quando la loroitalianità ha dato cosí fulgidi esempi sui campi di batta-glia.

Ormai non esistono piú cervelli reazionari che conce-piscano l'autonomismo come tentativo di rompere l'uni-tà dello Stato, ma non debbono nemmeno esistere piúcervelli che concepiscano l'unità nazionale, sacra e indi-struttibile per tutte le genti italiane, come mezzo percontinuare. lo sgoverno attuale e il progressivo impove-rimento del Mezzogiorno.

La soluzione del problema meridionale quindi nonpotrà avvenire se non sul terreno dell'autonomismo.Ogni altro tentativo o ci conduce nel vecchio schemadella carità statale o minaccia di sbalzarci nel separati-smo.

Autonomismo, federalismo e regionalismo.L'autonomismo è, dunque, un sistema e un metodo di

lotta esclusivamente politico. Esso non deve confonder-si col federalismo e col regionalismo, che sono conce-

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crifici danno ogni diritto alle genti meridionali di esige-re la distruzione del vecchio organismo economico-poli-tico, attraverso cui le oligarchie del Nord sono riuscite acreare una vera e propria dittatura ai danni del Mezzo-giorno, dissanguandolo economicamente e non educan-dolo politicamente.

Quest'azione è bene il prosieguo e il completamentodella guerra combattuta; e nessuno può dubitare dellapurezza della fede civile dei meridionali, quando la loroitalianità ha dato cosí fulgidi esempi sui campi di batta-glia.

Ormai non esistono piú cervelli reazionari che conce-piscano l'autonomismo come tentativo di rompere l'uni-tà dello Stato, ma non debbono nemmeno esistere piúcervelli che concepiscano l'unità nazionale, sacra e indi-struttibile per tutte le genti italiane, come mezzo percontinuare. lo sgoverno attuale e il progressivo impove-rimento del Mezzogiorno.

La soluzione del problema meridionale quindi nonpotrà avvenire se non sul terreno dell'autonomismo.Ogni altro tentativo o ci conduce nel vecchio schemadella carità statale o minaccia di sbalzarci nel separati-smo.

Autonomismo, federalismo e regionalismo.L'autonomismo è, dunque, un sistema e un metodo di

lotta esclusivamente politico. Esso non deve confonder-si col federalismo e col regionalismo, che sono conce-

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zioni che eccedono il campo politico sconfinando sulterreno costituzionale o istituzionale.

Non deve confondersi col federalismo perché vuolecorreggere le soluzioni storiche senza rimettere in onorel'idea di una federazione di Stati, fallita attraverso tuttoil Risorgimento, e che, se si tentasse oggi, sarebbe unesperimento di cui non è possibile calcolare i vantaggi epiú ancora gli svantaggi.

D'altra parte l'autonomismo vuole integrare lo Statostorico per obbligarlo a riparare le deficienze tradiziona-li, capovolgendo contro le minoranze la situazione crea-ta dall'assenza delle maggioranze.

L'idea dello Stato federale, quindi, costituirebbe, al-meno per ora, un'inutile complicazione allo sviluppo diquesto processo politico cosí semplice.

Non deve poi l'autonomismo confondersi con il regio-nalismo perché esso crede che le cause del male sianopiú profonde del cattivo ordinamento istituzionale, e cheil nascere dello Stato burocratico-accentratore costitui-sca storicamente il risultato della immaturità italianaalla lotta politica, piuttosto che la causa di tale immatu-rità, e che l'accentramento sia destinato a scomparirenon appena l'azione dei partiti di massa controbilanceràl'importanza eccessiva assunta dalla pubblica ammini-strazione in Italia.

L'autonomismo, come si vede, non ha pregiudizi co-stituzionali e istituzionali da imporre, perché riconosceche tutte le pregiudiziali costituiscono un impaccio perl'azione piuttosto che un aiuto. Esso dovrà rappresentare

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zioni che eccedono il campo politico sconfinando sulterreno costituzionale o istituzionale.

Non deve confondersi col federalismo perché vuolecorreggere le soluzioni storiche senza rimettere in onorel'idea di una federazione di Stati, fallita attraverso tuttoil Risorgimento, e che, se si tentasse oggi, sarebbe unesperimento di cui non è possibile calcolare i vantaggi epiú ancora gli svantaggi.

D'altra parte l'autonomismo vuole integrare lo Statostorico per obbligarlo a riparare le deficienze tradiziona-li, capovolgendo contro le minoranze la situazione crea-ta dall'assenza delle maggioranze.

L'idea dello Stato federale, quindi, costituirebbe, al-meno per ora, un'inutile complicazione allo sviluppo diquesto processo politico cosí semplice.

Non deve poi l'autonomismo confondersi con il regio-nalismo perché esso crede che le cause del male sianopiú profonde del cattivo ordinamento istituzionale, e cheil nascere dello Stato burocratico-accentratore costitui-sca storicamente il risultato della immaturità italianaalla lotta politica, piuttosto che la causa di tale immatu-rità, e che l'accentramento sia destinato a scomparirenon appena l'azione dei partiti di massa controbilanceràl'importanza eccessiva assunta dalla pubblica ammini-strazione in Italia.

L'autonomismo, come si vede, non ha pregiudizi co-stituzionali e istituzionali da imporre, perché riconosceche tutte le pregiudiziali costituiscono un impaccio perl'azione piuttosto che un aiuto. Esso dovrà rappresentare

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il piú profondo e serio tentativo di capovolgere in tutti icampi le basi storiche dello Stato, per completare la ri-voluzione liberale del Risorgimento anche a vantaggiodelle popolazioni meridionali, e perciò potrà anche per-venire sul terreno delle riforme federaliste o regionali-ste, senza però che questi obiettivi debbano esser postiall'inizio dell'azione come mete da raggiungere a ognicosto.

Tuttavia queste tre dottrine, cosí come sono germo-gliate dall'unico tronco della critica all'unitarismo stori-co, hanno un contenuto fondamentale unico che affratel-la i rispettivi seguaci e che dovrà farli collaborare allagrande opera di rinnovamento nazionale.

Queste considerazioni ricevono piú ampia conferma,quando si rifletta che la colorazione federalista o regio-nalista di un futuro partito autonomista potrebbe com-plicare notevolmente i rapporti con altri partiti che of-frissero la collaborazione nella lotta contro lo Stato sto-rico.

Particolarmente delicati potrebbero divenire i rapporticon un partito di contadini settentrionali, che non sia unsemplice aggregato di deputati cumulanti i loro seguitipersonali, ma sia un organismo costrutto in modo da farsentire nell'azione dello Stato tutto il peso che anche lemasse rurali del Nord dovranno avere nella vita colletti-va.

In tal caso i benefici effetti che una collaborazione deidue partiti potrebbe produrre, non soltanto nel campoeconomico ma anche in quello politico e istituzionale,

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il piú profondo e serio tentativo di capovolgere in tutti icampi le basi storiche dello Stato, per completare la ri-voluzione liberale del Risorgimento anche a vantaggiodelle popolazioni meridionali, e perciò potrà anche per-venire sul terreno delle riforme federaliste o regionali-ste, senza però che questi obiettivi debbano esser postiall'inizio dell'azione come mete da raggiungere a ognicosto.

Tuttavia queste tre dottrine, cosí come sono germo-gliate dall'unico tronco della critica all'unitarismo stori-co, hanno un contenuto fondamentale unico che affratel-la i rispettivi seguaci e che dovrà farli collaborare allagrande opera di rinnovamento nazionale.

Queste considerazioni ricevono piú ampia conferma,quando si rifletta che la colorazione federalista o regio-nalista di un futuro partito autonomista potrebbe com-plicare notevolmente i rapporti con altri partiti che of-frissero la collaborazione nella lotta contro lo Stato sto-rico.

Particolarmente delicati potrebbero divenire i rapporticon un partito di contadini settentrionali, che non sia unsemplice aggregato di deputati cumulanti i loro seguitipersonali, ma sia un organismo costrutto in modo da farsentire nell'azione dello Stato tutto il peso che anche lemasse rurali del Nord dovranno avere nella vita colletti-va.

In tal caso i benefici effetti che una collaborazione deidue partiti potrebbe produrre, non soltanto nel campoeconomico ma anche in quello politico e istituzionale,

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potrebbero essere frustrati da pregiudizi puramente for-mali senza profondo contenuto sostanziale.

Cosí del pari avverrebbe nei riguardi degli altri partitistorici. Se questi sono attualmente da combattere, non èdetto che la loro posizione teorica e soprattutto la loroazione politica debba rimanere sempre com'è oggi. Essipotranno avvicinarsi notevolmente alle nostre concezio-ni, proporre soluzioni tattiche e anche strategiche digrande utilità e quindi non sarebbe prudente avvolgersiin pregiudiziali che non costituiscono il fondamentodell'autonomismo, e che potrebbero un giorno essered'impaccio piuttosto che di aiuto per operare quella sin-tesi di forze politiche, su cui dovrà porre le sue incrolla-bili fondamenta il nuovo Stato italiano.

Frutto della vera volontà nazionale, vissuto e ripensa-to nella coscienza di ogni cittadino, anzi creato dallosforzo e dalla lotta che le maggioranze avranno dovutocombattere contro le oligarchie, lo Stato italiano saràveramente etico e la sua forma esteriore, il suo contenu-to istituzionale saranno rispondenti al genio della stirpee alle supreme esigenze della libertà.

Il Partito sardo d'azione.Del resto un partito autonomista già esiste e ha dato

non dubbie prove di vitalità: il Partito sardo d'azione. Dapoco tempo gli si è aggiunto quello lucano, che, pur at-traverso la compressione fascista e le difficoltà intrinse-che a ogni simile impresa, ha raggiunto qualche sensibi-

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potrebbero essere frustrati da pregiudizi puramente for-mali senza profondo contenuto sostanziale.

Cosí del pari avverrebbe nei riguardi degli altri partitistorici. Se questi sono attualmente da combattere, non èdetto che la loro posizione teorica e soprattutto la loroazione politica debba rimanere sempre com'è oggi. Essipotranno avvicinarsi notevolmente alle nostre concezio-ni, proporre soluzioni tattiche e anche strategiche digrande utilità e quindi non sarebbe prudente avvolgersiin pregiudiziali che non costituiscono il fondamentodell'autonomismo, e che potrebbero un giorno essered'impaccio piuttosto che di aiuto per operare quella sin-tesi di forze politiche, su cui dovrà porre le sue incrolla-bili fondamenta il nuovo Stato italiano.

Frutto della vera volontà nazionale, vissuto e ripensa-to nella coscienza di ogni cittadino, anzi creato dallosforzo e dalla lotta che le maggioranze avranno dovutocombattere contro le oligarchie, lo Stato italiano saràveramente etico e la sua forma esteriore, il suo contenu-to istituzionale saranno rispondenti al genio della stirpee alle supreme esigenze della libertà.

Il Partito sardo d'azione.Del resto un partito autonomista già esiste e ha dato

non dubbie prove di vitalità: il Partito sardo d'azione. Dapoco tempo gli si è aggiunto quello lucano, che, pur at-traverso la compressione fascista e le difficoltà intrinse-che a ogni simile impresa, ha raggiunto qualche sensibi-

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le successo.Trattasi di movimenti che svelano stati d'animo assai

estesi, e, come ho detto all'inizio di questo capitolo,svolgono la loro azione con metodi essenzialmente poli-tici senza preoccupazioni di setta o di scuola.

Specialmente il Partito sardo ha dimostrato una vitali-tà irresistibile che il fascismo non è riuscito a fiaccare.Infatti, se vi è qualcosa di antitetico al fascismo è pro-prio il sardismo: l'uno, estremo tentativo di lottadell'unitarismo storico, anche contro la propria leggemorale e giuridica; l'altro, primo tentativo di lotta dellenuove generazioni isolane avide di benessere e di liber-tà. L'esperimento può dirsi confortante e fa sperare chenon sia distante il momento in cui la questione meridio-nale diverrà l'epicentro della rivoluzione italiana, confe-rendole quella concretezza finora mancata a tutti i movi-menti affiorati dal caos della nostra storia postbellica.

Tuttavia, se il Partito sardo d'azione costituisce la for-mazione d'avanguardia della futura azione autonomista,e la sua intransigenza contro gli eventi piú eccezionali ciconsolida nella convinzione che cominciano a prodursinelle popolazioni meridionali stati d'animo profonda-mente antitrasformisti, non bisogna nascondersi chequesto luminoso esempio rimarrà assolutamente sterilese non riuscirà a estendersi nella Sicilia e nel Mezzo-giorno continentale, magari attraverso una federazionedi partiti regionali, che riflettano nell'unità dell'azionemeridionalista la diversità delle singole situazioni locali,senza mutilazioni arbitrarie o compressioni dannose.

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le successo.Trattasi di movimenti che svelano stati d'animo assai

estesi, e, come ho detto all'inizio di questo capitolo,svolgono la loro azione con metodi essenzialmente poli-tici senza preoccupazioni di setta o di scuola.

Specialmente il Partito sardo ha dimostrato una vitali-tà irresistibile che il fascismo non è riuscito a fiaccare.Infatti, se vi è qualcosa di antitetico al fascismo è pro-prio il sardismo: l'uno, estremo tentativo di lottadell'unitarismo storico, anche contro la propria leggemorale e giuridica; l'altro, primo tentativo di lotta dellenuove generazioni isolane avide di benessere e di liber-tà. L'esperimento può dirsi confortante e fa sperare chenon sia distante il momento in cui la questione meridio-nale diverrà l'epicentro della rivoluzione italiana, confe-rendole quella concretezza finora mancata a tutti i movi-menti affiorati dal caos della nostra storia postbellica.

Tuttavia, se il Partito sardo d'azione costituisce la for-mazione d'avanguardia della futura azione autonomista,e la sua intransigenza contro gli eventi piú eccezionali ciconsolida nella convinzione che cominciano a prodursinelle popolazioni meridionali stati d'animo profonda-mente antitrasformisti, non bisogna nascondersi chequesto luminoso esempio rimarrà assolutamente sterilese non riuscirà a estendersi nella Sicilia e nel Mezzo-giorno continentale, magari attraverso una federazionedi partiti regionali, che riflettano nell'unità dell'azionemeridionalista la diversità delle singole situazioni locali,senza mutilazioni arbitrarie o compressioni dannose.

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Forse l'insularità e la maggiore sensibilità per il libe-rismo, dipendente dalla peculiare economia dell'isola,unite al mito combattentistico della Brigata Sassari, e alforte ascendente che la suggestiva personalità di EmilioLussu produce sulle folle, hanno contribuito a produrrein Sardegna, prima che altrove, quella autonomia spiri-tuale che abbiamo visto essere la prima forma di matu-razione di bisogni politici piú complessi, sicché l'assen-za delle rimanenti terre meridionali è dovuta semplice-mente a una questione di tempo; ma ormai dev'esserechiaro a tutti gli spiriti sanamente e fattivamente meri-dionalisti che tale stato di incertezza e di assenza fini-rebbe per stroncare il fiero spirito del sardismo se do-vesse ulteriormente prolungarsi.

Appello ai giovani del Mezzogiorno.Questo è un libro piú che altro di storia e di critica

politica e perciò non può eccedere i limiti consentiti datale sua natura. Non può conseguentemente disegnare intutti i suoi particolari l'ossatura di un partito, che doven-do essere un organo di vita collettiva deve nascere piúdai prepotenti bisogni dell'azione che dalle solitarieastrazioni della teoria. Ma appunto perciò occorre che igiovani, i quali hanno già dato qualche segno di non vo-ler seguire le linee di sviluppo della tradizione dei padri,escano dallo stato di fatalismo, che incombe sulle animemeridionali, per dimostrare che le élite del Sud non sonocostituite soltanto da speculatori geniali capaci di antici-

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Forse l'insularità e la maggiore sensibilità per il libe-rismo, dipendente dalla peculiare economia dell'isola,unite al mito combattentistico della Brigata Sassari, e alforte ascendente che la suggestiva personalità di EmilioLussu produce sulle folle, hanno contribuito a produrrein Sardegna, prima che altrove, quella autonomia spiri-tuale che abbiamo visto essere la prima forma di matu-razione di bisogni politici piú complessi, sicché l'assen-za delle rimanenti terre meridionali è dovuta semplice-mente a una questione di tempo; ma ormai dev'esserechiaro a tutti gli spiriti sanamente e fattivamente meri-dionalisti che tale stato di incertezza e di assenza fini-rebbe per stroncare il fiero spirito del sardismo se do-vesse ulteriormente prolungarsi.

Appello ai giovani del Mezzogiorno.Questo è un libro piú che altro di storia e di critica

politica e perciò non può eccedere i limiti consentiti datale sua natura. Non può conseguentemente disegnare intutti i suoi particolari l'ossatura di un partito, che doven-do essere un organo di vita collettiva deve nascere piúdai prepotenti bisogni dell'azione che dalle solitarieastrazioni della teoria. Ma appunto perciò occorre che igiovani, i quali hanno già dato qualche segno di non vo-ler seguire le linee di sviluppo della tradizione dei padri,escano dallo stato di fatalismo, che incombe sulle animemeridionali, per dimostrare che le élite del Sud non sonocostituite soltanto da speculatori geniali capaci di antici-

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pare di secoli le grandi scoperte del pensiero umano, masono costituite anche da uomini di azione, capaci altresídi compiere il miracolo di svegliare un popolo di morti.Siamo grati ai pensatori di nostra gente che hanno sapu-to compiere grandi esperienze spirituali famose nellastoria del pensiero umano: ma saremo assai piú gratiagli uomini di azione che spingeranno il nostro popolo acompiere esperienze collettive, se non maggiori, per lomeno eguali a quelle individuali.

Certo il cammino è lungo e pieno di ostacoli, masembra che sia già affiorata una generazione capace dispezzare gli ultimi ceppi del feudalismo.

Incomincia anche per il Mezzogiorno l'evo moderno.

Avellino, 15 dicembre 1924.

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pare di secoli le grandi scoperte del pensiero umano, masono costituite anche da uomini di azione, capaci altresídi compiere il miracolo di svegliare un popolo di morti.Siamo grati ai pensatori di nostra gente che hanno sapu-to compiere grandi esperienze spirituali famose nellastoria del pensiero umano: ma saremo assai piú gratiagli uomini di azione che spingeranno il nostro popolo acompiere esperienze collettive, se non maggiori, per lomeno eguali a quelle individuali.

Certo il cammino è lungo e pieno di ostacoli, masembra che sia già affiorata una generazione capace dispezzare gli ultimi ceppi del feudalismo.

Incomincia anche per il Mezzogiorno l'evo moderno.

Avellino, 15 dicembre 1924.

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Appendice primaIl fascismo visto dal Sud

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Appendice primaIl fascismo visto dal Sud

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Trasformismo prefascista e fascista

Le difficoltà elettorali del fascismo nel Mezzogiornod'Italia hanno richiamato l'attenzione degli scrittori dicose politiche sul perché le nostre contrade resistonocosí accanitamente alla permeazione delle varie correntiideologiche che, nate nella valle padana – cioè in unaregione ove il capitalismo ha già fatto i primi passi –pretendono allargarsi nel rimanente d'Italia ancora inuna fase precapitalistica.

Noi non vogliamo, occupandoci di questo che vienedefinito il problema politico di maggiore attualità, darsoverchio peso alle notizie e alle intuizioni che non ec-cedono il dato immediatamente elettoralistico, ma cre-diamo utile esaminare volta per volta quelle spiegazioniche pretendono assurgere a importanza di tesi, e cheperciò richiedono accurato vaglio critico prima di acqui-star diritto di cittadinanza nel regno della teoria politica.

Ci occuperemo, quindi, in questo articolo, dell'inter-pretazione che il senatore Olindo Malagodi nella «Tri-

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Trasformismo prefascista e fascista

Le difficoltà elettorali del fascismo nel Mezzogiornod'Italia hanno richiamato l'attenzione degli scrittori dicose politiche sul perché le nostre contrade resistonocosí accanitamente alla permeazione delle varie correntiideologiche che, nate nella valle padana – cioè in unaregione ove il capitalismo ha già fatto i primi passi –pretendono allargarsi nel rimanente d'Italia ancora inuna fase precapitalistica.

Noi non vogliamo, occupandoci di questo che vienedefinito il problema politico di maggiore attualità, darsoverchio peso alle notizie e alle intuizioni che non ec-cedono il dato immediatamente elettoralistico, ma cre-diamo utile esaminare volta per volta quelle spiegazioniche pretendono assurgere a importanza di tesi, e cheperciò richiedono accurato vaglio critico prima di acqui-star diritto di cittadinanza nel regno della teoria politica.

Ci occuperemo, quindi, in questo articolo, dell'inter-pretazione che il senatore Olindo Malagodi nella «Tri-

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buna» del 7 corr. ha creduto di dare circa il nuovo aspet-to della questione meridionale.

Secondo l'ex direttore della «Tribuna» i critici dellaquestione meridionale mordono nella realtà quando at-tribuiscono la mancanza di penetrazione delle grandicorrenti politiche contemporanee nella Vandea d'Italia –cosí come, con appellativo socialista, viene tuttora chia-mato il Mezzogiorno – al predominio del personalismo«sentimentale o interessato, col conseguente provinciali-smo e campanilismo». E maggiormente mordono larealtà quando affermano che «questa polvere di elettinon impegnati in un programma d'idee e non inquadratiin una organizzazione di partito, andava, fatalmente, acadere, a Montecitorio, sotto le mani sapienti dei diversigoverni», per cui «ne provenivano dei capi autorevolinel loro isolamento, e degli ascari per la semplice scher-maglia parlamentare».

Ma questi rilievi e queste critiche che «fondamental-mente corrispondono alla realtà» sarebbero spinti, se-condo il Malagodi, a una conseguenza assurda, perchéerroneamente si asserirebbe da parte dei critici l'inferio-rità del sistema politico personalistico rispetto al sistemadi partito.

Invece lo scrittore propone, appoggiandosi cosí comeconfessa, a una preferenza istintiva, una revisione di taledommatica affermazione, considerando «la politica me-ridionale in blocco, pei suoi effetti generali sulla vitadella nazione» che «nel loro assieme» sono stati «saluta-

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buna» del 7 corr. ha creduto di dare circa il nuovo aspet-to della questione meridionale.

Secondo l'ex direttore della «Tribuna» i critici dellaquestione meridionale mordono nella realtà quando at-tribuiscono la mancanza di penetrazione delle grandicorrenti politiche contemporanee nella Vandea d'Italia –cosí come, con appellativo socialista, viene tuttora chia-mato il Mezzogiorno – al predominio del personalismo«sentimentale o interessato, col conseguente provinciali-smo e campanilismo». E maggiormente mordono larealtà quando affermano che «questa polvere di elettinon impegnati in un programma d'idee e non inquadratiin una organizzazione di partito, andava, fatalmente, acadere, a Montecitorio, sotto le mani sapienti dei diversigoverni», per cui «ne provenivano dei capi autorevolinel loro isolamento, e degli ascari per la semplice scher-maglia parlamentare».

Ma questi rilievi e queste critiche che «fondamental-mente corrispondono alla realtà» sarebbero spinti, se-condo il Malagodi, a una conseguenza assurda, perchéerroneamente si asserirebbe da parte dei critici l'inferio-rità del sistema politico personalistico rispetto al sistemadi partito.

Invece lo scrittore propone, appoggiandosi cosí comeconfessa, a una preferenza istintiva, una revisione di taledommatica affermazione, considerando «la politica me-ridionale in blocco, pei suoi effetti generali sulla vitadella nazione» che «nel loro assieme» sono stati «saluta-

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ri, e in certi momenti anche provvidenziali».Infatti, aggiunge subito lo scrittore, il Mezzogiorno

d'Italia ha rappresentato il baluardo del regime durantedue elezioni postbelliche e «ha imposto l'altolà alle far-neticazioni ideologiche e agli egoismi interessati dellavita piú fervida del Settentrione. Per queste ragioni, iltranquillo, il bonario conservatorismo meridionale, co-stellato di personalità riccamente intellettuali, ha eserci-tato nei nostri settanta e piú anni di storia nazionale, unafunzione di primaria importanza (?) come moderatore diideologie troppo facilmente accettate e contro gl'interes-si particolari (?) che nella passione dei loro contrastiobliavano quell'interesse generale in cui pure erano fa-talmente inclusi. E rendendo possibili dittature legalinecessarie anzi inevitabili nelle nostre condizioni di svi-luppo, ha riaffermato e consolidato traverso l'appoggiodato ai governi, il principio fondamentale della conce-zione e della pratica statale. E non c'è nessuna ragioneche codesta sua opera non continui nell'avvenire».

Tralasciando, a partito preso, il fondamentale humusantifascista che alimenta la concezione malagodiana, ela sostanziale simpatia per l'ultima «dittatura legale»esistita in Italia (quella giolittiana), e restringendo il no-stro esame alla corretta interpretazione del nuovo aspet-to assunto dalla questione meridionale, non possiamonon rilevare l'arbitrarietà del quesito proposto dal Mala-godi, e, piú ancora, l'arbitrarietà della soluzione adotta-ta.

Anzitutto non è possibile nemmeno in sede di roman-

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ri, e in certi momenti anche provvidenziali».Infatti, aggiunge subito lo scrittore, il Mezzogiorno

d'Italia ha rappresentato il baluardo del regime durantedue elezioni postbelliche e «ha imposto l'altolà alle far-neticazioni ideologiche e agli egoismi interessati dellavita piú fervida del Settentrione. Per queste ragioni, iltranquillo, il bonario conservatorismo meridionale, co-stellato di personalità riccamente intellettuali, ha eserci-tato nei nostri settanta e piú anni di storia nazionale, unafunzione di primaria importanza (?) come moderatore diideologie troppo facilmente accettate e contro gl'interes-si particolari (?) che nella passione dei loro contrastiobliavano quell'interesse generale in cui pure erano fa-talmente inclusi. E rendendo possibili dittature legalinecessarie anzi inevitabili nelle nostre condizioni di svi-luppo, ha riaffermato e consolidato traverso l'appoggiodato ai governi, il principio fondamentale della conce-zione e della pratica statale. E non c'è nessuna ragioneche codesta sua opera non continui nell'avvenire».

Tralasciando, a partito preso, il fondamentale humusantifascista che alimenta la concezione malagodiana, ela sostanziale simpatia per l'ultima «dittatura legale»esistita in Italia (quella giolittiana), e restringendo il no-stro esame alla corretta interpretazione del nuovo aspet-to assunto dalla questione meridionale, non possiamonon rilevare l'arbitrarietà del quesito proposto dal Mala-godi, e, piú ancora, l'arbitrarietà della soluzione adotta-ta.

Anzitutto non è possibile nemmeno in sede di roman-

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zo (tanto meno, poi, in sede di scienza politica) discetta-re del se fosse stato meglio che il Mezzogiorno, uscendodalla fase precapitalistica, della quale il trasformismo èla massima espressione di cerebralità collettiva, avessepartecipato, se non alla elaborazione, per lo meno allacollaborazione con le altre regioni italiane nel campodei grandi miti politici e delle forme istituzionali ineren-ti, oppure fosse restato – come, solo in parte, è restato –immobile nel vecchio quadro delle dittature legali, per-ché non si può nemmeno a cagion di scherzo istituireparagoni tra una riconosciuta realtà d'immaturità politi-ca e un'ipotetica forma di maturità collettiva.

È poi evidente che, mentre il Malagodi, per ragioni dipreferenza istintiva è portato a tentare l'elaborazione diun fatto, qual è la staticità meridionale, su cui la scienzapolitica, dopo le inchieste del Jacini e di Sonnino-Fran-chetti, dopo i libri del Fortunato, del Ciccotti, del Nitti edell'Arias, aveva formulato un giudizio certo e definiti-vo, con tale teoria non riesce a spiegare il perché del fal-limento fascista nel Mezzogiorno, specialmente quandosi pone mente che il fascismo ufficiale, attraverso gliascari meridionali, tenta oggi di sboccare in una di quel-le dittature legali che richiamano la preferenza istintivadel Malagodi e al sostenimento delle quali, secondo lateoria in esame, il Mezzogiorno è destinato a prestareopera anche per il futuro.

Non si spiega, perciò, perché il Mezzogiorno, controla sua tradizione e il suo genio, si ostini oggi a impedirela formazione della nuova dittatura legale fascista.

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zo (tanto meno, poi, in sede di scienza politica) discetta-re del se fosse stato meglio che il Mezzogiorno, uscendodalla fase precapitalistica, della quale il trasformismo èla massima espressione di cerebralità collettiva, avessepartecipato, se non alla elaborazione, per lo meno allacollaborazione con le altre regioni italiane nel campodei grandi miti politici e delle forme istituzionali ineren-ti, oppure fosse restato – come, solo in parte, è restato –immobile nel vecchio quadro delle dittature legali, per-ché non si può nemmeno a cagion di scherzo istituireparagoni tra una riconosciuta realtà d'immaturità politi-ca e un'ipotetica forma di maturità collettiva.

È poi evidente che, mentre il Malagodi, per ragioni dipreferenza istintiva è portato a tentare l'elaborazione diun fatto, qual è la staticità meridionale, su cui la scienzapolitica, dopo le inchieste del Jacini e di Sonnino-Fran-chetti, dopo i libri del Fortunato, del Ciccotti, del Nitti edell'Arias, aveva formulato un giudizio certo e definiti-vo, con tale teoria non riesce a spiegare il perché del fal-limento fascista nel Mezzogiorno, specialmente quandosi pone mente che il fascismo ufficiale, attraverso gliascari meridionali, tenta oggi di sboccare in una di quel-le dittature legali che richiamano la preferenza istintivadel Malagodi e al sostenimento delle quali, secondo lateoria in esame, il Mezzogiorno è destinato a prestareopera anche per il futuro.

Non si spiega, perciò, perché il Mezzogiorno, controla sua tradizione e il suo genio, si ostini oggi a impedirela formazione della nuova dittatura legale fascista.

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La verità, invece, è piú complessa e non può esserenota se non a coloro che nel Mezzogiorno vivono, e,all'infuori delle semplicistiche generalizzazioni, cono-scono la varia realtà meridionale e le sue sfumature.

Nessuno, invero, può negare che il processo trasfor-mistico sia diverso da quello descritto dal Malagodi, macostui ha del tutto trascurato le complicazioni che, intale processo, si sono verificate come conseguenzadell'azione fascista.

Io ho descritto ampiamente in due studi, pubblicatisulla «Rivoluzione Liberale», l'infantile tentativo diemancipazione esplicato nel Mezzogiorno dai combat-tenti prima, e dai fascisti padovaniani poi, e i modi e leforme, attraverso cui la realtà trasformistica, preesisten-te e aderente a quella tale dittatura legale di cui parla ilMalagodi, è riuscita, a volta a volta, a frustrare o impa-dronirsi del movimento, e, perciò, non credo utile ripe-termi.

Dirò, soltanto, perché sia possibile una rapida e com-pleta comprensione del fenomeno, che il fascismo da unanno a questa parte non ha fatto altro che tentare di du-plicare la rappresentanza trasformistica nel Mezzogior-no.

Credendo di creare una nuova classe dirigente unita-ria cioè – come sogliono dire gli scrittori del Nord – disettentrionali del Mezzogiorno, non è riuscito ad altroche a creare una nuova classe trasformistica, la forzadella quale è tuttora riposta nell'opera di mediazione trail governo centrale e le masse inerti. Ne è derivato,

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La verità, invece, è piú complessa e non può esserenota se non a coloro che nel Mezzogiorno vivono, e,all'infuori delle semplicistiche generalizzazioni, cono-scono la varia realtà meridionale e le sue sfumature.

Nessuno, invero, può negare che il processo trasfor-mistico sia diverso da quello descritto dal Malagodi, macostui ha del tutto trascurato le complicazioni che, intale processo, si sono verificate come conseguenzadell'azione fascista.

Io ho descritto ampiamente in due studi, pubblicatisulla «Rivoluzione Liberale», l'infantile tentativo diemancipazione esplicato nel Mezzogiorno dai combat-tenti prima, e dai fascisti padovaniani poi, e i modi e leforme, attraverso cui la realtà trasformistica, preesisten-te e aderente a quella tale dittatura legale di cui parla ilMalagodi, è riuscita, a volta a volta, a frustrare o impa-dronirsi del movimento, e, perciò, non credo utile ripe-termi.

Dirò, soltanto, perché sia possibile una rapida e com-pleta comprensione del fenomeno, che il fascismo da unanno a questa parte non ha fatto altro che tentare di du-plicare la rappresentanza trasformistica nel Mezzogior-no.

Credendo di creare una nuova classe dirigente unita-ria cioè – come sogliono dire gli scrittori del Nord – disettentrionali del Mezzogiorno, non è riuscito ad altroche a creare una nuova classe trasformistica, la forzadella quale è tuttora riposta nell'opera di mediazione trail governo centrale e le masse inerti. Ne è derivato,

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quindi, un giuoco assai interessante, perché, mentre lavecchia classe dirigente rimaneva legata alla dittaturalegale passata, la nuova classe dirigente si veniva a pro-spettare come longa manus della nuova dittatura legalein formazione.

Quindi non si tratta, come pretende il Malagodi, dellalotta tra due principi, di cui uno, e cioè il fascismo, ideo-logicamente intemperante e avverso alla possibilità diinstaurazione di una dittatura legale, e l'altro, cioè il tra-sformismo, ideologicamente temperante e aderente alladittatura stessa, ma si tratta, invece, della lotta di due si-stemi identici, e forse perciò, piú fieramente avversi traloro.

In conseguenza di ciò si determinava questa stranaposizione ideologica: che due correnti politiche, perfet-tamente identiche e come origine e come funzione daassolvere, si presentavano al governo centrale e allemasse rivali nell'opera di mediazione tra i favori gover-nativi e i voti della popolazione, e offrivano contempo-raneamente i loro servigi ai due estremi della catena po-litica.

Senonché il giuoco si presentava, fin dal primo mo-mento, piú favorevole ai vecchi che ai nuovi trasformi-sti, sia perché i primi uscivano da una libera selezione eerano i piú adatti all'ambiente, sia perché il governo cen-trale non poteva indefinitamente attendere la formazioneper decreto ministeriale di una classe dirigente meridio-nale, specialmente quando le vere élite del Mezzogiorno

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quindi, un giuoco assai interessante, perché, mentre lavecchia classe dirigente rimaneva legata alla dittaturalegale passata, la nuova classe dirigente si veniva a pro-spettare come longa manus della nuova dittatura legalein formazione.

Quindi non si tratta, come pretende il Malagodi, dellalotta tra due principi, di cui uno, e cioè il fascismo, ideo-logicamente intemperante e avverso alla possibilità diinstaurazione di una dittatura legale, e l'altro, cioè il tra-sformismo, ideologicamente temperante e aderente alladittatura stessa, ma si tratta, invece, della lotta di due si-stemi identici, e forse perciò, piú fieramente avversi traloro.

In conseguenza di ciò si determinava questa stranaposizione ideologica: che due correnti politiche, perfet-tamente identiche e come origine e come funzione daassolvere, si presentavano al governo centrale e allemasse rivali nell'opera di mediazione tra i favori gover-nativi e i voti della popolazione, e offrivano contempo-raneamente i loro servigi ai due estremi della catena po-litica.

Senonché il giuoco si presentava, fin dal primo mo-mento, piú favorevole ai vecchi che ai nuovi trasformi-sti, sia perché i primi uscivano da una libera selezione eerano i piú adatti all'ambiente, sia perché il governo cen-trale non poteva indefinitamente attendere la formazioneper decreto ministeriale di una classe dirigente meridio-nale, specialmente quando le vere élite del Mezzogiorno

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si mantenevano ostinatamente estranee a tale specie dicontesa politica.

Costretti, infatti, i vecchi trasformisti a brandire comearma di difesa la posizione della coerenza politica, ognioffesa loro recata sembrava diretta alla stessa sovranitàpopolare che, per effetto di pura illusione ottica, appari-va aver sempre costituito l'unica base dei deputatiuscenti.

D'altra parte, poi, il giuoco d'imposizione delle rap-presentanze locali amiche del nuovo governo, svolgen-dosi non per via politica, ma per via militare, scoprivatroppo apertamente l'essenza della questione meridiona-le, e tramutava improvvisamente i facili entusiasmi dellaprima ora per il nuovo governo, in aperta deplorazione.

Attraverso tale giuoco, quindi, non è riuscito difficilealle vecchie classi trasformistiche meridionali di riven-dicare il loro diritto a legarsi alla nuova dittatura legale,cui, dopo la dittatura militare, il fascismo ufficiale staper pervenire.

Tenendo presenti questi rilievi e ampliandoli conquelle osservazioni, che la realtà del momento suggeri-sce, non è difficile intuire la precarietà di ogni soluzioneche i politici governativi sapranno dare alla questione.

Certo, come avviene sempre in casi consimili, si ten-terà di fondere in sintesi eclettica gl'interessi piú nume-rosi e le aspirazioni piú audaci, ma non si potrà piú sa-nare l'errore-base, derivante, per nostra fortuna,dall'incomprensione fascista delle cose meridionali, incui si è aggirato il governo centrale fin'oggi: cioè di

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si mantenevano ostinatamente estranee a tale specie dicontesa politica.

Costretti, infatti, i vecchi trasformisti a brandire comearma di difesa la posizione della coerenza politica, ognioffesa loro recata sembrava diretta alla stessa sovranitàpopolare che, per effetto di pura illusione ottica, appari-va aver sempre costituito l'unica base dei deputatiuscenti.

D'altra parte, poi, il giuoco d'imposizione delle rap-presentanze locali amiche del nuovo governo, svolgen-dosi non per via politica, ma per via militare, scoprivatroppo apertamente l'essenza della questione meridiona-le, e tramutava improvvisamente i facili entusiasmi dellaprima ora per il nuovo governo, in aperta deplorazione.

Attraverso tale giuoco, quindi, non è riuscito difficilealle vecchie classi trasformistiche meridionali di riven-dicare il loro diritto a legarsi alla nuova dittatura legale,cui, dopo la dittatura militare, il fascismo ufficiale staper pervenire.

Tenendo presenti questi rilievi e ampliandoli conquelle osservazioni, che la realtà del momento suggeri-sce, non è difficile intuire la precarietà di ogni soluzioneche i politici governativi sapranno dare alla questione.

Certo, come avviene sempre in casi consimili, si ten-terà di fondere in sintesi eclettica gl'interessi piú nume-rosi e le aspirazioni piú audaci, ma non si potrà piú sa-nare l'errore-base, derivante, per nostra fortuna,dall'incomprensione fascista delle cose meridionali, incui si è aggirato il governo centrale fin'oggi: cioè di

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non aver rinsaldato subito la nuova dittatura con lerappresentanze meridionali e aver scoperto il regimeanche nel Mezzogiorno.

Questo errore politico che, forse, renderà impossibileil ritorno di una nuova dittatura legale di tipo giolittiano,non avrà reso completamente vano l'esperimento fasci-sta nelle nostre regioni.

Ma da tutto ciò alla semplicistica teorizzazionedell'ascarismo giolittiano ci corre assai.

[Dal «Corriere dell'Irpinia» del 21 febbraio 1924]

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non aver rinsaldato subito la nuova dittatura con lerappresentanze meridionali e aver scoperto il regimeanche nel Mezzogiorno.

Questo errore politico che, forse, renderà impossibileil ritorno di una nuova dittatura legale di tipo giolittiano,non avrà reso completamente vano l'esperimento fasci-sta nelle nostre regioni.

Ma da tutto ciò alla semplicistica teorizzazionedell'ascarismo giolittiano ci corre assai.

[Dal «Corriere dell'Irpinia» del 21 febbraio 1924]

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La proporzionale nel Mezzogiorno

Quando F. S. Nitti, lasciandosi convincere dalla pro-paganda socialista e popolare, annunziò di voler presen-tare un progetto di legge per applicare in Italia il sistemadella rappresentanza proporzionale, molti uomini delgiolittismo predissero la rovina della nostra nazione, emolti uomini dell'antigiolittismo vaticinarono invece lasua entrata trionfale nel comodo porto della modernità.

Gli uni guardavano soltanto il pericolo cui andavanoincontro le loro fortune personali; gli altri, invece, scam-biavano le loro aspirazioni di conquista per espressionedi elevatezza politica; ma, in sostanza, il sistema del«trasformismo» non era menomamente minacciato dallereciproche contese, e aspettava ripetute conferme attra-verso i piú svariati congegni elettorali.

Chiunque abbia lume di ragione e sappia ricostruireun periodo di vita, per lo meno con la fantasia, può ri-pensare i ragionamenti di quell'ora sol che inverta gliodierni commenti al ritorno del collegio uninominale,

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La proporzionale nel Mezzogiorno

Quando F. S. Nitti, lasciandosi convincere dalla pro-paganda socialista e popolare, annunziò di voler presen-tare un progetto di legge per applicare in Italia il sistemadella rappresentanza proporzionale, molti uomini delgiolittismo predissero la rovina della nostra nazione, emolti uomini dell'antigiolittismo vaticinarono invece lasua entrata trionfale nel comodo porto della modernità.

Gli uni guardavano soltanto il pericolo cui andavanoincontro le loro fortune personali; gli altri, invece, scam-biavano le loro aspirazioni di conquista per espressionedi elevatezza politica; ma, in sostanza, il sistema del«trasformismo» non era menomamente minacciato dallereciproche contese, e aspettava ripetute conferme attra-verso i piú svariati congegni elettorali.

Chiunque abbia lume di ragione e sappia ricostruireun periodo di vita, per lo meno con la fantasia, può ri-pensare i ragionamenti di quell'ora sol che inverta gliodierni commenti al ritorno del collegio uninominale,

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dalla cui applicazione taluni aspettano conseguenze tau-maturgiche, altri conseguenze rivoluzionarie.

Come gli uomini del 1919 dimenticavano la guerra el'esaltazione bolscevica in atto, il sig. Mussolini dimen-tica oggi la guerra, il bolscevismo e il fascismo, creden-do di poter spegnere la crisi politica del paese nellamare stagnante et croupissante del collegio uninomina-le. E è perciò che, mentre altri scrittori difenderanno suquesta rivista la proporzionale e nella sua opera di giu-stizia distributiva e nella sua alta funzione di manometrodelle correnti politiche nazionali, o crederanno scorgerela sua superiorità nella funzione che le si attribuisce dieccitamento meccanico alla formazione dei grandi parti-ti, io credo assai piú utile rifare a larghi tratti la storiadel funzionamento dell'istituto nel Mezzogiorno, perchéne appaiano chiari, e privi di soprastrutture rettoriche, ilimiti, oltre i quali si ripresentano immutate e immutabi-li le caratteristiche fondamentali della nostra vita politi-ca.

1919: elezioni a circoscrizione provinciale.La legge Nitti, volendo temperare le forti preoccupa-

zioni dei deputati meridionali, timorosi di affrontare bat-taglie politiche fuori della cerchia del collegio infeuda-to, stabilí che le circoscrizioni non potessero averemeno di dieci deputati, e per il primo esperimento con-cesse, quasi in conto riparazioni, che le province con al-meno cinque deputati potessero essere elevate alla di-

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dalla cui applicazione taluni aspettano conseguenze tau-maturgiche, altri conseguenze rivoluzionarie.

Come gli uomini del 1919 dimenticavano la guerra el'esaltazione bolscevica in atto, il sig. Mussolini dimen-tica oggi la guerra, il bolscevismo e il fascismo, creden-do di poter spegnere la crisi politica del paese nellamare stagnante et croupissante del collegio uninomina-le. E è perciò che, mentre altri scrittori difenderanno suquesta rivista la proporzionale e nella sua opera di giu-stizia distributiva e nella sua alta funzione di manometrodelle correnti politiche nazionali, o crederanno scorgerela sua superiorità nella funzione che le si attribuisce dieccitamento meccanico alla formazione dei grandi parti-ti, io credo assai piú utile rifare a larghi tratti la storiadel funzionamento dell'istituto nel Mezzogiorno, perchéne appaiano chiari, e privi di soprastrutture rettoriche, ilimiti, oltre i quali si ripresentano immutate e immutabi-li le caratteristiche fondamentali della nostra vita politi-ca.

1919: elezioni a circoscrizione provinciale.La legge Nitti, volendo temperare le forti preoccupa-

zioni dei deputati meridionali, timorosi di affrontare bat-taglie politiche fuori della cerchia del collegio infeuda-to, stabilí che le circoscrizioni non potessero averemeno di dieci deputati, e per il primo esperimento con-cesse, quasi in conto riparazioni, che le province con al-meno cinque deputati potessero essere elevate alla di-

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gnità di circoscrizione.Ne derivò che in tutto l'ex regno delle Due Sicilie su

24 province ben 23 usufruirono della benevola disposi-zione transitoria e divennero capoluogo di circoscrizio-ne. Soltanto le due province di Benevento e Campobas-so furono fuse in un solo collegio.

Il primo esperimento elettorale nel Mezzogiorno fuperciò caratterizzato dal fatto che le circoscrizioni eranotutte a base provinciale. Questa circostanza rappresentò,in mancanza di partiti organizzati e di chiarificate cor-renti dell'opinione pubblica, il primo criterio di arrocca-mento.

In qualche provincia furono i deputati uscenti che, neltimor panico dell'assalto di nuovi concorrenti, pensaro-no di coalizzarsi in lista unica, munita del tabellionatodell'ufficialità.

Altrove, invece, furono i deputati e gli uomini rivalinei consigli provinciali che pensarono di riprodurre, at-traverso le elezioni politiche, le caratteristiche contrap-posizioni locali.

Un po' dappertutto, poi, uomini nuovi e deputatiuscenti, poco sicuri delle loro forze, temendo la compa-gnia degli assi, giuocarono al quoziente, contornandosidi figure mediocri cui tolsero i voti mandamentali incambio dell'onore di un posto nella lista.

Infine, ovunque scesero in campo i combattenti, opresentando candidati propri, scelti tra i piú audaci nelgiuoco dell'arrembaggio trasformistico, o accodandosispecialmente ai cosiddetti partiti democratici in incon-

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gnità di circoscrizione.Ne derivò che in tutto l'ex regno delle Due Sicilie su

24 province ben 23 usufruirono della benevola disposi-zione transitoria e divennero capoluogo di circoscrizio-ne. Soltanto le due province di Benevento e Campobas-so furono fuse in un solo collegio.

Il primo esperimento elettorale nel Mezzogiorno fuperciò caratterizzato dal fatto che le circoscrizioni eranotutte a base provinciale. Questa circostanza rappresentò,in mancanza di partiti organizzati e di chiarificate cor-renti dell'opinione pubblica, il primo criterio di arrocca-mento.

In qualche provincia furono i deputati uscenti che, neltimor panico dell'assalto di nuovi concorrenti, pensaro-no di coalizzarsi in lista unica, munita del tabellionatodell'ufficialità.

Altrove, invece, furono i deputati e gli uomini rivalinei consigli provinciali che pensarono di riprodurre, at-traverso le elezioni politiche, le caratteristiche contrap-posizioni locali.

Un po' dappertutto, poi, uomini nuovi e deputatiuscenti, poco sicuri delle loro forze, temendo la compa-gnia degli assi, giuocarono al quoziente, contornandosidi figure mediocri cui tolsero i voti mandamentali incambio dell'onore di un posto nella lista.

Infine, ovunque scesero in campo i combattenti, opresentando candidati propri, scelti tra i piú audaci nelgiuoco dell'arrembaggio trasformistico, o accodandosispecialmente ai cosiddetti partiti democratici in incon-

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scia funzione di puntellamento dell'ancien régime. Sen-za soluzioni di continuità, perciò, la lotta trasformisticamirò a riprodursi entro la mutata forma e gli elettori vo-tarono l'una o l'altra lista solo perché conteneva il nomedell'eletto del loro cuore.

Anzi la disposizione legislativa, in virtú della quale ilvoto aggiunto a un candidato di altra lista gli valevacome voto di preferenza, autorizzò i piú atroci connubipersonalistici, che, risaputi, provocarono le piú scanda-lose meraviglie.

Cosí queste deviazioni lungi dal provocare un infre-namento, foss'anche meccanico, del personalismo, nesvelarono, attraverso nuovi orizzonti, le profonde radici.

Né un correttivo a tali deviazioni fu portatodall'ingresso nella lotta politica meridionale dai partitistorici, che pur di arraffare voti, non esitarono a elegge-re le terre del Sud come colonie elettorali, valendosi inbuona parte di uomini che, non avendo seguito persona-le, speravano trar partito da quella forza mitica che ac-compagna gli studiati programmi unitari.

La prima applicazione della proporzionale, perciò, ri-produsse integralmente tutti i difetti e tutta l'infantilitàdella organizzazione politica meridionale, riportando losviluppo elettorale intorno all'asse delle piccole miserieprovinciali.

1921: elezioni a circoscrizione regionale.Nel 1921 i fenomeni di adattamento trasformistico al

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scia funzione di puntellamento dell'ancien régime. Sen-za soluzioni di continuità, perciò, la lotta trasformisticamirò a riprodursi entro la mutata forma e gli elettori vo-tarono l'una o l'altra lista solo perché conteneva il nomedell'eletto del loro cuore.

Anzi la disposizione legislativa, in virtú della quale ilvoto aggiunto a un candidato di altra lista gli valevacome voto di preferenza, autorizzò i piú atroci connubipersonalistici, che, risaputi, provocarono le piú scanda-lose meraviglie.

Cosí queste deviazioni lungi dal provocare un infre-namento, foss'anche meccanico, del personalismo, nesvelarono, attraverso nuovi orizzonti, le profonde radici.

Né un correttivo a tali deviazioni fu portatodall'ingresso nella lotta politica meridionale dai partitistorici, che pur di arraffare voti, non esitarono a elegge-re le terre del Sud come colonie elettorali, valendosi inbuona parte di uomini che, non avendo seguito persona-le, speravano trar partito da quella forza mitica che ac-compagna gli studiati programmi unitari.

La prima applicazione della proporzionale, perciò, ri-produsse integralmente tutti i difetti e tutta l'infantilitàdella organizzazione politica meridionale, riportando losviluppo elettorale intorno all'asse delle piccole miserieprovinciali.

1921: elezioni a circoscrizione regionale.Nel 1921 i fenomeni di adattamento trasformistico al

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meccanismo elettorale si complicarono, per l'applicazio-ne integrale della circoscrizione ultraprovinciale.

Il primo criterio di reazione alla legge fu di naturacampanilistica, la prima preoccupazione degli elettori fudi riassicurare alla propria provincia il numero di seggiassegnati con il collegio uninominale. Entro questoschema poi si precisarono le reazioni di carattere circon-dariale e mandamentale, e infine quelle piú strettamentepersonali.

I mezzi per garantire il raggiungimento di cosí carat-teristici fini furono differenti secondo le diverse circo-stanze di tempo e di luogo.

Cosí qualche provincia, preoccupata, oltre ogni limitedi ragione, di evitare la perdita di qualche seggio nonpermise ai suoi candidati di entrare nelle combinazionielettorali di altre province e preferí arroccarsi in una opiú liste a carattere strettamente provinciale.

Qualche altra provincia, invece, credette convenienteprovocare addirittura un'offensiva facendo entrare i suoicandidati un po' dovunque nelle liste regionali e specu-lando sulla compattezza dei voti preferenziali da asse-gnar loro e sulle lotte intestine dei candidati delle altreprovince. Viceversa i singoli interessati si fecero soste-nitori dell'uno e dell'altro metodo secondo le loro conve-nienze personali, quando non credettero giovarsi del si-stema, già sperimentato nell'elezione precedente, digiuocare al quoziente con la solita listarella, ripiena diambizioni mandamentali.

In sostanza il giuoco personalistico venne dilatato an-

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meccanismo elettorale si complicarono, per l'applicazio-ne integrale della circoscrizione ultraprovinciale.

Il primo criterio di reazione alla legge fu di naturacampanilistica, la prima preoccupazione degli elettori fudi riassicurare alla propria provincia il numero di seggiassegnati con il collegio uninominale. Entro questoschema poi si precisarono le reazioni di carattere circon-dariale e mandamentale, e infine quelle piú strettamentepersonali.

I mezzi per garantire il raggiungimento di cosí carat-teristici fini furono differenti secondo le diverse circo-stanze di tempo e di luogo.

Cosí qualche provincia, preoccupata, oltre ogni limitedi ragione, di evitare la perdita di qualche seggio nonpermise ai suoi candidati di entrare nelle combinazionielettorali di altre province e preferí arroccarsi in una opiú liste a carattere strettamente provinciale.

Qualche altra provincia, invece, credette convenienteprovocare addirittura un'offensiva facendo entrare i suoicandidati un po' dovunque nelle liste regionali e specu-lando sulla compattezza dei voti preferenziali da asse-gnar loro e sulle lotte intestine dei candidati delle altreprovince. Viceversa i singoli interessati si fecero soste-nitori dell'uno e dell'altro metodo secondo le loro conve-nienze personali, quando non credettero giovarsi del si-stema, già sperimentato nell'elezione precedente, digiuocare al quoziente con la solita listarella, ripiena diambizioni mandamentali.

In sostanza il giuoco personalistico venne dilatato an-

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cora verso piú ampi orizzonti e gli elettori tennero co-stantemente fisso lo sguardo sul nome del candidatopreferito. Mutatis mutandis, il trasformismo si riprodus-se.

1924: elezioni rivoluzionarie.Questa dilatazione personalistica del trasformismo

venne ben presto troncata dall'avvento del fascismo edalle elezioni sovversive del 1924, di modo che non èstoricamente possibile accertare fino a qual punto il tra-sformismo avrebbe potuto ancora resistere al giuocoproporzionalista. È perciò impossibile rifare tutta la sto-ria dell'azione sovvertitrice del fascismo nel Mezzogior-no e del modo come furono ivi impostate e condotte leelezioni del 6 aprile 1924, trattandosi d'altra parte di av-venimenti assai noti e recenti. Tuttavia non sarà inutileriassumere per sommi capi tale azione elettorale fascistaper comprendere gli avvenimenti posteriori.

In verità quando la nuova fiera elettorale fu bandita,molti che si sforzavano di trovare il filo conduttore dellapolitica governativa, credettero che il fascismo volessedefinire e fissare la sua posizione nel Sud, tentando diassorbire il maggior numero di forze possibili senza pre-giudiziali di provenienza, accentuando cosí per il Mez-zogiorno la politica che nel resto d'Italia svolgeva nei ri-guardi di tutti i gruppi cosí detti fiancheggiatori.

Ma questo proposito, che affiorò sempre nella politicaelettorale mussoliniana, fu ben presto frustrato

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cora verso piú ampi orizzonti e gli elettori tennero co-stantemente fisso lo sguardo sul nome del candidatopreferito. Mutatis mutandis, il trasformismo si riprodus-se.

1924: elezioni rivoluzionarie.Questa dilatazione personalistica del trasformismo

venne ben presto troncata dall'avvento del fascismo edalle elezioni sovversive del 1924, di modo che non èstoricamente possibile accertare fino a qual punto il tra-sformismo avrebbe potuto ancora resistere al giuocoproporzionalista. È perciò impossibile rifare tutta la sto-ria dell'azione sovvertitrice del fascismo nel Mezzogior-no e del modo come furono ivi impostate e condotte leelezioni del 6 aprile 1924, trattandosi d'altra parte di av-venimenti assai noti e recenti. Tuttavia non sarà inutileriassumere per sommi capi tale azione elettorale fascistaper comprendere gli avvenimenti posteriori.

In verità quando la nuova fiera elettorale fu bandita,molti che si sforzavano di trovare il filo conduttore dellapolitica governativa, credettero che il fascismo volessedefinire e fissare la sua posizione nel Sud, tentando diassorbire il maggior numero di forze possibili senza pre-giudiziali di provenienza, accentuando cosí per il Mez-zogiorno la politica che nel resto d'Italia svolgeva nei ri-guardi di tutti i gruppi cosí detti fiancheggiatori.

Ma questo proposito, che affiorò sempre nella politicaelettorale mussoliniana, fu ben presto frustrato

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dall'incongruenza governativa e dall'azione addiritturaanarchica che esercitò nella scelta dei candidati la «pen-tarchia». Cosí, mentre fu sollecitata l'entrata nel listonedegli on. Orlando, De Nicola, Fera, Colosimo e DeNava, si pretese isolarli dai loro amici, rompendo nelpunto piú delicato di sutura il sistema personalistico.

Ciò produsse conseguentemente dissensi fortissimi,che accentuarono le antipatie meridionali per il fasci-smo, e, dopo qualche giorno, portarono al dissenso piúaperto con questi vecchi parlamentari, che o furono co-stretti a ritirarsi o restarono nel listone come ricordo diun naufragio senza nome.

Fu cosí che i pentarchi, rimasti finalmente liberi, po-terono contentare le velleità di tutti gli avventurieri chesi erano insinuati nel movimento e che, impadronitisidelle segreterie provinciali, da una parte ricattavano lepopolazioni con l'aiuto delle autorità locali e, dall'altra,ricattavano il governo facendosi credere spontanea ema-nazione delle popolazioni.

Cosí nacquero i listoni meridionali, che non furono névera emanazione del partito, che da noi esisteva soltantocome aggregato trasformistico intorno al governo, néespressione della popolazione che vedeva i suoi uominipiú amati battuti senza combattere da giovani politican-ti, assolutamente ignoranti dei pubblici affari, o da vec-chie carcasse già sconfitte, sullo stesso campo trasformi-stico.

In verità, il cieco settarismo del partito dominante e lanecessità di svolgimento della sua azione in forma gros-

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dall'incongruenza governativa e dall'azione addiritturaanarchica che esercitò nella scelta dei candidati la «pen-tarchia». Cosí, mentre fu sollecitata l'entrata nel listonedegli on. Orlando, De Nicola, Fera, Colosimo e DeNava, si pretese isolarli dai loro amici, rompendo nelpunto piú delicato di sutura il sistema personalistico.

Ciò produsse conseguentemente dissensi fortissimi,che accentuarono le antipatie meridionali per il fasci-smo, e, dopo qualche giorno, portarono al dissenso piúaperto con questi vecchi parlamentari, che o furono co-stretti a ritirarsi o restarono nel listone come ricordo diun naufragio senza nome.

Fu cosí che i pentarchi, rimasti finalmente liberi, po-terono contentare le velleità di tutti gli avventurieri chesi erano insinuati nel movimento e che, impadronitisidelle segreterie provinciali, da una parte ricattavano lepopolazioni con l'aiuto delle autorità locali e, dall'altra,ricattavano il governo facendosi credere spontanea ema-nazione delle popolazioni.

Cosí nacquero i listoni meridionali, che non furono névera emanazione del partito, che da noi esisteva soltantocome aggregato trasformistico intorno al governo, néespressione della popolazione che vedeva i suoi uominipiú amati battuti senza combattere da giovani politican-ti, assolutamente ignoranti dei pubblici affari, o da vec-chie carcasse già sconfitte, sullo stesso campo trasformi-stico.

In verità, il cieco settarismo del partito dominante e lanecessità di svolgimento della sua azione in forma gros-

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solanamente unitaria gli fecero ignorare il grande segre-to del giolittismo nelle nostre contrade, riposto nellosforzo di assorbire volta per volta tutti gli uomini politi-ci che, per simpatia delle popolazioni o per valore per-sonale, emergevano. Cosí Giolitti riusciva a darel'impressione di non coartare la volontà degli elettori, etuttavia non aveva difficoltà a formarsi amici fedeli inte-ressati al mantenimento del sistema.

Gli elettori, infatti, salvo casi eccezionali, venivanolasciati liberi di votare a loro talento, specialmentequando tutti i candidati in lotta si professavano governa-tivi, e nel deporre la scheda, credevano sempre di com-piere un atto di sovranità.

Il governo, quindi, lungi dall'intervenire con atti diret-ti a violare il costume regionale, cercava agevolarlo, li-mitandosi soltanto a combattere i pochi tentativi diretti asuperarlo. Cosí, senza eccessive reazioni, faceva funzio-nare le forze politiche del paese nel modo piú naturale.Quando, invece, nelle liste del 1924 si videro inclusiuna quantità enorme di uomini nuovi, sconosciutiall'universale, privi di simpatia, ignoranti in ogni campodello scibile e solo audaci nello scimmiottare le posedittatoriali del loro capo, e nel giorno delle elezioni i po-chi nuclei di oppositori furono sommersi da turbe diviolenti e di irresponsabili sotto lo sguardo indifferentedelle cosí dette autorità, il segreto del trasformismo fusvelato agli occhi di vaste categorie di cittadini e comin-ciò uno strano processo politico, in virtú del quale, nellostesso momento in cui il governo acquistava un vero

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solanamente unitaria gli fecero ignorare il grande segre-to del giolittismo nelle nostre contrade, riposto nellosforzo di assorbire volta per volta tutti gli uomini politi-ci che, per simpatia delle popolazioni o per valore per-sonale, emergevano. Cosí Giolitti riusciva a darel'impressione di non coartare la volontà degli elettori, etuttavia non aveva difficoltà a formarsi amici fedeli inte-ressati al mantenimento del sistema.

Gli elettori, infatti, salvo casi eccezionali, venivanolasciati liberi di votare a loro talento, specialmentequando tutti i candidati in lotta si professavano governa-tivi, e nel deporre la scheda, credevano sempre di com-piere un atto di sovranità.

Il governo, quindi, lungi dall'intervenire con atti diret-ti a violare il costume regionale, cercava agevolarlo, li-mitandosi soltanto a combattere i pochi tentativi diretti asuperarlo. Cosí, senza eccessive reazioni, faceva funzio-nare le forze politiche del paese nel modo piú naturale.Quando, invece, nelle liste del 1924 si videro inclusiuna quantità enorme di uomini nuovi, sconosciutiall'universale, privi di simpatia, ignoranti in ogni campodello scibile e solo audaci nello scimmiottare le posedittatoriali del loro capo, e nel giorno delle elezioni i po-chi nuclei di oppositori furono sommersi da turbe diviolenti e di irresponsabili sotto lo sguardo indifferentedelle cosí dette autorità, il segreto del trasformismo fusvelato agli occhi di vaste categorie di cittadini e comin-ciò uno strano processo politico, in virtú del quale, nellostesso momento in cui il governo acquistava un vero

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esercito di comparse, la maggior parte delle popolazionimeridionali non solo si estraniava dal fascismo, ma co-minciava a passare alle opposizioni, specialmente amen-doliana e socialista unitaria. Da allora questo processodi contrapposizione tra i rappresentanti e i rappresentati,accentuandosi giorno per giorno, si è avvicinato versouna vera e propria scopertura del regime.

Cosí anche nel Mezzogiorno, soltanto per virtú dicontrasto, il fascismo ha potenziato vere forme rivolu-zionarie, obbligando piú vaste schiere di cittadini a su-perare le forme di organizzazione personalistica, perpassare a postulare in tutta la sua estensione la vera lottapolitica.

Collegio uninominale: tentativo di ritorno trasfor-mistico.

Questo notevole svolgimento antifascista meridiona-le, non frenato né dalla visita mussoliniana alla Fieracampionaria, che si ridusse a una passeggiata solitaria,né dalle promesse dei lavori pubblici (del resto nonmantenute), espediente abusato ormai e divenuto discarsa efficacia, minaccia di porre in serio pericolo il fa-scismo, dinanzi al riaffermarsi della lotta politica nelsettentrione d'Italia, perché nessun governo si è trovatodal 1860 a oggi a dover fronteggiare l'azione dei partitistorici avendo il Mezzogiorno e le isole in subbuglio.

È naturale, quindi, che Mussolini, avvedendosi oggiper la prima volta dell'errore commesso (felice errore!),

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esercito di comparse, la maggior parte delle popolazionimeridionali non solo si estraniava dal fascismo, ma co-minciava a passare alle opposizioni, specialmente amen-doliana e socialista unitaria. Da allora questo processodi contrapposizione tra i rappresentanti e i rappresentati,accentuandosi giorno per giorno, si è avvicinato versouna vera e propria scopertura del regime.

Cosí anche nel Mezzogiorno, soltanto per virtú dicontrasto, il fascismo ha potenziato vere forme rivolu-zionarie, obbligando piú vaste schiere di cittadini a su-perare le forme di organizzazione personalistica, perpassare a postulare in tutta la sua estensione la vera lottapolitica.

Collegio uninominale: tentativo di ritorno trasfor-mistico.

Questo notevole svolgimento antifascista meridiona-le, non frenato né dalla visita mussoliniana alla Fieracampionaria, che si ridusse a una passeggiata solitaria,né dalle promesse dei lavori pubblici (del resto nonmantenute), espediente abusato ormai e divenuto discarsa efficacia, minaccia di porre in serio pericolo il fa-scismo, dinanzi al riaffermarsi della lotta politica nelsettentrione d'Italia, perché nessun governo si è trovatodal 1860 a oggi a dover fronteggiare l'azione dei partitistorici avendo il Mezzogiorno e le isole in subbuglio.

È naturale, quindi, che Mussolini, avvedendosi oggiper la prima volta dell'errore commesso (felice errore!),

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abbia pensato di far macchina indietro per riprenderenelle sue mani il meccanismo infranto del personalismomeridionale attraverso un'elezione a collegio uninomi-nale, che rappresenti un sistema meno sovversivo, e gliassicuri oltre che i voti dei deputati meridionali anchel'adesione delle popolazioni.

Sotto questo profilo, perciò, il ritorno al collegio uni-nominale costituisce un tentativo di reazione contro ilsovvertimento prodotto, non dalla proporzionale – giàadattata sufficientemente al clima storico-politico delpaese – ma dall'applicazione della legge Acerbo.

E tale tentativo meriterebbe di essere combattutoaspramente, se i tempi e le circostanze fossero tali dafarci prevedere l'applicazione della legge per opera diMussolini con criteri rigidamente giolittiani.

Ma il temperamento dell'uomo, la composizione delpartito, il prepotere del rassismo e la completa distruzio-ne dell'autorità provinciale, ormai incapace di emanci-parsi dai voleri delle fazioni locali, per riacquistarel'antica funzione giolittiana, ci fanno prevedere che lascopertura del regime nel Mezzogiorno non solo nonsarà sanata, ma sarà addirittura accentuata.

La riprova di questa intuizione ci è fornita dall'atteg-giamento dei fiancheggiatori che non mostrano nessunpiacere per il ritorno al collegio uninominale, ma mira-no soltanto a eliminare le cause di sovvertimento, se-condo loro, costituite soltanto dal prolungarsi dell'azio-ne fascista al governo.

Ed è per questa ragione che, se l'odierna situazione

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abbia pensato di far macchina indietro per riprenderenelle sue mani il meccanismo infranto del personalismomeridionale attraverso un'elezione a collegio uninomi-nale, che rappresenti un sistema meno sovversivo, e gliassicuri oltre che i voti dei deputati meridionali anchel'adesione delle popolazioni.

Sotto questo profilo, perciò, il ritorno al collegio uni-nominale costituisce un tentativo di reazione contro ilsovvertimento prodotto, non dalla proporzionale – giàadattata sufficientemente al clima storico-politico delpaese – ma dall'applicazione della legge Acerbo.

E tale tentativo meriterebbe di essere combattutoaspramente, se i tempi e le circostanze fossero tali dafarci prevedere l'applicazione della legge per opera diMussolini con criteri rigidamente giolittiani.

Ma il temperamento dell'uomo, la composizione delpartito, il prepotere del rassismo e la completa distruzio-ne dell'autorità provinciale, ormai incapace di emanci-parsi dai voleri delle fazioni locali, per riacquistarel'antica funzione giolittiana, ci fanno prevedere che lascopertura del regime nel Mezzogiorno non solo nonsarà sanata, ma sarà addirittura accentuata.

La riprova di questa intuizione ci è fornita dall'atteg-giamento dei fiancheggiatori che non mostrano nessunpiacere per il ritorno al collegio uninominale, ma mira-no soltanto a eliminare le cause di sovvertimento, se-condo loro, costituite soltanto dal prolungarsi dell'azio-ne fascista al governo.

Ed è per questa ragione che, se l'odierna situazione

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politica dovesse perpetuarsi, di fronte a un'altra elezio-ne, anche peggiore di quella del 6 aprile 1924, potrem-mo assistere allo strano spettacolo di un'astensione dallalotta elettorale a collegio uninominale proprio di queipolitici che piú vivamente ne hanno invocato il ripristi-no per ragioni personali.

Ecco, dunque, che la manovra mussoliniana, pur es-sendo potenzialmente reazionaria, rischia di divenirenuovamente rivoluzionaria per le immancabili interfe-renze del partito dominante, che non può assolutamenteconsentire che il governo riesca a disimpegnarsi dai datistorici del fascismo, per adottare una vera e propria poli-tica di affrancamento.

Conclusioni.Tuttavia, lasciando per il momento sulle ginocchia di

Giove gli avvenimenti futuri, non possiamo chiuderequeste brevi note senza un saluto cavalleresco alla diffa-mata proporzionale che, apparsa come una meteora sulnostro cielo politico, è stata ritenuta responsabile di tuttii vizi e di tutte le deficienze italiane. L'immaturità politi-ca del paese (non soltanto del Mezzogiorno, perché que-sta si estende per lo meno fino in Brianza) non ha per-messo di difendere e conservare tale conquista elettora-le, ma i tempi sono cosí grossi che questa perdita non cispaventa.

Fino a quando il Mezzogiorno continuerà a rimanereassente dalla lotta politica e sarà impossibile adoperare

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politica dovesse perpetuarsi, di fronte a un'altra elezio-ne, anche peggiore di quella del 6 aprile 1924, potrem-mo assistere allo strano spettacolo di un'astensione dallalotta elettorale a collegio uninominale proprio di queipolitici che piú vivamente ne hanno invocato il ripristi-no per ragioni personali.

Ecco, dunque, che la manovra mussoliniana, pur es-sendo potenzialmente reazionaria, rischia di divenirenuovamente rivoluzionaria per le immancabili interfe-renze del partito dominante, che non può assolutamenteconsentire che il governo riesca a disimpegnarsi dai datistorici del fascismo, per adottare una vera e propria poli-tica di affrancamento.

Conclusioni.Tuttavia, lasciando per il momento sulle ginocchia di

Giove gli avvenimenti futuri, non possiamo chiuderequeste brevi note senza un saluto cavalleresco alla diffa-mata proporzionale che, apparsa come una meteora sulnostro cielo politico, è stata ritenuta responsabile di tuttii vizi e di tutte le deficienze italiane. L'immaturità politi-ca del paese (non soltanto del Mezzogiorno, perché que-sta si estende per lo meno fino in Brianza) non ha per-messo di difendere e conservare tale conquista elettora-le, ma i tempi sono cosí grossi che questa perdita non cispaventa.

Fino a quando il Mezzogiorno continuerà a rimanereassente dalla lotta politica e sarà impossibile adoperare

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le sue forze per rompere il complesso giuoco dei partitistorici, tutti i sistemi elettorali saranno buoni a mantene-re la dittatura del Nord, e un eventuale ritorno della pro-porzionale non sarà che una nuova irrisione aggiuntaalle precedenti.

Il problema fondamentale della vita italiana è ben piúprofondo e l'ironia della storia si è già servita delle forzepiú disparate per iniziarne lo svolgimento.

Speriamo che tale svolgimento prosegua ancora alungo verso le sue ultime conseguenze, potenziando,una per una, tutte le necessità dialettiche dell'unitarismoitaliano. Allora soltanto la proporzionale potrà costituireuna conquista intangibile della rivoluzione italiana,giunta a maturazione mercé l'apporto di tutte le forzeproduttive del paese.

[Da «La Rivoluzione Liberale» dell'1 febbraio 1925].

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le sue forze per rompere il complesso giuoco dei partitistorici, tutti i sistemi elettorali saranno buoni a mantene-re la dittatura del Nord, e un eventuale ritorno della pro-porzionale non sarà che una nuova irrisione aggiuntaalle precedenti.

Il problema fondamentale della vita italiana è ben piúprofondo e l'ironia della storia si è già servita delle forzepiú disparate per iniziarne lo svolgimento.

Speriamo che tale svolgimento prosegua ancora alungo verso le sue ultime conseguenze, potenziando,una per una, tutte le necessità dialettiche dell'unitarismoitaliano. Allora soltanto la proporzionale potrà costituireuna conquista intangibile della rivoluzione italiana,giunta a maturazione mercé l'apporto di tutte le forzeproduttive del paese.

[Da «La Rivoluzione Liberale» dell'1 febbraio 1925].

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Meridionalismo applicato

In queste ultime settimane il Mezzogiorno d'Italia èdivenuto improvvisamente di moda. È questa, però, unaconstatazione che non ci lusinga. Per mio conto scom-metterei tutto il mio avere che tra un mese le conferenzedel ministro Giuriati con la deputazione meridionale sa-ranno finite e della questione meridionale non si parleràpiú.

Tuttavia non credo inutile occuparmi di ciò che si èstampato in questa circostanza per mostrare ai lettoriquanto siamo distanti da quella corretta impostazionepolitica del problema che io reputo indispensabile allaresurrezione del mio paese. Sarà un saggio di meridio-nalismo applicato che varrà a chiarire i concetti fonda-mentali della questione.

La polemica sul triangolo.Cominciamo dalla polemica sul triangolo.

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Meridionalismo applicato

In queste ultime settimane il Mezzogiorno d'Italia èdivenuto improvvisamente di moda. È questa, però, unaconstatazione che non ci lusinga. Per mio conto scom-metterei tutto il mio avere che tra un mese le conferenzedel ministro Giuriati con la deputazione meridionale sa-ranno finite e della questione meridionale non si parleràpiú.

Tuttavia non credo inutile occuparmi di ciò che si èstampato in questa circostanza per mostrare ai lettoriquanto siamo distanti da quella corretta impostazionepolitica del problema che io reputo indispensabile allaresurrezione del mio paese. Sarà un saggio di meridio-nalismo applicato che varrà a chiarire i concetti fonda-mentali della questione.

La polemica sul triangolo.Cominciamo dalla polemica sul triangolo.

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Quando si è cominciato a parlare sui giornali milanesidel progetto Gualino-Agnelli-Puricelli per la costruzio-ne di una ferrovia elettrica Milano-Torino-Genova, Pao-lo Scarfoglio sul «Mattino» e l'on. Presutti sul «Mondo»sono partiti in guerra contro tale progetto in nomedell'Italia meridionale, negletta e disgraziata, tuttavia bi-sognosa dei piú elementari mezzi di comunicazione.

Anzi Paolo Scarfoglio ha creduto descrivere quest'Ita-lia negletta come costituita dai

residui semidiruti di un vasto regno agrario e patriarcale, nel qua-le la giustizia fiscale non è giunta che cinquant'anni dopo che eragià fatta nel Nord, e la cui economia è oggi compressa e paraliz-zata dal peso di istituzioni troppo grandi, e di doveri che non sonoin bilancia collo sgoverno di cui fu vittima. Questa Italia non saessere ottimista. Quando le si chiede di partecipare col sacrificiodella sua economia a delle opere di puro lusso, o addirittura a unaironica competizione italiana colla tecnica di America o di Ger-mania, essa risponde che si smetta da cosí vorace e offensiva mi-stificazione, e che si facciano le sue strade e i suoi porti con one-sta semplicità, in luogo di montare ancora un carrozzone destina-to a accentrare nel Nord altri ferrovieri e altre migliaia di milioni;che si dia una strada ai suoi contadini, in luogo di dare autostradeai vostri automobilisti. Chiede insomma che questa farsa sangui-nosa abbia un termine. L'Italia non deve sbalordire nessuno contreni di duecento chilometri all'ora, deve, invece, egregio signorArnaldo, abolire i treni di venti chilometri all'ora che rappresenta-no ancora il solo dono dello Stato all'Italia meridionale.

Questa sfuriata scarfogliesca ha, naturalmente, provo-cato la risposta di Arnaldo, il cui spirito unitario ha tro-

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Quando si è cominciato a parlare sui giornali milanesidel progetto Gualino-Agnelli-Puricelli per la costruzio-ne di una ferrovia elettrica Milano-Torino-Genova, Pao-lo Scarfoglio sul «Mattino» e l'on. Presutti sul «Mondo»sono partiti in guerra contro tale progetto in nomedell'Italia meridionale, negletta e disgraziata, tuttavia bi-sognosa dei piú elementari mezzi di comunicazione.

Anzi Paolo Scarfoglio ha creduto descrivere quest'Ita-lia negletta come costituita dai

residui semidiruti di un vasto regno agrario e patriarcale, nel qua-le la giustizia fiscale non è giunta che cinquant'anni dopo che eragià fatta nel Nord, e la cui economia è oggi compressa e paraliz-zata dal peso di istituzioni troppo grandi, e di doveri che non sonoin bilancia collo sgoverno di cui fu vittima. Questa Italia non saessere ottimista. Quando le si chiede di partecipare col sacrificiodella sua economia a delle opere di puro lusso, o addirittura a unaironica competizione italiana colla tecnica di America o di Ger-mania, essa risponde che si smetta da cosí vorace e offensiva mi-stificazione, e che si facciano le sue strade e i suoi porti con one-sta semplicità, in luogo di montare ancora un carrozzone destina-to a accentrare nel Nord altri ferrovieri e altre migliaia di milioni;che si dia una strada ai suoi contadini, in luogo di dare autostradeai vostri automobilisti. Chiede insomma che questa farsa sangui-nosa abbia un termine. L'Italia non deve sbalordire nessuno contreni di duecento chilometri all'ora, deve, invece, egregio signorArnaldo, abolire i treni di venti chilometri all'ora che rappresenta-no ancora il solo dono dello Stato all'Italia meridionale.

Questa sfuriata scarfogliesca ha, naturalmente, provo-cato la risposta di Arnaldo, il cui spirito unitario ha tro-

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vato facile e pronta la sistemazione del dissidio recentein una serie di argomenti tradizionali, che, appunto perciò, hanno perduto la loro forza probante. Arnaldo godedi ogni progresso italiano; egli concepisce organicamen-te l'Italia e non può esaurire la sua visione politica nelregionalismo. Tutte le città italiane sono eguali dinanzial suo cuore, però non bisogna dimenticare che l'avveni-re è in noi.

Perché, egregio signor Paolo, non vorrà credere che la salute diun popolo venga da savie disposizioni burocratiche anche se percaso la denominazione può chiamarle provvidenze. La provviden-za sta in noi stessi, nella nostra forza, nella creazione di operenuove e nel miglioramento di quelle già esistenti, nel coordina-mento delle energie e nell'armonia delle singole regioni.

Noi siamo di Romagna, una terra che la tenacia, la pazienza el'intelligenza della razza ha trasformato in una magnifica regioneproduttiva. Ravenna, la città degli esarchi, ha ripreso un ritmo divita che contrasta con l'antico abbandono, c'è stata la forza degliuomini che ha dominato gli elementi avversari. Che piú? Noi nonsaremmo alieni dal caldeggiare quel progetto di istituto finanzia-rio che sul modello di quello per le terre liberate dovesse anticipa-re i fondi per i lavori pubblici del Mezzogiorno d'Italia. Ma, in-tendiamoci, progetti chiari e di interesse massimo.

Argomenti, dunque, mutuati dal «Corriere della Sera»con sorpresa del nostro Paolo: libera iniziativa contrap-posta alle «provvidenze» governative, gli interessi gene-rali sollevati contro la deviazione degli interessi partico-lari. Era, questa, una lezione che, forse, Scarfoglio siaspettava, e a cui era preparato a rispondere.

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vato facile e pronta la sistemazione del dissidio recentein una serie di argomenti tradizionali, che, appunto perciò, hanno perduto la loro forza probante. Arnaldo godedi ogni progresso italiano; egli concepisce organicamen-te l'Italia e non può esaurire la sua visione politica nelregionalismo. Tutte le città italiane sono eguali dinanzial suo cuore, però non bisogna dimenticare che l'avveni-re è in noi.

Perché, egregio signor Paolo, non vorrà credere che la salute diun popolo venga da savie disposizioni burocratiche anche se percaso la denominazione può chiamarle provvidenze. La provviden-za sta in noi stessi, nella nostra forza, nella creazione di operenuove e nel miglioramento di quelle già esistenti, nel coordina-mento delle energie e nell'armonia delle singole regioni.

Noi siamo di Romagna, una terra che la tenacia, la pazienza el'intelligenza della razza ha trasformato in una magnifica regioneproduttiva. Ravenna, la città degli esarchi, ha ripreso un ritmo divita che contrasta con l'antico abbandono, c'è stata la forza degliuomini che ha dominato gli elementi avversari. Che piú? Noi nonsaremmo alieni dal caldeggiare quel progetto di istituto finanzia-rio che sul modello di quello per le terre liberate dovesse anticipa-re i fondi per i lavori pubblici del Mezzogiorno d'Italia. Ma, in-tendiamoci, progetti chiari e di interesse massimo.

Argomenti, dunque, mutuati dal «Corriere della Sera»con sorpresa del nostro Paolo: libera iniziativa contrap-posta alle «provvidenze» governative, gli interessi gene-rali sollevati contro la deviazione degli interessi partico-lari. Era, questa, una lezione che, forse, Scarfoglio siaspettava, e a cui era preparato a rispondere.

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È infatti [egli scrive] assolutamente ridicolo citare la tenacia,la pazienza, l'intelligenza, e via dicendo degli uomini del Nord, inconfronto disprezzativo con gli uomini del Sud. È assolutamentefalso di supporre, a esempio, che una officina metallurgica o unaraffineria possa prosperare a Reggio Calabria o a Campobasso,quando oltre 20 lire di trasporto aggravano il prezzo dei nostriprodotti; e quando da 70 anni, la mancanza del doppio binariosulla Napoli-Reggio rende discutibile il traffico da Napoli in giú.Sa il signor Arnaldo, a esempio, che in questo momento si vendeall'asta, per fallimento, una grande cartiera, impiantata nella Silada un industriale del Nord? e sa che la cartiera fallisce per il ritar-do della costruzione della ferrovia calabro-lucana, sul cui serviziocalcolavano gli industriali che l'hanno impiantata? Se, dunque, danoi cadono anche le iniziative dovute alla tenacia, alla pazienza,alla intelligenza degli uomini del Nord, è chiaro che le condizionidi vita e di traffico nel Mezzogiorno d'Italia, sfidano qualsiasisforzo; ed è chiaro che occorre costituire il minimo di condizionisufficienti, perché lo sforzo degli uomini e del capitale non siaeternamente beffato.

La nostra tesi è, dunque, semplice e precisa. Fino a che lo Sta-to non abbia compiuto il suo dovere, impiegando, direttamente oindirettamente, tutto il capitale nazionale disponibile, per crearequesto minimo di condizioni, ogni altra spesa, diretta o indiretta,rappresenta una colpa, se non un crimine. E non è lecito, a uominiche assumono di dirigere giornali italiani – anzi dico: italiani?giornali nazionali – non è lecito di sorvolare sul bilancio moraledelle provvidenze di Stato, in tutta la vasta Italia, né di servire,col peso della propria eloquenza, concentramenti di lusso e dispese suntuarie, che mettono in una luce anche piú grave il de-pauperamento procurato nel resto d'Italia.

Contro questa sfuriata, promettente inizio di una criti-ca piú ampia, gli argomenti circa la libera iniziativa non

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È infatti [egli scrive] assolutamente ridicolo citare la tenacia,la pazienza, l'intelligenza, e via dicendo degli uomini del Nord, inconfronto disprezzativo con gli uomini del Sud. È assolutamentefalso di supporre, a esempio, che una officina metallurgica o unaraffineria possa prosperare a Reggio Calabria o a Campobasso,quando oltre 20 lire di trasporto aggravano il prezzo dei nostriprodotti; e quando da 70 anni, la mancanza del doppio binariosulla Napoli-Reggio rende discutibile il traffico da Napoli in giú.Sa il signor Arnaldo, a esempio, che in questo momento si vendeall'asta, per fallimento, una grande cartiera, impiantata nella Silada un industriale del Nord? e sa che la cartiera fallisce per il ritar-do della costruzione della ferrovia calabro-lucana, sul cui serviziocalcolavano gli industriali che l'hanno impiantata? Se, dunque, danoi cadono anche le iniziative dovute alla tenacia, alla pazienza,alla intelligenza degli uomini del Nord, è chiaro che le condizionidi vita e di traffico nel Mezzogiorno d'Italia, sfidano qualsiasisforzo; ed è chiaro che occorre costituire il minimo di condizionisufficienti, perché lo sforzo degli uomini e del capitale non siaeternamente beffato.

La nostra tesi è, dunque, semplice e precisa. Fino a che lo Sta-to non abbia compiuto il suo dovere, impiegando, direttamente oindirettamente, tutto il capitale nazionale disponibile, per crearequesto minimo di condizioni, ogni altra spesa, diretta o indiretta,rappresenta una colpa, se non un crimine. E non è lecito, a uominiche assumono di dirigere giornali italiani – anzi dico: italiani?giornali nazionali – non è lecito di sorvolare sul bilancio moraledelle provvidenze di Stato, in tutta la vasta Italia, né di servire,col peso della propria eloquenza, concentramenti di lusso e dispese suntuarie, che mettono in una luce anche piú grave il de-pauperamento procurato nel resto d'Italia.

Contro questa sfuriata, promettente inizio di una criti-ca piú ampia, gli argomenti circa la libera iniziativa non

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potevano aver piú presa ed ecco il buon Arnaldo chescopre la sua faccia paternalista:

Se io avessi trovato l'uomo avrei istituita la rubrica «Letteremeridionali» e giacché so da lei che il «Popolo d'Italia» è ispiratoalla o dalla volontà governativa, forse le lettere-inchieste non sa-rebbero passate sotto silenzio. Ma io avrei voluto che il giornali-sta conoscesse la storia delle regioni meridionali, le loro tradizio-ni e le loro aspirazioni nel mondo turbato dei contemporanei;avrei voluto poi un collega che non facesse solo del colore mabensí si intendesse di usi civici, dei tratturi di proprietà demania-le, di feudatari, di contratti agricoli. E, giacché il Mezzogiorno ècomplesso nella sua vitalità spirituale e economica, era necessarioche il giornalista conoscesse le virtú marinare dei rivieraschi, latenace tranquillità dei montanari e dei pastori che vanno «tra pratidi asfodelo e per le rupi»; bisognava conoscere e valorizzare ilgrande coraggio degli agricoltori industriali tipo Pavoncelli, lagrandiosità del Tavoliere delle Puglie, le virtú e la necessità dellairrigazione, i benefici dell'impianto idroelettrico della Sila e le co-municazioni con l'Oriente, la necessità dei doppi binari, di vago-ni, di frigoriferi, la ricostruzione americana dei vigneti, ecc., egiacché sono un partigiano avrei desiderato che il mio uomoavesse valorizzato elementi dell'era nuova, avesse esaminato noni bilanci dei comuni ma almeno quelli delle province, avesse fattostatistiche dei tributi, segnalate le deficienze ecc., tutto questoavrei desiderato se avessi trovato il giornalista. Nel caso mio nonl'ho trovato ancora.

Spero che lei vorrà suggerirmi qualche cosa: troverà in me unoche lo ascolta con deferenza e se i problemi, come dice lei, daRoma in giú si urtano contro le deficienze ferroviarie e sperequa-zioni di tariffe la soluzione non mi sembra né impossibile, né lon-tana e neanche utile mi sembra discutere a lungo e sul serio, per-ché, egregio signor Scarfoglio, con me ha sbagliato bersaglio. Io

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potevano aver piú presa ed ecco il buon Arnaldo chescopre la sua faccia paternalista:

Se io avessi trovato l'uomo avrei istituita la rubrica «Letteremeridionali» e giacché so da lei che il «Popolo d'Italia» è ispiratoalla o dalla volontà governativa, forse le lettere-inchieste non sa-rebbero passate sotto silenzio. Ma io avrei voluto che il giornali-sta conoscesse la storia delle regioni meridionali, le loro tradizio-ni e le loro aspirazioni nel mondo turbato dei contemporanei;avrei voluto poi un collega che non facesse solo del colore mabensí si intendesse di usi civici, dei tratturi di proprietà demania-le, di feudatari, di contratti agricoli. E, giacché il Mezzogiorno ècomplesso nella sua vitalità spirituale e economica, era necessarioche il giornalista conoscesse le virtú marinare dei rivieraschi, latenace tranquillità dei montanari e dei pastori che vanno «tra pratidi asfodelo e per le rupi»; bisognava conoscere e valorizzare ilgrande coraggio degli agricoltori industriali tipo Pavoncelli, lagrandiosità del Tavoliere delle Puglie, le virtú e la necessità dellairrigazione, i benefici dell'impianto idroelettrico della Sila e le co-municazioni con l'Oriente, la necessità dei doppi binari, di vago-ni, di frigoriferi, la ricostruzione americana dei vigneti, ecc., egiacché sono un partigiano avrei desiderato che il mio uomoavesse valorizzato elementi dell'era nuova, avesse esaminato noni bilanci dei comuni ma almeno quelli delle province, avesse fattostatistiche dei tributi, segnalate le deficienze ecc., tutto questoavrei desiderato se avessi trovato il giornalista. Nel caso mio nonl'ho trovato ancora.

Spero che lei vorrà suggerirmi qualche cosa: troverà in me unoche lo ascolta con deferenza e se i problemi, come dice lei, daRoma in giú si urtano contro le deficienze ferroviarie e sperequa-zioni di tariffe la soluzione non mi sembra né impossibile, né lon-tana e neanche utile mi sembra discutere a lungo e sul serio, per-ché, egregio signor Scarfoglio, con me ha sbagliato bersaglio. Io

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sono un ammiratore del Mezzogiorno e se la parola modesta sem-brasse eccessiva sono uno studioso del Mezzogiorno.

Spirito di remissione, umiltà francescana, mescolata aorgoglio ducesco; tentativo di una presa per il baverocon un po' di spirito fascista: chi si allontana dal granfiume, perisce.

Ditelo a me, caro Scarfoglio, e io lo dirò al duce eprovvederemo insieme a darvi qualche osso. Se non èpossibile trovare l'uomo per gli articoli (il fascismo liha: Gino Arias, Arrigo Serpieri, Michele Viterbo, ecc.) eil Mezzogiorno è stanco di scritti, gli daremo qualchechilometro di doppio binario.

La risposta era quindi di rigore e Scarfoglio non tardaa imbroccarla:

È dunque una parte del problema nazionale che stiamo trattan-do, e non una polemica casuale o marginale; è bene fissarlo subi-to. Siamo dinanzi a una grande passione, o a una grande ferita.

È questa un'apertura consolante, promessa di piú vastiorizzonti. Ma si restringe subito.

Lasciamo dunque una buona volta in soffitta le parvenze scien-tifiche degli «studi» sul Mezzogiorno; lasciamo le solite millefaccette, e studiamone, o per dir meglio, studiatene una sola: lafaccetta ferroviaria. In luogo di parlare futuristicamente di comu-nicazioni con l'Oriente, approfondite il mistero pel quale non sipuò spedire un vagone di ferro da Napoli a Campobasso (110 chi-lometri) perché l'espressione dimostra che arriva prima da Sesto,provincia di Milano; il mistero pel quale se dobbiamo spedire i

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sono un ammiratore del Mezzogiorno e se la parola modesta sem-brasse eccessiva sono uno studioso del Mezzogiorno.

Spirito di remissione, umiltà francescana, mescolata aorgoglio ducesco; tentativo di una presa per il baverocon un po' di spirito fascista: chi si allontana dal granfiume, perisce.

Ditelo a me, caro Scarfoglio, e io lo dirò al duce eprovvederemo insieme a darvi qualche osso. Se non èpossibile trovare l'uomo per gli articoli (il fascismo liha: Gino Arias, Arrigo Serpieri, Michele Viterbo, ecc.) eil Mezzogiorno è stanco di scritti, gli daremo qualchechilometro di doppio binario.

La risposta era quindi di rigore e Scarfoglio non tardaa imbroccarla:

È dunque una parte del problema nazionale che stiamo trattan-do, e non una polemica casuale o marginale; è bene fissarlo subi-to. Siamo dinanzi a una grande passione, o a una grande ferita.

È questa un'apertura consolante, promessa di piú vastiorizzonti. Ma si restringe subito.

Lasciamo dunque una buona volta in soffitta le parvenze scien-tifiche degli «studi» sul Mezzogiorno; lasciamo le solite millefaccette, e studiamone, o per dir meglio, studiatene una sola: lafaccetta ferroviaria. In luogo di parlare futuristicamente di comu-nicazioni con l'Oriente, approfondite il mistero pel quale non sipuò spedire un vagone di ferro da Napoli a Campobasso (110 chi-lometri) perché l'espressione dimostra che arriva prima da Sesto,provincia di Milano; il mistero pel quale se dobbiamo spedire i

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nostri giornali a Taranto, preferiamo farli salire fino a Roma,dove trovano le coincidenze colla linea adriatica. Avrete cosí ilfilo conduttore per comprendere perché da noi non si raffini labarbabietola, non si estraggano le resine e le essenze, non si sfibriil pioppo; perché insomma non si goda il terzo dei doni della na-tura e del lavoro umano. Questo è il problema. Il resto è letteratu-ra.

Tuttavia, anche cosí ristretta, la discussione è perico-losa, e il buon Arnaldo, dopo aver detto che il presidentee il ministro dei LLPP «ogni mattina» vogliono essereinformati minutamente di quanto si è fatto e si fa in ma-teria di opere pubbliche nel Mezzogiorno, e che, perciò,con tali disposizioni di spiriti governativi si ha il doveredi aiutare il governo piuttosto che di polemizzare, sog-giunge:

Comprendo e condivido la sua opinione là dove afferma chediscutendo il problema meridionale ci troviamo di fronte ad «unagrande passione»; nego però di trovarmi di fronte a una grandeferita. L'Italia unitaria non ha compiuto in passato totalmente ilsuo dovere, ma non si deve alla sola insufficienza di uomini;mentre l'Italia nuova sta assolvendo il suo compito. Non bisognairridere a questo sforzo, e, ripeto, non bisogna ridurlo ad una solaquestione di trasporti e di transiti.

La polemica è, dunque, finita, e Scarfoglio non esita achiamare la ritirata di Arnaldo una vera e propria fuga.

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nostri giornali a Taranto, preferiamo farli salire fino a Roma,dove trovano le coincidenze colla linea adriatica. Avrete cosí ilfilo conduttore per comprendere perché da noi non si raffini labarbabietola, non si estraggano le resine e le essenze, non si sfibriil pioppo; perché insomma non si goda il terzo dei doni della na-tura e del lavoro umano. Questo è il problema. Il resto è letteratu-ra.

Tuttavia, anche cosí ristretta, la discussione è perico-losa, e il buon Arnaldo, dopo aver detto che il presidentee il ministro dei LLPP «ogni mattina» vogliono essereinformati minutamente di quanto si è fatto e si fa in ma-teria di opere pubbliche nel Mezzogiorno, e che, perciò,con tali disposizioni di spiriti governativi si ha il doveredi aiutare il governo piuttosto che di polemizzare, sog-giunge:

Comprendo e condivido la sua opinione là dove afferma chediscutendo il problema meridionale ci troviamo di fronte ad «unagrande passione»; nego però di trovarmi di fronte a una grandeferita. L'Italia unitaria non ha compiuto in passato totalmente ilsuo dovere, ma non si deve alla sola insufficienza di uomini;mentre l'Italia nuova sta assolvendo il suo compito. Non bisognairridere a questo sforzo, e, ripeto, non bisogna ridurlo ad una solaquestione di trasporti e di transiti.

La polemica è, dunque, finita, e Scarfoglio non esita achiamare la ritirata di Arnaldo una vera e propria fuga.

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La tesi del «Saggiatore».Quasi contemporaneamente la nuova rivista parteno-

pea «Il Saggiatore» inizia le pubblicazioni e promette direcare

il suo modesto ma fervido contributo alla rinascita dello spiritounitario, al rinnovamento del costume politico sul piano di un in-flessibile rigore morale, alla riorganizzazione delle forze demo-cratiche della nazione.

Tale opera, [dice il manifesto] già coraggiosamente iniziatadalla libera stampa e da numerosi gruppi politici, può essere par-ticolarmente feconda nel Mezzogiorno d'Italia, ove il tessuto piúsaldo dell'organismo sociale è costituito da una piccola borghesiarurale e cittadina, da un ceto medio di professionisti, coltivatori,artigiani, commercianti, impareggiabile per coscienza morale, pervirtú di lavoro, di risparmio, di sacrifici, elemento sicuro di pa-triottismo, di ordine, di disciplina nella compagine nazionale.

Il Mezzogiorno che si è straniato – nella sua generalità – datutti i tentativi di sovvertimento seguiti alla guerra, non può man-care oggi al compimento di quella funzione di equilibrio e di or-dinato sviluppo, che è nella sua tradizione e nel suo destino.

Fissato cosí il punto di vista del «Saggiatore» l'animodi molti amici fu preso da non poca amarezza per questostrano tentativo di teorizzare l'immobilità meridionale.Né il dubbio fu di breve durata perché il numero succes-sivo della rivista recava, a firma di Gherardo Marone, ilseguente corsivo:

Un autorevole amico mi scrive: «La rivista mi par dovrebberiescire a toccare corde piú interessanti e soprattutto suscitare di-scussioni su argomenti che tocchino il Mezzogiorno; se no perché

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La tesi del «Saggiatore».Quasi contemporaneamente la nuova rivista parteno-

pea «Il Saggiatore» inizia le pubblicazioni e promette direcare

il suo modesto ma fervido contributo alla rinascita dello spiritounitario, al rinnovamento del costume politico sul piano di un in-flessibile rigore morale, alla riorganizzazione delle forze demo-cratiche della nazione.

Tale opera, [dice il manifesto] già coraggiosamente iniziatadalla libera stampa e da numerosi gruppi politici, può essere par-ticolarmente feconda nel Mezzogiorno d'Italia, ove il tessuto piúsaldo dell'organismo sociale è costituito da una piccola borghesiarurale e cittadina, da un ceto medio di professionisti, coltivatori,artigiani, commercianti, impareggiabile per coscienza morale, pervirtú di lavoro, di risparmio, di sacrifici, elemento sicuro di pa-triottismo, di ordine, di disciplina nella compagine nazionale.

Il Mezzogiorno che si è straniato – nella sua generalità – datutti i tentativi di sovvertimento seguiti alla guerra, non può man-care oggi al compimento di quella funzione di equilibrio e di or-dinato sviluppo, che è nella sua tradizione e nel suo destino.

Fissato cosí il punto di vista del «Saggiatore» l'animodi molti amici fu preso da non poca amarezza per questostrano tentativo di teorizzare l'immobilità meridionale.Né il dubbio fu di breve durata perché il numero succes-sivo della rivista recava, a firma di Gherardo Marone, ilseguente corsivo:

Un autorevole amico mi scrive: «La rivista mi par dovrebberiescire a toccare corde piú interessanti e soprattutto suscitare di-scussioni su argomenti che tocchino il Mezzogiorno; se no perché

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farla uscire a Napoli?» Questa osservazione mi consente di chiari-re subito il pensiero del «Saggiatore» circa la sostanza del proble-ma meridionale.

Noi affermiamo senza esitazione che non esiste in realtà unproblema meridionale, ma esiste un problema italiano da risolve-re armonicamente.

Respingiamo sdegnosamente – e perciò non vogliamo suscitar-le – quelle forme di «discussioni su argomenti che tocchino ilMezzogiorno» le quali in fondo, scarnificate di tutti gli orpelli ele montature tecniche, hanno solo il valore di piagnucolose pitoc-cherie che ci umiliano e ci offendono.

Il Mezzogiorno, con la sua compattezza e consistenza demo-grafica e morale, col senso profondo dell'unità nazionale che rive-la, ha già varie volte salvata l'Italia dalla disgregazione e dallamorte. Il suo problema perciò è problema italiano, la cui soluzio-ne va a beneficio di tutto il paese e non solo di una data regione.

Non vogliamo elemosine che si risolvono sempre in stupidebeffe, non chiediamo niente né a questo governo in rovina né aglialtri che gli succederanno nel tempo, perché pensiamo che il pro-blema del Mezzogiorno non sia solo di strade o di bonifiche omeglio ancora di balzelli, ma di armonia nazionale e di unità.

Questa presa di posizione della rivista partenopea era,però, troppo semplicistica per rimanere definitiva, edecco nel numero successivo Mario Grieco affrontare«l'atteggiamento sui generis dell'Italia meridionale nellacrisi politica che dura in Italia da un biennio» con questeparole:

È cosa vera: ma è, in molta parte, fenomeno passivo. E questarivista, che vuol essere sincera e costruttiva, non deve mancare didenunziarlo ai meridionali e agli altri. Se dietro la nostra sorda re-

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farla uscire a Napoli?» Questa osservazione mi consente di chiari-re subito il pensiero del «Saggiatore» circa la sostanza del proble-ma meridionale.

Noi affermiamo senza esitazione che non esiste in realtà unproblema meridionale, ma esiste un problema italiano da risolve-re armonicamente.

Respingiamo sdegnosamente – e perciò non vogliamo suscitar-le – quelle forme di «discussioni su argomenti che tocchino ilMezzogiorno» le quali in fondo, scarnificate di tutti gli orpelli ele montature tecniche, hanno solo il valore di piagnucolose pitoc-cherie che ci umiliano e ci offendono.

Il Mezzogiorno, con la sua compattezza e consistenza demo-grafica e morale, col senso profondo dell'unità nazionale che rive-la, ha già varie volte salvata l'Italia dalla disgregazione e dallamorte. Il suo problema perciò è problema italiano, la cui soluzio-ne va a beneficio di tutto il paese e non solo di una data regione.

Non vogliamo elemosine che si risolvono sempre in stupidebeffe, non chiediamo niente né a questo governo in rovina né aglialtri che gli succederanno nel tempo, perché pensiamo che il pro-blema del Mezzogiorno non sia solo di strade o di bonifiche omeglio ancora di balzelli, ma di armonia nazionale e di unità.

Questa presa di posizione della rivista partenopea era,però, troppo semplicistica per rimanere definitiva, edecco nel numero successivo Mario Grieco affrontare«l'atteggiamento sui generis dell'Italia meridionale nellacrisi politica che dura in Italia da un biennio» con questeparole:

È cosa vera: ma è, in molta parte, fenomeno passivo. E questarivista, che vuol essere sincera e costruttiva, non deve mancare didenunziarlo ai meridionali e agli altri. Se dietro la nostra sorda re-

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sistenza vi fosse alcunché di volontario, di meditato, di previden-te per il futuro, l'orgoglio sarebbe logico, e sarebbe forza. Ma noidubitiamo assai che, come al solito, pei problemi meridionali, an-che qui vi sia un equivoco. Ed è che il Mezzogiorno sia restatoapatico e reattivo verso l'allettamento fascista, principalmenteperché gli mancavano i requisiti politici e le attitudini sociali persentire il fenomeno, e per apprezzarlo o repellerlo con cognizionedi causa.

Questa deficienza, che, secondo il Grieco, spiegal'insuccesso dei partiti politici moderni e il permaneredel personalismo trasformistico, richiede la maggiore at-tenzione da parte delle nuove generazioni meridionali seesse intendono sul serio preparare la rinascita del loropaese.

Torneremo in seguito su questi concetti.

La tesi dei popolari.Quasi contemporaneamente il «Popolo» pubblicava

un editoriale in cui la tesi popolare, già formulata alcongresso di Napoli del 1920, veniva riaffermata.

È stato ripetuto frequentemente, e fin dal congresso di Napolidel 1920 i popolari lo hanno proclamato altamente, che al Mezzo-giorno per la soluzione di tutti i suoi problemi basta che esso sialasciato alla libera azione delle proprie energie senza deviazioniartificiose, senza inceppi e senza interferenze. Quando si parladella responsabilità del governo rispetto al Mezzogiorno e quandoper esse ci si riferisce a quasi tutti i governi che si sono succeduti,si vuole affermare la colpa di essi di avere subordinato a interessi

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sistenza vi fosse alcunché di volontario, di meditato, di previden-te per il futuro, l'orgoglio sarebbe logico, e sarebbe forza. Ma noidubitiamo assai che, come al solito, pei problemi meridionali, an-che qui vi sia un equivoco. Ed è che il Mezzogiorno sia restatoapatico e reattivo verso l'allettamento fascista, principalmenteperché gli mancavano i requisiti politici e le attitudini sociali persentire il fenomeno, e per apprezzarlo o repellerlo con cognizionedi causa.

Questa deficienza, che, secondo il Grieco, spiegal'insuccesso dei partiti politici moderni e il permaneredel personalismo trasformistico, richiede la maggiore at-tenzione da parte delle nuove generazioni meridionali seesse intendono sul serio preparare la rinascita del loropaese.

Torneremo in seguito su questi concetti.

La tesi dei popolari.Quasi contemporaneamente il «Popolo» pubblicava

un editoriale in cui la tesi popolare, già formulata alcongresso di Napoli del 1920, veniva riaffermata.

È stato ripetuto frequentemente, e fin dal congresso di Napolidel 1920 i popolari lo hanno proclamato altamente, che al Mezzo-giorno per la soluzione di tutti i suoi problemi basta che esso sialasciato alla libera azione delle proprie energie senza deviazioniartificiose, senza inceppi e senza interferenze. Quando si parladella responsabilità del governo rispetto al Mezzogiorno e quandoper esse ci si riferisce a quasi tutti i governi che si sono succeduti,si vuole affermare la colpa di essi di avere subordinato a interessi

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particolaristici e personali, in intimo rapporto con gli schemi par-lamentaristici dei diversi gabinetti, il complesso degli interessimeridionali, facendo una politica deviatrice o per lo meno di in-comprensione.

Cosí è nato il sistema personalistico, legato al colle-gio uninominale e nemico della proporzione, cosí sispiega la reazione delle classi dirigenti italiane al decen-tramento amministrativo.

Pensate alla politica doganale, pensate alla politica elettorale evedrete facilmente come la questione del Mezzogiorno sia ben di-versa dal conto-spese per una ferrovia o per un porto, ma consistasoprattutto e anzitutto in una esigenza imperiosa di giustizia, ilconseguimento della quale vediamo allontanarsi di piú con un si-stema che si dice avvicini l'eletto all'elettore, ma si tace che in so-stanza esso allontana il rappresentante dalla sua regione e dagliinteressi complessivi di essa.

Cosí il problema del Mezzogiorno non entra in una nuova fase,non fa dipendere la sua soluzione né da stanziamenti né da decre-ti, perché matura in una crisi spirituale, che sboccherà in una va-lutazione per la quale il passato e l'attuale presente non potrannocertamente vantare di stare dalla parte attiva, da quella cioè versola quale il Mezzogiorno tende con sforzi spirituali e con le sueenergie economiche, anelando di vederle libere nel loro giuoco,non sottordinate a altri interessi che non siano quelli strettamentenecessari a mantenere quella unità della nazione che deve esseregaranzia per tutti e non privilegio per pochi.

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particolaristici e personali, in intimo rapporto con gli schemi par-lamentaristici dei diversi gabinetti, il complesso degli interessimeridionali, facendo una politica deviatrice o per lo meno di in-comprensione.

Cosí è nato il sistema personalistico, legato al colle-gio uninominale e nemico della proporzione, cosí sispiega la reazione delle classi dirigenti italiane al decen-tramento amministrativo.

Pensate alla politica doganale, pensate alla politica elettorale evedrete facilmente come la questione del Mezzogiorno sia ben di-versa dal conto-spese per una ferrovia o per un porto, ma consistasoprattutto e anzitutto in una esigenza imperiosa di giustizia, ilconseguimento della quale vediamo allontanarsi di piú con un si-stema che si dice avvicini l'eletto all'elettore, ma si tace che in so-stanza esso allontana il rappresentante dalla sua regione e dagliinteressi complessivi di essa.

Cosí il problema del Mezzogiorno non entra in una nuova fase,non fa dipendere la sua soluzione né da stanziamenti né da decre-ti, perché matura in una crisi spirituale, che sboccherà in una va-lutazione per la quale il passato e l'attuale presente non potrannocertamente vantare di stare dalla parte attiva, da quella cioè versola quale il Mezzogiorno tende con sforzi spirituali e con le sueenergie economiche, anelando di vederle libere nel loro giuoco,non sottordinate a altri interessi che non siano quelli strettamentenecessari a mantenere quella unità della nazione che deve esseregaranzia per tutti e non privilegio per pochi.

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Quattro tesi in contrasto.Sono, dunque, quattro tesi in contrasto, corrisponden-

ti a diverse mentalità: a) la tesi fascista non eccede lavisione paternalistica, in quanto essa parte dal presuppo-sto della deficienza meridionale nel campo delle libereiniziative, per postulare l'azione integrativa del governo.Essa contiene un rilievo critico, in linea di prima ap-prossimazione esatto (deficienza meridionale) e un ri-medio politico (fiducia nel governo) diretto al prolunga-mento della malattia. È la tesi piú antiquata e meno peri-colosa appunto perché in via di superamento. È inutilequindi occuparsene piú. b) Di contro a essa la tesi del«Mattino» contiene già qualche elemento di superamen-to (sfiducia nel governo attuale). Non potendo investiretutta la politica dello Stato italiano, il giornale parteno-peo è costretto a impicciolire nel tempo e nello spazio lasua critica: è costretto a limitarsi al problema ferrovia-rio, ignorando quello doganale, fiscale, bancario, eletto-rale, politico, e a riferire le sue rampogne solo al gover-no di Mussolini. Per questi caratteri di limitazione la tesidel «Mattino» accenna soltanto, ma non esaurisce il pro-blema meridionale né pone alcuna soluzione di caratterestrettamente politico. Non basta dire che le ferrovie delMezzogiorno marciano a 20 km. all'ora, ma occorre direperché politicamente ciò avviene. In altri termini, per-ché lo Stato si preoccupi cosí scarsamente degli interessimeridionali. c) Questo punto viene accennato dalla tesidel «Saggiatore». La questione meridionale non è tecni-

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Quattro tesi in contrasto.Sono, dunque, quattro tesi in contrasto, corrisponden-

ti a diverse mentalità: a) la tesi fascista non eccede lavisione paternalistica, in quanto essa parte dal presuppo-sto della deficienza meridionale nel campo delle libereiniziative, per postulare l'azione integrativa del governo.Essa contiene un rilievo critico, in linea di prima ap-prossimazione esatto (deficienza meridionale) e un ri-medio politico (fiducia nel governo) diretto al prolunga-mento della malattia. È la tesi piú antiquata e meno peri-colosa appunto perché in via di superamento. È inutilequindi occuparsene piú. b) Di contro a essa la tesi del«Mattino» contiene già qualche elemento di superamen-to (sfiducia nel governo attuale). Non potendo investiretutta la politica dello Stato italiano, il giornale parteno-peo è costretto a impicciolire nel tempo e nello spazio lasua critica: è costretto a limitarsi al problema ferrovia-rio, ignorando quello doganale, fiscale, bancario, eletto-rale, politico, e a riferire le sue rampogne solo al gover-no di Mussolini. Per questi caratteri di limitazione la tesidel «Mattino» accenna soltanto, ma non esaurisce il pro-blema meridionale né pone alcuna soluzione di caratterestrettamente politico. Non basta dire che le ferrovie delMezzogiorno marciano a 20 km. all'ora, ma occorre direperché politicamente ciò avviene. In altri termini, per-ché lo Stato si preoccupi cosí scarsamente degli interessimeridionali. c) Questo punto viene accennato dalla tesidel «Saggiatore». La questione meridionale non è tecni-

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ca, ma politica: non è regionale ma unitaria. È tutta lapolitica dello Stato italiano che è falsa; bisogna, quindi,agire sullo Stato per agire sul Mezzogiorno. Questo, insintesi, il pensiero del «Saggiatore», anche se falsamen-te laudativo dell'immobilità meridionale, e esagerata-mente negativo dell'esistenza della questione. Ma questopensiero fondamentale, esatto come prima approssima-zione critica, non ci dice perché lo Stato italiano non hamai fatto il suo dovere verso il Mezzogiorno, come dob-biamo agire nei suoi riguardi, su quali forze politichedobbiamo far leva per modificarne la struttura, con qualiforme di organizzazione potremo piú agevolmente rag-giungere il nostro scopo. Corretta dal Grieco la celebra-zione dell'immobilità politica meridionale, non antibol-scevica ma abolscevica e non antifascista ma afascista,rimane assolutamente scoperta l'impostazione politicadella tesi, che nelle affermazioni del Marone traeva for-za da un tentativo di conservazione di quella concezionepseudoliberale, pseudodemocratica, pseudocostituziona-le, che contrapponeva la saggezza del Mezzogiorno (lasaggezza del servitore) ai tentativi libertari del Nord. Latesi del «Saggiatore» perciò è un rilievo critico senzasoluzione politica. d) Píú precisa è invece la tesi popo-lare. Anch'essa considera la questione meridionale comepolitica e unitaria, ma aggiunge che essa è questione dilibertà. Lo Stato italiano svolge nel Mezzogiorno unapolitica di compressione doganale, tributaria e politicadannosa. Bisogna distruggere la compressione e lasciarele forze meridionali libere di produrre migliori condizio-

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ca, ma politica: non è regionale ma unitaria. È tutta lapolitica dello Stato italiano che è falsa; bisogna, quindi,agire sullo Stato per agire sul Mezzogiorno. Questo, insintesi, il pensiero del «Saggiatore», anche se falsamen-te laudativo dell'immobilità meridionale, e esagerata-mente negativo dell'esistenza della questione. Ma questopensiero fondamentale, esatto come prima approssima-zione critica, non ci dice perché lo Stato italiano non hamai fatto il suo dovere verso il Mezzogiorno, come dob-biamo agire nei suoi riguardi, su quali forze politichedobbiamo far leva per modificarne la struttura, con qualiforme di organizzazione potremo piú agevolmente rag-giungere il nostro scopo. Corretta dal Grieco la celebra-zione dell'immobilità politica meridionale, non antibol-scevica ma abolscevica e non antifascista ma afascista,rimane assolutamente scoperta l'impostazione politicadella tesi, che nelle affermazioni del Marone traeva for-za da un tentativo di conservazione di quella concezionepseudoliberale, pseudodemocratica, pseudocostituziona-le, che contrapponeva la saggezza del Mezzogiorno (lasaggezza del servitore) ai tentativi libertari del Nord. Latesi del «Saggiatore» perciò è un rilievo critico senzasoluzione politica. d) Píú precisa è invece la tesi popo-lare. Anch'essa considera la questione meridionale comepolitica e unitaria, ma aggiunge che essa è questione dilibertà. Lo Stato italiano svolge nel Mezzogiorno unapolitica di compressione doganale, tributaria e politicadannosa. Bisogna distruggere la compressione e lasciarele forze meridionali libere di produrre migliori condizio-

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ni di sviluppo. Nel campo piú strettamente politico-isti-tuzionale questa libertà può esplicarsi nel decentramentoamministrativo e nella creazione della regione, che abi-tuerà i meridionali all'autogoverno e ristabilirà le condi-zioni elementari per la giustizia amministrativa.

Autonomismo e decentramento.Siamo cosí pervenuti sul terreno piú strettamente po-

litico della questione. L'affermazione che il problemadel Sud sia politico e unitario non ci suggerisce peròsenz'altro come contrapporsi all'attuale azione dello Sta-to italiano. La stessa postulazione della regione contieneun salto, un vuoto assai grave, perché presuppone cri-stallizzato il nuovo stato di cose senza per altro descri-verci il modo come pervenirvi. Eppure risiede in questosalto la sostanza del problema. L'avvenire potrà cosísmentire il decentramento come realizzarlo. Non è asso-lutamente detto che un nuovo unitarismo non possa pro-dursi in conseguenza di un'azione meridionalista, e chela giustizia distributiva e la libertà possano essere realiz-zate attraverso l'ente regione piuttosto che attraverso loStato. Anzi, in linea di logica pura, e perciò non in lineapolitica, sembrerebbe che i compartimenti stagni delleregioni siano destinati a perpetuare le differenze esisten-ti privandoci a priori del diritto di prospettare come na-zionale la nostra questione, e quindi di valerci dell'operadello Stato. Se l'azione dello Stato e dei partiti storici èfalsamente unitaria la tendenza politica vittoriosa sem-

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ni di sviluppo. Nel campo piú strettamente politico-isti-tuzionale questa libertà può esplicarsi nel decentramentoamministrativo e nella creazione della regione, che abi-tuerà i meridionali all'autogoverno e ristabilirà le condi-zioni elementari per la giustizia amministrativa.

Autonomismo e decentramento.Siamo cosí pervenuti sul terreno piú strettamente po-

litico della questione. L'affermazione che il problemadel Sud sia politico e unitario non ci suggerisce peròsenz'altro come contrapporsi all'attuale azione dello Sta-to italiano. La stessa postulazione della regione contieneun salto, un vuoto assai grave, perché presuppone cri-stallizzato il nuovo stato di cose senza per altro descri-verci il modo come pervenirvi. Eppure risiede in questosalto la sostanza del problema. L'avvenire potrà cosísmentire il decentramento come realizzarlo. Non è asso-lutamente detto che un nuovo unitarismo non possa pro-dursi in conseguenza di un'azione meridionalista, e chela giustizia distributiva e la libertà possano essere realiz-zate attraverso l'ente regione piuttosto che attraverso loStato. Anzi, in linea di logica pura, e perciò non in lineapolitica, sembrerebbe che i compartimenti stagni delleregioni siano destinati a perpetuare le differenze esisten-ti privandoci a priori del diritto di prospettare come na-zionale la nostra questione, e quindi di valerci dell'operadello Stato. Se l'azione dello Stato e dei partiti storici èfalsamente unitaria la tendenza politica vittoriosa sem-

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brerebbe quella rivolta a creare l'unità sostanziale dopotanto sgoverno di unità formale.

Quindi il decentramento, inteso come dottrina poli-tico-istituzionale, contiene un vizio di origine, che glinega quella concretezza indispensabile a ogni seria azio-ne politica, e appunto, perciò, permette ai partiti storicidi postularlo come una via di uscita della crisi.

Prima che il Mezzogiorno lo chieda vi sono già degliunitari disposti a concederlo.

Questa osservazione ci convince che il decentramentoper essere duraturo dovrà essere conquistato. Ma come,con quali forze, con quali miti? Ecco, dunque, che ilvuoto si ripresenta e bisogna finalmente colmarlo.

Ora quello stesso anelito di libertà che spinge alcunimeridionali a postulare il decentramento amministrativocome forma istituzionale perfetta per la soluzione delproblema, ci suggerisce che la libertà giuridica di esseretale è politica. Occorre quindi disimpegnarsi dal passa-to, negare lo Stato italiano come s'è venuto creando, ne-gare i partiti che vi aderiscono e porre autonomamentela propria soluzione. L'autonomismo politico è, dunque,la chiave di volta del problema. Senza organi politiciadeguati tutte le soluzioni istituzionali e giuridiche sonoprive di vita. Anche se concesse, per ragioni di difesa,dai ceti dominanti, sono paternaliste. Invece i partiti au-tonomisti esauriscono completamente lo scopo che vo-gliono raggiungere, perché mentre appaiono come gliorgani piú adatti a negare lo Stato storico, e quindi aporre sul terreno del self-government le masse meridio-

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brerebbe quella rivolta a creare l'unità sostanziale dopotanto sgoverno di unità formale.

Quindi il decentramento, inteso come dottrina poli-tico-istituzionale, contiene un vizio di origine, che glinega quella concretezza indispensabile a ogni seria azio-ne politica, e appunto, perciò, permette ai partiti storicidi postularlo come una via di uscita della crisi.

Prima che il Mezzogiorno lo chieda vi sono già degliunitari disposti a concederlo.

Questa osservazione ci convince che il decentramentoper essere duraturo dovrà essere conquistato. Ma come,con quali forze, con quali miti? Ecco, dunque, che ilvuoto si ripresenta e bisogna finalmente colmarlo.

Ora quello stesso anelito di libertà che spinge alcunimeridionali a postulare il decentramento amministrativocome forma istituzionale perfetta per la soluzione delproblema, ci suggerisce che la libertà giuridica di esseretale è politica. Occorre quindi disimpegnarsi dal passa-to, negare lo Stato italiano come s'è venuto creando, ne-gare i partiti che vi aderiscono e porre autonomamentela propria soluzione. L'autonomismo politico è, dunque,la chiave di volta del problema. Senza organi politiciadeguati tutte le soluzioni istituzionali e giuridiche sonoprive di vita. Anche se concesse, per ragioni di difesa,dai ceti dominanti, sono paternaliste. Invece i partiti au-tonomisti esauriscono completamente lo scopo che vo-gliono raggiungere, perché mentre appaiono come gliorgani piú adatti a negare lo Stato storico, e quindi aporre sul terreno del self-government le masse meridio-

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nali, finora assorbite soltanto dalla prassi paterna, non siallontanano soverchiamente dal campo politico per in-vadere quello giuridico e postulare soluzioni, che perora debbono restare puramente tendenziali.

Essi, in verità, sono i soli eredi dello spirito del Risor-gimento, che considerano incompiuto. Occorrevano set-tanta anni di vita unitaria per distruggere la retorica re-gia che ha considerato l'Italia fatta nel 1860, e per mo-strarci che l'Italia deve farsi, prima che al centro, allaperiferia; prima che nelle leggi dei governanti nello spi-rito dei governati.

I partiti autonomisti, mirando a colmare questa lacu-na, sono gli unici che postulano la fondamentale unitàdel popolo italiano contro le deviazioni particolaristichedello Stato storico.

Sembrerebbe un paradosso, ma è la verità.

[Da «La Rivoluzione Liberale» del 15 marzo 1925].

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nali, finora assorbite soltanto dalla prassi paterna, non siallontanano soverchiamente dal campo politico per in-vadere quello giuridico e postulare soluzioni, che perora debbono restare puramente tendenziali.

Essi, in verità, sono i soli eredi dello spirito del Risor-gimento, che considerano incompiuto. Occorrevano set-tanta anni di vita unitaria per distruggere la retorica re-gia che ha considerato l'Italia fatta nel 1860, e per mo-strarci che l'Italia deve farsi, prima che al centro, allaperiferia; prima che nelle leggi dei governanti nello spi-rito dei governati.

I partiti autonomisti, mirando a colmare questa lacu-na, sono gli unici che postulano la fondamentale unitàdel popolo italiano contro le deviazioni particolaristichedello Stato storico.

Sembrerebbe un paradosso, ma è la verità.

[Da «La Rivoluzione Liberale» del 15 marzo 1925].

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Mali e rimedi

Il rumore giornalistico sollevato intorno al progettogovernativo per le province meridionali si è ormai spen-to, e solo l'eco ripete di tanto in tanto i lieti pronostici egli eroici propositi di questi giorni.

Come per incanto tutti sono divenuti meridionalistiper l'occasione e l'organo massimo del trasformismomeridionale «Il Mattino» ha potuto scrivere, con la con-sueta disinvoltura, che il programma di resurrezione del-le nostre terre è addirittura una invenzione della primaora di casa Scarfoglio.

Or dunque che i pionieri hanno parlato, possiamoscrivere qualche rigo di serena disamina per ricondurreai suoi veri termini la questione, e poter cosí giudicarele buone intenzioni e le possibilità di qualsiasi governonon soltanto fascista ma altresí antifascista.

Tutti i meridionalisti che giudicano con cognizione dicausa lo stato delle nostre terre e si affannano a convin-cere il prossimo della bontà della nostra causa, devono

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Mali e rimedi

Il rumore giornalistico sollevato intorno al progettogovernativo per le province meridionali si è ormai spen-to, e solo l'eco ripete di tanto in tanto i lieti pronostici egli eroici propositi di questi giorni.

Come per incanto tutti sono divenuti meridionalistiper l'occasione e l'organo massimo del trasformismomeridionale «Il Mattino» ha potuto scrivere, con la con-sueta disinvoltura, che il programma di resurrezione del-le nostre terre è addirittura una invenzione della primaora di casa Scarfoglio.

Or dunque che i pionieri hanno parlato, possiamoscrivere qualche rigo di serena disamina per ricondurreai suoi veri termini la questione, e poter cosí giudicarele buone intenzioni e le possibilità di qualsiasi governonon soltanto fascista ma altresí antifascista.

Tutti i meridionalisti che giudicano con cognizione dicausa lo stato delle nostre terre e si affannano a convin-cere il prossimo della bontà della nostra causa, devono

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innanzi tutto protestare contro i rimedi che invece di ini-ziare la cura radicale e razionale del male, si sforzano dieliminare cause secondarie e transitorie, riproducendocosí, sotto mutata veste anche quando i medici siano inbuona fede, le cause prime del male. A questo tipo di ri-medio, a esempio, si può ricondurre tutta la politica deilavori pubblici, con alti commissari e senza, con istitutidi credito e senza, che in questi giorni sono stati propo-sti da quei giornalisti che non esitano, con invidiabiledisinvoltura, a passare dal proposito d'istituire una poli-tica meridionalistica tipo Gandhi o Sinn Feiners a quellodi contentarsi della piccola curée bancaria di un istitutospeciale che distribuisca quattro milioni di carta svaluta-ta a tutti i politicanti dichiarati contabili del Sud.

A che cosa serve infatti la politica dei lavori pubbliciin Italia se non a creare nuova fonte di corruzione politi-ca e a rinsaldare il traballante dominio dei trasformistimeridionali, senza riuscire a produrre quei rimedi finan-ziari atti a modificare come che sia la struttura economi-ca e sociale delle regioni del Sud? Non è forse vero chetutte le «leggi speciali» hanno lasciato, in massima par-te, il tempo che hanno trovato, peggiorando anzi le con-dizioni politiche e morali delle regioni che ne sono statebeneficiate, attraverso il favoritismo elettorale e la sfac-ciata camorra dei grandi elettori? Perché insistere in unacura scopertasi erronea, se non proprio per tentare di il-ludere le popolazioni meridionali, avendo invece di mirail riprodursi dei difetti del sistema? Io non oso risponde-re che questa perseveranza in un erroneo indirizzo am-

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innanzi tutto protestare contro i rimedi che invece di ini-ziare la cura radicale e razionale del male, si sforzano dieliminare cause secondarie e transitorie, riproducendocosí, sotto mutata veste anche quando i medici siano inbuona fede, le cause prime del male. A questo tipo di ri-medio, a esempio, si può ricondurre tutta la politica deilavori pubblici, con alti commissari e senza, con istitutidi credito e senza, che in questi giorni sono stati propo-sti da quei giornalisti che non esitano, con invidiabiledisinvoltura, a passare dal proposito d'istituire una poli-tica meridionalistica tipo Gandhi o Sinn Feiners a quellodi contentarsi della piccola curée bancaria di un istitutospeciale che distribuisca quattro milioni di carta svaluta-ta a tutti i politicanti dichiarati contabili del Sud.

A che cosa serve infatti la politica dei lavori pubbliciin Italia se non a creare nuova fonte di corruzione politi-ca e a rinsaldare il traballante dominio dei trasformistimeridionali, senza riuscire a produrre quei rimedi finan-ziari atti a modificare come che sia la struttura economi-ca e sociale delle regioni del Sud? Non è forse vero chetutte le «leggi speciali» hanno lasciato, in massima par-te, il tempo che hanno trovato, peggiorando anzi le con-dizioni politiche e morali delle regioni che ne sono statebeneficiate, attraverso il favoritismo elettorale e la sfac-ciata camorra dei grandi elettori? Perché insistere in unacura scopertasi erronea, se non proprio per tentare di il-ludere le popolazioni meridionali, avendo invece di mirail riprodursi dei difetti del sistema? Io non oso risponde-re che questa perseveranza in un erroneo indirizzo am-

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ministrativo sia voluta a tutti i costi, ma credo che do-vrebbe essere ormai chiaro anche ai ciechi, dopo la col-luvie di studi e di chiacchiere sulla vexata quaestio, cheil problema del Sud è problema di sgravi tributari, piut-tosto che di lavori pubblici, di risanamento finanziariopiuttosto che di credito.

Occorre ostacolare quanto meno è possibile la forma-zione del capitale meridionale, piuttosto che, dopo aver-lo pompato e distrutto in tutti i modi, tentare di rico-struirlo attraverso la carità statale. Occorre, quindi, rive-dere ab imo tutta la politica tributaria dello Stato italia-no, opporsi a tutte le forme d'intervento statale, palesi olarvate, che non operano altro che spostamento di ric-chezza, e stabilire conseguentemente diversi criteri ditassazione, cercando di esentare, per quanto è possibile,le regioni povere dal peso delle spese collettive. Solocosí si può arrivare a dare agli organi malati il riposo ne-cessario per vincere la fase di deperimento organico,prodotto dai mali del passato, e permettere loro di accu-mulare riserve per l'avvenire.

Diversamente non si farebbe che imitare quel medicoche pretendesse cavar sangue a un tisico e guarirlo conun uovo al giorno.

È tutta l'azione dello Stato, dunque, che occorre mo-dificare, se si vuol agire seriamente per creare le condi-zioni elementari della nostra riscossa economica.

Fino a quando, perciò, l'on. De Stefani continuerà aassicurare con la sua politica finanziaria il permanere

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ministrativo sia voluta a tutti i costi, ma credo che do-vrebbe essere ormai chiaro anche ai ciechi, dopo la col-luvie di studi e di chiacchiere sulla vexata quaestio, cheil problema del Sud è problema di sgravi tributari, piut-tosto che di lavori pubblici, di risanamento finanziariopiuttosto che di credito.

Occorre ostacolare quanto meno è possibile la forma-zione del capitale meridionale, piuttosto che, dopo aver-lo pompato e distrutto in tutti i modi, tentare di rico-struirlo attraverso la carità statale. Occorre, quindi, rive-dere ab imo tutta la politica tributaria dello Stato italia-no, opporsi a tutte le forme d'intervento statale, palesi olarvate, che non operano altro che spostamento di ric-chezza, e stabilire conseguentemente diversi criteri ditassazione, cercando di esentare, per quanto è possibile,le regioni povere dal peso delle spese collettive. Solocosí si può arrivare a dare agli organi malati il riposo ne-cessario per vincere la fase di deperimento organico,prodotto dai mali del passato, e permettere loro di accu-mulare riserve per l'avvenire.

Diversamente non si farebbe che imitare quel medicoche pretendesse cavar sangue a un tisico e guarirlo conun uovo al giorno.

È tutta l'azione dello Stato, dunque, che occorre mo-dificare, se si vuol agire seriamente per creare le condi-zioni elementari della nostra riscossa economica.

Fino a quando, perciò, l'on. De Stefani continuerà aassicurare con la sua politica finanziaria il permanere

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delle condizioni di squilibrio anteriore, non soltanto nonsi potrà parlare di risoluzione del problema, ma non sipotrà addirittura sognare l'inizio di quella corretta impo-stazione di studio che l'on. Mussolini pare abbia volutotracciare con il suo ultimo progetto di legge.

La questione meridionale è, prima di ogni altra cosa,questione di libertà economica, mentre il fascismo tra-duce in sede politica tutte le esigenze del sistema stataledi interventismo finanziario e di accentramento burocra-tico.

L'on. Mussolini non può, perciò, agire contro i datistorici e sociali della sua formazione politica senza di-sarticolarla e distruggerla.

La politica dei lavori pubblici, anche attraverso lapersona del ministro Giuriati, nominato Alto commissa-rio per il Mezzogiorno, rientra nel quadro di tutte le pos-sibilità fasciste, e perciò non eccede i dati storici del di-sordine amministrativo e della invadenza tradizionaledello Stato storico. Il meridionalismo, inteso come orga-nizzazione di forze autoctone, dirette a distruggere que-sto vizio costituzionale della società italiana, è ancora dilà da venire.

Quello del «Mattino» non è che il grido dei volatiliall'annunzio della tempesta: un agitarsi scomposto e di-sorganico per immunizzare le proprie fortune dal ciclo-ne storico che si addensa sul cielo meridionale.

Esso ci è utile perché funziona da anemografo e ciconferma che il trasformismo è veramente agonizzante,ma non riesce a prenderci perché ormai siamo abbastan-

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delle condizioni di squilibrio anteriore, non soltanto nonsi potrà parlare di risoluzione del problema, ma non sipotrà addirittura sognare l'inizio di quella corretta impo-stazione di studio che l'on. Mussolini pare abbia volutotracciare con il suo ultimo progetto di legge.

La questione meridionale è, prima di ogni altra cosa,questione di libertà economica, mentre il fascismo tra-duce in sede politica tutte le esigenze del sistema stataledi interventismo finanziario e di accentramento burocra-tico.

L'on. Mussolini non può, perciò, agire contro i datistorici e sociali della sua formazione politica senza di-sarticolarla e distruggerla.

La politica dei lavori pubblici, anche attraverso lapersona del ministro Giuriati, nominato Alto commissa-rio per il Mezzogiorno, rientra nel quadro di tutte le pos-sibilità fasciste, e perciò non eccede i dati storici del di-sordine amministrativo e della invadenza tradizionaledello Stato storico. Il meridionalismo, inteso come orga-nizzazione di forze autoctone, dirette a distruggere que-sto vizio costituzionale della società italiana, è ancora dilà da venire.

Quello del «Mattino» non è che il grido dei volatiliall'annunzio della tempesta: un agitarsi scomposto e di-sorganico per immunizzare le proprie fortune dal ciclo-ne storico che si addensa sul cielo meridionale.

Esso ci è utile perché funziona da anemografo e ciconferma che il trasformismo è veramente agonizzante,ma non riesce a prenderci perché ormai siamo abbastan-

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za scaltriti al giuoco. Anche questo è un indice dei tem-pi e del lento accumularsi nelle generazioni di nuoveenergie intransigenti, disposte a romperla, non a chiac-chiere, col passato.

[Dal «Corriere dell'Irpinia» del 13 giugno 1925].

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za scaltriti al giuoco. Anche questo è un indice dei tem-pi e del lento accumularsi nelle generazioni di nuoveenergie intransigenti, disposte a romperla, non a chiac-chiere, col passato.

[Dal «Corriere dell'Irpinia» del 13 giugno 1925].

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Epilogo semiserio

Tutti noi siamo perfettamente d'accordo: la colpa è diGian Giacomo. È lui il cattivo genio che ci ha portato aquesto stato, è lui che ha corrotto le coscienze, deviatala gioventú, bolscevizzato il mondo. Contro di lui biso-gna quindi reagire. Morte, perciò, all'atomismo demo-cratico. Distruggiamo l'individuo, anzi sopprimiamo ad-dirittura la parola dal dizionario.

Lo Stato è tutto, principio e fine della vita: padre de-gli individui, e, come Saturno, divoratore dei suoi figli.Affidiamoci allo Stato, non domandiamo come sia nato,che cosa voglia, che cosa faccia. Non abbiamo il dirittodi fare queste domande indiscrete, anzi non abbiamo al-cun diritto di natura. Tutti i diritti ci provengono dalloStato come tante specie di affezioni costituzionali. Per-ciò in Italia siamo tutti etici. Specialmente noi del Mez-zogiorno che abbiamo la suprema ventura di avere percompaesano il ministro Rocco, teorico di fama europea,scopritore di dottrine universali, antiliberale di marca.

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Epilogo semiserio

Tutti noi siamo perfettamente d'accordo: la colpa è diGian Giacomo. È lui il cattivo genio che ci ha portato aquesto stato, è lui che ha corrotto le coscienze, deviatala gioventú, bolscevizzato il mondo. Contro di lui biso-gna quindi reagire. Morte, perciò, all'atomismo demo-cratico. Distruggiamo l'individuo, anzi sopprimiamo ad-dirittura la parola dal dizionario.

Lo Stato è tutto, principio e fine della vita: padre de-gli individui, e, come Saturno, divoratore dei suoi figli.Affidiamoci allo Stato, non domandiamo come sia nato,che cosa voglia, che cosa faccia. Non abbiamo il dirittodi fare queste domande indiscrete, anzi non abbiamo al-cun diritto di natura. Tutti i diritti ci provengono dalloStato come tante specie di affezioni costituzionali. Per-ciò in Italia siamo tutti etici. Specialmente noi del Mez-zogiorno che abbiamo la suprema ventura di avere percompaesano il ministro Rocco, teorico di fama europea,scopritore di dottrine universali, antiliberale di marca.

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Abbasso il liberalismo e i suoi epigoni, e viva il grandeRocco, gloria del Sud, che lo ha abbattuto. Ma quale li-beralismo?

Il liberalismo di comodo...Un liberalismo di comodo, risponde Giovanni Genti-

le; una specie di pupazzo impagliato per tirarvi contro lepallottole di mota, uno spaventapasseri ideologico, dicui nemmeno i pettirossi hanno piú paura. Povero GianGiacomo, umiliato, superato e distrutto da tanto tempo.

«C'è un liberalismo» scriveva Gentile nel gennaio1923 [vedi «La nuova politica liberale», p. 9] «che facomodo ai suoi avversari [al ministro Rocco!] e che sisente infatti invocare spesso da tutti, quantunque i piúripugnano ad aderirvi per proprio conto. Ed è il liberali-smo materialista del secolo XVIII, nato in Inghilterranel precedente, ma diventato nel Settecento il credo del-la rivoluzione... Ma c'è un altro liberalismo, nato nel se-colo XIX, nella piena maturità dello stesso pensiero del-la rivoluzione, attraverso quella critica del materialismoche in tutti i paesi d'Europa in vario modo condusse allariaffermazione dei valori spirituali»; e questo liberali-smo è quello che ci proviene dal pensiero vichiano e at-traverso l'opera del Cuoco e dello Spaventa ha permeatoil pensiero della Destra storica. Questo, secondo Genti-le, è il liberalismo ideologicamente sano, la dottrina del-lo Stato etico, e ha una storia affermata che non si puòdistruggere: questo, aggiungiamo noi, è il liberalismo

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Abbasso il liberalismo e i suoi epigoni, e viva il grandeRocco, gloria del Sud, che lo ha abbattuto. Ma quale li-beralismo?

Il liberalismo di comodo...Un liberalismo di comodo, risponde Giovanni Genti-

le; una specie di pupazzo impagliato per tirarvi contro lepallottole di mota, uno spaventapasseri ideologico, dicui nemmeno i pettirossi hanno piú paura. Povero GianGiacomo, umiliato, superato e distrutto da tanto tempo.

«C'è un liberalismo» scriveva Gentile nel gennaio1923 [vedi «La nuova politica liberale», p. 9] «che facomodo ai suoi avversari [al ministro Rocco!] e che sisente infatti invocare spesso da tutti, quantunque i piúripugnano ad aderirvi per proprio conto. Ed è il liberali-smo materialista del secolo XVIII, nato in Inghilterranel precedente, ma diventato nel Settecento il credo del-la rivoluzione... Ma c'è un altro liberalismo, nato nel se-colo XIX, nella piena maturità dello stesso pensiero del-la rivoluzione, attraverso quella critica del materialismoche in tutti i paesi d'Europa in vario modo condusse allariaffermazione dei valori spirituali»; e questo liberali-smo è quello che ci proviene dal pensiero vichiano e at-traverso l'opera del Cuoco e dello Spaventa ha permeatoil pensiero della Destra storica. Questo, secondo Genti-le, è il liberalismo ideologicamente sano, la dottrina del-lo Stato etico, e ha una storia affermata che non si puòdistruggere: questo, aggiungiamo noi, è il liberalismo

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idealista che gli uomini della Destra hanno tentato tra-durre in categorie storiche.

Che cosa c'entra dunque Gian Giacomo e il liberali-smo materialistico? Potremmo anzi dire: chi lo conosce?Ma Gentile suggerisce: è un liberalismo di comodo, ilfantoccio del bersaglio nel giuoco delle tre palle per unsoldo, e Rocco non ha temuto di impadronirsi con untratto di genio (questo sí che è genio) del pensierodell'idealismo liberale per mettergli la camicia nera. Ilfascismo ha finalmente una dottrina, nuova, fiammantedi zecca, partorita come Minerva dal cervello di Giove,e, per giunta, una dottrina meridionale. Cosí il pensieropiú tragicamente serio che sia nato in queste aride e ul-trafilofasciste terre, si è trasformato in un passaporto fi-losofico per giustificare la rivoluzionaria azione dei mi-crobi della cancrena travestiti da commissari regi neipiccoli comuni di campagna.

...e le corna al Podestà.Ed è perciò che con perfetta applicazione dialettica si

è invocato il Podestà. È cosí logico il trapasso che Ber-trando Spaventa stesso, se tornasse in vita, sarebbe co-stretto a riconoscere che tra lo Stato e l'individuo, e tral'Autorità e la Libertà non vi è altra sintesi storica possi-bile che il Podestà. Anzi il Podestà è sintesi delle sintesi,cioè principio e unico della vita statale.

Voi non potete immaginare, cari amici del Nord,come ci sollazzano queste trovate. E badate non sollaz-

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idealista che gli uomini della Destra hanno tentato tra-durre in categorie storiche.

Che cosa c'entra dunque Gian Giacomo e il liberali-smo materialistico? Potremmo anzi dire: chi lo conosce?Ma Gentile suggerisce: è un liberalismo di comodo, ilfantoccio del bersaglio nel giuoco delle tre palle per unsoldo, e Rocco non ha temuto di impadronirsi con untratto di genio (questo sí che è genio) del pensierodell'idealismo liberale per mettergli la camicia nera. Ilfascismo ha finalmente una dottrina, nuova, fiammantedi zecca, partorita come Minerva dal cervello di Giove,e, per giunta, una dottrina meridionale. Cosí il pensieropiú tragicamente serio che sia nato in queste aride e ul-trafilofasciste terre, si è trasformato in un passaporto fi-losofico per giustificare la rivoluzionaria azione dei mi-crobi della cancrena travestiti da commissari regi neipiccoli comuni di campagna.

...e le corna al Podestà.Ed è perciò che con perfetta applicazione dialettica si

è invocato il Podestà. È cosí logico il trapasso che Ber-trando Spaventa stesso, se tornasse in vita, sarebbe co-stretto a riconoscere che tra lo Stato e l'individuo, e tral'Autorità e la Libertà non vi è altra sintesi storica possi-bile che il Podestà. Anzi il Podestà è sintesi delle sintesi,cioè principio e unico della vita statale.

Voi non potete immaginare, cari amici del Nord,come ci sollazzano queste trovate. E badate non sollaz-

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zano soltanto i nostri cervelli di sofisti bizantini e di cu-riali giurisdizionalisti, dispersi tra i monti a ricercarenelle aride crete o tra le ristoppie cantate dalle cicale,quanto Medioevo ancora viva in quest'atmosfera di fuo-co, e quanto evo moderno ci porti quotidianamente lacarta stampata, ma sollazzano ancora piú i nostri conta-dini, cervelli semplici, chiari, dialettici, questi sí chesono dialettici, affamati di terra e di libertà.

Io già li sento dire: il Podestà, ah sí, e a me che me neimporta? Ora lo chiamano Sindaco, domani lo chiame-ranno Podestà, ma saranno sempre le sciammèreche acomandare.

Le sciammerèche, cari amici del Nord, sono i borghe-si rurali, avari, sudici, assenteisti, analfabeti, volgari, ci-nici che a ogni cambiamento di governo si offrono cometutori dell'ordine.

Nessun governo può fare senza di loro, nessun gover-no ha mai pensato di distruggerli. Solo la storia, l'econo-mia politica e la vaporiera, camminando ogni giornoverso un avvenire migliore, ne scalfiscono il dominio,tolgono una pietra all'edificio. E a mano a mano chequesto processo si sviluppa, il lavoratore sobrio, devotoe pio, generoso e silenzioso, alza la testa verso il cielo esi sente uomo.

Altro che l'atomismo individualistico!...Non vi sono che i torbidi cervelli dei piccoli borghesi

trasformisti che possono sognare di arrestare questamarcia. Una grande marcia, amici del Nord, sognata daiprecursori, sognata da Vico, da Cuoco e da Spaventa,

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zano soltanto i nostri cervelli di sofisti bizantini e di cu-riali giurisdizionalisti, dispersi tra i monti a ricercarenelle aride crete o tra le ristoppie cantate dalle cicale,quanto Medioevo ancora viva in quest'atmosfera di fuo-co, e quanto evo moderno ci porti quotidianamente lacarta stampata, ma sollazzano ancora piú i nostri conta-dini, cervelli semplici, chiari, dialettici, questi sí chesono dialettici, affamati di terra e di libertà.

Io già li sento dire: il Podestà, ah sí, e a me che me neimporta? Ora lo chiamano Sindaco, domani lo chiame-ranno Podestà, ma saranno sempre le sciammèreche acomandare.

Le sciammerèche, cari amici del Nord, sono i borghe-si rurali, avari, sudici, assenteisti, analfabeti, volgari, ci-nici che a ogni cambiamento di governo si offrono cometutori dell'ordine.

Nessun governo può fare senza di loro, nessun gover-no ha mai pensato di distruggerli. Solo la storia, l'econo-mia politica e la vaporiera, camminando ogni giornoverso un avvenire migliore, ne scalfiscono il dominio,tolgono una pietra all'edificio. E a mano a mano chequesto processo si sviluppa, il lavoratore sobrio, devotoe pio, generoso e silenzioso, alza la testa verso il cielo esi sente uomo.

Altro che l'atomismo individualistico!...Non vi sono che i torbidi cervelli dei piccoli borghesi

trasformisti che possono sognare di arrestare questamarcia. Una grande marcia, amici del Nord, sognata daiprecursori, sognata da Vico, da Cuoco e da Spaventa,

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dietro la quale segue a grandi giornate lo Stato etico:una marcia che si svolge nei cuori e nei cervelli degliumili e li avvicina per vie ignote ai grandi ideali nazio-nali, verso la coscienza di se stessi, e dell'appartenenzaalla società e allo Stato.

Contro questa marcia – noi lo vaticiniamo fin da ora –inutile la difesa del Podestà.

Il giorno fissato dal destino salteranno via tutti i Po-destà... oppure, secondo la consuetudine, aderiranno ainuovi tempi.

Risparmiatevi, perciò, questa fatica sciocca e lasciate-vi consigliare da chi ne sa piú di voi.

Non permettete al «Mattino» di prendere in giro il«Podestà» proprio quando sognate, a mezzo suo, di co-struirvi una autorità.

In quanto al ricordo che del Podestà rimane nella letteraturapopolare e in quella scritta [dice il «Mattino»] esso è miserabile.È indubbio che il Podestà ha accentrato su di sé l'odio delle popo-lazioni: cosa che non accade né ai nostri prefetti, né ai nostri ma-gistrati. Il solo istituto del quattordicesimo e quindicesimo secolodel quale il folclore popolare conservi ancora traccia è il Podestà,nel noto proverbio: «Ecco fatto il becco all'oca e le corna al Pode-stà». Questo dimostra che nell'opinione delle popolazionidell'epoca il Podestà era cornuto. Bisogna far grande attenzione aqueste manifestazioni della sensibilità popolare. Un magistrato infama di essere cornuto soffre indubbiamente di grande lesionealla sua autorità. Se poi il popolo gli attribuisce questa qualità in-dipendentemente dalla condotta di sua moglie, e indipendente-mente dal fatto che egli sia coniugato, come sembra sia stato ilcaso del Podestà, bisogna concludere che le corna vengono attri-

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dietro la quale segue a grandi giornate lo Stato etico:una marcia che si svolge nei cuori e nei cervelli degliumili e li avvicina per vie ignote ai grandi ideali nazio-nali, verso la coscienza di se stessi, e dell'appartenenzaalla società e allo Stato.

Contro questa marcia – noi lo vaticiniamo fin da ora –inutile la difesa del Podestà.

Il giorno fissato dal destino salteranno via tutti i Po-destà... oppure, secondo la consuetudine, aderiranno ainuovi tempi.

Risparmiatevi, perciò, questa fatica sciocca e lasciate-vi consigliare da chi ne sa piú di voi.

Non permettete al «Mattino» di prendere in giro il«Podestà» proprio quando sognate, a mezzo suo, di co-struirvi una autorità.

In quanto al ricordo che del Podestà rimane nella letteraturapopolare e in quella scritta [dice il «Mattino»] esso è miserabile.È indubbio che il Podestà ha accentrato su di sé l'odio delle popo-lazioni: cosa che non accade né ai nostri prefetti, né ai nostri ma-gistrati. Il solo istituto del quattordicesimo e quindicesimo secolodel quale il folclore popolare conservi ancora traccia è il Podestà,nel noto proverbio: «Ecco fatto il becco all'oca e le corna al Pode-stà». Questo dimostra che nell'opinione delle popolazionidell'epoca il Podestà era cornuto. Bisogna far grande attenzione aqueste manifestazioni della sensibilità popolare. Un magistrato infama di essere cornuto soffre indubbiamente di grande lesionealla sua autorità. Se poi il popolo gli attribuisce questa qualità in-dipendentemente dalla condotta di sua moglie, e indipendente-mente dal fatto che egli sia coniugato, come sembra sia stato ilcaso del Podestà, bisogna concludere che le corna vengono attri-

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buite non all'uomo, ma alla carica; e questo è un sintomo gravissi-mo di impopolarità.

Ora, il proverbio citato sembra indicare che, nella opinionedelle popolazioni dell'epoca, le corna venivano al Podestà cosínaturalmente come il becco nasce all'oca. I francesi moderni han-no un pregiudizio analogo contro il capostazione. «Il est cocu, lechef de gare», canta la loro canzone. Ma il loro equo razionali-smo aggiunge subito: «S'il est cocu, c'est que sa femme l'a vou-lu». Nel caso del Podestà, nessuna spiegazione di questo genere:e dobbiamo concludere che esso è stato cornuto per ragione delsuo ufficio.

Lasciate perciò che sia cornuto il sindaco ogniqual-volta abbia una moglie ingrata, ma non permettete chela nuova carica possa essere diminuita da un attributocosí pericoloso nel Sud.

Perché, vedete, amici del Nord, i meridionali attribui-scono tanta importanza alla fedeltà delle donne coniuga-te, da negare ogni autorità, anzi da mettere nel piú terri-bile dei ridicoli i mariti disgraziati.

Il Podestà perciò è un nome assolutamente inadattabi-le, dati i precedenti.

Vogliamo il capo-urbano.Questo nome è presto trovato: il capo-urbano. Nessun

appellativo è infatti piú italiano e piú borbonico di que-sto.

Gli urbani e guardie urbane [narra il De Cesare] erano una mi-lizia locale, composta generalmente di operai e di bottegai e con-

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buite non all'uomo, ma alla carica; e questo è un sintomo gravissi-mo di impopolarità.

Ora, il proverbio citato sembra indicare che, nella opinionedelle popolazioni dell'epoca, le corna venivano al Podestà cosínaturalmente come il becco nasce all'oca. I francesi moderni han-no un pregiudizio analogo contro il capostazione. «Il est cocu, lechef de gare», canta la loro canzone. Ma il loro equo razionali-smo aggiunge subito: «S'il est cocu, c'est que sa femme l'a vou-lu». Nel caso del Podestà, nessuna spiegazione di questo genere:e dobbiamo concludere che esso è stato cornuto per ragione delsuo ufficio.

Lasciate perciò che sia cornuto il sindaco ogniqual-volta abbia una moglie ingrata, ma non permettete chela nuova carica possa essere diminuita da un attributocosí pericoloso nel Sud.

Perché, vedete, amici del Nord, i meridionali attribui-scono tanta importanza alla fedeltà delle donne coniuga-te, da negare ogni autorità, anzi da mettere nel piú terri-bile dei ridicoli i mariti disgraziati.

Il Podestà perciò è un nome assolutamente inadattabi-le, dati i precedenti.

Vogliamo il capo-urbano.Questo nome è presto trovato: il capo-urbano. Nessun

appellativo è infatti piú italiano e piú borbonico di que-sto.

Gli urbani e guardie urbane [narra il De Cesare] erano una mi-lizia locale, composta generalmente di operai e di bottegai e con-

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tadini, i quali non vestivano divisa e solo portavano, in servizio,una coccarda rossa al cappello o alla còppola. C'era nei comuniun posto di guardia, dove ogni sera gli urbani convenivano allaspicciolata per turno, armati di schioppi di loro proprietà. Aveva-no il privilegio di ottenere gratuitamente il porto d'armi ma non ilpermesso di cacciare. Nei piccoli paesi il capo-urbano era l'uomopiú temuto dopo il giudice regio, perché vigilava, riferiva, denun-ziava e dava informazioni al giudice, all'aiutante e al sottointen-dente.

Ve li figurate voi questi capo-urbani nell'eserciziodelle loro funzioni, controllare, riferire, soprattutto de-nunziare?

So benissimo che erano ritenuti e chiamati spioni eferocemente odiati, ma appunto perciò erano utili a im-pedire che la licenza trionfasse e che l'atomismo demo-cratico corrompesse la sacra autorità di S. M. Ferdinan-do II, che Dio salvi.

Chi può valutare gli oscuri servigi resi da questi mi-nuscoli ras per la salvezza del trono? Chi non ricordacon quanto accanimento perseguirono gli attendibili?Essi fecero fino all'ultimo giorno il loro dovere, con unatenacia e una fedeltà degna della causa che sostenevanoe se non riuscirono a impedire il dilagare dell'eresia li-berale non fu colpa loro.

Oggi hanno diritto a questa grande riabilitazione sto-rica, e le plebi meridionali, ancora borboniche nel san-gue, li accoglieranno come i discepoli accolsero il Mae-stro dopo la resurrezione.

Resurrexerunt i sacri militi dell'autorità, canterà la

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tadini, i quali non vestivano divisa e solo portavano, in servizio,una coccarda rossa al cappello o alla còppola. C'era nei comuniun posto di guardia, dove ogni sera gli urbani convenivano allaspicciolata per turno, armati di schioppi di loro proprietà. Aveva-no il privilegio di ottenere gratuitamente il porto d'armi ma non ilpermesso di cacciare. Nei piccoli paesi il capo-urbano era l'uomopiú temuto dopo il giudice regio, perché vigilava, riferiva, denun-ziava e dava informazioni al giudice, all'aiutante e al sottointen-dente.

Ve li figurate voi questi capo-urbani nell'eserciziodelle loro funzioni, controllare, riferire, soprattutto de-nunziare?

So benissimo che erano ritenuti e chiamati spioni eferocemente odiati, ma appunto perciò erano utili a im-pedire che la licenza trionfasse e che l'atomismo demo-cratico corrompesse la sacra autorità di S. M. Ferdinan-do II, che Dio salvi.

Chi può valutare gli oscuri servigi resi da questi mi-nuscoli ras per la salvezza del trono? Chi non ricordacon quanto accanimento perseguirono gli attendibili?Essi fecero fino all'ultimo giorno il loro dovere, con unatenacia e una fedeltà degna della causa che sostenevanoe se non riuscirono a impedire il dilagare dell'eresia li-berale non fu colpa loro.

Oggi hanno diritto a questa grande riabilitazione sto-rica, e le plebi meridionali, ancora borboniche nel san-gue, li accoglieranno come i discepoli accolsero il Mae-stro dopo la resurrezione.

Resurrexerunt i sacri militi dell'autorità, canterà la

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leggenda, e tornarono con la rossa coccarda e il gigliodell'innocenza a difendere le docili popolazioni del Suddalle insidie della disgregazione liberale.

Mercé loro il trasformismo fu sconfitto. Non vi furo-no piú elezioni, quindi non vi furono piú trasformisti.Questo argomento è indubbiamente principe per soste-nere la necessità della riforma. Anche i meridionalistipiú convinti possono aderirvi, se vogliono liberare ilMezzogiorno dalla triste genia dei saltimbanchi politici.O governativi a vita, o attendibili a vita. Tertium nondatur. Casertano non dovrà piú lavorare di gomiti perbrandire la divisa. Se l'è procurata, nessuno gliela insi-dierà. Purché il sire sia contento dei suoi servigi nessunopotrà, con colpi mancini, togliergli il bastone del co-mando.

Il Podestà dei Podestà.E giacché lo abbiamo nominato, permettete, amici del

Nord, che io vi reciti l'elogio di quest'uomo, che benpuò definirsi, con l'Emerson, l'Uomo Rappresentativodel Mezzogiorno.

Egli nacque in una zona selvaggia, in cui solo i bufalied i mazzoni, armati a cavallo, riempiono il paesaggio.Paese sterminato e deserto, sacro alla dea Febbre, ove lavita è una lotta quotidiana con gli elementi; ove l'uomosi trova solo di fronte alla natura aspra e selvaggia, enon sente ancora il bisogno di crearsi lo Stato etico, datoche ivi impera un'altra sovrana della patologia: la mala-

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leggenda, e tornarono con la rossa coccarda e il gigliodell'innocenza a difendere le docili popolazioni del Suddalle insidie della disgregazione liberale.

Mercé loro il trasformismo fu sconfitto. Non vi furo-no piú elezioni, quindi non vi furono piú trasformisti.Questo argomento è indubbiamente principe per soste-nere la necessità della riforma. Anche i meridionalistipiú convinti possono aderirvi, se vogliono liberare ilMezzogiorno dalla triste genia dei saltimbanchi politici.O governativi a vita, o attendibili a vita. Tertium nondatur. Casertano non dovrà piú lavorare di gomiti perbrandire la divisa. Se l'è procurata, nessuno gliela insi-dierà. Purché il sire sia contento dei suoi servigi nessunopotrà, con colpi mancini, togliergli il bastone del co-mando.

Il Podestà dei Podestà.E giacché lo abbiamo nominato, permettete, amici del

Nord, che io vi reciti l'elogio di quest'uomo, che benpuò definirsi, con l'Emerson, l'Uomo Rappresentativodel Mezzogiorno.

Egli nacque in una zona selvaggia, in cui solo i bufalied i mazzoni, armati a cavallo, riempiono il paesaggio.Paese sterminato e deserto, sacro alla dea Febbre, ove lavita è una lotta quotidiana con gli elementi; ove l'uomosi trova solo di fronte alla natura aspra e selvaggia, enon sente ancora il bisogno di crearsi lo Stato etico, datoche ivi impera un'altra sovrana della patologia: la mala-

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ria.E è perciò che in quella zona, tra i canneti e gli acqui-

trini, nella landa sterminata e nei casolari di paglia, tra ibutteri felici di galoppare al vento sulla nuda groppadelle cavalle indomite, la vita soddisfa ai suoi bisognicon mezzi eccezionali: altre forme di associazione re-gnano che non siano quelle riconosciute dal codice civi-le o dal codice di commercio, e la libertà naturalisticacede solo alle esigenze di una giustizia autoctona chenon fallisce mai, come quella ufficiale.

Casertano è il capo indiscusso di questa regione, e, sei tempi non fossero cosí malvagi, egli sarebbe lieto diprodigarsi nella pianura sconfinata come un patriarca,duce e legislatore di questo popolo semplice. Ma visono le esigenze dell'Unità. Roma vuole imprimere lasua orma anche nelle pozzanghere dei mazzoni, vuoledistendere le sue aquile imperiali su ogni rupe, su ogniterra, su ogni fosso. Bisogna perciò mediare l'idea impe-riale con tutte le idee locali, operare tante sintesi regio-nali quante ne occorrono per impedire che la burocraziasi riveli qual è, vuota di pensiero e ricca di formule e dipresunzione, arrivare fino alla grande sintesi nazionale.E per far ciò occorrono dei mediatori.

Ben si sa: i mediatori affrontano gli ostacoli, avvici-nano i consensi, cancellano le differenze. Differisconosecondo la materia che trattano, ma sono sempre prezio-si. Alcuni operano nelle fiere e sono i piú malfamati, maa torto; altri operano nel commercio ordinario, nellevendite immobiliari, negli affari legali in margine alla

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ria.E è perciò che in quella zona, tra i canneti e gli acqui-

trini, nella landa sterminata e nei casolari di paglia, tra ibutteri felici di galoppare al vento sulla nuda groppadelle cavalle indomite, la vita soddisfa ai suoi bisognicon mezzi eccezionali: altre forme di associazione re-gnano che non siano quelle riconosciute dal codice civi-le o dal codice di commercio, e la libertà naturalisticacede solo alle esigenze di una giustizia autoctona chenon fallisce mai, come quella ufficiale.

Casertano è il capo indiscusso di questa regione, e, sei tempi non fossero cosí malvagi, egli sarebbe lieto diprodigarsi nella pianura sconfinata come un patriarca,duce e legislatore di questo popolo semplice. Ma visono le esigenze dell'Unità. Roma vuole imprimere lasua orma anche nelle pozzanghere dei mazzoni, vuoledistendere le sue aquile imperiali su ogni rupe, su ogniterra, su ogni fosso. Bisogna perciò mediare l'idea impe-riale con tutte le idee locali, operare tante sintesi regio-nali quante ne occorrono per impedire che la burocraziasi riveli qual è, vuota di pensiero e ricca di formule e dipresunzione, arrivare fino alla grande sintesi nazionale.E per far ciò occorrono dei mediatori.

Ben si sa: i mediatori affrontano gli ostacoli, avvici-nano i consensi, cancellano le differenze. Differisconosecondo la materia che trattano, ma sono sempre prezio-si. Alcuni operano nelle fiere e sono i piú malfamati, maa torto; altri operano nel commercio ordinario, nellevendite immobiliari, negli affari legali in margine alla

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Sacra Maestà della Giustizia; altri infine operano nellapolitica e portano per mille vie al centro della nazione iconsensi della periferia.

Per queste necessità nazionali i buoni mazzoni hannodovuto crearsi una classe dirigente, cioè una classe dimediatori. Questi mediano nelle fiere e negli affari com-merciali in genere: mediano tra la giustizia autoctona equella ufficiale, tra l'anarchia prestatale delle popolazio-ni e il feudalismo statale del centro.

È naturale che dove la distanza tra i termini da media-re è maggiore, ivi occorre piú diplomazia. I nostri uomi-ni politici sono infatti dei grandi diplomatici. Ora inquesto ambiente e per queste necessità ideali Casertanocominciò la sua carriera di ambasciatore dei mazzonipresso il governo italiano. Naturalmente l'inizio fu im-petuoso, come per tutti i grandi leader meridionali. Eral'epoca del radicalismo: un'epoca intellettualmente buf-fa, come tutte le concezioni politiche della piccola bor-ghesia meridionale: l'epoca cioè dell'individualismo in-dustriale applicato alla transumanza delle pecore e allafabbricazione delle ricotte. Ma Casertano non si spaven-tò, e in nome di questi ideali dissertò nelle aule polvero-se del tribunale di Santa Maria Capua Vetere e delle pre-ture dipendenti. Il suo avversario Gioacchino Della Pie-tra forse ne ride ancora, egli che già aveva fatta tutta lasua carriera di diplomatico mazzonaro e si assideva si-curo sul suo trono di ras.

In effetto, Casertano allora credeva sul serio ai grandiideali della Loggia e si meravigliava non poco che i but-

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Sacra Maestà della Giustizia; altri infine operano nellapolitica e portano per mille vie al centro della nazione iconsensi della periferia.

Per queste necessità nazionali i buoni mazzoni hannodovuto crearsi una classe dirigente, cioè una classe dimediatori. Questi mediano nelle fiere e negli affari com-merciali in genere: mediano tra la giustizia autoctona equella ufficiale, tra l'anarchia prestatale delle popolazio-ni e il feudalismo statale del centro.

È naturale che dove la distanza tra i termini da media-re è maggiore, ivi occorre piú diplomazia. I nostri uomi-ni politici sono infatti dei grandi diplomatici. Ora inquesto ambiente e per queste necessità ideali Casertanocominciò la sua carriera di ambasciatore dei mazzonipresso il governo italiano. Naturalmente l'inizio fu im-petuoso, come per tutti i grandi leader meridionali. Eral'epoca del radicalismo: un'epoca intellettualmente buf-fa, come tutte le concezioni politiche della piccola bor-ghesia meridionale: l'epoca cioè dell'individualismo in-dustriale applicato alla transumanza delle pecore e allafabbricazione delle ricotte. Ma Casertano non si spaven-tò, e in nome di questi ideali dissertò nelle aule polvero-se del tribunale di Santa Maria Capua Vetere e delle pre-ture dipendenti. Il suo avversario Gioacchino Della Pie-tra forse ne ride ancora, egli che già aveva fatta tutta lasua carriera di diplomatico mazzonaro e si assideva si-curo sul suo trono di ras.

In effetto, Casertano allora credeva sul serio ai grandiideali della Loggia e si meravigliava non poco che i but-

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teri e i fittavoli del Nolano, presso di cui in un secondotempo cercò asilo, non presentissero la sua futura gran-dezza.

Trascinò cosí, per lungo tempo, la sua conoscenzadella legge comunale e provinciale, l'unico libro che ab-bia studiato a fondo, dinanzi alla giunta provinciale am-ministrativa di Terra di Lavoro, finché l'ora venne.

Lo mandò al parlamento Nola, la piccola cittadinacampana, madre della dialettica bruniana, e ancora oggimemore dell'oratoria polemica di Guido Podrecca, an-che lui, come il grande Casertano, finito fascista. Nolaveramente in quell'epoca aveva, come ha tuttora, assaifede nel culto di san Paolino, inventore delle campane, ela cavalleria piú volte dovette intervenire per salvare Po-drecca e Casertano dai furori eroici dei curati del conta-do, aizzanti a suon di fischi e pietrate, l'irritazione sanfe-dista dei villici, ma la tenacia del nostro uomo finí pertrionfare e l'ambasciatore dei mazzoni fu mandato inparlamento. Io non so quante mediazioni furono neces-sarie per questa vittoria, quante sintesi occorsero. Sosoltanto che da quell'epoca la storia di Casertano siidentificò con quella nazionale. Egli era un predestinatoin nome del compasso, pronto però a mediare con lacroce e con la mezzaluna, e il suo destino si avverò. Inqual modo non occorre dire, perché è noto. Lentamenteil nostro uomo divenne veramente rappresentativo, fin-ché il fascismo, con quell'intuito di intransigenza chegiustamente Farinacci celebra, lo elevò a mediatore ditutto il Mezzogiorno, quasi quasi a viceré dei reali do-

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teri e i fittavoli del Nolano, presso di cui in un secondotempo cercò asilo, non presentissero la sua futura gran-dezza.

Trascinò cosí, per lungo tempo, la sua conoscenzadella legge comunale e provinciale, l'unico libro che ab-bia studiato a fondo, dinanzi alla giunta provinciale am-ministrativa di Terra di Lavoro, finché l'ora venne.

Lo mandò al parlamento Nola, la piccola cittadinacampana, madre della dialettica bruniana, e ancora oggimemore dell'oratoria polemica di Guido Podrecca, an-che lui, come il grande Casertano, finito fascista. Nolaveramente in quell'epoca aveva, come ha tuttora, assaifede nel culto di san Paolino, inventore delle campane, ela cavalleria piú volte dovette intervenire per salvare Po-drecca e Casertano dai furori eroici dei curati del conta-do, aizzanti a suon di fischi e pietrate, l'irritazione sanfe-dista dei villici, ma la tenacia del nostro uomo finí pertrionfare e l'ambasciatore dei mazzoni fu mandato inparlamento. Io non so quante mediazioni furono neces-sarie per questa vittoria, quante sintesi occorsero. Sosoltanto che da quell'epoca la storia di Casertano siidentificò con quella nazionale. Egli era un predestinatoin nome del compasso, pronto però a mediare con lacroce e con la mezzaluna, e il suo destino si avverò. Inqual modo non occorre dire, perché è noto. Lentamenteil nostro uomo divenne veramente rappresentativo, fin-ché il fascismo, con quell'intuito di intransigenza chegiustamente Farinacci celebra, lo elevò a mediatore ditutto il Mezzogiorno, quasi quasi a viceré dei reali do-

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mini al di qua del Faro.È naturale, perciò, che con l'istituzione del Podestà o

del capo-urbano – il che fa lo stesso, trattandosi soltantodi una questione di nomi – si pensi anche a sistemare laposizione di Casertano, a mantenergli cioè la qualità diambasciatore del Mezzogiorno presso il regime. Si po-trebbe, perciò, creare la carica di Podestà dei Podestà,conferendole i poteri e le attribuzioni di sorvegliare inuovi funzionari governativi. Solo allora l'atomismo de-mocratico sarà veramente distrutto nella glorificazionedi colui che col suo sacrificio seppe redimere il Mezzo-giorno.

[Da «La Rivoluzione Liberale» del 20 settembre 1925].

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mini al di qua del Faro.È naturale, perciò, che con l'istituzione del Podestà o

del capo-urbano – il che fa lo stesso, trattandosi soltantodi una questione di nomi – si pensi anche a sistemare laposizione di Casertano, a mantenergli cioè la qualità diambasciatore del Mezzogiorno presso il regime. Si po-trebbe, perciò, creare la carica di Podestà dei Podestà,conferendole i poteri e le attribuzioni di sorvegliare inuovi funzionari governativi. Solo allora l'atomismo de-mocratico sarà veramente distrutto nella glorificazionedi colui che col suo sacrificio seppe redimere il Mezzo-giorno.

[Da «La Rivoluzione Liberale» del 20 settembre 1925].

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Appendice secondaDue giudizi

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Appendice secondaDue giudizi

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Un giudizio di Luigi Sturzo2

È degno di nota il tentativo di Guido Dorso di riporta-re il problema meridionale nelle fasi della storia dell'Ita-lia dall'unificazione al momento presente, e di dargli uncontenuto. Sono pochi (purtroppo) che han superato tan-to lo stato d'animo dei meridionali che vedono nel go-verno centrale il protettore e il salvatore del Mezzogior-no, quanto la corrente problemistica di particolari biso-gni e di analitiche soluzioni, sia pure agitate e rivendica-te con spirito d'indipendenza. Egli considera il problemameridionale in termini politici, come un problema di re-gime, non specifico del Mezzogiorno, ma generaledell'Italia.

Sotto questo aspetto il lavoro del Dorso a prima vistapuò dare al lettore la impressione che la questione meri-dionale c'entri in linea secondaria, come per amore della

2 Questo scritto apparve sotto forma di recensione alla primaedizione del mio libro nel «Bollettino bibliografico di scienze so-ciali e politiche», a. III, n. 1.

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Un giudizio di Luigi Sturzo2

È degno di nota il tentativo di Guido Dorso di riporta-re il problema meridionale nelle fasi della storia dell'Ita-lia dall'unificazione al momento presente, e di dargli uncontenuto. Sono pochi (purtroppo) che han superato tan-to lo stato d'animo dei meridionali che vedono nel go-verno centrale il protettore e il salvatore del Mezzogior-no, quanto la corrente problemistica di particolari biso-gni e di analitiche soluzioni, sia pure agitate e rivendica-te con spirito d'indipendenza. Egli considera il problemameridionale in termini politici, come un problema di re-gime, non specifico del Mezzogiorno, ma generaledell'Italia.

Sotto questo aspetto il lavoro del Dorso a prima vistapuò dare al lettore la impressione che la questione meri-dionale c'entri in linea secondaria, come per amore della

2 Questo scritto apparve sotto forma di recensione alla primaedizione del mio libro nel «Bollettino bibliografico di scienze so-ciali e politiche», a. III, n. 1.

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tesi, ma che il libro (togliendo di colpo i capitoli V, VI,XIV, e XV e altri pochi tratti qua e là) potrebbe rimanereun bel saggio di sintesi storica della politica italiana sen-za incomodare la questione meridionale. Forse a questaimpressione contribuisce in qualche modo il taglio dellavoro, nel quale in tre libri differenti per soggetto, laparte critica storico-generale assorbe la mente del lettoree il nesso intimo, che tutto ciò ha con la questione meri-dionale, non si rivela nella sua completa luce. E il lavo-ro è diviso in tre libri: il I ha il titolo: Gli aspetti storicidella politica unitaria e la questione meridionale; il IIha il titolo: I partiti storici e la questione meridionale; eil III, Lo Stato storico e la rivoluzione meridionale.

Ho detto sembra, ma non è: poiché il punto centrale èproprio la questione meridionale, vista attraverso il pro-blema politico generale d'Italia, e in questo sta l'interes-se che desta il lavoro del giovane scrittore.

Il suo pensiero può riassumersi cosí. L'unificazioneitaliana, pur partendo da presupposti rivoluzionari, fucondotta avanti e completata al di fuori dello spirito ri-voluzionario, in un compromesso tra la monarchia pie-montese, che estese il suo dominio su tutta l'Italia e laclasse conservatrice borghese del Nord, che assodò lasua posizione economica, col sacrificio dell'idea libera-le.

La borghesia rurale del Sud, a sua volta, entrando afar parte del nuovo regno, si garantí il suo feudalismoterriero e municipale, rinunziando alla reale partecipa-zione della vita politica, che rimase piemontese e nordi-

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tesi, ma che il libro (togliendo di colpo i capitoli V, VI,XIV, e XV e altri pochi tratti qua e là) potrebbe rimanereun bel saggio di sintesi storica della politica italiana sen-za incomodare la questione meridionale. Forse a questaimpressione contribuisce in qualche modo il taglio dellavoro, nel quale in tre libri differenti per soggetto, laparte critica storico-generale assorbe la mente del lettoree il nesso intimo, che tutto ciò ha con la questione meri-dionale, non si rivela nella sua completa luce. E il lavo-ro è diviso in tre libri: il I ha il titolo: Gli aspetti storicidella politica unitaria e la questione meridionale; il IIha il titolo: I partiti storici e la questione meridionale; eil III, Lo Stato storico e la rivoluzione meridionale.

Ho detto sembra, ma non è: poiché il punto centrale èproprio la questione meridionale, vista attraverso il pro-blema politico generale d'Italia, e in questo sta l'interes-se che desta il lavoro del giovane scrittore.

Il suo pensiero può riassumersi cosí. L'unificazioneitaliana, pur partendo da presupposti rivoluzionari, fucondotta avanti e completata al di fuori dello spirito ri-voluzionario, in un compromesso tra la monarchia pie-montese, che estese il suo dominio su tutta l'Italia e laclasse conservatrice borghese del Nord, che assodò lasua posizione economica, col sacrificio dell'idea libera-le.

La borghesia rurale del Sud, a sua volta, entrando afar parte del nuovo regno, si garantí il suo feudalismoterriero e municipale, rinunziando alla reale partecipa-zione della vita politica, che rimase piemontese e nordi-

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ca.Questa si chiama «la conquista regia», e il Mezzo-

giorno fu reputato in sostanza come una colonia.I partiti storici continuarono questa politica iniziale,

sviluppando il protezionismo industriale del Nord (Sini-stra) e l'operaismo cooperativo e sindacalista a peso del-lo Stato (socialismo ufficiale), sacrificando i veri inte-ressi del Mezzogiorno, che si contentò di dare la materiaparlamentare del trasformismo e il mezzo costante dellelarvate dittature governative.

Il solo che cercò di trarre il Partito socialista dal terre-no del compromesso economico e dalle spire della con-quista regia fu il Salvemini, che però fallí sul terreno delpartito, che egli dovette abbandonare; e non ebbe suc-cessi sul terreno della questione politica meridionale,perché troppo impigliato nel problemismo. Nel campoliberale furono Giustino Fortunato e De Viti De Marco acomprendere i termini reali del problema meridionale,ma nessuno dei due assurse alla visione politica di esso.

La politica generale giolittiana fu morfinizzante pertutte le vitalità del paese, e principalmente per il Mezzo-giorno.

La grande guerra travolse le forze politiche e econo-miche, e rimette in primo piano tutto il problema politi-co originato dalla conquista regia e dalla politica dimezzo secolo del nostro Stato unitario. I partiti cercanodi orientarsi. Il Partito socialista si volge verso la cor-rente bolscevizzante, pur restando un fenomeno preva-lente dell'alta Italia, con una radicale incomprensione

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ca.Questa si chiama «la conquista regia», e il Mezzo-

giorno fu reputato in sostanza come una colonia.I partiti storici continuarono questa politica iniziale,

sviluppando il protezionismo industriale del Nord (Sini-stra) e l'operaismo cooperativo e sindacalista a peso del-lo Stato (socialismo ufficiale), sacrificando i veri inte-ressi del Mezzogiorno, che si contentò di dare la materiaparlamentare del trasformismo e il mezzo costante dellelarvate dittature governative.

Il solo che cercò di trarre il Partito socialista dal terre-no del compromesso economico e dalle spire della con-quista regia fu il Salvemini, che però fallí sul terreno delpartito, che egli dovette abbandonare; e non ebbe suc-cessi sul terreno della questione politica meridionale,perché troppo impigliato nel problemismo. Nel campoliberale furono Giustino Fortunato e De Viti De Marco acomprendere i termini reali del problema meridionale,ma nessuno dei due assurse alla visione politica di esso.

La politica generale giolittiana fu morfinizzante pertutte le vitalità del paese, e principalmente per il Mezzo-giorno.

La grande guerra travolse le forze politiche e econo-miche, e rimette in primo piano tutto il problema politi-co originato dalla conquista regia e dalla politica dimezzo secolo del nostro Stato unitario. I partiti cercanodi orientarsi. Il Partito socialista si volge verso la cor-rente bolscevizzante, pur restando un fenomeno preva-lente dell'alta Italia, con una radicale incomprensione

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politica di tutto il resto. Il Partito popolare imposta ilproblema con la sua tendenza antistatale, il suo sistemaautonomistico e decentratore, ma è legato alle necessitàdi un partito nazionale (nel senso che abbraccia tutte leprovince italiane e quindi il contrasto intimo del Nord eSud); ciò nonostante per istinto rivoluzionario fa consuccesso la sua battaglia antigiolittiana, e tenta di im-porre il movimento agrario come riabilitazione politicadelle forze rurali. Ma è immobilizzato dalle correnti lo-calistiche e dalle consorterie parlamentari, alle quali ilMezzogiorno aderisce sempre con maggiore adattabilitàe forza di tradizione. Di questa tradizione sono esposti ilradicalismo prima, e il democratismo di Amendola e diCesarò dopo, che sotto diversi aspetti restano nell'orbitadel conservatorismo della conquista regia e del trasfor-mismo giolittiano.

Sopravviene il fascismo: fenomeno esclusivamentedell'alta Italia, esso viene utilizzato dal conservatorismoin funzione rivoluzionaria per fermare la via alle corren-ti socialiste e popolari, che, per quanto avverse e con li-nee non coerenti, agivano o meglio potevano agire inautonomia di mosse, al di fuori della tradizione del com-promesso tra Corona e borghesia redditiera e conserva-trice. Mussolini, senza cessare la forma rivoluzionaria,anzi portandola nella espressione esteriore del suo go-verno, si presta alla mediazione tra il conservatorismomonarchico e il paese.

Il Mezzogiorno è assente dal movimento fascista finoquasi alla marcia su Roma. Quello che nel Sud esisteva

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politica di tutto il resto. Il Partito popolare imposta ilproblema con la sua tendenza antistatale, il suo sistemaautonomistico e decentratore, ma è legato alle necessitàdi un partito nazionale (nel senso che abbraccia tutte leprovince italiane e quindi il contrasto intimo del Nord eSud); ciò nonostante per istinto rivoluzionario fa consuccesso la sua battaglia antigiolittiana, e tenta di im-porre il movimento agrario come riabilitazione politicadelle forze rurali. Ma è immobilizzato dalle correnti lo-calistiche e dalle consorterie parlamentari, alle quali ilMezzogiorno aderisce sempre con maggiore adattabilitàe forza di tradizione. Di questa tradizione sono esposti ilradicalismo prima, e il democratismo di Amendola e diCesarò dopo, che sotto diversi aspetti restano nell'orbitadel conservatorismo della conquista regia e del trasfor-mismo giolittiano.

Sopravviene il fascismo: fenomeno esclusivamentedell'alta Italia, esso viene utilizzato dal conservatorismoin funzione rivoluzionaria per fermare la via alle corren-ti socialiste e popolari, che, per quanto avverse e con li-nee non coerenti, agivano o meglio potevano agire inautonomia di mosse, al di fuori della tradizione del com-promesso tra Corona e borghesia redditiera e conserva-trice. Mussolini, senza cessare la forma rivoluzionaria,anzi portandola nella espressione esteriore del suo go-verno, si presta alla mediazione tra il conservatorismomonarchico e il paese.

Il Mezzogiorno è assente dal movimento fascista finoquasi alla marcia su Roma. Quello che nel Sud esisteva

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era un semplice fatto e senza convinzioni. Il fenomenodi adattamento del fascismo meridionale, non è che laripetizione di quel che fece nel Mezzogiorno la borghe-sia rurale del Risorgimento. Essa si è garantita il predo-minio locale, con rinunzia a qualsiasi partecipazione ocontrollo politico sul paese. Il tentativo di Padovani dirisolvere la situazione nel Mezzogiorno sul terreno diuna intransigenza di partito e di uno spossessamentodella classe dirigente del luogo, cadde appena all'inizio.

Dopo l'avvento fascista alcune correnti tra i repubbli-cani e i comunisti e altre dei partiti locali come il sardodi azione, cominciano ora a intravedere il nesso del pro-blema politico del Mezzogiorno, come problema di au-tonomismo e di ruralismo e per l'effettiva partecipazionealla vita del regime, come forza rivoluzionaria contro loStato storico italiano. Questo può dirsi la «rivoluzionemeridionale», che va maturandosi attraverso le dureesperienze del presente.

Spero di avere con precisione e chiarezza esposto ilpensiero dell'Autore; dico spero, perché se c'è un difettoin questo libro è lo sforzo di una sintesi di formuleastratte, per rappresentare fatti e realtà concrete. Le li-nee del pensiero risultano chiare, ma il riferimento alconcreto può essere non poche volte equivocato, per ilgusto di generalizzazioni, che a volte eccedono la picco-la portata dei fatti contingenti: come è, a esempio,l'importanza data al fenomeno Padovani nella Campaniae al Partito sardo di azione o al comunismo di Gramsci.

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era un semplice fatto e senza convinzioni. Il fenomenodi adattamento del fascismo meridionale, non è che laripetizione di quel che fece nel Mezzogiorno la borghe-sia rurale del Risorgimento. Essa si è garantita il predo-minio locale, con rinunzia a qualsiasi partecipazione ocontrollo politico sul paese. Il tentativo di Padovani dirisolvere la situazione nel Mezzogiorno sul terreno diuna intransigenza di partito e di uno spossessamentodella classe dirigente del luogo, cadde appena all'inizio.

Dopo l'avvento fascista alcune correnti tra i repubbli-cani e i comunisti e altre dei partiti locali come il sardodi azione, cominciano ora a intravedere il nesso del pro-blema politico del Mezzogiorno, come problema di au-tonomismo e di ruralismo e per l'effettiva partecipazionealla vita del regime, come forza rivoluzionaria contro loStato storico italiano. Questo può dirsi la «rivoluzionemeridionale», che va maturandosi attraverso le dureesperienze del presente.

Spero di avere con precisione e chiarezza esposto ilpensiero dell'Autore; dico spero, perché se c'è un difettoin questo libro è lo sforzo di una sintesi di formuleastratte, per rappresentare fatti e realtà concrete. Le li-nee del pensiero risultano chiare, ma il riferimento alconcreto può essere non poche volte equivocato, per ilgusto di generalizzazioni, che a volte eccedono la picco-la portata dei fatti contingenti: come è, a esempio,l'importanza data al fenomeno Padovani nella Campaniae al Partito sardo di azione o al comunismo di Gramsci.

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Ma questo difetto, emendabilissimo, non toglie nullaall'impostazione del problema e alla visione storica dellaformazione del regno unitario e alla posizione dei partitipolitici, che in sostanza risulta molto vicino alla realtà eal significato politico di essa. Se c'è un appunto da fare,o meglio un dubbio da sollevare, è sul terreno economi-co.

Il Mezzogiorno non ha potuto mai conquistare unvero controllo sui pubblici poteri, né esprimere una pre-valenza politica, nei confronti dell'alta Italia, perché lasua struttura economica precapitalistica e feudalizzante,e la sua posizione geografica al di là dei centri di pola-rizzazione dei commerci, non gli han consentito di mi-surarsi nella lotta con gl'interessi dell'alta Italia. La poli-tica italiana non poteva uscire fuori dal triangolo Mi-lano-Genova-Torino con la punta avanzata della val pa-dana, Emilia, Romagna. Questo gruppo d'interessi, siaperché vigoreggianti sullo sfruttamento del resto d'Italia,specialmente del Mezzogiorno, sia perché poggianti so-pra industrie parassite, o quasi, che postulavano la me-diazione economica dello Stato fra essi e il resto dellapopolazione consumatrice, in tanto poteva sostenersi inquanto la politica fosse dalla propria parte (dittature lar-vate o palesi), e in quanto fosse conservatrice. E poichéla politica ideale o delle correnti dei partiti non potevaprendere il nome di conservatrice (nome inviso e impo-polare), cosí prima fu quella liberale, poi quella demo-cratica, con filíe socialiste (a ragionevole distanza), e in-fine socialista; onde i rappresentati di questi gruppi

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Ma questo difetto, emendabilissimo, non toglie nullaall'impostazione del problema e alla visione storica dellaformazione del regno unitario e alla posizione dei partitipolitici, che in sostanza risulta molto vicino alla realtà eal significato politico di essa. Se c'è un appunto da fare,o meglio un dubbio da sollevare, è sul terreno economi-co.

Il Mezzogiorno non ha potuto mai conquistare unvero controllo sui pubblici poteri, né esprimere una pre-valenza politica, nei confronti dell'alta Italia, perché lasua struttura economica precapitalistica e feudalizzante,e la sua posizione geografica al di là dei centri di pola-rizzazione dei commerci, non gli han consentito di mi-surarsi nella lotta con gl'interessi dell'alta Italia. La poli-tica italiana non poteva uscire fuori dal triangolo Mi-lano-Genova-Torino con la punta avanzata della val pa-dana, Emilia, Romagna. Questo gruppo d'interessi, siaperché vigoreggianti sullo sfruttamento del resto d'Italia,specialmente del Mezzogiorno, sia perché poggianti so-pra industrie parassite, o quasi, che postulavano la me-diazione economica dello Stato fra essi e il resto dellapopolazione consumatrice, in tanto poteva sostenersi inquanto la politica fosse dalla propria parte (dittature lar-vate o palesi), e in quanto fosse conservatrice. E poichéla politica ideale o delle correnti dei partiti non potevaprendere il nome di conservatrice (nome inviso e impo-polare), cosí prima fu quella liberale, poi quella demo-cratica, con filíe socialiste (a ragionevole distanza), e in-fine socialista; onde i rappresentati di questi gruppi

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d'interessi furono all'esterna apparenza liberali o demo-cratici, come oggi sono fascisti; perché alla loro volta, igoverni, fascista o democratico o liberale, facesserosempre la politica sostanzialmente conservatrice.

I socialisti, in quanto entrarono nell'orbita dell'indu-strialismo e furono obbligati a sostenere gl'interessidell'industria parassita – perché cosí difendevano unaserie d'interessi operai – e in quanto entrarono nell'orbi-ta degl'interessi fondiari delle zone bonificate, per svi-luppare il loro movimento rurale cooperativo, non pote-vano che essere il miglior puntello di una simile qualifi-ca.

Cosa aveva da contrapporre il Mezzogiorno? l'emi-grazione ne fu la valvola di salvezza. Il sudato risparmiomeridionale fu pompato dallo Stato a mezzo di tasse odi rendita pubblica e buoni del tesoro o CP, per benefi-ciare il Nord delle disponibilità del tesoro, e, a mezzodelle grandi banche, potente veicolo di economia, a fa-vore delle grandi industrie del Nord, le quali venivanosorrette a mezzo delle tariffe protettive, sistema atto aassicurare il trionfo di un industrialismo artificioso.

Si comprende bene come a questa politica necessitavauna centralizzazione statale sempre piú serrata, e unaimpermeabilità a altre forze estranee a essa; necessitavaun centro bancario prevalente, con esclusione di altriconcorrenti incomodi; necessitava l'esercizio di un do-minio illimitato, anche se le forme parlamentari poteva-no far credere che un limite vi fosse. In questo girochiuso e ristretto le classi politicanti del Mezzogiorno si

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d'interessi furono all'esterna apparenza liberali o demo-cratici, come oggi sono fascisti; perché alla loro volta, igoverni, fascista o democratico o liberale, facesserosempre la politica sostanzialmente conservatrice.

I socialisti, in quanto entrarono nell'orbita dell'indu-strialismo e furono obbligati a sostenere gl'interessidell'industria parassita – perché cosí difendevano unaserie d'interessi operai – e in quanto entrarono nell'orbi-ta degl'interessi fondiari delle zone bonificate, per svi-luppare il loro movimento rurale cooperativo, non pote-vano che essere il miglior puntello di una simile qualifi-ca.

Cosa aveva da contrapporre il Mezzogiorno? l'emi-grazione ne fu la valvola di salvezza. Il sudato risparmiomeridionale fu pompato dallo Stato a mezzo di tasse odi rendita pubblica e buoni del tesoro o CP, per benefi-ciare il Nord delle disponibilità del tesoro, e, a mezzodelle grandi banche, potente veicolo di economia, a fa-vore delle grandi industrie del Nord, le quali venivanosorrette a mezzo delle tariffe protettive, sistema atto aassicurare il trionfo di un industrialismo artificioso.

Si comprende bene come a questa politica necessitavauna centralizzazione statale sempre piú serrata, e unaimpermeabilità a altre forze estranee a essa; necessitavaun centro bancario prevalente, con esclusione di altriconcorrenti incomodi; necessitava l'esercizio di un do-minio illimitato, anche se le forme parlamentari poteva-no far credere che un limite vi fosse. In questo girochiuso e ristretto le classi politicanti del Mezzogiorno si

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sono trovate a loro agio a tener soggetta la plebe rurale ea dare piccolo sfogo all'artigianato e alla media borghe-sia con le lotte municipali.

Quando fu concesso il suffragio universale si ebbe nelMezzogiorno un senso di paura, vinto subito dal fattoche poté essere incanalato nelle vecchie figure dei partitilocali. Ma la paura aumentò quando venne la proporzio-nale, il vero primo mezzo di emancipazione delle forzepolitiche tenute costrette al ritmo degl'interessi preva-lenti.

Il vero primo atto rivoluzionario (nel senso esatto enon violento della parola) fu proprio la proporzionale.Per questo fatto il Mezzogiorno benpensante fu ostile;perché (è qui il nucleo della situazione politica nel Mez-zogiorno) le classi della borghesia predominante ricac-ciano sempre indietro le masse contadine e i ceti operaida una partecipazione organizzata alla vita pubblica, pertema di perdere non solo il monopolio della politica mu-nicipale e provinciale, ma anche il dominio economicosenza limitazioni e senza controlli.

Sotto questo punto di vista il problema del latifondomeridionale, agitato dai popolari, toccava non il lato tec-nico (che poteva essere incompleto e deficiente) ma illato politico della emancipazione rurale. Se si arrivava acondurre in porto la legge votata dalla Camera dei depu-tati nel luglio 1922, si dava un altro colpo maestro per laformazione della vita politica del Sud.

E il terzo colpo sarebbe stato quello della costituzionedella regione e della maggiore autonomia della vita lo-

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sono trovate a loro agio a tener soggetta la plebe rurale ea dare piccolo sfogo all'artigianato e alla media borghe-sia con le lotte municipali.

Quando fu concesso il suffragio universale si ebbe nelMezzogiorno un senso di paura, vinto subito dal fattoche poté essere incanalato nelle vecchie figure dei partitilocali. Ma la paura aumentò quando venne la proporzio-nale, il vero primo mezzo di emancipazione delle forzepolitiche tenute costrette al ritmo degl'interessi preva-lenti.

Il vero primo atto rivoluzionario (nel senso esatto enon violento della parola) fu proprio la proporzionale.Per questo fatto il Mezzogiorno benpensante fu ostile;perché (è qui il nucleo della situazione politica nel Mez-zogiorno) le classi della borghesia predominante ricac-ciano sempre indietro le masse contadine e i ceti operaida una partecipazione organizzata alla vita pubblica, pertema di perdere non solo il monopolio della politica mu-nicipale e provinciale, ma anche il dominio economicosenza limitazioni e senza controlli.

Sotto questo punto di vista il problema del latifondomeridionale, agitato dai popolari, toccava non il lato tec-nico (che poteva essere incompleto e deficiente) ma illato politico della emancipazione rurale. Se si arrivava acondurre in porto la legge votata dalla Camera dei depu-tati nel luglio 1922, si dava un altro colpo maestro per laformazione della vita politica del Sud.

E il terzo colpo sarebbe stato quello della costituzionedella regione e della maggiore autonomia della vita lo-

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cale, per poter creare (sia pure attraverso dure esperien-ze) una coscienza politico-amministrativa in piú larghezone della popolazione meridionale. Restava, comesempre, grave la situazione economica, in rapporto alpredominio politico. Il colpo che si preparava (e delquale fu un segno l'ordine del giorno proposto da Cingo-lani per l'abolizione della protezione siderurgica, purtemperandola con premi transitori) era quello di ridurreil sistema protettivo e di avviare il paese verso la libertàeconomica. Il Mezzogiorno cosí sarebbe passato dalrango di colonia a quello di provincia unitaria del regno.

Tutto ciò fu concepito e sostenuto dal Partito popola-re, nonostante che la maggior parte dei suoi deputati edelle sue organizzazioni fossero dell'alta Italia, nellaconvinzione generale che non poteva rigenerarsi il pae-se, che con un'evoluzione verso lo Stato decentrato edeconomicamente libero, con un Mezzogiorno rimessonell'equilibrio statale.

Il Mezzogiorno, quello politicante, non comprese ilPartito popolare, e lo avversò; e il Mezzogiorno operaioe contadino non era in grado di poterlo conoscere se nonattraverso le opere. Queste furono troncate per il soprav-venire degli avvenimenti. Oggi il Mezzogiorno è in gra-do di rifarsi un concetto esatto della sua posizione poli-tica e economica?

Il problema è di nuovo complicato con il problemapolitico dell'intera Italia; sicché si può dire che oggi nonesiste un problema politico del Mezzogiorno distinto daquello generale. Torna la posizione del primo Risorgi-

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cale, per poter creare (sia pure attraverso dure esperien-ze) una coscienza politico-amministrativa in piú larghezone della popolazione meridionale. Restava, comesempre, grave la situazione economica, in rapporto alpredominio politico. Il colpo che si preparava (e delquale fu un segno l'ordine del giorno proposto da Cingo-lani per l'abolizione della protezione siderurgica, purtemperandola con premi transitori) era quello di ridurreil sistema protettivo e di avviare il paese verso la libertàeconomica. Il Mezzogiorno cosí sarebbe passato dalrango di colonia a quello di provincia unitaria del regno.

Tutto ciò fu concepito e sostenuto dal Partito popola-re, nonostante che la maggior parte dei suoi deputati edelle sue organizzazioni fossero dell'alta Italia, nellaconvinzione generale che non poteva rigenerarsi il pae-se, che con un'evoluzione verso lo Stato decentrato edeconomicamente libero, con un Mezzogiorno rimessonell'equilibrio statale.

Il Mezzogiorno, quello politicante, non comprese ilPartito popolare, e lo avversò; e il Mezzogiorno operaioe contadino non era in grado di poterlo conoscere se nonattraverso le opere. Queste furono troncate per il soprav-venire degli avvenimenti. Oggi il Mezzogiorno è in gra-do di rifarsi un concetto esatto della sua posizione poli-tica e economica?

Il problema è di nuovo complicato con il problemapolitico dell'intera Italia; sicché si può dire che oggi nonesiste un problema politico del Mezzogiorno distinto daquello generale. Torna la posizione del primo Risorgi-

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mento, e torna con tutti i suoi dubbi e le sue formule, isuoi contrasti e le sue speranze. È bene, intanto, che gliscrittori ritornino a studiare e a scrivere, e gli uomini dicarattere a lottare e a soffrire.

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mento, e torna con tutti i suoi dubbi e le sue formule, isuoi contrasti e le sue speranze. È bene, intanto, che gliscrittori ritornino a studiare e a scrivere, e gli uomini dicarattere a lottare e a soffrire.

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La questione meridionalenel pensiero di Antonio Gramsci

Nel 1930 la rassegna del Partito comunista, «Statooperaio», pubblicò un saggio di Antonio Gramsci sullaquestione meridionale, che costituisce ancor oggi unapresa di posizione di grande interesse teorico, assai utileper comprendere la politica che il Partito comunista siripromette di svolgere nel prossimo avvenire.

Questo saggio, da moltissimi ritenuto il piú profondoscritto del compianto Autore, è un notevole sforzo peruscire dal terreno puramente ideologico e impossessarsidi una realtà politico-sociale, che, nel suo ermetismo,appare ribelle a ogni esegesi, poiché quando ne avete af-ferrato e sottolineato alcuni aspetti, che vi sembranopreminenti, vi sorge il dubbio che altri aspetti abbianomaggiore importanza e tutta l'analisi sia ancora da rifa-re. Però se queste difficoltà teoriche veramente esistonoe non sono soltanto il frutto dell'angustia mentale di co-

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La questione meridionalenel pensiero di Antonio Gramsci

Nel 1930 la rassegna del Partito comunista, «Statooperaio», pubblicò un saggio di Antonio Gramsci sullaquestione meridionale, che costituisce ancor oggi unapresa di posizione di grande interesse teorico, assai utileper comprendere la politica che il Partito comunista siripromette di svolgere nel prossimo avvenire.

Questo saggio, da moltissimi ritenuto il piú profondoscritto del compianto Autore, è un notevole sforzo peruscire dal terreno puramente ideologico e impossessarsidi una realtà politico-sociale, che, nel suo ermetismo,appare ribelle a ogni esegesi, poiché quando ne avete af-ferrato e sottolineato alcuni aspetti, che vi sembranopreminenti, vi sorge il dubbio che altri aspetti abbianomaggiore importanza e tutta l'analisi sia ancora da rifa-re. Però se queste difficoltà teoriche veramente esistonoe non sono soltanto il frutto dell'angustia mentale di co-

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loro che fino a questo momento si sono cimentati conesse, non è meno vero che tutti i tentativi di approfondi-mento della realtà hanno inestimabile importanza, siaperché approntano un sempre piú vasto materiale d'inda-gine, sia perché necessariamente contribuiscono a ren-dere meno imperfetta per le masse la coscienza del pro-prio disagio e piú efficace la loro azione.

E poiché lo scritto di Antonio Gramsci è divenuto ad-dirittura introvabile,3 credo opportuno riferire per som-mi capi le sue considerazioni e riesaminarle al lume de-gli ultimi avvenimenti, soprattutto perché al popolo me-ridionale interessa assai che il proletariato italiano evitinel prossimo futuro tutti gli errori che spinsero fatal-mente il vecchio Partito socialista in una posizione anti-meridionalistica, e contribuirono cosí efficacemente alsuccesso del giolittismo.

Sotto questo punto di vista, anzi, il pensiero di Gram-sci è cosí tagliente, e la sua revisione critica cosí since-ra, che non si può non sottolineare il parallelismo conaltre dottrine meridionaliste elaborate in sede stretta-mente politica e senza pregiudizi classisti.

3 Mentre correggo le bozze, vedo che l'articolo è stato ristam-pato in «Rinascita», rassegna di politica e di cultura italiana diret-ta da P. Togliatti, anno II (1945), n. 2. Il titolo esatto del saggioera Alcune note sulla questione meridionale. Il saggio, che ebbeoccasione da una recensione al presente volume pubblicata nel«Quarto Stato» di Rosselli (18 settembre 1926) fu l'ultimo scrittodi Gramsci prima dell'arresto [Nota del 1945].

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loro che fino a questo momento si sono cimentati conesse, non è meno vero che tutti i tentativi di approfondi-mento della realtà hanno inestimabile importanza, siaperché approntano un sempre piú vasto materiale d'inda-gine, sia perché necessariamente contribuiscono a ren-dere meno imperfetta per le masse la coscienza del pro-prio disagio e piú efficace la loro azione.

E poiché lo scritto di Antonio Gramsci è divenuto ad-dirittura introvabile,3 credo opportuno riferire per som-mi capi le sue considerazioni e riesaminarle al lume de-gli ultimi avvenimenti, soprattutto perché al popolo me-ridionale interessa assai che il proletariato italiano evitinel prossimo futuro tutti gli errori che spinsero fatal-mente il vecchio Partito socialista in una posizione anti-meridionalistica, e contribuirono cosí efficacemente alsuccesso del giolittismo.

Sotto questo punto di vista, anzi, il pensiero di Gram-sci è cosí tagliente, e la sua revisione critica cosí since-ra, che non si può non sottolineare il parallelismo conaltre dottrine meridionaliste elaborate in sede stretta-mente politica e senza pregiudizi classisti.

3 Mentre correggo le bozze, vedo che l'articolo è stato ristam-pato in «Rinascita», rassegna di politica e di cultura italiana diret-ta da P. Togliatti, anno II (1945), n. 2. Il titolo esatto del saggioera Alcune note sulla questione meridionale. Il saggio, che ebbeoccasione da una recensione al presente volume pubblicata nel«Quarto Stato» di Rosselli (18 settembre 1926) fu l'ultimo scrittodi Gramsci prima dell'arresto [Nota del 1945].

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E che si tratti di una revisione, e piú esattamente diuna revisione critica, cioè non di un riesame ideologico,ma di un esame di coscienza storico-politico, lo confes-sa lo stesso Autore, quando, quasi autobiograficamente,ci rende conto di un processo di adeguamento alla real-tà, svoltosi sotterraneamente in quell'élite dell'«OrdineNuovo» di cui egli fu indubbiamente il piú forte cervel-lo.

Il primo problema da risolvere, per i comunisti torinesi, eraquello di modificare l'indirizzo politico e l'ideologia generale delproletariato stesso, come elemento nazionale che vive nel com-plesso della vita statale, e subisce inconsapevolmente l'influenzadella scuola, del giornale, della tradizione borghese. È noto qualeideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandistidella borghesia nelle masse del Settentrione: il Mezzogiorno è lapalla di piombo che impedisce piú rapidi progressi allo sviluppocivile dell'Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseriinferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino natu-rale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema ca-pitalistico o di qualsivoglia altra causa storica, ma della naturache ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari,temperando questa sorte matrigna con l'esplosione puramente in-dividuale di grandi geni, che sono come le solitarie palme in unarido e sterile deserto. Il Partito socialista fu in gran parte il vei-colo di questa ideologia borghese nel proletariato settentrionale; ilPartito socialista diede il suo crisma a tutta questa letteratura«meridionalista» della cricca di scrittori della cosiddetta scuolapositiva come i Ferri, i Sergi, i Niceforo, gli Orano e i minori se-guaci che in articoli, in bozzetti, in novelle, in romanzi, in librid'impressioni e di ricordi ripetevano in diverse forme lo stesso ri-tornello; ancora una volta la «scienza» era rivolta a schiacciare i

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E che si tratti di una revisione, e piú esattamente diuna revisione critica, cioè non di un riesame ideologico,ma di un esame di coscienza storico-politico, lo confes-sa lo stesso Autore, quando, quasi autobiograficamente,ci rende conto di un processo di adeguamento alla real-tà, svoltosi sotterraneamente in quell'élite dell'«OrdineNuovo» di cui egli fu indubbiamente il piú forte cervel-lo.

Il primo problema da risolvere, per i comunisti torinesi, eraquello di modificare l'indirizzo politico e l'ideologia generale delproletariato stesso, come elemento nazionale che vive nel com-plesso della vita statale, e subisce inconsapevolmente l'influenzadella scuola, del giornale, della tradizione borghese. È noto qualeideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandistidella borghesia nelle masse del Settentrione: il Mezzogiorno è lapalla di piombo che impedisce piú rapidi progressi allo sviluppocivile dell'Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseriinferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino natu-rale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema ca-pitalistico o di qualsivoglia altra causa storica, ma della naturache ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari,temperando questa sorte matrigna con l'esplosione puramente in-dividuale di grandi geni, che sono come le solitarie palme in unarido e sterile deserto. Il Partito socialista fu in gran parte il vei-colo di questa ideologia borghese nel proletariato settentrionale; ilPartito socialista diede il suo crisma a tutta questa letteratura«meridionalista» della cricca di scrittori della cosiddetta scuolapositiva come i Ferri, i Sergi, i Niceforo, gli Orano e i minori se-guaci che in articoli, in bozzetti, in novelle, in romanzi, in librid'impressioni e di ricordi ripetevano in diverse forme lo stesso ri-tornello; ancora una volta la «scienza» era rivolta a schiacciare i

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miseri e gli sfruttati, ma questa volta essa si ammantava dei colorisocialisti, pretendeva essere la scienza del proletariato.

I comunisti torinesi reagirono energicamente contro questaideologia, proprio a Torino, dove i racconti e le descrizioni deiveterani della guerra contro il «brigantaggio» nel Mezzogiorno enelle isole avevano maggiormente influenzato la tradizione e lospirito popolare. Reagirono energicamente in forme pratiche, riu-scendo a ottenere risultati concreti di grandissima portata storica,riuscendo a ottenere, proprio a Torino, embrioni di quella che saràla soluzione del problema meridionale.

Con queste considerazioni il proletariato, e, piú esat-tamente, l'élite che lo dirigeva, si divise in due gruppidiseguali, e di contro alla massa riformista, asserragliataintorno alle greppie della Confederazione generale dellavoro e al suo mastodontico stato maggiore sindacale epolitico, si spiegò inesorabile la critica di questo piccolointellettuale sardo, che portava nascosti nelle pieghe delsuo cervello i residui di una tradizione plurisecolare dimiserie e di sofferenze, illuminantisi di nuova luce allume dell'inesorabile critica storico-politica.

Cominciò, quindi, lo sforzo per acquistare coscienzadella società in cui si viveva e si voleva agire e le nebbiedelle ideologie si dissolsero.

Il proletariato doveva fare suo questo indirizzo per dargli effi-cienza politica: ciò è sottinteso. Nessuna azione di massa è possi-bile se la massa stessa non è convinta dei fini che vuole raggiun-gere e dei metodi da applicare. Il proletariato per essere capace digovernare come classe, deve spogliarsi di ogni residuo corporati-vo, di ogni pregiudizio o incrostazione sindacalista. Cosa signifi-

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miseri e gli sfruttati, ma questa volta essa si ammantava dei colorisocialisti, pretendeva essere la scienza del proletariato.

I comunisti torinesi reagirono energicamente contro questaideologia, proprio a Torino, dove i racconti e le descrizioni deiveterani della guerra contro il «brigantaggio» nel Mezzogiorno enelle isole avevano maggiormente influenzato la tradizione e lospirito popolare. Reagirono energicamente in forme pratiche, riu-scendo a ottenere risultati concreti di grandissima portata storica,riuscendo a ottenere, proprio a Torino, embrioni di quella che saràla soluzione del problema meridionale.

Con queste considerazioni il proletariato, e, piú esat-tamente, l'élite che lo dirigeva, si divise in due gruppidiseguali, e di contro alla massa riformista, asserragliataintorno alle greppie della Confederazione generale dellavoro e al suo mastodontico stato maggiore sindacale epolitico, si spiegò inesorabile la critica di questo piccolointellettuale sardo, che portava nascosti nelle pieghe delsuo cervello i residui di una tradizione plurisecolare dimiserie e di sofferenze, illuminantisi di nuova luce allume dell'inesorabile critica storico-politica.

Cominciò, quindi, lo sforzo per acquistare coscienzadella società in cui si viveva e si voleva agire e le nebbiedelle ideologie si dissolsero.

Il proletariato doveva fare suo questo indirizzo per dargli effi-cienza politica: ciò è sottinteso. Nessuna azione di massa è possi-bile se la massa stessa non è convinta dei fini che vuole raggiun-gere e dei metodi da applicare. Il proletariato per essere capace digovernare come classe, deve spogliarsi di ogni residuo corporati-vo, di ogni pregiudizio o incrostazione sindacalista. Cosa signifi-

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ca ciò? Che non solo devono essere superate le distinzioni cheesistono tra professione e professione, ma che occorre, per con-quistarsi la fiducia e il consenso dei contadini e di alcune catego-rie semiproletarie della città, superare alcuni pregiudizi e vincerecerti egoismi che possono sussistere e sussistono nella classe ope-raia come tale anche quando nel suo seno sono spariti i particola-rismi di professione. Il metallurgico, il falegname, l'edile, ecc. de-vono non solo pensare come proletari e non piú come metallurgi-co, falegname, edile, ecc. ma devono fare ancora un passo avanti:devono pensare come operai membri di una classe che tende a di-rigere i contadini e gl'intellettuali, di una classe che può vincere epuò costruire il socialismo solo se aiutata e seguita dalla grandemaggioranza di questi strati sociali. Se non si ottiene ciò, il prole-tariato non diventa classe dirigente, e questi strati, che in Italiarappresentano la maggioranza della popolazione, rimanendo sottola direzione borghese, danno allo Stato la possibilità di resistereall'impeto proletario e di fiaccarlo. Ebbene: ciò che si è verificatonel terreno della questione meridionale, dimostra che il proletaria-to ha compreso questi suoi doveri.

Questo primo passo era indubbiamente promettente.Esso indicava un'esigenza critica che il socialismo ita-liano fin'allora aveva trascurata e che aveva contribuitonon solo a determinare la sua insufficienza rivoluziona-ria, ma lo aveva addirittura condotto alla catastrofe. E,immediatamente dopo questi primi accenni, l'Autorenon tarda a imbroccare la strada giusta e a denudare tut-te le miserie della vita pubblica italiana.

La borghesia, già prima della guerra, non poteva piú governaretranquillamente. L'insurrezione dei contadini siciliani nel 1894 el'insurrezione di Milano nel 1898 furono l'experimentum crucis

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ca ciò? Che non solo devono essere superate le distinzioni cheesistono tra professione e professione, ma che occorre, per con-quistarsi la fiducia e il consenso dei contadini e di alcune catego-rie semiproletarie della città, superare alcuni pregiudizi e vincerecerti egoismi che possono sussistere e sussistono nella classe ope-raia come tale anche quando nel suo seno sono spariti i particola-rismi di professione. Il metallurgico, il falegname, l'edile, ecc. de-vono non solo pensare come proletari e non piú come metallurgi-co, falegname, edile, ecc. ma devono fare ancora un passo avanti:devono pensare come operai membri di una classe che tende a di-rigere i contadini e gl'intellettuali, di una classe che può vincere epuò costruire il socialismo solo se aiutata e seguita dalla grandemaggioranza di questi strati sociali. Se non si ottiene ciò, il prole-tariato non diventa classe dirigente, e questi strati, che in Italiarappresentano la maggioranza della popolazione, rimanendo sottola direzione borghese, danno allo Stato la possibilità di resistereall'impeto proletario e di fiaccarlo. Ebbene: ciò che si è verificatonel terreno della questione meridionale, dimostra che il proletaria-to ha compreso questi suoi doveri.

Questo primo passo era indubbiamente promettente.Esso indicava un'esigenza critica che il socialismo ita-liano fin'allora aveva trascurata e che aveva contribuitonon solo a determinare la sua insufficienza rivoluziona-ria, ma lo aveva addirittura condotto alla catastrofe. E,immediatamente dopo questi primi accenni, l'Autorenon tarda a imbroccare la strada giusta e a denudare tut-te le miserie della vita pubblica italiana.

La borghesia, già prima della guerra, non poteva piú governaretranquillamente. L'insurrezione dei contadini siciliani nel 1894 el'insurrezione di Milano nel 1898 furono l'experimentum crucis

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della borghesia italiana. Dopo il decennio sanguinoso '90-900 laborghesia dovette rinunziare a una dittatura troppo esclusivista,troppo violenta, troppo diretta; insorgevano contro di lei simulta-neamente, se anche non coordinatamente, i contadini meridionalie gli operai settentrionali. Nel nuovo secolo la classe dominanteinaugurò una nuova politica di alleanza di classe, di blocchi poli-tici di classe, cioè di democrazia borghese. Doveva scegliere ouna democrazia rurale, cioè un'alleanza coi contadini meridionali,una politica di libertà doganale, di suffragio universale, di decen-tramento amministrativo, di bassi prezzi nei prodotti industriali, oun blocco industriale capitalistico-operaio, senza suffragio uni-versale, per il protezionismo doganale, per il mantenimentodell'accentramento statale (espressione del dominio borghese suicontadini, specialmente nel Mezzogiorno e nelle isole) per unapolitica riformistica dei salari e delle libertà sindacali. Scelse nona caso questa seconda soluzione: Giolitti impersonò il dominioborghese, il Partito socialista divenne lo strumento della politicagiolittiana. Se osservate bene, nel decennio '900-910 si verificaro-no le crisi piú radicali nel movimento socialista e operaio: la mas-sa reagisce spontaneamente contro la politica dei capi riformisti.Nasce il sindacalismo, che è l'espressione istintiva, elementare,primitiva, ma sana, della reazione operaia contro il blocco con laborghesia e per un blocco coi contadini e in primo luogo coi con-tadini meridionali. Proprio cosí: anzi, in un certo senso, il sinda-calismo è un debole tentativo dei contadini meridionali, rappre-sentati dai loro intellettuali piú avanzati, di dirigere il proletariato.Da chi è costituito il nucleo del sindacalismo italiano, qual è laessenza ideologica del sindacalismo italiano? Il nucleo dirigentedel sindacalismo è costituito di meridionali quali esclusivamente:Labriola, Leone, Longobardi, Orano. L'essenza ideologica delsindacalismo è un nuovo liberalismo piú energico, piú aggressivo,piú pugnace di quello tradizionale. Se osservate bene, due sono imotivi fondamentali intorno ai quali avvengono le crisi successi-

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della borghesia italiana. Dopo il decennio sanguinoso '90-900 laborghesia dovette rinunziare a una dittatura troppo esclusivista,troppo violenta, troppo diretta; insorgevano contro di lei simulta-neamente, se anche non coordinatamente, i contadini meridionalie gli operai settentrionali. Nel nuovo secolo la classe dominanteinaugurò una nuova politica di alleanza di classe, di blocchi poli-tici di classe, cioè di democrazia borghese. Doveva scegliere ouna democrazia rurale, cioè un'alleanza coi contadini meridionali,una politica di libertà doganale, di suffragio universale, di decen-tramento amministrativo, di bassi prezzi nei prodotti industriali, oun blocco industriale capitalistico-operaio, senza suffragio uni-versale, per il protezionismo doganale, per il mantenimentodell'accentramento statale (espressione del dominio borghese suicontadini, specialmente nel Mezzogiorno e nelle isole) per unapolitica riformistica dei salari e delle libertà sindacali. Scelse nona caso questa seconda soluzione: Giolitti impersonò il dominioborghese, il Partito socialista divenne lo strumento della politicagiolittiana. Se osservate bene, nel decennio '900-910 si verificaro-no le crisi piú radicali nel movimento socialista e operaio: la mas-sa reagisce spontaneamente contro la politica dei capi riformisti.Nasce il sindacalismo, che è l'espressione istintiva, elementare,primitiva, ma sana, della reazione operaia contro il blocco con laborghesia e per un blocco coi contadini e in primo luogo coi con-tadini meridionali. Proprio cosí: anzi, in un certo senso, il sinda-calismo è un debole tentativo dei contadini meridionali, rappre-sentati dai loro intellettuali piú avanzati, di dirigere il proletariato.Da chi è costituito il nucleo del sindacalismo italiano, qual è laessenza ideologica del sindacalismo italiano? Il nucleo dirigentedel sindacalismo è costituito di meridionali quali esclusivamente:Labriola, Leone, Longobardi, Orano. L'essenza ideologica delsindacalismo è un nuovo liberalismo piú energico, piú aggressivo,piú pugnace di quello tradizionale. Se osservate bene, due sono imotivi fondamentali intorno ai quali avvengono le crisi successi-

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ve del sindacalismo e il passaggio graduale dei dirigenti sindaca-listi nel campo borghese: l'emigrazione e il libero scambio; duemotivi strettamente legati al meridionalismo. Il fatto della emi-grazione fa nascere la concezione della «nazione proletaria» diEnrico Corradini: la guerra libica appare a tutto uno strato di in-tellettuali come l'inizio dell'offensiva della «grande proletaria»contro il mondo capitalistico e plutocratico. Tutto un gruppo disindacalisti passa al nazionalismo, anzi il Partito nazionalista vie-ne costituito originariamente dagli intellettuali ex sindacalisti(Monicelli, Forges-Davanzati, Maraviglia). Il libro di Labriola:Storia di 10 anni (i dieci anni dal '900 al 910) è l'espressione piútipica e caratteristica di questo neoliberalismo antigiolittiano emeridionalista.

In 10 anni il capitalismo si rafforza e si sviluppa, e riversa unaparte della sua attività nell'agricoltura della valle padana. Il trattopiú caratteristico di questi 10 anni sono gli scioperi di massa deglioperai agricoli della valle padana. Un profondo rivolgimento av-viene tra i contadini settentrionali; si verifica una profonda diffe-renziazione di classe (il numero dei braccianti aumenta del 50%secondo i dati del censimento del 1911) e a essa corrisponde unarielaborazione delle correnti politiche e degli atteggiamenti spiri-tuali. La democrazia cristiana e il mussolinismo sono i due pro-dotti piú salienti dell'epoca: la Romagna è il crogiuolo regionaledi queste due attività, il bracciante pare essere diventato il prota-gonista sociale della lotta politica. La democrazia sociale, nei suoiorganismi di sinistra (l'«Azione» di Cesena) e anche il mussolini-smo cadono rapidamente sotto il controllo dei «meridionalisti»L'«Azione» di Cesena è una edizione regionale dell'«Unità» diGaetano Salvemini. L'«Avanti!», diretto da Mussolini lentamente,ma sicuramente, si viene trasformando in una palestra per gliscrittori sindacalisti e meridionalisti. I Fancello, i Lanzillo, i Pa-nunzio, i Ciccotti, ne diventano assidui collaboratori. Lo stessoSalvemini non nasconde le sue simpatie per Mussolini, che diven-

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ve del sindacalismo e il passaggio graduale dei dirigenti sindaca-listi nel campo borghese: l'emigrazione e il libero scambio; duemotivi strettamente legati al meridionalismo. Il fatto della emi-grazione fa nascere la concezione della «nazione proletaria» diEnrico Corradini: la guerra libica appare a tutto uno strato di in-tellettuali come l'inizio dell'offensiva della «grande proletaria»contro il mondo capitalistico e plutocratico. Tutto un gruppo disindacalisti passa al nazionalismo, anzi il Partito nazionalista vie-ne costituito originariamente dagli intellettuali ex sindacalisti(Monicelli, Forges-Davanzati, Maraviglia). Il libro di Labriola:Storia di 10 anni (i dieci anni dal '900 al 910) è l'espressione piútipica e caratteristica di questo neoliberalismo antigiolittiano emeridionalista.

In 10 anni il capitalismo si rafforza e si sviluppa, e riversa unaparte della sua attività nell'agricoltura della valle padana. Il trattopiú caratteristico di questi 10 anni sono gli scioperi di massa deglioperai agricoli della valle padana. Un profondo rivolgimento av-viene tra i contadini settentrionali; si verifica una profonda diffe-renziazione di classe (il numero dei braccianti aumenta del 50%secondo i dati del censimento del 1911) e a essa corrisponde unarielaborazione delle correnti politiche e degli atteggiamenti spiri-tuali. La democrazia cristiana e il mussolinismo sono i due pro-dotti piú salienti dell'epoca: la Romagna è il crogiuolo regionaledi queste due attività, il bracciante pare essere diventato il prota-gonista sociale della lotta politica. La democrazia sociale, nei suoiorganismi di sinistra (l'«Azione» di Cesena) e anche il mussolini-smo cadono rapidamente sotto il controllo dei «meridionalisti»L'«Azione» di Cesena è una edizione regionale dell'«Unità» diGaetano Salvemini. L'«Avanti!», diretto da Mussolini lentamente,ma sicuramente, si viene trasformando in una palestra per gliscrittori sindacalisti e meridionalisti. I Fancello, i Lanzillo, i Pa-nunzio, i Ciccotti, ne diventano assidui collaboratori. Lo stessoSalvemini non nasconde le sue simpatie per Mussolini, che diven-

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ta anche un beniamino della «Voce» di Prezzolini. Tutti ricordanoche in realtà, quando Mussolini esce dall'«Avanti!» e dal Partitosocialista egli è circondato da questa coorte di sindacalisti e dimeridionalisti. La ripercussione piú notevole di questo periodonel campo rivoluzionario è la settimana rossa del giugno 1914: laRomagna e le Marche sono l'epicentro della settimana rossa. Nelcampo della politica borghese una ripercussione piú notevole è ilpatto di Gentiloni. Poiché il Partito socialista, per effetto dei mo-vimenti agrari della valle padana, era ritornato, dopo il 1912, allatattica intransigente, il blocco industriale, sostenuto e rappresen-tato da Giolitti perde la sua efficienza: Giolitti muta spalla al suofucile; all'alleanza tra borghesi e operai sostituisce l'alleanza traborghesi e cattolici che rappresentano le masse contadine dell'Ita-lia settentrionale e centrale. Per questa alleanza il partito conser-vatore di Sonnino viene completamente distrutto conservandouna piccolissima cellula solo nell'Italia meridionale intorno a An-tonio Salandra. La guerra e il dopoguerra hanno visto svolgereuna serie di processi molecolari nella classe borghese della piúalta importanza. Salandra e Nitti furono i primi due capi del go-verno meridionali (per non parlare dei siciliani, naturalmentecome Crispi, che fu il piú energico rappresentante della dittaturaborghese del secolo XIX) e cercarono di attuare il piano borgheseindustriale-agrario meridionale, nel terreno conservatore, Salan-dra, nel terreno democratico il Nitti. (Tutti e due questi capi di go-verno furono aiutati solidalmente dal «Corriere della Sera» cioèdall'industria tessile lombarda.) Già durante la guerra, il Salandracercò di spostare a favore del Mezzogiorno le forze tecniche delleorganizzazioni statali, cercò di sostituire al personale giolittianodello Stato un nuovo personale che incarnasse un nuovo corso po-litico della borghesia. Voi ricordate la campagna condotta dalla«Stampa» specialmente nel 1917-18 per una stretta collaborazio-ne tra giolittiani e socialisti per impedire la «pugliesizzazione»dello Stato: quella campagna fu condotta nella «Stampa» da Fran-

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ta anche un beniamino della «Voce» di Prezzolini. Tutti ricordanoche in realtà, quando Mussolini esce dall'«Avanti!» e dal Partitosocialista egli è circondato da questa coorte di sindacalisti e dimeridionalisti. La ripercussione piú notevole di questo periodonel campo rivoluzionario è la settimana rossa del giugno 1914: laRomagna e le Marche sono l'epicentro della settimana rossa. Nelcampo della politica borghese una ripercussione piú notevole è ilpatto di Gentiloni. Poiché il Partito socialista, per effetto dei mo-vimenti agrari della valle padana, era ritornato, dopo il 1912, allatattica intransigente, il blocco industriale, sostenuto e rappresen-tato da Giolitti perde la sua efficienza: Giolitti muta spalla al suofucile; all'alleanza tra borghesi e operai sostituisce l'alleanza traborghesi e cattolici che rappresentano le masse contadine dell'Ita-lia settentrionale e centrale. Per questa alleanza il partito conser-vatore di Sonnino viene completamente distrutto conservandouna piccolissima cellula solo nell'Italia meridionale intorno a An-tonio Salandra. La guerra e il dopoguerra hanno visto svolgereuna serie di processi molecolari nella classe borghese della piúalta importanza. Salandra e Nitti furono i primi due capi del go-verno meridionali (per non parlare dei siciliani, naturalmentecome Crispi, che fu il piú energico rappresentante della dittaturaborghese del secolo XIX) e cercarono di attuare il piano borgheseindustriale-agrario meridionale, nel terreno conservatore, Salan-dra, nel terreno democratico il Nitti. (Tutti e due questi capi di go-verno furono aiutati solidalmente dal «Corriere della Sera» cioèdall'industria tessile lombarda.) Già durante la guerra, il Salandracercò di spostare a favore del Mezzogiorno le forze tecniche delleorganizzazioni statali, cercò di sostituire al personale giolittianodello Stato un nuovo personale che incarnasse un nuovo corso po-litico della borghesia. Voi ricordate la campagna condotta dalla«Stampa» specialmente nel 1917-18 per una stretta collaborazio-ne tra giolittiani e socialisti per impedire la «pugliesizzazione»dello Stato: quella campagna fu condotta nella «Stampa» da Fran-

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cesco Ciccotti, cioè era di fatto una espressione dell'accordo esi-stente tra Giolitti e i riformisti. La questione non era da poco, e igiolittiani nel loro accanimento difensivo, giunsero fino a quellemanifestazioni di antipatriottismo e di disfattismo che sono nellamemoria di tutti.

Tracciata a grandi linee la storia politica italiana finoall'avvento del fascismo, la questione meridionale, verae propria, rimane ermetica e insolubile, non tanto perchéancora non s'intravede la via attraverso la quale la solu-zione possa avvenire, ma soprattutto perché l'analisi nonè ancora completa.

Nel 1927, quando Gramsci scriveva, il trionfo del fa-scismo era fresco e tutte le altre ideologie apparivano ir-rimediabilmente battute. Sembrava, dunque, sterile ognitentativo critico per impadronirsi dei termini di una que-stione, che i fascisti asserivano sarebbe stata radical-mente risolta per implicito attraverso l'ascensione impe-rialista del nostro paese. Questo punto di vista, come,del resto, ogni altro del fascismo, era conseguenza didaltonismo, ma le repliche, che esso indubbiamente benmeritava, erano tutte a lunga scadenza. Ma, appuntoperciò, Antonio Gramsci si sentí portato a quella calmacontemplativa che consente i piú profondi esami di co-scienza, e, nell'assenza di una vera e propria politicapubblica militante, egli riuscí a portare il suo pensiero auna cosí perfetta adeguatezza con la realtà, da produrrerisultati che saranno utili a tutti.

Il Mezzogiorno può essere definito una grande disgregazione

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cesco Ciccotti, cioè era di fatto una espressione dell'accordo esi-stente tra Giolitti e i riformisti. La questione non era da poco, e igiolittiani nel loro accanimento difensivo, giunsero fino a quellemanifestazioni di antipatriottismo e di disfattismo che sono nellamemoria di tutti.

Tracciata a grandi linee la storia politica italiana finoall'avvento del fascismo, la questione meridionale, verae propria, rimane ermetica e insolubile, non tanto perchéancora non s'intravede la via attraverso la quale la solu-zione possa avvenire, ma soprattutto perché l'analisi nonè ancora completa.

Nel 1927, quando Gramsci scriveva, il trionfo del fa-scismo era fresco e tutte le altre ideologie apparivano ir-rimediabilmente battute. Sembrava, dunque, sterile ognitentativo critico per impadronirsi dei termini di una que-stione, che i fascisti asserivano sarebbe stata radical-mente risolta per implicito attraverso l'ascensione impe-rialista del nostro paese. Questo punto di vista, come,del resto, ogni altro del fascismo, era conseguenza didaltonismo, ma le repliche, che esso indubbiamente benmeritava, erano tutte a lunga scadenza. Ma, appuntoperciò, Antonio Gramsci si sentí portato a quella calmacontemplativa che consente i piú profondi esami di co-scienza, e, nell'assenza di una vera e propria politicapubblica militante, egli riuscí a portare il suo pensiero auna cosí perfetta adeguatezza con la realtà, da produrrerisultati che saranno utili a tutti.

Il Mezzogiorno può essere definito una grande disgregazione

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sociale; i contadini che costituiscono la grande maggioranza dellasua popolazione, non hanno nessuna coesione tra loro (si capisceche occorre fare delle eccezioni: le Puglie, la Sardegna, la Sicilia,dove esistono caratteristiche speciali nel grande quadro dellastruttura meridionale). La società meridionale è un grande bloccoagrario costituito di tre strati sociali: la grande massa contadinaamorfa e disgregata, gli intellettuali della piccola e media borghe-sia rurale, i grandi proprietari terrieri e i grandi intellettuali. I con-tadini meridionali sono in perpetuo fermento, ma come massaessi sono incapaci di dare un'espressione centralizzata alle loroaspirazioni e ai loro bisogni. Lo strato medio degli intellettuali ri-ceve dalla base contadina le impulsioni per la sua attività politicae ideologica. I grandi proprietari nel campo politico e i grandi in-tellettuali nel campo ideologico centralizzano e dominano, in ulti-ma analisi, tutto questo complesso di manifestazioni. Come è na-turale, è nel campo ideologico che la centralizzazione si verificacon maggiore efficacia e precisione. Giustino Fortunato e Bene-detto Croce rappresentano perciò le chiavi di volta del sistemameridionale, e in un certo senso, sono le due piú grandi figuredella reazione italiana. Gl'intellettuali meridionali sono uno stratosociale dei piú interessanti e dei piú importanti nella vita naziona-le italiana. Basta pensare che piú di ⅗ della burocrazia statale ècostituita di meridionali per convincersene. Ora, per comprenderela particolare psicologia degli intellettuali meridionali, occorre te-nere presenti alcuni dati di fatto:

1) In ogni paese lo strato degli intellettuali è stato radicalmentemodificato dallo sviluppo del capitalismo. Il vecchio tipodell'intellettuale era l'elemento organizzativo di una società a basecontadina e artigiana prevalentemente; per organizzare lo Stato,per organizzare il commercio la classe dominante allevava unparticolare tipo di intellettuale. L'industria ha introdotto un nuovotipo di intellettuale: l'organizzatore tecnico, lo specialista dellascienza applicata. Nelle società dove le forze economiche si sono

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sociale; i contadini che costituiscono la grande maggioranza dellasua popolazione, non hanno nessuna coesione tra loro (si capisceche occorre fare delle eccezioni: le Puglie, la Sardegna, la Sicilia,dove esistono caratteristiche speciali nel grande quadro dellastruttura meridionale). La società meridionale è un grande bloccoagrario costituito di tre strati sociali: la grande massa contadinaamorfa e disgregata, gli intellettuali della piccola e media borghe-sia rurale, i grandi proprietari terrieri e i grandi intellettuali. I con-tadini meridionali sono in perpetuo fermento, ma come massaessi sono incapaci di dare un'espressione centralizzata alle loroaspirazioni e ai loro bisogni. Lo strato medio degli intellettuali ri-ceve dalla base contadina le impulsioni per la sua attività politicae ideologica. I grandi proprietari nel campo politico e i grandi in-tellettuali nel campo ideologico centralizzano e dominano, in ulti-ma analisi, tutto questo complesso di manifestazioni. Come è na-turale, è nel campo ideologico che la centralizzazione si verificacon maggiore efficacia e precisione. Giustino Fortunato e Bene-detto Croce rappresentano perciò le chiavi di volta del sistemameridionale, e in un certo senso, sono le due piú grandi figuredella reazione italiana. Gl'intellettuali meridionali sono uno stratosociale dei piú interessanti e dei piú importanti nella vita naziona-le italiana. Basta pensare che piú di ⅗ della burocrazia statale ècostituita di meridionali per convincersene. Ora, per comprenderela particolare psicologia degli intellettuali meridionali, occorre te-nere presenti alcuni dati di fatto:

1) In ogni paese lo strato degli intellettuali è stato radicalmentemodificato dallo sviluppo del capitalismo. Il vecchio tipodell'intellettuale era l'elemento organizzativo di una società a basecontadina e artigiana prevalentemente; per organizzare lo Stato,per organizzare il commercio la classe dominante allevava unparticolare tipo di intellettuale. L'industria ha introdotto un nuovotipo di intellettuale: l'organizzatore tecnico, lo specialista dellascienza applicata. Nelle società dove le forze economiche si sono

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sviluppate in senso capitalistico, fino a assorbire la maggior partedell'attività nazionale, è questo secondo tipo di intellettuale cheha prevalso con tutte le sue caratteristiche di ordine e di disciplinaintellettuale. Nei paesi invece dove l'agricoltura esercita un ruoloancora notevole o addirittura preponderante, è rimasto in preva-lenza il vecchio tipo che dà la massima parte del personale statalee che anche localmente, nel villaggio e nel borgo rurale, esercitala funzione di intermediario tra il contadino e l'amministrazionegenerale.

Nell'Italia meridionale predomina questo tipo, con tutte le suecaratteristiche: democratico nella faccia contadina, reazionarionella faccia rivolta verso il grande proprietario e il governo politi-cante, corrotto, sleale; non si comprenderebbe la figura tradizio-nale dei partiti politici meridionali se non si tenesse conto dei ca-ratteri di questo strato sociale.

2) L'intellettuale meridionale esce prevalentemente da un cetoche nel Mezzogiorno è ancora notevole: il borghese rurale, cioè ilpiccolo e medio proprietario di terre, che non è contadino, chenon lavora la terra, che si vergognerebbe di fare l'agricoltore, mache dalla poca terra che ha dato in affitto o a mezzadria semplice,vuol ricavare di che vivere convenientemente, di che mandareall'università o al seminario i figliuoli, di che fare la dote alle fi-glie che devono sposare un ufficiale o un funzionario civile delloStato. Da questo ceto gl'intellettuali ricevono un'aspra avversioneper il contadino lavoratore, considerato come una macchina da la-voro che deve essere smunta fino all'osso, e che può essere sosti-tuita facilmente data la superpopolazione lavoratrice: ricavano an-che il sentimento atavico e istintivo della folle paura del contadi-no e delle sue violenze distruggitrici e quindi un abito di ipocrisiaraffinata e una raffinatissima arte di ingannare le masse contadi-ne.

3) Poiché al gruppo sociale degli intellettuali appartiene il cle-ro, occorre notare le diversità di caratteristiche tra il clero meri-

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sviluppate in senso capitalistico, fino a assorbire la maggior partedell'attività nazionale, è questo secondo tipo di intellettuale cheha prevalso con tutte le sue caratteristiche di ordine e di disciplinaintellettuale. Nei paesi invece dove l'agricoltura esercita un ruoloancora notevole o addirittura preponderante, è rimasto in preva-lenza il vecchio tipo che dà la massima parte del personale statalee che anche localmente, nel villaggio e nel borgo rurale, esercitala funzione di intermediario tra il contadino e l'amministrazionegenerale.

Nell'Italia meridionale predomina questo tipo, con tutte le suecaratteristiche: democratico nella faccia contadina, reazionarionella faccia rivolta verso il grande proprietario e il governo politi-cante, corrotto, sleale; non si comprenderebbe la figura tradizio-nale dei partiti politici meridionali se non si tenesse conto dei ca-ratteri di questo strato sociale.

2) L'intellettuale meridionale esce prevalentemente da un cetoche nel Mezzogiorno è ancora notevole: il borghese rurale, cioè ilpiccolo e medio proprietario di terre, che non è contadino, chenon lavora la terra, che si vergognerebbe di fare l'agricoltore, mache dalla poca terra che ha dato in affitto o a mezzadria semplice,vuol ricavare di che vivere convenientemente, di che mandareall'università o al seminario i figliuoli, di che fare la dote alle fi-glie che devono sposare un ufficiale o un funzionario civile delloStato. Da questo ceto gl'intellettuali ricevono un'aspra avversioneper il contadino lavoratore, considerato come una macchina da la-voro che deve essere smunta fino all'osso, e che può essere sosti-tuita facilmente data la superpopolazione lavoratrice: ricavano an-che il sentimento atavico e istintivo della folle paura del contadi-no e delle sue violenze distruggitrici e quindi un abito di ipocrisiaraffinata e una raffinatissima arte di ingannare le masse contadi-ne.

3) Poiché al gruppo sociale degli intellettuali appartiene il cle-ro, occorre notare le diversità di caratteristiche tra il clero meri-

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dionale nel suo complesso e il clero settentrionale. Il prete setten-trionale comunemente è figlio di un artigiano o di un contadino;ha sentimenti democratici, è piú legato alla massa dei contadini;moralmente è piú corretto del prete meridionale, il quale spessoconvive quasi apertamente con una donna, e perciò esercita un uf-ficio spirituale piú completo socialmente, cioè è un dirigente ditutta l'attività di una famiglia. Nel Settentrione la separazione del-la Chiesa dallo Stato e l'espropriazione dei beni ecclesiastici, èstata piú radicale che nel Mezzogiorno, dove le parrocchie e iconventi hanno conservato o hanno ricostruito notevoli proprietàimmobiliari o mobiliari. Nel Mezzogiorno il prete si presenta alcontadino: 1. come un amministratore di terra col quale entra inconflitto per la questione degli affitti; 2. come un usuraio che do-manda elevatissimi tassi di interesse e fa giocare l'elemento reli-gioso per riscuotere sicuramente l'affitto o l'usura; 3. come unuomo sottoposto alle passioni comuni (donne e danaro) e che pertanto spiritualmente non dà affidamento di discrezione e di impar-zialità. La confessione esercita perciò uno scarsissimo ufficio di-rigente e il contadino meridionale, se spesso è superstizioso insenso pagano non è clericale.

Tutto questo complesso spiega il perché nel Mezzogiorno ilPartito popolare (eccettuata qualche zona della Sicilia) non abbiauna posizione notevole, non abbia posseduto nessuna rete di isti-tuzioni e di organizzazioni di massa. L'atteggiamento del contadi-no verso il clero è riassunto nel detto popolare: «Il prete è pretesull'altare; fuori è un uomo come tutti gli altri».

Queste precisazioni, però, non sono ancora sufficien-ti, perché esse non chiariscono attraverso quale mecca-nismo avviene che la grande massa contadina è social-mente e politicamente dominata dall'esigua schiera deiproprietari terrieri e dei grandi intellettuali.

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dionale nel suo complesso e il clero settentrionale. Il prete setten-trionale comunemente è figlio di un artigiano o di un contadino;ha sentimenti democratici, è piú legato alla massa dei contadini;moralmente è piú corretto del prete meridionale, il quale spessoconvive quasi apertamente con una donna, e perciò esercita un uf-ficio spirituale piú completo socialmente, cioè è un dirigente ditutta l'attività di una famiglia. Nel Settentrione la separazione del-la Chiesa dallo Stato e l'espropriazione dei beni ecclesiastici, èstata piú radicale che nel Mezzogiorno, dove le parrocchie e iconventi hanno conservato o hanno ricostruito notevoli proprietàimmobiliari o mobiliari. Nel Mezzogiorno il prete si presenta alcontadino: 1. come un amministratore di terra col quale entra inconflitto per la questione degli affitti; 2. come un usuraio che do-manda elevatissimi tassi di interesse e fa giocare l'elemento reli-gioso per riscuotere sicuramente l'affitto o l'usura; 3. come unuomo sottoposto alle passioni comuni (donne e danaro) e che pertanto spiritualmente non dà affidamento di discrezione e di impar-zialità. La confessione esercita perciò uno scarsissimo ufficio di-rigente e il contadino meridionale, se spesso è superstizioso insenso pagano non è clericale.

Tutto questo complesso spiega il perché nel Mezzogiorno ilPartito popolare (eccettuata qualche zona della Sicilia) non abbiauna posizione notevole, non abbia posseduto nessuna rete di isti-tuzioni e di organizzazioni di massa. L'atteggiamento del contadi-no verso il clero è riassunto nel detto popolare: «Il prete è pretesull'altare; fuori è un uomo come tutti gli altri».

Queste precisazioni, però, non sono ancora sufficien-ti, perché esse non chiariscono attraverso quale mecca-nismo avviene che la grande massa contadina è social-mente e politicamente dominata dall'esigua schiera deiproprietari terrieri e dei grandi intellettuali.

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Il contadino meridionale è legato al grande proprietario terrie-ro per il tramite degl'intellettuali. I movimenti dei contadini, inquanto si riassumono non in organizzazioni di masse autonome eindipendenti sia pure formalmente (cioè capaci di selezionarequadri contadini di origine contadina e di registrare e accumularele differenziazioni e i progressi che nel movimento si realizzano)finiscono col sistemarsi sempre nelle ordinarie articolazionidell'apparato statale – comuni, province, Camera dei deputati –attraverso composizioni e scomposizioni dei partiti locali, il cuipersonale è costituito da intellettuali, ma che sono controllati daigrandi proprietari e dai loro uomini di fiducia come Salandra, Or-lando, di Cesarò. La guerra parve introdurre un elemento nuovoin questo tipo di organizzazione col movimento degli ex combat-tenti, nel quale i contadini-soldati e gl'intellettuali-ufficiali forma-vano un blocco piú unito tra di loro e in una certa misura antago-nistico coi grandi proprietari.

...Questo tipo di organizzazione è il tipo piú diffuso in tutto ilMezzogiorno continentale e in Sicilia. Esso realizza un mostruosoblocco agrario che nel suo complesso funziona da intermediario eda sorvegliante del capitalismo settentrionale e delle grandi ban-che. Il suo unico scopo è di conservare lo statu quo. Nel suo in-terno non esiste nessuna luce intellettuale, nessun programma,nessuna spinta a miglioramenti e progressi. Se qualche idea equalche programma è stato affermato, essi hanno avuto la loroorigine fuori del Mezzogiorno, nei gruppi politici agrari conser-vatori, specialmente della Toscana, che nel parlamento erano con-sorziati ai conservatori del blocco agrario meridionale. Il Sonninoe il Franchetti furono dei pochi borghesi intelligenti che si poseroil problema meridionale come problema nazionale e tracciaronoun piano di governo per la sua soluzione. Quale fu il punto di vi-sta di Sonnino e Franchetti? La necessità di creare nell'Italia meri-dionale uno stato medio indipendente di carattere economico chefunzionasse, come allora si diceva, da «opinione pubblica» e li-

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Il contadino meridionale è legato al grande proprietario terrie-ro per il tramite degl'intellettuali. I movimenti dei contadini, inquanto si riassumono non in organizzazioni di masse autonome eindipendenti sia pure formalmente (cioè capaci di selezionarequadri contadini di origine contadina e di registrare e accumularele differenziazioni e i progressi che nel movimento si realizzano)finiscono col sistemarsi sempre nelle ordinarie articolazionidell'apparato statale – comuni, province, Camera dei deputati –attraverso composizioni e scomposizioni dei partiti locali, il cuipersonale è costituito da intellettuali, ma che sono controllati daigrandi proprietari e dai loro uomini di fiducia come Salandra, Or-lando, di Cesarò. La guerra parve introdurre un elemento nuovoin questo tipo di organizzazione col movimento degli ex combat-tenti, nel quale i contadini-soldati e gl'intellettuali-ufficiali forma-vano un blocco piú unito tra di loro e in una certa misura antago-nistico coi grandi proprietari.

...Questo tipo di organizzazione è il tipo piú diffuso in tutto ilMezzogiorno continentale e in Sicilia. Esso realizza un mostruosoblocco agrario che nel suo complesso funziona da intermediario eda sorvegliante del capitalismo settentrionale e delle grandi ban-che. Il suo unico scopo è di conservare lo statu quo. Nel suo in-terno non esiste nessuna luce intellettuale, nessun programma,nessuna spinta a miglioramenti e progressi. Se qualche idea equalche programma è stato affermato, essi hanno avuto la loroorigine fuori del Mezzogiorno, nei gruppi politici agrari conser-vatori, specialmente della Toscana, che nel parlamento erano con-sorziati ai conservatori del blocco agrario meridionale. Il Sonninoe il Franchetti furono dei pochi borghesi intelligenti che si poseroil problema meridionale come problema nazionale e tracciaronoun piano di governo per la sua soluzione. Quale fu il punto di vi-sta di Sonnino e Franchetti? La necessità di creare nell'Italia meri-dionale uno stato medio indipendente di carattere economico chefunzionasse, come allora si diceva, da «opinione pubblica» e li-

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mitasse i crudeli arbitrii dei proprietari da una parte e moderassel'insurrezione dei contadini poveri dall'altra...

Il piano governativo di Sonnino e Franchetti non ebbe maineanche l'inizio di un attuazione. E non poteva averlo. Il modo dirapporto tra Settentrione e Mezzogiorno nell'organizzazionedell'economia nazionale e dello Stato, è tale per cui la nascita diuna classe media, diffusa di natura economica (ciò che significapoi la nascita di una borghesia capitalista diffusa) è resa quasi im-possibile. Ogni accumulazione di capitali sul luogo e ogni accu-mulazione di risparmi è resa impossibile dal sistema fiscale e do-ganale e dal fatto che i capitalisti proprietari di aziende non tra-sformano sul posto il profitto in nuovo capitale perché non sonodel posto. Quando l'emigrazione assunse nel secolo XX le formegigantesche che assunse, e le prime rimesse cominciarono ad af-fluire dall'America, gli economisti liberali gridarono trionfalmen-te: «Il sogno di Sonnino si avvera». Una silenziosa rivoluzione siverifica nel Mezzogiorno, che lentamente ma sicuramente muteràtutta la struttura economica e sociale del paese. Ma lo Stato inter-venne e la rivoluzione silenziosa fu soffocata nel nascere. Il go-verno offrí dei buoni del tesoro a interesse certo e gli emigranti ele loro famiglie da agenti della rivoluzione silenziosa si mutaronoin agenti per dare allo Stato i mezzi finanziari per sussidiare le in-dustrie parassitarie del Nord. Francesco Nitti che nel piano demo-cratico, è formalmente fuori del blocco agrario meridionale, pote-va sembrare un fattivo realizzatore del programma di Sonnino, fuinvece il migliore agente del capitalismo settentrionale per ra-strellare le ultime risorse del risparmio meridionale. I miliardi in-ghiottiti dalla Banca di Sconto erano quasi tutti dovuti al Mezzo-giorno: i 400 mila creditori del BIS erano in grandissima maggio-ranza risparmiatori meridionali.

A questo punto il profilo statico dell'intera disaminasi è compiuto.

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mitasse i crudeli arbitrii dei proprietari da una parte e moderassel'insurrezione dei contadini poveri dall'altra...

Il piano governativo di Sonnino e Franchetti non ebbe maineanche l'inizio di un attuazione. E non poteva averlo. Il modo dirapporto tra Settentrione e Mezzogiorno nell'organizzazionedell'economia nazionale e dello Stato, è tale per cui la nascita diuna classe media, diffusa di natura economica (ciò che significapoi la nascita di una borghesia capitalista diffusa) è resa quasi im-possibile. Ogni accumulazione di capitali sul luogo e ogni accu-mulazione di risparmi è resa impossibile dal sistema fiscale e do-ganale e dal fatto che i capitalisti proprietari di aziende non tra-sformano sul posto il profitto in nuovo capitale perché non sonodel posto. Quando l'emigrazione assunse nel secolo XX le formegigantesche che assunse, e le prime rimesse cominciarono ad af-fluire dall'America, gli economisti liberali gridarono trionfalmen-te: «Il sogno di Sonnino si avvera». Una silenziosa rivoluzione siverifica nel Mezzogiorno, che lentamente ma sicuramente muteràtutta la struttura economica e sociale del paese. Ma lo Stato inter-venne e la rivoluzione silenziosa fu soffocata nel nascere. Il go-verno offrí dei buoni del tesoro a interesse certo e gli emigranti ele loro famiglie da agenti della rivoluzione silenziosa si mutaronoin agenti per dare allo Stato i mezzi finanziari per sussidiare le in-dustrie parassitarie del Nord. Francesco Nitti che nel piano demo-cratico, è formalmente fuori del blocco agrario meridionale, pote-va sembrare un fattivo realizzatore del programma di Sonnino, fuinvece il migliore agente del capitalismo settentrionale per ra-strellare le ultime risorse del risparmio meridionale. I miliardi in-ghiottiti dalla Banca di Sconto erano quasi tutti dovuti al Mezzo-giorno: i 400 mila creditori del BIS erano in grandissima maggio-ranza risparmiatori meridionali.

A questo punto il profilo statico dell'intera disaminasi è compiuto.

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Occorre, quindi, passare al profilo dinamico, allo«sbloccamento» del blocco agrario. Ma tale sblocca-mento presenta difficoltà tali che sembrano addiritturainsormontabili. Sembrano e forse non lo sono, ma lacomplessità dei fattori in giuoco, e la loro strettissimainterdipendenza determinano una situazione che si avvi-cina al circolo vizioso. Io tornerò su questo argomentonelle considerazioni finali. Ora mi preme dar conto allettore del pensiero di Gramsci, il quale, a questo punto,pone come fattore dell'insuccesso dell'azione politicadei piccoli e medi intellettuali meridionalisti l'influenzache questi abitualmente subiscono dai grandi intellettua-li, i quali sono socialmente e politicamente i piú grandistrumenti della conservazione nazionale.

Al di sopra del blocco agrario funziona nel Mezzogiorno unblocco intellettuale che praticamente ha servito finora a impedireche le screpolature del blocco agrario divenissero troppo perico-lose e determinassero una frana. Esponenti di questo blocco intel-lettuale sono Giustino Fortunato e Benedetto Croce, i quali, per-ciò, possono essere giudicati come i reazionari piú operosi dellapenisola.

Abbiamo detto che l'Italia meridionale è una grande disgrega-zione sociale. Questa formula, oltre che ai contadini si può riferi-re anche agli intellettuali. È notevole il fatto che nel Mezzogiornoaccanto alla grandissima proprietà siano esistite e esistano grandiaccumulazioni culturali e di intelligenza in singoli individui o inristretti gruppi di grandi intellettuali, mentre non esiste un'orga-nizzazione della cultura media. Esiste nel Mezzogiorno la Casaeditrice Laterza e la rivista «La Critica», esistono accademie eimprese culturali di grandissima erudizione; non esistono medie e

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Occorre, quindi, passare al profilo dinamico, allo«sbloccamento» del blocco agrario. Ma tale sblocca-mento presenta difficoltà tali che sembrano addiritturainsormontabili. Sembrano e forse non lo sono, ma lacomplessità dei fattori in giuoco, e la loro strettissimainterdipendenza determinano una situazione che si avvi-cina al circolo vizioso. Io tornerò su questo argomentonelle considerazioni finali. Ora mi preme dar conto allettore del pensiero di Gramsci, il quale, a questo punto,pone come fattore dell'insuccesso dell'azione politicadei piccoli e medi intellettuali meridionalisti l'influenzache questi abitualmente subiscono dai grandi intellettua-li, i quali sono socialmente e politicamente i piú grandistrumenti della conservazione nazionale.

Al di sopra del blocco agrario funziona nel Mezzogiorno unblocco intellettuale che praticamente ha servito finora a impedireche le screpolature del blocco agrario divenissero troppo perico-lose e determinassero una frana. Esponenti di questo blocco intel-lettuale sono Giustino Fortunato e Benedetto Croce, i quali, per-ciò, possono essere giudicati come i reazionari piú operosi dellapenisola.

Abbiamo detto che l'Italia meridionale è una grande disgrega-zione sociale. Questa formula, oltre che ai contadini si può riferi-re anche agli intellettuali. È notevole il fatto che nel Mezzogiornoaccanto alla grandissima proprietà siano esistite e esistano grandiaccumulazioni culturali e di intelligenza in singoli individui o inristretti gruppi di grandi intellettuali, mentre non esiste un'orga-nizzazione della cultura media. Esiste nel Mezzogiorno la Casaeditrice Laterza e la rivista «La Critica», esistono accademie eimprese culturali di grandissima erudizione; non esistono medie e

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piccole riviste, non esistono Case editrici intorno a cui si aggrup-pino formazioni medie di intellettuali meridionali. I meridionaliche hanno cercato di uscire dal blocco agrario e di impostare laquestione meridionale in forma radicale hanno trovato ospitalità esi sono raggruppati intorno a riviste stampate fuori del Mezzo-giorno. Si può dire anzi che tutte le iniziative culturali dovute agliintellettuali medi che hanno avuto luogo nel XX secolo nell'Italiacentrale e settentrionale furono caratterizzate dal meridionalismo,perché fortemente influenzate da intellettuali meridionali: tutte leriviste del gruppo di intellettuali fiorentini, «Voce», «Unità»; leriviste dei democratici cristiani, come l'«Azione» di Cesena; le ri-viste dei giovani liberali emiliani e milanesi di G. Borelli, comela «Patria» di Bologna o l'«Azione» di Milano; infine la «Rivolu-zione Liberale» di Gobetti. Orbene: supremi moderatori politici eintellettuali di tutte queste iniziative sono stati Giustino Fortunatoe Benedetto Croce. In una cerchia piú ampia di quella molto sof-focante del blocco agrario, essi hanno ottenuto che l'impostazionedei problemi meridionali non soverchiasse certi limiti, non diven-tasse rivoluzionaria. Uomini di grandissima cultura e intelligenzasorti sul terreno tradizionale del Mezzogiorno ma legati alla cul-tura europea e quindi mondiale, essi avevano tutte le doti per dareuna soddisfazione ai bisogni intellettuali dei piú onesti rappresen-tanti della gioventú colta del Mezzogiorno, per consolarne le irre-quiete velleità di rivolta contro le condizioni esistenti, per indiriz-zarli secondo una via media di serenità classica del pensiero edell'azione. I cosí detti neoprotestanti o calvinisti non hanno capi-to che in Italia, non potendoci essere una riforma religiosa dimassa, per le condizioni moderne della civiltà, si è verificata lasola riforma storicamente possibile con la filosofia di BenedettoCroce: è stato mutato l'indirizzo e il metodo del pensiero, è statacostituita una nuova concezione del mondo che ha superato il cat-tolicismo e ogni altra religione mitologica. In questo senso Bene-detto Croce ha compiuto un'altissima funzione «nazionale»: ha

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piccole riviste, non esistono Case editrici intorno a cui si aggrup-pino formazioni medie di intellettuali meridionali. I meridionaliche hanno cercato di uscire dal blocco agrario e di impostare laquestione meridionale in forma radicale hanno trovato ospitalità esi sono raggruppati intorno a riviste stampate fuori del Mezzo-giorno. Si può dire anzi che tutte le iniziative culturali dovute agliintellettuali medi che hanno avuto luogo nel XX secolo nell'Italiacentrale e settentrionale furono caratterizzate dal meridionalismo,perché fortemente influenzate da intellettuali meridionali: tutte leriviste del gruppo di intellettuali fiorentini, «Voce», «Unità»; leriviste dei democratici cristiani, come l'«Azione» di Cesena; le ri-viste dei giovani liberali emiliani e milanesi di G. Borelli, comela «Patria» di Bologna o l'«Azione» di Milano; infine la «Rivolu-zione Liberale» di Gobetti. Orbene: supremi moderatori politici eintellettuali di tutte queste iniziative sono stati Giustino Fortunatoe Benedetto Croce. In una cerchia piú ampia di quella molto sof-focante del blocco agrario, essi hanno ottenuto che l'impostazionedei problemi meridionali non soverchiasse certi limiti, non diven-tasse rivoluzionaria. Uomini di grandissima cultura e intelligenzasorti sul terreno tradizionale del Mezzogiorno ma legati alla cul-tura europea e quindi mondiale, essi avevano tutte le doti per dareuna soddisfazione ai bisogni intellettuali dei piú onesti rappresen-tanti della gioventú colta del Mezzogiorno, per consolarne le irre-quiete velleità di rivolta contro le condizioni esistenti, per indiriz-zarli secondo una via media di serenità classica del pensiero edell'azione. I cosí detti neoprotestanti o calvinisti non hanno capi-to che in Italia, non potendoci essere una riforma religiosa dimassa, per le condizioni moderne della civiltà, si è verificata lasola riforma storicamente possibile con la filosofia di BenedettoCroce: è stato mutato l'indirizzo e il metodo del pensiero, è statacostituita una nuova concezione del mondo che ha superato il cat-tolicismo e ogni altra religione mitologica. In questo senso Bene-detto Croce ha compiuto un'altissima funzione «nazionale»: ha

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distaccato gli intellettuali del Mezzogiorno dalle masse contadine,facendoli partecipare alla cultura nazionale e europea, e attraversoquesta cultura li ha fatti assorbire dalla borghesia nazionale equindi dal blocco agrario.

Da questa situazione che, come ho detto, si avvicinaal circolo vizioso, non si può uscire se non attraverso larottura dei medi e piccoli intellettuali con l'ambienteculturale nel quale si sviluppano.

Cosa non impossibile, ma certo assai difficile, e checomunque finora non si è mai verificata.

Perciò, sosteneva Gramsci, occorre incoraggiare tuttii tentativi che gli intellettuali meridionali fanno per rom-pere con la tradizione sociale e culturale. Egli non pensòall'ipotesi che, a lungo andare, dallo stesso fianco dellatradizione culturale avesse potuto erompere una formi-dabile corrente di sinistra, che avesse iniziato il capo-volgimento della situazione, forse perché egli ritenevache il meccanismo delle azioni e delle reazioni fossetale da stroncare ab initio le possibilità di successo di unsimile avvenimento. Ma, nella sua spregiudicatezza teo-rica e nell'ardente amore per il natio loco, egli consideròfratelli tutti coloro che, servendosi di un'audace prolep-sis, parlarono a nome di masse assenti, di regioni addor-mentate e di diritti conculcati. La sua simpatia lo spinsea difendere i teneri fiori che il deserto meridionale ognitanto esprime dalle sue aride zolle, e perciò registrò ad-dirittura con entusiasmo i tentativi che esigue élite com-pivano per romperla col passato e utilizzare i risultati

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distaccato gli intellettuali del Mezzogiorno dalle masse contadine,facendoli partecipare alla cultura nazionale e europea, e attraversoquesta cultura li ha fatti assorbire dalla borghesia nazionale equindi dal blocco agrario.

Da questa situazione che, come ho detto, si avvicinaal circolo vizioso, non si può uscire se non attraverso larottura dei medi e piccoli intellettuali con l'ambienteculturale nel quale si sviluppano.

Cosa non impossibile, ma certo assai difficile, e checomunque finora non si è mai verificata.

Perciò, sosteneva Gramsci, occorre incoraggiare tuttii tentativi che gli intellettuali meridionali fanno per rom-pere con la tradizione sociale e culturale. Egli non pensòall'ipotesi che, a lungo andare, dallo stesso fianco dellatradizione culturale avesse potuto erompere una formi-dabile corrente di sinistra, che avesse iniziato il capo-volgimento della situazione, forse perché egli ritenevache il meccanismo delle azioni e delle reazioni fossetale da stroncare ab initio le possibilità di successo di unsimile avvenimento. Ma, nella sua spregiudicatezza teo-rica e nell'ardente amore per il natio loco, egli consideròfratelli tutti coloro che, servendosi di un'audace prolep-sis, parlarono a nome di masse assenti, di regioni addor-mentate e di diritti conculcati. La sua simpatia lo spinsea difendere i teneri fiori che il deserto meridionale ognitanto esprime dalle sue aride zolle, e perciò registrò ad-dirittura con entusiasmo i tentativi che esigue élite com-pivano per romperla col passato e utilizzare i risultati

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della cultura moderna in una direzione che non è quellatradizionale.

L'«Ordine Nuovo» e i comunisti torinesi, se in certo senso pos-sono essere collegati alle formazioni intellettuali cui abbiamo ac-cennato e se per tanto hanno subito l'influenza intellettuale diGiustino Fortunato e di Benedetto Croce, rappresentano però nel-lo stesso tempo una rottura completa con quella tradizione e l'ini-zio di un nuovo svolgimento, che ha già dato dei frutti e che an-cora ne darà. Essi, come è stato già detto, hanno posto il proleta-riato urbano come protagonista moderno della storia italiana equindi della questione meridionale. Avendo servito da interme-diari tra il proletariato e determinati strati intellettuali di sinistra,sono riusciti a modificare, se non completamente, certo notevol-mente l'indirizzo mentale di essi. È questo l'elemento principaledella figura di Piero Gobetti, se ben si riflette. Il quale non era uncomunista e probabilmente non lo sarebbe mai diventato, ma ave-va capito la posizione sociale e storica del proletariato e non riu-sciva piú a pensare astraendo da questo elemento. Gobetti, nel la-voro comune del giornale, era stato da noi posto a contatto con unmondo vivente che aveva prima conosciuto solo attraverso le for-mule dei libri. La sua caratteristica piú rilevante era la lealtà intel-lettuale e l'assenza completa di ogni vanità e piccineria di ordineinferiore: perciò non poteva non convincersi come tutta una seriedi modi di vedere e di pensare tradizionali verso il proletariatoerano falsi e bugiardi. Quale conseguenza ebbero in Gobetti que-sti contatti col mondo proletario? Essi furono l'origine e l'impulsoper una concezione che non vogliamo discutere e approfondire,una concezione che in gran parte si riattacca al sindacalismo e almodo di pensare dei sindacalisti intellettuali: i principi del libera-lismo vengono in essa proiettati da l'ordine dei fenomeni indivi-duali a quello dei fenomeni di massa. Le qualità di eccedenza e diprestigio nella vita degli individui vengono trasportate nelle clas-

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della cultura moderna in una direzione che non è quellatradizionale.

L'«Ordine Nuovo» e i comunisti torinesi, se in certo senso pos-sono essere collegati alle formazioni intellettuali cui abbiamo ac-cennato e se per tanto hanno subito l'influenza intellettuale diGiustino Fortunato e di Benedetto Croce, rappresentano però nel-lo stesso tempo una rottura completa con quella tradizione e l'ini-zio di un nuovo svolgimento, che ha già dato dei frutti e che an-cora ne darà. Essi, come è stato già detto, hanno posto il proleta-riato urbano come protagonista moderno della storia italiana equindi della questione meridionale. Avendo servito da interme-diari tra il proletariato e determinati strati intellettuali di sinistra,sono riusciti a modificare, se non completamente, certo notevol-mente l'indirizzo mentale di essi. È questo l'elemento principaledella figura di Piero Gobetti, se ben si riflette. Il quale non era uncomunista e probabilmente non lo sarebbe mai diventato, ma ave-va capito la posizione sociale e storica del proletariato e non riu-sciva piú a pensare astraendo da questo elemento. Gobetti, nel la-voro comune del giornale, era stato da noi posto a contatto con unmondo vivente che aveva prima conosciuto solo attraverso le for-mule dei libri. La sua caratteristica piú rilevante era la lealtà intel-lettuale e l'assenza completa di ogni vanità e piccineria di ordineinferiore: perciò non poteva non convincersi come tutta una seriedi modi di vedere e di pensare tradizionali verso il proletariatoerano falsi e bugiardi. Quale conseguenza ebbero in Gobetti que-sti contatti col mondo proletario? Essi furono l'origine e l'impulsoper una concezione che non vogliamo discutere e approfondire,una concezione che in gran parte si riattacca al sindacalismo e almodo di pensare dei sindacalisti intellettuali: i principi del libera-lismo vengono in essa proiettati da l'ordine dei fenomeni indivi-duali a quello dei fenomeni di massa. Le qualità di eccedenza e diprestigio nella vita degli individui vengono trasportate nelle clas-

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si, concepite quasi come individualità collettive. Questa conce-zione di solito porta negli intellettuali che la condividono allapura contemplazione e registrazione dei meriti e dei demeriti, auna posizione odiosa e melensa di arbitri tra le contese, di asse-gnatori dei premi e delle punizioni. Praticamente il Gobetti sfuggía tale destino. Egli si rivelò un organizzatore della cultura distraordinario valore e ebbe in questo ultimo periodo una funzioneche non deve essere né trascurata né sottovalutata dagli operai.Egli scavò una trincea oltre la quale non arretrarono quei gruppidi intellettuali piú onesti e sinceri che nel 1919-20-21 sentironoche il proletariato come classe dirigente sarebbe stato superiorealla borghesia.

Alcuni in buona fede e onestamente, altri in cattivissima fede edisonestamente andarono ripetendo che il Gobetti era nient'altroche un comunista camuffato, un agente se non del Partito comuni-sta, per lo meno del gruppo comunista dell'«Ordine Nuovo». Nonoccorre neanche smentire tali insulse dicerie. La figura del Gobet-ti e il movimento da lui rappresentato furono spontanee produzio-ni del nuovo clima storico italiano: in ciò è il loro significato e laloro importanza. Ci è stato qualche volta rimproverato dai compa-gni del partito di non aver combattuto contro la corrente di «Ri-voluzione Liberale»: questa assenza di lotta anzi sembrò la provadel collegamento organico di carattere machiavellico (come sisuol dire) tra noi e il Gobetti. Non potevamo combattere controGobetti perché egli svolgeva e rappresentava un movimento chenon dev'essere combattuto, almeno in linea di principio. Noncomprendere ciò significa non comprendere la questione degli in-tellettuali e la funzione che essi svolgono nella lotta delle classi.Gobetti praticamente ci serviva di collegamento: a) con gl'intel-lettuali nati sul terreno della tecnica capitalistica, che avevano as-sunto una posizione di sinistra favorevole alla dittatura del prole-tariato nel 1919-20; b) con una serie di intellettuali meridionali,che per collegamenti piú complessi, ponevano la questione meri-

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si, concepite quasi come individualità collettive. Questa conce-zione di solito porta negli intellettuali che la condividono allapura contemplazione e registrazione dei meriti e dei demeriti, auna posizione odiosa e melensa di arbitri tra le contese, di asse-gnatori dei premi e delle punizioni. Praticamente il Gobetti sfuggía tale destino. Egli si rivelò un organizzatore della cultura distraordinario valore e ebbe in questo ultimo periodo una funzioneche non deve essere né trascurata né sottovalutata dagli operai.Egli scavò una trincea oltre la quale non arretrarono quei gruppidi intellettuali piú onesti e sinceri che nel 1919-20-21 sentironoche il proletariato come classe dirigente sarebbe stato superiorealla borghesia.

Alcuni in buona fede e onestamente, altri in cattivissima fede edisonestamente andarono ripetendo che il Gobetti era nient'altroche un comunista camuffato, un agente se non del Partito comuni-sta, per lo meno del gruppo comunista dell'«Ordine Nuovo». Nonoccorre neanche smentire tali insulse dicerie. La figura del Gobet-ti e il movimento da lui rappresentato furono spontanee produzio-ni del nuovo clima storico italiano: in ciò è il loro significato e laloro importanza. Ci è stato qualche volta rimproverato dai compa-gni del partito di non aver combattuto contro la corrente di «Ri-voluzione Liberale»: questa assenza di lotta anzi sembrò la provadel collegamento organico di carattere machiavellico (come sisuol dire) tra noi e il Gobetti. Non potevamo combattere controGobetti perché egli svolgeva e rappresentava un movimento chenon dev'essere combattuto, almeno in linea di principio. Noncomprendere ciò significa non comprendere la questione degli in-tellettuali e la funzione che essi svolgono nella lotta delle classi.Gobetti praticamente ci serviva di collegamento: a) con gl'intel-lettuali nati sul terreno della tecnica capitalistica, che avevano as-sunto una posizione di sinistra favorevole alla dittatura del prole-tariato nel 1919-20; b) con una serie di intellettuali meridionali,che per collegamenti piú complessi, ponevano la questione meri-

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dionale su un terreno diverso da quello tradizionale introducendo-vi il proletariato del Nord; di questi intellettuali Guido Dorso è lafigura piú completa e interessante. Perché avremmo dovuto lotta-re contro il movimento di «Rivoluzione Liberale»? Forse perchéesso non era costituito di comunisti puri che avessero accettatodall'A alla Z il nostro programma e la nostra dottrina? Questo nonpoteva essere domandato perché sarebbe stato politicamente estoricamente un paradosso. Gli intellettuali si sviluppano lenta-mente, molto piú lentamente di qualsiasi altro gruppo sociale, perla stessa loro natura e funzione storica. Essi rappresentano tutta latradizione culturale di un popolo, vogliono riassumerne e sintetiz-zarne tutta la storia: ciò sia detto specialmente del vecchio tipo diintellettuale, dell'intellettuale nato sul terreno contadino. Pensarepossibile che esso possa, come massa, rompere con tutto il passa-to per porsi completamente sul terreno di una nuova ideologia, èassurdo. È assurdo per gl'intellettuali come massa, e forse assurdoanche per moltissimi intellettuali presi individualmente, nono-stante tutti gli onesti sforzi che essi fanno e vogliono fare. Ora, anoi interessano gl'intellettuali come massa e non solo come indi-vidui. È certo importante e utile per il proletariato che uno o piúintellettuali, individualmente, aderiscano al suo programma e allasua dottrina, si confondano nel proletariato, ne diventino e se nesentano parte integrante. Il proletariato, come classe, è povero dielementi organizzativi, non ha e non può formarsi un proprio stra-to di intellettuali che molto lentamente, molto faticosamente esolo dopo la conquista del potere statale. Ma è anche importante eutile che nella massa degli intellettuali si determini una frattura dicarattere organico, storicamente caratterizzata: che si formi, comeformazione di massa, una tendenza di sinistra nel significato mo-derno della parola, cioè orientata verso il proletariato rivoluziona-rio. L'alleanza tra proletariato e masse contadine esige questa for-mazione: tanto piú la esige l'alleanza tra il proletariato e le massecontadine del Mezzogiorno. Il proletariato distruggerà il blocco

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dionale su un terreno diverso da quello tradizionale introducendo-vi il proletariato del Nord; di questi intellettuali Guido Dorso è lafigura piú completa e interessante. Perché avremmo dovuto lotta-re contro il movimento di «Rivoluzione Liberale»? Forse perchéesso non era costituito di comunisti puri che avessero accettatodall'A alla Z il nostro programma e la nostra dottrina? Questo nonpoteva essere domandato perché sarebbe stato politicamente estoricamente un paradosso. Gli intellettuali si sviluppano lenta-mente, molto piú lentamente di qualsiasi altro gruppo sociale, perla stessa loro natura e funzione storica. Essi rappresentano tutta latradizione culturale di un popolo, vogliono riassumerne e sintetiz-zarne tutta la storia: ciò sia detto specialmente del vecchio tipo diintellettuale, dell'intellettuale nato sul terreno contadino. Pensarepossibile che esso possa, come massa, rompere con tutto il passa-to per porsi completamente sul terreno di una nuova ideologia, èassurdo. È assurdo per gl'intellettuali come massa, e forse assurdoanche per moltissimi intellettuali presi individualmente, nono-stante tutti gli onesti sforzi che essi fanno e vogliono fare. Ora, anoi interessano gl'intellettuali come massa e non solo come indi-vidui. È certo importante e utile per il proletariato che uno o piúintellettuali, individualmente, aderiscano al suo programma e allasua dottrina, si confondano nel proletariato, ne diventino e se nesentano parte integrante. Il proletariato, come classe, è povero dielementi organizzativi, non ha e non può formarsi un proprio stra-to di intellettuali che molto lentamente, molto faticosamente esolo dopo la conquista del potere statale. Ma è anche importante eutile che nella massa degli intellettuali si determini una frattura dicarattere organico, storicamente caratterizzata: che si formi, comeformazione di massa, una tendenza di sinistra nel significato mo-derno della parola, cioè orientata verso il proletariato rivoluziona-rio. L'alleanza tra proletariato e masse contadine esige questa for-mazione: tanto piú la esige l'alleanza tra il proletariato e le massecontadine del Mezzogiorno. Il proletariato distruggerà il blocco

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agrario meridionale nella misura in cui riuscirà, attraverso il suopartito, a organizzare in formazioni autonome e indipendenti,sempre piú notevoli masse di contadini poveri; ma riuscirà in mi-sura piú o meno larga in tale suo compito obbligatorio anche su-bordinatamente alla sua capacità di disgregare il blocco intellet-tuale che è l'armatura flessibile ma resistentissima del bloccoagrario.

Quest'analisi è indubbiamente di attualità. Essa non èdi natura ideologica, e perciò non è né comunista né so-cialista né democratica né liberale. È una disamina stret-tamente politica, che lascia in disparte la teleologia dipartito, appunto per evitare che la visione obiettiva deifenomeni, delle cause e degli effetti ne possa essere alte-rata, e obbliga il lettore a restare con i piedi ben fissisulla terra e a lasciare nell'empireo dell'astrazione i pro-grammi e le tendenze, che spesso annebbiano l'esattacomprensione della realtà, e procurano brucianti insuc-cessi.

Tale esegesi va però aggiornata, se veramente si vo-gliono raccogliere tutti i frutti di uno studio cosí realista.E è perciò che io intendo qui esporre alcune considera-zioni, che, a mio giudizio, saranno utili a tutte le corren-ti di pensiero le quali sostengono che la tesi meridionali-sta è la chiave di volta di tutta la questione italiana.

Noi, dunque, teniamo per fermo che il primo tempodella questione meridionale consiste nello studio dellastruttura e della funzione della classe borghese e nellostudio dei mezzi per determinarne la rottura dall'interno.Solo cosí si può arrivare a ottenere l'élite meridionalista,

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agrario meridionale nella misura in cui riuscirà, attraverso il suopartito, a organizzare in formazioni autonome e indipendenti,sempre piú notevoli masse di contadini poveri; ma riuscirà in mi-sura piú o meno larga in tale suo compito obbligatorio anche su-bordinatamente alla sua capacità di disgregare il blocco intellet-tuale che è l'armatura flessibile ma resistentissima del bloccoagrario.

Quest'analisi è indubbiamente di attualità. Essa non èdi natura ideologica, e perciò non è né comunista né so-cialista né democratica né liberale. È una disamina stret-tamente politica, che lascia in disparte la teleologia dipartito, appunto per evitare che la visione obiettiva deifenomeni, delle cause e degli effetti ne possa essere alte-rata, e obbliga il lettore a restare con i piedi ben fissisulla terra e a lasciare nell'empireo dell'astrazione i pro-grammi e le tendenze, che spesso annebbiano l'esattacomprensione della realtà, e procurano brucianti insuc-cessi.

Tale esegesi va però aggiornata, se veramente si vo-gliono raccogliere tutti i frutti di uno studio cosí realista.E è perciò che io intendo qui esporre alcune considera-zioni, che, a mio giudizio, saranno utili a tutte le corren-ti di pensiero le quali sostengono che la tesi meridionali-sta è la chiave di volta di tutta la questione italiana.

Noi, dunque, teniamo per fermo che il primo tempodella questione meridionale consiste nello studio dellastruttura e della funzione della classe borghese e nellostudio dei mezzi per determinarne la rottura dall'interno.Solo cosí si può arrivare a ottenere l'élite meridionalista,

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cioè lo strumento tecnico per l'inizio della lotta. Ma, ciòdetto, bisogna subito chiarire che questa élite non deveessere puramente intellettuale, cioè ideologica, ma es-senzialmente politica. È il caso di richiamare l'attenzio-ne del lettore su questa sfumatura di pensiero.

Infatti, fino a oggi, si sono prodotti notevoli gruppi diintellettuali meridionalisti, ma essi hanno svolto la loroazione: a) fuori del paese; b) nel campo puramente ideo-logico; c) in funzione di ideologie che solo mediatamen-te si raccordavano col meridionalismo o ne erano ispira-te.

Ciò spiega le ragioni dell'insuccesso. Il Mezzogiornoha ignorato quasi del tutto queste nobili fatiche e la clas-se politica meridionale ha continuato pacificamente atessere la sua rete per garantire l'immobilità politico-isti-tuzionale, che Gramsci ha cosí esattamente descritta.

Ora, se il lavoro dei pionieri è stato prezioso perl'impostazione critica del problema, non è piú sufficien-te per l'azione.

Bisogna, quindi, estendere la rottura degli intellettualidal campo culturale a quello strettamente politico. Biso-gna, cioè, che l'élite meridionalista realizzi la critica isti-tuzionale nell'azione e operi: a) nel Mezzogiorno; b)non solo sul terreno culturale ma anche su quello stretta-mente politico; c) a nome del meridionalismo stesso, o,quanto meno, di ideologie che in esso s'incentrano.

Questa rottura di carattere strettamente politico è orapossibile, non tanto per ragioni ideologiche, quanto perragioni meccaniche, e perciò il problema si è trasforma-

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cioè lo strumento tecnico per l'inizio della lotta. Ma, ciòdetto, bisogna subito chiarire che questa élite non deveessere puramente intellettuale, cioè ideologica, ma es-senzialmente politica. È il caso di richiamare l'attenzio-ne del lettore su questa sfumatura di pensiero.

Infatti, fino a oggi, si sono prodotti notevoli gruppi diintellettuali meridionalisti, ma essi hanno svolto la loroazione: a) fuori del paese; b) nel campo puramente ideo-logico; c) in funzione di ideologie che solo mediatamen-te si raccordavano col meridionalismo o ne erano ispira-te.

Ciò spiega le ragioni dell'insuccesso. Il Mezzogiornoha ignorato quasi del tutto queste nobili fatiche e la clas-se politica meridionale ha continuato pacificamente atessere la sua rete per garantire l'immobilità politico-isti-tuzionale, che Gramsci ha cosí esattamente descritta.

Ora, se il lavoro dei pionieri è stato prezioso perl'impostazione critica del problema, non è piú sufficien-te per l'azione.

Bisogna, quindi, estendere la rottura degli intellettualidal campo culturale a quello strettamente politico. Biso-gna, cioè, che l'élite meridionalista realizzi la critica isti-tuzionale nell'azione e operi: a) nel Mezzogiorno; b)non solo sul terreno culturale ma anche su quello stretta-mente politico; c) a nome del meridionalismo stesso, o,quanto meno, di ideologie che in esso s'incentrano.

Questa rottura di carattere strettamente politico è orapossibile, non tanto per ragioni ideologiche, quanto perragioni meccaniche, e perciò il problema si è trasforma-

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to in quello dell'approfondimento e dello sfruttamento diessa, che comincia clamorosamente a estendersi ancheal campo delle relazioni tra intellettuali medi e alta cul-tura, poiché quest'ultima, costretta a agire sul terrenopolitico, non ha saputo far altro che rioffrire al paese at-tonito soluzioni giolittiane. Perciò, in attesa che la sini-stra crociana esprima l'uomo che sappia annullare ogniresidua influenza del pensiero del Maestro sugli intellet-tuali meridionali, bisogna esasperare l'insoddisfazioneche il suo atteggiamento politico ha provocato nel Mez-zogiorno, sia per sottrarre l'élite politica in gestazionealle dannose conseguenze che deriverebbero dal perma-nente vassallaggio a una filosofia che sul terreno praticosi è schierata a favore della reazione, sia per sbloccare leformazioni di sinistra del liberalismo, che intendono,anch'esse, risolvere la crisi istituzionale buttando a maregli schemi tradizionali.

Questo compito è, però, tutt'altro che facile, per ra-gioni complesse che vanno attentamente analizzate. Laborghesia meridionale, come dice Gramsci, ha originicontadine, ma, a mano a mano che si è sviluppata, nonha assunto alcuna funzione nel processo della produzio-ne. Se ciò fosse avvenuto, essa sarebbe una borghesiaessenzialmente agraria, che avrebbe assolto un'impor-tante funzione nel campo dei miglioramenti agricoli equindi della economia nazionale. Tecnicamente essaavrebbe avuto il suo peso nel progresso economico delpaese, e forse la questione meridionale non avrebbe as-

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to in quello dell'approfondimento e dello sfruttamento diessa, che comincia clamorosamente a estendersi ancheal campo delle relazioni tra intellettuali medi e alta cul-tura, poiché quest'ultima, costretta a agire sul terrenopolitico, non ha saputo far altro che rioffrire al paese at-tonito soluzioni giolittiane. Perciò, in attesa che la sini-stra crociana esprima l'uomo che sappia annullare ogniresidua influenza del pensiero del Maestro sugli intellet-tuali meridionali, bisogna esasperare l'insoddisfazioneche il suo atteggiamento politico ha provocato nel Mez-zogiorno, sia per sottrarre l'élite politica in gestazionealle dannose conseguenze che deriverebbero dal perma-nente vassallaggio a una filosofia che sul terreno praticosi è schierata a favore della reazione, sia per sbloccare leformazioni di sinistra del liberalismo, che intendono,anch'esse, risolvere la crisi istituzionale buttando a maregli schemi tradizionali.

Questo compito è, però, tutt'altro che facile, per ra-gioni complesse che vanno attentamente analizzate. Laborghesia meridionale, come dice Gramsci, ha originicontadine, ma, a mano a mano che si è sviluppata, nonha assunto alcuna funzione nel processo della produzio-ne. Se ciò fosse avvenuto, essa sarebbe una borghesiaessenzialmente agraria, che avrebbe assolto un'impor-tante funzione nel campo dei miglioramenti agricoli equindi della economia nazionale. Tecnicamente essaavrebbe avuto il suo peso nel progresso economico delpaese, e forse la questione meridionale non avrebbe as-

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sunto quell'aspetto di acutezza che la caratterizza. Politi-camente poi il suo fondamentale spirito di conservazio-ne sarebbe stato temperato da una specie di progressi-smo, che avrebbe escluso il trasformismo, poiché la par-tecipazione attiva al processo di produzione l'avrebbefatalmente condotta a comprendere la vita generale delpaese, per lo meno al limitato scopo di garantire i suoiinteressi materiali nel quadro degl'interessi generali.

Non avendo assunto alcuna funzione nel processodella produzione agraria, la borghesia meridionale, haavuto uno sviluppo abnorme. Le linee di tale sviluppo sipossono cosí precisare. Accanto a una frazione addirit-tura irrilevante che ha continuato a occuparsi dell'agri-coltura, si è prodotta la borghesia redditiera e quellaumanistica con le ben note caratteristiche. Occorre,quindi, esaminare attentamente l'attuale situazione, e laprogressiva evoluzione di queste sottospecie, se si vuoleavere il quadro completo prima di agire.

La borghesia redditiera, costretta a vivere in margineal fenomeno giuridico dell'affitto, mentre opprime ilcontadino, col quale è in eterno contrasto per la divisio-ne dei frutti che la terra ingrata faticosamente produce,non vede altra soluzione politica che quella tradizionale,e è ostile a ogni e qualsiasi innovazione anche di carat-tere borghese.

In sostanza ciò che la interessa non è lo Stato, e nem-meno l'ente locale, ma il dominio sulla terra e sul conta-dino, e partecipa alla vita pubblica soltanto per impedireche lo Stato o il comune possano cadere nelle mani dei

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sunto quell'aspetto di acutezza che la caratterizza. Politi-camente poi il suo fondamentale spirito di conservazio-ne sarebbe stato temperato da una specie di progressi-smo, che avrebbe escluso il trasformismo, poiché la par-tecipazione attiva al processo di produzione l'avrebbefatalmente condotta a comprendere la vita generale delpaese, per lo meno al limitato scopo di garantire i suoiinteressi materiali nel quadro degl'interessi generali.

Non avendo assunto alcuna funzione nel processodella produzione agraria, la borghesia meridionale, haavuto uno sviluppo abnorme. Le linee di tale sviluppo sipossono cosí precisare. Accanto a una frazione addirit-tura irrilevante che ha continuato a occuparsi dell'agri-coltura, si è prodotta la borghesia redditiera e quellaumanistica con le ben note caratteristiche. Occorre,quindi, esaminare attentamente l'attuale situazione, e laprogressiva evoluzione di queste sottospecie, se si vuoleavere il quadro completo prima di agire.

La borghesia redditiera, costretta a vivere in margineal fenomeno giuridico dell'affitto, mentre opprime ilcontadino, col quale è in eterno contrasto per la divisio-ne dei frutti che la terra ingrata faticosamente produce,non vede altra soluzione politica che quella tradizionale,e è ostile a ogni e qualsiasi innovazione anche di carat-tere borghese.

In sostanza ciò che la interessa non è lo Stato, e nem-meno l'ente locale, ma il dominio sulla terra e sul conta-dino, e partecipa alla vita pubblica soltanto per impedireche lo Stato o il comune possano cadere nelle mani dei

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suoi avversari.Da ciò il trasformismo, che induce il borghese rurale

meridionale a legarsi senza soluzione di continuità a tut-ti i governi per garantire la immobilità economica, so-ciale e istituzionale del paese.

Le condizioni economiche di questa classe sono terri-bili. Essa si condanna alla morte lenta nel villaggio perpaura di non poter diversamente vivere, e perciò nonpuò far altro che condividere la sorte del contadino su diun piano appena piú elevato, ma egualmente mortifican-te.

Vegetare in un villaggio, molte volte senz'acqua esenza luce, in una casa priva di ogni conforto, e mangia-re ogni giorno un pasto caratterizzato dall'abbondanzadei vegetali; andare in città poche volte all'anno, in tuttafretta e con mezzi di trasporto preadamitici, e, dopo lasiesta, dedicarsi al vino o alle carte, è la condanna chequesta classe si autoinfligge, pur di continuare una vitadi ozio e di oppressione, che appare addirittura incom-prensibile.

Le uniche emozioni che rompono la monotonia digiornate interminabili sono prodotte dalla notifica degliaccertamenti dell'agente dell'imposte, o dal litigio dinan-zi alla conciliazione o alla pretura per espellere il colo-no, che non ha pagato l'estaglio o non ha voluto aumen-tare le prestazioni.

Sostanzialmente questa classe è antistatale, perchénon conosce lo Stato se non attraverso le carezzedell'imposizione fiscale o i decreti-legge di blocco dei

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suoi avversari.Da ciò il trasformismo, che induce il borghese rurale

meridionale a legarsi senza soluzione di continuità a tut-ti i governi per garantire la immobilità economica, so-ciale e istituzionale del paese.

Le condizioni economiche di questa classe sono terri-bili. Essa si condanna alla morte lenta nel villaggio perpaura di non poter diversamente vivere, e perciò nonpuò far altro che condividere la sorte del contadino su diun piano appena piú elevato, ma egualmente mortifican-te.

Vegetare in un villaggio, molte volte senz'acqua esenza luce, in una casa priva di ogni conforto, e mangia-re ogni giorno un pasto caratterizzato dall'abbondanzadei vegetali; andare in città poche volte all'anno, in tuttafretta e con mezzi di trasporto preadamitici, e, dopo lasiesta, dedicarsi al vino o alle carte, è la condanna chequesta classe si autoinfligge, pur di continuare una vitadi ozio e di oppressione, che appare addirittura incom-prensibile.

Le uniche emozioni che rompono la monotonia digiornate interminabili sono prodotte dalla notifica degliaccertamenti dell'agente dell'imposte, o dal litigio dinan-zi alla conciliazione o alla pretura per espellere il colo-no, che non ha pagato l'estaglio o non ha voluto aumen-tare le prestazioni.

Sostanzialmente questa classe è antistatale, perchénon conosce lo Stato se non attraverso le carezzedell'imposizione fiscale o i decreti-legge di blocco dei

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fitti, ma quando lo Stato, che essa odia, corre pericolo diessere rovesciato, i piccoli borghesi rurali del Mezzo-giorno insorgono in sua difesa, rinsaldando le ragionidella loro infelicità economica e politica. Quando, inve-ce, malgrado i loro sforzi, la forma dello Stato muta, siprecipitano a aderire senza soluzione di continuità ainuovi padroni per riprodurre l'immobilità economica,sociale e politica del paese.

Legati alla terra insieme al contadino e con la stessacatena, essi sono miserabili come il contadino, e nonpossono sperare salvezza se non da una rivoluzione cheli costringa ad abbandonare il loro ozio, a guadagnarsionestamente la vita attraverso la partecipazione attiva alprocesso di produzione, e cosí rientrare nella circolazio-ne delle classi che è la base dello Stato.

Ora l'influenza di questo ceto nella vita sociale delMezzogiorno è notevolmente diminuita, perché, attra-verso due guerre, si è verificata una vera rivoluzione so-ciale, che ha permesso a moltissimi coloni di divenirepiccoli proprietari. L'inflazione da una parte e il bloccodei fitti dall'altra, hanno espropriato molti piccoli bor-ghesi, e i coloni, arricchiti attraverso il rincaro di generidi prima necessità, hanno potuto notevolmente soddisfa-re la loro fame di terra.

Ma il fenomeno tende a riprodursi meccanicamente,perché i coloni imborghesiti non sanno far altro chescimmiottare i loro ex padroni e i nuovi borghesi di ori-gine contadina non sono certo migliori degli altri. An-che quando i loro figli riescono a ascendere nel rango

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fitti, ma quando lo Stato, che essa odia, corre pericolo diessere rovesciato, i piccoli borghesi rurali del Mezzo-giorno insorgono in sua difesa, rinsaldando le ragionidella loro infelicità economica e politica. Quando, inve-ce, malgrado i loro sforzi, la forma dello Stato muta, siprecipitano a aderire senza soluzione di continuità ainuovi padroni per riprodurre l'immobilità economica,sociale e politica del paese.

Legati alla terra insieme al contadino e con la stessacatena, essi sono miserabili come il contadino, e nonpossono sperare salvezza se non da una rivoluzione cheli costringa ad abbandonare il loro ozio, a guadagnarsionestamente la vita attraverso la partecipazione attiva alprocesso di produzione, e cosí rientrare nella circolazio-ne delle classi che è la base dello Stato.

Ora l'influenza di questo ceto nella vita sociale delMezzogiorno è notevolmente diminuita, perché, attra-verso due guerre, si è verificata una vera rivoluzione so-ciale, che ha permesso a moltissimi coloni di divenirepiccoli proprietari. L'inflazione da una parte e il bloccodei fitti dall'altra, hanno espropriato molti piccoli bor-ghesi, e i coloni, arricchiti attraverso il rincaro di generidi prima necessità, hanno potuto notevolmente soddisfa-re la loro fame di terra.

Ma il fenomeno tende a riprodursi meccanicamente,perché i coloni imborghesiti non sanno far altro chescimmiottare i loro ex padroni e i nuovi borghesi di ori-gine contadina non sono certo migliori degli altri. An-che quando i loro figli riescono a ascendere nel rango

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della borghesia umanistica e commerciale, la rottura conla funzione parassitaria e antiprogressista della loroclasse di origine non avviene per le ragioni che in segui-to dirò.

Il circolo vizioso, perciò, si riproduce e lo sblocca-mento viene ancora ritardato.

Tutto il problema, dunque, si riduce a pervenire acontatto con i contadini per altro tramite che non siaquello dei vecchi e dei nuovi borghesi rurali. Le espe-rienze odierne della Sicilia, e la facilità con cui i separa-tisti riescono a disporre delle masse contadine è una ri-prova di questa incredibile situazione politico-sociale,che, del resto, ha due clamorosi precedenti nel Mezzo-giorno continentale: la Santa Fede e il brigantaggio.

La borghesia umanistica e commerciale del Mezzo-giorno ha la stessa origine rurale, ma si differenzia inparte sia perché la sua mentalità è stata abbastanza slar-gata dalla cultura, sia perché svolge attività economicainfluenzata dal processo della produzione. Malgradociò, la desolata angustia di orizzonti della borghesia ter-riera si ripercuote sul suo panorama spirituale: a) per leinfluenze ataviche; b) per difetto di sviluppo organicoche la mantiene sempre a latere della borghesia terriera;c) per il fatto che anch'essa ordinariamente partecipa alfenomeno di sfruttamento della terra attraverso l'affittoper integrare le sue magre risorse.

Cosicché questo ceto nel Mezzogiorno è a mezzastrada tra la borghesia terriera e quella tecnica, e, ogni

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della borghesia umanistica e commerciale, la rottura conla funzione parassitaria e antiprogressista della loroclasse di origine non avviene per le ragioni che in segui-to dirò.

Il circolo vizioso, perciò, si riproduce e lo sblocca-mento viene ancora ritardato.

Tutto il problema, dunque, si riduce a pervenire acontatto con i contadini per altro tramite che non siaquello dei vecchi e dei nuovi borghesi rurali. Le espe-rienze odierne della Sicilia, e la facilità con cui i separa-tisti riescono a disporre delle masse contadine è una ri-prova di questa incredibile situazione politico-sociale,che, del resto, ha due clamorosi precedenti nel Mezzo-giorno continentale: la Santa Fede e il brigantaggio.

La borghesia umanistica e commerciale del Mezzo-giorno ha la stessa origine rurale, ma si differenzia inparte sia perché la sua mentalità è stata abbastanza slar-gata dalla cultura, sia perché svolge attività economicainfluenzata dal processo della produzione. Malgradociò, la desolata angustia di orizzonti della borghesia ter-riera si ripercuote sul suo panorama spirituale: a) per leinfluenze ataviche; b) per difetto di sviluppo organicoche la mantiene sempre a latere della borghesia terriera;c) per il fatto che anch'essa ordinariamente partecipa alfenomeno di sfruttamento della terra attraverso l'affittoper integrare le sue magre risorse.

Cosicché questo ceto nel Mezzogiorno è a mezzastrada tra la borghesia terriera e quella tecnica, e, ogni

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qualvolta si entusiasma per idee nuove e si avvia a ini-ziare lo sbloccamento della situazione economico-sociale-politica del paese, finisce per retrocedere spa-ventato, poiché i dati storici fondamentali, da cui si èparzialmente evoluto, lo tengono ancora avvinto con filiinvisibili e gli impediscono di rompere definitivamentecon la tradizione. È questa la fondamentale ragione percui il radicalismo e il liberalismo di sinistra meridionalitra il 1900 e il 1915 finirono per confluire nel giolitti-smo, dando luogo a una classe politica piú raffinatamen-te trasformista di quella che l'aveva preceduta.

In questa disamina non si tiene particolare conto degliimpiegati statali, che, quando vivono nel Mezzogiorno,sono automaticamente assorbiti nel panorama della bor-ghesia umanistica, e, quando invece vivono altrove, ces-sano di esercitare qualsiasi influenza sulla vita sociale epolitica del paese.

Né si tiene conto dall'alta borghesia umanistica ecommerciale, sia perché essa è scarsamente numerosa,e, perciò, priva di vera influenza politica, sia perchéaderisce strettamente alla conservazione attraversol'azione dello Stato, nel quale domina.

D'altronde non sono mancati esempi di grossi borghe-si sinceramente democratici e ardentemente meridiona-listi, ma è chiaro che lo sbloccamento di una situazionepolitico-sociale cosí complessa non può avvenire attra-verso l'azione dei singoli, ma attraverso l'opera di unanuova classe dirigente, che deve rompere interamentecol passato, e che può essere reclutata soltanto nella gio-

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qualvolta si entusiasma per idee nuove e si avvia a ini-ziare lo sbloccamento della situazione economico-sociale-politica del paese, finisce per retrocedere spa-ventato, poiché i dati storici fondamentali, da cui si èparzialmente evoluto, lo tengono ancora avvinto con filiinvisibili e gli impediscono di rompere definitivamentecon la tradizione. È questa la fondamentale ragione percui il radicalismo e il liberalismo di sinistra meridionalitra il 1900 e il 1915 finirono per confluire nel giolitti-smo, dando luogo a una classe politica piú raffinatamen-te trasformista di quella che l'aveva preceduta.

In questa disamina non si tiene particolare conto degliimpiegati statali, che, quando vivono nel Mezzogiorno,sono automaticamente assorbiti nel panorama della bor-ghesia umanistica, e, quando invece vivono altrove, ces-sano di esercitare qualsiasi influenza sulla vita sociale epolitica del paese.

Né si tiene conto dall'alta borghesia umanistica ecommerciale, sia perché essa è scarsamente numerosa,e, perciò, priva di vera influenza politica, sia perchéaderisce strettamente alla conservazione attraversol'azione dello Stato, nel quale domina.

D'altronde non sono mancati esempi di grossi borghe-si sinceramente democratici e ardentemente meridiona-listi, ma è chiaro che lo sbloccamento di una situazionepolitico-sociale cosí complessa non può avvenire attra-verso l'azione dei singoli, ma attraverso l'opera di unanuova classe dirigente, che deve rompere interamentecol passato, e che può essere reclutata soltanto nella gio-

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vane borghesia umanistica, e nelle sparute élite che sten-tatamente si formano negli altri ceti (commercianti, ope-rai specializzati, contadini ricchi) e che guardano sem-pre agli intellettuali come alla piú sicura loro guida.

Naturalmente questa disamina sarebbe del tutto steri-le, come lo è stata in passato, se non ci trovassimo alcentro di una rivoluzione politica e sociale, che sta rea-lizzando alcuni presupposti per una concreta azione diricostruzione.

Qui non si discute e si argomenta per il discutibile gu-sto di sbalzare dal potere una classe e sostituirla conun'altra.

Se la borghesia terriera del Mezzogiorno assolvesseuna funzione utile nel processo della produzione il pro-blema non sarebbe sorto con quell'acutezza che lo carat-terizza. Invece l'assenteismo borghese ha generato unasituazione di immobilità economica, sociale e politica,che dev'essere sbloccata soprattutto per aumentare laproduzione nazionale nei limiti consentiti dalle condi-zioni obiettive dei luoghi.

È questa l'esigenza che tutti i meridionalisti, anchequelli strettamente conservatori, hanno sempre sentito.Ma è ormai chiaro che il rinnovamento non può avveni-re pacificamente, per evoluzione spontanea, poiché qua-si un secolo di vita unitaria sta a documentare il clamo-roso fallimento di tutte le speranze riposte sull'azionedello Stato o sull'iniziativa della classe dirigente.

Solo quando la classe dei borghesi rurali sarà balzatadi sella la dialettica della storia riprenderà a funzionare

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vane borghesia umanistica, e nelle sparute élite che sten-tatamente si formano negli altri ceti (commercianti, ope-rai specializzati, contadini ricchi) e che guardano sem-pre agli intellettuali come alla piú sicura loro guida.

Naturalmente questa disamina sarebbe del tutto steri-le, come lo è stata in passato, se non ci trovassimo alcentro di una rivoluzione politica e sociale, che sta rea-lizzando alcuni presupposti per una concreta azione diricostruzione.

Qui non si discute e si argomenta per il discutibile gu-sto di sbalzare dal potere una classe e sostituirla conun'altra.

Se la borghesia terriera del Mezzogiorno assolvesseuna funzione utile nel processo della produzione il pro-blema non sarebbe sorto con quell'acutezza che lo carat-terizza. Invece l'assenteismo borghese ha generato unasituazione di immobilità economica, sociale e politica,che dev'essere sbloccata soprattutto per aumentare laproduzione nazionale nei limiti consentiti dalle condi-zioni obiettive dei luoghi.

È questa l'esigenza che tutti i meridionalisti, anchequelli strettamente conservatori, hanno sempre sentito.Ma è ormai chiaro che il rinnovamento non può avveni-re pacificamente, per evoluzione spontanea, poiché qua-si un secolo di vita unitaria sta a documentare il clamo-roso fallimento di tutte le speranze riposte sull'azionedello Stato o sull'iniziativa della classe dirigente.

Solo quando la classe dei borghesi rurali sarà balzatadi sella la dialettica della storia riprenderà a funzionare

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e l'immobilità economico-sociale-politica del Mezzo-giorno passerà nel regno dei ricordi.

Ora il primo tempo di questa rottura col passato sipuò produrre soltanto attraverso il distacco della borghe-sia umanistica e commerciante da quella terriera. Questiceti si presentano oggi come classi rivoluzionarie, perquanto a metà, e hanno le attitudini mentali e una consi-derevole forza residua per comprendere il loro nuovocompito in un mondo ancora da costruire.

La borghesia umanistica è stata quasi interamenteproletarizzata attraverso due guerre e due processi infla-zionistici. Una notevole parte di essa si ricorda ancora diessere proprietaria di terre e perciò tende a ricostruire ilsistema di sfruttamento agrario per garantirsi dalla mise-ria assoluta. Essa teme il comunismo, poiché pensa conterrore al giorno in cui potrebbe essere costretta a viveredi lavoro, perché questo non è abbastanza compensato.Ma d'altra parte, è sufficientemente intelligente e coltaper comprendere che il Mezzogiorno non può andareavanti nello stato in cui si trova, e che lo sbloccamentoeconomico-sociale-politico del paese è una necessità acui nessuno si può sottrarre e che fatalmente avverrà inun modo o in un altro.

L'altra parte della borghesia umanistica è piú franca-mente su questo terreno, e la paura del comunismo nonfunziona cosí esclusivamente da remora psicologica.

Occorre, quindi, tranquillizzare questa classe, dimo-strarle che la trasformazione del Mezzogiorno non saràun danno per lei, se sarà compiuta sotto la sua direzione.

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e l'immobilità economico-sociale-politica del Mezzo-giorno passerà nel regno dei ricordi.

Ora il primo tempo di questa rottura col passato sipuò produrre soltanto attraverso il distacco della borghe-sia umanistica e commerciante da quella terriera. Questiceti si presentano oggi come classi rivoluzionarie, perquanto a metà, e hanno le attitudini mentali e una consi-derevole forza residua per comprendere il loro nuovocompito in un mondo ancora da costruire.

La borghesia umanistica è stata quasi interamenteproletarizzata attraverso due guerre e due processi infla-zionistici. Una notevole parte di essa si ricorda ancora diessere proprietaria di terre e perciò tende a ricostruire ilsistema di sfruttamento agrario per garantirsi dalla mise-ria assoluta. Essa teme il comunismo, poiché pensa conterrore al giorno in cui potrebbe essere costretta a viveredi lavoro, perché questo non è abbastanza compensato.Ma d'altra parte, è sufficientemente intelligente e coltaper comprendere che il Mezzogiorno non può andareavanti nello stato in cui si trova, e che lo sbloccamentoeconomico-sociale-politico del paese è una necessità acui nessuno si può sottrarre e che fatalmente avverrà inun modo o in un altro.

L'altra parte della borghesia umanistica è piú franca-mente su questo terreno, e la paura del comunismo nonfunziona cosí esclusivamente da remora psicologica.

Occorre, quindi, tranquillizzare questa classe, dimo-strarle che la trasformazione del Mezzogiorno non saràun danno per lei, se sarà compiuta sotto la sua direzione.

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Che tale trasformazione è una necessità storica per acce-lerare il processo di produzione e che se saprà modifica-re la sua mentalità – cioè compiere quell'evoluzione chein altri paesi d'Europa è già avvenuta – non ha niente datemere nel separare la sua sorte e la sua responsabilitàdalla classe dell'immobilità, perché potrà in seguito par-tecipare largamente con i suoi servizi a una nuova attivi-tà economica ben piú importante di quella finora svolta.

Accanto a questa classe intellettuale, che teme di per-dere la direzione della vita pubblica del Mezzogiorno eche la perderà se non saprà trasformarsi, vi è un ceto ab-bastanza nuovo, sorto dai traffici, principalmente per ef-fetto della prolungata inflazione, che possiede la mag-gior parte della ricchezza mobiliare del paese.

Io prego il lettore umanista di questo saggio di nonvoler moralizzare al riguardo. Il danaro non olet el'accumulazione delle ricchezze non sempre ha originenel sudato lavoro e nel risparmio. Anzi.

Ma questo ceto esiste e sente il suo problema, che sicompendia in una piccola tragedia spirituale, alla qualeinvano tenta dare una tranquillizzante risposta conl'acquisto, di tanto in tanto, di qualche immobile. Ora seil ceto commerciante potesse spendere tutto il suo dana-ro in acquisto di terre si riavvicinerebbe ai proprietariterrieri e verrebbe assorbito con altra veste nel bloccoagrario, dal quale è uscito.

Ma lo Stato ha creduto bloccare gli acquisti immobi-liari, e, d'altra parte, i possessori d'immobili stringono lacintola, fanno la fame, ma non vendono. L'esperienza

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Che tale trasformazione è una necessità storica per acce-lerare il processo di produzione e che se saprà modifica-re la sua mentalità – cioè compiere quell'evoluzione chein altri paesi d'Europa è già avvenuta – non ha niente datemere nel separare la sua sorte e la sua responsabilitàdalla classe dell'immobilità, perché potrà in seguito par-tecipare largamente con i suoi servizi a una nuova attivi-tà economica ben piú importante di quella finora svolta.

Accanto a questa classe intellettuale, che teme di per-dere la direzione della vita pubblica del Mezzogiorno eche la perderà se non saprà trasformarsi, vi è un ceto ab-bastanza nuovo, sorto dai traffici, principalmente per ef-fetto della prolungata inflazione, che possiede la mag-gior parte della ricchezza mobiliare del paese.

Io prego il lettore umanista di questo saggio di nonvoler moralizzare al riguardo. Il danaro non olet el'accumulazione delle ricchezze non sempre ha originenel sudato lavoro e nel risparmio. Anzi.

Ma questo ceto esiste e sente il suo problema, che sicompendia in una piccola tragedia spirituale, alla qualeinvano tenta dare una tranquillizzante risposta conl'acquisto, di tanto in tanto, di qualche immobile. Ora seil ceto commerciante potesse spendere tutto il suo dana-ro in acquisto di terre si riavvicinerebbe ai proprietariterrieri e verrebbe assorbito con altra veste nel bloccoagrario, dal quale è uscito.

Ma lo Stato ha creduto bloccare gli acquisti immobi-liari, e, d'altra parte, i possessori d'immobili stringono lacintola, fanno la fame, ma non vendono. L'esperienza

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della precedente inflazione incombe sui loro spiriti e liagghiaccia. Da secoli hanno agognata la terra quandoapparteneva ancora ai grandi feudatari. Poi l'azione cen-tralizzatrice della corte, l'indebitamento dei nobili, e icontraccolpi della rivoluzione francese, cominciarono aaprire delle falle, permisero loro di precipitarsi sullapreda, di aggranfiarla. E ora non la lasciano scappare,perché essa è l'unica verità che conoscono, è lo strumen-to del loro assenteismo e del loro abbrutimento.

Perciò i nuovi ricchi non trovano sfogo, e i borghesirurali, se li invidiano – perché, in questo momento, laloro forzata quaresima è troppo in aperto contrasto colgrasso carnevale nel quale quelli diguazzano – in fondoal loro animo continuano a disprezzarli, perché, malgra-do tutto, non riuscendo a impossessarsi della terra, nonpossono consolidare il loro nuovo dominio.

Siamo d'accordo che questo nuovo ceto è a metà im-provvisato, e potrà essere disperso e distrutto dalle rea-zioni che necessariamente seguiranno al carnevale fi-nanziario. Ma il suo problema resta come dato psicolo-gico, e se si farà leva su questa rottura forzata del bloccoagrario, essa resterà. Tutto sta a conoscere la psicologiadi questi nuovi ricchi e a convogliarli sulle soluzionimeridionaliste che a tale psicologia corrispondono.

Non potendo acquistare terre, essi hanno fame dimerci, e non tanto per continuare a lucrare illecitamentenei trasferimenti, quanto per sfuggire al futuro processodi deflazione.

Costretti dall'inflessibile ostinazione dei proprietari

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della precedente inflazione incombe sui loro spiriti e liagghiaccia. Da secoli hanno agognata la terra quandoapparteneva ancora ai grandi feudatari. Poi l'azione cen-tralizzatrice della corte, l'indebitamento dei nobili, e icontraccolpi della rivoluzione francese, cominciarono aaprire delle falle, permisero loro di precipitarsi sullapreda, di aggranfiarla. E ora non la lasciano scappare,perché essa è l'unica verità che conoscono, è lo strumen-to del loro assenteismo e del loro abbrutimento.

Perciò i nuovi ricchi non trovano sfogo, e i borghesirurali, se li invidiano – perché, in questo momento, laloro forzata quaresima è troppo in aperto contrasto colgrasso carnevale nel quale quelli diguazzano – in fondoal loro animo continuano a disprezzarli, perché, malgra-do tutto, non riuscendo a impossessarsi della terra, nonpossono consolidare il loro nuovo dominio.

Siamo d'accordo che questo nuovo ceto è a metà im-provvisato, e potrà essere disperso e distrutto dalle rea-zioni che necessariamente seguiranno al carnevale fi-nanziario. Ma il suo problema resta come dato psicolo-gico, e se si farà leva su questa rottura forzata del bloccoagrario, essa resterà. Tutto sta a conoscere la psicologiadi questi nuovi ricchi e a convogliarli sulle soluzionimeridionaliste che a tale psicologia corrispondono.

Non potendo acquistare terre, essi hanno fame dimerci, e non tanto per continuare a lucrare illecitamentenei trasferimenti, quanto per sfuggire al futuro processodi deflazione.

Costretti dall'inflessibile ostinazione dei proprietari

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terrieri a continuare nel commercio, sono in aperta rot-tura con le idee tradizionali del paese, e auspicano unaripresa della produzione di massa perché temono che lavaluta possa perdere ogni potere di acquisto.

Se la crisi si risolverà lentamente con una ripresa deitraffici e della produzione il nuovo ceto si sistemeràadeguatamente e non sognerà altro che attività economi-ca e rinvigorimento del commercio; se, invece, la crisiprecipiterà nella catastrofe, esso perderà tutti i vantaggiacquisiti e tornerà al punto di partenza.

Ma, in ogni caso, la rottura col blocco agrario si saràsempre verificata. Nel primo caso, perché la classe com-merciale comprenderà le esigenze della produzione epremerà sullo Stato perché le soddisfi, nel secondo casoperché sarà in preda a un profondo rancore, che la spin-gerà nei ranghi dei partiti che si saranno battuti per la ri-presa economica e avranno criticato le deficienze delloStato storico.

Tutto si riduce, dunque, a profittare del momento.La crisi, iniziatasi per il crollo del regime, puramente

sul terreno politico-istituzionale, estesasi nel campo so-ciale in conseguenza della inflazione, e del blocco deifitti, deve essere riportata sul terreno politico-istituzio-nale attraverso l'azione dei partiti politici per impedireche si ritorni a una situazione reazionaria, prima che sia-no create le basi per una permanente azione meridionali-sta.

Perciò deve essere battuto in breccia il trasformismo

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terrieri a continuare nel commercio, sono in aperta rot-tura con le idee tradizionali del paese, e auspicano unaripresa della produzione di massa perché temono che lavaluta possa perdere ogni potere di acquisto.

Se la crisi si risolverà lentamente con una ripresa deitraffici e della produzione il nuovo ceto si sistemeràadeguatamente e non sognerà altro che attività economi-ca e rinvigorimento del commercio; se, invece, la crisiprecipiterà nella catastrofe, esso perderà tutti i vantaggiacquisiti e tornerà al punto di partenza.

Ma, in ogni caso, la rottura col blocco agrario si saràsempre verificata. Nel primo caso, perché la classe com-merciale comprenderà le esigenze della produzione epremerà sullo Stato perché le soddisfi, nel secondo casoperché sarà in preda a un profondo rancore, che la spin-gerà nei ranghi dei partiti che si saranno battuti per la ri-presa economica e avranno criticato le deficienze delloStato storico.

Tutto si riduce, dunque, a profittare del momento.La crisi, iniziatasi per il crollo del regime, puramente

sul terreno politico-istituzionale, estesasi nel campo so-ciale in conseguenza della inflazione, e del blocco deifitti, deve essere riportata sul terreno politico-istituzio-nale attraverso l'azione dei partiti politici per impedireche si ritorni a una situazione reazionaria, prima che sia-no create le basi per una permanente azione meridionali-sta.

Perciò deve essere battuto in breccia il trasformismo

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politico, che rappresenta la forza d'inerzia del circolo vi-zioso e conduce, dopo una scossa, a far precipitare nuo-vamente le libere formazioni politiche e culturali delMezzogiorno nel blocco agrario.

Oggi le contorsioni della vecchia classe politica meri-dionale fanno ridere, perché non sono altro che un anna-spare nel buio per trovare un punto d'appoggio, un debo-le tentativo per riportare la situazione politica al puntodi prima, mentre tutto il quadrante istituzionale ruotacon velocità assai maggiore della controspinta trasfor-mista.

Ma immaginate per un momento che la forza di rota-zione s'indebolisca e s'arresti, e assisterete in pieno allaripresa personalistica.

Se, invece, in questi attimi preziosi, l'azione dei parti-ti antitrasformisti si sarà immessa tra le ruote dell'arrug-ginito meccanismo e sarà riuscita a far leva, la rotturaistituzionale resterà. La lotta ideologica divamperà perla prima volta in tutto il Mezzogiorno, e la nuova élitemeridionalista, non piú a base soltanto culturale, ma abase strettamente politica, potrà sperare di condurre a ri-morchio tutte le altre classi della società.

Naturalmente tutto ciò è facile piú a dirsi che a verifi-carsi, perché l'intera situazione istituzionale è minaccia-ta da due pericoli, che già altra volta hanno ostacolato ilrisorgimento del paese.

Innanzi tutto la classe dei contadini meridionali nonha alcuna educazione politica, e è tuttora in funzione delblocco agrario. Come i borghesi terrieri si legano alla

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politico, che rappresenta la forza d'inerzia del circolo vi-zioso e conduce, dopo una scossa, a far precipitare nuo-vamente le libere formazioni politiche e culturali delMezzogiorno nel blocco agrario.

Oggi le contorsioni della vecchia classe politica meri-dionale fanno ridere, perché non sono altro che un anna-spare nel buio per trovare un punto d'appoggio, un debo-le tentativo per riportare la situazione politica al puntodi prima, mentre tutto il quadrante istituzionale ruotacon velocità assai maggiore della controspinta trasfor-mista.

Ma immaginate per un momento che la forza di rota-zione s'indebolisca e s'arresti, e assisterete in pieno allaripresa personalistica.

Se, invece, in questi attimi preziosi, l'azione dei parti-ti antitrasformisti si sarà immessa tra le ruote dell'arrug-ginito meccanismo e sarà riuscita a far leva, la rotturaistituzionale resterà. La lotta ideologica divamperà perla prima volta in tutto il Mezzogiorno, e la nuova élitemeridionalista, non piú a base soltanto culturale, ma abase strettamente politica, potrà sperare di condurre a ri-morchio tutte le altre classi della società.

Naturalmente tutto ciò è facile piú a dirsi che a verifi-carsi, perché l'intera situazione istituzionale è minaccia-ta da due pericoli, che già altra volta hanno ostacolato ilrisorgimento del paese.

Innanzi tutto la classe dei contadini meridionali nonha alcuna educazione politica, e è tuttora in funzione delblocco agrario. Come i borghesi terrieri si legano alla

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stessa catena dei contadini per dominarli, cosí questinon mostrano alcuna voglia di scuotere il giogo.

Su questo terreno tradizionale s'innesta, poi, la parti-colare situazione creata dall'inflazione. I coloni oggi sicredono ricchi, ricchi di carta straccia, ma ricchi. E nonpotendo compiere una pacifica rivoluzione con l'acqui-sto delle terre, non sanno come risolvere la loro situa-zione. Da una parte, credendo di essere ricchi, sono con-servatori. Conservatori, forse, dell'attuale stato di cose,che esasperano col loro ben noto materialismo, ma con-servatori. Dall'altra parte, essendo rimasti insoddisfattinella loro atavica aspirazione al possesso della terra,sono rivoluzionari, ma rivoluzionari in potenza, perchésperano sempre che i loro avversari, ridotti all'estremo,si decidano a mollare le terre.

Se la nuova classe dirigente del Mezzogiorno fossepronta, la rottura del blocco agrario potrebbe essereestesa anche a questo terreno, ma, come abbiamo visto,essa è soltanto in fieri e l'azione meridionalista non puòancora arrivare in profondità fino al contadino.

In tale condizione di cose c'è il pericolo che le massesiano risospinte sul terreno della reazione per il giuocodi fattori psicologici che non è possibile precisare apriori. Nel momento in cui, cessata l'euforia inflazioni-sta, il contadino ridiventerà povero, non è da escludersiche i borghesi terrieri possano riprendere su di lui il pre-dominio tradizionale e riportarlo sulle posizioni di par-tenza, attraverso una reazione sanfedista, che violente-mente distruggerà i germi libertari maturati nel frattem-

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stessa catena dei contadini per dominarli, cosí questinon mostrano alcuna voglia di scuotere il giogo.

Su questo terreno tradizionale s'innesta, poi, la parti-colare situazione creata dall'inflazione. I coloni oggi sicredono ricchi, ricchi di carta straccia, ma ricchi. E nonpotendo compiere una pacifica rivoluzione con l'acqui-sto delle terre, non sanno come risolvere la loro situa-zione. Da una parte, credendo di essere ricchi, sono con-servatori. Conservatori, forse, dell'attuale stato di cose,che esasperano col loro ben noto materialismo, ma con-servatori. Dall'altra parte, essendo rimasti insoddisfattinella loro atavica aspirazione al possesso della terra,sono rivoluzionari, ma rivoluzionari in potenza, perchésperano sempre che i loro avversari, ridotti all'estremo,si decidano a mollare le terre.

Se la nuova classe dirigente del Mezzogiorno fossepronta, la rottura del blocco agrario potrebbe essereestesa anche a questo terreno, ma, come abbiamo visto,essa è soltanto in fieri e l'azione meridionalista non puòancora arrivare in profondità fino al contadino.

In tale condizione di cose c'è il pericolo che le massesiano risospinte sul terreno della reazione per il giuocodi fattori psicologici che non è possibile precisare apriori. Nel momento in cui, cessata l'euforia inflazioni-sta, il contadino ridiventerà povero, non è da escludersiche i borghesi terrieri possano riprendere su di lui il pre-dominio tradizionale e riportarlo sulle posizioni di par-tenza, attraverso una reazione sanfedista, che violente-mente distruggerà i germi libertari maturati nel frattem-

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po.D'altra parte, ogni soluzione della questione meridio-

nale è subordinata alle vicende della politica generale,nel senso cioè che se la classe dei borghesi terrieri nonriesce a garantire l'immobilità economico-sociale-politi-ca del Mezzogiorno, essa è perduta. Si ritorna cosí sulterreno del compromesso istituzionale e del trasformi-smo, che costituiscono sempre la minaccia piú grave peril meridionalismo.

Infatti se la situazione politica italiana precipiterà inun nuovo compromesso istituzionale, confusionario ecervellotico come quello giolittiano o come quello fasci-sta, ma duraturo per alcuni decenni, la rottura istituzio-nale nel Mezzogiorno potrà essere rapidamente sanata, ei propagandisti dei vari partiti avranno voglia di rivol-gersi ai contadini per catechizzarli. Il sindaco, l'assesso-re comunale e il brigadiere dei RR. CC. resteranno sem-pre i gangli attraverso i quali il blocco agrario si rifor-merà, e i propagandisti correranno il rischio di esserelinciati.

Evitare il compromesso istituzionale, fino a quando lanuova classe dirigente meridionale non sarà formata, èuna necessità strumentale per tutti i partiti antitrasformi-sti, e si può sicuramente affermare che qui giace il ful-cro, il punctum pruriens dell'intera questione italiana.Ma il compromesso istituzionale non ha origine nelMezzogiorno: è stato sempre il Settentrione a dare ilcattivo esempio, senza distinzione di classi, e se nondeve essere sottovalutato l'apporto che il meridionali-

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po.D'altra parte, ogni soluzione della questione meridio-

nale è subordinata alle vicende della politica generale,nel senso cioè che se la classe dei borghesi terrieri nonriesce a garantire l'immobilità economico-sociale-politi-ca del Mezzogiorno, essa è perduta. Si ritorna cosí sulterreno del compromesso istituzionale e del trasformi-smo, che costituiscono sempre la minaccia piú grave peril meridionalismo.

Infatti se la situazione politica italiana precipiterà inun nuovo compromesso istituzionale, confusionario ecervellotico come quello giolittiano o come quello fasci-sta, ma duraturo per alcuni decenni, la rottura istituzio-nale nel Mezzogiorno potrà essere rapidamente sanata, ei propagandisti dei vari partiti avranno voglia di rivol-gersi ai contadini per catechizzarli. Il sindaco, l'assesso-re comunale e il brigadiere dei RR. CC. resteranno sem-pre i gangli attraverso i quali il blocco agrario si rifor-merà, e i propagandisti correranno il rischio di esserelinciati.

Evitare il compromesso istituzionale, fino a quando lanuova classe dirigente meridionale non sarà formata, èuna necessità strumentale per tutti i partiti antitrasformi-sti, e si può sicuramente affermare che qui giace il ful-cro, il punctum pruriens dell'intera questione italiana.Ma il compromesso istituzionale non ha origine nelMezzogiorno: è stato sempre il Settentrione a dare ilcattivo esempio, senza distinzione di classi, e se nondeve essere sottovalutato l'apporto che il meridionali-

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smo ha ricevuto in passato da tanti nobili spiriti e spre-giudicate élite del Nord, non può essere taciuto che ilcompromesso piú immorale e piú infecondo, quello gio-littiano, è avvenuto proprio perché borghesia e proleta-riato settentrionale a un dato momento si accordaronoprincipalmente ai danni del Mezzogiorno.

Il meridionalismo, perciò, non è una dottrina meridio-nale, ma italiana, che deve divenire l'imperativo catego-rico dei partiti antitrasformisti. Quali eredi del primo Ri-sorgimento, essi hanno tracciato dinanzi a sé il compitostorico di completare l'unificazione economico-politico-sociale di tutta l'Italia, evitando il ripetersi dei fenomenidi particolarismo economico, che sono alla base deicompromessi politici.

Ma la questione istituzionale non è peranco risolta e iltrasformismo guata fuor dell'uscio. Ogni pericolo non èdel tutto evitato e nell'Italia settentrionale vi sono ancoraingenti forze che guardano al Mezzogiorno come alcampo classico per le loro scorrerie.

L'alleanza tra reazione del Nord e blocco agrario delSud non può essere esclusa a priori. Tutto dipenderà dal-la forza della democrazia del Nord e dalla concretezzadelle sue idee.

Chi ricorda il tragico 1919, quando le masse setten-trionali si precipitarono per le strade per inseguire unmito astratto e irraggiungibile, e consumarono ognienergia per espellere dal loro seno il veleno giolittianoche lo corrodeva; chi ricorda attraverso quali tappe do-lorose la rivoluzione italiana pervenne a neutralizzarsi,

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smo ha ricevuto in passato da tanti nobili spiriti e spre-giudicate élite del Nord, non può essere taciuto che ilcompromesso piú immorale e piú infecondo, quello gio-littiano, è avvenuto proprio perché borghesia e proleta-riato settentrionale a un dato momento si accordaronoprincipalmente ai danni del Mezzogiorno.

Il meridionalismo, perciò, non è una dottrina meridio-nale, ma italiana, che deve divenire l'imperativo catego-rico dei partiti antitrasformisti. Quali eredi del primo Ri-sorgimento, essi hanno tracciato dinanzi a sé il compitostorico di completare l'unificazione economico-politico-sociale di tutta l'Italia, evitando il ripetersi dei fenomenidi particolarismo economico, che sono alla base deicompromessi politici.

Ma la questione istituzionale non è peranco risolta e iltrasformismo guata fuor dell'uscio. Ogni pericolo non èdel tutto evitato e nell'Italia settentrionale vi sono ancoraingenti forze che guardano al Mezzogiorno come alcampo classico per le loro scorrerie.

L'alleanza tra reazione del Nord e blocco agrario delSud non può essere esclusa a priori. Tutto dipenderà dal-la forza della democrazia del Nord e dalla concretezzadelle sue idee.

Chi ricorda il tragico 1919, quando le masse setten-trionali si precipitarono per le strade per inseguire unmito astratto e irraggiungibile, e consumarono ognienergia per espellere dal loro seno il veleno giolittianoche lo corrodeva; chi ricorda attraverso quali tappe do-lorose la rivoluzione italiana pervenne a neutralizzarsi,

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spianando la via alla realizzazione del nuovo compro-messo fascista; chi ricorda che il Mezzogiorno fu assen-te nel momento decisivo della lotta, e il blocco reaziona-rio-trasformista, che ancora lo dominava, teorizzò comeespressione di saggezza l'immobilità meridionale, nonpuò non sottolineare i progressi compiuti, non può nonessere grato ai pochi che, partendo dai piú opposti punticardinali, hanno compiuto il loro esame di coscienza, ehanno finito per concludere che la lotta politica in Italiaè unitaria e si condensa in tre formule magiche: compro-messo istituzionale, trasformismo, meridionalismo.Gramsci dice che protagonista di questo nuovo indirizzoin un prossimo avvenire sarà il proletariato settentriona-le. Questa è ideologia, e io intendo restare nel campostrettamente politico. Però non posso non raccogliere esottolineare l'importanza delle previsioni del compiantoscrittore sardo.

Se il proletariato settentrionale vorrà veramente dive-nire il protagonista della lotta meridionalista, ciò signifi-ca che non potranno piú aver luogo compromessi istitu-zionali di tipo giolittiano o fascista. Ma ciò non è suffi-ciente. Occorre, invece, che tutto il popolo italiano ir-rompa nella battaglia meridionalista, intendendola comela sua lotta, come il punto nevralgico e decisivodell'intera questione nazionale.

Occorre che altre classi, oltre il proletariato, schieran-dosi contro la politica particolarista, e sforzandosi disfociare nella democrazia integrale, chiudano l'epoca deicompromessi istituzionali, che sono gli strumenti attra-

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spianando la via alla realizzazione del nuovo compro-messo fascista; chi ricorda che il Mezzogiorno fu assen-te nel momento decisivo della lotta, e il blocco reaziona-rio-trasformista, che ancora lo dominava, teorizzò comeespressione di saggezza l'immobilità meridionale, nonpuò non sottolineare i progressi compiuti, non può nonessere grato ai pochi che, partendo dai piú opposti punticardinali, hanno compiuto il loro esame di coscienza, ehanno finito per concludere che la lotta politica in Italiaè unitaria e si condensa in tre formule magiche: compro-messo istituzionale, trasformismo, meridionalismo.Gramsci dice che protagonista di questo nuovo indirizzoin un prossimo avvenire sarà il proletariato settentriona-le. Questa è ideologia, e io intendo restare nel campostrettamente politico. Però non posso non raccogliere esottolineare l'importanza delle previsioni del compiantoscrittore sardo.

Se il proletariato settentrionale vorrà veramente dive-nire il protagonista della lotta meridionalista, ciò signifi-ca che non potranno piú aver luogo compromessi istitu-zionali di tipo giolittiano o fascista. Ma ciò non è suffi-ciente. Occorre, invece, che tutto il popolo italiano ir-rompa nella battaglia meridionalista, intendendola comela sua lotta, come il punto nevralgico e decisivodell'intera questione nazionale.

Occorre che altre classi, oltre il proletariato, schieran-dosi contro la politica particolarista, e sforzandosi disfociare nella democrazia integrale, chiudano l'epoca deicompromessi istituzionali, che sono gli strumenti attra-

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verso i quali minoranze cleptocratiche trionfano.Il proletariato settentrionale è una grande forza su

questo terreno, anzi è la piú grande forza, ma anche laborghesia tecnica e quella umanistica del Nord hanno laloro parola da dire.

Specialmente la seconda deve ricordare con terroregli errori psicologici e politici compiuti tra il 1919 ed il1922, quando, in massima parte, abbandonò la causadella libertà, e corse dietro alla dittatura in un folle ten-tativo di risolvere il suo disagio economico e spirituale.

Essa ne ha portato i panni laceri e si può considerareguarita per sempre. La sua alleanza con il proletariatoindustriale e agricolo sarà la piú sicura garanzia per iltentativo di fondare in Italia la democrazia integrale,mai esistita fino a questo momento per il prepotere dellecricche industriali e agrarie, cui la borghesia tecnica eumanistica ha avuto il torto d'indulgere, per ragioni chenon sempre hanno deposto a favore della sua maturitàpolitica.

Se questo tentativo avrà successo, e, dopo aver di-strutto il compromesso istituzionale, dopo aver superatoil particolarismo economico e politico, dopo aver acqui-stato coscienza degli obiettivi da raggiungere e delleforze cui appoggiarsi, in una parola, dopo essersi tra-sformata da astratta, quale era nel 1919, in concreta,come oggi appare, la rivoluzione italiana sfocerà, senzainutili e dannose convulsioni, nella democrazia integraleper ordinare tutte le forze del paese intorno a un piú in-tenso sforzo di produzione nazionale e una piú equa di-

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verso i quali minoranze cleptocratiche trionfano.Il proletariato settentrionale è una grande forza su

questo terreno, anzi è la piú grande forza, ma anche laborghesia tecnica e quella umanistica del Nord hanno laloro parola da dire.

Specialmente la seconda deve ricordare con terroregli errori psicologici e politici compiuti tra il 1919 ed il1922, quando, in massima parte, abbandonò la causadella libertà, e corse dietro alla dittatura in un folle ten-tativo di risolvere il suo disagio economico e spirituale.

Essa ne ha portato i panni laceri e si può considerareguarita per sempre. La sua alleanza con il proletariatoindustriale e agricolo sarà la piú sicura garanzia per iltentativo di fondare in Italia la democrazia integrale,mai esistita fino a questo momento per il prepotere dellecricche industriali e agrarie, cui la borghesia tecnica eumanistica ha avuto il torto d'indulgere, per ragioni chenon sempre hanno deposto a favore della sua maturitàpolitica.

Se questo tentativo avrà successo, e, dopo aver di-strutto il compromesso istituzionale, dopo aver superatoil particolarismo economico e politico, dopo aver acqui-stato coscienza degli obiettivi da raggiungere e delleforze cui appoggiarsi, in una parola, dopo essersi tra-sformata da astratta, quale era nel 1919, in concreta,come oggi appare, la rivoluzione italiana sfocerà, senzainutili e dannose convulsioni, nella democrazia integraleper ordinare tutte le forze del paese intorno a un piú in-tenso sforzo di produzione nazionale e una piú equa di-

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stribuzione delle ricchezze, la questione meridionalesarà a metà risolta, e non dovremo piú temere ritornireazionari.

Allora s'inizierà il periodo delle soluzioni tecnicheche sono varie perché varia è la realtà economico-socia-le del Mezzogiorno. E allora, perfino la borghesia terrie-ra meridionale potrà avere un avvenire, perché, allonta-nata dal privilegio, cui fin'oggi si è ostinatamente attac-cata, potrà partecipare al lavoro d'intensificazione dellaproduzione agricola, che ha bisogno di dirigenti e di tec-nici e non può piú essere condotto con i metodi tradizio-nali. Il Mezzogiorno è naturalmente povero, ma è anchecoltivato assai male. L'ignoranza dei contadini e l'assen-teismo dei proprietari hanno aggravato quest'originariainferiorità. L'avvenire è quindi sulla strada delle miglio-rie tecniche che saranno possibili solo dopo la rotturadel blocco agrario come storicamente si è costituito.

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stribuzione delle ricchezze, la questione meridionalesarà a metà risolta, e non dovremo piú temere ritornireazionari.

Allora s'inizierà il periodo delle soluzioni tecnicheche sono varie perché varia è la realtà economico-socia-le del Mezzogiorno. E allora, perfino la borghesia terrie-ra meridionale potrà avere un avvenire, perché, allonta-nata dal privilegio, cui fin'oggi si è ostinatamente attac-cata, potrà partecipare al lavoro d'intensificazione dellaproduzione agricola, che ha bisogno di dirigenti e di tec-nici e non può piú essere condotto con i metodi tradizio-nali. Il Mezzogiorno è naturalmente povero, ma è anchecoltivato assai male. L'ignoranza dei contadini e l'assen-teismo dei proprietari hanno aggravato quest'originariainferiorità. L'avvenire è quindi sulla strada delle miglio-rie tecniche che saranno possibili solo dopo la rotturadel blocco agrario come storicamente si è costituito.

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