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L’assassinio di Meredith Kercher anatomia del processo di Perugia ISBN 978-88-548-xxxx-x DOI 10.4399/97888548xxxxx17 pag. 357–390 (ottobre 2012) La sentenza assolutoria della Corte d’assise d’appello di Perugia per l’omicidio di Meredith Kercher, tra valutazione della prova scientifica e prevalenza del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio. L’analisi del criminologo N F : . Prologo, . Le “reazioni” e i commenti alla sentenza. La prova scientifica come nuovo totem di facile ecientismo giudizia- rio, . Verità storica, verità processuale, “verità mediatica”, . Conoscenze giuridiche e minimi etici degli “esperti”. Il necessario ed indieribile intervento dell’Accademia e delle Società Scientifiche di riferimento, . Le irrisolte problematiche dei rapporti tra scienza e diritto, . Il ruolo dei periti e dei consulenti tecnici, . Il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio e la decisione in esame, . Dopo la Sentenza, . . Prologo Circa vent’anni orsono, conseguita da pochi anni la Specializzazione post–universitaria in Diritto Penale e Criminologia, in ossequio ai ri- gorosi Insegnamenti della Scuola di Specializzazione in Diritto Penale e Criminologia dell’Università di Roma “La Sapienza”, nel solco della tradizione della Prestigiosa Scuola di Applicazione Giuridico Crimina- le, istituita nella “Sapienza” dal Maestro della Criminologia Italiana Enrico Ferri, di cui quest’anno ricorre il centenario della Fondazione (a.a. ), nel corso del IV Congresso Nazionale di Criminalisti- ca, tenutosi a Firenze dal al settembre del , ebbi modo di aermare che in tema di sopralluogo deve trovare piena applicazio- ne il principio fondamentale della chimica, in base al quale, “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”; poiché, proprio mediante l’applicazione della legge di Lavoisier, è ipoteticamente possibile, ad

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L’assassinio di Meredith Kercheranatomia del processo di PerugiaISBN 978-88-548-xxxx-xDOI 10.4399/97888548xxxxx17pag. 357–390 (ottobre 2012)

La sentenza assolutoria della Corte d’assised’appello di Perugia per l’omicidio di Meredith

Kercher, tra valutazione della prova scientifica eprevalenza del principio dell’oltre ogni

ragionevole dubbio. L’analisi del criminologo

N F

: . Prologo, – . Le “reazioni” e i commenti alla sentenza.La prova scientifica come nuovo totem di facile efficientismo giudizia-rio, – . Verità storica, verità processuale, “verità mediatica”, –. Conoscenze giuridiche e minimi etici degli “esperti”. Il necessarioed indifferibile intervento dell’Accademia e delle Società Scientifiche diriferimento, – . Le irrisolte problematiche dei rapporti tra scienzae diritto, – . Il ruolo dei periti e dei consulenti tecnici, – . Ilprincipio dell’oltre ogni ragionevole dubbio e la decisione in esame, – . Dopo la Sentenza, .

. Prologo

Circa vent’anni orsono, conseguita da pochi anni la Specializzazionepost–universitaria in Diritto Penale e Criminologia, in ossequio ai ri-gorosi Insegnamenti della Scuola di Specializzazione in Diritto Penalee Criminologia dell’Università di Roma “La Sapienza”, nel solco dellatradizione della Prestigiosa Scuola di Applicazione Giuridico Crimina-le, istituita nella “Sapienza” dal Maestro della Criminologia ItalianaEnrico Ferri, di cui quest’anno ricorre il centenario della Fondazione(a.a. –), nel corso del IV Congresso Nazionale di Criminalisti-ca, tenutosi a Firenze dal al settembre del , ebbi modo diaffermare che in tema di sopralluogo deve trovare piena applicazio-ne il principio fondamentale della chimica, in base al quale, “nulla sicrea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”; poiché, proprio mediantel’applicazione della legge di Lavoisier, è ipoteticamente possibile, ad

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esempio, ricostruire nella sua integralità una sigaretta fumata, a condi-zione che si badi a recuperare il mozzicone residuo, la cenere rimastanel posacenere, i residui della combustione dispersi nell’aria, nonché iresidui di nicotina finiti nei polmoni del fumatore.

Pochi mesi prima, sempre a Firenze, si era aperto innanzi alla Corted’assise il processo a carico di Pietro Pacciani, imputato degli ottoduplici omicidi, noti alla cronaca giudiziaria come i delitti del “Mostrodi Firenze”. Nel processo in esame facevo parte del Collegio deiconsulenti della difesa, guidato dal Prof. Francesco Bruno, che era statoincaricato di redigere una consulenza in ordine alla criminodinamicae alla criminogenetica della serie omicidiaria.

Nel corso di una udienza del processo d’assise, destinata all’esamedegli operanti che avevano effettuato i rilievi sul luogo di uno degliotto duplici omicidi, rimasi particolarmente colpito da quanto andavaemergendo in dibattimento: i rilievi erano stati eseguiti senza alcuncriterio tecnico–scientifico e, addirittura, l’altezza di alcuni proiettiliche si erano conficcati nelle lamiere di un furgone a bordo del qualesi trovavano le vittime del duplice omicidio in esame, era stata rilevata“ad occhio” e dunque, in modo tale da compromettere ogni even-tuale apporto conoscitivo utile ai fini dell’accertamento della verità.Tale circostanza, unitamente al fatto che dalle immagini dell’albumfotografico emergeva la confusa partecipazione di un numero conside-revole di persone sul posto, aveva fatto dire pubblicamente in aula alPresidente della Corte d’assise di Firenze, Enrico Ognibene, che, nelcorso di quel sopralluogo: « mancavano solo i brigidini e poi era la fie-ra dell’Impruneta » (alludendo ai tipici biscotti all’anice venduti sullebancarelle di quella che è una delle fiere più famose della Toscana).

Nonostante tali pubbliche affermazioni e la generale definizionedi “indagine sciagurata” attribuita sempre dal Presidente della Corted’assise alle modalità con cui erano stati compiuti i sopralluoghi ele indagini, quel processo si concluse comunque con la condanna aquattordici ergastoli in capo a Pietro Pacciani, ritenuto l’autore deidelitti del “Mostro di Firenze”.

Circa due anni dopo, anche quella pesante condanna veniva annul-

. N. F, F. B, Il decalogo del sopralluogo, in Atti del IV Convegno Nazionale diCriminalistica – Scienze e tecnologie nella lotta contro il crimine, nuove frontiere e aspettigiuridici, Firenze, – ottobre .

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lata dalla Corte d’assise di appello di Firenze, Presieduta da FrancescoFerri, senza necessità di disporre perizie, ma sul semplice presuppostodi una rilettura del contesto probatorio sul quale era stata basata ladecisione di primo grado. Di questo secondo processo mi è rimastoparticolarmente impresso lo scrupolo del Procuratore Generale PieroTony, il quale, dopo aver studiato per mesi tutti gli atti ed effettuatouna serie di minuziose verifiche, aveva chiesto all’osservatorio astro-nomico di Arcetri (Firenze) di fornirgli i dati in ordine alla fase lunareche aveva contraddistinto la data dell’ultimo dei delitti della serie omi-cidiaria, scoprendo che si trattava dell’ultimo quarto di luna, e dunque,di una situazione di oscurità, diversamente da quanto invece sostenutonella sentenza di prime cure, nella quale il dato della luna era statoacquisito in modo “istintuale” dandosi per buono il fatto che quellanotte, la luna fosse lì ad illuminare la scena del delitto.

Tali esperienze mi hanno fatto e mi fanno tuttora riflettere sull’im-portanza del sopralluogo e sulla certezza che deve contrassegnare idati procedimentali e processuali sui quali si va a formare la decisionein ordine alla colpevolezza o meno dell’autore del delitto, soventeancora del tutto “ignoto” quando si incominciano a muovere i primipassi sulla scena dell’evento alla ricerca delle “tracce”.

In laboratorio è risaputo che tutto può diventare teoricamente“possibile”, rectius “probabile”, ciò deve però riguardare esclusivamen-te probabilità di tipo “tecnico–scientifico” e non mere probabilità,tenendo sempre presente il contesto da cui il dato sul quale si deveindagare proviene e ciò in ossequio al fondamentale “principio dell’in-terscambio” di Edmond Locard (–), Maestro e Pioniere, alpari del nostro Salvatore Ottolenghi, della Polizia Scientifica e delleScienze Forensi, secondo il quale, ogni contatto, lascia una traccia, percui esiste sempre uno scambio tra colui che commette un crimine ela scena in cui il crimine viene commesso; in ragione di ciò sul luogodel delitto resteranno le “tracce” di chi lo ha commesso e su chi lo hacommesso, o su ciò che è stato usato per commetterlo, resteranno letracce del luogo e/o della vittima del delitto stesso.

Quella del sopralluogo dunque è una vera e propria scienza e cometale deve avere delle precise “leggi” e delle altrettanto scrupolose “pras-si” che la disciplinano che, se non rigorosamente osservate, possonocompromettere l’utilizzabilità, o comunque la non pacifica acquisizio-ne dei dati da esso provenienti, minando quel criterio di “affidabilità”

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della prova che invece deve necessariamente contraddistinguere sem-pre il processo, ma anche il procedimento, sin dalle fasi embrionalidei rilievi e degli accertamenti.

Ovvietà si dirà, ma la partita è tutta qui!Come condivisibilmente sostenuto da Luisella De Cataldo, nel-

la rassegna di commenti sulla sentenza in argomento, il problemasta a monte e riguarda non tanto e non sempre il laboratorio, ma« l’incompetenza di coloro che intervengono a livello operativo »; èvero infatti che, sovente, la “pratica” si rivela come il punto deboledella “teoria”, e basta davvero poco per “azzerare” il peso processualedi una indagine scientifica, essendo vero e ricorrente che « più la teoriaè sofisticata, più è facile l’errore ».

La casistica giudiziaria al riguardo ed il processo in esame, maanche quello recentemente svoltosi in assise di appello a Roma per ilnoto omicidio di Via Poma, in danno di Simonetta Cesaroni, dimo-strano ampiamente, come riportato dall’Autrice, che il problema è inprimis un problema di “prassi”.

Ed è proprio così, perché sino a quando non ci si convincerà chesulla “scena dell’evento” (evento inteso in senso “neutro” in ossequioal metodo medico legale e alla triade: omicidio–suicidio–accidente),bisogna muoversi come se si fosse in sala operatoria, altrimenti, nonsi potrà che incorrere nuovamente in risultati “pseudo–scientifici” chevolteggiano sul baratro della contaminazione e dell’incertezza.

Questione di cultura e di mentalità tecnico–scientifica dunque.Nel contesto sopra enunciato, eloquenti risultano le immagini del

“guanto sporco” dell’operatore che reperta il gancetto del reggisenodi Meredith, che costituiscono il vero e proprio tallone di Achille delsistema e della modalità di effettuazione del sopralluogo.

Nessuna polemica si intende con la Polizia Scientifica e con ilRA.C.I.S. dell’Arma dei Carabinieri, i cui laboratori godono dellacertificazione di qualità rilasciata dall’ENFSI ed i cui appartenenti svol-gono con professionalità i delicati compiti assegnati, ma il problemac’è, e rimane, ed è un problema a questo punto, non solo di metodoma anche e soprattutto di mentalità.

I protocolli ci sono e sono rigorosi; sin dal esiste anche ilS.A.S.C (Sistema per l’Analisi della Scena del Crimine), realizzato dallaSezione Indagini Speciali del Servizio di Polizia Scientifica, un sistemabasato sulle checklist come metodo semplice e sicuro per portare a

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termine attività che prevedono molti passi e che richiedono particolareattenzione. Prima ancora che arrivi la Scientifica, esistono le “Lineeguida per i primi interventi sulla scena del crimine” redatte apposita-mente dal Servizio di Polizia Scientifica per il Personale delle Volanti,che solitamente è il primo a mettere piede nel luogo dell’evento edunque è il primo a doversi preoccupare di “congelare” la scena.

Ci sono poi, come sottolineato dallo stesso Dirigente del Serviziodi Polizia Scientifica nella lettera inviata alla Corte d’assise d’appello diPerugia, all’indomani delle “critiche” avanzate dai periti sull’operatodei suoi uomini, continuamente corsi di formazione e di aggiorna-mento, ma può capitare, ed è bene che ciò, proprio alla luce di quantosuccesso nel caso in disamina, si verifichi il meno possibile, che, anchecon i mezzi più sofisticati, ed anche barrando accuratamente tutte ledovute caselle, l’errore “umano” possa essere sempre in agguato.

Cambio di mentalità dunque?! Sì, e fino all’ossessione.Il metodo, come anticipato, è quello dell’ingresso in sala operatoria,

dove il bisturi e i guanti non sono mai gli stessi e dove i rubinetti siaprono con un movimento repentino dell’avambraccio e non conle mani, e dove regna l’eco (meglio se rigorosamente video e audioripreso) di chi fa e che cosa, con continuo costante reciproco circolaree virtuoso controllo, e dove, prima di ogni cosa, tutto è improntatoalla generale “ossessiva” considerazione che può bastare la mancata“sterilizzazione” anche solo di una garza, per compromettere l’esitodi un delicatissimo e complicatissimo intervento chirurgico.

Quanto sopra enunciato deve valere a maggior ragione in tema disopralluogo, perché è proprio quello il momento importante in cui siscatta la foto e si “congela” ciò che è successo.

In sede procedimentale e processuale poi, tale foto non potrà e nondovrà costituire un “autodafé”, né tantomeno la base per artificiosi e“suggestivi” ritocchi con il photoshop.

Alla stessa, dovrà sempre ed obbligatoriamente essere allegato ilcontestuale “negativo” e/o il report digitalizzato e, la medesima, do-vrà essere sempre necessariamente guardata anche all’incontrario,come insegnatomi dal mio Maestro di Criminalistica, il Prof. SalvatoreBuzzanca, al fine di sforzarsi a cogliere tutti i particolari di luci edombre e le loro eventuali incongruenze, con un approccio “asettico”e sempre critico, in ossequio al generale principio della formazionedella prova in contraddittorio, che anche quando manca, ci si deve

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sforzare di ri–creare idealmente, ponendosi e guardando, nel corsodelle operazioni di sopralluogo, dalla parte di colui che potrebbe ritro-varsi nelle vesti di incolpato, di indagato o di imputato. Tutto ciò, nonper un cervellotico “gioco di parti”, ma per un necessario e costan-te ossequio e pre–ossequio ai principi imposti dal nostro riformatoart. della Costituzione, nella cui generale cornice, deve essereletto il riformato art. c.p.p., che ha elevato a standard probatorio“costituzionalizzato”, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

La sentenza in commento offre spunti fondamentali in tal senso e,come sostenuto nella citazione dottamente riportata da Tonini e Conti,nella rassegna di commenti sulla sentenza in disamina, piuttosto checostituire un masso sul quale si può inciampare restando per terra,costituisce invece un masso su cui salire per guardare più lontano.

. Le “reazioni” e i commenti alla sentenza. La prova scientificacome nuovo totem di facile efficientismo giudiziario

La sentenza in esame, come anticipato, costituisce un importante occa-sione di riflessione in ordine al tema della prova scientifica ed al valoreche ha acquisito il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio all’in-terno del nostro sistema processuale penale in seguito alla riforma del-l’art. c.p.p., che deve, come già precisato, essere necessariamenteletto nella più ampia cornice dell’art. Costituzione.

Attraverso l’analisi di tali tematiche e le motivazioni che hanno por-tato la Corte d’assise di appello di Perugia a ribaltare completamenteil giudizio di condanna emesso dalla Corte d’assise di primo grado, sitenterà di sviluppare una analisi in senso latamente “criminologico”circa le reazioni, i commenti e le sollecitazioni che la decisione inesame ha comportato.

Come è noto, l’oggetto di studio della criminologia non è rappre-sentato esclusivamente dall’analisi del delitto in se, dallo studio delreo e dallo studio della vittima, ma è contraddistinto anche dalla rea-zione sociale al delitto stesso, nonché dalle reazioni alle conseguentidecisioni giudiziarie successivamente adottate.

La decisione in commento ha riacceso in modo forte il dibattitosul funzionamento della giustizia italiana, coinvolgendo non solo gliaddetti ai lavori, ma anche il “popolo”, che ancora una volta, come già

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era avvenuto al momento dell’emissione della sentenza di condannadi primo grado, ha dato prova del solito indegno spettacolo di inciviltà,riproponendo un deprecabile parapiglia dinanzi al Palazzo di Giusti-zia di Perugia, dove un migliaio di persone ha preso letteralmented’assalto, al grido di: “vergogna. . . vergogna”, “venduti”, “bastardi”,“. . . datela a noi Amanda”, non solo i difensori degli imputati, ma anchei loro parenti ed amici, rendendo necessario l’intervento della Poliziaal fine di riportare la calma.

Né più e né meno di quanto avvenuto la sera in cui fu data letturadel dispositivo della sentenza di condanna a carico di Amanda Knox eRaffaele Sollecito, quando all’uscita del medesimo Palazzo di Giustizia,le televisioni di tutto il mondo ebbero modo di trasmettere le scenedi un vero e proprio linciaggio verbale in danno dei genitori dellaKnox, costretti a difendersi dalla folla ed a rifugiarsi in un vicinoalbergo. Spettacolo quest’ultimo, davvero indegno di un Paese diciviltà giuridica elevata come il nostro, dove sovente ci si dimentica diaver dato i natali a Cesare Beccaria.

Quello che deve far riflettere è che i cori “forcaioli” della seradella sentenza di condanna, si sono riproposti anche la sera dellasentenza di assoluzione. In ragione di ciò, ancora una volta, occorreda subito ribadire e con forza, il concetto che, se è pur vero che aisensi dell’art. della Costituzione “La giustizia è amministrata innome del popolo”, ciò non vuol dire affatto che la Giustizia debba opossa essere amministrata dal popolo.

A nulla sono valse in tal senso le parole pronunciate prima dellacamera di consiglio dal Presidente della Corte d’assise d’appello diPerugia, il quale aveva chiesto rispetto « [. . . ] per la bellissima ragazzache è stata brutalmente uccisa [. . . ] [ma anche. . . ] per la sorte dei duegiovani imputati »; chiedendo di evitare “inutili tifoserie da squadra”,ed esigendo che si mantenesse il contegno dovuto ad un aula digiustizia.

L’unica cosa che ha restituito un po’ di luce alle “tenebre” notturnedella piazza perugina, è stato lo sbattere di oggetti metallici contro leporte delle celle, con cui alcuni detenuti del carcere di Terni, Lorosi, in ossequio ai principi sanciti dall’art. della Costituzione, hannointeso festeggiare l’assoluzione di Raffaele Sollecito e la sua remissionein libertà, al momento del suo rientro in quell’istituto per le formalitàconseguenti alla sua scarcerazione.

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All’indomani della sentenza tra i commenti più pertinenti, vi èstato senza dubbio quello apparso su “La Stampa” di Torino, a firmadi Vladimiro Zagrebelsky, dal titolo oltremodo eloquente: “Amanda,c’è un giudice a Perugia”.

Dalla lettura dell’articolo, se ne ricava una compiuta e sinteticaanalisi delle reazioni alla sentenza, all’interno della quale, l’Autoresottolinea come le stesse siano andate oltre ogni immaginazione. Trale cose più rilevanti, si fa cenno al compiacimento manifestato dalDipartimento di Stato Americano, ma anche al rammarico del PrimoMinistro Britannico, giustificato dalla nazionalità della vittima; agliinsulti della piazza di Perugia ai giudici ed alla folla di Seattle, cittàdi origine di Amanda, che ha accolto l’imputata come un’eroina etutto ciò senza aver ancora letto le motivazioni della sentenza, ragionper cui, il motivo di rammarico o di compiacimento non può cheriscontrarsi nel fatto che molti si siano già fatti la loro ferma opinio-ne, non solo sull’innocenza o sulla colpevolezza degli imputati, maanche sulle colpe dei giudici e del sistema in cui questi operano. «Unsistema “medievale”, si è detto, diametralmente opposto al sistema(Statunitense) che affonda le sue radici nell’Inghilterra del dodicesimosecolo ».

Sul punto, l’illustre Giurista, richiama opportunamente l’attenzio-ne sul fatto che, prima di criticare il sistema italiano, si dovrebbenecessariamente riflettere sul fatto che: « . . . negli Stati Uniti, un’ac-cusa come quella portata nel processo di Perugia avrebbe esposto gliimputati al rischio della condanna alla pena capitale e il giudizio sullaloro colpevolezza sarebbe stato reso da una giuria popolare con lesemplici parole di “guilty” o di “not guilty”, colpevoli o non colpevoli.Ben difficilmente l’appello sarebbe stato ammesso e comunque solosu questioni di procedura. Nessuna motivazione sulla valutazionedella prova, nessun controllo o rinnovo del giudizio da parte di unaltro giudice. Semplice e rapido, ma, come tutti sanno, non esente dalrischio di errore (tragico nel caso della condanna a morte) ».

Nel nostro Paese, invece, come anche in altri Paesi Europei, comeè noto, per i delitti più gravi, come l’omicidio, il giudizio spetta aduna Corte d’assise, composta da un Collegio di otto giudici, duemagistrati e sei giudici popolari, estratti a sorte, che rappresentano

. V. Z, Amanda, c’è un giudice a Perugia, La Stampa, ottobre .

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con la loro presenza, attraverso il filtro tecnico dei due magistratitogati, il “popolo”, proprio in ossequio al principio, sopra anticipato,di cui all’art. Costituzione.

Le decisioni sono prese a maggioranza dei voti ed in caso di parità,prevale la soluzione più favorevole all’imputato.

Alla lettura del dispositivo, fa seguito la redazione e la pubblica-zione delle motivazioni della sentenza, in ossequio al principio costi-tuzionale che stabilisce che tutti i provvedimenti giudiziari devonoessere motivati, ponendo l’obbligo in capo al giudice di dover rendereconto e “motivatamente” dell’uso che ha fatto del potere pubblicoche gli è assegnato dalla Costituzione stessa, permettendo così, nelcontempo, il controllo e l’eventuale critica “a–tecnica” da parte del-l’opinione pubblica e, nello stesso tempo, consentendo attraverso imezzi di impugnazione previsti, il controllo e la critica “tecnica” inappello ed eventualmente in cassazione.

Nel sistema di common law dove c’è la giuria, invece, non vi è alcunamotivazione e non vi è nessun appello, se non in casi eccezionali.

Da quanto sopra è evidente che forse risulta più incline a modellimedioevali il giudizio immotivato “dei pari”, rispetto al nostro giudi-zio, dove invece la legittimità della sentenza si fonda sulla motivazione,motivazione che a sua volta, può essere sottoposta al controllo di unaltro giudice, all’interno di un nuovo processo, ed infine ancora, even-tualmente sottoposta ad un giudizio di legittimità in sede di ricorsoper cassazione.

Il nostro sistema processuale è dunque evidentemente contraddi-stinto dalla problematicità e dall’opinabilità in ordine alla valutazionedelle prove, cosa decisamente difficile da comprendere per chi sta al difuori, al quale invece il meccanismo può sembrare al contrario moltosemplice e forse anche basato su “sensazioni” ed “umori di pancia”.

Non ci sono dunque sempre e solo risultati che tutti condividono. Avolte il collegio giudicante si divide e può succedere, come nel caso diPerugia, che la conclusione raggiunta dai giudici di primo grado nonsia condivisa da quelli di appello. Il sistema allora suppone che talorasia necessario correggere, che il giudizio di appello possa risultarepiù attendibile rispetto a quello di primo grado, e che, il giudiziodefinitivo sia a sua volta quello dato dall’eventuale successivo processoin cassazione.

È proprio l’obbligo della motivazione delle sentenze e l’eventuale

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svolgimento di un nuovo giudizio davanti ai nuovi giudici che mette inluce la problematicità della valutazione della prova e la possibilità che sipervenga a conclusioni diverse. « Chi non ha esperienza del giudicarepuò essere sconcertato e chiedersi chi sbaglia. In realtà normalmentela questione non si pone in termini di giusto/sbagliato. Essa peròrichiede una soluzione del contrasto. Nel nostro sistema, come intanti altri, la soluzione deriva dalla presunzione di non colpevolezza,dal principio “in dubio pro reo”. La condanna viene pronunciata se igiudici concludono che l’imputato è colpevole oltre ogni ragionevoledubbio ».

Questo il nocciolo della questione secondo Zagrebelsky, il qualeindividua che la difficoltà dell’opera dei giudici in casi come quello diPerugia sia data proprio dal rispetto della regola della presunzione dinon colpevolezza.

Intorno al processo è opportuno e necessario « un poco di silenzio.Silenzio certo da parte dei magistrati, prudenza anche da parte degliavvocati e della stampa. Si tratta di esigenze fondamentali dell’equoprocesso, così come lo si intende in Europa. È in gioco l’indipendenzadi giudizio dei giudici, che devono essere tenuti al riparo da pressionie suggestioni esterne ».

Essendone stato componente per circa un decennio, l’Autore ri-corda come proprio la Corte Europea dei diritti dell’uomo abbia piùvolte fatto notare che il clamore esterno e i “giudizi tramite stampa”possono influenzare i giudici, particolarmente quelli non professionali,e incidere sull’equità del processo, ritenendo infine che « ciò che èavvenuto attorno al processo di Perugia (e spesso accade in Italia) èlontano anni luce dal clima richiesto ».

Il contributo si chiude con la considerazione che « un sistema cosìgarantista ha dei prezzi. Produce fisiologicamente casi in cui un delittoresta impunito. Il delitto è stato commesso, ma non è raggiunta laprova oltre ogni ragionevole dubbio che una persona identificata nesia responsabile. Donde il dolore delle vittime. Qui poi, come in tantialtri casi, vi è anche la lunga detenzione degli imputati nel corso delprocedimento. La legge prevede un indennizzo in questi casi (se lasentenza di assoluzione diverrà definitiva). Si tratta di una somma didenaro a carico dello Stato. Le sofferenze, che la sentenza di assoluzionecertifica essere state ingiuste, non possono essere riparate ».

Di taglio più amaro invece il commento, sempre su “La Stampa”,

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La sentenza assolutoria della Corte d’assise d’appello di Perugia

di Carlo Federico Grosso, dal titolo “Non si poteva decidere altri-menti” nel quale l’Autore, pur manifestando il convincimento che« l’assassinio di una giovane donna rimanga in larga misura insolu-to. . . » ribadisce che « Regole e garanzie del processo penale devono,tuttavia, essere sempre rispettate, e nel caso di specie garanzia vo-leva che, di fronte alla contraddittorietà degli elementi emersi nelcorso dell’istruttoria dibattimentale, i giudici non potessero fare altroche assolvere. Non c’erano indizi sufficienti, non c’erano, soprattut-to, stante le contraddizioni emerse nel dibattimento, indizi univocie concordanti », anche se le regole sono state rispettate e la senten-za « è, verosimilmente, ineccepibile, per la giustizia italiana non è,comunque, una vittoria ».

Ad avviso di chi scrive invece la sentenza in commento è una vitto-ria di civiltà giuridica e la stessa ha il pregio di parlare un linguaggio“semplice”, utile per il “popolo” che forse proprio dalla lettura del-la stessa, come si cercherà di evidenziare infra, potrà incominciare aprendere confidenza con i principi costituzionali che contraddistinguo-no il livello di civiltà giuridica su cui il nostro sistema è basato, i qualifanno del nostro processo penale, prima ancora che uno strumentodi verità e di giustizia, uno strumento di rispetto per la legalità.

Lo stesso Autore, d’altronde, pochi giorni prima, sempre sul me-desimo quotidiano aveva firmato un editoriale dal titolo “L’incertaprova scientifica”, affermando che nel processo di Perugia, come inaltri processi per delitti di sangue, ancora una volta un ruolo di rilievoè stato rappresentato dalla “prova scientifica”; « . . . la quale però,. . .ancora una volta, si è rivelata fonte di dubbi piuttosto che di certezze ».Sempre all’interno dell’editoriale, svolgendo un illuminato e sinteticocommento sulla legislazione penale del nostro Paese, il Prof. Grosso,ha avuto modo di affermare, condivisibilmente, che: « . . . nessunopuò essere condannato se non esiste prova certa al di là di ogni ragione-vole dubbio della sua colpevolezza. È un segnale forte di garanzia. Perpotere condannare, nel nostro sistema giuridico, occorre, cioè, avereraggiunto l’assoluta certezza della responsabilità penale dell’imputato.Se un dubbio, anche minimo, permane, si deve assolvere. Ciò significache gli indizi, per consentire una condanna penale, devono essere

. C.F. G, Non si poteva decidere altrimenti, La Stampa, ottobre .. C.F. G, L’incerta prova scientifica, La Stampa, ottobre .

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talmente forti, talmente univoci, talmente concordanti, da garantirela totale certezza della colpevolezza. Se non l’assicurano, ed i giudicicionondimeno condannano, violano la legge ».

È dunque necessario riflettere e far riflettere sul fatto che la c.d.“prova scientifica”, grazie all’esplosione mediatica di alcune vicendegiudiziarie, finisce spesso e facilmente per determinare una vera epropria “attrazione fatale”, tale da far « . . . deragliare l’accertamentogiurisdizionale dai suoi consueti binari, con il concreto pericolo diingenerare una non cultura dell’investigazione. . . », come condivisibil-mente e convincentemente sostenuto dai Componenti dell’Associa-zione tra gli Studiosi del Processo Penale “Giandomenico Pisapia”,nella presentazione introduttiva agli Incontri di Diritto ProcessualePenale, tenutisi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Universitàdi Foggia, nel corso dell’a.a. –, e ciò soprattutto, al fine dievitare che la stessa prova scientifica, sovente « elevata a nuovo totemdi un facile efficientismo giudiziario », venga ritenuta una c.d. “provaregina”, atteso che, proprio quest’ultima, spesso si è trasformata inun “grande inganno”, come è dimostrato non solo dalla Sentenza incommento, ma anche dagli esiti di altre note vicende giudiziarie.

Sul punto è dunque necessaria una presa di coscienza, proprio tragli “esperti”, i quali dovrebbero tenere ben presente quanto sostenutodalla Prof.ssa Cristina Cattaneo, « . . . alla corte della Giustizia, la scienzapuò essere paragonata a un gran consigliere, che talvolta può diventareanche un cortigiano, nel senso deteriore del termine ».

Sempre in argomento, una maggior presa di coscienza appare ancorpiù necessaria in ordine al fatto che il giudice stesso debba svolgere unruolo di controllore attivo con riguardo all’affidabilità dello strumentoprobatorio, nonché in ordine alla idoneità delle regole tecniche e deimetodi attraverso i quali la prova scientifica, rectius “prova tecnica”, sivada formando nel contraddittorio.

Nel caso in disamina, lo strumento della perizia si è rivelato deter-minante ai fini della decisione, così come in altri noti casi: Garlasco,Via Poma, ecc., tutti risoltisi grazie all’apporto del contributo perita-le, contenente risposte ai quesiti, rivelatesi idonee a far pervenire ilGiudice a decisioni assolutorie.

. C. C, Certezze provvisorie, Milano, .. Sul punto cfr. A. G, La prova penale, Torino, .

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La sentenza assolutoria della Corte d’assise d’appello di Perugia

. Verità storica, verità processuale, “verità mediatica”

La necessità di rendere ancora più espliciti i concetti sopra enunciati,è diventata sempre più impellente, considerato che l’interesse “morbo-so” per le vicende omicidiarie, costantemente alimentato e sollecitatodai media, ha finito per segnare una degenerazione dell’attenzionesociale verso il nostro sistema processuale penale, contrassegnato dauno spostamento dell’attenzione del cittadino, dall’amministrazionedella giustizia in se e dal corretto uso delle regole, verso la personadell’imputato, del quale si è ormai portati a scandagliare i più segretimeandri della personalità, senza limite alcuno, al solo fine di indivi-duare in quale parte del suo corpo o della sua mente risieda la sua“zona d’ombra”.

Ciò comporta un’inevitabile anticipazione in capo all’opinionepubblica di giudizi circa la colpevolezza o l’innocenza che svilisconole regole del processo, rectius del giusto processo secondo il novellatoart. della Costituzione, di cui il novanta per certo dei “colpevolisti”si è certi che ignori completamente l’esistenza.

Da qui la necessità, già più volte ravvisata e l’auspicio che tale inte-resse da parte dei cittadini, si sposti sui binari che contraddistinguonoil nostro giusto processo e costituisca momento di riflessione e didiscussione sul sistema della giustizia, consentendo a tutti una correttainformazione e partecipazione all’amministrazione di quest’ultima,evitando i pessimi spettacoli a cui si è purtroppo assistito sia alla letturadella sentenza di condanna che a quella di assoluzione per il delitto diPerugia.

Sul punto non si può mancare di rilevare ancora una volta, comeda un po’ di tempo a questa parte, si stia affacciando, da parte degliorgani di stampa, l’esistenza, addirittura, di una terza verità che si vaad aggiungere a quella “storica” e a quella “processuale” e che sarebbecostituita dalla c.d. “verità mediatica”.

Di tale “nuova” e molto preoccupante figura è bene conoscere ireali confini e la portata, nonché le sue eventuali capacità di condizio-namento, prestando attenzione a tenerla a debita e salutare distanzadalle indagini e dal processo, nel quale come è noto non è ammesso ilriferimento alle c.d. voci correnti nel pubblico.

Al riguardo, deve registrarsi il conferente intervento dell’Autoritàper le garanzie nelle comunicazioni, che con la delibera n. //CS

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del gennaio ha provveduto a dettare le linee guida per unacorretta rappresentazione delle vicende oggetto di procedimenti giu-diziari, al fine di evitare in primis la produzione dell’abietto fenomenodella c.d. “gogna mediatica”.

Sul punto è necessaria una seria riflessione sui limiti del dirittodi cronaca che non può non tenere presente le garanzie costituzio-nali relative ai diritti inviolabili della persona, quali la riservatezza,l’onore, il decoro e la reputazione, così come non può non tenerepresente l’ineludibile principio costituzionale della presunzione di noncolpevolezza.

Si è consapevoli del fatto che l’interesse “morboso” per le vicendeomicidiarie contrassegnate da particolare efferatezza sia destinato adaumentare, e lo dimostrano il continuo proliferare di trasmissionitelevisive oltre alla pubblicazione di libri ed opuscoli, addirittura cor-redati da CD contenenti la ricostruzione multimediale ed interattivadegli accadimenti relativi agli omicidi, con la formulazione semprepiù approfondita di ipotesi circa la verificazione dei medesimi, coninevitabili riferimenti all’atteggiamento degli indagati, degli imputatima anche delle vittime e con conseguenti vere e proprie invasionidella sfera privata, che creano la lesione di quei beni della personalitàche non possono ritenersi venuti meno in nome di un generico dirittoall’informazione, che il più delle volte deborda in un incentivo allamera curiosità morbosa.

Come non ricordare al riguardo le code di “spettatori” in attesainnanzi all’Aula della Corte d’assise di appello di Torino, dove si ce-lebrava il processo a carico di Annamaria Franzoni, i quali facevanola fila sin dalle prime ore dell’alba, al freddo e al gelo, a costo di « . . .poterla guardare negli occhi!. . . per vedere se è colpevole o meno. . . »;così come è inevitabile il riferimento alla folla e alle urla di “assassino!”scandite all’indirizzo di un terrorizzato Alberto Stasi all’atto del dispo-sto fermo da parte della Procura di Vigevano, poi non convalidato dalGiudice per le indagini preliminari.

Oppure la caccia alle “megere” di Avetrana, processo quest’ultimodove il condizionamento mediatico ha portato a pericolosissime derive,costituite dalla diffusione dell’audio con tanto di trascrizione delledichiarazioni rilasciate all’Autorità Giudiziaria non solo delle personesottoposte ad indagine, ma addirittura delle persone informate sui fatti,con conseguente palese violazione degli obblighi di tutela del segreto

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investigativo, sul quale non sembra sia stata intrapresa alcuna iniziativa,neanche a titolo disciplinare dalla competente Procura viciniore.

In tale contesto, si è assistito ad un effluvio sempre continuo di:zoccoli e pigiami (caso Cogne); biciclette e computer (caso di Garla-sco); corde e cinture (caso di Avetrana), coltelli e reggiseni, come nelcaso in esame, che hanno finito per diventare una sorta di “totem”, maanche di “tabù”, per un pubblico sempre più stimolato ed invogliatoche finisce per convincersi che si tratti di elementi certi di accusa, cheinvece, alla luce della perizia, rifiutata in primo grado e poi inveceopportunamente disposta dalla Corte d’assise di appello, si sono poirivelati come del tutto insussistenti.

Sul punto, occorre ribadirlo, appaiono inutili crociate iconoclasti-che.

L’attenzione morbosa per le vicende di cronaca c’è sempre statae non verrà mai meno, e non c’è di certo bisogno di scomodare imanuali di psicoanalisi o di psicanalisi per rendersi conto di quanto ilprincipio Freudiano “Eros e Thanatos” continui ad imperare.

La pulsione di vita e la pulsione di morte, sono continuamentealimentate dai casi giudiziari che creano angoscia ma nello stessotempo ci rassicurano, consentendo a chiunque di sporgersi sull’orlodel precipizio, ma allo stesso tempo di potersene ritrarre all’ultimomomento; condizione, questa, che è in grado di scatenare una reazio-ne per la quale si avverte un senso di vertigine che crea sì angoscia,ma nello stesso tempo, anche sollievo, perché in ogni caso è fuoridi noi e non ci appartiene, finendo per creare un comodo esorcismocontro le angosce suscitate dagli omicidi soprattutto se “passionali”e/o comunque particolarmente efferati.

Tale situazione in ogni caso, a fini di civiltà, non solo giuridica,dovrebbe comunque trovare dei correttivi, in grado di consentire unaequilibrata e corretta informazione in ordine ai principi che guidanole indagini, il procedimento e il processo, che debbono sempre ecomunque essere ribaditi e a gran voce.

Si assiste invece, purtroppo, ad una costante proliferazione di tra-smissioni televisive e di speciali dove si analizzano i profili psicologici,i comportamenti, le preferenze sessuali, il tipo di abbigliamento (an-che intimo, il cui esame, come si vedrà infra, ha destato interesseprocessuale anche nel caso in disamina), sino a giungere all’esame esa-sperato ed esasperante delle espressioni del volto, che inevitabilmente

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portano alla costruzione di teoremi che, come nel caso in questione,hanno fatto diventare Amanda Knox, giudicata poi innocente, comecolei che avrebbe fatto esplodere la violenza orgiastica che ha avutocome tragico epilogo l’omicidio di Meredith.

Che tutta questa deriva possa inevitabilmente avere delle conse-guenze sul sistema giustizia, non è opinione solo di chi scrive, ma èstato addirittura oggetto di affermazione alla presenza del Presidentedella Repubblica (nel corso dell’Assemblea Plenaria del Consiglio Su-periore della Magistratura del febbraio , quando, all’indomanidella richiesta di tutela pervenuta dalla Procura della Repubblica diBari a seguito del “linciaggio mediatico” da questa denunciato conrichiesta di tutela al C.S.M., in relazione al ritrovamento dei poverifratellini di Gravina di Puglia ed al conseguente crollo dell’accusa diomicidio in danno del loro genitore Filippo Pappalardi, di lì a pocoscarcerato), da parte del Vice–Presidente pro–tempore dell’Organo diautogoverno della Magistratura, il quale ha testualmente affermato:« . . . Il sensazionalismo è spesso nemico della verità. Del resto, i medianon sempre sono tenuti alla verifica della verità ed i giudici — nonbisogna mai dimenticarlo — non amministrano la giustizia sull’ondadi umori mutevoli. La suggestione di ben costruite forzature mediati-che può stravolgere le indagine istruttorie e condizionare l’esito deiprocessi ».

A ciò si aggiunga, quanto, in modo decisamente preoccupante,si è stabilito a proposito del caso Cogne, nella sentenza con cui laCassazione ha messo la parola fine alla condanna in danno di Anna-maria Franzoni, nella quale, è stata ritenuta la legittimità dell’utilizzoai fini della disposta perizia sul vizio di mente, anche delle interviste(comprensive dei c.d. fuori onda) rilasciate dall’imputata, nonché ditutte le partecipazioni della medesima a trasmissioni televisive, sulpresupposto che: « . . . nessun vizio può ravvisarsi nell’utilizzazione, daparte dei periti, del contenuto di conversazioni intercettate e di filmatidi trasmissioni televisive svoltesi con la partecipazione della perizianda(peraltro solo marginalmente e cautamente valorizzate), la valutazionedella cui pertinenza e rilevanza [. . . ] rientra nelle competenze profes-sionali degli esperti ed, in seconda istanza, del giudice, in questa sedepotendosi, in linea generale, osservare che detti materiali appaionoutili ai fini dell’indagine in quanto comunque appartenenti al vissutodel soggetto », finendo in tal modo per determinare una pericolosa

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deriva verso perizie di tipo criminologico, decisamente estranee alnostro ordinamento, nel quale, come è noto, è avversato il ricorso altipo di autore.

Al riguardo, devesi invece salutare con favore, quanto avvenuto nelcorso del processo con rito abbreviato a carico di Salvatore Parolisi,per la nota vicenda relativa all’omicidio in danno della moglie, SignoraMelania Rea, nel quale il Giudice non ha ritenuto di acquisire agli atti,ai fini della decisione, una vera e propria consulenza criminologicasull’imputato, redatta su richiesta della Parte Civile. Tale condivisibilescelta operata dal Magistrato, risulta coerentemente e correttamentein linea con uno dei principi cardine del nostro diritto penale, che è,e rimane, nonostante i tentativi di incursione, un diritto penale delfatto, all’interno del quale, si può essere giudicati e puniti solo per ciòche realmente si è fatto e non per come si è, tanto meno, per come siappare.

. Conoscenze giuridiche e minimi etici degli “esperti”. Il neces-sario ed indifferibile intervento dell’Accademia e delle SocietàScientifiche di riferimento

Molto probabilmente i pericolosi approdi sopra descritti, derivanodalla disinvoltura con cui alcuni “esperti”, alcuni dei quali decisamente“soi disant”, intervengono nell’agone dibattimentale e prima ancora,negli ormai noti paralleli ed inevitabili processi televisivi (sic!), neiquali, sempre più ammaliati dal canto delle sirene della notorietà,ed a volte per non contraddire il conduttore di turno, col rischio dinon essere più chiamati in trasmissione, o comunque per malcelatiinteressi personali, si abbandonano a risposte e riflessioni estranee alrigore e al metodo scientifico, contribuendo in tal senso a determinarecadute di credibilità di discipline forensi che vantano invece stabili ecentenarie tradizioni accademiche.

Ciò finisce inevitabilmente per determinare un vero e propriodisdoro per le discipline medesime, cosa che purtroppo accade conil colpevole e compiacente silenzio da parte dell’Accademia, nonchédelle Società Scientifiche o degli Ordini Professionali di riferimento,che, invece di intervenire richiamando ad un attento ossequio della

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materie tecnico–scientifiche oggetto di discussione, tacciono e lascianofare.

Sul punto, come già più volte auspicato, è necessaria una fortepresa di coscienza, finalizzata alla creazione di apposite commissioni distudio, nonché all’obbligo in capo agli iscritti agli albi e/o comunquein capo agli esperti in genere, di attenersi ad una corretta diffusioneed informazione sui saperi scientifici, nonché sui limiti dei metodi edelle tecniche che inevitabilmente contraddistinguono questi ultimi,fornendo allo spettatore e prima ancora al cittadino, la possibilitàdi una corretta informazione, in modo tale da consentire a questi ilconsapevole raffronto tra la fiction di C.S.I. e la realtà vera.

Tutto ciò è ormai necessario, essendo del tutto inutile pensarechimericamente ad un intervento del Legislatore in materia, che, inogni caso, si appaleserebbe come inutile, se non preceduto da unapresa di coscienza da parte delle Comunità scientifiche di riferimentoe delle varie Società o Accademie, con un conseguente necessariocambio di mentalità. Per una più compiuta disamina sul punto, siaconsentito rinviare a quanto recentemente pubblicato da EdoardoMori, dall’eloquente titolo “La drammatica situazione delle Scien-ze Forensi in Italia”, un vero e proprio grido di dolore al riguardo,nel quale viene messa più volte in evidenza la necessità di “autore-volezza” degli esperti e delle Società a cui appartengono. Necessitàdi certificazione delle abilità ma anche dell’etica degli esperti, cosìcome condivisibilmente già sostenuto dal Prof. Sergio Lorusso, conconseguente necessario ricorso a sistemi di controllo dei requisiti daparte delle Società di riferimento, così come avviene ad esempio per laForensic Science Society, che subordina l’accoglimento delle domandedi iscrizione ad un rigoroso sistema di referees, i quali si impegnano agarantire la professionalità, ma anche l’etica dell’iscrivendo “esperto”.Una volta iscritti, non basta poi pagare la quota annuale di iscrizioneper potersi fregiare dell’appartenenza a quel contesto scientifico, masi è sottoposti ad un continuo costante “monitoraggio”, che passanon solo attraverso un ricorrente e controllato sistema di formazione

. E. M, La drammatica situazione delle Scienze Forensi in Italia, reperibile in Internetnella rivista on line www.earmi.it.

. S. L, Investigazioni scientifiche, verità processuale ed etica degli esperti, in Dir. pen.proc., , ss.

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continua, ma anche attraverso il recapito di una richiesta di pareresu un caso, che l’iscritto dovrà risolvere ed inviare in forma anoni-ma alla Society. Durante una riunione plenaria aperta, si provvederàpoi a dare lettura della risoluzione fornita dall’iscritto, la quale saràsottoposta alla valutazione e all’approvazione di una apposita commis-sione. Solo dopo l’esplicitazione del giudizio in ordine alla soluzioneadottata, si procederà ad aprire la busta anonima che accompagna ilcompito e si decideranno le sorti dell’iscritto medesimo in ordine almantenimento o meno della sua appartenenza alla Society.

Nel nostro Paese, come è noto, purtroppo, le cose vanno un po’diversamente e le Società Scientifiche di riferimento stentano ad adot-tare provvedimenti e prassi come quelle sopra descritte, così finendoper rendere sempre più labili i confini tra consulenti e periti apparte-nenti ad una data Comunità Scientifica in grado di garantire standarddi capacità e competenza ed un numero sempre maggiore di “esperti”auto–referenziati.

. Le irrisolte problematiche dei rapporti tra scienza e diritto

L’apporto della “prova scientifica”, rectius “prova tecnica”, nella condi-visibile accezione datane dal Prof. Giorgio Spangher, tende a rilevarsifondamentale ai fini della decisione, riproponendo, ancora una volta,la problematicità dei rapporti tra scienza e diritto, ormai contraddi-stinti non più e non solo dall’apporto delle c.d. scienze tradizionali,ma soprattutto da conoscenze sempre più sofisticate e complesse,soggette a continue evoluzioni, sulle quali spesso la stessa comunitàscientifica è profondamente divisa.

Circa le questioni sopra evidenziate, la Corte di cassazione ha giàavuto modo di pronunciarsi in occasione del noto “delitto di Cogne”,che ha tenuto desta l’attenzione dei media per lunghissimo tempo;stabilendo, con la sentenza n. / della Prima Sezione Pena-le, in tema di prova scientifica “nuova” (caso della B.P.A. BloodstainPattern Analysis) che, la stessa « . . . non si basa su leggi scientifichenuove od autonome, bensì sull’applicazione di quelle, ampiamente

. G. S, Brevi riflessioni, sparse, in tema di prova tecnica, in Scienza e processopenale, a cura di C. Conti, Milano, , ss.

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collaudate da risalente esperienza, proprie di altre scienze (matematica,geometria, fisica, biologia e chimica) che, in quanto universalmentericonosciute ed applicate, non richiedono specifici vagli di affidabi-lità ». La Suprema Corte ha altresì precisato che « . . . tale tecnica èprocessualmente riconducibile al genus della perizia (art. c.p.p.),. . . poiché la peculiarità dell’oggetto degli accertamenti non rende ilmezzo di prova atipico e pertanto non risulta necessaria la preventi-va audizione delle parti circa le modalità di assunzione della provamedesima, così come disposto dall’art. , ult. parte, c.p.p. ».

Il riconoscimento della “nuova metodica”, quale semplice mecca-nismo applicativo di scienze note e collaudate, ripropone con forza lanecessità che gli apporti scientifici, comunque li si voglia considerare,siano qualificati dal punto di vista scientifico e verificabili mediantela sottoposizione alla c.d. prova di resistenza, al fine di garantire cheil procedimento ed il processo si svolgano in modo da assicurare laformazione della prova nel “qualificato” contraddittorio delle parti,dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale, ma soprattutto, attraversoil contributo di esperti di provata capacità, di cui sia sempre possibileil controllo del curriculum professionale, l’appartenenza alla comunitàscientifica di riferimento, l’aggiornamento continuo, la certificazionedi qualità, nonché la conoscenza da parte di questi ultimi delle normeprocessuali e delle prassi inerenti la loro attività, in modo da consen-tirgli la comprensione delle conseguenze che il loro apporto potràcomportare, sia nella fase procedimentale che in quella processuale.

Ciò che sovente appare è che le indagini scientifiche ruotano spessosolo intorno all’indagato e finiscono per lo più per rappresentare ilmezzo attraverso il quale si può pervenire alla conferma o meno diuna data ipotesi investigativa.

. Il ruolo dei periti e dei consulenti tecnici

Quello che sempre più sembra mancare è una analisi criminalistica,intesa quale vero e proprio studio delle tracce (di tutte le tracce),che dovrebbe essere eseguita prescindendo da qualunque ipotesi inve-stigativa ed a tutto tondo sulla scena dell’evento, che sovente vieneimmediatamente denominata come “scena del crimine”, con conse-guente “automatico” incanalamento dei mezzi di ricerca della prova

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su precostituite piste investigative, cosa che il più delle volte comportala mancata evidenziazione di elementi che potrebbero invece rivelarsiutili alla soluzione del caso.

Per questo, soprattutto nelle prime fasi di indagine, durante il so-pralluogo e nel corso degli altri atti irripetibili, quale l’autopsia, appareopportuna, essendo nella quasi totalità dei casi ancora ignoto l’autoredel reato, la già richiamata previsione di un consulente difensivo “afutura memoria”, che vesta anche solo e semplicemente le vesti didiscussent, garantendo anticipatamente quella dialettica che, pur previ-sta dal nostro codice di procedura all’art. c.p.p., finisce il più dellevolte per essere totalmente disattesa, anche in ragione della presenza,da ormai circa un decennio, delle investigazioni difensive, che vengo-no sovente indicate, proprio dall’ufficio del pubblico ministero, qualestrumento che la difesa ha mancato di attivare al fine di ricercare glielementi a favore dell’indagato, quasi che ciò costituisca ormai unesclusivo dovere della difesa e non anche invece una attività dovuta eprevista dal Legislatore, a cui molto spesso la pubblica accusa si sottraesenza alcuna conseguenza, non prevedendo, tale mancato eserciziodi ricerca degli elementi a favore, alcuna sanzione, che invece de jurecondendo dovrebbe incominciare a profilarsi, quantomeno a livellodisciplinare.

Ed è proprio con riguardo al contesto delle indagini difensive chela richiamata esigenza di professionalità e competenza appare ancorpiù necessaria, al fine di garantire quei requisiti minimi che debbonopossedere i consulenti tecnici del difensore ex art. –bis c.p.p.; ciò,soprattutto per consentire il superamento del pregiudizio dato dalfatto che, per forza di cose, gli apporti provenienti dai consulenti delladifesa siano per loro stessa natura carenti del requisito della obiettivitàe della scientificità.

Rigore e metodo scientifico debbono costituire patrimonio comunesia per i consulenti della procura che per quelli della difesa, in ognicontesto procedimentale e processuale, ivi compreso quello previstodall’art. c.p.p.

Tale esigenza appare ormai irrinunciabile, atteso che la perizia e laconsulenza tecnica sono andate assumendo un ruolo fondamentale nelnostro sistema penale e ciò lo si evince non solo dai recenti epiloghiprocessuali, ma anche dalla nota decisione della Corte costituzionale n. del , relativa al giudizio di legittimità costituzionale dell’art. ,

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comma della legge luglio , n. (Istituzione del patrocinio aspese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui, per i consulentitecnici di parte, limitava la facoltà per l’imputato di godere degli effettidel beneficio del patrocinio a spese dello Stato ai soli casi in cui fossestata disposta perizia.

Nella Sentenza in esame, è stato particolarmente sottolineato ilruolo della consulenza tecnica extraperitale (art. c.p.p.) nel proces-so penale di tipo accusatorio, che, secondo una ormai consolidata ecostante giurisprudenza di legittimità, consente al giudice di trarredalle dichiarazioni dei consulenti tecnici gli elementi di prova che, nelvigente sistema processuale di parti, consentono alla difesa tecnica diassumere un ruolo centrale, meritevole di garanzie non meno dellatradizionale difesa esercitata dall’avvocato.

Si è venuto pertanto a creare, in forza della giurisprudenza costitu-zionale, un unitario e sistematico insieme di disposizioni, che portaa riconoscere che la facoltà di avvalersi di un consulente tecnico siinserisce ormai a pieno titolo nell’area di operatività della garanziaposta dall’art. della Costituzione.

Nell’ipotesi in cui la decisione da assumere coinvolga nozioni nelcampo della tecnica, dell’arte o delle scienze che non possono pre-sumersi nel giudice, la nomina di un perito finisce per costituire unvero e proprio dovere, atteso che l’art. c.p.p., secondo la Consulta,usa una terminologia che non evoca potestà discrezionali, lì dove siafferma che « la perizia é ammessa quando occorre svolgere indaginio acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenzetecniche, scientifiche o artistiche ».

La consulenza tecnica extraperitale é suscettibile di assumere pienovalore probatorio e pertanto il giudice non é vincolato a nominareun perito, qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gliappaiano oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenticonvincenti.

Deve inoltre tenersi presente che, conformemente all’attuale mo-dello accusatorio e sul fondamento dell’obbligatorietà dell’azione pe-nale, al pubblico ministero, é consentito avvalersi di esperti nei piùsvariati settori della scienza e della tecnica, senza limitazione di onerieconomici e pertanto, nella garanzia affermata dall’art. , ° comma,della Costituzione, non può non ritenersi compresa una istanza diriequilibrio tra le parti del processo penale nei procedimenti nei quali

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siano coinvolte persone sprovviste di mezzi ed ammesse al patrocinioa spese dello Stato.

È di tutta evidenza, dunque, che il consulente tecnico del difensore,al pari del consulente del pubblico ministero, abbia assunto un ruolofondamentale, ben potendo le sue “valutazioni”, essere poste a fonda-mento della decisione. Da qui, la necessità che tale figura corrispondarealmente a quelli che sono i criteri che il codice di rito fissa al riguar-do, e ciò, soprattutto, al fine di garantire che lo svolgimento di uncompito così delicato, quale risulta maggiormente oggi, alla luce dellecitate innovazioni legislative, rappresenti una garanzia nei confrontidi tutte le parti processuali.

La facoltà prevista dall’art. –bis c.p.p., relativa all’attività investi-gativa del difensore, ed in particolare, la prevista possibilità che perlo svolgimento della stessa il difensore possa conferire incarichi aconsulenti tecnici, « . . . quando siano necessarie specifiche competen-ze », necessita di immediati correttivi, atti ad evitare che tali attivitàdi consulenza, che come anticipato possono finire per assurgere alvalore di prova, vengano svolte da persone prive di quella “particolarecompetenza” che la legge prevede, nonché prive delle qualità “mo-rali” richieste dall’art. delle disposizioni di attuazione al codice diprocedura penale, e non soggette ad alcuna sanzione disciplinare.

Un primo immediato aggiustamento in tal senso potrebbe esserecostituito dalla necessità di istituire un albo comune dei consulentitecnici di accusa e difesa al quale possano accedere solo le persone inpossesso dei requisiti oggi previsti per l’iscrizione all’albo dei periti.

Ciò costituirebbe da subito una garanzia, in ordine al possesso dellespecifiche competenze in materia, nonché, in ordine alla “moralità”ed alla sottoponibilità a procedimento disciplinare in caso di violazioniinerenti le attività svolte.

A tutto questo, deve necessariamente e principalmente aggiungersil’appartenenza a riconosciute società scientifiche di riferimento, lasottoposizione ad un sistema di aggiornamento continuo inerente ladisciplina di competenza, la previsione della obbligatoria partecipazio-ne a specifici corsi di formazione e aggiornamento in materia, nonchéil necessario ricorso alla certificazione di qualità della attività svolta,cosa che dovrebbe riguardare non solo i singoli operatori ma anche ilaboratori dove vengono effettuati gli accertamenti forensi, al fine dievitare contaminazioni o violazioni della catena di custodia dei reperti,

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documentando ogni fase delle attività, come se si trattasse sempredi atti irripetibili, al fine di consentire a chiunque un controllo sulleoperazioni svolte e sulle metodiche utilizzate.

Sul punto va ribadito sempre e comunque il concetto che la “scien-za”, ammesso che di scienza si possa parlare, non può sostituirsi alragionamento, poiché a nulla valgono le abduzioni, le deduzioni, leinferenze et similia, quando il dato scientifico non venga inserito eanalizzato nel contesto nel quale deve essere letto e correttamente va-lutato. Prima ancora di procedere a tale operazione, vanno analizzatele modalità con cui tale dato è stato repertato, dovendosi consentire laverifica che le operazioni di ricerca dei mezzi di prova siano avvenutesenza contaminazioni sia durante la fase del sopralluogo che nel cor-so dell’autopsia, garantendo altresì la verifica della corretta catena dicustodia dei reperti.

Solo se vi è stato il preventivo rispetto di tali condizioni sarà pos-sibile in seguito pervenire all’analisi scientifica ed infine alla letturadialettica dei risultati relativi alle indagini stesse.

Quanto sopra dovrà avvenire con la consapevolezza che a prevaleredovrà essere sempre e solo l’evidenza del dato scientifico (best evidence)a nulla valendo la finezza dei ragionamenti scientifici e le possibilitrappole sillogistiche che ne possono derivare.

In buona sostanza, la prova scientifica deve costituire solo lo stru-mento attraverso il quale giungere o meno alla validazione di ipo-tesi che non potranno mai essere astratte dal contesto al quale siriferiscono.

Ciò potrà avvenire solo mediante una corretta e razionale letturain termini criminodinamici e criminogenetici dei dati raccolti, chenon dovrà mai perdere di vista il nesso logico e la concatenazionecausale tra i dati di fatto, oggetto della osservazione scientifica, e laloro valutazione.

Bisognerà pertanto disporre sempre del massimo di informazionidirette disponibili, per cui se è possibile visitare ed osservare la sce-na dove è avvenuto l’evento criminoso bisognerà farlo di persona,rinunciando ad accontentarsi del semplice materiale fotografico edevitando, per quanto possibile, l’abusato ricorso alla ricostruzione tri-dimensionale che non potrà mai sostituire la dinamica reale dei fatti;così come, non bisognerà mai anteporre le elaborazioni ai fatti, le im-magini agli oggetti e le ipotesi agli avvenimenti. E ancora, bisognerà

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La sentenza assolutoria della Corte d’assise d’appello di Perugia

sempre partire solo ed esclusivamente da dati certi e verificabili perpoter formulare deduzioni logiche ed inferenze empirico induttive,altrimenti non si potrà che pervenire a conclusioni incerte ed illusorie.In tale contesto, come suggerito dal Prof. Francesco Bruno, bisogne-rà guardarsi da conseguenze sillogistiche che possono risultare falseed indimostrabili (tutti gli uccelli hanno le piume, il bersagliere ha lepiume, il bersagliere è un uccello). In definitiva il ragionamento nonpotrà mai sostituire l’evidenza della realtà, ma dovrà solo sforzarsi dicomprenderla altrimenti si cadrebbe nel sofisma per cui il piè veloceAchille non dovrebbe mai raggiungere la tartaruga.

Tale metodo, valido per i consulenti dovrebbe valere anche per ilgiudice e per il suo libero convincimento. Quest’ultimo, nel momen-to in cui risulti l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza delriscontro probatorio dovrà pervenire alla neutralizzazione dell’accusae alla conseguente declaratoria di non colpevolezza.

Il nostro codice stabilisce che l’esistenza di un fatto non può esseredesunta da indizi, a meno che questi non siano gravi precisi e concor-danti; ciò può essere tradotto in termini pratici con la regola che soloquando vi siano indizi pieni, aventi le caratteristiche sopra richiamate,si possa dar luogo al giudizio, essendo precluso il ricorso alla sommadi porzioni di indizi, dovendo sempre e comunque prevalere la regolain ragione della quale mezzo indizio sommato a mezzo indizio fa zeroindizi e non un indizio pieno, al contrario di chi ritiene, che mezzoindizio sommato a mezzo indizio non faccia una “prova”.

Il tentativo di comprendere ex post che cosa sia veramente o “vero-similmente” accaduto è esercizio arduo che non può essere governatounicamente dalla tecnologia e dalla scienza, ma deve essere sorrettodalla logica argomentativa, nel contraddittorio delle parti e semprenel rispetto dei principi del giusto processo.

Potrà pertanto correttamente pervenirsi ad una sentenza di condan-na, solo quando questa si basi su un accertamento giudiziale sostenutoda certezza razionale. L’ipotesi accusatoria dovrà essere necessaria-mente sottoposta a tentativi di confutazione, proprio mediante lostrumento del dubbio, in un contesto che, come condivisibilmen-

. F. B, N. F, A. B, Crime Scene Integrated Investigation – the criminolo-gist’s role, in Atti del Workshop della Mediterranean Academy of Forensic Sciences (MAFS),– giugno – Reggio Calabria.

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Natale Fusaro

te sostenuto da Iacoviello, deve essere caratterizzato non da una« epistemologia verificazionista, indirizzata alla ricerca della coerenzalogica dell’ipotesi accusatoria e la sua compatibilità con i fatti », bensìda una « epistemologia falsificazionista, che sottoponga l’ipotesi accu-satoria a sistematici tentativi di confutazione », ed infine, alla verificadell’intero quadro decisionale mediante la sottoposizione di quest’ulti-mo a quella che in gergo viene definita “prova di resistenza”, attraversouna lettura d’insieme del dato scientifico che non dovrà mai essereslegata dal contesto fattuale, all’interno del quale, il raggiungimentodel risultato finale, dovrà sempre consentire una verifica a ritroso del-l’equazione. In buona sostanza, due più due dovrà continuare a farequattro, non potendo fare né cinque, né tre.

. Il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio e la decisione inesame

La sentenza in commento ha fatto buon governo degli spunti argo-mentativi sopra enunciati, avendo il pregio di parlare, come anticipato,un linguaggio semplice, in grado di far comprendere a chiunque il por-tato della tessitura motivazionale della stessa ed il costante richiamoal rispetto del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

Attraverso la lettura delle motivazioni è agevole comprenderecome l’ipotesi accusatoria sia stata poggiata su numerose congettu-re, prive di validi riscontri obiettivi ed addirittura spesso frutto diinammissibili incursioni nella colpa d’autore, sconfinate finanche nellavalutazione del comportamento tenuto da Amanda Knox all’indoma-ni del delitto, quando si reca in un negozio di biancheria intima adacquistare “addirittura” un “tanga”.

Su tale dato, correttamente e condivisibilmente, la Corte d’assised’appello andando al di là di quelle che appaiono come delle vere eproprie “stigmatizzazioni” da parte dell’accusa, ha acceso i lumi dellaragione, invitando ad una riflessione sul fatto che, Amanda, essendocostretta fuori di casa, per via della sottoposizione a sequestro dell’ap-partamento all’interno del quale conviveva con la vittima, ha avuto

. F.M. I, Lo standard probatorio dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio” e il suocontrollo in cassazione, in Cass. pen., , p. ss.

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la naturale “fisiologica” necessità di munirsi di biancheria intima diricambio; ed il fatto che la scelta di tale tipo di indumento sia ricadutaaddirittura su un “tanga”, non sposta di nulla i termini della questione,poiché è notorio, come testualmente riportato a p. della Sentenzain disamina, che l’aver acquistato un “tanga”, piuttosto che un mo-dello di mutande più severo, non possa davvero essere consideratomanifestazione di animo insensibile ed incline ad oscenità, trattandosi,in base a comune esperienza, di un capo alla moda largamente diffusotra signore giovani e meno giovani.

In tal modo la Corte d’assise ha “neutralizzato”, con parole edesempi semplici che parlano al “popolo” e che richiamano alla ra-gione, il teorema dell’accusa, volto ad individuare nell’imputata unainammissibile profilo di colpa di autore.

Apprezzabile al riguardo risulta l’impianto motivazionale adottatodalla Corte con riferimento agli “atteggiamenti” tenuti dalla Knox edal Sollecito nel momento del rinvenimento del cadavere della poveraMeredith e nei giorni successivi, “atteggiamenti” posti dalla Corted’assise di primo grado addirittura tra gli elementi “indizianti” utiliper pervenire alla decisione di condanna poi adottata.

A pagina della Sentenza in commento, si richiama significati-vamente quanto affermato in sede di requisitoria dall’Ufficio dellaPubblica Accusa, in ordine al fatto che durante la proiezione in auladelle foto del corpo straziato della Vittima, gli imputati non avreb-bero guardato tali fotografie ma sarebbero stati con gli occhi bassi,ritenendosi tale “atteggiamento” ancora una volta come indicativo direità.

La Corte, rifiutando saggiamente sul punto, l’adesione a prospetti-ve di taglio decisamente inquisitoriale ed evocative di pratiche ordali-che limitrofe allo judicium feretri, ha ritenuto che ai comportamenti inesame, « . . . qualora in ipotesi veri. . . » non possa attribuirsi alcun valo-re indiziario di colpevolezza, essendo innumerevoli i modi di reagiredi ogni essere umano dinanzi a situazioni tragiche, ritenendo altresì“pericoloso” prendere in considerazione elementi non obiettivamenteapprezzabili, pervenendo, condivisibilmente, al convincimento chepossano essere infinite le reazioni individuali degli esseri umani anchenelle tragedie più sconvolgenti, così come, lo sono d’altronde nei fattidella vita quotidiana.

Con riguardo poi al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio,

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la Corte, con motivazione ampia e condivisibile, non ha tenuto inalcun conto il richiamo proveniente dalla Pubblica Accusa di non daretroppo peso alla espressione “al di là di ogni ragionevole dubbio”costituente a detta della Procura solo una affermazione di principiopleonastica, con la quale il legislatore avrebbe semplicemente recepitoconcetti già elaborati dalla giurisprudenza.

Al riguardo, diversamente opinando, la Corte ha correttamente edecisamente preso distanze siderali da tale prospettiva, che svilisceil significato profondo che il legislatore ha voluto invece dare a taleprincipio, che con la riforma del non è stato di certo sottopostoad una mera operazione di “chirurgia estetica”, ma armonizzato conl’art. Costituzione, dal ché ne discende il principio, fatto proprio inSentenza che « . . . per pervenire ad una pronuncia di condanna, non èsufficiente che le probabilità dell’ipotesi accusatoria siano maggioridi quelle della ipotesi difensiva, neanche quando siano più numerose,ma è necessario che ogni spiegazione diversa dalla ipotesi accusatoriasia, secondo un criterio di ragionevolezza, niente affatto plausibile. Inogni altro caso si impone l’assoluzione dell’imputato ».

Conclusivamente e sinteticamente la Corte d’assise d’appello, conla sentenza in disamina è pervenuta al riconoscimento dell’insussisten-za materiale prima ancora che di quella relativa all’equivocità deglielementi indiziari, applicando correttamente l’equazione di cui si èdetto infra, in ragione della quale, « mezzo indizio sommato a mezzoindizio fa zero indizi » e non un indizio completo.

Anche questa volta, il ragionamento seguito dalla Corte è alla por-tata del “popolo” e la sentenza risulta davvero emessa “in nome delpopolo”, poiché viene data una visione plastica della motivazione,mediante il ricorso all’allegoria dei “mattoni” che sorreggono unacostruzione, i quali, ad avviso della Corte d’assise d’appello, nel casodi specie, non esistono proprio nella loro materialità, per cui non è pos-sibile dare una diversa ricollocazione agli stessi, tale da non consentireproprio l’attuazione del progetto architettonico disegnato, mancandodel tutto il materiale necessario per la costruzione medesima. È pro-prio il venir meno degli elementi materiali del progetto accusatorioche non consente di poter pervenire ad una pronuncia di colpevolezzaal di là di ogni ragionevole dubbio.

Allegoricamente è come se il “castello accusatorio” crollasse sottoi colpi della logica e della corretta e costituzionalmente orientata

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applicazione dell’art. c.p.p.Tra le cariche detonanti più significative, vi è stata, senza dubbio

quella relativa alla disposizione della perizia, negata dalla Corte d’assi-se di primo grado, sul presupposto della ritenuta mancata rilevanzadel carattere della assoluta necessità della stessa ai sensi del c.p.p.Sul punto la Corte d’assise d’appello, ha, diversamente opinando, inprimis, ritenuto di invertire l’onus probandi circa l’assenza di eventualecontaminazione dei reperti, molti dei quali provenienti da accertamen-ti irripetibili effettuati in sede di “sopralluoghi”, onere, che è statocorrettamente ritenuto gravare sull’Accusa, la quale deve avvaloraree dimostrare l’assenza di alterazioni intervenute al momento dellarepertazione e/o successivamente, poiché, ove non si dimostri il ri-spetto della buone pratiche, delle linee guida e/o dei protocolli in usonella raccolta delle tracce, l’impossibilità di escludere l’intervento dicontaminazione finisce per ripercuotersi inevitabilmente sull’attendi-bilità “a monte” del dato raccolto, sul quale risulta del tutto inutile losvolgersi di ogni altro esagerato artifizio di scientificità, essendo deltutto evidente che se non vi è certezza della “base” diventa del tuttoinutile avventurarsi in ipotetiche determinazioni o rideterminazionidi ipotetiche altezze.

La Corte d’assise d’appello di Perugia ha correttamente ed op-portunamente ritenuto come necessaria la disposizione di una verae propria perizia sul “metodo”, che ha avuto ad oggetto non solole modalità con cui è stato effettuato il sopralluogo, rectius “i ripetutisopralluoghi”, ma anche le modalità inerenti i rilievi e gli accertamenti.

Disamina peritale, che si è svolta in un costante e “serrato” contrad-dittorio tra le parti, sin dal momento della formulazione dei quesiti edel conferimento dell’incarico, e sino alla fase finale dell’escussionedei Periti stessi nel contraddittorio dell’aula, quale momento necessa-rio e prodromico all’ingresso delle conclusioni peritali nel materialesu cui basare la decisone.

L’avvenuto mancato e accertato rispetto delle best practices da partedei Periti nominati dall’assise, ha conseguentemente ed inevitabilmen-te provocato l’inattendibilità a monte degli elementi di partenza e laloro conseguente impossibilità di utilizzo. Tali elementi come è notosono plasticamente e sostanzialmente riconducibili alla non provatapresenza del DNA di Amanda sul coltello che l’Accusa ha ritenutoutilizzato per uccidere la povera Meredith, sulla cui lama, diversamen-

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te da come sostenuto nella sentenza di prime cure, non vi sarebbeinvece alcuna traccia del DNA di quest’ultima, unitamente all’ormaitristemente famoso gancetto del reggiseno della vittima medesima,sul quale non vi sarebbe affatto il DNA di Raffaele Sollecito, circostan-ze ritenute invece come “certe” e scontate nella decisione di condannain primo grado.

La “prova regina” non ha dunque resistito alla sottoposizione allaprova di resistenza, ha vacillato ed alla fine il castello accusatorioè crollato, proprio perché durante la costruzione dello stesso nonè stato tenuto in conto il doveroso e necessario rispetto dei criteridettati dalla scienza delle costruzioni, che come è noto, includononecessariamente anche le valutazioni inerenti il c.d. “rischio sismico”.

I periti e la perizia, sono stati sottoposti ad un contraddittorio ser-rato, che ha consentito alla Corte di pervenire “oltre ogni ragionevoledubbio” a fare proprie le conclusioni rassegnate dai medesimi, con-clusioni che sono state scandagliate e processate attraverso l’ideale enecessario scanner dell’agone processuale, mediante una disaminameticolosa e approfondita, che ne ha comportato, infine l’acquisizioneed il recepimento ai fini della decisione.

. Dopo la Sentenza

Nel corso di una Conferenza Internazionale su « Il lato nascosto deiprofili del DNA: gli artefatti, gli errori e le prove incerte », che si ètenuta a Roma il e maggio scorso, i maggiori esperti mondialidel DNA, si sono ritrovati a discutere in un contesto squisitamentescientifico, anche delle problematiche emerse nel corso della periziain questione. Dai lavori congressuali ed in particolare dagli interventidel Proff. P. Gill, D. Balding e B. Budowle, eminenze mondiali in temadi valutazione, esame ed analisi dei profili del DNA e delle conseguen-ti modalità di raccolta, ed eventuale contaminazione, è emersa unapositiva valutazione in ordine all’operato dei periti e alle risposte daquesti fornite circa i quesiti posti dalla Corte d’assise d’appello.

Circa le reazioni di tipo politico–parlamentare, resta ancora sen-za risposta da parte del Ministero dell’Interno, del Ministero dellaGiustizia e del Ministero della Difesa, sia pur ripetutamente solleci-tata, l’interrogazione a risposta scritta presentata all’indomani della

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sentenza in commento, con la quale si chiedeva conto dell’operatodella Polizia Scientifica in ordine alle attività di sopralluogo e di reper-tazione, rivelatesi foriere di effetti contaminativi tali da minare ognipossibile esame dei reperti.

Nell’interrogazione in questione, si ribadisce il fatto che la provascientifica sia ormai diventata un elemento fondamentale nell’econo-mia del processo penale e che, al fine di ottenere risultati fruibili eattendibili, lo svolgimento di un indagine scientifico–forense debbaessere affidata a personale dotato di riconosciuta competenza tecnicanello specifico settore di applicazione.

Gli operatori in questione, secondo i Parlamentari, firmatari del-l’interrogazione stessa, dovrebbero avere una solida preparazione inmateria e mantenersi in linea con le moderne conoscenze ed i pro-tocolli adottati dalla comunità scientifica internazionale. Ribadendosicome assolutamente necessario, a tali fini, il fatto che il personaleoperante nel settore delle Scienze Forensi, sia soggetto a periodicoaggiornamento, a pena di gravi conseguenze per le indagini di poliziae per le persone sottoposte a giudizio.

Nell’atto parlamentare, in esame, si lamenta, che in seguito alla pe-rizia disposta dalla Corte d’assise d’appello di Perugia, sia emerso cheil personale della Polizia Scientifica che ha proceduto al sopralluogosulla scena del crimine ed alle successive analisi biologiche sui reperti,abbia effettuato una serie di gravissimi errori nella consulenza tecnicadel primo grado di giudizio, contestandosi al medesimo personale nel-l’ordine: il non aver utilizzato procedimenti analitici scientificamentevalidati; il non aver seguito le procedure internazionali di sopralluogoed i protocolli internazionali di raccolta e campionamento del reperto;il non aver escluso eventuali fenomeni di contaminazione verificatasiin una qualunque fase della repertazione e/o manipolazione e/o deiprocessi analitici seguiti, concludendo in ordine alla necessità di cono-scere quale sia il danno erariale venutosi a determinare, nonché qualisiano i danni materiali e morali a carico degli imputati che hanno subi-to oltre tre anni di regime carcerario, arrecati dall’eventuale imperiziadei consulenti della Polizia Scientifica nel primo grado di giudizio.

L’interrogazione, insiste circa la richiesta di chiarimenti in ordine aquali siano le procedure ed i protocolli relativi al sopralluogo, reperta-mento ed analisi dei reperti adottati e imposti al personale operantenella Polizia Scientifica e nel Reparto Investigazioni Scientifiche del-

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l’Arma dei Carabinieri e, se tali procedure e protocolli, a prescindereda eventuali accreditamenti di qualità, siano conformi a quelli dettatidalla comunità scientifica internazionale e dagli organismi maggior-mente riconosciuti quali l’FBI e l’ENFSI, nonché, ponendo domandein ordine agli strumenti attraverso i quali tali protocolli e proceduresiano stati portati a conoscenza del personale delle forze di poliziaoperanti nel settore forense ad ogni livello: pubblicazioni, direttive ecircolari; nonché su quali siano state negli ultimi cinque anni le atti-vità di aggiornamento, qualificazione e controllo promosse a favoredel personale delle forze di polizia operanti nel settore forense, spe-cificando e distinguendo quelle rivolte al livello dirigente/direttivoda quelle destinate al rimanente personale; ed ancora, se nei quadriorganici della Polizia Scientifica e del R.I.S. dell’Arma dei Carabinieri,il personale a livello dirigente/direttivo appartenga ai ruoli tecniciprevisti, ovvero se vi siano dei casi in cui tali posizioni siano indebita-mente occupate da personale appartenente ad altri ruoli o sprovvistodei requisiti necessari. Da ultimo, l’interrogazione si conclude conla sottoposizione ai Ministri interrogati del quesito in ordine al fattose i medesimi non intendano adottare delle iniziative atte a favorireun adeguato e costante addestramento del personale della PoliziaScientifica e del R.I.S. dell’Arma dei Carabinieri, che materialmentesvolge le indagini tecniche, e nelle more, verificare urgentementela sussistenza dei requisiti necessari per garantire l’attendibilità deirisultati di laboratorio.

Nell’attesa che i Ministri interrogati, forniscano adeguate risposte,si segnala da ultimo il positivo interesse delle Università sul tema, ed inparticolare, dell’Università di Roma “La Sapienza”, nella quale, pressola Facoltà di Giurisprudenza, sono stati tenuti una serie di seminari egruppi di studio sull’argomento, che hanno posto studenti e docentiin un contesto di proficuo e florido confronto sulle tematiche relativea tutte le questioni discusse ed emerse nel processo di Perugia edin altri processi tuttora in corso di svolgimento, mantenendo vivol’irrinunciabile e fondamentale interesse dell’Accademia su tali temati-che, interesse ulteriormente coltivato e sviluppato anche grazie allaprogrammazione di Convegni sul tema della prova tecnico–scientifica,che tengono sempre vivo l’interesse della Scuola di Criminologia diRoma sulle tematiche che sono oggetto di una ormai ultra centenariatradizione ed impegno accademico.

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Sul punto, un ultimo doveroso accenno all’interesse dimostratodai frequentanti della decima edizione del Master in Scienze Foren-si dell’Università di Roma “La Sapienza”, i quali hanno aderito allarichiesta di predisposizione di una nota di commento alla sentenzain disamina, relativa oltre che alla valutazione del generale portatodella tessitura motivazionale della stessa, alla particolareggiata analisidi tutte le problematiche inerenti le attività di sopralluogo e reperta-zione, nonché in ordine alla valutazione degli indizi e alla formazionedella prova tecnico–scientifica, che costituiscono oggetto di studioteorico corredato da seminari ed esercitazioni pratiche durante l’interosvolgersi dell’anno accademico di riferimento.

I risultati dello studio, attualmente ancora in fase di elaborazione,hanno consentito preliminarmente di verificare che su un campione ditrentacinque frequentanti, solo il nove per cento degli stessi, corrispon-dente a tre frequentanti, ha manifestato disaccordo con la decisioneassolutoria a cui la Corte d’assise d’appello di Perugia è pervenuta. Ilresto dei frequentanti, aderendo alla soluzione assolutoria ha postol’accento sulle tematiche già sopra richiamate, proponendo soluzionipratiche ed immediatamente operative, quali la predisposizione diun albo o registro comune di consulenti, gestito congiuntamente,mediante il ricorso ai protocolli di intesa, dai Tribunali e dalle CamerePenali, a cui possano attingere sia l’accusa che la difesa, con la finalitàche il ricorrente incrociato conferimento di incarichi possa portare aduna maggiore responsabilizzazione del ruolo in ordine al saper fare eal saper essere, che l’esperto deve mettere in primis al servizio dellaGiustizia, e non della singola parte.

Il tutto prestando sempre doveroso ossequio al rigore e al metodoscientifico, « . . . al fine di guidare rettamente la propria ragione e cer-care la verità nelle scienze »; così come scriveva nel sottotitolo alla SuaMagistrale Opera “Discorso del metodo”, René Descartes, nell’ormailontano ; testo quest’ultimo di cui si raccomanda vivamente lalettura o la rilettura.

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