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LA TUTELA PENALE DELLONORE COME DIRITTO DELLA PERSONALITÀ Roberto Guerrini SOMMARIO 1. La intrinseca problematicità del bene onore. 2. Le singole concezioni storica- mente avanzate. 3. La tutela penale dell’onore: una parabola in ormai avanzata fase discendente. 4. Sintesi delle proposte di riforma. 1. La intrinseca problematicità del bene onore Il tema da me prescelto, incentrato sulla problematica tutela penale del dirit- to all’onore, presenta una particolare connessione con un aspetto della recente e pregevolissima attività che Francesco Palazzo ha svolto sul côté “legislativo” della sua multiforme attività, quale Presidente della commissione incaricata di redigere i decreti attuativi della legge delega n. 67/2014, con particolare riferimento alla ri- forma della disciplina sanzionatoria di certi reati e con contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili. Il tema della tutela penalistica dell’onore si giova, com’ è noto, di una riflessio- ne dottrinaria assai ampia e molto risalente, che si intreccia con la costruzione stessa del concetto di bene giuridico. Ci ricordava Enzo Musco 1 come proprio la problema- tica dei delitti contro l’onore abbia rappresentato nell’opera di Birnbaum 2 origine e conferma della concezione del reato come violazione di un bene giuridico. Ma più in generale, Adelmo Manna rilevava come l’onore sia «il bene forse più tradizionale certamente il più antico (tra i diritti della personalità)» 3 . Nonostante la mole ed il numero dei contributi offerti sul tema dell’onore come bene giuridico penale è facile rilevare una perdurante sensazione di indeterminatezza, nebulosità di certi passaggi definitori, inafferrabilità dei contenuti, che chiaramente stridono con i necessari Testo della relazione tenuta al Convegno in onore di Francesco Palazzo, dal titolo La tutela della persona umana. Dignità, salute, scelte di libertà, svoltosi a Pisa, il 12 ottobre 2018. 1 Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974, p. 62 e ss. 2 Il riferimento è chiaramente già nel titolo all’opera di J.M. BIRNBAUM, Über das Erforderniss ei- ner Rechtsverletzung zum Begriffe des Verbrechens, mit besonderer Rücksicht auf den Begriff der Ehrenkränkung, in “Archiv des Criminalrechts, Neue Folge”, 1834, p. 149 e ss. 3 A. MANNA, Beni della personalità e limiti della protezione penale, Padova, 1989, p. 177. in disCrimen dal 21.12.2018

LA TUTELA PENALE DELL ONORE COME DIRITTO DELLA … · La tutela penale dell’onore come diritto della personalità 3 templato nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”

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LA TUTELA PENALE DELL’ONORE COME

DIRITTO DELLA PERSONALITÀ

Roberto Guerrini SOMMARIO 1. La intrinseca problematicità del bene onore. — 2. Le singole concezioni storica-

mente avanzate. — 3. La tutela penale dell’onore: una parabola in ormai avanzata fase discendente. —

4. Sintesi delle proposte di riforma.

1. La intrinseca problematicità del bene onore

Il tema da me prescelto, incentrato sulla problematica tutela penale del dirit-

to all’onore, presenta una particolare connessione con un aspetto della recente e

pregevolissima attività che Francesco Palazzo ha svolto sul côté “legislativo” della

sua multiforme attività, quale Presidente della commissione incaricata di redigere i

decreti attuativi della legge delega n. 67/2014, con particolare riferimento alla ri-

forma della disciplina sanzionatoria di certi reati e con contestuale introduzione di

sanzioni amministrative e civili.

Il tema della tutela penalistica dell’onore si giova, com’è noto, di una riflessio-

ne dottrinaria assai ampia e molto risalente, che si intreccia con la costruzione stessa

del concetto di bene giuridico. Ci ricordava Enzo Musco1 come proprio la problema-

tica dei delitti contro l’onore abbia rappresentato nell’opera di Birnbaum2 origine e

conferma della concezione del reato come violazione di un bene giuridico. Ma più in

generale, Adelmo Manna rilevava come l’onore sia «il bene forse più tradizionale

certamente il più antico (tra i diritti della personalità)»3. Nonostante la mole ed il

numero dei contributi offerti sul tema dell’onore come bene giuridico penale è facile

rilevare una perdurante sensazione di indeterminatezza, nebulosità di certi passaggi

definitori, inafferrabilità dei contenuti, che chiaramente stridono con i necessari

Testo della relazione tenuta al Convegno in onore di Francesco Palazzo, dal titolo La tutela della persona umana. Dignità, salute, scelte di libertà, svoltosi a Pisa, il 12 ottobre 2018.

1 Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974, p. 62 e ss. 2 Il riferimento è chiaramente già nel titolo all’opera di J.M. BIRNBAUM, Über das Erforderniss ei-

ner Rechtsverletzung zum Begriffe des Verbrechens, mit besonderer Rücksicht auf den Begriff der Ehrenkränkung, in “Archiv des Criminalrechts, Neue Folge”, 1834, p. 149 e ss.

3 A. MANNA, Beni della personalità e limiti della protezione penale, Padova, 1989, p. 177.

in disCrimen dal 21.12.2018

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profili di certezza che devono caratterizzare l’intervento tutelare attuato con la più

severa delle sanzioni. Ciò è derivato forse dall’irriducibile varietà dell’essenza pre-

giuridica del bene onore, come indicava Spasari4, o forse dall’influenza sull’esegesi di

un confuso quadro normativo-penale di riferimento, rimasto sostanzialmente intatto

fino a due anni fa, sotto il profilo delle definizioni legali delle fattispecie di ingiuria e

diffamazione: il ricorso ad una pluralità di categorie semantiche (positivizzate: come

onore decoro, reputazione, ed anche extracodicistiche, come la dignità) ha spesso in-

dotto confusione ed incertezza, ostacolando ricostruzioni unitarie del bene di cate-

goria ed evocando distinzioni spesso evanescenti, bisognose di chiarificazione. Cer-

tamente, più di altri beni, l’onore consta di radici non naturalistiche5, ma sociologi-

co-culturali, difficili da catturare nel rendering6 normativo.

Le tesi formulate dalla dottrina nello scorso secolo e maturate nella ricerca di un

concetto di onore penalmente tutelabile, sembrano sempre partire da un rilievo critico

di indeterminatezza e nebulosità verso il pensiero che precede, per approdare a con-

clusioni che continuano poi a risultare affette dallo stesso vizio, in una struttura a do-

mino che non trova una parola conclusiva, neanche dopo l’arricchimento della dimen-

sione costituzionale. Tale sconsolante disamina induce poi taluno a dubitare della stes-

sa conseguibilità di un concetto di onore in sé, che possa nello stesso tempo prestarsi

accettabilmente a generalizzazione normativa e a sufficiente determinazione concreta.

Tuttavia, a nessun studioso dell’argomento in oggetto è mai sembrato eludibile

il tentativo di ricostruire i contenuti dell’onore come bene giuridico penalmente tu-

telabile, soprattutto in tempi di accesa discussione politico criminale su evoluzioni

nomodinamiche nella tipologia di tutela; a questa prova non si sottrae neanche il più

recente contributo in materia, proveniente da Arianna Visconti, che ci sembra per-

venire a conclusioni più chiare, nell’ingente contesto di pensiero penalistico passato

in rassegna. È certo che, al di là delle definizioni contingenti, l’onore anche in pro-

spettiva storica, appare sempre occupare una solida posizione centrale tra i diritti

della persona, quale costante attributo di necessaria tutela.

Anche se non sempre esplicitato con la chiarezza di cui all’art. 5 della Grundge-

setz tedesca, l’onore è accolto e riconosciuto dalle Costituzioni di molti Stati ed è con-

4 Diffamazione e ingiuria (dir. pen.), in “Enc. dir.”, vol. XII, Milano, 1964, p. 483. 5 V. sul punto, A. VISCONTI, Reputazione, dignità, onore. Confini penalistici e prospettive politico

criminali, Torino, 2018, p. 318. 6 Per l’uso di questa brillante espressione v. M. PAPA in “Fantastic voyage”, Torino, 2017, 55 e ss.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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templato nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (art. 12)7 e nella “Con-

venzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamenta-

li”8 ove l’art. 10 pone la tutela della reputazione come limite alla libertà di espressione.

Ripensando le novelle che hanno interessato in quasi novant’anni il complessi-

vo sistema normativo dei delitti contro l’onore si può aver l’impressione di un cospi-

cuo quadro di interventi normativi e tumultuose proposte di riforma, solo abortite,

in una mutazione di contesti cronologici assai vistosa, sia sotto il profilo politico isti-

tuzionale, che sotto quello socioculturale e tecnologico. Nell’impossibilità di ricorda-

re qui tutti gli interventi riformatori, si ricordi che essi cominciano subito nel 1944

con la reintroduzione della “Exceptio veritatis”, e poi ancora nel 1948 con la legge

sulla stampa. Via via si sommano altre significative novelle, per giungere all’ impor-

tante interferenza sanzionatoria del d.lgs. n. 274/2000 che con l’introduzione della

competenza penale del giudice di pace interessa in maniera decisiva le pene previste

per l’ingiuria, anche aggravata e per la diffamazione semplice e aggravata dal fatto

determinato. Le molteplici riforme, assai spesso solo abortite, culminano con il d.lgs.

n. 7/2016, recante la trasformazione del delitto di ingiuria in illecito civile tipizzato,

sanzionato con pene pecuniarie “civili”, ma intatto nella originaria struttura descrit-

tiva di fattispecie: con questo intervento le proposte depenalizzatrici, futuribilmente

avanzate da una parte della dottrina quasi trent’anni anni prima, hanno visto un

principio di realizzazione.

Nonostante il fermento novellistico appena evocato, ci sembra condivisibile la

recente affermazione della Visconti, per cui non può dirsi che sia incisivamente mu-

tata la caratterizzazione complessiva del bene onore nel nostro ordinamento, nei

confini di tipicità tra ingiuria e diffamazione (anche se ormai appartenenti a diversi

settori di illecito), e nel perdurante deficit di determinatezza.

Ricostruire con maggior precisione il contenuto del bene onore appare tuttavia

questione della massima importanza. La tutela sanzionatoria dell’onore presuppone,

per sua intima essenza, un bilanciamento delicatissimo, che incide su beni primaria-

mente caratterizzanti lo Stato liberaldemocratico e pertinenti alla libertà di manife-

stazione del pensiero, di informazione, di critica politica, e ricerca scientifica. E se

per questi motivi appare comprensibile l’invito a non enfatizzare le “questioni di o-

7 Art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, (ratificata dall’Italia con L.

25/10/1977, n. 881): «nessuno può essere sottoposto … a illegittime offese al suo onore ed alla sua re-

putazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze ed offese». 8 Art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-

mentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848.

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nore”,9 ci sembra che, oggi più che mai, il bene in oggetto, depurato di significati ob-

soleti ed anacronistici, rivesta una funzione essenziale nelle dinamiche relazionali

della società moderna, quale presupposto protettivo della personalità per una positi-

va e rispettosa attuazione di connessioni interindividuali10. La reputazione non è mai

stata così centrale come nell’attuale struttura delle relazioni sociali fondate sui temi

dell’informazione e delle comunicazioni, e su un tipo di attore che è stato definito

“soggetto reputazionale11. Quest’ultimo si determina razionalmente tenendo conto

delle conseguenze delle proprie azioni sulla rete sociale, «che ci riconosce e che con-

tribuisce a stabilire la nostra identità, una rete che ogni nostra azione perturba e mo-

difica. Gli individui agiscono per proiettare un’immagine sociale che contribuisce a

dar loro un’identità»12.

2. Le singole concezioni storicamente avanzate

Lo spazio di questa relazione non consente di ripercorrere, come la dottrina ha

già più volte diffusamente svolto13 una disamina delle varie concezioni che hanno

storicamente colorato di diversi significati la nozione del bene “onore”. Si può forse

tentare una rapsodica evocazione del percorso dottrinario che ha riscattato l’onore

da significati desueti, sino alle più recenti acquisizioni.

La strutturazione nel 1930 delle norme ancor parzialmente vigenti al capo dei

“delitti contro l’onore” riflette, com’è noto, una concezione, detta “fattuale” del bene

onore, (ed una sua tutela formale) come nettamente spiegato nella Relazione ministe-

riale al progetto definitivo di un nuovo codice14. Il contenuto del bene in parola fa ca-

po ad una realtà fenomenologico-psicologica, il sentimento, che si identifica a seconda

delle due cadenze, ora con l’opinione che il soggetto ha di sé (ingiuria), ora con

9 Così S. LUPO, La verità della ricerca e la verità delle istituzioni, in AA.VV., Libertà di informazio-ne, di critica e di ricerca nella transizione italiana, a cura di C. Riolo, Palermo, 2004, p. 89 e ss.

10 Sul valore sociologico del bene onore v. G. SIMMEL, Sociologia, Torino, 1998, p. 372 e ss. e di re-

cente G. ORIGGI, La reputazione. Chi dice che cosa di chi, Milano, 2016. 11 G. ORIGGI, op. cit., p. 196. 12 G. ORIGGI, op. cit., p. 196. Soggiunge quindi l’Autrice: «Ciò che si dice di noi, ciò che si dice del-

le cose, è tutto ciò che ci permette di conoscere e riconoscere il mondo, perché essere è essere un va-

lore in un ranking, in un sistema che permette di fare paragoni. Essere è poter essere comparati», op.

ult. cit., p. 190. 13 V. in particolare, E. MUSCO, op. cit., p. 1 e ss.; A. VISCONTI, op. cit., p. 335 e ss.; e sia consentito

rinviare anche alle nostre sintesi in L’oggettività giuridica di categoria, in F. BELLAGAMBA, R. GUERRI-

NI, I delitti contro l’onore, Torino 2010, p. 1 e ss. 14 Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V, II, Roma, 1929, p. 402.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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l’opinione che gli altri hanno del valore del soggetto stesso. Quindi si tratterebbe di

onore in senso soggettivo, come sentimento del complesso delle qualità che il destina-

tario dell’epiteto ingiurioso si auto-attribuisce, all’interno dell’immagine che ha di sé,

come autorappresentazione della propria identità. Nella diffamazione, verrebbe in

considerazione l’onore in senso oggettivo, o reputazione, che solo può essere leso di

fronte a terze persone, con la diminuzione del senso di stima che altri hanno del sog-

getto passivo riguardo alle qualità che gli vengono da altri attribuite. Gli insuperabili

vizi di tale concezione (a cui corrisponde anche un’ inesatta tipizzazione dei confini

tra le due fattispecie di ingiuria e diffamazione, ove la presenza di più persone è con-

templata come aggravante dell’ingiuria, anche oggi come illecito civile tipizzato) furo-

no chiaramente individuati nella pericolosa soggettivizzazione relativistica del bene

giuridico, e quindi nella conseguente indeterminatezza di fattispecie, oltre alle forti la-

cune di tutela che essa implicava, non ovviabili neanche attraverso forzature domma-

tiche. In derivazione dalla dottrina tedesca15 si fa quindi strada una concezione norma-

tiva, dell’onore come valore non appartenente alla realtà fenomenica, ma appunto un

valore della persona umana, che esiste a prescindere dall’opinione del soggetto offeso o

di terzi nei suoi confronti. La concezione normativa assume quindi due diverse diret-

trici, che pongono l’accento su profili diversi legati alla tipologia di valore: secondo la

prima variante, detta “sociale”, l’onore sarebbe entità di carattere puramente sociologi-

co, che nella società trova quindi la sua fonte. L’onore viene negato o attribuito alla

persona non in quanto tale, ma nel complesso delle relazioni sociali in cui essa è av-

vinta, e quindi dalla società ascritto con il risultato di un’illimitata parcellizzazione di

significati coincidenti con i vari status sociali, che pertengono al singolo. Il rischio de-

generativo di tale variante, consiste nel rendere l’onore della singola persona total-

mente dipendente dai vari finalismi statuali. In quanto concezione utilitaristica, essa

può dar luogo, (oltre all’inconveniente della frammentazione, per status, utilità sociali

e diversi gruppi che l’onore attribuiscono) soprattutto alla riduzione o negazione

dell’onore in capo a soggetti totalmente appartati dalle varie articolazioni sociali, ma

soprattutto al diniego di tale attributo della persona verso individui valutati come so-

cialmente inutili o dannosi16. Si ricordi, come esempio ammonitore, il tragico scivola-

15 Significativamente, H.J. HIRSCH, Ehre und Beleidigung, Karlsuhe, 1967; J. TENCKHOFF, Die Be-

deutung des Ehrbegrifs, für die Systematik der Beleidigungstatbestände, Berlin, 1974. 16 Il richiamo dei principali sostenitori di questa concezione illumina di per sé sulle possibilità de-

generative ed i pericoli insiti nella variante sociale della concezione normativa/valoriale di tipo socia-

le: R. FREISLER, Gedanken zum Gemeinschaftsehrenschutz, in “Deutsche Justiz”, 1936; G. DAHM, Der strafrechtliche Ehrenschutz der Familie, in “Juristische Wochenschrift”, 1936. V. le considerazioni

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mento della concezione normativa/sociale nell’utilitarismo sociale nazional socialista

com’è stato esemplarmente illustrato da Musco.

Appare quindi, in anni di ritorno a valori liberal democratici, un’ulteriore con-

cezione, detta di tipo morale, che vede l’onore come un attributo originario della

persona umana, ad essa pertinente in quanto tale, a prescindere da giudizi sociali di

merito/demerito e da considerazioni social-utilitaristiche. L’onore appare finalmente

collegato, o accostato, in maniera chiara al concetto di dignità della persona, quale

aspetto originario ed intrinseco della natura umana, e rispetto ad esso il ruolo della

società viene traslato da quello di fonte a semplice luogo, entro il quale la pretesa alla

tutela dell’onore deve trovare attuazione17. Il progresso di questa tappa del pensiero

penalistico in tema di bene/onore è assai consistente; l’aggancio alla dignità della

persona lo affranca da ogni prospettiva utilitaristica, cade ogni soggettiva prospettiva

psicologistica, così come la frammentazione moltiplicativa, e si colmano tradizionali

vuoti di tutela. Ma ancora sembrano alla dottrina più attenta elevabili rilievi incen-

trati sul fatto che il richiamo ad una morale fondante sembra recapitare alternativa-

mente o in una nozione assoluta ed eterna, ma in realtà astratta e non chiaramente

afferrabile, oppure in una “morale storica, contingente, variabile e socialmente in-

fluenzabile, fragile e manipolabile”. Non riuscendo neppure a distinguere chiara-

mente il rapporto tra onore e dignità, concetti quasi sostituibili, la concezione mora-

le fallisce nello scopo di conseguire un concetto universalmente valido, e costruisce

anch’essa «un bene giuridico inutilizzabile» (Manna).

La necessità di coniugare fatto e valore, dimensione effettuale e dimensione as-

siologica, ha dato luogo ad un’ulteriore impostazione, di carattere misto, eclettica, o

normativo-fattuale, che vede l’onore come bene giuridico in sé complesso (Engisch18),

caratterizzato da due volti, quello del valore interno a ciascun uomo (aspetto normati-

vo-morale) e quello della buona reputazione di cui egli gode agli occhi degli altri (ver-

sante fattuale-sociale). In base ad analogo metodo eclettico si è mosso, sempre in Ger-

mania (Schmid19) chi vede, nel quadro dei valori costituzionali, l’onore come manife-

sulla stupefacente degenerazione assunta dalla concezione normativa nel suo scivolamento verso

strumentazioni utilitaristiche tipiche della tragica concezione sociale del nazismo in E. MUSCO, op. cit.,

p. 39 e ss. 17 V. diffusamente, A. JANNITTI PIROMALLO, Ingiuria e diffamazione, Torino, 1953. 18 V. K. ENGISCH, Bemerkungen über Normativität und Faktizität im Ehrbegriff, in “Festschrift für

Lange”, Berlin, 1976, p. 401 e ss.; H. OTTO, Persönlichkeitsschutz durch strafrechtlichen Schutz der Ehre, in “Festchrift für Schwinge”, Koln, 1973, p. 71 e ss.; su cui A. MANNA, op. cit., p. 219.

19 K. SCHMID, Freiheit der Meinungsäusserung und strafrechtlicher Ehrenschutz, Tübingen, 1972,

diffusamente trattato in E. MUSCO, op. cit., p. 141 e ss.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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stazione della dignità umana e forma della personalità, con un successivo distinguo tra

profilo statico (e costante) e profilo dinamico e quindi variabile. Il primo attiene a

quella misura minima di onore che è data dal valore di ogni persona in quanto tale,

innegabile ed intangibile, e che recapita nel concetto di dignità umana; il secondo pro-

filo attiene a quell’ulteriore sviluppo del valore personale che l’individuo acquisisce

per valutazioni morali e sociali con la propria condotta e che viene appunto inquadra-

to come onore sociale. L’autorevole critica che Musco opporrà a questa ricostruzione

bipartita si incentra sulla sostanziale unitarietà del bene onore: «il fatto che l’uomo è

persona e cioè un in sé, una unità in sé compiuta, uno scopo in sé, non implica infatti

che egli sia una entità presociale, a cui, poi, in un secondo momento, va aggiunto

l’aspetto sociale, con i propri attributi e le proprie definizioni».

La svolta forse più decisiva nel percorso della riflessione penalistica sul bene

dell’onore avviene verso la metà degli anni settanta, allorché Musco eleva

l’individuazione del contenuto del bene onore, coniugandolo imprescindibilmente

con lo scenario dei valori costituzionali. Tale contributo si inquadra, com’è evidente,

nel contesto del pensiero volto a legittimare l’intervento penalistico in generale con

il riferimento all’oggettività giuridica primaria o costituzionale e mostra ampio ri-

scontro in autorevole dottrina susseguente20. L’indirizzo verso l’orizzonte costituzio-

nale consente di ricondurre il bene in oggetto alla luce personalistica di cui tutta la

Costituzione è permeata, conferendo alla tutela dell’onore una giustificazione più

certa di quanto ad es. prospettato nella concezione normativa-morale; la sistematica

costituzionale non è più solo fonte di legittimazione dei limiti critici ed informativi

alla tutela del bene, recapitanti nella libertà di manifestazione del pensiero, ma indi-

ca anche un solido contenuto unitario al bene onore in sé, come valore tutelabile. Le

norme costituzionali di riferimento sono talora l’art. 2 o, più persuasivamente il solo

art. 3, con il riferimento alla pari dignità sociale. È nella lettura di quest’ultima nor-

ma, guidata dalla riflessione esegetica di Carlo Esposito che si coglie chiaramente

l’aggancio costituzionale; per quest’ultimo la norma costituzionale che solennemente

proclama la “pari dignità sociale” di tutti i cittadini implica necessariamente «che la

società e ciascun membro di essa non si elevi mai, in buona od errata fede, a giudice

dell’ altrui indegnità, e che non esprima mai con atti o con le parole, direttamente o

attraverso il riferimento di determinati fatti ritenuti spregevoli, valutazioni negative

sulle persone»21. Nel rinnovato bene, che finisce per coincidere con l’onore-dignità

20 F. MANTOVANI, Delitti contro la persona, Padova 2005, p. 200. 21 C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 44.

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trova perciò giustificazione la tutela di tutto ciò che «storicamente e materialmente è

considerato essenziale alla dignità dell’uomo»22. Infatti la piena realizzazione umana,

a cui la Costituzione ambisce, vuole che la persona singola, nella società dei pari, go-

da di un ambito di autonomia, quale presupposto per la realizzazione libera ed origi-

nale di sé. Tale autonomia deve quindi essere difesa dal potenziale distruttivo che i

terzi nel contesto relazionale sono capaci di recare alla persona nella sua realizzazio-

ne sociale. Di qui la necessità di un rapporto di riconoscimento tra i membri della

società, che mira a garantire l’autonomia suddetta, e «che ha per contenuto il rispetto

di tutto ciò che è essenziale al valore della persona come tale»23; per Musco «la viola-

zione dell’onore è dunque, in ultima analisi, violazione del rapporto di riconosci-

mento, che ha per contenuto la dignità sociale dell’uomo»24. L’onore degli uomini

“pari”, non significa però esclusione della tutela di qualità superiori, al valore-base

della persona; accanto ad un onore minimo, comune a tutti gli uomini, ben può con-

figurarsi un onore specifico, tutelabile in capo a certe categorie di persone (ad es.

l’accusa di parzialità o ideologizzazione rivolta ad un magistrato, che risulterebbe in-

differente rispetto ad un politico).

Un ulteriore contributo di precisazione del bene onore-dignità, viene offerto

da Mantovani25, il quale oltre ad aderire al suo implicito riconoscimento costituzio-

nale, legge nella Carta anche ulteriori elementi utili a caratterizzarne più da vicino il

contenuto della possibile tutela, legandolo a parametri normativi. Alla dimensione

offensiva dell’onore-dignità dovrebbero così essere ricondotti tutti i giudizi che con-

siderano il relativo destinatario, nel suo modo di essere o di operare, in contrasto

non soltanto con altri valori personali costituzionalmente significativi, (vita, libertà

sessuale, incolumità individuale), ed anche con valori giuridici (beni ambientali, pie-

tà per i defunti o per gli animali), o socioculturali (qualità morali, intellettuali, fisi-

che, psichiche, caratteriali, professionali) dell’individuo, che risultino costituzional-

mente non incompatibili, e comunque essenziali per la valorizzazione sociale della

persona, consentendo una sicura delimitazione dell’onore tutelabile, almeno in nega-

tivo. L’onore-dignità, ricostruito secondo le suddette cadenze costituzionali viene ri-

22 ID., p. 44, in nota: «appunto perché la Costituzione divieta in maniera diretta e specifica all’art. 3

giudizi di indegnità (e la pari dignità non è solo un ideale o un fine da raggiungere) quell’articolo e-

sprime un limite alla libertà di manifestazione di giudizio e pensiero garantita generalmente dall’art.

21». 23 E. MUSCO, op. cit., p. 146. 24 Ancora E. MUSCO, op. cit., p. 147. 25 F. MANTOVANI, Diritto penale. Delitti contro la persona, cit., p. 201 e ss.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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conosciuto come bene unico, declinabile solo secondo le modalità di lesione: non è

tanto la percezione in presenza che riesce a dar conto della progressione di tutela,

ma la progressiva maggiore ampiezza della violazione del rapporto di riconoscimen-

to, che già viene anticipato dalla vecchia aggravante di cui all’art. 594, comma 4, c.p.,

oggi trasfusa nell’art. 4, comma 4, lett. f, del d.lgs. n. 7/2016, istituente l’illecito civile

tipizzato. Inoltre, l’onore-dignità sembrerebbe richiedere in linea di principio una

tutela formale più che sostanziale, infatti esso, in quanto attributo della persona, be-

ne innato, innegabile e ingraduabile, deve ricevere tutela obiettivamente e formal-

mente, a prescindere dalla falsità o veridicità della dichiarazione offensiva26. L’onore

come bene della personalità costituzionalmente rilevante riesce infine ad escludere

ogni vuoto di tutela che caratterizza alcune delle concezioni precedenti, pertinendo

indiscriminatamente ad ognuno, ed indipendentemente anche dalla percezione con-

creta dell’addebito o della sua stessa percepibilità dovuta a condizioni di handicap, ed

anche dall’effettività del merito concreto. Nonostante questi riconosciuti progressi e

delimitazioni, la dottrina specialistica ha continuato a rilevare un difetto di determina-

tezza ed obiettività, anche perché i parametri indicati dal Mantovani come implicita-

mente garantiti, o almeno non incompatibili, con la Costituzione, continuerebbero a

rappresentare «un criterio identificativo estremamente sfumato, per non dire evane-

scente» - rileva ancora recentissimamente la Visconti27- perché tali connotati non ca-

ratterizzano che pochi beni.

Altra teoria di origine tedesca prospetta un diverso approccio di carattere socio-

logico-funzionale volto ad enfatizzare la dimensione sociale dell’onore medio o mini-

male, inteso quale realtà psichica che assolve alla funzione di presupposto della comu-

nicazione e si sostanzierebbe nella «capacità di un uomo di soddisfare quelle aspettati-

ve normative alle quali egli deve saper corrispondere per essere accettato come partner

paritario in un rapporto comunicativo», distinguendosi un onore esterno, come corri-

spondenza alle aspettative dei consociati ed un onore interno parametrato sulla corri-

spondenza a criteri normativi autoimposti dall’individuo28. Ma anche l’impostazione

26 Già in questo senso v. A. MORO, Osservazioni sulla natura giuridica della exceptio veritatis, in

“Riv. it. dir. proc. pen.”, 1954, p. 7. 27 A. VISCONTI, op. cit., p. 390; malgrado i suoi meriti, la concezione personalistica costituzional-

mente orientata, non sembra a quest’ultima, che riesca a conferire al bene onore sufficiente determi-

natezza e obiettività anche in positivo, p. 391. 28 K. AMELUNG, Die Ehre als Kommunikationsvoraussetzung. Studien zum Wirklichkeitsbezug des

Ehrbegriffs und seiner Bedeutung im Strafrecht, Baden Baden, 2002, p. 10 e ss.; sul punto v. anche A.

MANNA, Beni della personalità, cit., p. 225 e ss.

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sociologico-funzionale sembra implicare un inaccettabile margine di incertezza so-

prattutto per quanto riguarda il concetto di onore minimale, e la sua concretizzazione,

«giacché essa non può che essere fatta dipendere da aspettative sociali storicamente

condizionate, fluide e variabili, oltre che potenzialmente frammentate, ancor più in

una società pluralista»29. Questa perdurante situazione di ritenuta incertezza spinge ta-

luno a rinunciare a definizioni contenutistiche in positivo, accontentandosi di delimi-

tare in negativo i confini dell’onore tutelabile, nello specifico della diffamazione:

l’onore in quest’ottica, non viene considerato come bene in sé concluso ed autosuffi-

ciente, ma evincibile in codeterminazione con altri diritti fondamentali costituzional-

mente rilevanti, come risultato di un’opera di bilanciamento con questi ultimi (libertà

di manifestazione del pensiero: diritto di cronaca e di critica) che al loro interno assu-

merebbero l’onore quale mera componente non autonoma ma meritevole di tutela con

solo riferimento alle ipotesi in cui siano valicati i limiti apposti dall’esercizio dei diritti

costituzionali concorrenti30. A questo proposito, tutti e tre i parametri della verità, del-

la continenza e pertinenza sarebbero, per questa ultima concezione, da ricondurre al

livello della tipicità della diffamazione31.

Ma, inevitabilmente, anche questa impostazione ricade in fondate critiche, in

quanto nega l’autonomia e di fatto la stessa esistenza di un bene definibile come ono-

re/reputazione, svalutando la dimensione di offensività32, oltre che destare dissensi

sul ruolo dogmatico da assegnare alla verità dell’addebito33.

La sinossi delle impostazioni teoriche che hanno sostenuto l’opera della dottri-

29 A. VISCONTI, op. cit., p. 369, 370; A. TESAURO, La diffamazione come reato debole e incerto, Tori-

no, 2005, pp. 21 e 22; A. GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento penale. Contributo a una riforma dei delitti contro l’onore, Roma, 2013, p. 25 e ss., anche per quest’ultimo nella concezione di

Amelung «il vero termine di riferimento della tutela finisce con il divenire la comunità sociale e non la

persona», riproponendosi infine tutti i limiti delle concezioni normativo-sociali, op. ult. cit., p. 26. 30 A. TESAURO, op. cit., pp. 23, 24. Per lo stesso, tuttavia, «l’onore rappresenta un’istituzione sociale che

concorre insieme con l’etica e con il diritto a garantire la conservazione e la coesione interna dei gruppi

sociali, agendo da fattore preventivo delle violazioni alle regole di vita dei gruppi», op. ult. cit., p. 7. 31 Secondo l’immagine brillante, ma poco persuasiva, di una “tipicità on balance”, A. TESAURO, op.

cit., p. 26, rinuncia alla costruzione di una fisionomia criminosa stabilmente definitiva, in favore di

«diversi ‘bilanciamenti di risultato’ che di volta in volta la giurisprudenza stabilizza in rapporto ai vari

casi generici prospettabili in tale generico ambito (per esempio cronaca, critica, critica politica, stori-

ca, scientifica, artistica, satira, intervista)». 32 A. GULLO, op. cit., p. 29: «L’idea allora, di negare la stessa esistenza di un’offesa all’onore allorché

la condotta comunicativa debba considerarsi lecita in nome della libertà di espressione finisce per

guardare soltanto al saldo finale del bilanciamento, occultando indebitamente agli occhi

dell’osservatore il costo della condotta in termini di lesione del diritto individuale all’onore, ridotto a

quantité négligeable dal punto di vista giuridico». 33 A. VISCONTI, op. cit., p. 395; A. GULLO, op. loc. ult. cit.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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na nel tentativo di ricostruzione del bene giuridico onore risulta certamente incom-

pleta, data la vastità dell’orizzonte, storico e comparatistico, ma il dato di fondo ed

ormai acquisito che si può ricavare dai più alti e condivisibili sviluppi è che

l’elevazione del discorso a livello di oggettività costituzionali sembra aver legato per

sempre l’identificazione dell’onore con il dato costituzionale della dignità, fino ad at-

tuare una sostanziale identificazione dell’uno nell’altra.

Non sarebbe completo il panorama senza dar conto di un recentissimo con-

tributo, di ingente consistenza ed eclettico fondamento su basi storico filosofiche,

psicosociologiche e comparatistiche, oltre che ovviamente sul riconoscimento della

matrice costituzionale del concetto di dignità personale. Senza sminuire tale im-

prescindibile referente, A. Visconti34 giunge infatti a ritenere che onore e dignità

siano in realtà concetti da distinguere, sia nell’ottica dell’esegesi delle norme di tu-

tela penale vigenti, ma soprattutto de jure condendo, per conseguire un rafforza-

mento, ma anche nello stesso tempo una delimitazione ragionevole della tutela pe-

nale, prefigurando una vera e propria bozza di articolato sulla scia della riforma del

delitto di diffamazione. Per l’Autrice, il concetto costituzionalizzato di dignità ri-

mane un qualcosa di comunemente percepito, ma assai difficile da spiegare conte-

nutisticamente «tanto profondo e ampio nelle sue implicazioni valoriali e giuridi-

che, quanto (per ciò stesso) difficile da contenere e ‘cristallizzare’ in una esatta e

puntuale concettualizzazione». Ed infatti il miglior modo per afferrarne il contenu-

to in maniera chiara è quello di procedere “in negativo”, tramite le sue aggressioni,

materializzandolo «attraverso ciò che alla dignità umana risulta contrario: offesa e

umiliazione»35. D’altra parte, la dignità personale, connotata dagli attribuiti difensi-

vi di intangibilità ed inalienabilità, risulterebbe essere concetto non scalare, e non

potrebbe essere «diminuita o aumentata nella sua quantità o intensità in nessuna

persona», tramite azioni umane, proprie o altrui, né con qualificazioni di scalarità

graduale. Una prima risposta sembra però già contenuta nel pensiero di Musco, al-

lorché quest’ultimo tiene a chiarire che la violazione offensiva dell’onore/dignità

deve essere intesa solo come «lesione di interessi e delle pretese che discendono da

situazioni ideali»36. Il lavoro della Visconti tenta anche una ricostruzione dei fon-

damenti filosofici del concetto di dignità, e dell’esistenza di un diritto basilare di

34 A. VISCONTI, op. cit., segnatamente, v. cap. V: Verso una nuova concezione dell’onore e della re-

putazione, p. 505 e ss. 35 Ancora A. VISCONTI, OP. cit., p. 509. Nello stesso senso v. A. HONNETH, Riconoscimento e di-

sprezzo. Sul fondamento di un’etica post-tradizionale, Messina, 1993, p. 16. 36 E. MUSCO, op. cit., p. 46.

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ogni uomo “ad essere rispettato in quanto tale”, sia pure in quei termini minimali

che scaturiscono da un’identificazione per via negativa. Tuttavia, per l’Autrice la

dignità umana non si presta tanto ad essere costruita come un diritto, quanto come

«caratteristica intrinseca e coessenziale dell’essere umano, dalla quale i diritti fon-

damentali della persona discendono necessariamente»37; ma neanche sembra alla

stessa accettabile la qualificazione della dignità come bene giuridico in senso pro-

prio38, nonostante il suo indiscusso rilievo costituzionale, non essendo idonea ad o-

rientare (con il suo riferirsi al valore “assoluto, unitario e globale dell’uomo”) la co-

struzione di «specifiche, puntuali e autonome scelte politico criminali»39. Non

mancano d’altra parte moniti di autorevole dottrina volti alla cautela nell’utilizzo

della categoria dignità come oggetto di fattispecie incriminatrici senza ulteriori

specificazioni: ci ricordava Palazzo che in tal modo verrebbe a mancare «la neces-

saria concretizzazione dell’interesse e dell’offesa, che si pone quale necessario co-

rollario di fondamentali esigenze garantistiche»40. È stato efficacemente evidenzia-

to da De Francesco come la dignità umana possa ben evocare «una carica ideale di

particolare intensità, un’ansia teleologica destinata ad attingere – si potrebbe dire –

addirittura il piano del sacro», e proprio per questo rischi di suscitare la soccom-

benza di «qualsiasi altro interesse potenzialmente in conflitto». La dignità umana

appare quindi potersi atteggiare – almeno in linea di principio – soltanto come «u-

na sorta di involucro o di sintesi categoriale, la quale per sostanziarsi di contenuti,

ha bisogno di essere nutrita, implementata, modellata con lo scalpello della tipici-

tà»41. In uno sforzo di concretizzazione la Visconti propone di considerare una dif-

ferenziazione tra dignità ed onore. La prima costituisce infatti un concetto ampis-

simo, fino all’indeterminatezza, ma fondamentale in sé e come matrice di «ricono-

scimento di beni (propriamente intesi) più circoscritti e specifici, a loro volta di

grande rilievo per la persona, come appunto l’onore, riconducibile alla stimabilità

sociale, bene esteso e polimorfo che al di là della confusa commistione nell’attuale

37 A. VISCONTI, op. cit., p. 536. 38 Ciò apparirebbe comprovato per la VISCONTI, da caratteristiche intrinseche della stessa dignità

umana: vaghezza e volatilità concettuale, (pur nella prevalente percezione di essa come valore), talché

solo in negativo possono esserne definiti i contenuti; la ridetta intangibilità è contrastabile, ma non

sminuibile o annientabile da varie forme di negazione aggressiva, op.cit., p. 541. 39 A. VISCONTI, op. cit., p. 541. 40 F. PALAZZO, I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in

“Riv. it. dir. proc. pen.”, 1992, p. 453. 41 G.A. DE FRANCESCO, Una sfida da raccogliere: la codificazione delle fattispecie a tutela della persona,

in AA. VV., Tutela penale della persona e nuove tecnologie, a cura di L. Picotti, Padova, 2013, p. 11 e ss.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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legislazione tra dignità e lo stesso onore, potrebbe de jure condendo essere inteso

come reputazione (magari comprensiva della riservatezza), selezionata con riferi-

mento ai più significativi dei suoi aspetti individuali e sociali»42. Solo l’onore inteso

come reputazione (connessa a stima/stimabilità) sembra per l’Autrice prestarsi alla

ricostruzione delle fattispecie penali di diffamazione, peraltro in chiave esclusiva-

mente “sostanziale” mentre la dignità di per sé, dovrebbe rimaner fuori dalla tutela

penale per la sua intrinseca indeterminatezza e volatilità (salvo eccezioni costruibi-

li in forma circostanziale rispetto all’offesa dell’onore/reputazione). La soluzione

dei problemi garantistici di determinatezza viene infine affidata, a livello di rifles-

sione puramene teorico-ipotetica, ad un tentativo di riempimento dei contenuti

della “stimabilità”, oltre i vaghi valori “etico-sociali”43, per conseguire una maggio-

re determinazione, e quindi una delimitazione dell’onore/reputazione, «in funzione

di una maggiore chiarezza e di una più spiccata offensività, delle ipotesi di lesione

dell’onore penalmente sanzionate, con un correlativo ampliamento della sfera di

azione esclusiva del diritto civile»44.

3. La tutela penale dell’onore: una parabola in ormai avanzata fase discendente

La storia del pensiero penalistico in materia di tutela del bene-onore e i corri-

spondenti assetti normativi ci sembra possano essere rappresentati graficamente co-

me una parabola. L’onore, ricordiamo si colloca in prima posizione nell’ambito della

più risalente riflessione ottocentesca in tema bene giuridico; successivamente con il

testo originario del codice Rocco, libro II, titolo XII, capo II, sembra raggiunto il ver-

tice della sua tutela con l’ampio uso della pena detentiva nell’apparato sanzionatorio

di ingiuria e diffamazione, alternativamente o cumulativamente prevista alla pena

pecuniaria, e con una tutela del bene in oggetto nella sua esclusiva versione ”forma-

le”, non riproducendosi in origine alcuna possibilità di “exceptio veritatis”.

L’importante orientamento dei contenuti dell’onore rispetto alla tavola dei valori co-

stituzionali e la chiara focalizzazione negli anni 70 di un rilievo costituzionale impli-

cito, vede tuttavia affacciarsi in maniera significativa ed autorevole anche proposte

di destrutturazione della tutela penale, con nomodinamiche sanzionatorie orientate,

in misura diversa, verso forme di tutela civilistica. Secondo una prima e più netta op-

42 A. VISCONTI, op. cit., p. 575 e ss. 43 A. VISCONTI, op. cit., p. 607 e ss. 44 A. VISCONTI, op. cit., p. 608.

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zione, rilevandosi una persistente inafferrabilità del bene onore, con sporadicità ed

incertezza della pena e quindi grave ineffettività della tutela penale, (comprovata da

analisi statistiche e sociocriminologiche), si sarebbe dovuto procedere ad una radica-

le depenalizzazione dei delitti contro l’onore45 già alla fine degli anni ottanta. Alla

depenalizzazione avrebbe dovuto corrispondere la relativa previsione, all’interno del

codice civile, «di altrettante ipotesi tipiche di illeciti civili, ovviamente extracontrat-

tuali, da situare dopo quelli al nome ed all’immagine, ed aventi ad oggetto appunto il

diritto all’onore», con simultanea riforma del regime relativo al risarcimento dei

danni non patrimoniali ex art. 2059, rendendolo estensibile alla lesione di ogni bene

della personalità.

Una depenalizzazione soltanto parziale veniva invece prospettata46 nel contesto

di una riflessione sulla perseguibilità a querela, fondandosi sul principio di proporzio-

ne (piuttosto che di sussidiarietà47): l’intervento depenalizzatorio veniva quindi auspi-

cato con riferimento alle ipotesi di diffamazione con attribuzione di un fatto determi-

nato per cui la vittima non si avvalga dell’exceptio veritatis e ai casi di ingiuria in pre-

senza del solo soggetto passivo o commessa con comunicazione a questi diretta.

Il dibattito penalistico nel suo complesso vedeva anche sollecitazioni contrarie

volte verso un potenziamento della tutela penale, con anche il conio di nuove fatti-

specie, come “la diffamazione colposa” e la “omessa rettifica”, per fronteggiare il de-

grado percepito nei mezzi di informazione. Così come anche l’ipotesi di una tutela

meramente privatistica trovava oppositori che prefiguravano in tale operazione no-

modinamica un risultato di denegatio tutelae48 in danno soprattutto delle vittime più

deboli, culturalmente ed economicamente.

In questo scenario di discussa persistenza della tutela penalistica interviene

l’importante riforma di cui al d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, recante disposizioni sulla

competenza penale del giudice di pace, che per le fattispecie incluse nel nuovo mi-

crosistema sancisce il congedo dalla pena detentiva in senso stretto: com’è noto la ri-

forma include i delitti di ingiuria e diffamazione (limitatamente ai commi 1 e 2

45 Si tratta della nota ed anticipativa impostazione di A. MANNA, Beni della personalità, cit., p. 710

e ss.; v. anche M. DE NIGRIS SINISCALCHI, Osservazioni in tema di diffamazione a mezzo stampa, in

“Cass. pen.”, 1983, p. 611. 46 F. GIUNTA, Interessi privati e deflazione penale nell’uso della querela, Milano, 1993, p. 18. 47 V. F. PALAZZO, I criteri di riparto fra sanzioni penali e sanzioni amministrative (dalle leggi di

depenalizzazione alla circolare della Presidenza del Consiglio), in “Indice pen.”, 1986, p. 46 e ss.; sul

principio di proporzione in generale v. le belle pagine di quest’ultimo Autore in Corso di diritto pena-le. Parte generale, Torino 2016, p. 29 e ss.

48 G. MARINI, Delitti contro la persona, Torino, 1996, p. 199.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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dell’art.595 c.p.) Senza degradare questi illeciti a rango amministrativo, viene noto-

riamente prefigurato per essi un regime sostanzial-processuale, che implica il ricorso

alla pena pecuniaria o nei più gravi casi, una sanzione paradetentiva (permanenza

domiciliare e lavoro di pubblica utilità), in quanto non sia andato a buon esito

l’obbligatorio tentativo di conciliazione e non abbiano funzionato le particolari vie

di definizione alternativa del procedimento di cui agli artt. 34 e 35 del citato decreto,

anticipazioni delle note e più consistenti “riforme Orlando”. Pur nel formale diniego

di alternative alla giustizia penale, i delitti contro l’onore sopra citati venivano co-

munque trattati con un declino di forza repressiva e collocati, come è stato ben det-

to, in una specie di “intercapedine operativa”49 tra il diritto penale in senso più pro-

prio ed il diritto punitivo amministrativo. Ferma rimane la competenza del Tribuna-

le in composizione monocratica per i delitti di diffamazione a mezzo stampa, radio-

televisione, Internet o altro mezzo di pubblicità, per i quali, considerata l’alta incisi-

vità offensiva, o addirittura la devastazione, rispetto agli interessi personalistici sotte-

si all’onore, il legislatore del 2000 ha ritenuto opportuno lasciare intatta la risposta

penalistica tradizionale50 con il corrispondente regime sanzionatorio.

In un’ormai avanzata fase discendente della parabola di tutela sanzionatoria,

si inserisce da ultimo la riforma di cui al d.lgs. n. 7/2016 che, in esecuzione della

legge delega n. 67/2014, introduce la sensazionale novità dell’illecito civile tipizza-

to, con note ed importanti ricadute in tema di tutela dell’onore. Ricordiamo infatti

che in quell’esiguo numero di fattispecie incriminatrici che la suddetta legge ha de-

stinato ad abrogazione (un “drappello di delitti” dice efficacemente Padovani) è

contenuta l’ingiuria, in ogni sua possibile declinazione di gravità. Il senso politico-

criminale di questa scelta è espresso nella “Relazione illustrativa”51 del decreto legi-

49 V. F. GIUNTA, Un primo bilancio applicativo della giurisdizione di pace, in AA.VV., La compe-

tenza civile e penale del giudice di pace. Bilancio e prospettive, a cura di G. Fornasari e M. Marinelli,

Padova, 2007, p. 104 e ss. V. anche sul significato generale del trattamento sanzionatorio introdotto

dal d.lgs. n. 274/2000, A. VISCONTI, Reputazione, dignità onore, cit., p. 327 e ss., per la quale il d.lgs.

n. 274/2000, includendo talune fattispecie a tutela dell’onore nel nuovo regime sanzionatorio, ha ope-

rato anche una mutazione «sull’effettivo giudizio astratto di disvalore delle relative fattispecie, da quel

momento di fatto non più soggette a pena detentiva»; v. anche A. DI MARTINO, Sanzioni irrogabili dal giudice di pace, in AA.VV., Le conseguenze sanzionatorie del reato, a cura di G. DE FRANCESCO, Tori-

no, 2011, p. 166 e ss. 50 V. A. VISCONTI, Aspetti penalistici del discorso pubblico, Torino, 2008, p. 250, la quale giustifica

questi casi di persistenza della sanzione penale tradizionale, con la ritenuta incapacità di certe vittime

di autotutelarsi, reagendo adeguatamente alle offese subite. 51 V: Relazione illustrativa al decreto legislativo di attuazione dell’art. 2, comma 3, lett. a), c), d) ed

e) della l. 28 aprile 2014, n. 67, reperibile in www.governo.it, 1.

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slativo n. 7/2016: si tratta infatti di abrogare «alcune ipotesi delittuose previste nel

codice penale a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio, che sono ac-

comunate dal fatto di incidere su interessi di natura privata e di essere procedibili a

querela, ricollocandone il disvalore sul piano delle relazioni private», considerando

«il ruolo tradizionalmente compensativo attributo alla responsabilità civile nel no-

stro ordinamento, affiancando alle sanzioni punitive di natura amministrativa un

ulteriore e innovativo strumento di prevenzione dell’illecito, nella prospettiva del

rafforzamento dei principi di proporzionalità, sussidiarietà ed effettività

dell’intervento penale». Le scelte normative sono cadute su fattispecie ritenute o-

rami di «attenuata offensività e di minor allarme sociale, che come nel caso

dell’ingiuria, del falso in scrittura privata, del danneggiamento semplice, si ritiene

possano trovare adeguata e sufficiente tutela mediante sanzioni civili pecuniarie»52.

L’arduo compito di dare una compiuta consistenza normativa a

quest’operazione è stato affidato, come sappiamo, alle prudenti mani della “Commis-

sione ministeriale di studio presieduta dal prof. Francesco Palazzo”53. È questa anche

la sede per rendere merito al lavoro della commissione suddetta ed al suo Presidente

in particolare (ed al coordinatore della particolare sottocommissione che elaborò il

disegno normativo raccolto nel d.lgs. n. 7/2016), per il raffinato lavoro svolto in un

difficilissimo contesto di delega, connotato da un tenore assai vago e da lacune di

presupposti indicativi molto consistenti. Si trattava di delineare la fisionomia di un

istituto che non trovava sostanzialmente precedenti nel nostro ordinamento, deci-

frando i vaghi intenti del legislatore e traducendoli in scelte tecnico-giuridiche plau-

sibili ed efficaci, muovendo dal presupposto che il legislatore intendesse «introdurre

nel nostro ordinamento una nuova categoria di illeciti, nella prospettiva della valo-

rizzazione della funzionalità preventiva della responsabilità civile»54.

Basta ripercorrere le poche norme dedicate dalla l. 67/2014, per capire le diffi-

coltà del lavoro di stesura del relativo decreto; in realtà il legislatore inserisce, dopo

le disposizioni abrogative, pochissime indicazioni sulla fisionomia del futuro sistema,

fino a ridurre la delega ad un vago desiderio di nuova normazione sanzionatoria, pi-

lotato dall’indicazione nominalistica di “adeguate sanzioni pecuniarie civili”, neces-

sariamente aggiuntive ed accessorie al diritto al risarcimento del danno (in sé prive

52 Relazione illustrativa, cit., Analisi di impatto della regolamentazione (A.I.R.), 2. 53 Tale commissione veniva istituita con decreto del Ministro della Giustizia del 27 maggio 2014. 54 Relazione della Commissione ministeriale di studio presieduta dal prof. Francesco Palazzo, loc.

ult. cit., p. 4.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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di background sistematico) con prescrizione di necessaria ritipizzazione delle con-

dotte abrogate e l’esplicitazione di alcuni criteri di commisurazione, fortemente in-

centrati sul soggetto attivo, che, perlomeno, consentivano di cogliere nelle sanzioni

istituende evidenti finalità punitive e marcatamente special-preventive55. Pur in tan-

ta scarsezza di indicazioni orientative, le proposte della Commissione ci restituiscono

un testo di decreto legislativo che delinea con ben maggiore chiarezza la fisionomia

strutturale della nuova categoria sistematica di illeciti punitivi, operando scelte tec-

niche equilibrate e condivisibili, spesso esposte al rischio dell’eccesso di delega, ma

meditatamente rimaste entro tali limiti. Si ricordi come neppure risultassero in dele-

ga indicazioni in merito alla fondamentale questione della concreta scelta

dell’autorità destinata ad irrogare le nuove sanzioni pecuniarie, che coerentemente

con la denominazione “civili”, sono state assegnate alla competenza del giudice civi-

le, con relativo rito procedurale di cognizione, a sua volta caratterizzato da un (forse)

sufficiente standard di garanzie56 atto a fronteggiare i parametri di sindacato delle

giurisdizioni europee57. Soprattutto la legge delega non forniva alcuna precisazione

riguardo al beneficiario delle sanzioni pecuniarie civili, e la scelta contenuta nel de-

creto suddetto si è attestata condivisibilmente su una destinazione alla Cassa delle

ammende, e quindi pubblicistica, in coerenza con la presenza nel quadro dell’illecito

civile tipizzato, oltre della questione compensativa, di altra questione dalla marcata

valenza punitiva-dissuasiva, indissolubilmente legata alla prima. A questo, tra altre

scelte di pregio, può aggiungersi la chiara attribuzione del carattere personale della

55Appare evidente dai criteri di commisurazione in oggetto una sostanziale estraneità a significati

di carattere meramente reintegrativo, risarcitorio. La spiccata concentrazione sul soggetto attivo con-

sente di evocare l’autorevole insegnamento che in egregia sintesi ricorda come nella determinazione

del danno da risarcire “tutto ruota attorno alla vittima”, e, per contro, “quante volte in sede giudiziaria

si tenda ad inserire nella concreta determinazione della misura in questione qualcosa dell’autore, in

particolare la sua colpevolezza, o le sue condizioni economiche, certo si compie un’operazione di

stampo penalistico”, così M. ROMANO, Risarcimento del danno da reato, diritto civile, diritto penale,

in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1993, p. 875. 56 R. MARTINI, L’avvento delle sanzioni pecuniarie civili. Il diritto penale tra evoluzione e muta-

zione, in “www.lalegislazionepenale.eu”, 28 settembre 2016, pp. 9,10. 57 Criteri fondamentalmente provenienti dalla sentenza della CEDU, nel caso “Engel”: v. C. Eur.

Dir. Uomo, Grande Camera, 23 novembre 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi; successivamente, C. Eur.

Dir. Uomo, Grande Camera, 21 febbraio 1984, Oztürk c. Germania (entrambe in “www.echr.coe.int”,

sezione “Judgments and decisions”); C. Eur. Dir. Uomo, sezione II, 4 marzo, Grande Stevens c. Italia,

in “www.giustizia.it”, sezione “strumenti - sentenze CEDU”. Per l’ormai vasta dottrina sul tema ci li-

mitiamo a rinviare agli importanti contributi da ultimo contenuti in AA.VV., La “materia penale” tra diritto nazionale ed europeo (Atti del convegno di Modena del 30, 31 marzo e 1° aprile 2017), a cura

di M. Donini e L. Foffani, Torino, 2018.

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responsabilità in oggetto. L’analisi delle raffinate scelte che, nei limiti del costituzio-

nalmente possibile, la Commissione Palazzo ha incarnato nel testo normativo del

d.lgs. n. 7/2016 potrebbe continuare, ma l’oggetto di questa trattazione impone un

ritorno alla questione centrale e cioè alla parabola di tutela del bene onore. È eviden-

te dunque, dal 2016, che l’abrogazione del delitto di ingiuria è destinata ad incidere

in maniera significativa sull’intensità della tutela prestata al bene onore. Di qui a dire

che il bene onore, nelle cadenze tipizzatrici della vecchia ingiuria, ma esattamente

riprodotte nell’art. 4, comma 1, lett. a), è ormai soltanto affidato alla tutela civile sa-

rebbe decisamente fuorviante. Non è chiara la natura del nuovo illecito civile tipiz-

zato, definito come: un prodotto «dell’arte combinatoria del legislatore» (Padovani),

«civile solo in rapporto al giudizio», essendo in realtà concepito in termini stretta-

mente punitivi58; «tertium genus tra sanzione penale ed amministrativa di non facile

decifrazione» (Palazzo59); creatura più che centauresca, e polireferenziale, (evocava-

mo a proposito la triaca maxima, di alchemica memoria60, a cui si ben si accosta quale

frutto estremo della fantasia legislativa nel parossistico perseguimento della defla-

zione penale). Quello che risulta chiaro è che il legislatore non ha rimesso sempli-

cemente alla tutela civile il bene onore nella ritipizzazione dell’ingiuria, ma ha prov-

veduto ad aggiungere una tutela di rinforzo, forse di ibrida natura, ma di base punitiva.

La soluzione di alcuni dei conflitti sociali che coinvolgono il bene onore nella minore

fascia di offensività, risulta quindi sottratta alla competenza del diritto penale, ed affi-

data al contesto civile e processualcivilistico, ma con un irrobustimento dissuasivo

demandato a sanzioni dai caratteri eminentemente punitivi e pubblicistici: «insomma:

un’abrogazione di delitti, poi rinforzata in ripensamento da un’ulteriore tutela, ultra-

compensativa e di matrice prevalentemente penale, a creare un nuovo sistema di ille-

citi punitivi di gravità intermedia, provvisto di garanzie tendenzialmente adeguate»61.

Di fondo, ed al di là di alcuni pregi tecnico-realizzativi, il giudizio su questa

scelta politico criminale, non solo per quanto riguarda l’abrogazione dell’ingiuria, ma

di tutto il “drappello di delitti”, prescelti dal legislatore delegante nel 2014, non è en-

58 T. PADOVANI, Ridurre l’area penale non ha effetti deflattivi ed è poco efficace, in “Guida dir.”,

2016, 1, p.12. 59 F. PALAZZO, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (a proposito della legge n.

67/2014), in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 2016, p. 1717. 60 Sforzo estremo degli alchimisti nel riunire in un unico prodotto tutti i principi medicamentosi

allora noti, nella speranza di ottenere nuovi effetti, v. R. GUERRINI, “Il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. I nuovi illeciti civili tipizzati e le relative sanzioni, in AA.VV., Le recenti riforme in materia penale, a

cura di G.M. Baccari, C. Bonzano, K. La Regina, E.M. Mancuso. Padova, 2017, p.37. 61 Sia consentito rinviare a R. GUERRINI, op. ult. cit., p. 35.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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tusiasmante. Il trasferimento dalla cognizione del giudice penale a quella del giudice

civile (a sua volta non meno oberato) non è in concreto efficacemente deflattiva. Per

contro, rimangono gravi perplessità, come la dottrina non ha mancato lucidamente

di sottolineare, che l’ulteriore decorso di vigenza della riforma potrà confermare, ri-

spetto alla violazione delle tutele costituzionali di cui all’art. 24 della Costituzione,

per quella maggior difficoltà di tutela che per esempio l’ingiuriato oggi incontra per

accedere, non più in base a semplice querela, alle più onerose modalità della proce-

dura civile, anche sotto il profilo economico, e quindi iniquamente gravando sui

meno abbienti. Si è parlato in questo senso di un probabile, perverso effetto deflatti-

vo62, per il carattere defatigante delle nuove forme di tutela.

Rimane forse da sottolineare un aspetto interessante di quest’ultimo intervento

abrogativo; infatti nel ricostruire il nuovo illecito tipizzato di ingiuria il legislatore

delegato non ha imposto l’inserimento (accanto ad alcuni tradizionali istituti di non

punibilità come la provocazione e la ritorsione) di alcun esplicito richiamo alla e-

xceptio veritatis così come di enunciazioni fondanti una tutela formale dell’onore (v.

art. 596, comma 1, c.p.). Riteniamo in conclusione che la mancanza di richiamo deb-

ba essere interpretata come accesso illimitato alla prova liberatoria del fatto oggetto

di ingiuria; convincente in questo senso appare l’autorevole osservazione per cui la

sanzione pecuniaria civile, accessoria alla questione risarcitoria civilistica, dovrebbe

come quest’ultima essere accertabile senza limiti formalistici63. Se la futura esegesi

giurisprudenziale della questione confermasse questa opinione, potremmo leggere

nella riforma del 2016 anche un passo tendenziale verso la sostanzializzazione futura

della tutela del bene-onore, esportabile secondo talune proposte64 anche sul piano

della riforma penale.

4. Sintesi delle proposte di riforma

Se la parabola della tutela dell’onore segna ormai un’accentuata fase di riduzio-

ne dell’intervento penale, attuando anche trasferimenti nomodinamici di tutela in

62 T. PADOVANI, op. cit., p.12. 63 ID., I nuovi illeciti civili. Procedibilità, e applicazioni, le differenze più nette, in “Guida dir.”,

2016, p. 79. Nella Relazione illustrativa al d. lgs. n. 7/2016, p. 5, si soggiunge che la questione della e-xceptio veritatis, (omessa formalmente per esigenze di “semplificazione”) andava preferibilmente ri-

messa al «prudente apprezzamento del giudice civile». 64 V. infra le proposte di A. VISCONTI.

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Roberto Guerrini

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un ambito civilistico, “rinforzato”, possiamo da ultimo dedicare alcune considerazio-

ni alla fisionomia delle prossime, possibili riforme.

Per quanto riguarda i progetti di riforma, sarebbe davvero difficile rendere

conto delle numerosissime proposte presentate nelle passate legislature, ad attestare

quanto sia diffuso il bisogno di un intervento modernizzatore e di adeguamento alla

sensibilità contemporanea. La gran parte di tali progetti sembra scaturire dalla neces-

sità di trovare un nuovo punto di equilibrio tra il potenziale offensivo dei nuovi

mezzi di manifestazione del pensiero e la relativa libertà, così solennemente garanti-

ta nella Costituzione, pilastro centrale dello stesso Stato liberal-democratico, come di

recente autorevolmente riaffermato dal Presidente della Repubblica.

Peraltro, la maggior parte dei contenuti fatti propri dalle varie proposte di legge

era confluita nel d.d.l. S-1119-B65, che si proponeva di riformare organicamente la di-

sciplina della diffamazione nel nostro ordinamento, apportando «Modifiche alla legge

8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale e al codice di

procedura civile in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa

o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di se-

greto professionale». Ecco dunque che il tratto più saliente di tale disegno era rappre-

sentato senza dubbio dall’eliminazione della pena detentiva per l’autore della diffama-

zione (mediante riformulazione sia dell’art. 13 della l. 47/1948 che dell’art. 595 c.p.,

nei quali rimaneva, come pena principale, solo la multa), a cui si voleva affiancare

l’introduzione della pena accessoria della interdizione dalla professione di giornalista

per un periodo da un mese a sei mesi in caso di recidiva reiterata ex art. 99, comma 4,

c.p. Consistenti modifiche venivano apportate anche alla disciplina della “rettifica” (at-

tualmente contenuta nell’art. 8 della l. 47/1948): in particolare, oltre a specificare in

modo dettagliato le corrette modalità di rettifica modificando il predetto art. 8, si at-

tribuiva alla pubblicazione o diffusione di tale rettifica il rango di causa di non punibi-

lità, discutibilmente caratterizzata da automatismo operativo66. Da segnalare, infine,

l’inserimento di un articolo 11 bis (rubricato “risarcimento del danno”) nel corpus del-

la stessa l. 47/1948, con il quale venivano normativamente predeterminati i parametri

65 Numerazione assegnata in Senato ove giaceva in commissione permanente giustizia al momento

della fine della scorsa legislatura, meglio conosciuto come Disegno di legge “Costa”, dal nome del suo

proponente, il deputato Enrico Costa. 66 V. la proposta del disegno di legge Costa per un nuovo art. 13, comma 4, della l. n. 47/1948:

«L’autore dell’offesa nonché il direttore responsabile della testata giornalistica, anche on line, registra-

ta ai sensi dell’articolo 5 della presente legge e i soggetti di cui all’articolo 57 bis del codice penale non

sono punibili se, con le modalità previste dall’articolo 8 della presente legge, anche spontaneamente,

siano state pubblicate o diffuse dichiarazioni o rettifiche».

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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da assumere a base del giudizio in sede di quantificazione del danno derivante da dif-

famazione: diffusione quantitativa e rilevanza (nazionale o locale) del mezzo di comu-

nicazione usato per compiere il reato; gravità dell’offesa; effetto riparatorio della pub-

blicazione o della diffusione della rettifica.

Più interessante ci pare il tentativo di extrapolare dal dibattito dottrinario, le

due proposte che ci sembrano caratterizzate da maggiore coerenza, solidità di tutela

e fondatezza scientifica per l’ampio dominio della materia comprovato dai loro pro-

pugnatori, risultando peraltro riassuntive di molte altre posizioni espresse sul tema

ed in parte sovrapponibili. Ovviamente, la relativa esposizione non può avvenire in

questa sede se non in linea di strettissima sintesi, con il rischio però di recar torto ad

alcune delle argomentazioni di supporto all’una e all’altra impostazione.

Viene in considerazione in primo luogo la tesi più radicalmente favorevole alla

depenalizzazione della tutela dell’onore, con le avveniristiche proposte enunciate da

Manna verso fine degli anni ottanta; proprio agli ulteriori sviluppi del pensiero di

questo Autore vogliamo riferirci, così come espresso recentissimamente nell’ambito

del dibattito interno sulla riforma del codice promosso dall’“Aipdp”67. L’abrogazione

del delitto di ingiuria da parte dell’art. 1. lett. c) del d.lgs. n. 7/2016, viene salutata

con favore da Manna, salvo non ritenere convincente l’aggiunzione della sanzione

pecuniaria civile alla tutela meramente risarcitoria, in particolare per la sua destina-

zione allo Stato, piuttosto che della persona offesa. Nella visione di quest’ultimo Au-

tore, certo non priva di chiarezza, la strada della depenalizzazione presenterebbe in

teoria, un’ineludibile biforcazione tra trasmigrazione all’illecito amministrativo, per i

reati offensivi di beni giuridici metaindividuali e l’illecito civile tout court, con rife-

rimento invece ai reati offensivi di beni strettamente pertinenti alla sfera individua-

le. La proposta per una nuova disciplina della diffamazione viene invece distinta se-

condo due cadenze di gravità. Da una parte, la diffamazione semplice (e si presume

anche quella commessa con aggravanti diverse da quella mediante stampa) che sem-

brerebbe meritevole, come l’ingiuria, di trasformazione in illecito civile, corredato

da una tipizzazione della relativa tutela incentrata sulla dimensione reputazionale

67 L’Associazione italiana dei professori di diritto penale, nel convegno annuale di Roma del no-

vembre 2017 ha promosso un dibattito interno, articolato per gruppi di lavori e singoli argomenti,

volto a formulare proposte di riforma del codice penale, perlomeno per quanto riguarda la tutela della

persona e l’innovazione del sistema sanzionatorio, che saranno oggetto di trattazione nel convegno di

Torino del novembre 2018. Per la relazione del prof. Adelmo Manna v. I delitti contro l’onore, in Do-cumenti per il VII congresso. La riforma dei reati contro la persona, in

“https://www.aipdp.it/sesto_gruppo/”.

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dell’onore («giudizio che la collettività possiede di un determinato soggetto»). Tutta-

via, in considerazione della maggiore gravità della diffamazione stessa rispetto

all’ingiuria, si propone l’introduzione di “danni punitivi”, in chiave di rafforzamento

della tutela, ma auspicandone la delineazione in una disciplina normativa ad hoc, e

valendosi delle aperture ravvisate nella recente e nota pronuncia delle Sezioni Unite

civili68sul tema. Per quanto riguarda la diffamazione a mezzo stampa o commessa

mediante ogni altro mezzo di pubblicità, Manna segnala invece l’opportunità di

mantenere l’illiceità penale, considerata la molto superiore offensività delle relative

condotte, per loro “ben maggiore diffusività”; tale asserzione sembra avvalorarsi an-

che della prospettiva del c.d. “danno ad altri”, nella famosa teorica espressa da Joel

Feinberg69. La riaffermazione dell’opzione penale, solo per quest’ultimo caso, sembra

inoltre subordinata all’auspicabile revisione delle scelte sanzionatorie di sistema, da-

to che la pena detentiva, “più minacciata che applicata” – come ancora rileva

l’Autore in oggetto – viene contenuta dalla giurisprudenza, nella quasi totalità dei

casi70 nei limiti della sospensione della pena, oltre all’utilizzo della sola pena pecu-

niaria. Il ricorso alla pena pecuniaria viene tuttavia ritenuto meritevole di conferma,

previa revisione del metodo di commisurazione, approdando al sistema c.d. a tassi

giornalieri, tenendo conto di una duplice operazione che tenga conto del quantum di

colpevolezza e della capacità economico-finanziaria del reo71. In linea con

l’individuazione di un apparato sanzionatorio penale più efficiente nello specifico

68 Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, in “Giur. it.”, 2017, p. 1787 e ss. 69 V. J. FEINBERG, The moral limits of the criminal law. I, Harm to others, Oxford, 1984. 70 Manna evoca a questo proposito due soli casi di effettiva espiazione della reclusione per diffama-

zione a mezzo stampa e cioè la sentenza a carico di Guareschi, in anni politicamente difficili e quella a

carico di Jannuzzi dopo la “consumazione”, di ripetuti benefici in termini di sospensione condiziona-

le. A questo deve però aggiungersi il caso Sallusti, che molta emozione ebbe a destare e tuttavia scon-

giurandosi la effettiva espiazione per effetto del noto provvedimento clemenziale concesso dal Presi-

dente della Repubblica Giorgio Napolitano, con il quale si accoglieva la domanda di grazia, con com-

mutazione della pena detentiva ancora da espiare da parte del giornalista in questione, sottoposto ini-

zialmente agli arresti domiciliari. La decisione del Presidente, a seguito anche della rettifica da parte

del giornale interessato, era intesa a raccogliere anche “gli orientamenti critici avanzati in sede euro-

pea, in particolare dal Consiglio d’Europa, rispetto al ricorso a pene detentive nei confronti di giorna-

listi” ed ancora valutando “che la volontà politica bipartisan espressa in disegni di legge e sostenuta

dal governo, non si è ancora tradotta in norme legislative per la difficoltà di individuare, fermo re-

stando l’obbligo di rettifica, un punto di equilibrio tra l’attenuazione del rigore sanzionatorio e

l’adozione di efficaci misure risarcitorie”; il provvedimento commutativo della pena detentiva si dice-

va quindi “inteso ad ovviare a una contingente situazione di evidente delicatezza, anche nell’intento

di sollecitare, nelle istituzioni e nella società , una riflessione sull’esigenza di pervenire a una discipli-na più equilibrata ed efficace dei reati di diffamazione a mezzo stampa”.

71 V. la relazione di A. MANNA nell’ambito dei lavori della “Aipdp”, cit., p. 17.

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della diffamazione a mezzo stampa, viene approvato da Manna (sulla scorta di analo-

ghe indicazioni dottrinarie) il possibile utilizzo della rettifica anche in sede penale,

purché rafforzata nella sua modesta funzione preventiva, dato che lo stesso giornali-

sta potrebbe contare nel caso concreto sulla sua possibilità di operare una rettifica

«affermando di essersi sbagliato nel propalare una determinata notizia e così facil-

mente liberarsi da un’imputazione penale di una certa rilevanza». La prospettiva di

rafforzamento, anche in questo caso, viene individuata nell’introduzione anche in

sede penale dei “danni punitivi”, da affiancare alla “rettifica”, che potrebbe invece

svolgere funzione di semplice attenuante. La via italiana ai “punitive damages” po-

trebbe incentrarne i criteri, secondo Manna, ispirandosi a quelli di cui all’art. 133 c.p.

e segnatamente: «alla gravità del fatto, nonché del danno o del pericolo cagionato alla

persona offesa dal reato e l’intensità dell’elemento soggettivo». Tale risarcimento po-

trebbe poi essere inquadrato (sempre secondo lo stesso ordine di proposte) come causa

di estinzione del reato. Nel caso di recidiva Manna riterrebbe opportuno il ricorso an-

che a sanzioni interdittive, «tuttavia di carattere esclusivamente temporaneo, ma non

sospendibili condizionalmente per evitare una loro sostanziale inefficacia»72.

Il quadro della riforma proposta dal suddetto Autore, sotto il profilo della strut-

turazione del nuovo illecito penale di diffamazione a mezzo stampa, prevede che tale

fattispecie debba contenere come elemento costitutivo la falsità dell’addebito, con

significativa mutazione del bene giuridico, «in quanto finalmente si abbandona la ve-

tusta concezione, tipica di una visione autoritaria delle problematiche sottese ai reati

de quo, dell’onore formale come oggetto di protezione». Viene inoltre auspicata la

codificazione del diritto di critica e del diritto di cronaca73, basandosi il primo su:

«verità dell’addebito, sull’interesse sociale della notizia e sulla mancanza di un attac-

co a livello personale nei confronti della vittima»; requisiti tutti rispondenti alla nota

giurisprudenza che la Suprema Corte ha ormai cristallizzato da tempo, introducendo

però, rispetto al parametro vago della “continenza”, il più chiaro riferimento

all’assenza di attacco a livello personale. Limiti dovrebbero caratterizzare anche la co-

72 A. MANNA, op. loc. ult. cit. 73 Per tale proposta v. le condivisibili indicazioni già contenute nel c.d. “Progetto Pagliaro”, di ri-

forma del codice penale, del 1992, in “Quaderni dell’Indice penale”, 1994, p. 244 e ss., che si propone-

va di dare consacrazione normativa ai criteri elaborati in subiecta materia dalla giurisprudenza di le-

gittimità. L’art. 80 della Bozza di articolato del progetto in parola, concernente appunto i delitti con-

tro l’onore recava un terzo comma, così formulato: «Prevedere come giustificata l’offesa all’altrui ono-

re o decoro, quando corrisponda ad un interesse sociale prevalente sull’interesse offeso, sia espressa

con modalità di per sé non offensive e, ove si riferisca ad un fatto, questo corrisponda a verità».

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dificazione del diritto di critica, con riferimento al necessario fondamento

dell’opinione “su dati reali”, e sempre che, anche in questo caso, non si assista ad una

degenerazione in “attacco a livello personale”74. A tali interventi dovrebbe seguire la

sparizione della “vetusta exceptio veritatis”, mentre ferme dovrebbero rimanere le si-

tuazioni di non punibilità descritte attualmente agli artt. 598 e 599 c.p. Sembra infine

che l’Autore suddetto non aderisca alla ipotesi di introdurre una fattispecie penale di

“diffamazione colposa”, ritenendo che «la diffamazione, al pari ad esempio dei delitti

di falso, costituiscano reati strutturalmente dolosi, per cui la forma colposa rischia di

risultare strutturalmente contraddittoria»; rimane comunque per fatti corrispondenti

alla “diffamazione colposa” la sufficiente tutela derivante dalla responsabilità aquiliana

di cui all’art. 2043 c.c.

Il fulcro di questo complessivo quadro propositivo sembra incentrato sulla fi-

ducia nell’istituzione dei “danni punitivi”, nel nostro sistema, in chiave di rafforza-

mento della tutela, sia per la proposta trasformazione della diffamazione semplice in

illecito civile ed anche per l’illecito penale di diffamazione a mezzo stampa, quale

momento sanzionatorio centrale, in sinergia con la rettifica. Coerentemente, anche

l’approvata riforma dell’ingiuria come illecito civile tipizzato viene salutata con sfa-

vore solo nell’aspetto relativo alla destinazione delle sanzioni civili allo Stato e non

al danneggiato. Infatti, quest’ultima opzione, per noi invece condivisibile, è appunto

il principale argomento che non consente di salutare l’arrivo dei danni punitivi già

con riferimento al nuovo istituto dell’illecito civile tipizzato del 2016. Insomma, par-

te del suddetto costrutto propositivo, in sé indubbiamente coerente, sembrerà condi-

visibile o meno a seconda della previa adesione o meno alla figura dei punitive da-

mages, che continuiamo a valutare pericolosa e foriera di gravi ricadute in termini di

proporzionalità ed uguaglianza, oltre che tale da intorbidare i confini dogmatici tra

istituti compensativi e istituti punitivi. Peraltro, sul piano pratico, l’introduzione dei

danni puntivi potrebbe costituire per i destinatari beneficiati (dati gli alti vantaggi

che si profilano per essi) un fattore di stimolo alla querela e quindi di proliferazione

processuale, in contrasto con eventuali propositi deflattivi. Ci sembra infine sussiste-

re un ulteriore profilo di inopportunità, pertinente a quella che definiamo “accetta-

zione” delle sanzioni punitive da parte del destinatario75, tale aspetto pertiene anzi-

tutto alla loro efficacia specialpreventiva, nella prospettiva di un più agile esito rie-

74 V. la relazione di A. MANNA, ult. cit., p. 18. 75 Si è autorevolmente ricordato come «solo una pena sentita come ‘giusta’ dal condannato può

sperare di esercitare su di lui un’efficacia rieducativa», F. PALAZZO, Corso di diritto penale, cit., p. 32.

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ducativo del condannato. A ben guardare, le fattispecie a tutela dell’onore sottendo-

no conflitti interindividuali spesso carichi di “questioni di principio”, di delicati con-

tenuti simbolici, o di risentimenti reciproci, di motivazioni sorgenti a livello ideolo-

gico, politico o religioso, che l’intervento arbitratore dello Stato può appunto scio-

gliere meglio, se destinatario della sanzione è lo Stato stesso. In altre parole, dato che

i “punitive damages”, nella loro portata ultracompensativa si risolvono (nella stessa

riflessione dei più autorevoli esperti della materia76) in un alto “windfall” per il dan-

neggiato, ebbene l’attribuzione di tale “manna”, che va oltre il danno tradizional-

mente risarcibile (più condivisibile nella sua entità) può destare a nostro avviso

un’occasione di perpetuazione del conflitto originario, amplificando nel condannato

sentimenti di ritenuta “ingiustizia”, di irragionevolezza del trattamento subito, (con

ingiusto arricchimento a favore di altri) aprendo un nuovo conflitto all’interno della

risoluzione di quello precedente. Talune di queste considerazioni critiche potrebbero

attenuarsi qualora il legislatore decidesse di introdurre chiari criteri in un razionale

sistema di commisurazione dei danni punitivi, a renderne il risultato ragionevolmen-

te prevedibile nella sua entità. D’altra parte, anche la nota pronuncia delle Sezioni

Unite della Cassazione del 201777, nel dichiarare la «non ontologica incompatibilità

con l’ordinamento italiano» dell’istituto statunitense dei risarcimenti punitivi (se-

gnando un mutazione di indirizzo rispetto a precedenti dinieghi78), condiziona il ri-

conoscimento della sentenza straniera di condanna al rispetto di precisi requisiti di

garanzia, e quindi richiedendo, insieme alla tipicità delle relative ipotesi, anche fon-

damentali “limiti quantitativi”.

Nel variegato quadro degli orizzonti di riforma, un’ulteriore considerazione par-

ticolare ci sembra ampiamente doverosa rispetto alla più recente delle proposte avan-

zate in dottrina, che muove anch’essa da una valutazione di inadeguatezza della nor-

mativa vigente, sostenuta da indagini di carattere storico, comparativo e socio-

psicologico. Ci riferiamo a quella parte conclusiva del lavoro di Arianna Visconti che

76 V. G. PONZANELLI, Danni punitivi: no grazie, in “Foro it.”, 2007, I, p. 1461 e ss.; ID., I punitive

damages nell’esperienza nordamericana, in “Riv. dir. civ.”, I, p. 435 e ss.; ID., Quale futuro per i danni punitivi, in AA.VV., La ‘materia penale’ tra diritto nazionale ed europeo, cit., p. 187 e ss., contenente

una rassegna delle già vigenti ipotesi riconducibili alla categoria dei danni punitivi, non riparatori (in

un distinguo, per vari profili, dai punitive damages, nordamericani) valutati in sé come non illegitti-

mi, purché articolati tenendo presente l’esigenza della certezza, e quindi secondo l’indicazione legale

di criteri e scopi precostituiti; F.D. BUSNELLI, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in “Europa e dir. privato”, 2009, p. 909 e ss.

77 Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, cit. 78 Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2007, n. 1183, Parrot, in “Foro it.”, I, p. 1459 e ss.

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delinea una “traccia di sentiero” per la riforma, tanto nella particolare prospettiva di

tutela del bene reputazione, quanto a livello di scelte sanzionatorie per le nuove fatti-

specie di diffamazione. Il discorso propositivo viene opportunamente anticipato

dall’avvertenza che ogni prospettiva di seria riforma del settore è legata alla previa ri-

definizione del sistema sanzionatorio, che anche in questo settore denuncia obsole-

scenza e rigidità, particolarmente accentuate in relazione alla delicata interferenza

della tutela del bene onore (reputazione) con altri importantissimi valori costituziona-

li. In sintonia con la migliore dottrina specialistica79, si riconosce (oltre alle note istan-

ze e sollecitazioni sovranazionali)80, l’innegabile disagio per la comminatoria della re-

clusione in quest’ambito, per considerazioni di proporzionalità sanzionatoria nel “bi-

lanciamento tra onore e libertà personale”, che si pongono di per sé, e ancor più

nell’interferenza di ulteriori istanze legate alla libertà di manifestazione del pensiero81.

Ridefinito il bene onore con riferimento alla stima/stimabilità e quindi ad un

onore/reputazione, quest’ultima Autrice prospetta ad un tempo una delimitazione ed

un rafforzamento dell’intervento penale settoriale. Ferma restando l’approvazione per

l’abrogazione del delitto di ingiuria, il quadro propositivo della Visconti risulta artico-

lato su fattispecie incriminatrici perseguibili a querela, significativamente innovative

nei contenuti: la prima, denominata “Diffamazione qualificata dall’attribuzione di fatti

falsi” ed articolata con progressioni interne di tutela; la seconda denominata “Diffama-

zione con aggressione alla sfera privata”, a cui si affiancano norme secondarie, di in-

terpretazione autentica, ed una circostanza aggravante. Possiamo, ai nostri fini di e-

sclusiva trattazione del tradizionale bene onore, concentrarci solo sulla prima fattispe-

cie, in quanto la seconda risulta in realtà frutto di una rielaborazione della tutela spe-

ciale della riservatezza82, nella sua ritenuta connessione (sovrapposizione parziale) col

79 A. GULLO, Diffamazione, cit., p. 185 e ss.; A. MANNA, La nuova disciplina della diffamazione a

mezzo stampa. Profili penalistici. La crisi della tutela penale dell’onore, in AA.VV., Diritto di cronaca e tutela dell’onore. La riforma della disciplina sulla diffamazione a mezzo stampa, a cura di A. Mel-

chionda, G. Pascuzzi, Trento, 2005, p. 43 e ss. 80 Al riguardo v., in particolare, la condanna dell’Italia in C. Eur. Dir. Uomo, 24 dicembre 2013,

Belpietro c. Italia, ove viene chiaramente affermata l’incompatibilità del ricorso alla pena detentiva in

una condanna a carico di giornalista, per diffamazione, con il disposto dell’art. 10. V. inoltre, a titolo

esemplificativo, la Raccomandazione n. 1506 del 24 aprile 2001 (“Freedom of Expression and Infor-mation in the Media in Europe”), nonché la Risoluzione n. 1920 del 24 gennaio 2013 (“The State of Media Freedom in Europe”) dell’Assemblea del Consiglio d’Europa.

81 A. VISCONTI, op. cit., p. 630; il riferimento è già a A. GULLO, op. loc. cit. 82 La fattispecie di “Diffamazione con aggressione alla sfera privata”, la cui introduzione contestua-

le alla tutela dell’onore viene proposta dalla VISCONTI, op. cit., p. 633, suonerebbe come segue: «Chi-

unque pubblicamente offende l’altrui reputazione mediante la divulgazione, in assenza di un rilevante

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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bene comune della reputazione. La diffamazione qualificata dall’attribuzione di fatti

falsi dovrebbe essere connotata in maniera centrale dalla pubblicità dell’offesa in

quanto «è connaturato all’essenza della reputazione stessa che questa possa essere lesa

solo da esternazioni a terze persone e non da semplici offese rivolte direttamente, e

unicamente alla persona insultata»83. La necessità che il contenuto della divulgazione a

terzi riguardi false “asserzioni di fatto” sarebbe poi finalizzata ad escludere dall’ambito

di tutela le offese consistenti in puri giudizi di valore, che, come tali, restano relativi-

sticamente legate al campo della “pura opinione”84, meno lesiva della reputazione, e

che quindi risulterebbero penalmente lecite. Limitazioni di tutela deriverebbero dal

diniego di autonomo rilievo penale ai “modi usati”, poiché «la sorveglianza

sull’urbanità e le buone maniere dei cittadini non pare compito da affidarsi al diritto

penale»85. Particolarmente rilevante appare anche la chiara circoscrizione dell’onore

tutelabile, con riferimento alla sua dimensione sostanziale, dato che il connotato di fal-

sità dell’addebito diffamatorio, nel testo proposto verrebbe assurto a requisito struttu-

rante la tipicità del fatto (e quindi senza riproduzione di autonome previsioni nei ter-

mini dell’attuale art. 596 c.p.). L’Autrice, inoltre, memore delle ritornanti accuse di

indeterminatezza ed inafferrabilità che gravano storicamente sui contenuti dei “delitti

contro l’onore”, si sforza di delineare una norma secondaria, pragmatica ed innovativa,

contenente “interpretazione autentica” riguardo al possibile contenuto degli asserti

diffamatori penalmente rilevanti, per cui si dice espressamente che offenderebbero

l’altrui reputazione «le asserzioni relative a condotte illecite o a comportamenti con-

trari all’etica e alla deontologia professionali e ogni altra asserzione di fatto atta a e-

e attuale interesse pubblico, di informazioni personali relative allo stato di salute, alla vita famigliare, affettiva o sessuale, o a precedenti condanne penale per cui sia intervenuta la riabilitazione o la can-cellazione dal casellario giudiziale, o per le quali sia stata ordinata la non menzione nel casellario giu-diziale, è punito, a querela della persona offesa, con la multa…». Il risultato di tale disposizione sareb-

be quindi l’esercizio legittimo del diritto di cronaca e di critica, in presenza di un interesse pubblico

rilevante ed attuale alla diffusione pubblica stessa. 83 A. VISCONTI, op. cit., p. 634. 84 Per il risalente ed autorevole rilievo critico attinente alla labilità della distinzione tra mera cronaca

di fatti e giudizi di valore (opinioni), v. F. RAMACCI, Questioni sulla sanzionabilità penale della cronaca giornalistica, Milano, 1975, p. 41 e ss.; a proposito dei limiti gnoseologici ed ontologici connessi

all’utilizzo del criterio della verità e ad una cronaca circoscritta alla sola riproduzione di “fatti”,

quest’ultimo Autore esprime la «convinzione di non poter identificare la cronaca con la (e nei limiti del-

la) meccanica riproduzione descrittiva di fatti reali, ma di valutarla quale è nella prassi corrente e cioè

interpretazione libera di fatti accertati, già conosciuti per scienza propria o acquisiti attraverso altre e

varie fonti di informazione». 85 A. VISCONTI, op. cit., p. 635.

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sporre la persona all’odio, al disprezzo, o alla disistima dei consociati»86. La proposta

strutturazione dei commi interni alla “Diffamazione qualificata dall’attribuzione di fat-

ti falsi”, vede inoltre declinare ipotesi di gravità progressiva, individuate nella falsa at-

tribuzione di un fatto determinato, nell’offesa recata a mezzo stampa, della televisione,

di internet o con qualsiasi mezzo di pubblicità, e con disposizioni sanzionatorie di con-

tenuto interdittivo nel caso di offesa «commessa nell’ambito di un’attività giornalistica

professionale».

Non manca infine, nell’elenco delle proposte, la delineazione di un’ipotesi colpo-

sa descritta come offesa commessa nell’ambito di un’attività giornalistica professionale,

«dovuta a colpa grave nell’accertamento della verità dei fatti attribuiti alla persona of-

fesa», e per la quale si propone il ricorso alla sola, ma elevata, pena pecuniaria.

Completa il disegno previsionale la proposta di inserimento di una fattispecie,

sostanzialmente parallela a quelle di oltraggio, perseguibile d’ufficio, ed incentrata

su condotte offensive che «per il collegamento con le funzioni esercitate

dall’individuo (o dal collegio) e la natura particolarmente qualificata dell’addebito

– legato alla violazione del mandato di agire con ‘disciplina ed onore’, dall’art. 54

Cost. imposto ai pubblici ufficiali – presentino una particolare carica lesiva non so-

lo nei confronti della stimabilità dell’individuo e della p.a., ma anche del rapporto

di fiducia tra cittadini e istituzioni»87.

Il disegno di riforma sopra descritto (in necessaria sintesi) si fa apprezzare, ol-

tre che per certe scelte strutturali, per l’articolazione dell’apparato sanzionatorio

proposto, in parte ricavato dall’arsenale attualmente vigente, ed in parte oggetto esso

stesso di riforma previsionale in un nuovo quadro sistematico generale. La strategia

sanzionatoria proposta dovrebbe infatti prendere distanza dalla pena detentiva, ed

operare in un binomio tra pene pecuniarie progressivamente articolate, ma anche

adeguatamente rinforzate da temibili interdizioni dall’esercizio della professione (e-

rette a pena principale) nel caso delle diffamazioni a mezzo stampa, con l’ulteriore

previsione della pubblicazione della sentenza di condanna. La rinuncia all’esecrata

pena detentiva in comportamenti interferenti con valori di libertà di pensiero risulta

quindi accompagnata anche dalla consapevolezza dell’insoddisfacente ricorso alla sola

pena pecuniaria, in materia particolarmente inefficace a livello dissuasivo per autori

riconducibili alle professioni dell’informazione, dato l’alto rischio di agile metaboliz-

zazione alla stregua di costi calcolabili della condotta criminosa. Non si può che con-

86 A. VISCONTI, op. cit., p. 633. 87 A. VISCONTI, op. cit., p. 638.

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La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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venire inoltre sull’auspicio di un diverso sistema normativo di commisurazione della

pena pecuniaria, incentrato in maniera tecnicamente più raffinata, su una metodologia

“per tassi giornalieri”88.

Sembra meritare consenso anche la proposta di aggiungere la reclusione nel so-

lo caso di una futuribile ed opportunissima aggravante speciale89, incentrata sulla “fi-

nalità di discriminazione e di odio”, ove la “dignità”, nel suo significato personale più

alto, sembra pienamente giustificare un plausibile e necessario rinforzo di tutela da

diffamazioni gravissime, la cui severa repressione costituisce anche tutela cultural-

mente “anticipata” rispetto ad ulteriori e più gravi aggressioni nel quadro dello svi-

limento e della reificazione dell’essere umano. Peraltro tale rinforzo di tutela sarebbe

coerente anche con un – per noi auspicabile – ritorno alla rilevanza penale delle sole

forme di ingiuria che colpiscano soggetti in condizioni di minorata difesa (handi-

cap90, malattia, regresso culturale), oltre che di quelle animate da finalità di discrimi-

nazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, secondo l’ambito delineato

nella c.d. “legge Mancino”91.

Rilievi critici sembrano per contro elevabili per la mancata considerazione di a-

deguate previsioni in materia di rettifica, e di previsioni premiali di non punibilità (o

meglio di minor punibilità) ad essa riconducibili, che nella prospettiva promozionale

del “restauro” del bene reputazionale offeso assumono una concreta efficacia. Tali pre-

visioni non dovrebbero però essere connotate da indiscriminato automatismo, ma sot-

88 Il noto modello alternativo di commisurazione della pena basato sui cc.dd. “tassi giornalieri”, ol-

tre ad essere già diffuso nei paesi del nord e dell’est Europa, nonché in alcuni Stati del Sud America,

rappresenta anche una seria prospettiva di riforma per l’Italia. V. sul tema: M. MIEDICO, La pena pe-cuniaria: disciplina, prassi e prospettive di riforma, Milano, 2008; L. GOISIS, La pena pecuniaria, un’indagine storica e comparata. Profili di effettività della sanzione, Milano, 2008; ID., Le pene pecu-niarie. Storia, comparazione, prospettive, in “www.penalecontemporaneo.it”, 22 novembre 2017; A.

BERNARDI, L’armonizzazione delle sanzioni in Europa: linee ricostruttive, in “Riv. it. dir. proc. pen.”,

2008, p. 76 e ss. 89 A. VISCONTI, op. cit., p. 634, 639. 90 Già, in quanto tali, destinatari dalla maggior protezione garantita dall’aggravante di cui all’art.

36 della L. 5 febbraio 1992, n. 104. 91 L. 25 giugno 1993, n. 205. Peraltro, nell’ambito delle recenti riforme introdotte con la Ley Or-

ganica 1/2015 del 30 marzo 2015, anche la Spagna ha depenalizzato la fattispecie di Injuria leve, con

attribuzione ai fatti depenalizzati di una tutela di carattere meramente civilistico. Tuttavia alcuni casi

di Injuria leve risultano ancora considerati penalmente rilevanti, con riferimento alle Injurias com-

messe in danno delle persone di cui al comma 4 dell’art. 173 del Codigo Penal, ove si contemplano

categorie di vittime meritevoli di particolare protezione nella violencia de gènero o nella violencia domèstica, o comunque di persone particolarmente vulnerabili, in situazione di minorata difesa. Sui

vari contenuti della Ley Organica 1/2015 v. AA.VV., Cuestiones penales. A propósito de la Riforma penal de 2015, a cura di M. A. Cuadrado Ruiz, Madrid, 2016.

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toposte ad un concreto filtro discrezionale da parte del giudice ad impedirne perverse

strumentalizzazioni nel calcolo costi/benefici della condotta criminosa.

La disamina delle più attendibili istanze di riforma provenienti dalla dottrina,

insieme ai contenuti del citato disegno di legge Costa, consente di formulare conclu-

sivamente anche alcune nostre sintetiche “raccomandazioni”, per una futura riforma

del settore in oggetto. Sulla base di valutazioni politico-criminali guidate dai principi

di sussidiarietà e proporzionalità, sembra ormai consolidato il consenso per

l’abrogazione del delitto di ingiuria ed analogo destino può quindi essere auspicato

per le ipotesi di diffamazione semplice92, ricostruibile anch’essa come illecito civile

tipizzato. Considerazioni legate alla particolare offensività del delitto di diffamazione

a mezzo stampa (e con altri mezzi equiparati per l’alta diffusività) sembrano anche

per noi consigliare al futuro legislatore il mantenimento di tale fattispecie

nell’ambito della rilevanza penale, che – come proposto – dovrebbe essere orientata

sulla tutela soltanto sostanziale della reputazione, da “asserzioni di fatto false”, af-

fiancando ad essa, come suggerito dalla Visconti un’incriminazione complementare,

costruita sulla divulgazione di contenuti offensivi pertinenti alla sfera strettamente

privata, ed in assenza di un “rilevante ed attuale interesse pubblico”93; tale ultima

proposta sarebbe pertinente alla declinazione di tutela del bene in termini di riserva-

tezza, piuttosto che alla tutela dell’onore/reputazione. Il delicato problema che qui si

apre ci sembra piuttosto quello delle concrete scelte sanzionatorie, a loro volta legate

alle possibilità di una tanto auspicata riforma del sistema sanzionatorio generale. Per il

riformato delitto di diffamazione a mezzo stampa, (alternativamente alla problematica

praticabilità dei punitive damages in un’eventuale italian way) potrebbe prevedersi

dunque un mix sanzionatorio che parta dalla pena pecuniaria come sanzione base, raf-

finata da un riformato contesto commisurativo che ruoti attorno al sistema dei tassi

giornalieri, a calibrarne l’afflittività in ragione delle diverse condizioni personali. La

limitata portata dissuasiva della pena pecuniaria potrebbe poi essere ovviata dalla pre-

visione rafforzativa di pene interdittive dell’attività professionale (in particolare gior-

nalistica) ricollegate ai casi di recidiva. A coronamento della disciplina sanzionatoria,

si ritiene infine raccomandabile la previsione di un effetto diminuente, in forma di

circostanza premiale, legato alla spontanea pubblicazione di efficaci rettifiche, dalla

funzione restaurativa degli interessi lesi.

92 Includendovi anche il caso dell’attribuzione di un fatto determinato, oggi ipotesi aggravata. 93 V. supra, nota 82, la nuova fattispecie incriminatrice indicata dalla VISCONTI, come ipotesi di

nuovo articolato.

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Da ultimo corre l’obbligo di ricordare che la prospettiva della riforma in tema di

diffamazione a mezzo stampa (e mezzi equiparati) potrebbe riguardare anche la re-

sponsabilità da reato degli enti, sebbene tale argomento appaia quanto mai delicato e

meritevole di separato approfondimento. In linea di principio, l’attuazione anche in

questa direzione del modello punitivo sovraindividuale potrebbe sembrare ipotesi

plausibile ed efficace, rappresentando anche in questa materia un significativo irrobu-

stimento della tutela penale tradizionalmente incentrata sulle sole persone fisiche. Gli

enti, o per meglio dire le società di carattere giornalistico-editoriale sono già normati-

vamente destinatarie di interventi sanzionatori ex d.lgs. n. 231/2001, ma per reati di-

versi94 dalla riformanda diffamazione a mezzo stampa, la cui inclusione rappresente-

rebbe una specifica focalizzazione delle sanzioni a carico degli enti, tale da attingere

proprio al cuore dell’attività giornalistica95. Il guadagno in termini strettamente pre-

ventivi si profila in tutta evidenza; anche in quest’ambito editoriale-giornalistico

l’impresa societaria persegue finalità locupletative che ben si attagliano a quella pro-

spettiva di “interesse o vantaggio” che costituisce la base imputativa di tipo obiettivo

del modello di responsabilità punitiva sovraindividuale adottato nell’ordinamento ita-

liano. Rispetto a politiche societarie scorrette, rivolte all’innalzamento dell’utenza

dell’informazione, la responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001 potrebbe costituire un ulte-

riore baluardo per scoraggiare l’incondizionato perseguimento dell’aumento dei lettori

o comunque dell’utenza, (e quindi del profitto) che passi attraverso lesioni del bene

onore/reputazione, peraltro attuate con alta diffusività e quindi con altissima incisività

offensiva. Il problema principale, in questa direzione di riforma, ci sembra essere pre-

valentemente costituito dall’individuazione di uno specifico arsenale sanzionatorio

che appaia adeguato della natura degli enti da coinvolgere e che risulti compatibile

con l’alta funzione da essi svolta nel quadro della libertà di manifestazione del pensie-

ro costituzionalmente tutelata e valore centrale di ogni democrazia liberale. Netta-

mente precluso sembrerebbe il ricorso a sanzioni interdittive per imprese societarie

che per loro natura agiscono in attuazione della suddetta libertà costituzionale96, men-

94 Si pensi ad esempio alla responsabilità di tali società per reati in tema di violazione del diritto

d’autore, o a pubblicazioni di carattere pedopornografico ex art. 25 ter del decreto da ultimo menzio-

nato, o comunque a delitti informatici. 95 Parallelamente, potrebbe profilarsi anche un’ulteriore estensione del d.lgs. 231/2001, inserendo

nella “parte speciale” di tale Statuto di responsabilità degli enti anche i reati contro la riservatezza, a

conferma della stretta interconnessione tra la tutela di quest’ultimo bene e la tutela dell’onore, come

prefigurato nella stessa proposta della VISCONTI, v. supra. 96 In questo senso v. puntualmente C. PIERGALLINI, Attività giornalistica e responsabilità dell’ente,

in “Dir. pen. contemporaneo”, 2017, p. 111.

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tre la pena pecuniaria tornerebbe a svolgere il ruolo di sanzione principale, se non e-

sclusiva. I noti effetti indesiderati riconnessi all’utilizzo della pena pecuniaria97, in su-

biecta materia, potrebbero certamente essere fronteggiati98 con quel sistema di commi-

surazione “per quote”, che è già realtà normativa nella doppia scansione imposta dagli

artt. 10 e 11 del d.lgs. n. 231/2001, e che, com’è noto, consente di considerare la di-

mensione economico-patrimoniale dell’ente, destinatario della sanzione. Ad ulteriore

rinforzo, è stata puntualmente avanzata anche la proposta di rivitalizzare l’uso della

pubblicazione della sentenza di condanna, privata dell’attuale necessaria accessorietà

rispetto alla condanna dell’ente a sanzioni interdittive (per le esposte ragioni non pra-

ticabili nello specifico ambito di riferimento).

Ulteriori perplessità emergono per un’eventuale inclusione della diffamazione a

mezzo stampa tra i reati presupposto della responsabilità dell’ente con riguardo alla

complessiva strutturazione del sistema ordito dal d.lgs. n. 231/2001, notoriamente in-

centrato, a vari livelli funzionali, sui modelli di organizzazione e gestione, fondamento

del concetto stesso di colpa di organizzazione. Si è infatti rilevato come tali modelli,

costituenti protocolli comportamentali autoinstallati, in chiave di autonormazione/co-

normazione, potrebbero determinare indesiderabili effetti in termini di indebito con-

tenimento della libertà professionale dei giornalisti, sotto vari profili: «trattandosi di

reati fisiologicamente collegati all’esercizio dell’attività giornalistica, assistita da risa-

puti diritti costituzionali, cova il rischio che il modello possa ‘degenerare’ in un intol-

lerabile strumento di censura preventiva, alla stregua di un bavaglio organizzato alla

libertà di informazione»99, ed inoltre il modello organizzativo potrebbe prestarsi anche

ad un perverso uso come strumento da parte della società e della sua maggioranza, per

sottoporre a penetranti controlli i giornalisti «mortificandone la professionalità e ridu-

cendoli tutti, compreso il direttore a meri impiegati di redazione»100. Quest’ultima pro-

97 Ci riferiamo alla nota eventualità che la pena pecuniaria possa attestarsi alternativamente o su

entità che eccedano la sopportabilità economica da parte dell’ente, mettendone in forse la sopravvi-

venza o, per contro, che non attingano la “sensibilità” dell’ente per esiguità dell’importo, con conse-

guente effetto di agile “metabolizzazione”. 98 In questo senso v. anche C. PIERGALLINI, op. cit., p. 112; l’Autore segnala anche l’opportunità di

“rivitalizzare” l’istituto sanzionatorio della pubblicazione della sentenza, «con forme ben diverse da

quelle oggi disciplinate dall’art. 36 c.p.», con pubblicazione nel sito internet del Ministero della Giu-

stizia. Secondo Piergallini, con il recupero di efficacia (in termini di disqualification) alla pubblicazio-

ne della sentenza di condanna essa potrebbe tuttavia «non trovare applicazione quando l’ente ha

provveduto, prima dell’apertura del giudizio, a rettificare le notizie o a dare contezza della violazione

con modalità e tempi di diffusione ritenuti adeguati dal giudice», op. loc. ult. cit. 99 C. PIERGALLINI, op. cit., p. 110. 100 C. PIERGALLINI, op. loc. ult. cit.

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spettiva strumentale non ci sembrerebbe aggiungere concretamente molto di più a

quel potere di controllo che i centri proprietari possono comunque allo stato già eser-

citare sui professionisti dipendenti, mentre forse più temibile è il rischio che la autore-

golamentazione possa di per sé, anche se ispirata ai migliori intenti ed informata a va-

lori sicuri, esercitare un’influenza “pilotante” rispetto alla libertà d’informazione, che

in quanto tale mal sopporta binari e decaloghi. A quest’ultimo proposito rimane istrut-

tiva l’esperienza della famosa pronuncia della Suprema Corte, con la quale vennero

indicati alcuni criteri per individuare la forma lecita nell’esposizione dei fatti, “i-

struendo” la libera attività giornalistica e che venne stigmatizzata da subito come il

“decalogo del giornalista”, e sottoposta ad immediata e sferzante critica101.

Il rischio di compressione della libertà di informazione sembrerebbe comun-

que assai ridotto in considerazione del fatto che l’eventuale modello organizzativo

di gestione e controllo, finalizzato (in via di ipotesi propositiva) alla prevenzione

del rischio di commissione di reati di diffamazione, apparirebbe ridimensionato e

controbilanciato dal carattere facoltativo e dall’autoproduzione dello stesso, in

quanto protocollo comportamentale autoinstallato e quindi ben diverso da

un’istanza preventiva eteroimposta.

Con ogni evidenza, le problematiche da ultimo indicate meritano un adeguato

approfondimento, ma sul tavolo della riformanda tutela dell’onore/reputazione si

impone al legislatore anche un attento bilanciamento tra i citati rischi

dell’estensione della parte speciale del d.lgs. n. 231/2001 ai reati di diffamazione a

mezzo stampa ed il vantaggio che ne deriverebbe in termini di maggior tutela rispet-

to alle più aggressive e devastanti forme di offesa all’onore che gli “enti giornalistici”

possono “incubare” all’interno della loro politica societaria.

101 Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259, in “Foro it.” I, c. 2713, con nota di R. PARDOLESI; ed

anche in “Dir. informazione e informatica”, 1985, p. 143, con nota di S. FOIS, Il c.d. decalogo dei gior-nalisti e l’art. 21 Cost.