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Nessuno ne parla ma il futuro di oltre 300 dipendenti è a rischio La Sac-Service in liquidazione L’aria che si respira è di quella che precede le tempeste Si preannunciano per Catania significativi cambiamenti epocali di SALVO BARBAGALLO L a battaglia sulla Società di ge- stione dei servizi dell’aero- porto di Fontanarossa che il senatore Pino Firrarello e il presi- dente della Provincia Giuseppe Ca- stiglione (PDL) hanno lanciato con- tro il collega di coalizione Raffaele Lombardo, governatore della Re- gione Siciliana, a quanto pare sta dando i suoi frutti. Allo stato attuale non ci sono vincitori, ma solo scon- fitti: i trecento dipendenti della Sac- Service, l’azienda controllata dalla Sac. Questi dipendenti, il cui futuro, nella migliore delle ipotesi, prevede (con formula dubitativa per molti) la loro ricollocazione in qualche carrozzone clientelare creato ad hoc, dovranno ringraziare i protago- nisti delle feroci lotte che da tempo si sono ingaggiate per il predominio politico della società aeroportuale. Ma dovranno anche ringraziare quei sindacati che, sottoscrivendo un accordo-beffa, hanno dato la possibilità ai dirigenti delle due so- cietà (la madre, la Sac, e la control- lata Sac-Service) di giocare a tutto campo sulla loro pelle, avviando un piano di licenziamenti, sotto il falso obiettivo della “ristrutturazione” aziendale. Nei numeri precedenti de “La Vo- ce dell’Isola” ci siamo occupati a lungo della “questione Fontanaros- sa”: le rassicurazioni venute dal pre- sidente della Sac, ingegnere Gaeta- no Mancini, facevano sperare un percorso della Sac Service diverso da quello che si sta concludendo in questi giorni: in merito, il silenzio della stampa ”ufficiale” locale è ve- ramente assordante e sospetto (forse interessato?). C’è da aggiungere che altrettanto assordanti sono il silen- zio dell’Enac (Ente Nazionale Avia- zione Civile) e del suo presidente Vito Riggio (gradito “ospite” con magnifici articoli sulla solita stampa “ufficiale”), e del ministero alle In- frastrutture. Tutti tacciono, ma gli strepiti che si alzano alti nel corso dei consigli di amministrazione di Sac e Sac Service, uditi da molti ad- detti ai lavori, fanno capire che la bagarre non è finita: a quel che è da- to sapere una ulteriore battaglia si è accesa per la nomina del ”liquidato- re” della Sac Service. Come dire, non si piange al capezzale del mor- to, ma si litiga per la “gestione” del- le spoglie! Tace anche il principale protago- nista che ha avviato con i licenzia- menti questa macabra storia: la voce del presidente della Sac Service, Giuseppe Sciacca, ormai non si sen- te più da tempo… Dovremmo parlare delle vicende della Sac Service come di una nor- male storia di squallore politico, di una politica fatta di clientele a tutto campo, dove, per raggiungere obiet- tivi di potere, non si guarda in fac- cia nessuno. Catania appare stanca, inebetita dai troppi abusi, Catania non reagisce. E questo è il male peggiore… (Nelle foto, a sinistra Pino Firrarello e a destra Giuseppe Castiglione) Regione: mala gestione delle risorse e sprechi (A pagina 3) Lo strano destino dell’ospedale di Lentini (A pagina 9) La Voce dell’Isola Giornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Turismo, Spettacolo diretto da Salvo Barbagallo Anno IV - N. 18~20 29 OTTOBRE 2009 - 1,50 Per Confindustria c’è possibilità di forte ripresa dell’economia nell’Isola I n Sicilia grandi, medie e piccole imprese sono state travolte dai fattori negativi che hanno caratterizzato questi ultimi periodi in tutto il mondo. I rallenta- menti provocati dalla burocrazia, da una mancata e adeguata programmazione politica, hanno aggravato ulteriormente la situazione, appesantita anche dall’in- spiegabile blocco dei bandi dei finanziamenti comuni- tari a sostegno delle aziende. Pubblichiamo all’interno un Dossier nel quale i pre- sidenti di Confindustria Sicilia e Confindustria Cata- nia, Ivan Lo Bello (nella foto) e Domenico Bonaccorsi di Reburdone, fanno il punto della situazione. di MARCO DI SALVO P ronti al cambio di stagione? Se non lo siete, preparatevi. Perché l’aria che si respira è di quella che precede i temporali davvero grossi. E non solo perché stiamo entrando in inverno. Già le prime avvisaglie del cambio di clima ci sono sta- te, in questo scorcio di autunno che ci lasciamo alle spalle. Innanzitutto, silenziosamente, senza cartelloni sei per tre ad annunciare l’evento, la Repubblica mette il suo pri- mo piede nel piatto catanese, facendo arrivare anche nella nostra città la sua edizione re- gionale. Pagine in più, per ora targate Palermo, ma che fanno presagire l’ipotesi di un’aper- tura di un’edizione davvero re- gionale con tanto di cronaca (e redazione?) catanese. Uno sfregio per l’amico fraterno Mario? Non solo e non tanto. Più che altro un posizionamento in attesa di tempi futuri e più “liberi” editorialmente. Anche perché la seconda voce che gira (e cresce) negli ambienti fi- nanziari è quella di una “dismissione” dell’impero editoriale del direttore-editore-tipografo catanese. Si dice (e il si dice è d’obbligo in questo caso) che ci siano imprenditori lombardi molto interessati al pacchetto stampa e tv e che le offerte fioccheranno da qui a poco. Per ora si tratta di voci ma chissà che questa fine di 2009 non venga ricordata dalle gene- razione future come la fine di un periodo storico: quello del regno di Mario I imperatore. Ultimo, ma non per importanza, il ticchettio del conto alla rovescia per Raffaele il sorridente (il sin- daco Stancanelli, da non confondere con altri Raf- faele). I 140 milioni promessi un anno fa dal sodale Presidente del Consiglio tarda- no ad arrivare. I creditori, a differenza del Primo Cittadino, non sorrido- no più da tempo, e si profila per fine dicembre lo spettro del commissariamento e del fallimento per l’ente comune. Nel frattempo il Sindaco rende Palazzo degli Elefanti il regno del “no comment”, impedendo di fatto alla stampa libera (quella che c’è, in questa città) di fare il suo mestiere, ovvero di informare i cittadi- ni con cifre e dati sicuri sullo sfascio economico e finanziario dell’ente comunale. E, come un novello Achab, si prepara tutto solo alla sfida finale con la sua Moby Dick. E come è finita la storia originale è noto a tutti… Gli imprenditori pronti a investire per rilanciare lo sviluppo in Sicilia

La Voce dell’Isola - Associazione degli Industriali ... · L’aria che si respira è di quella che precede le tempeste ... Per ora si tratta di voci ma chissà che ... sione del

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Page 1: La Voce dell’Isola - Associazione degli Industriali ... · L’aria che si respira è di quella che precede le tempeste ... Per ora si tratta di voci ma chissà che ... sione del

Nessuno ne parla ma il futurodi oltre 300 dipendenti è a rischio

La Sac-Servicein liquidazione

L’aria che si respira è di quella che precede le tempeste

Si preannunciano per Cataniasignificativi cambiamenti epocali

di SALVO BARBAGALLO

La battaglia sulla Società di ge-stione dei servizi dell’aero-porto di Fontanarossa che il

senatore Pino Firrarello e il presi-dente della Provincia Giuseppe Ca-stiglione (PDL) hanno lanciato con-tro il collega di coalizione RaffaeleLombardo, governatore della Re-gione Siciliana, a quanto pare stadando i suoi frutti. Allo stato attualenon ci sono vincitori, ma solo scon-fitti: i trecento dipendenti della Sac-Service, l’azienda controllata dallaSac.

Questi dipendenti, il cui futuro,nella migliore delle ipotesi, prevede(con formula dubitativa per molti)la loro ricollocazione in qualchecarrozzone clientelare creato adhoc, dovranno ringraziare i protago-nisti delle feroci lotte che da temposi sono ingaggiate per il predominiopolitico della società aeroportuale.

Ma dovranno anche ringraziarequei sindacati che, sottoscrivendoun accordo-beffa, hanno dato lapossibilità ai dirigenti delle due so-cietà (la madre, la Sac, e la control-lata Sac-Service) di giocare a tuttocampo sulla loro pelle, avviando unpiano di licenziamenti, sotto il falsoobiettivo della “ristrutturazione”aziendale.

Nei numeri precedenti de “La Vo-ce dell’Isola” ci siamo occupati alungo della “questione Fontanaros-sa”: le rassicurazioni venute dal pre-sidente della Sac, ingegnere Gaeta-no Mancini, facevano sperare unpercorso della Sac Service diverso

da quello che si sta concludendo inquesti giorni: in merito, il silenziodella stampa ”ufficiale” locale è ve-ramente assordante e sospetto (forseinteressato?). C’è da aggiungere chealtrettanto assordanti sono il silen-zio dell’Enac (Ente Nazionale Avia-zione Civile) e del suo presidenteVito Riggio (gradito “ospite” conmagnifici articoli sulla solita stampa“ufficiale”), e del ministero alle In-frastrutture. Tutti tacciono, ma glistrepiti che si alzano alti nel corsodei consigli di amministrazione diSac e Sac Service, uditi da molti ad-detti ai lavori, fanno capire che labagarre non è finita: a quel che è da-to sapere una ulteriore battaglia si èaccesa per la nomina del ”liquidato-re” della Sac Service. Come dire,non si piange al capezzale del mor-to, ma si litiga per la “gestione” del-le spoglie!

Tace anche il principale protago-nista che ha avviato con i licenzia-menti questa macabra storia: la vocedel presidente della Sac Service,Giuseppe Sciacca, ormai non si sen-te più da tempo…

Dovremmo parlare delle vicendedella Sac Service come di una nor-male storia di squallore politico, diuna politica fatta di clientele a tuttocampo, dove, per raggiungere obiet-tivi di potere, non si guarda in fac-cia nessuno. Catania appare stanca,inebetita dai troppi abusi, Catanianon reagisce. E questo è il malepeggiore…

(Nelle foto, a sinistra Pino Firrarelloe a destra Giuseppe Castiglione)

Regione: mala gestionedelle risorse e sprechi(A pagina 3)

Lo strano destinodell’ospedale di Lentini(A pagina 9)

La Voce dell’IsolaGiornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Turismo, Spettacolo diretto da Salvo Barbagallo

Anno IV - N. 18~20 • 29 OTTOBRE 2009 - € 1,50

Per Confindustria c’è possibilità di forte ripresa dell’economia nell’Isola

In Sicilia grandi, medie e piccole imprese sono statetravolte dai fattori negativi che hanno caratterizzatoquesti ultimi periodi in tutto il mondo. I rallenta-

menti provocati dalla burocrazia, da una mancata eadeguata programmazione politica, hanno aggravatoulteriormente la situazione, appesantita anche dall’in-

spiegabile blocco dei bandi dei finanziamenti comuni-tari a sostegno delle aziende.

Pubblichiamo all’interno un Dossier nel quale i pre-sidenti di Confindustria Sicilia e Confindustria Cata-nia, Ivan Lo Bello (nella foto) e Domenico Bonaccorsidi Reburdone, fanno il punto della situazione.

di MARCO DI SALVO

Pronti al cambio di stagione? Se non lo siete,preparatevi. Perché l’aria che si respira è diquella che precede i temporali davvero grossi.

E non solo perché stiamo entrando in inverno. Giàle prime avvisaglie del cambio di clima ci sono sta-te, in questo scorcio di autunno che ci lasciamo allespalle.

Innanzitutto, silenziosamente, senza cartelloni seiper tre ad annunciare l’evento,la Repubblica mette il suo pri-mo piede nel piatto catanese,facendo arrivare anche nellanostra città la sua edizione re-gionale. Pagine in più, per oratargate Palermo, ma che fannopresagire l’ipotesi di un’aper-tura di un’edizione davvero re-gionale con tanto di cronaca (eredazione?) catanese. Unosfregio per l’amico fraternoMario? Non solo e non tanto.Più che altro un posizionamento in attesa di tempifuturi e più “liberi” editorialmente. Anche perché laseconda voce che gira (e cresce) negli ambienti fi-nanziari è quella di una “dismissione” dell’imperoeditoriale del direttore-editore-tipografo catanese.Si dice (e il si dice è d’obbligo in questo caso) che

ci siano imprenditori lombardi molto interessati alpacchetto stampa e tv e che le offerte fioccherannoda qui a poco. Per ora si tratta di voci ma chissà chequesta fine di 2009 non venga ricordata dalle gene-razione future come la fine di un periodo storico:quello del regno di Mario I imperatore.

Ultimo, ma non per importanza, il ticchettio delconto alla rovescia per Raffaele il sorridente (il sin-daco Stancanelli, da non confondere con altri Raf-faele). I 140 milioni promessi un anno fa dal sodale

Presidente del Consiglio tarda-no ad arrivare.

I creditori, a differenza delPrimo Cittadino, non sorrido-no più da tempo, e si profilaper fine dicembre lo spettrodel commissariamento e delfallimento per l’ente comune.Nel frattempo il Sindaco rendePalazzo degli Elefanti il regnodel “no comment”, impedendodi fatto alla stampa libera(quella che c’è, in questa città)

di fare il suo mestiere, ovvero di informare i cittadi-ni con cifre e dati sicuri sullo sfascio economico efinanziario dell’ente comunale. E, come un novelloAchab, si prepara tutto solo alla sfida finale con lasua Moby Dick. E come è finita la storia originale ènoto a tutti…

Gli imprenditori pronti a investireper rilanciare lo sviluppo in Sicilia

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Occhiello occhiello

L’ultima tragedia sicilianafra il destino e la volontà

di PIETRO CARUSO

Il Continente osserva l'ultima tra-gedia siciliana (quella nella pro-vincia di Messina) non con vero

dolore, ma secondo un copione cheè, purtroppo, alimentato dallo ste-reotipo della Sicilia sospesa fra de-stino e volontà. Forse, in questa di-rezione, ha un peso la concezione diun destino inevitabile, secondol'idea derivata da un atavismo mu-sulmano oppure dalla più confusa,ma vitale, discendenza dal politei-smo che prende origine dalla co-smogonia del mondo greco.

In ogni realtà della Sicilia la posi-zione di fronte al dolore è un impa-sto che non trova eguali in altre par-ti d'Italia. La realtà è che nessun ter-ritorio della penisola è stato fertiliz-zato come quello siciliano da cultu-re diverse e plurime negli indirizzi.Del resto se il destino che abbiamodi fronte corrisponde agli stessi la-menti dei protagonisti dei Malavo-glia l'imprecazione contro il futurodiventa l'unico antidoto per difen-dersi dallo schiaffo della realtà.Questa è però una posizione perden-te perché nega alla volontà qualsiasisperanza, ogni tipo di condizione. Einvece la volontà - come insegnanoi patrioti nel Risorgimento - è unelemento in grado di mobilitare mi-noranze che si trasformano in mag-gioranze. Tutto nasce attorno aun'idea che si fa storia. Vale a dire ilpopolo è come matura nel corso deltempo. Il popolo del ventunesimosecolo è forse incolto e pavido comenel passato? Il popolo siciliano chesi è fatto largo nelle pieghe dellastoria fin dai tempi dei Vespri è dun-

que così "basso" da attendersi glieventi come gli uomini primitivi at-tendevano gli incendi dopo il colpodi fulmine e lo scarico del tuono?Siamo alla vigilia di eventi che cor-rispondono, inutile negarlo, ad uncambiamento di passo della condi-zioni di noi italiani e di noi europei,ma bisogna riuscire a superare la vi-sione del mondo legato ad arcaniche mal si conciliano con quellaidea dell'uomo artifex del propriodestino.

Poteva essere evitata la tragediadei villaggi travolti dal fango dopoil nubifragio nella provincia di Mes-sina? Secondo la vulgata governati-va era già tutto previsto, secondo al-cuni degli amministratori locali eraimpossibile prevederlo. e io azzardouna risposta che non farà piacere anessuno. La tragedia era prevedibilema non poteva essere evitata. Latragedia era prevedibile perché nonsi costruisce su un terreno così fra-noso ed esposto geologicamente, manon possiamo neppure pensare chese in due giorni piove quello che laprevisione delle precipitazioni con-templa in un anno si possono fron-teggiare dissensi che sono stati co-struiti in decine di anni.

Del resto il risultato di insipienza,malaffare, ingenuità, pressapochi-smo può arrivare a produrre anchela morte e la disperazione.

La sottovalutazione della natu-ra.

Tutte le grandi isola nella storiasono state avare con la natura.Avendone avuta troppo gli isolanisono abituati a non tenere conto delpaesaggio. Del resto guardate quelloche, in tempi di bisogno, si è fattocon gli alberi. Tutto è diventato le-gname per mobili o combustibileper riscaldarsi. Altre parti dellemontagne o dei corsi dei fiumi sonostate depauperate per dare spazio al-l'industria edile. Come ho già avutomodo di raccontare su queste paginela "vulgata" attribuisce agli arabi lacolpa di avere depauperato la Sici-lia, dimenticando che furono soprat-tutto i bizantini a non avere troppiriguardi dei monti e delle selve bo-scose.

Quando guardiamo alla Sicilia delSettecento o dell'Ottocento ci tro-viamo di fronte a una visione dellarealtà che non riesce a guardare alfuturo con sufficiente sicurezza. Eraun'immagine idilliaca ma priva di

parametri di civiltà. Spesso eranosolo rovine greche e romane dell'an-tichità rivissute come primi pianidei paesaggi. La natura era qualcosache poteva essere fruita in modo il-limitato. Anche ora la situazione èvissuta nello stesso modo. Lo scarsoriguardo con il quale si trattano i ri-fiuti in Sicilia è la dipendenza psi-cologica dai grandi spazzini rappre-sentati dal vento e dal mare. Il ventoè spesso percepibile. Il mare vienevisto come una cura, ma essa è il ri-sultato di complesse variabili e laprofondità non è sufficiente persmaltire i veleni delle carrette delmare che hanno portato ogni tipo dirifiuto. Una cultura ecologista dellaSicilia è materia recente. Grandeamore per gli animali, ma scarsa cu-ra della vegetazione.

Quando si fanno le vendemmie laSicilia non scherza e l'agricolturasulle piane mantiene la sua eccellen-za. Solo che la natura è anche sem-plicemente paesaggio da non consu-mare. Quanto è brutto concepireogni metro di isola come una gallinadalle uova d'oro. Dunque la tragediadel Messinese non è una fatalità,non è una previsione. Insegna, co-munque, il dramma di tutti i limiti

delle classe dirigenti: dell'Isola e delresto del Paese. Non è un bello spet-tacolo assistere allo "scaricabarile".Un ministro non è un piccolo sinda-co. Un piccolo sindaco non può pe-rò farsi carico solo dei successi pic-coli ma anche delle tragedie grandi.La povera gente chiede sicurezzama non la trova. Quando poi sono ifiumi di fango a tracciare i confinidella Storia è ancora più umiliante.

Fra ambiente e culturaLa risorsa ambientale siciliana è

un fatto di cultura. Basterebbe, pertutti, evocare l'esempio dei giardinidelle grandi ville. Oppure tornare adosservare quello che rappresental'ambiente per quelli che sono disat-tenti. L'ambiente non viene valoriz-zato perché la cultura non fa brec-cia. Non ci sono alternative. Nonabbiamo alternative. Eppure se laSicilia facesse l'elenco dei suoi pro-fumi, una mappa ragionata, baste-rebbe questo. Quando, insieme adun zio paterno, mi recai diversi annifa a visitare la tomba di LeonardoSciascia la prima cosa che avvertiera un profumo di gelsomino. E an-che il profumo di zagare non si di-mentica. Allora nel suo paese di ori-gine i vecchi al bar del circolo diquei galantuomini che, alla fine, ilvecchio Sciascia aveva saputo edu-care, c'erano solo sguardi di rispettoper lo scrittore che aveva tanto ama-to la Sicilia da doverla stravolgerlaper non perderla per sempre.

Ecco un uomo che nella sua ra-zionalità si era allontanato dallo ste-reotipo dell'atavismo. La prova? SeSciascia fosse stato semplicementeun uomo rassegnato perché si sareb-be tanto dato da fare per salvare lavita di Aldo Moro durante la prigio-nia delle Brigate Rosse? La verità èche la razionalità si avvale anchedella quota di pessimismo. Senzapessimismo il messaggio della cul-tura come si situa? Sarebbe soltantoun'iniziativa superficiale. Nella co-struzione di un'identità culturale glielementi che riguardano l'ambientesono modesti, ma rappresentano pursempre un'occasione di crescita. Latragedia di Messina e dintorni haun'amara lezione. I siciliani paganoalti prezzi alla trascuratezza. Partedelle colpe sono locali, ma lo Statonon può giocare a carte false. Le di-sposizioni per il controllo dell'am-biente hanno dimensione ormai eu-ropea.

Nel Paese della licenza qualcunodovrà pur sempre fare i conti con lavoglia di rispetto che s'impone. Equel rispetto lo esigono i morti. E iviventi, anche quelli inconsapevoli.

Opinioni 2

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

Iscritto al n° 15/2006 dell’appositoRegistro presso il Tribunale

di CataniaRegistro ROC n. 16473

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Anno IV, nº 18~2029 Ottobre 2009

Gli articoli rispecchianol’esclusivo pensiero dei loro autori

La Vocedell’Isola

Poteva essere evitata la tragedia dei villaggi travoltidal fango dopo il nubifragio nella provincia di Messina?Secondo la vulgata governativa era già tutto previsto, secondoalcuni degli amministratori locali era impossibile prevederlo

VOCI DAL CONTINENTE

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La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

di ERNESTO GIRLANDO

Ecco un lavoro usurante: rin-tracciare tra le pieghe del bi-lancio della Regione siciliana

tutte le voci che possono ricondurrea sprechi di risorse, dissipazioni didenari, larghezze di elargizioni. Ilrischio è che giorni di lavoro, di pa-zienti analisi dei documenti, venga-no vanificati in pochi secondi da no-tizie di nuovi sciupii, decreti e prov-vedimenti inopinati, nuove trovate egeniali erogazioni. Da sempre è iltema per eccellenza. Bandiera dellapolitica riformista del governatoreLombardo, il taglio degli sprechi èuno di quegli argomenti di cui dasempre si avvertono i mali e si dicedover provvedere. Tentare di compi-lare un rapporto esaustivo dellamassa di denaro pubblico che vieneincredibilmente dirottato in quelpozzo senza fondo che è il gran vi-zio italico dello scialo (che in Siciliaassume dimensioni elefantiache), èimpresa improba e tentativo chime-rico. Però basta dare un’occhiata albilancio di questa nostra boccacce-sca isola di Bengodi per avere lapercezione dell’origine del malesse-re diffuso legato in gran parte, an-che se non solo, alla mala gestionedelle risorse finanziarie.

Ognun di noi conosce il numeroesorbitante di dipendenti regionali:quasi 21.000, uno ogni 239 abitanti,a fronte di un rapporto di uno ogni2.500 abitanti della Lombardia, chefunziona sicuramente meglio concomplessivi 3.900 dipendenti. Tuttisanno dei privilegi e delle dorate in-dennità dei deputati regionali sici-liani equiparati ai senatori. Inezie difronte a talune prerogative gelosa-mente tenute nascoste dai nostri rap-presentanti istituzionali. Che godo-no della possibilità di ricevere pre-stiti per cifre esorbitanti con interes-se a tasso bassissimo, il 2%, secon-do una convenzione con il Banco diSicilia sottoscritta dall’Ars, garantein caso di insolvenza del deputatoanche ove non più rieletto. E chi sache presso l’Ars esiste un ufficioche si occupa degli oggetti smarritidai deputati? I quali non ritrovandoil loro Cartier d’oro al polso, posso-no recarsi presso l’ufficio preposto ericevere l’intera cifra d’acquistoprevia esibizione della relativa fat-tura. E che dire del bonus di 6.440euro annuo per l’aggiornamento po-litico-culturale? O del “sussidio dilutto”, fino a 5.000 euro, per le ese-quie consone al rango di deputati incarica o addirittura cessati dal man-dato?

Ma non sono solo i deputati a go-dere di fantastici privilegi a spesedella collettività. Per loro è facile,poverini, essere sempre presi di mi-ra dalla cattiva critica dei cronistifarabutti. L’Ars è un’isola a parteanche per i dipendenti. Solo 200,certo, ma con stipendi da favola chepartono dai 5.000 euro mensili nettidei commessi per salire via via finoai dirigenti. Anche a loro non vienenegato qualche privilegio come ilmutuo per l’acquisto della casa.Giustamente. Del resto la politicadeve pensare anche alla sua corte.

Parlando sempre di dipendenti,c’è anche un record mondiale dete-nuto dalla Regione Sicilia: su 3.450dipendenti dei Beni Culturali ci so-no 770 dirigenti: il triplo del com-

plessivo parco diri-genziale dell’interaRegione Lombardia.Il tutto grazie a unaserie di assunzioni epromozioni che laCorte dei Conti avevanel maggio scorso de-nunciato come “ab-norme”. Complessi-vamen-te la RegioneSicilia ha 2.111 diri-genti in servizio. Seteniamo conto delrapporto dipendenti-dirigenti nello Stato,che ammonta a 5,6,alla Sicilia bastereb-bero 237 dirigenti. In-credibile la spesa permantenere l’apparato burocratico re-gionale: mille e 72 milioni di euronel 2008. Ed è una spesa in crescita.

Altro settore tradizionalmentemangiasoldi è da sempre quello del-le società partecipate. Ci sono ancherealtà d’eccellenza ma le situazioniparadossali sono tante tra le attuali23 società che compongono questoambito. Alcune con più consiglieridi amministrazione che dipendenti:la Mercati Agro Alimentari Sicilia,che dall’anno della sua fondazione(il lontano 1991) non hai mai datoinizio alle sue attività, e ha quattrodipendenti e cinque consiglieri diamministrazione, tutti ben retribuiti.Altre che chiudono i conti in rossoperché la Regione non le paga, perpoi avere i deficit ripianati sempredagli interventi della Regione. Più

consiglieri che dipendenti al ParcoScientifico e Tecnologico: 7 compo-nenti del cda e 4 che timbrano ilcartellino. E poi il numero sproposi-tato di dipendenti: oltre mille l’AST,ben 1.800 la Multiservizi, che nel2008 ha chiuso il bilancio con unaperdita di 4 milioni di euro, persomme non versate dall’Assessoratoalla Sanità e che poi la stessa Regio-ne deve ripianare. Nonostante questipreoccupanti indebitamenti il Dpef2010-2013 prevedere la costituzionedi altre due partecipate: una per i fo-restali e una per la promozionecommerciale.

Altro tema allo stato attuale tra-scurato dalla politica riformista delgovernatore Lombardo è quello del-la formazione professionale: un ba-ratro che assorbe oltre 300 milionidi euro l’anno. Dopo le polemiche ela bocciatura del Piano 2009, cheaveva approntato l’allora assessorealla Formazione Incardona e cheavrebbe consentito un congruo ri-sparmio, nessuna ha messo mano al-la riforma del settore. Impietosi inumeri: nel 2008 (stesso Piano adot-tato nel 2009) sono stati attivati ben2.514 corsi di formazione con31.918 iscritti. Costo complessivo362 milioni di euro. I risultati: soloun alunno per corso ha trovato lavo-ro. A chi giovano questo corsi?

Sanità. È il settore in cui sono sta-ti riportati risultati accettabili dal

punto di vista del contenimento deicosti anche se a farne le spese saran-no principalmente gli utenti. Ma inquest’ambito c’è un carrozzone, ilservizio di emergenza, gestito dadue enti, la CRI e la stessa Regionesiciliana. Se raffrontiamo le cifrecon quelle della Regione Lombardiac’è da rabbrividire. Meno 45% lapopolazione siciliana, meno il 60%di interventi in Sicilia, più il 135%

di addetti e più 11% il costo del ser-vizio che equivale da noi a 82 milio-ni di euro. Sono ovviamente dati ri-feribili al 2008, per il 2009 sonopreviste cifre non dissimili.

E che dire dei 56 milioni di euroconcessi dalla Regione a enti, asso-ciazioni, società sportive? A leggerel’elenco c’è da divertirsi.

A partire dalla Facoltà teologica,alla quale vengono assegnati450.000 euro. Qui la Regione ponedei vincoli di spesa per effetto deiquali i fondi non possono essere uti-lizzati per attività di routine quali lelezioni. A questo pensano però glistudenti che con il pagamento del-l’iscrizione ai corsi coprono il 65%dei costi complessivi sostenuti dallafacoltà. Che oltre a Palermo ha sediminori anche a Catania, Messina,Siracusa, Caltanissetta, Agrigento eRagusa, dove si organizzano i semi-nari. Insoddisfatto dello stanziamen-to della Regione si dichiara mons.Raspanti, preside uscente della fa-coltà le cui finestre dei locali dellasede si affacciano su Corso VittorioEmanuele, proprio sulla via lungo laquale ogni giorno sfilano i cortei,diretti a Palazzo dei Normanni, deiprecari che hanno appena perso ilposto.

Dalla Facoltà di teologia allascuola di giornalismo che non formacronisti: un istituto superiore digiornalismo sovvenzionato in larga

misura dalla Regione. Ospita nonpiù di 50 ragazzi l’anno e opera incollaborazione con l’Università Ko-re di Enna nell’ambito della Facoltàdi Scienze della comunicazionemultimediale. I 608.000 euro asse-gnati ad esso dalla Regione servonosolamente a consentire agli studentidi seguire le lezioni in teleconferen-za. Nulla di più. Eppure il depliantpubblicitario dell’istituto parla del

“gran numero di professionisti dellacarta stampata o di testate televisiveche hanno studiato e conseguito ildiploma di specializzazione in que-sto Istituto”.

E chi non conosce il ComitatoPermanente per il partenariato Euro-Mediterraneo dei poteri locali e re-gionali? A presiederlo è lo stessoRaffaele Lombardo, a dirigerlo Car-melo Motta. Nato nel 2000 si propo-ne di mantenere saldi i rapporti trala Regione Sicilia e il mondo arabo.Per raggiungere questo nobilissimoscopo la regione sborsa la bellezzadi un milione e trentacinquemila eu-ro. Motta tiene però a precisare chelo stanziamento non è sufficienteper la poderosa attività del Comita-to: “Effetto dei tagli. Prima ci dava-no molto di più”.

Altra pioggia di milioni su onlus,associazioni e bande musicali. Amaggio il Commissario dello Statoaveva impugnato il relativo articolodella Finanziaria. Ma ad agosto laRegione, nella sua infinita miseri-cordia, mentre i contribuenti, di-stratti, se la spassavano al sole dellelocalità di vacanza, ha tirato giù undecreto con il quale riassegna a tuttigli enti i fondi già assegnati nel2008. Vediamone alcuni.

Si sa, la parola “mediterraneo” danoi evoca ricordi antichi e porta pu-re bene. Al Consorzio per la forma-zione, ricerca e università del medi-

terraneo ha portato la fortuna di unostanziamento di 800 mila euro. Unodi 900 mila è previsto per “associa-zione ambientaliste e venatorie”, ac-contentando in un sol colpo chi pro-tegge gli animali e chi li ammazza.Al Centro Maiorana di Zichichivanno oltre 800 mila euro. Al centroStudi Don Calabria 400 mila euro,400 mila all’Opus Dei e perfino ilCentro Studi Nuove Religioni grattaqualcosa: 45 mila euro. An-che losport non scherza. Sette milionivanno per il potenziamento delle so-cietà sportive siciliane, un milione emezzo alle società di Serie A e, que-sta è bella, 567 milioni a quelle chemilitano nella “massima serie” (cheè la Serie A). All’autodromo di Per-gusa vengono concessi 800 mila eu-ro, 200 mila ne incassa la Scuoladello Sport di Ragusa, 450 milionil’Amatori Catania. L’Unione ciechiporta a casa, a vario titolo, una som-ma molto consistente, 5 milioni dieuro e così via per sordomuti, inva-lidi, e tutti gli affetti da patologievarie. La Fondazione Federico II siaccontenta di 450 milioni (ci aspet-tavano prendesse di più, dopo tuttele polemiche che l’hanno vista pro-tagonista). La Fondazione Buttittariceve 360 milioni. E l’elenco è an-cora lunghissimo. Dalle associazio-ni di allevatori (4 milioni) al Centronazionale studi pirandelliani (108milioni) al Consolato regionale perla Sicilia della federazione Maestridel lavoro d’Italia (incredibile quan-te cose si apprendono a scorrerel’elenco), alle bande musicali, e per-fino al Circolo matematico di Paler-mo che si accontenta di una paghet-ta di 5000 euro.

Ma, dulcis in fundo, quel che an-cora sorprende è che a scorrere que-st’interminabile elenco si apprendefinanco dell’esistenza di un Istitutopalermitano - costo alle tasche pub-bliche 500 mila euro - che pone inessere attività che abbracciano l’in-tero scibile umano. Dalla scienza al-la finanza, dalla meteorologia allebanche, dalla politica alla oceano-grafia: il Centro per l’Internaziona-lizzazione e la promozione del-l’Economia Euro-Mediterranea. Mabasteranno quei pochi spiccioli?

Nonostante la politica riformista del governatore Raffaele Lombardo

Risorse finanziarie, mala gestione: gli incredibili sprechi della Regione

Tutti sanno dei privilegi e delle dorate indennità dei deputatiregionali siciliani equiparati ai senatori. Inezie di frontea talune prerogative gelosamente tenute nascoste

Opinioni

Palazzo dei Normanni, sede della Regione Siciliana e nel riquadro Raffaele Lombardo

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Politica4

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

di ERNESTO GIRLANDO

Torniamo a parlare di immigra-zione. La stagione degli sbar-chi non è ancora finita: nono-

stante le politiche dei respingimentimesse in atto dal governo nazionale,il fronte delle coste del ragusano èancora aperto. Con oltre un milionedi “aspiranti clandestini” già arrivatiin Libia e pronti a effettuare il balzoverso la Sicilia e altri cinquanta mi-lioni di abitanti dell'Africa sub saha-riana pronti a seguirne le orme (larilevazione è dell'Organizzazioneinternazionale per le migrazioni), ilfenomeno non conosce soste. Politi-che di rigore o meno, esso imponeuna seria riflessione, per l’impattosocio-economico che suscita nel no-stro territorio, per l’allarme socialeche alcuni casi hanno recentementeprocurato. L’esperienza maturatadall’osservazione delle prassi mi-gratorie verso il nostro Paese, cimostra in tutta la sua drammaticacrudezza l’iter anomalo che il mi-grante affronta nel tentativo di elu-dere le ristrettezze messe in atto dal-la “fortezza Europa”. Generalmentechi arriva è consapevole che unavolta messo piede sul suolo italiano,non è difficile restarvi, come non èdifficile percorrere le frontiere aper-te per raggiungere altri Paesi del-l’UE. L’espediente è quasi semprelo stesso: la richiesta di asilo politi-co o di protezione umanitaria. Leleggi italiane impongono infatti didare accoglienza al richiedente asilofino alla definizione del suo status(in genere passa un anno dalla ri-chiesta) e provvedere al suo sosten-tamento nel caso sia privo di mezzi(ogni migrante è, ovviamente, privodi mezzi). Chi presenta domanda diasilo, ha diritto di soggiornare inItalia durante l’esame della doman-da, con un permesso di soggiornovalido per tre mesi rinnovabile finoal compimento della procedura.

I numeri dimostrano una paleseanomalia: ormai la metà di coloroche arrivano a Lampedusa e nel Ra-gusano optano per la richiesta diasilo politico. La forzatura è eviden-te, utilizzata per guadagnare tempoanche quando ne mancano i presup-posti: su 100 immigrati che arriva-no, in 50 richiedono l’asilo, ma inrealtà solo 10 hanno i requisiti ne-cessari a ottenerlo. Quando la ri-chiesta viene respinta basta ignorareil decreto di espulsione e si approda

allo “status” di clandestini invisibili.Nel caso venga ottenuta inizia unpercorso altrettanto difficile e para-dossale.

Il caso eclatante dei 32 rifugiatisistematisi in condizioni di vita pri-mitiva all’interno di un rudere alleporte di Comiso, sul ciglio dellastrada che conduce verso le localitàbalneari, sotto lo sguardo indifferen-te di tutti per mesi, è esemplare di

una condizione assai problematicache certo non riguarda esclusiva-mente quelle 32 persone. Il fenome-no del disagio abitativo dei rifugiatipolitici in provincia è serio e rischiadi dilagare. Sono giovani ma nonforti, regolari in possesso dei docu-menti, che via via diventano “gliemarginati per eccellenza”, comedice padre Beniamino Sacco, il sa-cerdote della Parrocchia del Santo

Spirito di Vittoria, che da anni gesti-sce un centro di accoglienza. “I rifu-giati politici vengono traditi duevolte da questa nostra società, cheprima li accoglie e poi li espelle dalsistema”. La difficoltà di trovare la-voro (lavoretti stagionali al massi-mo), la possibilità pressoché pari azero di un avvicinamento alle strut-ture sociali dei luoghi in cui vivono,la mancanza di mezzi di sussistenza,

il disagio abitativo, le inesistentiprospettive di una vita appena accet-tabile, l’assenza di un sistema di ac-coglienza che permetta loro di ga-rantire un percorso di iniziale aiutoall'inserimento sociale ed economi-co: tutto ciò non è colpa dei rifugia-ti, vittime di una "distrazione" nonaccettabile per un paese civile. Cisono responsabilità di natura centra-le e di natura locale e le associazioni

di volontariato, le curie e i parrocivolenterosi, encomiabili, non posso-no da soli far fronte a fenomeni dicosì difficile gestione, nemmenonella fase della cosiddetta emergen-za.

La vicenda dei 32 rifugiati di Co-miso è stata momentaneamente ri-solta grazie alla buona volontà dipadre Beniamino Sacco e della curiadiocesana, ma questa triste storia è

solo la punta di un fenomeno che ri-schia nel ragusano di incancrenirsi,e deve essere portata a monito diistituzioni riconoscibili nel viziodelle loro italianissime frasi - “non èdi nostra competenza”, “non ci sonoi soldi” - che nascondono incredibilivuoti, forieri di conseguenze impre-vedibili.

Specie alla luce delle esperienzeche il territorio ragusano, sul ver-

sante della fascia trasformata, ha giàmaturato nei confronti dell’immi-grazione maghrebina.

L’altro caso eclatante di Vittoria,una maxirissa in pieno giorno e inpieno centro, che ha coinvolto unasessantina di immigrati extracomu-nitari, refrattari a ogni interventodelle forze dell’ordine, pone altri te-mi di riflessione. Al di là dei motivie dell’episodio – certo inquietante -la condizione dei lavoratori stranieridelle serre ha sempre posto proble-mi in quantità, ancorché trascurati,nei centri della zona dell’oro verde.La presenza maghrebina sulle nostrecoste non è recente: diverse migliaiadi extra comunitari sono approdati,in centri di piccole dimensioni,quindi con un notevole impatto so-ciale, provenienti in gran parte dallaregione di Qairouan, un distrettoagricolo della Tunisia, fin dall’iniziodegli anni ottanta.

Si dice che siano una risorsa perl’economia ragusana. Costano menodella manodopera locale, sfruttati,sottopagati, lavorano 12-14 ore per20-25 euro al giorno. Come sempre,si tratta di persone arrivate nel no-stro paese con la speranza di trovarecondizioni di vita migliori rispetto aquelle lasciate nei loro villaggi po-veri e sperduti dai quali provengo-no. La loro storia inizia con il viag-gio in gommone o nella stiva di unanave per infrangersi lungo le nostrecoste.

Qui trovano i loro connazionaliad aiutarli: sistemazione provvisoriain qualche casolare di campagna ab-bandonato, o addirittura in qualchedeposito di materiali chimici perl’agricoltura, poi l’avvio al lavoroduro. Anche in questo caso il disa-gio abitativo è devastante: un gara-ge, una casa fatiscente a 350-400euro al mese, senza riscaldamenti,senza acqua calda, i tetti cadenti.Sono considerati lavoratori stagio-nali, assunti per 51 o 102 giornil’anno con sussidio di disoccupazio-ne a carico della collettività. Sog-getti a un duro caporalato di selezio-ne - illecita - della manodoperabracciantile, nell’assoluto silenziodi istituzioni e sindacati.

Un esercito composto da diversemigliaia di esseri umani che lavora-no silenziosamente nelle campagnetra Santa Croce e Vittoria e che fa diquest’area una terra in cui i dirittisembrano azzerati.

Una risorsa? Si, ma per chi?

L’esperienza maturata dall’osservazione dei flussi clandestiniverso il nostro Paese, ci mostra in tutta la sua drammaticacrudezza l’iter anomalo che il migrante affronta nel tentativodi eludere le ristrettezze messe in atto dalla “fortezza Europa”

Ci sono inequivocabili responsabilità di natura centrale e di natura locale

I problemi irrisolti dell’immigrazione:disagio abitativo e manodopera sfruttata

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di ERNESTO GIRLANDO

Mentre l’Italia affonda sotto icolpi della crisi economicae della tragica pochezza

della politica; mentre la Sicilia vagiù sotto quelli del maltempo e gliaffondi incessanti delle devastazioniterritoriali, non vorremmo che sfug-gisse ai lettori l’imperdibile epopeadella nascita del Pdl Sicilia: trattan-dosi di titolini a una colonna nellepagine interne, si rischia di mancareuna spassosa occasione di intratteni-mento. Ché questo da tempo è di-ventata la vita interna dei partiti: unpiacevolissimo diversivo umoristicoormai del tutto privo di qualsiasiconnotazione memorabile o storicao solenne. Fa ridere e basta. Comefa ridere che due tronconi dello stes-so partito appoggino (l’uno) e osteg-gino (l’altro) il governo di RaffaeleLombardo dandosi quotidianamentevicendevoli legnate. Parimenti, po-trebbero rovesciarsi da un’ora all’al-tra le rispettive posizioni nel loroesatto contrario e non si noterebbela differenza. È come il teatrino deipupi, dove due o più soggetti si ba-stonano strillando e nessuno delpubblico (in genere bambini entu-siasti) si chiede più di tanto a chepunto è la trama e perché si picchia-no. Tra Castiglione e Miccichè nonsappiamo esattamente chi abbia ini-ziato la lite, ma non ce ne importamolto: udiamo quel familiare, alle-gro suono di mazzate in testa che cifa sentire a nostro agio nel sinuosodedalo della politica siciliana. Po-chissimi sanno che è nato un Pdl Si-cilia e solo una sparuta minoranzadi maniaci sa che il suo leader èquel Gianfranco Miccichè che ognitanto appare in giro inspiegabilmen-te eccitato per rilasciare dichiarazio-ni di nessun interesse che non sia ilsuo. Insomma, un clima da tutticontro tutti, non dissimile peraltroda quello che da anni si respira nelresto del Paese. Oggi più che mai.

In questo scenario di divorziouniversale si inserisce la strana, bi-slacca vicenda del sindaco di Ragu-sa, Nello Di Pasquale, il quale nontrova di meglio che autosospendersidal suo partito - il Pdl (quota Leon-tini) - sicuramente nel momento me-no adatto perché qualcuno si accor-ga del suo gesto. Non solo: adessonon trova nemmeno il modo peruscire dal cieco vicolo nel quale si èinopinatamente infilato da solo, nonriuscendo a riempire di contenutil’insano gesto. Leontini, da sempresuo mentore, si è evidentementestancato di soccorrere un soggettoritenuto incontrollabile che peraltromira con ogni probabilità, senzanemmeno troppo nasconderlo, ascalzarlo dal suo scranno di Palazzodei Normanni. Castiglione ha altro acui pensare in questo momento. E cisi è pure messo Miccichè che, nelcorso di una sua recente visita aModica, dov’è sceso per testare glistalloni della sua scuderia, ha ridi-colizzato, con la sua inconfondibilerudezza, la sparata del sindaco, co-stretto a trincerarsi dietro un laconi-co “no comment”.

Ma che origini ha il dramma delsindaco Di Pasquale? Fonti ufficialiparlano dell’insoddisfazione perl’atteggiamento di Silvio Berlusconiche indugerebbe troppo di fronte al-le spaccature del partito in Sicilia.

Fonti meno ufficiali ma, come sem-pre in questi casi, più verosimili of-frono un quadro diverso. Da un paiodi anni, Nello Di Pasquale si sareb-be messo in testa di ottenere dal suopartito la presidenza dell’Anci Sici-lia. Purtroppo inascoltato dai varileader a cui si è insistentemente ri-volto.

Da Leontini, ai catanesi Castiglio-ne e Firrarello, al responsabile entilocali del suo partito: tutti, in unmodo o nell’altro, hanno semprescelto, di fronte alla testardagginedel sindaco, la strada del senno diPilato, lavandosene avvedutamentele mani. L’elezione del presidenteAnci frattanto è saltata, ma, è noto-rio, la partita riguarda ben altri con-tendenti, da Cammarata a Visentin,senza nessuna traccia del sindacoibleo nonostante l’autosospensione.

Chissà cosa frulla nelle teste deipolitici a volte, anzi spesso. L’inca-rico a cui ambiva Di Pasquale non ècerto di quelli che smuovono le co-se, che aggiungono reale ulteriorepotere al potere già detenuto. Evi-

dentemente, iparametri dell’ambizione, del-l’ascesa politi-ca, del rampan-tismo socialehanno strade emodi di pale-sarsi che ai piùsembrano stuc-chevoli. Ma ilgesto si inseri-sce, in fondo,all’interno diun contestocoerente con lastoria politicadi Nello Di Pa-squale. La sua idiosincrasia verso ladisciplina e il rispetto della militan-za partitica ha radici lontane che af-fondano nell’humus democristianodal quale proviene. Di Pasquale nonpoggia su fondamenta ideali, valorio principi a cui ispira la sua azionepolitica e di governo. L’unica ragiond’essere insiste su un misto di con-sociativismo e di clientelismo sgan-

ciati da ogni logica di appartenenza,sullo sfondo di un cinico eserciziocannibalesco del potere che tutto fa-gocita a proprio vantaggio persona-le. Il resto è martellante capacità diesibizione propagandistica; accortacapacità di mediare gli interessi sucui ruotano le attività speculativedell’imprenditoria cittadina, finaliz-zata alla peculiare tessitura di pre-ziosissime alleanze.

L’attività amministrativa è esclu-siva gestione di edilizia pubblica(attraverso l’ottenimento di qualchefinanziamento di opere certo nonmemorabili) e privata: nulla più. Intutti i suoi vizi e le sue virtù (quali?)Di Pasquale rappresenta certamenteil prototipo attuale del politico diprovincia: una smodata ambizionepersonale alla quale – sostengono in

tanti - non corrisponde né capacitàdi governo né cultura politica, ne-cessarie a soddisfarla.

Nel frattempo le problematicheinerenti la crisi, specie economica,dilagano in provincia. La Soco-therm, multinazionale presente incinque continenti e leader mondialenella produzione del rivestimentoanticorrosivo di tubi per il trasporto

di gas e petrolio, ha deciso di chiu-dere il suo stabilimento di Pozzallo.A casa 96 lavoratori. La rispostadella classe politica e dei sindacati èstata di gran confusione e inadegua-tezza.

A Ragusa ci sono i dipendentidell’Opera Pia, una casa di ospitali-tà per gli anziani, che non percepi-scono stipendio da tre anni - un re-cord -, in un crescendo di confusio-ne tra decreti ingiuntivi, vertenze einadempienze da parte della giuntadel sindaco Di Pasquale. L’aeropor-to di Comiso è sempre in perennefase di completamento. Le recentipolemiche tra l’ing. Mancini, presi-dente della Sac, e qualche politicolocale di secondo piano non chiari-scono le reali intenzioni di Sac, nédiradano le ombre sul futuro del-

l’aeroscalo ibleo.Non si sa ancora seComiso sarà utilizza-to nel periodo dichiusura di Fontana-rossa previsto per ilnovembre del 2010.Per il resto nulla sisa. Nessun segnalené da parte del terri-torio, né da quello dieventuali compagnieaeree e tanto menoda parte della Sac.

Un’indagine del“Sole 24 Ore” sul“benessere internolordo” che misuraquale parametri delbuon vivere non soloquello economico,pone la provinciaiblea al 94° postodella speciale gra-duatoria, con un pun-teggio di 62,4 punti(per avere la suffi-cienza bisogna rag-

giungere i 100) e una differenza di12 punti in meno rispetto al Pil: unmeno dodici che dovrebbe far riflet-tere sulla qualità dei servizi, dellavita in generale e della classe diri-gente.

Intanto il grido di Nello Di Pa-squale si è perso, come il vagito diun neonato, nella bolgia infernaledella politica siciliana.

Politica 5

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

Nello Di Pasquale

Innocenzo Leontini

Una bislacca vicenda all’interno dello scontro nella casa del PDL

Nello scenario da Divorzio Universalel’autosospensione del sindaco di Ragusa

Le ragionidel gestodi Nello Di Pasqualeandrebbero cercatenell’insoddisfazioneper l’atteggiamentodi Silvio Berlusconiche indugerebbetroppo di frontealle spaccaturedel partitoin Sicilia

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di GIOVANNI PERCOLLA

Alla fine Tremonti pare avercelafatta, a presentare la sua ideadi Banca per il Mezzogiorno.

Nonostante gli strepiti dei ministrimeridionali Fitto e Prestigiacomo (inparticolare l'esponente pugliese delPdl ha definito «inefficace» la Bancadel Sud, chiedendo che le osservazio-ni critiche venissero messe a verbale)e la richiesta di maggiore “presenzaoperativa” all’interno del nuovo isti-tuto da parte dei presidenti delle Re-gioni interessate (Lombardo in testa),il Ministro dell’Economia ha lanciatocon questo progetto la sua idea diBanca “virtuale” che, negli intendi-menti neanche tanto nascosti del capodi Via XX Settembre, punta anche adare una legnata ai ras dei maggioriistituti finanziari del Paese. Come di-re, “non avete voluto i TremontiBond? E ora beccatevi la TremontiSud Bank”. Ma, ci si augura, non èsolo per voglia di rivalsa che Tremon-ti lancia questo istituto. Se, ad esem-pio, si leggono con attenzione i grafi-ci pubblicati nelle scorse settimanedal Sole 24ore, in particolare sui pre-stiti alle imprese del Sud, si può nota-re come in soli due anni dal dicembre2007 all’agosto di quest’anno la per-centuale è diminuita dall’8,1 a meno0,5. È evidente che, visti i tempi dicrisi, le maggiori banche stanno se-guendo la logica della convenienzaeconomica, e nel Mezzogiorno nonconviene investire, e questa non è unanovità. Allo stesso tempo però, trabreve l’unico risultato sarà un Mez-zogiorno simile a un cimitero delleimprese. C’è dunque bisogno di cre-dito a tassi più bassi di quelli correntiche le imprese del Mezzogiorno rie-scono a reperire sul mercato dove,nonostante tutto, i differenziali con ilCentronord ci sono e sono elevati. Iltutto c’è da dire, in un contesto eco-nomico nazionale che non lascia tem-po alle perplessità, in cui il Pil torna acrescere (+1% nel terzo trimestre sultrimestre precedente), ma in cui im-prese marginali incapaci di coprire ipropri costi (e al Sud ce ne sono tan-te…) rischiano di uscire dal mercatocon un conseguente aumento della di-soccupazione. La BdM pare disegna-ta a questo scopo e secondo un mo-

dello già sperimentato, ad esempio, inFrancia (Credit Agricole) e finalizzataal finanziamento delle infrastrutturedi cui il Sud Italia ha un bisogno vita-le. Ma come funzionerà?

Come sarà la BdMSecondo il disegno presentato, la

Banca del Mezzogiorno è una bancadi secondo livello, ossia non dotata disportelli propri, ma che si avvarràdella rete distributiva delle banche dicredito cooperativo, delle Poste e pro-babilmente anche delle banche popo-lari (e questa cosa si è già attirata nonpoche polemiche…). Agirà in un con-testo del credito alle imprese decre-scente mediante strumenti ad hoc. Lacostituenda Banca del Mezzogiornodovrà fare i conti con i vincoli impo-sti dal Trattato istitutivo dell'Ue sugliaiuti di stato e dalla Banca d'Italia inrelazione al Testo unico bancario.Non solo. Essa dovrà fare i conti an-che con una pesante eredità del passa-to, che non solamente vede, tra imaggiori attori, la Cassa per il Mez-zogiorno, definito un «carrozzone»da Tremonti (vedi scheda), ma anchele banche del Sud (in particolare ilBanco di Napoli e il Banco di Sici-lia), che nel passato hanno agito nelcontesto regionale e sono state poi oassorbite dalle banche del Nord ochiuse dall'Iri tra mille contestazioni.

Passando al disegno «tremontia-no», che raccoglie le idee e le aspira-zioni pluriennali del ministro (non di-mentichiamo che una simile iniziativafu proposta dal Ministro quattro anniorsono, anche se con caratteristiche difunzionamento diverse), la banca saràstrutturata come segue:* lo Stato sarà il socio fondatore, ma

con una partecipazione al capitaleperò minoritaria e solo per i primicinque anni. Dopodiché uscirà dalcapitale e la banca diverrà a tutti glieffetti una banca privata, per rispet-tare i principi europei;

* l'istituto sarà di secondo livello eagirà attraverso le banche che ade-riscono all'iniziativa e gli sportellipostali;

* la banca potrà emettere obbligazio-ni assistite da garanzia dello Stato eusufruire del fondo di garanzia; inparticolare i «Bond per il sud»avranno una durata non inferiore ai18 mesi e saranno sottoscritti dapersone fisiche, mentre da un puntodi vista fiscale saranno soggetti aduna tassazione agevolata del 5%;

Il ddl istituisce il comitato promo-tore della banca, che sarà compostoda 15 membri, di cui 5 banche e unrappresentante di Poste Italiane. Il co-mitato selezionerà i fondatori privati,definirà le regole di governance e gliimporti minimi di capitale dei soci.

Gli azionisti e isoci fondatoriprivati potran-no essere istitu-ti di credito cheoperano nelSud Italia, im-prenditori, as-sociazioni diimprenditori ,società a parte-cipazione pub-blica.

La BancaEtica del Sud?

La bancaavrà una mission simile a quella dellaBanca Etica. Chi deciderà di deposi-tarvi i propri risparmi saprà che met-terà a disposizione mezzi finanziariper la realizzazione di investimenti edi infrastrutture, per promuovere cre-dito per le piccole e medie imprese

del Sud e per la nascita di nuove ban-che locali. L'obiettivo ultimo dichia-rato è quello di rendere le piccole im-prese più grandi e coese, più interna-zionali e capaci di offrire maggioriopportunità di impiego a livello loca-le. A tal fine la Banca per il Mezzo-giorno offrirà anche il servizio diconsulenza e potrà acquistare mutuidai soci.

L'ulteriore iter da seguire affinchéla banca possa essere istituita prevedeun passaggio necessario al Parlamen-to per la conversione del ddl in legge,preferibilmente in tempi brevi, usu-fruendo di una «corsia preferenziale»,che sta a significare la priorità che ilgoverno attribuisce all'emergenzadello sviluppo del Mezzogiorno. Inseguito, il ministro dell'Economia do-vrà redigere il decreto sui criteri e icosti della garanzia di Stato e delSud-Bond.

Politica6

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

Nonostante gli strepiti dei ministri meridionali Fitto e Prestigiacomo

Alla fine Tremonti pare avercela fatta, mapochi fan per la Banca Virtuale di Giulio

Negli intendimenti, neanche tantonascosti, del capo di Via XX Settembre,punta anche a dare una legnata ai rasdei maggiori istituti finanziari del Paese

Micciché, Raffaele Lombardo, Giulio Tremonti Stefania Prestigiacomo

Raffaele Fitto

Giulio Tremonti

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Nata nel 1950 e sostenuta fortemente da Alcide De Gasperi

La Cassa per il Mezzogiorno:dal New Deal al clientelismo

Il Ministro della Sviluppo economi-co redigerà, dal canto suo, il decretorelativo ai criteri e ai costi del fondodi garanzia. Il comitato promotorepresenterà la sua relazione al Tesoroentro tre mesi dall'entrata in vigoredella legge. Infine, si dovranno atten-dere i responsi favorevoli di Bankita-lia e di Bruxelles.

La scommessa di istituire una bancaetica per il Sud, che oltre a finanziaregli investimenti fornirà anche un ser-vizio di consulenza alle piccole ban-che locali nella gestione del credito, èimpegnativa e andrà gestita con gran-de attenzione.

In particolare, il numero degli spor-telli a disposizione della banca dovràessere adeguato in relazione a quellototale presente sul territorio e la bancastessa non dovrà intaccare il fragileequilibrio stabilito dagli operatori lo-cali già attivi. Alcuni aspetti sono an-cora in procinto di essere valutati,quali il ruolo delle Poste, che in talmodo rafforzerà le sue funzioni di di-stribuzione di prodotti finanziari, il si-stema di raccolta del risparmio, chetramite i Sud-bond sarà soggetto conbuona probabilità a forti sviluppi e ilruolo dello stato nel predisporre il fon-do di garanzia. Sarà la disamina inParlamento a definirne i particolari,mentre il giudizio finale spetterà allaCommissione europea.

Insomma sulla carta una bella idea,anche se il dubbio sta nei meccanismidi reperimento delle risorse e sul ruoloambiguo dello Stato nella nuova Ban-ca del Mezzogiorno. Appare evidenteche la struttura congegnata è sofistica-ta, degna di una mente raffinata comequella del ministro.

Chi si aspettava qualcosa di più “so-lido”, di pesante in termini di risorsenuove da mettere in campo, insommaun carrozzone, è rimasto (finora) delu-so, anche se c’è il passaggio dal parla-mento che può sempre peggiorare lecose. Tremonti ha ragionato in manie-ra “leghista” e “federalista”.

E il ministro ha indubbiamente ra-gione, quando afferma che la nuovabanca dovrà convogliare su di sé tuttiquei risparmi che invece di esserereinvestiti nel Mezzogiorno prendonoaltre strade.

Chissà che ne pensano i tanti rentiermeridionali. Faranno fiducia a questonuovo esperimento o saranno delusi dinon avere a disposizione una bellaCassa per il Mezzogiorno come quelledi una volta?

La Cassa per il Mezzogiorno, na-ta nel 1950 dalla mente del me-ridionalista Pasquale Saraceno e

sostenuta da Alcide De Gasperi, sullabase di esperienze similari avviate ne-gli Stati Uniti d’America subì unaprofonda modifica nel 1984 con l’isti-tuzione dell’AgenSud per cessare de-finitivamente nel 1992.

Nelle intenzioni del governo mono-cratico, formato allora solo da espo-nenti della Democrazia cristiana, loscopo di questo Ente doveva esserequello di sviluppare l’industrializza-zione del Mezzogiorno, dotandola an-che delle necessarie infrastrutture.

Attraverso questa Cassa all’inizioed poi attraverso l’AgenSud lo Statoitaliano ha elargito alle regioni meri-dionali un totale di 279.763.535 mi-liardi di lire, pari a circa 140 miliardidi euro con una spesa annuale di 3,2miliardi di euro.

Risultato? Oggi, dopo anni di finan-ziamenti, il divario di ricchezza pro-dotta in termini di PIL pro capite èmediamente il doppio del Nord rispet-to al Sud. Insomma ogni persona cheabita nel Nord produce mediamente ildoppio di ricchezza rispetto ad un’al-tra che abita nel Sud e la disoccupa-zione come il lavoro nero al Sud èdoppio che al Nord.

Nello stesso periodo i consumi procapite di una persona che abita nelNord risultano solo di un terzo supe-riori a quelli di un’altra che abita nelSud.

Questi due dati ovviamente vannoincrociati ed interpretati.

Per prima cosa, essi dicono chequesta enorme elargizione di danaropubblico, protrattasi per mezzo seco-lo, non ha prodotto una significativaindustrializzazione del Sud e che,malgrado questa arretratezza e scarsaproduzione di ricchezza, il Sud haavuto la possibilità di aumentare ipropri consumi pro capite, insommanel Sud si è consumato ben al disopradi quello che si è prodotto (grazie an-che alla non emersione del lavoro ne-ro).

Com’ è stato possibile non lavorare,non produrre ricchezza ed allo stessotempo arricchirsi?

Semplice, se analizziamo il decorsostorico della vicenda e distinguiamol'attività della Cassa in due fasi: quella(più o meno) virtuosa e quella del de-clino partitocratico e clientelare.

È per esempio innegabile che finoagli anni ‘70 si sono realizzate opereimportanti come tutti possono osser-vare dalle opere idriche e dalle opereviarie, tutte realizzate in questi anni (eche, in molti casi, da momento dellacostruzione non sono state più rimo-dernate).

A partire da questi anni è iniziato ildegrado e la bassa qualità della spesa,compresi fenomeni diffusi di illegalitàed il passaggio definitivo alla politicaesistenzialistica nella gestione dei fon-di di cui veniva dotata la Cassa per ilMezzogiorno.

Ovviamente questo è avvenuto dalmomento in cui ci si è accorti che l’in-dustrializzazione del Sud aveva fallitoe quindi la domanda da porsi è: comemai, viste le favorevoli condizioni perinvestire.

nel Meridione, pochissimi capitali-sti si sono avventurati in questa im-presa?

La risposta non può essere che unaanche se articolata su più punti. Perprima cosa, l’occupazione del territo-rio da parte della delinquenza organiz-zata quale la mafia e la camorra e l’as-senza dello Stato, non ha certo stimo-lato ad investire capitali in quanto ciòsignificava dover dividere i propriprofitti con questa piovra che succhia-va solo danaro producendo solo delin-quenza.

Per seconda, tutta la storia del Meri-dione non aveva contribuito a creareun capitalismo moderno ed una classedi capitalisti mentre la ricchezza con-tinuava a rimanere prevalentementenelle mani dei latifondisti e dei pro-prietari terrieri i quali non erano at-trezzati culturalmente né erano stimo-lati dalla concorrenza a dirottare i lorocapitali nell’industria.

Per terza, il Partito dei cattolici ita-liani, vale a dire la DC, aveva assolu-tamente bisogno dei voti del Meridio-ne per consolidare il suo potere suscala nazionale e per contrastare i votialla “sinistra”.

del Centro Nord. La strada che ini-zialmente la DC aveva deciso di intra-prendere era quella di portare ricchez-

za nel Mezzogiorno attraverso la suaindustrializzazione cioè attraverso illavoro ma, avendo preso atto che ciònon si era verificato, non rimanevache la strada di portare ricchezza sen-za produrla. In questo consisteva ilcambiamento politico della gestionedella Cassa per il Mezzogiorno a par-tire dagli anni ‘70. La Cassa infattiiniziò a elargire soldi a pioggia ed ariempire tutti quei rivoli, non importase improduttivi, che però portasserovoti alla DC.

Questi rivoli si chiamavano mafia,camorra, opere pubbliche non neces-sarie, occupazione e lavoro senza pro-fitto e senza scopo, clientelismo di tut-ti i tipi, appalti truccati, truffe ai dannidello Stato, favori, ecc.

Così il Meridione si arricchiva, ga-rantendosi un buon livello di consumisulle spalle dei contribuenti italiani,ma la cosa peggiore che scaturiva daquesto tipo di gestione della Cassa peril Meridione doveva ricadere sullespalle degli stessi meridionali, suiquali veniva scaricata una cultura assi-stenzialistica, di dipendenza da chi de-teneva il potere e di subalternità con-genita di fronte a ciò che avvenivanelle altre parti del paese e dell’Euro-pa. Garantendo fondi senza limiti per itanti ascari che ci hanno governato ne-gli scorsi decenni…

G.P

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

Politica 7

Nelle intenzioni del governomonocratico (solo DC) lo scopo di questo Entedoveva essere quello di svilupparel’industria del Sud,dotandoladelle necessarieinfrastrutture

Pasquale Saracenoe il meridionalismo cattolico

Il meridionalismo cattolico nasce tra il 1946 e il 1948e si muove in una prospettiva completamente diversarispetto al vecchio meridionalismo. Pasquale Sarace-

no, Ezio Vanoni, Pietro Campilli, Tommaso Morlino,Leopoldo Rubinacci, innanzitutto, mettevano - secondouna felice definizione di Pasquale Saraceno - «un nume-ro accanto a un problema», usando anche schemi teoricidi tipo economico aggregati al fine di porre il problemadella crescita dell'intero sistema economico meridionale.Inoltre, ponevano il terra dell' industrializzazione delMezzogiorno e proponevano la costituzione di uno stru-mento istituzionale-giuridico o giuridico-finanziario, cheavrebbe dovuto nobilitare e convogliare nuove risorse

verso il Sud. Il che darà vita alla Cassa per il Mezzogior-no.

Erano cattolici alcuni provenienti dalle Università, co-me Raffaele Ciasca, Ezio Vanoni, Costantino Mortati, al-tri dal mondo delle professioni, altri dalla milizia politicanella Democrazia Cristiana di De Gasperi. E fu un fioriredi proposte, che venivano fatte nel corso di incontri, con-vegni, dibattiti e soprattutto negli scritti che essi andava-no pubblicando su giornali, riviste, negli atti di Convegnie in lavori monografici, nei quali si Coglie, quasi conmonotona ripetizione, l'anelito a riscattare il Mezzogior-no dalla sua secolare arretratezza. A questo gruppo ap-partiene anche Aldo Moro.

Alcide De Gasperi

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Politica8

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

Per Stancanelli si prolungherà a lungo la crisi di mezza estate?

Le speranze mal ripostedel sindaco di Catania

di MARCO DI SALVO

La crisi di mezza estate si è ri-velata forse un temporale esti-vo, per il sindaco Stancanelli?

Ci riferiamo alle dimissioni in bloc-co del Cda di Asec avvenuto a fineluglio, con lancio di accuse neanchetroppo velate da parte del presidentedello stesso cda Turi Monti, verso ilprimo cittadino etneo. Una storiacominciata con tutte altre premesseil 28 ottobre 2008 con la nomina deicomponenti dei Consigli di Ammi-nistrazione delle società partecipatecomunali.

Le mani nel verminaioUna nomina che aveva fatto ben

sperare sulle intenzioni di Stanca-nelli, figlia anche delle condizionidi dissesto economico nelle qualiversava (e versa, visto che i tantisperati 140 milioni che dovevanoarrivare dal governo nazionale pertappare il buco sono ancora attesi aPalazzo degli Elefanti) il complessodelle aziende municipalizzate etnee.

Nel comunicato di allora, l’ufficiostampa del primo cittadino ci tenevaa sottolineare che i componenti delcda sarebbero rimasti in carica “treanni e per lo svolgimento dell’inca-rico non percepiranno alcun com-penso”.

Di seguito scorreva l’elenco: “Per‘InvestiCatania’ sono stati nominatiRoberto Sanfilippo, Maurizio Lanzae Giorgio Santonocito; fanno partedel CdA di ‘SoStare’ Maurizio Lan-za, direttore generale del Comune,Salvatore Monti, Giorgio Santono-cito; nel nuovo CdA della ‘CataniaMultiservizi’ figurano MaurizioLanza, Salvatore Monti e GiorgioSantonocito.

Nel CdA di ‘Asec Trade’ sonostati nominati Roberto Sanfilippo,consulente del Sindaco esperto perle progettazioni e le politiche comu-nitarie, e Sebastiano Blancato eQuintilio Castellano. Per ‘Asec Spa’Maurizio Lanza, Salvatore Monti eGiorgio Santonocito. Per ‘Sidra Ser-vice’‘ Maurizio Lanza, SalvatoreMonti e Giorgio Santonocito. NelCdA di ‘Sidra Spa’ figurano Mauri-zio Lanza, Salvatore Monti, GiorgioSantonocito. Per ‘Sviluppo e Patri-monio’ Maurizio Lanza, RobertoSanfilippo e Giorgio Santonocito.”La ripetizione di alcuni nomi non vitragga in inganno (visto che si trat-tava, nel caso di Lanza e di Santo-nocito, rispettivamente del direttoregenerale e del ragioniere generaledel Comune).

Avrebbe dovuto essere il segno diuna gestione “semicommissariale”da parte del Sindaco, una gestioneche avrebbe voluto dire rinnova-mento nei metodi e nello stile e chedoveva portare alla dismissione dialcune delle municipalizzate e al ri-lancio delle più virtuose (tosto chece ne fossero, di virtuose).

Dieci mesi di impasseVista la fine, si trattava sicura-

mente di speranze mal riposte. In-fatti, dopo meno di un anno, i com-ponenti del cda di Asec hanno sbat-tuto la porta. A fine luglio di que-st’anno, dopo infruttuosi mesi diconflittualità con alcuni dirigentidella stessa azienda, i tre compo-nenti del Cda hanno compiuto il ge-sto tanto a lungo meditato.

E affinché non ci fossero dubbisulle motivazioni hanno anche mes-so tutto per iscritto.

Nella lettera inviata al primo cit-tadino, i tre infatti scrivono: “Confi-diamo in un suo autorevole inter-vento che ponga fine alla situazionedi disagio amministrativo che recen-temente ha raggiunto livelli insop-portabili, e che ci impedisce oggi disvolgere serenamente il mandatoconferito”.

Fuor di metafora da missiva i pro-blemi sono stati i seguenti: opposi-zione interna ad ogni modifica distandard di comportamento, reazio-ni inconsulte alle ipotesi di riduzio-ne premi (Ci pensate? Aziende inperdita che danno premi produzio-ne, o dissesto, ai loro dirigenti.

Come dire, continuate così, cheandate bene…) e conti che dal rossofinanziario, così proseguendo con

l’andazzo stabilito negli scorsi anni,sono passati ben presto al rosso san-gue. Per non dire della bizzarra vi-cenda di un direttore generale diAsec Trade (controllata di Asec) cheè lo stesso di Asec (verrebbe da direcon Platone: “Qui custodiet custo-des?”).

E, fors’anche solo per una que-stione di faccia, i tre componenti delcda non ce l’hanno fatta più, vistoanche che in più di un’occasione ilprimo cittadino pare abbia fattoorecchio da mercante alle pressantirichieste di una copertura politicaalle azioni di pulizia (contabile enon solo) tentate dal cda.

Risultato? A fine luglio Stanca-nelli in braghe di tela (e non soloper il caldo estivo), alla ricerca disostituti dello stesso livello, e ge-stione temporanea affidata in manoad un campione dell’ “A volte ritor-nano”, Angelo Attaguile (già ex dimolto nella nostra città, tra prima eseconda repub-blica…).

Nel frattem-po l’ammini-strazione haelaborato il Pia-no di riqualifi-cazione dellemunicipalizzate

che dovrebbe passare al vaglio delconsiglio comunale ma che, per ora,come ammette lo stesso presidentedel Consiglio Comunale Consoli,non è previsto all’ordine del giorno(tanto, come si dice a Catania, “Utempu c’è”…).

Ottobre 2009, si ricominciaCon un comunicato stampa abbia-

mo cominciato e con un comunicatofiniamo. Sempre dal solerte ufficiostampa del Sindaco apprendiamoche l’affaire Asec si conclude, perora, così: “L’assemblea dei soci del-l’Asec presieduta dal sindaco di Ca-tania Raffaele Stancanelli ha nomi-nato il nuovo consiglio d’ammini-strazione dell’azienda partecipatacomunale che distribuisce il gas me-tano nel capoluogo etneo, le cui fun-zioni da circa due mesi venivanosvolte in via provvisoria da AngeloAttaguile nominato reggente dopole dimissioni dell’intero cda.

Il nuovo presidente è il professoreDavide Rizzotti, docente di econo-mia aziendale nella facoltà di Eco-nomia e Commercio dell’Universitàdi Catania ed esperto nella gestionedelle aziende pubbliche.

Gli altri due componenti sono en-trambi dipendenti comunali: Isidoro

Vitale, funzionario del Comune diCatania incaricato per le aziendepartecipate e Sebastiano Blancato,funzionario di ragioneria che era giànel cda di Asec Trade.” Al posto diSebastiano Blancato nel cda del-l’Asec Trade è stato nominato Ro-berto Giordano, anch’egli funziona-rio della ragioneria comunale.

Non manca la dichiarazione delPrimo Cittadino: “Proseguiamo nel-la nostra azione di risanamento (per-ché, lo scorso cda no? Ndr) delleaziende partecipate comunali -hadetto il sindaco Stancanelli- consa-pevoli che dobbiamo rilanciarne ilruolo per la crescita e lo sviluppodelle aziende stesse improntando laloro gestione al rigore per valoriz-zarne le potenzialità.

Ringrazio il presidente Attaguileper l’equilibrio con cui ha esercitatoil suo ruolo al servizio dell’Asec”(ma non Lanza, Monti e Santonoci-to? Ndr)

Non manca la chiosa che, eviden-temente, piace tanto a Stancanelli:“Tutti gli incaricati del cda del-l’Asec, come delle altre aziendepartecipate, svolgeranno l’attività atitolo gratuito.” Che siano gli unici,da quelle parti?

Il sindaco di Catania Stancanelli

Dove porteranno le dimissioni in blocco del Cda di Asec avvenutoa fine luglio, con lancio di accuseneanche troppo velate da partedel presidente dello stesso cda TuriMonti, verso il primo cittadino etneo?

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di GIUSEPPE DI PIETRO

Al viaggiatore che percorre laS.S. 194, la cosiddetta “ra-gusana”, giunto a Lentini e

allontanandosi verso Francofontenon può sfuggire alla vista sulla de-stra una collinetta dove sovrastaun’opera, l’ospedale di Lentini, chepossiamo ben definire “faraonica”,sia per la mole che per il tempo chesi sta impiegando per la sua costru-zione, visto che si avvicina rapida-mente al compimento del suo quin-dicesimo anno dalla posa della pri-ma pietra, avvenuta il 19 gennaiodel 1995.

Le vicissitudini di questo nuovonosocomio sono state molteplici edhanno visto più di una amministra-zione comunale che si è avvicendatadall’inizio dei lavori. La scorsa am-ministrazione era di centro – destra,sindaco l’on. Nello Neri, che l’hasostenuta a spada tratta e l’ultima,che è poi l’attuale di centro – sini-stra, sindaco Alfio Mangiameli che,raro a dirsi, ha continuato questa in-trepida battaglia che è stato, politi-camente parlando, l’unico punto diconvergenza delle due amministra-zioni locali.

La storia del nuovo Ospedale cheinteressa fortemente anche le comu-nità di Carlentini, Francofonte,Scordia se non altro per vicinanzaterritoriale, sembra un po’ la storiadi Penelope (c’è infatti anche quichi ha interessi affinché l’opera nonsi compia) e merita un rapido escur-sus per meglio inquadrare l’interasituazione.

La costruzione del nuovo Ospeda-le di Lentini fu deliberata e proget-tata dall’Usl 8 utilizzando l’art. 20della Legge 67/88 che prevedeva unfinanziamento a carico del bilanciodello Stato pari al 95% dell’impor-to, l’altro 5% rimaneva a carico del-la Regione Sicilia. Appaltati e ag-giudicati nel 1994, i lavori iniziaro-no il 19 gennaio del 1995 e doveva-no concludersi entro 60 mesi.

La ditta appaltatrice del primolotto si era aggiudicato nel frattem-po l’appalto per il secondo, ma nel1999 si scopre che la vincitrice dellagara è una seconda impresa e daquel momento iniziarono i vari con-tenziosi tra la Regione Siciliana e ledue imprese edili che ci hanno per-messo di arrivare a questa fase distallo odierno e che hanno determi-nato in passato anche l’occupazionedel costituendo ospedale e non po-che problematiche di ordine pubbli-co per l’inasprimento di una vera epropria lotta, con occupazione for-zata e incatenamento di molti citta-dini ed esponenti politici alle colon-ne del nuovo ospedale. Protesta chepoi rientrava, per diretto interventoe disponibilità al confronto dell’al-lora Assessore Regionale Pistorio ealtri funzionari Asl che prometteva-no interventi rapidi ed efficaci.

Le promesse per una rapida solu-zione del problema trovarono dispo-nibili anche altri e importanti attori,politici e non, che oggi si sono quasitutti defilati anche per le varie vicis-situdini che si sono susseguite neltempo cosicché, con l’imminente ar-rivo del 2010, si potranno contareben 15 lunghi anni di attesa.

Nel corso di questi anni sono av-venuti innumerevoli episodi di arre-sto nella costruzione della nuova

opera che hanno visto sorgere spon-taneamente, come abbiamo già det-to, numerose iniziative di mobilita-zione e di lotta delle popolazioni,promosse e sostenute dalle Istituzio-ni locali, dai sindacati, delle Impre-se e dalle Associazioni del volonta-riato che hanno mantenuto al centrodell’attenzione dell’opinione pub-blica e anche politica, la necessità el’urgenza del completamento delnuovo Ospedale di Lentini.

Completamento che negli ultimianni è apparso a portata di mano,accendendo le speranze popolari diavere finalmente non solo una mo-derna struttura sanitaria, ma anche,più in generale, la possibilità di unasanità pubblica territoriale di quali-

tà. In questo senso, sono da citareinfatti le iniziative popolari di PippoNicotra, Paolo Censabella e dell’al-lora assessore del comune di Car-lentini Enzo Conti e altri, moltissimialtri, tanti ne sono che ci scusiamodi non poterli nominare tutti.

Stupore, rammarico, sconcerto e

rabbia si sono quindi mescolati fra icittadini che da anni si battono per ilcompletamento dell’intera opera co-stata ad oggi circa 70 miliardi dellevecchie lire, all’apprendere la deci-sione del nuovo blocco disposto dalTar di Catania il 9 ottobre scorso.

Lo stesso Tar, precedentementeper altri e simili motivi di conten-zioso fra le due ditte che hanno par-tecipato alla gara di aggiudicazionedei lavori, aveva indicato con sen-tenza pubblicata il 17 aprile scorsoall’Ausl 8, l’indizione di una nuovagara. Pare infatti, a leggere quest’ul-tima sentenza che, nella nuova garaindetta l’amministrazione dell’Ausl8 di Siracusa, questa avrebbe omes-so di rendere chiari i termini della

mancanza dei requisiti, alla ditta Ar-cobaleno Srl, e quindi dell’esclusio-ne dall’aggiudicazione dei lavoriper le sale operatorie del nuovoospedale di Lentini, affidati all’AtiGff Impianti srl.

È questa infatti la sintesi dellamotivazione con la quale la prima

sezione del TAR di Catania ha inti-mato all’Amministrazione dell’Ausl8 di Siracusa di procedere entro die-ci giorni dalla notifica dell’Ordinan-za 01418/2009 Reg. Ord. Sosp. amotivare dettagliatamente la caren-za di requisiti da parte della dittaesclusa e a verificare con pari detta-glio il possesso dei requisiti da partedell’aggiudicataria.

Pena l’insediamento del commis-sario ad acta Francesco Poli, Diret-tore Generale dell’Ospedale Canniz-zaro, già nominato e pronto a sosti-tuirsi all’Amministrazione dell’Ausldi Siracusa in caso di inadempienzaai termini dell’Ordinanza TAR.“Dopo tanti anni, quasi quindici,troviamo una struttura incom-ple-

ta”, così si esprime il sindaco diLentini Alfio Mangiameli che ag-ginge: “La sospensione dei lavoriper le cinque sale operatorie delnuovo Ospedale di Lentini ordinatadal Tar di Catania costituisce l’en-nesimo e imprevisto stop al comple-tamento e alla piena funzionalità

della struttura. È l’ultimo degli inci-denti di percorso che stanno interes-sando la sanità a Lentini. Dopo lachiusura dei reparti di ostetricia eginecologia, la sospensione dei la-vori nel nuovo nosocomio rischia difar aumentare la tensione nella co-munità cittadina e tra i suoi rappre-sentanti politici.

La sospensione dei lavori, seppu-re rappresenti un fatto ordinario al-l’interno di una procedura di aggiu-dicazione complessa, getta nellosconforto e produce rabbia traquanti in questi anni hanno salutatopiù volte il superamento di ogni dif-ficoltà come l’ultimo atto di unalunga sequenza… L’Amministrazio-ne Comunale - continua il sindacoAlfio Mangiameli - nel condividerepienamente le ragioni della protestapopolare, confida nell’impegno diquanti potranno ridurre i tempi disoluzione dei problemi sul tappeto,dichiarando la propria adesione atutte le iniziative pacifiche e civilidelle prossime settimane per sensi-bilizzare gli organi di governo aduna maggiore attenzione ai bisognidi questo territorio e ad una realecondivisione delle scelte che riguar-dano i servizi sanitari”.

L’assessore Censabella ha postoanche in evidenza che: “Per per-mettere agli utenti del nuovo ospe-dale di accedere alla struttura supe-rando indenni la pericolosissimastatale 194, l’Anas si è impegnatacon gli amministratori comunali acorealizzare una mega rotatoria perl’attraversamento della statale, an-che perché è davvero necessaria lafunzionalità di un presidio mediconella 194 dove, come sappiamo tut-ti, è altissima la mortalità per inci-denti, dunque importante assicurareaccesso alle emergenze”. Fra le tan-te iniziative in corso, segnaliamoquella dei consiglieri comunali diCarlentini, che in una recente notastampa hanno annunciato l’intenzio-ne di volersi autosospendere dai ri-spettivi partiti in segno di protestacontro le modalità con cui si sta pro-cedendo all’applicazione della leggedi riordino del servizio sanitario re-gionale. Tutto il mondo istituziona-le, politico e associativo e dei singo-li cittadini riunitesi in comitati spon-tanei è in subbuglio, anche perché èda poco avvenuta la soppressionedel reparto di Ostetricia e Ginecolo-gia dell’Ospedale di Lentini.

Politica 9

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

La costruzione dell’edificio si avvicina rapidamenteal compimento del quindicesimo anno dalla posadella prima pietra, avvenuta il 19 gennaio del 1995

Al centro Alfio Magiameli sindaco di Lentini, a destra Pippo Basso, sindaco di Carlentini,a sinistra il sindaco di Francofonte Giuseppe Castania. In alto, l’ospedale di Lentini

L’infinita storia di un’opera pubblica che non si riesce a completare

Blocchi e controblocchiper l’ospedale di Lentini

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di SEBANIA LIBERTINO

Dal 7 al 18 Dicembre diquest’anno si svolgerà a Co-penhagen la conferenza

mondiale sui cambiamenti climatici(COP15), a cui parteciperanno tutti ileader dei paesi industrializzati.Qual è l’obiettivo del congresso?L’idea degli organizzatori è quelladi far “sedere attorno ad un tavolo”tutti i leader mondiali per decideredegli interventi, necessari per ridur-re l’inquinamento e provare a salva-re il pianeta. L’idea dei partecipanti,purtroppo, non è la stessa … I paesiin via di sviluppo, quali Cina ed In-dia puntano a non vedere ridotti i lo-ro margini di immissione di gas in-quinanti, poiché sarebbero costrettia rivedere i loro piani di sviluppo.Anche gli Stati Uniti, almeno conl’amministrazione Bush, puntavanoa non cambiare il proprio stile di vi-ta e di inquinamento! Il nuovo pre-sidente degli Stati Uniti, neo premioNobel Obama, sembra abbia ideemolto diverse dal suo predecessore.La Casa Bianca ha installato, sottola sua amministrazione, pannelli so-lari sul tetto ed i suoi recenti discor-si sono permeati dall’idea di dedica-re più attenzioni al clima soprattuttocon l’uso delle energie rinnovabili.L’Italia sembra non abbia una posi-zione netta. Se da un lato investe inenergie rinnovabili, quali il fotovol-taico o l’eolico, il Presidente delConsiglio Berlusconi ha detto chenon potremo rispettare tutti i limitiposti dal protocollo di Kyoto (dalnome della città dove si è svoltal’ultima conferenza sul clima) pernon danneggiare le nostre industriemanifatturiere.

Ma il punto è un altro. Molti sonoconvinti che le previsioni catastrofi-ste degli ambientalisti siano esage-rate … ma sarà vero?

Veniamo ai fatti. Negli anni No-vanta (nel 1996) è stato definito unindice statistico chiamato “improntaecologica” (Ecological Footprint),introdotto da Mathis Wackernagel eWilliam Rees. È utilizzato per misu-rare la richiesta umana nei confrontidella natura. In particolare, mette inrelazione il consumo umano di ri-sorse naturali con la capacità dellaTerra di rigenerarle.

L’impronta ecologica “misural'area biologicamente produttiva dimare e di terra necessaria per rige-nerare le risorse consumate dallapopolazione umana e per assorbire irifiuti corrispondenti” (fonteWikipedia). Utilizzando questo indi-ce si può stimare quanti “pianetiTerra” sono necessari per sostenere inostri ritmi di consumo. Se tutta

l’umanità consumasse quanto gliAmericani, occorrerebbero 5 pianetiTerra per soddisfare il fabbisognodell’umanità.

Il calcolo viene effettuato stiman-do la superficie necessaria per pro-durre tutti i beni che consumiamo(es. grano, riso, mais, cereali, carni,frutta, verdura, radici e tuberi, legu-mi, ecc.) attraverso una costante direndimento (chilogrammi per etta-ro).

Per calcolare l’impatto dei consu-mi energetici, l’energia viene con-vertita in tonnellate equivalenti dianidride carbonica (CO2), ed il cal-

colo viene effettuato considerandogli ettari (ha) di foreste necessariper assorbire le suddette tonnellatedi CO2. Sono state individuate seicategorie principali di territorio: ter-reno per l’energia; terreno agricolo;pascoli; foreste; superficie edificata;mare (superficie dedicata alla cre-scita di risorse per la pesca).

L’intera superficie delle terreemerse è composta all’incirca da:foreste ed aree boschive (34%), pa-scoli permanenti (23%), terra arabi-le (10%), terra costruita (2%), altrisuoli: ghiacciai, rocce, deserti, ecc.(32%).

Le diverse superfici vengono ri-dotte ad una misura comune, attri-buendo a ciascuna un peso propor-zionale alla sua produttività mediamondiale; si individua così l’“areaequivalente” necessaria per produrrela quantità di biomassa usata da unadata popolazione.

Dal 1999 il WWF aggiorna perio-dicamente il calcolo dell’improntaecologica nel suo Living Planet Re-port. Nel 2003 Mathis Wackernagele altri hanno fondato il Global Foot-

print Network, che si propone di mi-gliorare la misura dell’improntaecologica e di conferirle un’impor-tanza analoga a quella del prodottointerno lordo). L’associazione colla-bora attualmente con 22 paesi, tracui l’Italia e con agenzie governati-ve, autorità locali, università, istituti

di ricerca, società di consulenza, as-sociazioni.

Facendo qualche calcolo si vedeche ogni essere umano di questopianeta ha, in media, un’improntaecologica di circa 2,2 ha. Peccatoche sul nostro pianeta la biocapaci-tà, cioè la superficie utilizzabile, èdi soli 1,8 ha a testa.

In Italia l’impronta ecologica vie-ne calcolata non solo per l’intera na-zione, ma anche su scala regionale elocale. Su scala nazionale l’impron-ta ecologica media dei paesi indu-strializzati è di 6,4 ha mentre su sca-la regionale la più insostenibile è laLombardia con 5,75 ha segue la Li-guria (4,6) Veneto (4,27), il Lazio(3,98) e la Puglia (3,88).Tutte picco-le le regioni sono virtuose, con addi-rittura la Basilicata che ha una im-pronta ecologica sul territorio di0,54. Seguono Molise (0,64), ValleD´Aosta (0,74), Trentino Alto Adige(0,76), quasi in equilibrio la Cala-bria che ha un’impronta di 1,1. Inmezzo ci sono: Emilia Romagna(3,35); Sicilia (3,01); Friuli VeneziaGiulia (2,96); Campania (2,6); Pie-

monte (2,39). Almeno per una voltanoi siciliani non siamo i peggiori!!

Ma torniamo al problema: è daglianni ottanta che l’umanità consumapiù di quanto la terra produca in unanno. Al momento sono necessarie1.4 Terre per produrre le risorse checonsumiamo in un anno. Quest’an-

no abbiamo consumato tutte le ri-sorse annuali il 25 settembre, cosìcome lo scorso anno …

Le città influiscono per l’80%sull'Impronta ecologica pro capite.Le infrastrutture che costruiamo og-gi determinano come viviamo e co-me vivremo nei prossimi anni. Ledecisioni di investimento di oggi de-terminano largamente il livello e latipologia di consumo di risorse per idecenni a venire.

È, inoltre, evidente che Europa eNord America sono i maggiori con-sumatori, dal momento che il restodell’umanità o è sotto al valore equodi 1,8 ha oppure (come l’AmericaLatina) è poco al di sopra. I paesisviluppati dell’occidente hanno unconsumo di beni, energia e servizida 5 a 10 volte superiore ai paesipiù poveri dell’Africa. Le disparitàtra paese e paese sono ancora piùgrandi. Un esempio per tutti: il NordAmerica, avendo solo il 5% dellapopolazione mondiale ha ben il 24%dell’impronta ecologica, e l’Europacon l’8% della popolazione ha il17% dell’impronta.

Gli Africani sono quasi il triplodei Nord Americani, ma hanno unimpronta tre volte e mezzo più pic-cola. Nasce spontanea la domanda:chi deve impegnarsi per il clima?

Ma cosa possiamo fare per ridurrei consumi? Anzitutto le immissionidi CO2 nell’atmosfera contribuisco-no per il 70% ai nostri consumi. Sesaremo in grado di ridurre drastica-mente le emissioni di CO2 – e gliscienziati chiedono di ridurredell’80% le emissioni entro l’anno2050 – colpiremo anche il problemadello sforamento.

Ecco perché diventa necessario ri-spettare i parametri di Kyoto, se nonspingersi oltre. Un passo in questadirezione è stato fatto dal Giappone,che ha annunciato una riduzione deigas serra, con un taglio delle emis-sioni del 25% entro il 2020 rispettoai livelli del 1990. Questa aperturadovrebbe alzare i toni dei dibattiti evelocizzare processi negoziali, finoad oggi troppo lenti e frustranti.

Ma anche ognuno di noi può farequalcosa. Ad esempio le diverseabitudini alimentari possono contri-buire a ridurre l’impronta ecologica.Il responsabile maggiore delle no-stre impronte è la carne. Mangiaremeno carne non fa bene solo allanostra salute, ma anche a quella delpianeta. Le nostre abitudini neglispostamenti hanno un effetto ancorapiù dirompente, e certamente anchela cilindrata dell’automobile influi-sce, infatti aumentando i consumi,aumentano le immissioni di CO2.Insomma, girare con il SUV non faproprio bene all’ambiente!

Ecologia10

A Copenhagen dal 7 al 18 Dicembre la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici

Le risorse della terra sono infinite?Gli scienziati a caccia di risposte

Attorno ad un tavolo tutti i leader mondiali per decideredegli interventi necessari per ridurre l’inquinamentoe provare a salvare il pianeta

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

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La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

La crisi mondiale e nazionaleha colpito anche l’Isola, ma ci sono ancora possibilità

di un forte rilancio dell’economia

Quali prospettivedi sviluppo

per la Sicilia?

Rispondonogli Uomini

della Confindustria

Grandi, medie e piccole imprese sono statetravolte dai fattori negativi che hanno ca-ratterizzato questi ultimi periodi in tutto il

mondo. La Sicilia, anche per il suo stato di emar-ginazione periferica dai grandi mercati ha subitopesantemente gli influssi “esterni” che si sono ag-giunti all’atavico stato delle cose.

I rallentamenti provocati dalla burocrazia, dauna mancata e adeguata programmazione politica,

hanno aggravato ulteriormente la situazione, ap-pesantita anche dall’inspiegabile blocco dei bandidei finanziamenti comunitari a sostegno delle im-prese. Con questo Dossier “La Voce dell’Isola” fa ilpunto dello stato dell’arte facendo parlare i presi-denti di Confindustria Sicilia e Confindustria Ca-tania, Ivan Lo Bello e Domenico Bonaccorsi diReburdone, evidenziando le ultime iniziative por-tate avanti.

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L’andamento economico del territorio della provincia etnea

Catania: i comparti operativiattraversati da crisi trasversale

di VITO PADULA

Le batoste, le penalizzazionialla Sicilia non sono maimancate e, probabilmente,

non mancheranno neanche nel fu-turo. La Sicilia, che ha tutte lecarte in regola per potersi conqui-stare un posto al sole fra le regionipiù produttive del Paese, continuaa segnare il passo: le cause sonotante e sono note, le responsabilitàdell’attuale situazione (e pure diquelle degli anni precedenti) sonoconosciute, ma i rimedi stentano avenire. I segnali di una ripresa,pur tuttavia, ci sono ma rischianoancora una volta di essere spenti:burocrazia e assenza di una ade-guata programmazione provenien-te dagli Enti pubblici preposti(Regione, Province, Comuni) faimpantanare le iniziative delle im-prese verso le quali gli Istituti dicredito tengono i cordoni serrati.

“La Voce dell’Isola” intendecon questo Dossier presentare loscenario in cui si muove l’impren-ditoria partendo dalla provinciaetnea, presentando i rilievi effet-tuati da Confindustria Catania, edecco cosa abbiamo potuto appren-dere:

Per Confindustria Catania i datidel 2008 e quelli relativi ai primimesi del 2009, confermano un ral-lentamento della crescita anchenel capoluogo catanese, in terminisia di natalità delle imprese sia dicontrazione dei livelli produttivi,con conseguenti effetti sul climadi fiducia delle imprese e sulla di-namica degli investimenti, attual-mente in fase di stallo.

Il calo dell’economia reale at-traversa trasversalmente tutti i set-tori e specificatamente i compartidell’edilizia, della meccanica, del-l’impiantistica e dell’industria tu-ristica che ha registrato tra il 2008e il 2007 una contrazione dellepresenze di oltre il 7% e una dimi-nuzione di arrivi del 6,5%.

L’inasprirsi del quadro com-plessivo trova conferma nei datifinanziari: il tasso di sofferenzabancaria si è infatti accresciuto intutta la Sicilia e specificatamentea Catania, raggiungendo un valoredel 5,7% contro il 2,8% del restod’Italia. Nel corso del 2009 la si-tuazione di cassa delle imprese ri-sulta altresì sotto pressione per lecriticità dei mancati pagamentidella Pa (Confindustria stima unvolume di crediti verso la pubbli-ca amministrazione per 1,2 miliar-di di euro in tutta l’isola) che si ri-percuotono a cascata su tutto il si-stema produttivo e sul clima di fi-

ducia delle imprese. È difficile inqueste condizioni ipotizzare unrecupero su competitività svilup-po anche per le pressioni socialiche provengono dal mondo del la-voro.

Tuttavia c’è da dire che il climaeconomico congiunturale nel no-stro territorio non è del tutto nega-tivo. Certamente sono a noi tuttinoti alcuni casi aziendali, più de-gli altri esposti al rischio di so-

pravvivenza. Ma non per questosu può parlare di vera e propriarecessione.

Ciò, probabilmente, grazie alladiversificazione del tessuto pro-duttivo che espone di meno il si-

stema cata-nese allaflessione ge-nera l i zza tadei mercati.

Il branddel Distretto“Etna Val-ley”, con lesue impresed’eccellenzanell’hi-tech;la presenzadi una indu-stria farma-ceutica inno-vativa e dina-

mica e di una rete articolata diPMI della trasformazione agro-alimentare che, con una produzio-ne di qualità, è riuscita a penetrareanche sui mercati internazionali;l’edilizia che, soprattutto per leopere pubbliche, è stata punto diriferimento anche in termini diimpiego di risorse occupazionali;il turismo, grazie alle risorse natu-rali e al patrimonio storico cultu-rale di cui è dotato il territorioprovinciale.

Questi sono i comparti su cui hada sempre puntato l’economia ca-tanese legando, almeno fino alpassato più recente, la forza di at-trazione del territorio rispetto ainuovi investimenti, cui va aggiun-gendosi il settore del Terziario,che include le attività di servizi(informatica, comunicazione, in-termediazione monetaria, finan-ziaria e assicurativa, servizi allapersona e sociali, trasporto e no-leggio) che, nel suo insieme, rap-presenta circa il 12% dell’interotessuto produttivo locale.

Confindustra Catania denuncia,a fronte della situazione descritta,che a quasi tre anni dall’avviodella programmazione comunita-ria 2007-2013 non un solo bandoè stato pubblicato a sostegno delleimprese industriali. Il Programmaoperativo Fesr (Fondo europeo disviluppo regionale), con una dota-zione finanziaria complessiva di 6miliardi e 539 milioni di euro, dicui 850 destinati a “sviluppo im-prenditoriale e competitività deisistemi produttivi locali”, rimaneancora sulla carta.

Un blocco che si traduce inmancati investimenti per il territo-rio e per l’occupazione. L’allarmearriva dalla aziende della sezioneAlimentari di Confindustria Cata-nia che conta 21 imprese, 800 la-voratori ed ha un fatturato di oltre220 milioni di euro.

“Solo nel nostro comparto -spiega il presidente della sezione,Santi Finocchiaro - sarebberopronti investimenti privati per cir-ca 100 milioni di euro. Esistonomisure importantissime, come leagevolazioni agli investimenti diqualità o gli aiuti alla ricerca,previsti nella legge di attuazionedel Por Sicilia (L.R. n.23/2008), ogli aiuti all’internazionalizzazionee all’occupazione (L.R. 9/2009),che rimangono bloccate per l’as-senza di decreti attuativi. È para-dossale che proprio nel momentoin cui Bruxelles ha allentato i vin-coli sugli aiuti di Stato, con nor-me più elastiche per far fronte al-la crisi economica, la Sicilia, adifferenza delle regioni europeesvantaggiate, non riesca a far de-collare provvedimenti decisivi perlo sviluppo”.

“I tempi della politica - aggiun-ge il presidente degli industrialicatanesi, Domenico Bonaccorsi -coincidono sempre meno conquelli delle imprese. Gli enormiritardi accumulati nella program-mazione comunitaria e nell’attua-zione delle misure a sostegno del-le attività produttive, sono difficil-mente comprensibili agli occhidegli imprenditori che chiedonocertezze per poter programmareinvestimenti”.

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29 Ottobre 2009

SEZIONI CONFINDUSTRIA CATANIA

Acquedotti, Albergatori, Alimentari, Autonoma degli Edili, Cemento – calce, laterizi per l’edilizia -,Chimici e chimico farmaceutici, Concessionarie auto e veicoli industriali, Consulenza, Ecologia, Hi-Teche ICT, Igiene ambientale, Imprese radio-televisive, Metalmeccanici, Servizi sanitari, Soci aggregati(Assicurazioni, Export, agroalimentare, Mediatori immobiliari), Strutture socio-assistenziali, Terziarioinnovativo, Trasporti, Turismo e servizi per il turismo, Varie (Servizi energetici, Telefonici, Credito,Sicurezza, Editoria, Produzione cinematografiche).

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Aziende Dipendenti Fatturato al 31/12/2008 578 24.796 1.742.638.055,17 al 12/10/2009 63 1.739 616.692.095,65

Totale 641 26.535,00 2.359.330.150,82

incremento aziende 63 10,90% incremento dipendenti 1.739 7,01%

incremento fatturato aziende

616.692.095,65 35,39% obiettivo aziende associate nel 2009 60 105,00%

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Parole di ottimismo dal presidente di Confindustria Catania, Domenico Bonaccorsi

La classe imprenditorialeè pronta a scommettersi

di SALVO BARBAGALLO

Confindustria Catania ha attra-versato un momento di delica-ta “criticità organizzativa” che,

lo scorso anno, l’ha condotta al com-missariamento e, quindi subito dopo,all’elezione (nel febbraio scorso) diun nuovo presidente, Domenico Bo-naccorsi di Reburdone, eletto con il97,54 per cento delle preferenze. Anove mesi dal suo insediamento in-contriamo Domenico Bonaccorsi perfare il punto della situazione, chie-dendo prima, vista l’alta percentualedi consensi, le ragioni che hannospinto i soci di Confindustria Cataniaad esprimere in tal modo il loro ap-prezzamento nei suoi confronti. Eccocosa risponde: “La mia elezione èstata un grande successo, e ovvia-mente mi ha fatto piacere riceverequesti apprezzamenti. D’altra partela conseguenza è che mi sono carica-to di molte responsabilità per non de-ludere tante aspettative. Le cose stan-no andando bene, la situazione del-l’associazione è sicuramente positiva,nonostante il periodo di difficoltà e dicrisi economica che si attraversa: noiabbiamo incrementato vistosamente ilnumero degli associati, abbiamo giàraggiunto con largo anticipo (quattromesi) il target che ci aveva fissatoConfindustria nazionale,almeno quel-lo di aggiungere sessanta nuove ade-sioni, siamo arrivati a sessantatre esiamo ancora a tre mesi dalla finedell’anno, quindi abbiamo superatobrillantemente questo target”.

Qual è la fotografia dell’econo-mia catanese?

È una fotografia difficile da coglie-re perché Catania ha un’economiadiversificata, in cui la crisi si è diffu-sa a macchia di leopardo e con tempisfalsati rispetto ad altri territori. Nehanno sofferto per prime le grandiaziende multinazionali che, confron-tandosi nel mercato globale, hannosubito una contrazione delle venditein misura assai maggiore rispetto allepiccole imprese. Ne hanno risentitosettori come l’edilizia e il metalmec-canico, comparti tradizionalmentetrainanti dell’economia del territorio.Tuttavia c’è da dire che il clima eco-nomico congiunturale complessivonon è del tutto negativo. Sicuramenteesistono diverse aziende a rischio disopravvivenza. Ma non per questo sipuò parlare di vera e propria reces-sione. Ciò, come dicevo, grazie alladiversificazione del tessuto produttivoche espone di meno il sistema catane-se alla flessione generalizzata deimercati. Il problema da superare oggiè di tipo sociale. I livelli occupazio-nali subiranno una ulteriore contra-zione in questi mesi. Anche se le im-prese prima di arrivare al licenzia-mento utilizzeranno tutti gli strumentie le strade possibili per manteneresalde le posizioni.

Cosa dobbiamo aspettarci per ilfuturo?

Noi siamo ottimisti. La classe im-prenditoriale è pronta a scommettersie a investire. C’è anche chi ha coltonuove opportunità dalla crisi, trovan-do occasioni di crescita e di sviluppo.Quello che ci preoccupa è il contestoin cui lavoriamo. Stiamo parlandodelle istituzioni, Regione e Comune diCatania per esempio.Certamente il li-vello di indebitamento dei nostri in-terlocutori pubblici è altissimo e

comporta gravissimi problemi per leaziende creditrici. Confindustria Sici-lia stima che il debito complessivodella pubblica amministrazione versole imprese dell’Isola superi il miliar-do di euro. Così alcune aziende sonoal tracollo perché non riescono ad in-cassare quanto loro dovuto. C’è unasituazione di stallo anche nella spesadei fondi strutturali 2007-2013. Sia-mo intervenuti anche attraverso Con-findustria Sicilia per sollecitare leautorità regionali ad accelerare leprocedure di pubblicazione dei bandi,purtroppo senza esito. Evidentemen-te, all’inventiva e alla volontà degliimprenditori di fare investimenti noncorrisponde un’adeguata rispostadella politica.

C’ è un intervento anche di Con-findustria Palermo su questo tema.Ma perché i bandi non si sblocca-no?

C’è una questione di instabilità po-litica, ma gioca anche l’ostruzioni-smo della burocrazia. Litigiosità tra ipartiti e veti incrociati hanno rallen-tato decisioni importanti. Il 31 di-cembre prossimo è la prima data perla rendicontazione della spesa deifondi europei e siamo ancora all’an-no zero. Una situazione assolutamen-te intollerabile.

La politica blocca in un certosenso lo sviluppo?

Direi la politica e la burocrazia. Avete rafforzato il dialogo con le

banche con un protocollo d’intesaper venire incontro alle esigenzedelle piccole e medie imprese chesta dando già i primi risultati posi-tivi. Con le forze datoriali e sinda-cali il 10 settembre scorso avete si-glato il Patto per Catania. Di recen-te un’altra azione insieme ad Apin-dustrie e ImpresaPiù per chiedereun sistema di tassazione sulla rac-colta dei rifiuti più equo alla zona

industriale. Qual è la sua ricettaper sedersi tutti attorno ad un tavo-lo e superare le divergenze?

Certamente la concretezza. Se siaffrontano con concretezza i problemie si cerca anche di offrire soluzioni sitrovano interlocutori disponibili. Coni sindacati abbiamo dato vita ad unprotocollo di intesa per creare unaspecie di “camera di reffreddamen-to“ preventiva sulle situazioni di crisiche si possono verificare. Erano anniche non ci sedevamo attorno ad untavolo.

La crisi economica ha certamentedato una spinta a questo ritrovatospirito concertativo perché non lasciaspazio e tempo per gli scontri. Lostesso vale per la concertazione fattacon le altre organizzazioni datoriali.Abbiamo affrontato problemi concre-ti. Il sistema di tassazione sulla rac-colta dei rifiuti alla zona industrialedi Catania, che non solo non rispettacriteri di equità, ma è iniquo perchéil servizio non viene reso, è un pro-blema che investe tutte le aziende.Non solo le nostre associate. Il nostrocompito, come associazione, è difen-dere interessi comuni e non del singo-lo.

Questo esempio può essere capi-talizzato per altre questioni che pe-sano sul territorio?

Certamente. È questa la linea chevogliamo portare avanti. Nel mio di-scorso programmatico di insediamen-to ho parlato proprio dell’importanzadi misurarsi su fatti e risultati ottenu-ti più che su traguardi annunciati.Confindustria Catania ha scelto conconvinzione la politica del fare e nondell’annuncio e della polemica.

C’è da aspettarsi una maggioreapertura da parte dei sindacati?

Ce lo auguriamo. Purtroppo le for-ze sindacali al loro interno sono as-sai articolate e questo significa che

non sempre sono capaci di dare unarisposta unitaria alle singole questio-ni. (Un esempio si trova nei sindacatidei metalmeccanici che esprimonoposizioni dissonanti).

C’e una eccessiva atomizzazionedei sindacati che può bloccare azio-ni positive?

È possibile. Ma sono convinto chela politica della concretezza e dellaconcertazione, come ho già detto,possa portare a risultati importanti.

Quali sono secondo lei le prospet-tive per Catania in previsione del-l’apertura dell’area di libero scam-bio nel Mediterraneo?

Nel 2010 l’apertura dell’ area di li-bero scambio consentirà di avere unmercato di 600 milioni di consumato-ri. Sicuramente la prospettiva per ilnostro territorio è molto favorevole.Ma siamo indietro rispetto ai nostripotenziali partner mediterranei chesono più attrezzati dal punto vista in-frastrutturale. Catania ha evidente-mente una posizione geografica stra-tegica per fare da centro propulsore,ma siamo assolutamente in ritardoanche perché è mancata una proget-tazione di lungo respiro.

Il grande impegno che vorremmoportare avanti come ConfindustriaCatania è quello di coinvolgere tuttele forze datoriali e sociali in un pro-getto di rilancio della città. La politi-ca purtroppo in questi anni ha di-smesso quello che era il suo compitoprincipale, e cioè quello di program-mare un modello sviluppo. Per questoinsieme alle altre categorie produtti-ve proporremo il nostro progetto allapolitica, che a questo punto dovràdarci delle risposte.

Anche le carenze infrastrutturali ri-schiano di far perdere alla Sicilia lagrande occasione dell’area di liberoscambio. Abbiamo un porto che è ca-rente, perché non ha spazi e non ha

possibilità di espansione, l’Interportoè solo sulla carta…

Il nostro porto ha più una vocazio-ne turistica. Mentre il porto di Augu-sta viste le sue dimensioni potrebbeessere il naturale porto di attraccodelle grandi navi, ma non è stato mairisolto il problema della bonifica. Pe-sa anche il completamento dell’asseviario di collegamento con Catania.26 chilometri di autostrada cheaspettiamo da trent’anni.

Anche l’aeroporto di Catania hale sue carenze.

Sicuramente esistono problemistrutturali nati con il progetto. L’areaesterna, come anche i parcheggi, nonsono adeguati ad accogliere il flussocrescente di traffico passeggeri. An-che l’allungamento della pista è unaquestione da risolvere. Credo che pri-ma di pensare a progettare un secon-do aeroporto sarebbe più opportunomigliorare e attrezzare la strutturaesistente.

La “battaglia” della Sac. C’è chisostiene l’abbiate persa.

Non abbiamo perso nessuna batta-glia, perché non ne abbiamo ingag-giata nessuna. Non siamo interessati aoccupare poltrone o a piazzare pedi-ne. A noi interessa la validità e il me-rito di chi occupa certe posizioni.Tant’è che in occasione del rinnovodel consiglio di amministrazione del-la Sac, la nostra proposta era di ricon-fermare gli amministratori uscenti(Arena, Biriaco, Mancini). La giuntadella Camera di commercio di Cata-nia ha accolto solo in parte il nostrosuggerimento e noi ne abbiamo ri-spettato l’autonomia e la competenza.Ci auguriamo che Totò Bonura saràall’altezza della situazione. Ribadiscoche il ruolo dell’associazione non èquello di occupare poltrone, ma di tu-telare gli interessi generali delle im-prese.

Però la società di gestione navigain brutte acque a causa di un pe-sante indebitamento.

I mali vengono da lontano. Gliazionisti certamente dovranno aprirebene gli occhi per capire ciò che suc-cede, Camere di commercio e Provin-cia di Catania in primo luogo. Perquanto di nostra competenza saremoattenti e vigileremo.

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La Voce dell’Isola n. 18~20

Non consideriamodel tutto negativoil clima economicocongiunturalecomplessivo. C’è anchechi ha colto nuoveopportunitàdalla crisi,trovandooccasionidi crescitae di sviluppo

Domenico Bonaccorsi, presidente Confindustria Catania

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A colloquio con il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello sul tema delle carenze e delle scarse risorse dell’Isole

Mancanza di programmazione negli investimenti pubblici e crisi strutturaleimpediscono alla Sicilia d’avere il tanto ipotizzato e sperato sviluppo economico

di SALVO BARBAGALLO

Dopo avere tracciato il qua-dro economico della pro-vincia etnea con il presi-

dente di Confindustria CataniaDomenico Bonaccordi di Rebur-done, è conseguenziale cercare dicapire la situazione di crisi (o postcrisi?) della Sicilia. Riteniamo cheil personaggio più idoneo per deli-neare l’attuale scenario dell’Isola ele possibile prospettive per un rea-le e non virtuale sviluppo, sia ilpresidente di Confindustria Sicilia,Ivan Lo Bello. Ed a questo prota-gonista della realtà d’oggi ponia-mo subito l’interrogativo Quale èlo stato dell’arte in Sicilia? IvanLo Bello risponde senza tentenna-menti, ed è così che avviamo ilnostro colloquio.

Lo stato dell’arte in Sicilia pre-senta una situazione abbastanzacomplicata. Diamo alcune direttri-ci sul piano economico. A prescin-dere della crisi finanziaria partitalo scorso anno, che ancora stamordendo quest’anno, noi abbia-mo una crisi strutturale molto pe-sante che si è accentuata all’iniziodi questo secolo, dal 2001 in poi.Alla fine degli anni Novanta noiabbiamo avuto un periodo di leg-gera e maggiore crescita rispettoa resto del Paese: sembrava che si

fosse avviato un meccanismo dilenta convergenza con il resto delPaese. Un periodo che è duratopochissimo e nel 2001 la Sicilia èritornata a crescere molto menodel Paese. Si calcola che in questianni, levando il 2008 che è l’annoin cui il Paese è cresciuto negati-vamente, dal 2001 al 2007 la Sici-lia è cresciuta ad una media com-plessiva dello 0,6 per cento, men-tre l’Italia dell’uno per cento. Inquesti ultimi cinque, quindi, si èampliato il divario tra Sicilia e re-sto del Paese, sia in termine direddito pro capite, sia in terminedi altri indicatori economici. Unasituazione strutturale molto for-te”.

Da cosa dipende questa situa-zione strutturale?

Dipende dal fatto che noi abbia-mo costruito negli ultimi decenniin Sicilia un modello di sviluppobasato su un eccesso di ruolo delpubblico: si deve calcolare che ilpeso totale del pubblico sul Pil re-gionale in Sicilia vale oltre il 41per cento., in Lombardia il 25 percento. Da noi c’è un sistema eco-nomico che è basato su una di-mensione pubblica ipertrofica einefficiente, in Lombardia, invece,è basato sull’impresa privata, sul-la capacità di creare ricchezza, diinternazionalizzarsi, di rinnovarsi.Questi due modelli spiegano oggila crisi strutturale della Sicilia. Ilnostro modello – che è distorsivoperchè incide sul piano della cul-tura d’impresa, che la indeboliscestrutturalmente - ha tenuto sino aquando è stato alimentato daiflussi crescenti di spesa pubblica:era negativo già in questo sensoperché comunque distruggeval’impresa privata e non la favori-va. Dagli inizi degli anni Novan-ta, con la crisi finanziaria, l’euroe quant’altro, la spesa pubblica èdiminuita, e questo ha portato aun sistema che io ho definito si-stema assistenziale senza risorse,che oggi è un ostacolo enorme al-

la crescita, perché distrugge ric-chezza, nella migliore delle ipotesigenera una crescita bassissima ealimenta sostanzialmente quellaparte parassitaria dell’economiasiciliana.

Ci troviamo applicato, dun-que, un modello che lavora con-tro la possibilità di far crescerele imprese sui mercati concor-renziali?

Certamente. Questo è il grandeostacolo…

È l’unico ostacolo che impedi-sce un concreto sviluppo alla Si-cilia?

Indubbiamente no. A questoostacolo si aggiungono altre gran-di criticità.

Quali, ad esempio?Una criticità rilevante, legata al

pubblico, è la burocrazia. Neglialtri Paesi la burocrazia – mi rife-risco alla Francia e alla Spagna –è un fattore di competitività diquel Paese, perché è una burocra-zia di qualità, con una visionestrategia del Paese, con una posi-zione di supporto alla capacitàcompetiva delle imprese. In Italiae in Sicilia in particolare in ma-niera accentuata è un ostacolostrutturale alla capacità competi-tiva delle imprese. È come se unpezzo dello Stato lavorasse controil Sistema Italia, ovviamente conle dovute eccezioni perché poi cisono tanti funzionari pubblici digrandissima qualità. Ma nei suoimeccanismi di funzionamento, nel-la sua cultura dominante, da noila burocrazia oggi non è sintoniz-zata minimamente con le esigenzedelle imprese, e pertanto diventaoggettivamente un ostacolo.

E in merito alla carenza delleinfrastrutture?

Infrastrutture? Sono indubbia-mente carenti, anche se negli ulti-mi anni qualcosa si sta realizzan-do; le nostre infrastrutture sonosostanzialmente insufficiente ri-spetto non solo alle altre aree ita-liane, ma anche rispetto a quelle

con le qualicompetiamo suimercati interna-zionali.

È questo unoscenario che co-nosciamo unpo’ tutti, ma,alla fine si fini-sce con l’accet-tarlo.

E sul temadella criminali-tà organizzata?

Questo era untema prima lo-calizzato in al-cune realtà sici-liane, che oggi,sfortunatamentesi è esteso a tut-ta la Sicilia, si-tuazione estre-mamente perico-losa non soloper le dinamichedel pizzo, maanche per fun-zione di regola-zione dei merca-ti che hanno lecosche mafiose eper gli inquina-menti nell’eco-nomia legale.

Questi, a lar-ghe linee, sonoalcuni aspetti

fondamentalmente negativi. Ma,secondo lei, non eiste oggi unaSicilia che vuole crescere, chevuole uscirefuori per imporre la

sua vitalità?I limiti li abbiamo tracciati, ma

c’è anche una Sicilia positiva.Una Sicilia positiva che è fatta og-

gi da tante aziende che hannochehanno come caratteristica princi-pale la volontà di misurarsi sulmercato. Il funzionamento di que-

ste aziende nondipende né da unfunzionario pub-blico, né da unpolitico, ma dallacapacità di im-prenditori di farebuoni pr, innova-no tecnologica-mente odotti,buoni servizi evenderli sul mer-cato. Queste so-no aziende cheinvestono edhanno in moltisettori posizionidi leardship. Èsolo da questosegmento diaziende sicilianiche può venire lacrescita della Si-cilia.

Le soluzioniper superare ledifficoltà e pro-muovere lo svi-luppo?

Fino a quandonoi avremo unmacigno, comequel 41 e mezzoper cento di valo-re aggiunto di Pilgenerato da unpubblico ineffi-ciente, che spre-

ca risorse e alimenta clientele, sa-rà difficile trovare le risorse da in-vestire sulla crescita effettiva. Nonsolo, quel 41 e mezzo per cento di

Pil ha un effetto culturale deva-stante e distorsivoche spinge im-prese e cittadini a collocarsi inmercati protetti, in rapporti più omeno trasparenti con il pubblico ecrea incentivi perversi nell’attivitàdelle imprese. E questo, in un qua-dro complessivo di risorse decre-scenti, rischia di generare mecca-nismi di implosione. L’ipertrofiadel pubblico, l’inefficienza delpubblico sono oggi il vero bloccoper lo sviluppo della Sicilia: ilpubblico assorbe le pochissime ri-sorse che ci sono, genera ulterioreinefficienza in tutti i servizi. Siamoarrivati ad un punto di non ritor-no. O la dimensione pubblica ini-zia una cura dimagrante, oppurenon ci sono soluzioni. Ciò non si-gnifica meno pubblico: noi inConfindustria diciamo Più Stato,più mercato. Stato nelle sue fun-zioni essenziali, e meno Stato intutta quella marea di società diservizi pubblici locali, dove si staverificando un meccanismo di im-plosione a catena di tante questio-ni che non si sono mai affrontateche oggi, di fronte alla carenza dirisorse, non reggono più sul mer-cato. Più mercato, in quanto laricchezza nei Paesi l’ha fatto ilmrcato, la concorrenza, impreseche si sono sfidate sui mercati, equeste imprese per conpetrere suimercati hanno bisogno di servizipubblici efficienti, infrastruttureadeguate.

In questo panorama, non cer-to idilliaco, Confindustria Siciliacome si pone?

Di fronte a un disastro annun-ciato in alcuni settori, intanto, ve-do tantissime aziende con unagrande voglia di intraprendereche, a dispetto delle difficoltà, rie-scono a progettare investimenti,che guardano al futuro. Basti pen-sare che in questi ultimi anni leesportazioni siciliane sono aumen-tate al netto delle esportazioni pe-trolifere. Le esportazioni sono ilmisuratore della capacità compe-

titiva in un sistema industriale.Oggi ci sono tante energie impren-ditoriali poco conosciute: sonoqueste energie che possono porta-re la Sicilia fuori dalla crisi e suun percorso di crescita. ComeConfindustria stiamo incalzando ilGoverno regionale sui Fondi euro-pei, non per come si è fatto nel-l’ultima programmazione dove ifondi sono stati dispersi in oltreduecento piccole misure. Non ser-vono a niente. Le risorse pubbli-che o vengono concentrate in po-chi obiettivi strategici, che hannoeffetti diretti sulla capacità com-petitiva del territorio, o non pro-

ducono ricchezza. Queste sono lequestioni rilevanti: i fondi comu-nitari, meno pubblico nell’econo-mia. Soprattutto il pubblico devesaper bene programmare: oggi semannca una opportuna program-mazione si rischia di non andarein nessun posto. Ecco, Confindu-stria Sicilia oggi sta studiandouna adeguata programmazioneper l’impiego nel miglior modopossibile delle risorse esistenti, edelle risorse che possono essererepite. Il compito di programmarein questo senso spetterebbe alpubblico: noi cerchiamo di soppe-rire a questa ulteriore carenza.

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29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

Noi abbiamo costruito negli ultimi decenni in Sicilia un modello di sviluppobasato su un eccesso di ruolo del pubblico: un modello che è distorsivo perchèincide sul piano della cultura d’impresa, che la indebolisce strutturalmente.Una burocrazia inefficiente finisce con il giocare contro le imprese

DOSS

IER

L’intesa si inserisce nella più ampia convenzione nazionale siglata il 3 luglio scorso, con un plafond complessivo di 5 miliardi di euro

Intesa Sanpaolo e Confindustria Catania hanno siglato un accordo per promuovere misure mirate a garantire l’afflusso di credito al sistema produttivo territorialeIntesa Sanpaolo e Confindustria Catania hanno siglato

nella sede di Fidimpresa un accordo per promuovere mi-sure volte a garantire l’afflusso di credito al sistema pro-

duttivo, attraverso interventi sulla liquidità e sulla patrimo-nializzazione delle imprese.

L’accordo è stato firmato dal presidente di ConfindustriaCatania Domenico Bonaccorsi di Reburdone e dal direttoredell’Area Sicilia di Intesa Sanpaolo Salvatore Immordino,presente il responsabile della direzione Mercato Imprese diIntesa Sanpaolo Carlo Berselli. L’intesa si inserisce nella piùampia convenzione nazionale siglata il 3 luglio scorso tra ilGruppo bancario e Confindustria, con un plafond complessi-vo di 5 miliardi di euro.

A inizio agosto il Gruppo Intesa Sanpaolo ha aderito allamoratoria Abi-Governo che consente la sospensione di 12mesi del pagamento della quota capitale delle rate di mutuoe leasing, l’allungamento a 270 giorni della scadenza deicrediti a breve per operazioni di anticipazione su crediti e

l’erogazione di finanziamenti per il rafforzamento patrimo-niale delle imprese.

Intesa Sanpaolo e tutte le banche della Divisione Bancadei Territori, sono però già operative da tempo su questofronte per supportare le imprese, avendo di fatto anticipatola moratoria con l’avvio – fin da maggio – della proceduraper consentire la posticipazione di 12 mesi del pagamentodella rata di mutui e leasing.

Ancora prima dell’adesione alla moratoria Abi-Governo,grazie all’accordo per le PMI stipulato a luglio con Confin-dustria, il Gruppo Intesa Sanpaolo si era già attivato su tuttoil territorio nazionale e ad oggi risultano concessi comples-sivamente oltre 2800 sospensioni di pagamenti rate di mutuio leasing.

In questo quadro si inserisce l’accordo siglato tra IntesaSanpaolo e Confindustria Catania, che si spinge ben oltrel’accordo per la moratoria siglata in sede ABI e prevede unaserie di risposte concrete alle diverse esigenze delle impre-

se, tra le quali: nell’ambito dell’accordo sono stati indivi-duati anche gli specifici strumenti nelle diverse aree di inter-vento:

Rafforzamento patrimonialeSono previsti finanziamenti rivolti alle aziende costituite

in forma di società di capitali che intraprendono processi dirafforzamento patrimoniale, secondo due diverse tipologie;le caratteristiche essenziali, a fronte dell’impegno delle im-prese a migliorare la propria struttura patrimoniale entro undato periodo, sono le seguenti:

Flessibilità dei finanziamenti. Si tratta di strumenti stu-diati in modo specifico per consentire alle imprese di gestirein forma flessibile il prestito in corso di ammortamento, intermini di estensione della durata del finanziamento. In par-ticolare con il “Rinvio rata”, la Banca si impegna a conce-dere il rinvio del pagamento delle quote capitale delle rate dimutui o leasing in essere, per un periodo massimo di 12 me-si dalla data di richiesta. La sospensione, in coerenza con

iniziativa in materia già avviate dalla Banca. e in armoniacon l’Avviso Comune dell’ABI - al quale hanno aderito tuttele banche del Gruppo e finalizzato a favorire la continuitàdell’afflusso di credito al sistema produttivo - è riservata al-le piccole imprese che presentino una situazione economica,finanziaria, patrimoniale e organizzativa che possa garantirela continuità aziendale e ha come oggetto le rate in scadenzao già scadute da non più di 180 giorni alla data di presenta-zione della domanda. L’iniziativa ha validità sino al 30 giu-gno 2010.

Sostegno alla liquidità aziendale. Capitale circolante: labanca concede una specifica linea di credito aggiuntiva agliaffidamenti già in essere, per favorire la gestione degli inso-luti, un problema particolarmente avvertito in questo mo-mento. L’importo massimo concedibile è in funzione dellelinee di credito per smobilizzo commerciale già concesse(25% del castelletto con un massimo di 250 mila euro). IConfidi interverranno con una garanzia pari ad almeno il

50% della linea di fido. L’iniziativa è valida fino al 30 giu-gno 2010.

Allungamento scadenze breve termine: in coerenza coniniziative similari già previste dalla Banca e analogamente aquanto disposto per il rinvio rata dei finanziamenti a mediolungo termine secondo i contenuti del citato Avviso Comunedell’ABI, la Banca si impegna a sostenere le esigenze dicassa, allungando fino a 270 giorni le scadenze dei crediti abreve termine (anticipi all’esportazione, anticipi fatture, an-ticipo/sconto portafoglio commerciale), con riferimento adoperazioni di anticipazioni su crediti certi ed esigibili.

“L’accordo firmato da Intesa Sanpaolo e dagli Imprendi-tori di Confindustria Catania - spiega il direttore dell’AreaSicilia di Intesa Sanpaolo Salvatore Immordino – è la testi-monianza di quanto il Gruppo Intesa Sanpaolo sia vicino altessuto industriale e imprenditoriale del Mezzogiorno, inparticolar modo a quello della Sicilia. Con questa intesa so-no state individuate iniziative di diverso genere finalizzate

alla predisposizione di strumenti per fornire alle imprese unsupporto per affrontare l’attuale situazione di crisi econo-mica e finanziaria. L’obiettivo è quello di assicurare la con-tinuità di credito al sistema produttivo, garantendo alle im-prese liquidità sufficiente per superare questi difficili mesi epromuovere interventi per rafforzare il patrimonio delle im-prese”. “Si tratta di un segnale di concretezza assai positivo- spiega il presidente di Confindustria Catania, DomenicoBonaccorsi di Reburdone -. Gli strumenti previsti nell’ac-cordo possono contribuire a restituire fiducia alle imprese eagli investimenti, ma è necessario agire con immediatezzaper tradurre in risultati operativi le importanti misure anti-crisi avviate. Adesso, più che in passato, abbiamo la neces-sità di rafforzare il dialogo banca-impresa, perché solo daquesta alleanza forte potrà emergere una risposta efficacealla crisi finanziaria che sta attraversando tuttal’economia, con effetti a cascata sul territorio, di intensitàancora imprevedibile”.

Domenico Bonaccorsi e Ivan Lo Bello

Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia

Il dott. Franco Vinci, direttore di Confindustria Catania accanto al presidente regionaledi Confindustria, Ivan Lo Bello

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29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

di MIRCO ARCANGELI

Il 13 ottobre scorso, nella sededi Confindustria Catania letre organizzazioni di catego-

ria: Confindustria, Apindustrie,Impresa più, per sottoscrivere ildocumento comune sulla Tarsu aCatania, con le proposte per unacorretta applicazione nella zonaindustriale di Catania. Vediamoinnanzitutto di inquadrare l’ar-gomento partendo dalle fontinormative.

La tassa per lo smaltimentodei rifiuti solidi urbani (TARSU)nasce con la legge del 20 marzo1941, n. 366, che rivede le nor-me previgenti in materia di rac-colta e trasporto di rifiuti solidiurbani contenute nel T.U.F.L.(R.D. del 14 settembre 1931, n.1175). La Tarsu viene poi revi-sionata con il D.P.R. del 10 set-tembre 1982, n. 915, per poi es-sere integralmente ridisciplinatadal D. Lgs. del 15 novembre1993, n. 507 attraverso il quale ilLegislatore, pur mantenendopressoché inalterato l’impiantogenerale del tributo, ne ha ridefi-nito i caratteri rendendo più mar-cata la sua natura di “tassa” at-traverso il rafforzamento del le-game tra la sua corresponsione ela prestazione del servizio pub-blico di rimozione dei rifiuti. AlD.Lgs. n. 507/1993 sono seguitiulteriori provvedimenti modifi-cativi determinando una profon-da evoluzione in materia di legi-slazione ambientale.

I principi ispiratori di questiinterventi sono orientati alla sal-vaguardia ambientale attuatamediante la minimizzazione del-la produzione dei rifiuti ed il re-cupero di quelli che possono es-sere nuovamente immessi in ci-cli secondari.

Il fulcro dell’attuale normativanon è più lo smaltimento (oggidefinito come fase residuale del-la gestione dei rifiuti), ma la ge-stione dei rifiuti finalizzata a li-mitare la quantità dei rifiuti dasmaltire, sia impegnando i sog-getti pubblici e privati a preve-nirne la produzione, sia incenti-vandone il recupero medianteriutilizzo, riciclaggio e produzio-ne di energia. Con gli ultimi in-terventi normativi quali il D.lgs.152/2006 la tassa diventa tariffae la Tarsu diventa Tia (tariffa diigiene ambientale). Per il comu-ne di Catania questo passaggioverso la TIA non è ancora avve-nuto.

In relazione al presuppostoimpositivo della Tarsu, bisognarilevare che si tratta di materiaassai complessa, che è stata piùvolte oggetto di elaborazioni edanalisi. Tuttavia, proprio talecomplessità fa sì che questo te-ma consenta sempre nuovi spun-ti di riflessione e di maggioreapprofondimento. Infatti, benchénon siano state apportate recentimodifiche normative al presup-posto impositivo del tributo, è dasottolineare che le innumerevolifattispecie che lo sostanzianonon sono tutte pacificamente de-finite, per cui spesso fanno sor-gere controversie che devono es-sere risolte in sede giurisdiziona-

le. Fatta questa necessaria pre-messa esaminiamone il presup-posto impositivo.

Il presupposto impositivo è di-sciplinato dall’art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n.507,che dispone, al primo comma,“la tassa è dovuta per l’occupa-zione o la detenzione di locali edaree scoperte, a qualsiasi usoadibiti, situati nelle zone del ter-ritorio comunale in cui il servi-zio è istituito ed attivato o, co-munque, reso in maniera conti-nuativa nei modi previsti dagliarticoli 58 e 59, fermo restandoquanto disposto dall’art. 59comma 4. Per l’abitazione colo-nica e per gli altri fabbricati conaree scoperte di pertinenza, latassa è dovuta anche quandonella zona in cui è attivata laraccolta dei rifiuti è situata sol-tanto la strada di accesso al-l’abitazione o al fabbricato.”

Nonostante il Legislatore sisia sforzato di considerare ilmaggior numero possibile di fat-tispecie, molti sono i nodi anco-ra irrisolti, poiché non sempre èpossibile affermare l’esistenzadel presupposto dell’applicazio-ne della Tarsu o se, al contrario,sia riscontrabile una delle causedi esclusione. Tra queste biso-gna vi sono senz’altro le areescoperte a qualsiasi uso adibite,che in base al citato art. 62 sonotassabili “ad esclusione dellearee scoperte pertinenziali o ac-cessorie di civili abitazioni di-verse dalle aree a verde”. Ben-ché tali aree siano state oggettodi non poche modifiche normati-ve, la loro disciplina non ha su-bito modifiche sostanziali. Per-tanto, secondo le norme attual-mente vigenti, sono consideratetassabili le aree scoperte operati-ve, mentre sono escluse dallatassazione le aree scoperte e per-tinenziali di civili abitazioni(balconi, terrazzi, giardini). Perquanto concerne il servizio dinettezza urbana, poiché connes-so al presupposto impositivo,l’art. 59 del D. Lgs., n. 507/93,prevede la necessità di discipli-

nare il servizio con un appositoRegolamento nel quale devonoessere stabiliti:

i limiti delle zone di raccoltaobbligatoria;

l’eventuale estensione del ser-vizio a zone con insediamentisparsi;

l’organizzazione e le modalitàdi effettuazione del servizio.

In altre parole si obbliga i Co-muni ad istituire tale tributo e,soprattutto, ad emanare appositoRegolamento nel quale gli stessidevono indicare, altresì, la clas-sificazione dei locali e delle areein categorie, la graduazione delletariffe ridotte, le agevolazioni edesenzioni e, infine, le modalitàdi applicazione dei parametri dicalcolo delle tariffe. Nell’art. 59vengono poi disciplinati i casi dicarenza ed inadeguatezza delservizio determinando una sortadi commisurazione della tassaall’efficienza del servizio offertoalla collettività.

Anche questo ultima afferma-zione è stata oggetto di diverseinterpretazioni giurisprudenziali.La norma poi prevede, in tutti icasi, sia di mancata istituzione,sia di mancata attivazione e sianei casi di irregolare o insuffi-ciente svolgimento del servizio,che la tassa sia dovuta in misuraridotta (non superiore al 40%della tariffa da determinare in re-lazione al più vicino punto diraccolta rientrante nella zona pe-rimetrata o di fatto servita). An-che su questo principio si sonoalternati diversi orientamentigiuridici.

La TARSU si calcola in basealla tariffa prevista per l’uso acui sono destinati i locali ed allasuperficie complessiva deglistessi. (Tarsu = superficie mq. Xtariffa) Le tariffe sono individua-te dal Comune con apposita De-libera. L’art. 65, 2° comma, delD. Lgs. del 15 novembre 1993,fissa dei criteri tassativi di deter-minazione della tassa. Nellastessa si prevede che “le tariffeper ogni categoria o sottocate-goria omogenea sono determi-

nate dal comune, secondo il rap-porto di copertura del costo pre-scelto entro i limiti di legge,moltiplicando il costo di smalti-mento per unità di superficie im-ponibile accertata, previsto perl’anno successivo, per uno o piùcoefficienti di produttività quan-titativa e qualitativa di rifiuti”.In altre parole, secondo l’inten-zione del Legislatore, le tariffedevono tener conto solo del co-sto del servizio e della capacitàdei luoghi a produrre rifiuti; de-vono, cioè, essere soltanto com-misurate alla capacità dei localitassabili a produrre rifiuti.

L’art. 62, secondo comma, delD. Lgs. n. 507/93, recita: “Nonsono soggetti alla tassa i locali ele aree che non possono produr-re rifiuti o per la loro natura oper il particolare uso cui sonostabilmente destinati o perché ri-sultino in obiettive condizioni dinon utilizzabilità nel corsodell’anno …….” In questo arti-colo si prevedono esplicitamentei casi di esclusione dal pagamen-to della tassa per la sussistenzadi condizioni obiettive che impe-discono la presunzione di rifiuti.Ciò può dipendere da diversi fat-tori quali: la natura delle superfi-ci (ad esempio, luoghi impratica-bili oppure in abbandono, sog-getti a manutenzione o, ancora,stabilmente muniti di attrezzatu-re che impediscono la produzio-ne di rifiuti); il particolare usodelle superfici (ad esempio, lo-cali con presenza sporadicadell’uomo); l’obiettiva condizio-ne di non utilizzabilità immedia-ta (ad esempio, superfici di cui sidimostri il permanente stato dinon utilizzo).

Altra causa di esclusione dalpagamento della tassa, è l’ordi-naria produzione di rifiuti spe-ciali, tossici o nocivi. L’art. 62,terzo comma, del D. Lgs. n.507/93, dispone che: “Nella de-terminazione della superficietassabile non si tiene conto diquella parte di essa ove per spe-cifiche caratteristiche strutturalie per destinazione si formano, di

regola, rifiuti speciali, tossici onocivi, allo smaltimento dei qua-li sono tenuti a provvedere aproprie spese i produttori stessiin base alle norme vigenti. Ai fi-ni della determinazione dellapredetta superficie non tassabileil Comune può individuare nelregolamento categorie di attivitàproduttive di rifiuti speciali tos-sici o nocivi alle quali applicareuna percentuale di riduzione ri-spetto alla intera superficie sucui l’attività viene svolta”. Taletipologia di rifiuti segue la disci-plina della tassazione come ri-fiuti ordinari solo se a questivengono assimilati.

Il comune di Catania discipli-na la Tarsu attraverso un proprioRegolamento Comunale che ri-sale al 1994. Gli unici interventieffettuati hanno coinvolto esclu-sivamente la tariffa, con incre-menti anche del 100% negli ulti-mi 3 anni. Nei fatti non si tieneconto delle superfici esclusebenché produttive di rifiuti spe-ciali per i quali si sostengono co-sti privati aggiuntivi; né si tieneconto della specificità di talunearee produttive quali le ASI. Inpiù il servizio di raccolta è spes-so inadeguato, per non dire chein talune aree produttive è pres-soché assente, o talmente distan-te da vanificarne l’uso.

Le tre organizzazioni indu-striali, si sono quindi unite, perconcordare un documento comu-ne con proposte precise, con loscopo di giungere, attraverso untavolo di lavoro con il comunedi Catania, ad una più equa ri-partizione sociale del costo di ta-le servizio, in un ambito di mi-glioramento nello svolgimentodello stesso. Le proposte fattesono:

Nella Zona industriale, ove difatto manca il servizio di raccol-ta rifiuti, le imprese dovrannovedersi lo sgravio delle sommeiscritte a ruolo e la riduzione de-gli importi secondo legge del30/40%:

Riformulazione della tariffasulla base della effettiva superfi-cie occupata, della concreta de-stinazione d’uso, in relazione aduna stima ragionevole circa laquantità e qualità di rifiuti pro-dotti secondo l’attività svolta.

Misurazione reale delle super-fici;

Esclusione delle superfici cheproducono rifiuti speciali;

Conclusione razionale delcontenzioso in essere palese-mente definito;

Occorrerà in più intervenirepure sulla tariffa ordinaria, chevolendo fare un raffronto conuna città di pari livello porta aquesti risultati: Bologna costoTarsu a mq. 3,65 euro - Cataniacosto Tarsu a mq. 8,27 euro. Unsolo esempio: Una impresa indu-striale di Catania con 10.000 mq.coperti di capannoni paga, se-condo l’attuale sistema,82.700,00 euro l’anno, per rac-cogliere la spazzatura dai casso-netti, se si trovano, dell’ASI. Ilconfronto dal lato della presta-zione del servizio di raccolta ri-fiuti svolto dai rispettivi comunilo lasciamo ai lettori.

Gli industriali firmano un documento comune per modificare la tassa nel territorio etneo

Catania, la Tarsu costa il doppioe i rifiuti restano per strada

DOSS

IER

Il Comune disciplina la Tarsu attraverso un proprioregolamento che risale al 1994. Gli unici interventieffettuati hanno coinvolto esclusivamente la tariffacon incrementi anche del 100% negli ultimi 3 anni

Tasca, Bonaccorsi, Scuderi alla firma del documento sulla Tarsu

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Cronache irlandesi di inizio autunno

Al Voto, al voto!

di RINA BRUNDU

Illustrissimo Presidente, per favo-re, dica no! Trovi una scusa, unaqualunque, ma rifiuti “quel” pre-

mio! Del resto, è stato proprio Lei,il primo a dire di non essere sicurodi meritarlo. Ebbene – sempre contutto il rispetto che Le è dovuto – mipermetta di confermarglielo: lei nonlo merita! Non ancora almeno! Ab-bia dunque il coraggio di fare l’ulti-mo passo e dica: No, thank you! Itshould be awarded to whoever de-serves it!

Donare gli “spiccioli” in benefi-cienza, come Lei ha già dichiaratodi voler fare, in questo caso partico-lare caso, non è sufficiente. Il valoredel Premio Nobel per la Pace, infat-ti, non dovrebbe essere nell’assegnostaccato, ma nel suo significato sim-bolico. Perché di simboli abbiamospesso bisogno noi uomini e donne.Di credere in qualcosa che vado ol-tre la miseria – anche politica – delquotidiano.

Così come di coltivare la speran-za. Lei che quella speranza ha co-minciato a darla ai tanti che La se-guono, trovi il coraggio di mostrareal mondo quanto questo sentimento,nella realtà di ogni giorno, si nutrasolamente di molto lavoro. Di sacri-ficio continuato. Spesso frustrato.

Come - dopo la decisione presaad Oslo - sembrano essere andatequasi frustrate le speranze di queigiovani universitari cinesi dissidentiche, venti anni fa, trovarono la forzafisica, morale, intellettuale, di op-porsi ai carri armati radunati inPiazza Tienammen.

Le speranze del giovane attivista

Hu Jia, di Wei Jingsheng che ha tra-scorso gli ultimi 17 anni in carcere adifesa di un suo ideale-di-Stato-diverso.

Le speranze di tutti quelli che, co-me loro, riescono ancora a crederenel valore del sogno. A dispetto del-

la sua impossibilità.Come - dopo la decisione presa

ad Oslo - sembrano essere andatequasi frustrate le speranze di coloroche, nel silenzio, giorno dopo gior-no, spendono l’esistenza a difenderel’indifendibile. A salvare vite di-

menticate, barattate senza vergognanel nome di ogni più lurido interes-se. A curare vite martoriate, abban-donate ai “miracoli” improvvisatidell’anima misericordiosa che peraccidente del destino si sia trovata apassare di lì.

Come - dopo la decisione presaad Oslo - sembrano essere andatequasi frustrate le speranze di noi oc-cidentali “privilegiati” che, controogni più becera evidenza, ci ostinia-mo ancora a credere nella esistenza-possibile di una realtà migliore. Unarealtà oggettiva per i più, dove il co-lore che fa da sfondo al vivere siadavvero uguale per i tanti. Dove laparola “merito” conservi ancora unqualche suo significato – staccatodall’interesse privato e dall’opinio-ne limitata del capoccia-caporale diturno. Dico “quasi” Presidente, per-

ché quel Suo rifiuto farebbe una dif-ferenza. Importante.

Laddove si può comprendere in-fatti che sarebbe impossibile per Leiesprimere una opinione su chi do-vrebbe essere il vero destinatario diun tale, notevole riconoscimento,non vi sono dubbi che un suo rifiutodello stesso manderebbe al-mondo-che-ascolta un messaggio ben piùpotente. Soprattutto, indimenticabi-le!

Diceva Carlo Levi, un grandescrittore italiano: “L’Italia è il paesedei diplomi, delle lauree, della cul-tura ridotta soltanto al procaccia-mento e alla spasmodica difesadell’impiego”.

Lei che di trovare un impiego mi-gliore non ne ha bisogno, per favoremi dia mano: evitiamo insieme ilcontagio estero!

Esteri 17

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

Mr President, please say no thank you!

Lettera aperta a Barack Obamaper un Nobel non desiderato

“… Laddove si può comprendereche sarebbe impossibile per Leiesprimere una opinione su chidovrebbe essere il vero destinatariodi un tale, notevole riconoscimento,non vi sono dubbi che un suo rifiutodello stesso manderebbe al-mondo-che-ascolta un messaggio ben più potente.Soprattutto, indimenticabile!”

Ci risiamo! Dopo l’Affaire-Trattato di Nizza, l’Irlanda si èpresentata, per la seconda volta, al voto, chiamata a ratifi-care il Trattato di Lisbona che permetterebbe la tanto au-

spicata riforma dell’Unione Europea.Non sono Nostradamus, ma pronosticare una vittoria del SI non

era troppo difficile. Anche le “ragioni” che “avrebbero facilitato”questo “assenso” non erano di ardua identificazione. Si può pe-scare nel mucchio: dalla decisa “mano di aiuto” data in quel diBruxelles in forma di borsellino aperto, alle minacce del Boss Su-premo di Ryanair di chiudere i suoi Head Offices nell’Isola Sme-ralda qualora il NO avesse avuto la meglio, dai mai sopiti fanta-smi dell’emigrazione bruscamente risvegliati dalla recessione ga-loppante, alla fobia di questo o di quell’altro partito (politico,economico e chi più ne ha ne metta) di perdere i privilegi immeri-tatamente acquisiti nel corso degli ultimi dieci anni.

La vittoria delle forze dell’YES-a-tutti-i-costi non dovrebbe pe-rò ingannare sullo spettacolo che è stata la Dublino pre-elettorale.Infatti, nella città che è pure il cuore pulsante del Paese – nonchéuna delle metropoli europee più vive, dinamiche e a perfetta mi-sura giovane – a farla da padrone è stata senz’altro un’organizza-tissima campagna NO-TO-EUROPE che ha sicuramente vinto invisibilità, creatività, nella sua determinazione a dimostrare il de-ciso dissenso.

Una vittoria dei suoi promotori quindi non sarebbe stata cosatanto sorprendente!

Questo perché, nulla, come il guidare, in quei giorni, lungo leintasate strade dublinesi, ha mai reso più evidente, all’occhio-che-guarda, la desolante Essenza (in termini di percezione del cit-tadino) della moderna Europa comunitaria.

Ovvero il suo essere, di fatto, ideale meramente privato. Diun’establishment, di un gruppo di sognatori, di una politica utopi-ca che probabilmente dovrà faticare per centinaia di anni prima di“giustificare pienamente” la sua meravigliosa intenzione prima-ria.

Ancora, il suo essere visione-non-condivisa, ap-pesantita da una ingombrante cornice burocratica.Brutta a vedersi. Probabilmente inutile. O quasi.

Ma, tra gli effetti-nefasti della crisi marciante ele ragioni di un esagerato anti-europeismo da ba-raccone, come spesso accade con ogni umana tra-gedia, il rischio di sfiorare il ridicolo è stato sempre dietro l’an-golo. Rasentato ad ogni rotonda e ad ogni curva, di un Paeseche ha sempre succhiato sangue dalla Sacra Mucca comunita-ria, mostrando, ad un tempo, una imperdonabile incapacità nelgestire il prezioso dono di un boom economico duraturo e favo-loso.

Per accorgersi di questo rischio-possibile bastava semplice-mente leggere le didascalie sulle centinaia di cartelli, di tuttele dimensioni, di tutti i tipi – e che si succedevano, uno dietrol’altro, lungo le strade principali, i vicoli nascosti, le mulattie-re abbandonate della capitale irlandese, fatalmente “impre-gnando e mutando” finanche la sua pur sempre caratteristicaatmosfera.

Ecco dunque un esempio di come quei comunicati, con laloro logica random di proposizione, riuscivano mirabilmente asottolineare lo straordinario status quo economico-politico:- Irish Democracy 1916-2009? Vote NO! (manifesto contro ilTrattato di Lisbona)- ON SALE (nota immobiliare sulla veranda di un apparta-mento centrale)- European Democracy 1945- 2009? Vote NO! (manifestocontro il Trattato di Lisbona)- OFFICES TO LET (avviso su un enorme edificio abbando-nato)- Small country BIG VOICE vote no to a bad deal! (cartellocontro il Trattato di Lisbona)

- ON SALE (nota immobi-liare su una casa in vendita)- The only job that Lisbonsaves is HIS! (con foto di unnoto politico sul cartello)- TO LET – PAY NO RENT(avviso disperato su un altroenorme edificio abbandona-to) - LISBON TREATY – VO-TE NO!- ON SALE!- 1.84 Euro – Minimum wa-ges after LISBON! Vote NO!- OFFICES TO LET

- NO 2 LISBON!- ON SALE……

Scriveva James Joyce nel 1914: “Se ho scelto Dublino perscena è perché quella città mi appariva come il centro della pa-ralisi”. Manco il già citato Nostradamus avrebbe saputo faretanto!

La vittoria delle forzedell’YES-a-tutti-i-costinon dovrebbe però ingannaresullo spettacolo che è statala Dublino pre-elettorale.Infatti, nella città che è pureil cuore pulsante del Paese, a farla da padrone è statasenz’altro un’organizzatissimacampagna NO-TO-EUROPEche ha sicuramente vinto in visibilità, creatività,nella sua determinazionea dimostrareil deciso dissenso

Barack Obama, presidente degli Stati Uniti

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Cultura18

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

di MARZIA SPANU

Siamo Tutti Migranti!”, questolo slogan con cui si è chiuso ilfestival di Salina 2009. Ideato

e diretto da Giovanna Taviani, il Sa-linaDocFest porta ogni anno sul-l’isola i protagonisti del cinema do-cumentario di area mediterraneae propone al pubblico una riflessio-ne nuova sull’emergenza della real-tà nell’arte, nella letteratura e nel ci-nema contemporaneo.

“Solo grazie alle istituzioni loca-li” ha dichiarato il direttore artistico“e soprattutto all’importante contri-buto della Regione Sicilia, questoprogetto ha avuto la possibilità diprendere vita”, con il sostegno diSalina-Isola Verde, dei Comuni diLeni, Malfa, Santa Marina e del-l’Associazione Nazionale FamiglieEmigranti che, con il suo convegno“Memoria del Futuro”, ha volutoporre l’accento proprio sulla valo-rizzazione del patrimonio storico-materiale del nostro passato migra-torio, per ribadire che la Sicilia è edeve essere luogo di incontro traculture.

Molti gli ospiti di questa edizio-ne: Nicola Piovani ha partecipato al-l’inaugurazione della manifestazio-ne il 20 settembre, regalando unomaggio musicale a Vittorio Ta-viani, per i suoi ottant’anni; MimmoCuticchio, ha presentato in primanazionale il suo nuovo spettacolo,In viaggio per Itaca; ricordiamo an-

che il regista Gianfranco Rosi, laproduttrice Grazia Volpi e l’artistapakistana Ayesha Talal DeLorenzo,moglie dello sceicco Yousuf TalalDeLorenzo, illustre italo-americanooriginario di Salina che ora è fra ipiù importanti esponenti della finan-za islamica nel mondo. Ilproduttore Renzo Rossellini, il 25settembre, ha ricordato i 60 anni daStromboli, terra di Dio con unomaggio al grande Roberto Rossel-lini, uno dei padri del Neorealismoche, insieme a De Sica e Visconti,seppe dare voce a chi non ne avevae torna oggi a essere un vitale puntodi partenza per le nuove generazionidi registi e scrittori cresciuti dopo ilcrollo del muro di Berlino. In chiu-sura, una grande sorpresa daparte del Presidente della Repubbli-ca Giorgio Napolitano e del Suo Ce-rimoniale: la consegna al Salina-DocFest e ai Sindaci delle isole diuna medaglia, per il contributo datoalla diffusione del cinema e dellacultura nelle Eolie e nel mondo.

Paolo e Vittorio Taviani, RomanoLuperini e Bruno Torri - comitatod’onore del SalinaDocFest - hannoconsegnato il Premio speciale Dal

testo allo schermo (il cappero d’ar-gento, offerto dall’associazione Sa-lina Isola Verde) allo scrittore paki-stano Mohsin Hamid, l’autore deiromanzi Nero Pakistan e Il fonda-mentalista riluttante, caso letterariodegli ultimi anni e testimone eccel-lente, nell’arte e nella vita, dellapossibilità di dialogo tra oriente eoccidente. A bordo dello storico ri-morchiatore Liberty Tug, ormeggia-to nel porticciolo di Rinella, lo scrit-tore ha incontrato il pubblico del-l’isola, proponendo - affiancato daRomano Luperini e introdotto dallagiornalista Stefania Berbenni - unariflessione sul tema: “Scrivere inOccidente dal punto di vista dell’al-tro”. Dopo la performance emozio-nante di Filippo Luna in La portadella vita di Francesco Viviano, unospettacolo dedicato alla tragediadella nave Pinar, si è tenuta la pre-miazione ufficiale dei film in con-corso.

“Il mio Paese: gli invisibili”, que-sto il tema del 2009. Una piazza distorie che si fanno schermo per dareun volto e una voce ai documentari-sti che non hanno diritto di cittadi-nanza nelle programmazioni di ci-

nema e televisione, agli isolani chestanno lottando contro la soppres-sione dei collegamenti con la peni-sola, ai migranti, ai senza tetto, aivecchi, ai giovani, alle donne.

La giuria, composta da Irene Big-nardi, Antonio Delgado, AgostinoFerrente, Pietro Montani e IacopoQuadri, ha assegnato il “PremioSalinaDocFest – Tasca d’Almerità”,per il Miglior Documentario delconcorso “Il mio paese: gli invisibi-li” al film “Padre nostro” di CarloLo Giudice (Italia, 2008) “Per l’in-tenso trattamento cinematograficodella relazione padre-figlio, ritrattanella sua intimità più estrema, purconservando il massimo rispetto peri personaggi.

Film di alta intensità emozionale,capace di trasmettere allo spettatore,grazie a un’elaborazione di grandebellezza estetica, sensazioni e senti-menti umani raramente investigatinel documentario attuale.” Padrenostro è una storia d’amore. La sto-ria d’ogni giorno tra Salvatore eVannino. 50 anni il primo, 90 il se-condo e i capelli candidi come laneve. Un rapporto padre-figliospontaneo e vero, fuori dagli sche-mi, che a tratti inquieta il comunesentire. Salvatore e Vannino condi-vidono tutto, persino il letto, semi-nudi, per farsi compagnia. In barbaalle imposizioni della mascolinità, siaddormentano abbracciati perchéVannino non riesce a prendere son-no se Salvatore non lo gratta un po’.“A me aveva colpito l’onnipresenzadi Vannino nella vita del figlio, chegià conoscevo. Si deve instaurare unrapporto di stima reciproca con ilsoggetto del proprio lavoro. È un ti-po di cinema “libero” non solo co-me mezzo, ma soprattutto come ra-gionamento che si instaura tra regi-sta e protagonisti; un ragionamentoche successivamente bisogna ritro-vare anche negli spettatori, lì davan-ti allo schermo, pronti ad osservareuna scultura nell’atto stesso di scol-pirla”

Il SalinaDocFest è gemellato peril secondo anno consecutivo con la

Mostra Internazionale del Cinemadi San Paolo. Da oltre oceano, LeonKakoff e Renate De Almeida, diret-tori dell’importante festival sudame-ricano, hanno visionato tutti i filmin concorso. Il verdetto finale ha as-segnato il “Premio Brasile” a “Noiche siamo ancora vivi” di DanieleCini che si aggiudica anche il “Pre-mio Documè”, premio per la distri-buzione del documentario nei cir-cuiti alternativi di Documé e il “Pre-mio il pubblico di Salina”, votatodal pubblico di Salina. Al centro delfilm, il processo europeo ai militariargentini responsabili del sequestroe dell’omicidio di alcuni cittadiniitaliani, in uno dei più terribili luo-ghi di morte in quel periodo:l’ESMA. Qui più di 5000 giovanivennero torturati e fatti sparire, lan-ciati dagli aerei in mare aperto o nelRio de la Plata. Il documentario, ol-tre a seguire e riprendere tutte letappe del giudizio, si propone di in-dagare nei sentimenti: lo strazio del-le madri; il tormento dei sopravvis-suti; l’impegno collettivo nella lottaper i diritti umani; il trauma dei figliquando scoprono che i loro presuntipadri sono a volte assassini dei loroautentici genitori.

Il “Premio documentiamoci”,dal pubblico di Salina al miglior do-cumentario della sezione “Finestrasul presente”, va al film Below SeaLevel di Gianfranco Rosi (Italia-USA 2008)

Festa finale con il concerto deiSun, l’orchestra multietnica sicilia-na. Slogan delle serata: “Siamo tuttimigranti!”

Al SalinaDocFestival, con i cortometraggi, la valorizzazione del patrimonio del nostro passato

Con “Siamo Tutti Migranti!”l’emergenza della realtà nell’arte

I protagonisti del cinema documentariodi area mediterranea per ribadire che la Sicilia è,e deve essere, luogo di incontro tra le diverse culture

Nicola Piovani e Vittorio Taviani, in alto due immagini di Salina

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di AZZURRA FAETI

C'era una volta una stella cheera stanca di brillare in cielosolo nelle notti serene.

Decise, allora, di scendere sullaterra e, dopo un lunghissimo volocadde in un prato dove si stava svol-gendo il raduno delle onorificenze.

Il Collare della Santissima An-nunziata, le Croci di Grand’Ufficia-le e di Gran Cavaliere al merito del-la Repubblica consce della loro im-portanza se ne stavano in disparte eguardavano le altre con gran sussie-go. Le varie Croci dei Cavalieri diMalta, del Santo Sepolcro, di SanGiorgio salmodiavano raccolte incircolo.

Le decorazioni dei Commendatorie dei Cavalieri del Lavoro discute-vano animatamente di problemieconomici. Le medaglie d’oro, d’ar-gento e di bronzo al valore civile emilitare stavano sull'attenti comedovessero sfilare in parata.

La stella si guardava intorno stu-pita e si chiedeva se non fosse statopiù logico ritornare lassù in cielo,dove almeno sarebbe stata in com-pagnia, quand’ecco quattro automo-bili si fermarono al limitare del pra-to.

Da una Limousine nera scese unautista in livrea che invitò a salirvile onorificenze più importanti: dauna Augusta, vecchia ma ancoramolto dignitosa, uscì un uomo conuna lunga barba, avvolto in un bian-co mantello, che fece salire tutte ledecorazioni dei “santi” cavalierati;le croci dei Commendatori e Cava-lieri presero posto in una Giardinet-ta, ma protestarono subito perchéstavano troppo strette, in effetti era-no le più numerose; un generale inalta uniforme fece accomodare tuttele medaglie al valore su una Jeep.Una medaglia di bronzo si rivolsealla stella e le chiese: “ma tu nonvieni?” La stella si strinse nellespalle e rispose che nessuno l’avevainvitata.

Quando tutti se ne furono andati,e nel prato c’era solo la stella, arrivòuna macchina blu di rappresentanzacon la dicitura “Ministero del Lavo-ro”, scesero due commessi del Se-nato che si guardarono intorno conmolta attenzione e uno di loro gridò:“eccola l’ho trovata”! Raccolserocon gran cura la stella e la deposeronell’auto.

La stella, impaurita, pensò chequelli lassù, accortisi della sua fuga,l’avessero fatta cercare per inflig-gerle chissà quale castigo.

I commessi, invece, si diressero

velocemente verso la città, sceserodavanti ad un palazzo maestoso, sa-lirono un ampio scalone, entraronoin una gran sala e consegnarono lastella ad un signore, che sembrava ilcapo di una commissione di espertiriunita intorno ad un tavolo.

Il capo dichiarò: “niente megliodi una stella, può premiare un lavo-ratore che si sia distinto per dedizio-ne, onestà, capacità, rettitudine nello

svolgimento del suo lavoro, per ilbene della sua azienda e del suopaese”.

Sarà chiamata “Stella al meritodel Lavoro” e chi l’otterrà avrà an-che il titolo di “Maestro del Lavo-ro”.

La stella poté brillare, come ave-va desiderato, anche nelle notti buie,perché si sa che le notti non possonoessere sempre serene.

Per i Maestri del Lavoro la “Stella” rappresentail frutto di anni di dedizione alla propria professione

M.D.L. Tante volte ho notato questa siglanei necrologi. Non sapendo decifrarla ladimenticavo. Nel 1986 ho potuto, io

stessa anteporla al mio nome. M.D.L. maestra dellavoro.

I maestri del lavoro non vengono eletti ma,l’onorificenza viene conferita con decreto delPresidente della Repubblica su proposta del Mi-nistro del Lavoro e della Previdenza Sociale ai la-voratori dipendenti che abbiano prestato attivitàlavorativa per almeno 25 anni, presso aziendepubbliche o private, distinguendosi per perizia,laboriosità e buona condotta morale.

Io, ancora, guardo la Stella con commozione.Rappresenta il frutto di anni di lavoro intenso, dionesta dedizione, sacrifici in cui si sono accaval-late anche amarezze e delusioni, ma soprattuttogioia per un onorevole passato, quindi cari ricordied intima soddisfazione.

Nello statuto del Consolato dei Maestri del La-voro c’è un articolo che recita così: “Favorirel’incremento delle giovani leve nel mondo del la-voro aiutandole nella loro formazione e sceltaprofessionale”. È nota in molte città l’iniziativa“Scuola – lavoro”. I maestri del lavoro vannonelle scuole medie e superiori a parlare di lavoro(che cos’è, come nasce, quali sono i valori del la-voro: culturale, professionale, morale).

I ragazzi si interessano molto al racconto delleesperienze lavorative. Si cerca di inculcare nei ra-

gazzi quella sana ambizione che li costringe a mi-surarsi, ogni giorno, con se stessi per migliorarecontinuamente. Insistiamo sul fatto che non ci sipentirà mai di aver studiato tanto, non ci si devepentire di aver lavorato tanto, che la dirittura mo-rale, la costanza nell’impegno, il gareggiare leal-mente, il rispetto delle regole, sono comporta-menti sociali remunerativi. Specialmente in que-sti periodi, i ragazzi obiettano che è difficile tro-vare il lavoro che più piacenoi ribattiamo che si puòscegliere lo spirito con ilquale svolgerlo.

Io ho aderito al progettopensando che fosse utile esten-dere il discorso lavoro anche nellescuole elementari.

È nato, così un laboratorio sui me-stieri scomparsi a cominciare dal mio, extelefonista SIP, molto adatto per le classiquarte che hanno il lavoro come program-ma didattico. Altro laboratorio didattico,molto impegnativo ma molto interessante.“Il lavoro nell’arte, nella poesia, nellamusica”.

Dalle pagine “Della Voce Dell’Iso-la”, può partire un invito a chi voglia“inventare” qualcosa del genere. Av-vicinare i giovani fa restare giovani,ve lo confermo io che ne ho 82.

Cultura 19

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

L’ambita onorificenza al merito del lavoro svolto in una vita

La storia di una stellache dal cielo scese in terraLa stella potébrillare, comeaveva desiderato,anche nelle nottibuie, perchési sa che le nottinon possono esseresempre serene

Il Presidente Ciampi con a fianco il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Roberto Maroni,il primo maggio del 2003, consegna le "Stelle al Merito del Lavoro" ai nuovi Maestri del Lavorodel Lazio e dell'Umbria, nel corso della cerimonia al Quirinale

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di SIMONA LO IACONO

Tracce di isola sono in noi tutti.Siamo isole quando ci cer-chiamo senza trovarci. Quan-

do percorriamo secoli con la nostrastoria sulle spalle, il passato a prece-derci, il futuro dietro - sempre. Sia-mo isole di occhi e di cuore quandotentiamo di finire e non riusciamo adire basta, quando la storia che pureaccompagna il viaggio trascolorasolo per ferirci, quando un amore cicompra e ci vende. O quando, silen-ziosamente, non può che lasciarci.

Isole senza mare di Antonella Ci-lento. Due donne a cavallo di secoli.Due galoppi e due incroci di destini.Isole senza mare non è come diresolitudine, o non solo. È non avereneanche il mare a cingerti. Un attra-versamento. Onde da solcare esguardi da ricongiungere. Mani tese.Uno scampolo, almeno, di noi. CosìNina, che fende gli anni dei fasci edella guerra, che perde il padre e sisposa tardi, quando i figli non sonoche un vuoto preannunciato e la so-rella Maddalena rimane a custodirnela vecchiaia. È già una donna in fu-ga, Nina, prima dalla Spagna e poida se stessa, come Aquila un secoloaddietro, approdata a Roma senzasplendori e costretta a prostituirsi. Aunirle, il paesino di Azara sui Pire-nei e secoli che avviluppano e tor-nano indietro, e poi avanti e poi in-dietro, che stanno lì a sussurrartiall’orecchio che persino il tempo, eil suo incedere a strappi, non è cheun’illusione.

Antonella, cos’è la scrittura?Memoria, malinconia, trasfigu-razione?

Tutte queste cose insieme. È so-pra e prima di ogni altra cosa in-venzione, nel senso antico del termi-ne, inventio, ovvero cercare per tro-vare o cercando, non si sa bene co-sa, scoprire di aver trovato oggettiche non si era partiti per cercare.Scrivere è come setacciare unaspiaggia con il colino da thé: puòdarsi che sia un’impresa da pazzi,anzi lo è senz’altro, però se la sicompie e la si fa durare per il temponecessario (tutta la vita, da quandosiamo bambini a quando moriamo)è possibile che ci riservi qualchesorpresa. Come scrive Natalia Gin-zburg, che in Isole senza mare è ci-tata in un esergo, scriviamo con lafantasia quando siamo felici e dimemoria quando siamo infelici.Questo romanzo ha entrambe lecondizioni dentro e mi sono accortanei dieci anni che è durata la lavo-razione, dal ’98 al 2008, che le duefasi dentro di me si sono del tuttomescolate, perché così è la vita ecosì è anche la scrittura: molte par-ti del romanzo autobiografico di Ni-na sono inventate di sana pianta emolte aree del romanzo storico ed’invenzione di Aquila sono decisa-mente autobiografiche. Dunque,scrivere è trasfigurarsi in modi cosìcomplessi e inaspettati, ma sciente-mente cercati, che poi l’opera finitaviaggia davvero oltre noi, moltolontano dalla nostra condizione“terrestre” che, come scrive la Gin-zburg, ci condiziona mentre narria-mo.

E quella coda di drago? Perchéserve a impigliare le ombre?

Una delle cose straordinarie checi capita dopo aver scritto un libro

è che altri libri o la realtà ci rispon-dano o ci confermino nelle “scoper-te” che abbiamo fatto scrivendo: ie-ri su una bancarella a Port’Alba hotrovato un romanzo di Hector Bian-ciotti (Senza la misericordia diCristo, Sellerio, Premio Goncourtnegli anni Ottanta) dove si legge:“Non so bene a cosa obbedisco cer-cando di preservare scrivendo unavita i cui giorni non si illuminaronodi alcuna gloria (…), tanto più chesono portato a credere che se unacerta cosa in questo mondo è esem-plare, tutte lo sono: o tutti i fastidella memoria sono meritati o nonlo è nessuno. Non sappiamoperché agiamo; la vita si ser-ve di noi per fare scambi chesono oltre la nostra compren-sione.(…) Non esiste memoriaallo stato puro; per raccontarela propria vita, bisognerebbegià cancellare tutte le versioniche noi stessi ce ne siamo fatti eche in un certo senso, costitui-scono le nostre azioni. (…) Scri-vere su una persona che abbia-mo conosciuto significa acco-miatarsene.” Ho amato molto diBianciotti un romanzo edito daFeltrinelli che s’intitola “Quelche la notte racconta al giorno”(tanto che un prossimo stage cheterrò a luglio porta questo titolo):scriviamo per impigliare le ombre,come tu dici, per trattenere e percongedarci anche, come scriveBianciotti. Ho impiegato questidieci anni, ma in realtà tanti di più,per congedarmi dalla mia infanziae da Nina e Maddalena, cioè la miaprozia morta suicida e mia nonna(che invece fra un anno ne compiecento e non mi pare abbia intenzio-ne di lasciare questo mondo, è unaroccia di granito sardo). La coda didrago che ci segue l’ho praticatauna volta durante un training cor-poreo: s’immagina di avere la codae ci si muove tenendo presente diquesta protesi lussureggiante dietrodi noi. Si diventa lenti e vanitosi eattenti a non inciampare. I morti so-no il nostro patrimonio di memoriae la spiegazione di quel che siamo

oggi. Una volta scritti li esorcizzia-mo, diamo loro una nuova vita, litrasfiguriamo con la parole. Cerca-re le parole giuste per fissare fuoridal mio corpo le sensazioni impres-se in una vita è stato lo sforzo piùgrande e assurdo di Isole senza ma-re.

Le ombre poi. Fragili e ostinate.Quanta parte hanno nella donnache scrive? E nella donna cheama?

Questa storia della donna inquanto autore è davvero seccante(scherzo): sono proprio stanca did o v e r

ogni voltapartire dalla mia condizione biolo-gica per motivare la scrittura, unpo’ come quando mi tocca partiredalla mia identità napoletana. Ven-gono sempre prima loro, la donna ela città, e poi io che scrivo. Comin-cio a diventare invidiosa: come sipermettono questa donna e questacittà di stare sempre in mezzo quan-do poi tutta la fatica la faccio io?Scherzi a parte, la questione che

sollevi è relativa ai due aggettiviche hai usato giustamente: Nina eAquila sono fragili anche se non losembrano. Nina non lo sembra per-ché trascorre una vita a ridere e farridere, mentre il suo intimo noncoincide a questa giocosità esterna.Aquila si costruisce una corazza persopravvivere al mondo esterno econserva le sue grandi fragilità den-tro, le trattiene, le protegge, preferi-sce sdoppiarsi in Secunda, la suasorellina mai nata, in un fantasmadell’anima, per non dover rinuncia-re del tutto a se stessa. Però en-trambe hanno un fondo di resisten-za, un nucleo solido. Nina lo perde,ma Aquila lo ritrova. Qualsiasi cosaci accada, anche la più terribile, c’èun fondo bancario di resistenzaumana in noi che si fatica a distrug-gere. La realtà ci si può accanirequanto si vuole contro, ma noi, acosta di fuggire nella follia, comeun po’ accade a queste due donne,ci aggrappiamo al nostro intimo.

Donne che amano. Uomini chesi negano. Il destino di Aquila è,in fondo, lo stesso di Nina. Sonoisole senza mare per questo? Sonoisole senza amore?

Il primo a farmi notare questogioco di parole nascosto nel titolo èstato Generoso Picone, che conFrancesco Durante, GiuseppeMontesano mi hanno restituito fi-nora le letture più precise e belle diquesto romanzo e cui sono moltograta per la comprensione. Poichéla frase è tratta, non so più da do-ve, ma dall’Ortese, non ci si puòstupire che contenga questo sen-so. Nina e Aquila non sono fortu-nate in amore: Nina ha un uomoaccanto, non quello che forseaveva desiderato, ma non è sola.Pure, deve sentirsi molto sola.Aquila gli uomini li frequentaper mestiere e s’innamora diquelli sbagliati, fra cui del fan-tastico Giovanni Pietro Campa-na, che è una sintesi del fascinoma anche della pochezza ma-schile italiana. Quando s’inna-mora dell’uomo “giusto”, loperde. Fanno insomma quel

che molte donne fanno nella loro vi-ta: proiettano la realizzazione di sé,anche quando si tratta di donne in-telligenti e impegnate, realizzate inaltri ambiti, sulla figura dell’Amato.L’Amato Bene le tradisce, scompa-re, si rivela un lestofante: e lorocontinuano a stargli dietro. Anzi sidistruggono per lui. Ma il mare cheè scomparso intorno alle isole diquesto libro, Aquila e Nina ma an-che tutti gli altri personaggi: Mad-

dalena, Giacomo, La Rana, Egizia,la narratrice stessa, ecc…, è il maredella comunicazione. Sono svaniti iponti che legano le persone in undestino comune. È svanita la comu-nità. Questa è forse una delle ragio-ni per cui il romanzo si dipana pro-prio dal Risorgimento ad oggi: unpaese nasce mentre è già morto. Enoi oggi assistiamo a questo scem-pio, impotenti.

Uno sguardo alla lingua e aimodelli letterari. Nel progettooriginario le isole erano ElsaMorante e Anna Maria Ortese.Chi delle due è Nina e chi èAquila?

Il progetto originario era unospettacolo teatrale, breve, che è an-dato più volte in scena: lì c’eraun’ipotesi di incontro mai avvenutafra le due maggiori narratrici delnostro Novecento (e fra le maggiorid’Europa), entrambe autrici di ro-manzi in controtendenza rispetto al-le mode del secolo. Poi, di questedue autrici così amate, in Isole sen-za mare non c’è più traccia narrati-va, al limite ispirativi. Però se vo-lessimo giocare a questo gioco cheproponi, Aquila è Elsa, più batta-gliera e calata nel reale, e Nina èAnna Maria, persa dentro di sé, so-la.

La poesia di Angel Crespo cheapre il romanzo: “ Misi le maninell’acqua per assomigliare alleisole. Passava il mare tra le ditacome aria tra le crepe. E s’in-seguivano da sotto le mie parole lesirene. Quando volli tornare a ter-ra, già non c’era più riva”. An-tonella, un’isola senza mare è unaterra (o un destino) senza appro-do?

Questo è un romanzo picarescosull’esilio: l’esilio dalla Spagna cuiè destinata Aquila, l’esilio dallaSardegna che deriva da un esiliodalla Spagna cui sono destinate lesorelle Azara, Nina e Maddalena.L’esilio dell’anima di due donne mi-nori per la storia e senza importan-za nella quotidianità ma pure vive ebisognose di essere riconosciute eviste. Tutte corrono verso il loro esi-lio, che è anche già raggiunto. Èdentro di loro. Il bello della vita èdiventare ciò che già siamo, realiz-zare il nostro destino: Nina se nespaventa, Aquila sfrontatamente vaavanti. Chi di noi non è così ungiorno e nell’altro modo in un al-tro? Una volta raggiunta l’isola chesiamo noi vorremmo tanto fuggireal nostro destino, pure non ci è pos-sibile. Trasformare, trasfigurare èl’arma, fuggire è la morte.

Cultura20

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

Scrivere è come setacciare una spiaggiacon il colino da thé: può darsiche sia un’impresa da pazzi, anzilo è senz’altro, però se la si compie e la si fa durare per il tempo necessario(tutta la vita, da quando siamo bambinia quando moriamo) è possibileche ci riservi qualche sorpresa

Le inquietudini e le solitudini della scrittrice Antonella Cilento

Tracce di Isole senza mareromanzo picaresco sull’esilio

Antonella Cilento

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Cultura 21

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

L’ultimo libro di Giulio Mozzi non è un puzzle di shortstories, ma un vero romanzo

“Sono l’ultimo a scendere e altre storie credibili”

di VERONICA TOMASSINI

Giusto ieri l'altro, discutevocon un'amica sul ruolo cheuno scrittore oggi dovrebbe

detenere, non era una conversazionecasuale, in merito avevo appena let-to l'intervento sul blog di DemetrioPaolin e di Federica Sgaggio. Avevoaddirittura provato a dire la mia, sufb, poi ho preferito eliminare ilcommento che valutai troppo auda-ce, sicuramente improprio. Ad ognimodo con l'amica discutemmo sulruolo del poeta-scrittore: ha smarri-to il suo proscenio, la sua platea -decidevo - giacché convinta da "Lavita è altrove", e con Kundera con-venivo sul fatto che la rivoluzionesocialista avesse finito con il sancirela morte del poeta e che quella rivo-luzione fosse davvero il congedouniversale nel foyer di un drammastorico. Non avevo strumenti perconfermare la mia tesi se non la vi-cenda personale di uno scrittore eun capitolo di geopolitica di cui infondo sapevo molto poco. Poi miostinai su un'altra ipotesi: lo scritto-re (passai abilmente dall'uno all'al-tro canto) raccontava uno spaccatodel tempo (uau, sai che novità), mainsistei, raccontava uno spaccato diun tempo quando ancora un tempopoteva essere raccontato. "Tò", dissiall'amica, "questo vale fino al neo-realismo". Pratolini, Berto, Pavese,Moravia, Buzzati, enunciai in ordi-ne sparso.

Oggi niente si può raccontare,cioé non c'è un'epoca unitaria, so-stanziale, con bei caratteri definiti.Qui si tratta, osservavo, di conside-rare ognuno il proprio pezzettino ditempo, un tempo che parla al suoombellico. Ognuno, chiusa la porta

di casa, realizza la sua personalissi-ma epoca che coincide col minimomondo, con una minima vicenda didolore, al limite, frammentata e glo-bale, una vicenda casomai ciberneti-ca, ecco, debole a posteriori nel sug-gerire quella data lì, quegli anni,quel periodo lì. Ma. Leggendo il tuolibro, Giulio, fino a notte tarda, sonoarrivata al punto. Il tuo libro non èun puzzle di shortstories (coerente-

mente disposte). Il tuo libro è un ro-manzo (immagino un titolo del tipo"Storia di un uomo perbene", o unaroba così) dove, ridendo e ridendo(fino a che mio figlio mi ha chiesto"'mbe mamma che hai?", allora gliho dovuto leggere la storia del peco-rino delle madonie, del cane lupo edel poliziotto, e lui ha riso copren-dosi con la manina i dentini davanti,ché si vergogna), ho maturato l'idea:

questa è la nostra epoca, questo è ilnostro tempo. Sta tutto qui, in que-sta gente che appare e si dissolve,che fende fugacemente giorni mobi-li, nel tedio claustrofobico di unoscompartimento o nel bel mezzo diuna conversazione distonica.

Ecco, questo libro, ho pensato,misura il polso del nostro tempo au-tistico (qualcuno te lo ha già detto),questo è il romanzo dove l'uomoperbene e lo scrittore (Emilio Cec-chi avrebbe esultato, non pensi?) sisono seduti con mirabi-

le empatia suitalloni della vita, lasciando che mol-to nitidamente, laconicamente, one-stamente, la vita li attraversasse en-trambi, svelando il suo misteriosocaglio, il caglio di questi anni. E noilettori, lattanti ruminanti, d'appres-

so, vi partecipiamo con curiosità oforse soltanto sorpresi.

Ho trovato uno scrittore, quandocercavo l'uomo, lo disse Cecchi aPavese (riferendosi a "Prima che ilgallo canti"), permettimi di affer-marlo da me medesima.

Non sono nessuno, sono solo unache legge per cercare anche il pro-prio tempo, che ha letto senza crite-rio, che ha letto e basta. Allora oggiho trovato il mio scrittore, e lo dicomollando Giulio che mi ha seguito,che mi ha dato ascolto, e tutto il re-sto.

Leggo Giulio Mozzi, con un'inti-ma ammirazione (diversa da quel-la nutrita fino a ieri, diversa, maritengo che l'una non debba esclu-dere l'altra).

Leggevo anche con l'attenzionedi chi crede di essere una mestie-rante (sai che prova le colonne diun quotidiano, vabbé). I periodi,la prosa asciutta, ferma, i suoi ri-lievi, le ombre e le luci, il ritmodi una quotidianità ricercata: so-no tornata a casa. Pasteggiandole microstorie con la consuetaarmonia che mi rimandava adun déjà vù. Questo è già stato(la mia armonia), ma non è "già scritto, già detto". Tuttonuovo per tornare a casa. E lacasa abita un battito conge-stionato, quel battito siamonoi, patetici o pietosi, distrattio sepolti dall'acrimonia. Bar-bari o innocenti, innocenti co-

me te.

Sono l’ultimo a scenderea altre storie credibili

di Giulio Mozzi (Mondadori,

pag. 265, Euro 18.50)

Annalisa Stancanelli con Vittorini e i balloons vincono il Premio Portopalopiù a sud di Tunisi

La scrittrice Annalisa Stancanellicon “Vittorini e i balloons. Vittori-ni e i fumetti del Politecnico”

(Collana La Spiga, Bonanno editore) havinto il Premio Giornalistico-Letterario“Portopalo più a sud di Tunisi”, giuntoalla quarta edizione, per la categoriaSaggistica. La Stancanelli, professoressadel Liceo Linguistico “Quintiliano” diSiracusa, si è imposta grazie al suo stu-dio su un aspetto inedito di Elio Vittori-ni, intellettuale e promotore culturale, ilvivace interesse per i fumetti.

Nel libro si indaga il rapporto fra loscrittore siracusano e i comics pubblicatiin Italia durante le due guerre e si analiz-za con dovizia di particolari e accuratadocumentazione il coraggioso tentativodi inserire i fumetti americani nella pre-stigiosa rivista del secondo Dopoguerra“Il Politecnico”; nel saggio sono presentianche diversi documenti poco noti, comeuno splendido ricordo di Vittorini scrittoda Umberto Eco ed un’intervista di Vit-torini, Eco e Del Buono del 1965.

Presente nell’ope-ra anche una piccolasezione dedicata allastoria del fumettopensata per gliamanti di Vittorini edella sua opera, glistudiosi di letteraturae storia meno “ferra-ti” nel settore “fumet-to”.

Il saggio, nato daldesiderio dell’autricedi commemorare ilcentenario della nascitadi Elio Vittorini (Sira-cusa 1908-Siracusa2008), apre la via anuovi studi che riguar-dano il lavoro editorialedell’intellettuale siracu-sano e la Stancanelli stagià progettando un nuo-vo saggio appunto su“Vittorini e l’immagine”.

Annalisa Stancanelli

Giulio Mozzi

Lo scrittore racconta uno spaccato di un tempo quando ancora un tempopoteva essere raccontato

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di MORENA FANTI

Il commissario Ricciardi è un per-sonaggio completo e profondo.Solo uno scrittore vero sa arrivare

così dentro all’anima dei suoi perso-naggi e Maurizio de Giovanni lo hafatto molto bene anche in questo ter-zo romanzo – e terza stagione dellaserie - (Il posto di ognuno - L’estatedel commissario Ricciardi. Fandangolibri, 2009) che vede protagonista ilbel commissario dagli occhi verdi edal cuore tormentato. Ma la sua scrit-tura non è solo tormento e introspe-zione: in alcuni suoi racconti in reteho trovato un’anima ironica e leggerache non sbaglio se definisco umoristi-ca. È sempre interessante scoprireuno scrittore che sa muoversi congrazia tra le righe e sa usare penne ditanti colori. La scrittura è un mezzodi comunicazione che diventa ancorapiù efficace con la voce ‘giusta’. DeGiovanni è uno scrittore che non te-me di farsi ascoltare, uno scrittore chesi regala ai suoi lettori. Leggendo isuoi romanzi si ha l’impressione chele indagini, gli omicidi e gli altri fattidi sangue, siano solo la ‘scusa’ peraccompagnare il commissario Ric-ciardi nella sua vita e nella sua cresci-ta personale. La vera storia –in questi romanzi le storiesono sempre due e viaggia-no parallele: le indagini perscoprire l’autore dell’omici-dio da un lato e la vita diLuigi Alfredo dall’altro – èquella della solitudine doloro-sa di Ricciardi e del suo desi-derio per ora inascoltato da luistesso di Amore, e gli eventiche lo circondano servono so-lo a contorno. Ecco il motivoper cui i suoi romanzi non sono‘semplici’ gialli, ma romanzipieni e densi in cui affondare enavigare in ogni direzione. Ro-manzi di crescita. Iniziamo pro-prio da qui questo incontro conlo scrittore Maurizio de Giovan-ni.

Che ne pensi, Maurizio, diqueste mie dissennate elucu-brazioni?

Che sono perfettamente adden-tro e consone a Ricciardi e al suomondo. Io racconto di un percor-so, la strada di confine che Ric-ciardi crede essere parallela allavita e che quindi con la vita non siincontrerà mai; e invece suo mal-grado, lentamente e con grandesofferenza, lo porta sempre più vi-cino alla carne e al sangue, intossi-candolo di vita. Le indagini cheporta avanti per lavoro gli mostra-no, nella corruzione dei sentimenti edelle passioni, come essere umanisignifichi essere capaci di amore e didelitto; e di quanto lui stesso, e Maio-ne, ed Enrica, e Livia e tutti coloroche lo circondano siano profonda-mente umani. Nei quattro romanzi iospiego a Ricciardi, facendolo muove-re attraverso il suo mondo, che nonpotrà fare a meno di essere un uomo,anche se è testimone forzato di tuttoil dolore più aspro e putrescente chevede ogni giorno e a ogni angolo distrada.

Le stagioni sono solo quattro e laprossima è l’autunno. Cosa accadràal commissario Ricciardi dopo ilquarto romanzo? Andrà in pensio-ne anticipata? O inventerai per luialtre storie?

Dipende soprattutto dai lettori. Ilcontratto con Fandango Libri preve-de quattro romanzi, per cui se il suc-cesso della serie manterrà gli attualilivelli, molto lusinghieri per la verità,è probabile che mi sarà richiesto dicontinuare. Il mondo di Ricciardi vaprendendo forma e spessore libro do-po libro, per cui non avrei difficoltà acontinuare a raccontarne la storia.

Scrivere di uno stesso personag-gio può essere confortante: lo si co-nosce sempre meglio e, anzi, adogni scrittura lo si approfondisce egli si regala ancora più spessore fin-ché ci sembra un amico, uno di fa-miglia. È anche vero, però, che scri-vere di uno stesso personaggio po-trebbe diventare un limite allascrittura. Quale affermazione sentiche ti appartenga di più?

Direi senz’altro la prima. Non pia-nifico molto la storia, quando comin-cio a scrivere,

per cui sono il primo agodere la sorpresa di incontrare certipersonaggi e vederne crescere pianpiano caratteri e peculiarità. A mesembra di imbattermi in vecchi amicie credo che mi mancherebbero se nonne scrivessi più. Naturalmente peròho altre idee e non escludo di adden-trarmi in altri mondi e in altre storiein futuro, anche per capire se sonocapace di scrivere altro sempre nellaforma del romanzo.

Quanto ti piacerebbe, oppure no,che Ricciardi diventasse il perso-naggio di una serie tv?

Inutile negare che mi piacerebbemolto, sia per l’opportunità commer-ciale e di diffusione dei romanzi chequesto comporterebbe sia per il di-

vertimento di vedere in carne e ossapersonaggi che finora abitano solonella mia mente e in quella dei letto-ri. Trovo inoltre estremamente gratifi-cante per uno scrittore che altri pro-fessionisti decidano di lavorare attor-no a un’idea sua, per cui mi aggirereisoddisfatto e curioso sull’eventualeset come mi aggiro all’interno dellemie storie. Ammetto però anche uncerto timore di vedere per esigenze discena le storie di Ricciardi allonta-narsi un po’ da come io le ho pensate,rischio inevitabile in queste circo-stanze.

Come sapevi che nel 1931 si co-noscevano già le emorragie petec-chiali? Immagino che tu abbia fattomolte ricerche per scrivere con si-curezza di anni così lontani.

Tutto quello che scrivo con riferi-mento all’epoca è fruttodi attente (e difficili) ri-

cerche, effettuatecon l’aiuto diamici esperti in vari campi. Nella fat-tispecie ho reperito trattati di medici-na legale del periodo, dai quali pren-do i riferimenti per il lavoro del dot-tor Modo. Fidati, le emorragie petec-chiali erano già presenti nella lette-ratura medica dai primi del novecen-to.

E questo pensiero mi porta anchea questa domanda: la scelta di am-bientare le vicende di Ricciardi ne-gli anni trenta è una scelta del per-sonaggio –cioè, lui poteva essere‘vero’ solo in quegli anni- oppure èuna scelta dell’autore – per un tuopiacere di raccontarci quegli anniin particolare e combinare la storiadi Luigi Alfredo con la storia del-

l’Italia negli anni del fascismo?Le motivazioni della scelta degli

anni trenta sono due, una occasionalee una, diciamo, funzionale. La primaderiva dal fatto che il racconto in cuinacque Ricciardi fu scritto duranteun concorso al Gambrinus, caffè sto-rico napoletano di ambientazione li-berty, che vinsi e da cui deriva tuttoquello che è successo dopo. L’altramotivazione è che non mi piace, nellanarrativa gialla, l’eccessiva presenzadelle indagini scientifiche. Mi interes-sa il viaggio all’interno di sentimenti,emozioni e passioni dell’investigatoretradizionale, quello che non può uti-lizzare analisi del DNA, raggi X, lu-minol e così via. A Napoli poi le sce-ne del crimine, allora come ora, ven-gono immediatamente inquinate dacuriosi e passanti, per cui sarebbestato inutile riferirsi a questi stru-menti.

Un uomomuore nel momento in cui non si-gnifica più niente per nessuno, af-ferma il duca di Camparino. Quan-to credi in questa frase?

Ci credo molto. Vedo persone chevivono in una progressiva terribilesolitudine, diventando invisibili manmano che il contesto sociale se ne di-sinteressa, sopravvivendo in uno sta-to di abbandono che è peggio dellamorte. Ricciardi viaggia tra i morti ei vivi, spesso proprio tra questi ultimivedendo i più soli e disperati.

Che rapporto hai con la morte?Come credi sia possibile conviverecon il dolore?

La morte è nella vita, ad essa stret-tamente connessa, irrinunciabile, vi-sibile. L’impronta fisica di chi ci ha

preceduti è nei nostri sensi, nei ricor-di, nelle emozioni. Il dolore è un ri-chiamo, un perenne souvenir che esi-ste perché è esistito l’amore. Non fa-rei mai a meno del dolore, che è sin-tomo del vivere: una corazza ci evite-rebbe le ferite, ma tanto varrebbe nonessere mai nati. Ti dico che secondome il dolore e la tenerezza sono leuniche due emozioni che vale la penavivere. Non è la morte che dobbiamotemere, ma l’assenza: se facciamo inmodo di non separarci mai dai ricor-di, allora potremo dire di aver scon-fitto la morte.

Qual è il posto di ognuno? Ric-ciardi riuscirà a trovare il suo po-sto?

Il posto di ognuno non esiste, cosìcome non esiste il senso del dolore ola condanna del sangue. Mi sono di-vertito a intitolare i tre romanzi, ed èla prima volta che lo rivelo, con trestrutture sociali che non hanno signi-ficato reale. Ognuno cerca disperata-mente di procurarsi un posto diversoda quello in cui gli altri cercano ditenerlo, e per completare questo in-tento può anche arrivare al delitto.Relegare qualcuno in un posto è im-prigionare, e nessuno può accettarlopassivamente. Ricciardi crede di vive-re in un luogo intermedio tra la vita ela morte per la sua particolare condi-zione, e di fatto si imprigiona da soloimpedendosi l’amore, l’amicizia euna vita normale; nel suo caso peròsarà la vita stessa a determinare cheil suo posto non è quello che lui cre-de.

Il vicequestore Garzo pensa che“per comprendere i processimentali di un delinquente biso-gna, in qualche modo, pensarecome lui; e quindi essere delin-quenti, almeno un po’”. Ricciar-di non la pensava così fino a chenon ragiona sui nuovi eventidell’indagine e su un aspettoumano che prima non conosce-va. Quanto de Giovanni c’è inRicciardi?

Secondo me c’è dell’autore inogni personaggio. Un po’ delsottoscritto c’è in Ricciardi, si-curamente: la sensibilità al do-lore, l’ironia che a volte sfocianel sarcasmo, un po’ d’insoffe-renza nei confronti della buro-crazia; ma anche la bonomia

superficiale e pressappochista di Ma-ione, la supponenza ribalda del dot-tor Modo, l’ottimismo testardo di donPierino. Tutti figli miei, insomma, conpregi e difetti.

Valerio Varesi afferma che il suocommissario Soneri è per lui unfratello e che gli fa combattere lebattaglie in cui lui crede, per te chiè Ricciardi

Per me Ricciardi è un viaggiatore;una specie di ebreo errante o di olan-dese volante, un Ulisse senza Itacacostretto a percorrere eternamenteuna linea di confine senza entrare néil un luogo né nell’altro. La sua batta-glia non prevede vincitori, è titolaredi un mandato generato dal doloredella morte violenta, evitabile e quin-di sempre inutile per lui, per tentare

Cultura22

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

Maurizio de Giovanni: uno scrittore [vero] per tutte le stagioni

La tortuosa strada di confinedel commissario Ricciardi

“Non pianifico molto la storia, quando comincio a scrivere,per cui sono il primo a godere la sorpresa di incontrare certi personaggie vederne crescere pian piano caratteri e peculiarità”

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di MORENA FANTI

Estate del 1931. A Na-poli il caldo è insop-portabile. L’indagine

per la morte della bella du-chessa Adriana Musso diCamparino vede di nuovouniti il Commissario Ricciar-di e il suo aiutante, il briga-diere Maione. Il caso si pre-senta complesso e Ricciardisi trova di fronte semprenuove difficoltà in quello chesembra un delitto d’amore edi gelosia. Il commissario èun solitario e non ama ese-guire gli ordini, oggi lo defi-nirebbero un “cane sciolto”,e non è ben visto dagli uomi-ni del potere fascista perchéama fare di testa sua: “ …Mi costringete a indagare, losapete. Non sono il tipo chesi fa mettere paura. Da nien-te”.

Nel romanzo, il terzo dellaserie, corrono due storie pa-rallele: l’indagine dell’omi-cidio e la vita interiore diRicciardi che si specchia e sifonde con i pensieri suscitatidalle indagini. Ogni nuovascoperta porta ad altre rifles-sioni, che non riguardano so-lo i gesti che hanno portatoall’omicidio della duchessa,ma scendono nell’anima de-gli indagati e di riflesso inquella del commissario, por-tandolo ad una nuova cono-scenza di se stesso e dei pro-pri desideri.

L’autore ci accompagnanei vicoli di Napoli e all’in-terno delle anime con la stes-sa delicata sicurezza che gui-da e armonizza le sue parole.La scrittura di Maurizio deGiovanni ha un ritmo effica-ce e diretto ma mai troppo

veloce. Ha una musicalità in-terna che si rivela nella se-quenza, perfettamente ese-guita, in cui le donne del ro-manzo si esibiscono nel ta-glio delle cipolle e successi-vo pianto. Questa sequenza èun vero canone musicale in

cui le note [i gesti eseguiti]si susseguono da una cucinaall’altra unendo le attivitàsvolte e le mosse, formeesteriori, ai pensieri e ai de-sideri, forme interiori.

Il commissario Ricciardideve convivere con un pesoenorme, con “il Fatto”, comelui stesso definisce le visioniche lo costringono a sentireil dolore sospeso nell’ariadopo una morte violenta.Questo è il motivo che lorende così deciso nel nonpermettere l’ingresso diqualcuno nella sua vita.

Ricciardi intuisce chel’amore, quello vero, nonvuole mai il male della per-sona amata: “Non sapevanulla dell’amore.

Ma se avesse dovuto par-larne, avrebbe detto che sidovrebbe riparare dal malel’oggetto del sentimento, an-che se il male è proprio inchi si ama. Soprattutto se ilmale è in chi si ama. […] equindi, nel suo caso, dovevamantenere Enrica lontanadalla sua maledizione, daldolore selvaggio e terribiledi cui era portatore”, perciòsoffre guardando la ragazzache ricama alla finestra, eche per lui è solo un’imma-gine, come “un quadro diVermeer”.

Quel suo essere così soli-tario e pensieroso lo rendeanche molto misterioso e af-fascinante. Due donne cerca-no di entrare nella sua vita:Enrica Colombo, la stessa

immagine nella finestra cheora sta diventando reale, eLivia Lucani, la bella vedovaconosciuta in un’indagineprecedente. Lui è interessatoad approfondire queste cono-scenze, ma si dimostra moltoindeciso tra le due donne.

Ma Rosa Vaglio, la tatache gli è accanto dalla nasci-ta, intuisce molte cose e ca-pisce ciò che turba il cuoredel bel commissario. Rosa hanotato gli sguardi che Ric-ciardi lancia alla finestra difronte e spera che agli sguar-di segua presto una mossa:

lei sa che “il ghiaccio si scio-glie prima, se ci si accendesotto un bel fuoco”.

A chi andrà il cuore del belcommissario?

Lo sapremo nella quartastagione, la nuova avventurache Maurizio de Giovanni cistarà già (ce lo auguriamo)preparando.

Il posto di ognunoL’estate del Commissario

RicciardiMaurizio de GiovanniFandango libri, 2009

pp. 416, euro 14,00

Maurizio de Giovanni

Cultura 23

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

L’investigatore si trova di fronte sempre nuove difficoltàin quello che sembra un delitto d’amore e di gelosia:è un solitario e non ama eseguire gli ordini

Ènato nel 1958 a Napoli, dove vive e lavora. Nel2005, con il racconto "I vivi e i morti", protagonistail commissario Ricciardi, vince il premio nazionale

Tiro Rapido per giallisti esordienti. Il senso del dolore(Fandango Libri, 2007) è il suo primo romanzo, con ilquale dà inizio alle “stagioni” del commissario Ricciardi,pubblicato nel 2006 con il titolo Le lacrime del pagliaccio,poi rivisto e aggiornato per Fandango Libri. In seguito so-no usciti La condanna del sangue (Fandango Libri, 2008)e Il posto di ognuno (Fandango Libri, 2009).

È autore anche di racconti lunghi sul tema del calcio edel Napoli, di cui è grande tifoso: “Juve – Napoli 1 a 3 Lapresa di Torino” e “Ti racconto il 10 maggio”, editi daCento Autori; dal primo è tratto uno spettacolo teatraleche verrà trasmesso da Rai due a ottobre per Palco e Re-tropalco. Numerosi racconti sono usciti in antologie, daultimo in “Napoli per le strade” (Azimut libri, 2009).

Maurizio De Giovanni

Un caso complesso per il commissario Ricciardi e il suo aiutante Maione

L’indagine per la mortedella duchessa Adriana

di mettere le cose a posto per quantosi possa. Provo per lui molta tenerez-za per la condizione che vive, e vorreiche potesse trovare una pace che nonpuò trovare.

Quando Ricciardi termina un’in-dagine si deve confrontare con unasensazione mista tra nostalgia, de-lusione e rabbia. E quando lo scrit-tore Maurizio de Giovanni terminaun romanzo con cosa si confronta?

Tiro un sospirone di sollievo.Quando scrivo una storia di Ricciar-di, per tutto il periodo della scrittura,ne sono quasi ossessionato: pezzi didialoghi, facce di personaggi, luoghi,perfino odori e sapori invadono lamia vita quotidiana e, credimi, non èfacile conviverci. La fine di un ro-manzo è una liberazione, anche sedopo un po’ mi manca e comincio ariflettere su una nuova storia.

Ho letto in rete alcuni tuoi rac-conti con una scrittura molto diver-sa dai tuoi romanzi. Racconti conun’anima più ironica. Forse lascrittura ‘leggera’ diventa un mez-zo per rilassare la mente dagli im-pegni del romanzo?

La mia vera scrittura, quella chemi viene naturale, è quella leggera eironica, al limite dell’umorismo. Sem-bra assurdo per chi legge Ricciardi,ma è quando scrivo di lui che la miamaniera di esprimermi cambia. Seavrò modo e tempo, prima o poi scri-verò un romanzo (la cui storia ho giàpiù o meno in mente) con quest’altramodalità, per vedere come viene.

In questi anni proliferano siti eblog di scrittori. Sembra che chinon è presente in rete non sia ‘visi-bile’. Che rapporto hai tu con la re-te? Come vivi internet e i rapportiche si creano sul web?

Internet mi diverte, la trovoun’enorme opportunità di studio, ri-cerca e contatto. Non appartengo pe-rò alla generazione per la quale larete è imprescindibile, per cui riescocomodamente a farne a meno: per in-tenderci, non sono tra coloro che nonvivono senza connettersi. Penso chetramite il web possano nascere mera-vigliose amicizie, contatti tra animelontane; un’occasione di vicinanza,di contiguità che è diventata irrinun-ciabile. Di internet mi interessa que-sto.

Leggendo il tuo romanzo ho pen-sato che due passaggi - quello dellecipolle, che chi ha letto il libro haben presente e chi non l’ha letto do-vrebbe farlo subito, e l’altro in cui ipersonaggi provano fitte di gelosiache attribuiscono ad un mal di sto-maco del tutto inventato - sianomolto musicali. Il passaggio dellecipolle è un vero canone, con quelrincorrersi delle scene e ricomincia-re da capo e poi proseguire. Cherapporto hai con la musica? Lasenti anche tu nella tua scrittura o èuna mia invenzione?

La scrittura come la musica è sim-metria, ritmo, armonia; almeno, perme è così. Quindi mi capita di ritro-vare momenti in cui i personaggi ven-gono uniti come le strofe di una can-zone da un ritornello, un aspetto co-mune e unificante pur nella diversitàdelle storie di ciascuno. Mi piacescrivere in questo modo, perché la vi-ta stessa si prende a volte la libertà dicreare comuni denominatori e similicontesti, anche quando uno mai se loaspetterebbe. Scrive una sua canzone,insomma: basta starla a sentire.

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Cultura24

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

A Torino vince anche il Premio Ernst Thole per l’interpretazione più originale

Alla catanese Evelyn Famàil Festival nazionale del Cabaret

di DOMENICO COCO

Al Festival Nazionale del Ca-baret svoltosi al Teatro Nuo-vo di Torino, la vittoria è an-

data alla catanese Evelyn Famà, conuna singolare performance in stilefuturista basata essenzialmente sugestualità, mimica e uso calibratodella voce. Alla bravissima attrice eballerina siciliana è stato assegnatoanche il Premio Ernst Thole perl’interpretazione più originale.

Valutata da una giuria di addetti ailavori di qualità formata da EnricoBeruschi (attore, presidente dellagiuria), Margherita Fumero (attrice,madrina del festival), Massimo Sca-glione (regista), Emilio Isca (umori-sta), Mario Zucca (attore), MarinaThovez (attrice e regista), Luca Gal-tieri (inviato “antitarocco” di Stri-scia la Notizia), Michele Rossi(Centro Documentazione ComicitàItaliana), Stefano Bonavita(www.cabaret.it), Marco Dottore(www.tgevents.it), Franco Cannavò(La Tampa), Andrea Becchio (NewsSpettacolo), la Famà riproporrà aCatania per la Terza volta il suoshow comico “Morir di fama” con-tenente anche i pezzi che le hannopermesso di vincere. In tournee giàda tre anni e da poco andato in sce-na allo storico “Cafè sconcerto” diVenezia.

La performance “Morir di fama”per la regia di Carlo Ferreri è unospettacolo ricco di momenti curiosie divertenti che, come delle pietanzead una cena raffinata, si alternano esi susseguono golose ed invitanti.Una girandola di personaggi che,ognuno con la sua storia, prende vi-ta e dà forma alla protagonista Eve-lyn, che l’omonima attrice EvelynFamà interpreta con grandebrio.

Come un puparo, regge lefila dei suoi personaggi.

Hanno voci buffe, accentidal sapore vagamente sicilia-no, sono parodie di chissàquali persone e storie, pescateper caso nella quotidianità eassemblate tra loro. Tutto sa-pientemente concatenato da“Elaborazioni Vocali”, ele-mento caratterizzante per l’in-terprete e per lo spettacolo.

Sono dei divertenti virtuosi-smi, grazie ai quali l’autrice in-tende tornare ad una comicitàanti televisiva, originaria ed ori-ginale, semplice ed immediatache, ora può scaturire dal ritmoscelto per scandire un pensiero,ora si può nascondere dietro unafrase non sens, ora può prenderevita da un gesto sapientementescoordinato.

Non mancano canzoni e ballettiispirati agli anni ’80; ed ancorasurreali poesie e tragicomiche fila-strocche d’amore.

Uno spettacolo che in un mondodi reality, ossessionato dal telefo-no, dove il più comune desideriotra i giovani è fare “l’Attrice”, laVelina o partecipare ad “Amici”,cerca di proporre qualcosa di nuo-vo, attingendo proprio da ciò chevuol simpaticamente criticare.

Nato con l’idea di restituire gran-de dignità al mestiere dell’attore,con leggerezza e satirica autocritica,è uno spettacolo adatto a tutti: - aipiù giovani...perchè hanno la possi-

bilità di immedesimarsi ed esserevicini ad Evelyn nella sua grottescadisillusione, - agli adulti...perchèhanno modo di ribadire divertiti( “ . . . v e d i

come si finisce a voler fare gli atto-ri!?”), - agli addetti ai lavori...per-chè potranno catarticamente rivede-

re e superare i loro momenti

di crisi con un sorriso, - alla gentesemplice...perché gli sembrerà disentire le ziette straordinarie cuo-che, le mamme imbranate e perico-

losamente apprensive, le cugine dicampagna trapiantate in città, i fra-telli e le sorelle dispettosi cocchi dimamma...

Evelyn è un’aspirante “attrice”trentenne stressata, costretta a vive-re in casa con il prototipo di personache le dà ai nervi: sua cugina nisse-na trasferitasi a Catania per studiare.La timida matricola, da buona ven-tenne del XXI secolo, sogna un fu-turo di TV e Fiction, e cerca di emu-lare la cugina “artista” ad ogni co-sto.

Evelyn dorme sul suo “trono”. Hascelto un singolare modo di sve-gliarsi e di cominciare la giornata.Molte cose strane caratterizzano lasua vita come: la sua allergia, il mo-do di cucinare della zia, la manierain cui sua

madre alleva i gatti, la sofferenzaper un amore mai corrisposto; straneanche le telefonate che riempiono lasua giornata e il metodo che decide-rà di usare per superare i provini.

O forse no?!Forse ad essere strano è il mondo

in cui è costretta a vivere, tartassatadal culto dell’immagine e dal mitodel successo.

Cosa fare? Seguire i consigli dellapratica zia Melina, diventando unabrava donnina di casa?

O sfondare in TV ed avere un at-teggiamento da diva, come vorrebbesua mamma, ormai Fictiondipen-dente?

“Questo è il problema” E nemme-no S. Genesio (il Santo protettoredegli attori), potrà risolverlo...

Nell’originale testo scritto daEvelyn Famà, la società dello spet-tacolo ci offre due possibilità: da unlato un mondo di reality ossessiona-

to dalla facile comunica-zione, dove il desiderioprincipale è apparire, farela Velina o partecipare ad“Amici”, dall’altro latol’istituzione teatrale sem-pre più arroccata nelletorri d’avorio dei classicie del political correct.

Ha affermato il registaCarlo Ferreri: “Grandeoccasione è stata per meoccuparmi di questa scrit-tura teatrale fresca e au-tentica dove dietro l’ap-parente scorza dell’intrat-tenimento e delle risata,l’autrice nasconde una ri-flessione sulla latrina te-levisiva nazional popola-re e lancia una provoca-zione sulle abitudini e ivizi del presente. Sconta-to dunque utilizzare e me-scolare riferimenti teatraliapparentemente scompar-si, come il cabaret,l’avanspettacolo, il gra-melot e attingere da ciòche si vuol simpaticamen-te criticare come la tv osaccheggiare dal propriovissuto personale.

Non sarei riuscito inquesta piccola impresasenza la disponibilità e lecapacità di Evelyn e ditutti i collaboratori concui ho condiviso sintoniee dialettiche difficilmenterecuperabili in altri conte-sti di lavoro istituziona-le”.

La performance presentata, “Morir di fama” per la regiadi Carlo Ferreri, è uno spettacolo ricco di momenti curiosie divertenti che, come delle pietanze ad una cena raffinata,si alternano e si susseguono golose ed invitanti

Evelyn Famà

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di SALVO ZAPPULLA

Rita Charbonnier è nativa diVicenza, ha vissuto a Matera,Mantova, Genova, Trieste,

per poi stabilirsi a Roma. Ha fattostudi musicali e ha frequentato lascuola di Teatro dell’Istituto Nazio-nale del Dramma Antico di Siracu-sa. È stata attrice e cantante in tea-tro, recitando al fianco di celebri ar-tisti. In seguito si è dedicata allascrittura e, dopo aver collaboratocome giornalista con riviste di spet-tacolo, ha iniziato a scrivere sceneg-giature e infine romanzi. Il primo,La sorella di Mozart (Corbaccio2006), ha riscosso un grande suc-cesso in Italia e all’estero, tradottoin ben dodici Paesi. Ha pubblicatoper le Edizioni Piemme il suo se-condo romanzo La strana giornatadi Alexandre Dumas.

E proprio dal nuovo romanzodesidero iniziare questa chiacchie-rata. Rita, ancora un romanzostorico, ancora un romanzo conprotagonista una figura femminilerubata all’oblio e consegnata allagloria letteraria. Come mai questascelta?

Mi è piaciuta moltissimo, da subi-to, la vicenda di questa strana don-na. Stavo ancora facendo ricercheper il primo romanzo quando lessiun trafiletto che parlava di una cer-ta Maria Stella Chiappini, chenell’800 fu al centro di un grandescandalo. Scoprì di essere statascambiata nella culla con un neona-to che era poi diventato nientemenoche il re di Francia. Iniziai a pensa-re a come si può sentire, anche og-gi, una persona che scopre solo daadulta di essere stata adottata; im-maginavo di raccontare una storiasul rapporto che tutti abbiamo conle nostre radici, e con l’idea del de-stino. Inoltre, Maria Stella avevafatto la cantante e l’idea di raccon-tare il mondo dell’opera mi affasci-nava e mi divertiva; credo di avervisto in questa figura un ricordodella mia esperienza teatrale.

Spesso dietro la vicenda di unprotagonista c’è intuitivamentel’autore il quale, scegliendo diraccontare una storia, si identifica

nel personaggio che di quella sto-ria è eroe. Che rapporti hai con leprotagoniste dei tuoi romanzi?Riesci a scrivere con un certo di-stacco? Oppure si finisce col sen-tirne accanto la presenza?

Il distacco non so proprio cosasia… mentre scrivo parlo a voce al-ta, mi alzo in piedi e muovo duepassi immaginandomi la scena, avolte scoppio a ridere o mi vengonole lacrime. Insomma, probabilmentesembro un po’ matta. Però non èdetto che mi identifichi soltanto conla protagonista femminile. Nel mionuovo romanzo c’è il personaggiodi Alexandre Dumas, il grandescrittore francese, l’autore de I tremoschettieri, e a tratti mi sono iden-tificata anche in lui. Credo che inogni personaggio di ogni libro ci siaun pezzettino dell’autore. Anche nel“cattivo” della storia.

La tua carriera artistica iniziacon l’attività teatrale, hai fre-quentato la scuola di Teatro del-l’Istituto Nazionale del Dramma

Antico di Siracusa. Che ricordihai della Sicilia e di Siracusa inparticolare?

Ricordi meravigliosi! Ogni voltache sono tornata a Siracusa mi èsembrato di rivivere tutto e mi sonomolto emozionata. Quello dellascuola di teatro è stato un periodofantastico: avevo finito il liceo e ini-ziavo un’avventura insieme ad altriragazzi come me. Eravamo allog-giati in albergo, in camera doppia,e i più fortunati avevano la vista sulmare… ricordo anche le scorpac-ciate di pesce; prima di venire in Si-cilia non avevo mai mangiato pescecosì buono. E poi gli spettacoli esti-vi al teatro greco, e l’emozione diesibirsi davanti a una platea im-mensa, fatta di tantissime personeche però riesci a vedere tutte in fac-cia, una per una. Nessun altro tea-tro dà le stesse sensazioni. Ricordoanche la straordinaria umanità del-le persone che ho conosciuto, la ge-nerosità, il senso dell’ospitalità cheha qualcosa di unico. E la voglia di

farci scoprire le bellezze del luo-go… una volta mi convinsero a fareil bagno in mare vicino alla FonteAretusa, e rimasi scioccata dallecorrenti gelide di acqua dolce cheemergono con violenza da sotto lasabbia. Non esiste niente di simileal mondo, ne sono sicura.

Hai lavorato anche con il gran-de Nino Manfredi, ricordi unaneddoto da raccontare, qualcosadi particolare che ti è rimasta im-pressa.

Ricordo il pomeriggio della provagenerale dello spettacolo, al TeatroSistina di Roma. Io avevo una lungascena a due con Manfredi, che cer-cava in tutti i modi di mettermi amio agio e agevolarmi nell’interpre-tazione. A un certo punto mi trovaiin difficoltà e lui mi disse: “Nonpreoccuparti. Facciamo così: inquesto punto io volto le spalle alpubblico, così guardano te. Perchéin questo momento sei tu la prota-gonista; io non conto.” Nino Man-fredi a me, capisci? Pensai: no, non

è possibile, non ho sentito bene, op-pure sto sognando. È molto raro cheun primo attore si preoccupi per glialtri interpreti, soprattutto se sonogiovani e inesperti. Lui era di unagenerosità straordinaria. Aveva an-che l’intelligenza di capire che darespazio agli altri non significa perforza toglierne a se stessi.

Esponi ai nostri lettori un buonmotivo per leggere il tuo libro.

Chi l’ha già letto mi dice che èmolto appassionante, che le paginescorrono quasi da sole. Una signorami ha raccontato in una email chel’ha letto due volte: la prima di cor-sa, perché non vedeva l’ora di sape-re come andava a finire, la secondacon calma, per gustarselo davvero.Inoltre, gli argomenti ci riguardanoun po’ tutti: il rapporto con la fami-glia, il senso del destino, l’identi-tà… e poi c’è l’arte, la musica, ilteatro, i viaggi… oh, dovevo dirti unmotivo solo?

Hai scritto due romanzi ed en-trambi coinvolgono personaggistorici di primissimo piano. Soche ne è nata anche polemichepiuttosto pepate con qualcuno deiloro amatori. Quanto c’è di ri-schio calcolato in te nel lasciare li-bera interpretazione alla tua fan-tasia quando descrivi i loro dialo-ghi, gli aspetti poco conosciuti delloro carattere, le debolezze?

Che bella domanda! Molte gra-zie. Farò un esempio pratico. Il mionuovo romanzo, come ben sai, pren-de origine da uno scambio di neo-nati che avvenne a Modigliana, inRomagna, nel tardo ‘700. La primapresentazione si è svolta nella Bi-blioteca Comunale di quel grazio-sissimo paese. Lo scambio di neo-nati e la figura di Maria StellaChiappini (la bimba scambiata) èuna delle glorie locali, quindi puoiimmaginare il dibattito che si è le-vato in una platea composta da per-sone che il baratto di neonati cel’hanno nel sangue. Peraltro, inquel caso, la realtà storica è davve-ro un’opinione, poiché il baratto èrimasto un mistero irrisolto, e tra itesti antichi che ho consultato sullafaccenda vi sono diverse incon-gruenze. Alla fine della serata vieneda me un signore di Bologna e mifa: “Io la ammiro per il coraggioche ha nel sottoporsi alla tirannidedella realtà storica… e mi chiedochi glielo faccia fare.” Ecco, misembrerebbe di poter essere d’ac-cordo con questo signore: la realtàstorica per l’autore può anche rap-presentare una tirannide. Perché èarbitraria, almeno in parte.Quando ho scritto il primo romanzonon avevo ancora incontrato i pala-dini della verità, quindi non sentivodi correre alcun rischio. Nel nuovoromanzo l’unico grande personag-gio noto è Alexandre Dumas padre,le cui vicende biografiche sono peròignote ai più. Qui i paladini si sonopalesati solo a Modigliana. E hannofatto bene a palesarsi, ed io li rin-grazio ancora per averlo fatto. Macredo che nessuno al mondo potreb-be aver scritto un romanzo sul ba-ratto di neonati che non violasse,almeno in parte, le aspettative diqualcuno di essi. È questo il rischiocalcolato di cui parli: muoversi nelterreno indefinito che sta tra la pro-pria visione e quella degli altri, tracautela e libertà.

Cultura 25

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

Incontro con la scrittrice Rita Charbonnier

Quella strana giornatadi Alessandro Dumas

Un nuovo romanzo con protagonista una figura femminilerubata all'oblio e consegnata alla gloria letteraria

Predestinata al successoRita Charbonnier è una di quelle donne

predestinate al successo, ha nel sangueil dono dell'Arte e lo manifesta attraver-

so una personalità poliedrica ed esuberante,quale sia essa l'attività in cui si cimenta: il tea-tro, il cinema, la letteratura. Dopo il successoriportato con il romanzo “La sorella di Mo-zart” edito nel 2006 da Corbaccio, tradotto inben dodici Paesi, si ripresenta con questo se-condo avvincente romanzo (La strana giornatadi Alexandre Dumas, Edizioni Piemme,pagg.374, €.18,50). Ancora una storia di don-ne strappate all'oblio e riconsegnate alla loroverità storica. Quasi un atto di giustizia socialequello di Rita per ridare identità attraverso lesue opere letterarie a personaggi tenuti ingiu-stamente ai margini. Una storia scabrosa, unbaratto di neonati per questioni di interessi cherischia di suscitare un terremoto nella Franciadi fine Ottocento.

Maria Stella Chiappini, la protagonista diquesto romanzo, sembra permeata da un alonedi magia, scaturita da una fiaba, o dalle radicidel mondo; incanta con la sua eloquenza, in-

canta e seduce con la forza evocatrice delle pa-role. Incanta Alexandre Dumas che rimane adascoltare la sua straordinaria vicenda comple-tamente rapito. Il grande scrittore trascorreràcon lei forse la giornata più intensa della suavita. La stessa forza di narratrice che RitaCharbonnier trasmette al lettore, con una meti-colosa descrizione dei costumi dell'epoca, ilrapporto tra nobili e popolani, con particolareattenzione per il percorso psicologico e le azio-ni che danno slancio alla vicenda narrata.

I suoi dialoghi, ora delicatamente ironici, oradrammaticamente lirici, affabulatori, nostalgi-ci, malinconici. Le pagine dedicate all'incontrotra Maria Stella e la madre adottiva in punto dimorte sono tra le più affascinanti, intense,coinvolgenti del romanzo. Così come anche lealtre donne hanno un ruolo non indifferentenell'economia della storia, predominante ri-spetto agli uomini. Donne dotate di grandesaggezza, un po' compresse nel ruolo di sem-plici consorti, straripanti di personalità, deside-rose di affermare la propria esistenza.

Sal. Za.

Rita Charbonnier qui con Nino Manfredi in “Parole d’amore”

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Cultura26

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

È tornato sulla scena in “Hammamet” di Massimiliano Perrotta

Il fantasma di Craxisempre dietro l’angolo

“La città racconta” di Veronica Tommasini

Storie di ordinaria sopravvivenza

Storie comuni che attraversano la cro-naca e che spesso non fanno notiziaeppure sono il cuore della città che vi-

ve. La città delle periferie, dei falansteri,dei nuovi inferni; la città delle case occupa-te, delle lanterne rosse, di strane creatureche sbucano la notte dai vicoli di Ortigia sucui rovina edera e con essa il sentore di unastoria lontana i cui segreti giacciono al ri-paro dal richiamo mellifluo del vecchioquartiere. Cos'è La città racconta? Episodipiù che microstorie e un tramato dove ritro-vare gli stessi personaggi talvolta, e dunquenon sempre, che animano un luogo all'oc-correnza metaforico, ovvero Siracusa, dairivoli inquietanti di una multietnicità maldigerita, dalle parvenze o dalle ambizionicosmopolite.

La città racconta racconta il mondo, par-lando di piccole storie, piccoli grandidrammi, piccole grandi felicità. Cento pezzipubblicati sulle colonne del quotidiano LaSicilia hanno fornito il resoconto, fosse pu-re l'anima più nera, delle dinamiche intesti-ne di un modesto centro di provincia, doveogni contraddizione ha prestato spalla aVeronica Tomassini per coniugare il para-digma della vicenda umana, tutti gli arche-tipi possibili su cui ritrovare l'identità, lameno edita, di un luogo e dei suoi abitanti.

Veronica Tomassini, 37 anni, di originiumbro-abruzzesi, collabora dal 1996 con il

quotidiano La Sicilia. Pubblica con l'editoreEmanuele Romeo il primo romanzo L'aqui-lone nel 2002; segue nel 2006 la silloge diracconti Outsider (A&B editrice), con intro-duzione dello scrittore Turi Vasile che cal-deggiò fortemente l'intensità dei racconti,inserendoli nel genere come pionieri di unaletteratura d'immigrazione. Nel frattempoha maturato importanti seppur brevi colla-borazioni con il bimestrale Quaderni Radi-cali, con il sito internet di Enrico Brizzi econ il settimanale Panorama

Veronica TomassiniLa città racconta

Storie di ordinaria sopravvivenza Emanuele Romeo Editore

(pagg 300, euro 20)

Francesco Basile

Anima in viaggio

Nella “Sala Incontri” di una signorileresidenza ottocentesca (Via Monsi-gnor Ventimiglia 258/b a Catania), si

è tenuta la presentazione della raccolta dipoesie “Anima”, opera prima di FrancescoBasile. Dopo Modica e Siracusa, il suggesti-vo itinerario poetico di Basile attraversol’Italia ha toccato il capoluogo etneo. La pre-sentazione si è inserita nell’ambito di un“cammino della poesia” che, partendo dal-l’estremo sud dell’isola, giungerà fino a Ro-ma.

Si è trattato di una performance fatta diemozioni, suoni e parole in cui il poeta ha re-citato alcune sue poesie accompagnato dalviolino di Daniele Ricca. L’intervento criticoè stato affidato al giornalista Corrado Cartia,moderatore Marco Blanco.

Francesco Basile è poeta, scrittore, sce-neggiatore, regista e attore dell’Accademia“Pietro Scharoff”. Modicano d’origine, ro-mano d’adozione, egli divide le proprieesperienze artistiche e di vita fra Roma e laSicilia, dove si rifugia talora per trovare lagiusta dimensione poetica.

Il volume, pubblicato dalla casa editrice“Kimerik” di Patti (Me), raccoglie le poesiecomposte in dieci anni di «irregolare attivi-tà», lasciando che «fuoriescano alla luce delsole, magari per depositarsi su di un foglio».Scrive di lui Roy Doliner, autore de “I segre-ti della Sistina” (Rizzoli) e prefatore del-l’opera: «Leggere le poesie di Basile è come

ascoltare i ritmi delle onde del mare sicilia-no, godere il suo profumo mischiato conquello delle zagare e sentire il suo sale sullapelle». Istantanee di vita filtrate attraverso lalente straniante della poesia, i versi parlano«di verità ed emozioni eterne… parole cherisuonano con un tono spirituale».

I moti dell’anima prendono nuova vita at-traverso il ricordo di passioni vissute sullosfondo della “terra impareggiabile” con unadonna - musa ispiratrice, compagna o meta-fora dell’esistenza - sempre al centro del-l’esperienza amorosa. Intimiste eppure “car-nali”, pervase da un respiro quasi religioso,le poesie di Basile rappresentano l’omaggiodi un giovane artista siciliano alla propriaterra.

di CORRADO RUBINO

Dopo il debutto con successoa Roma e la replica milane-se, è approdata anche in Si-

cilia la tragedia su Bettino Craxi daltitolo “Hammamet”, scritta e direttadal drammaturgo catanese Massimi-liano Perrotta.

Con la consulenza storica delgiornalista Mattia Feltri, caporedat-tore dell’edizione romana del quoti-diano “La Stampa”, lo spettacolo siè sviluppato come una rilettura au-tocritica fatta da sinistra degli anniin cui cadde la cosiddetta Prima Re-pubblica, e che vede al centro la fi-gura di Craxi (interpretato da Ro-berto Pensa), visto come uno dei piùsignificativi e controversi uominipolitici del Novecento italiano.

In scena si confrontano le ragionie gli errori di Craxi, ma anche le ra-gioni e gli errori di chi lo avversò eche oggi prova a rileggere queglianni con equanimità.

La musica di Emanuele Senzac-qua e la danza di Barbara De Blasiosottolineano i momenti più dramma-tici di uno spettacolo che, nelle in-tenzioni dell’autore, «non vuole “fardiscutere” o alimentare polemiche,ma si propone semplicemente comeun esame di coscienza in pubblico».È il narratore (Emanuele Carboni) arappresentare la sinistra autocritica:«Quel sistema era iniquo, il Paeseguasto, ma per combattere la corru-zione abbandonammo il sentierodella ragione». Lo spettacolo, è sta-to ospitato dalla rassegna “EstateMenenina”. Negli anni di “tangento-poli” il giovanissimo Perrotta vive-

va proprio a Mineo e in qualche mo-do giustificava la folla che lanciavale monetine all’ingresso del Rapha-ël. Vi è ritornato per proporre unariflessione più matura su quella pa-gina di storia nazionale: «Desta in-quietudine il ricordo di quegli anni.Sarebbe stato più giusto sostituire il

personale politico per via elettoralee aspettare serenamente l’accerta-mento delle eventuali responsabilitàpenali». Ma Mineo rappresenta unoscenario particolare anche perché lìa pochi chilometri si consumò unatra le più grandi crisi diplomatichecon gli Stati Uniti, la cosiddetta

“crisi di Sigonella” in cui nella nottetra il 10 e l’11 ottobre del 1985 sicontrapposero le ragioni del presi-dente Ronald Reagan e il decisioni-smo del primo ministro socialista.

Nato a Catania nel 1974, Massi-miliano Perrotta vive e lavora a Ro-ma. Ha diretto spettacoli teatrali

(“Parole parole”, “Gli specchi”) evideo (“Expo”, “Bonaviri ritratto”,“Mineo”). Ha pubblicato “CorneliaBattistini o del fighettismo” (LaCantinella, 2006) e la versione tea-trale del racconto “Fine di una gior-nata” di Sebastiano Addamo (LaCantinella, 2008).

Sul palcoscenicole ragionie gli errori di Craxi,ma anchele ragionie gli erroridi chi lo avversòe che oggi provaa rileggere quegli anni con equanimità

Un momento della tragedia su Bettino Craxi, “Hammamet”

Veronica TommasiniFrancesco Basile

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di LISA BUONASERA

Sfuggendo al subdolo torporedella sua natia Rimini, Federi-co Fellini si recò a Roma dove

con innovativo gusto neorealistico eil proprio modo di essere, diede vitaa grandi capolavori senza perderemai di vista la sua città e quel toccotragico-grottesco che gli aveva do-nato. Sorte affine muove le fila deldestino di Francesco Lama che,all’età di 15 anni, parte un giornodeciso a visitare Cinecittà perché in-segue e vuole catturare il suo sogno,quello di essere regista.

Durante i vari soggiorni a Romaentra in contatto con vari registi eattori che segnano inevitabilmente ilsuo percorso creativo, in particolarel’amicizia con il grande attore carat-terista siciliano Tano Cimarosa:“Tano forse è stata la persona piùbuona che abbia mai conosciuto, siparlava sempre di cinema, per me èstato qualcosa di straordinario, glidevo molto”, ci racconta Francesco,e Cimarosa è uno dei protagonistidel cortometraggio realizzato nel2002 dal titolo “I rumori della vita”,storia di un aristocratico siciliano ri-masto solo e di un ragazzo che so-gna l’America i cui destini si incro-ciano per dividersi poi tragicamente,presentato alle pre-selezioni del Ta-ormina Film Fest 2002-I corti sici-liani.

Francesco realizza cortometraggi,lungometraggi, documentari di va-rio tipo per enti privati, comunali eregionali: un esempio, dove emergela tematica sociale, è “Jhony” unastoria vera ambientata a Modica(RG) che ha come protagonista unragazzino autistico e l’amicizia co-me cura ai pregiudizi su chi è “di-verso”. Il forte attaccamento del re-gista alla sua terra ha permesso a si-ciliani e non, di scoprire le bellezzerecondite dei paesaggi siculi, dellastoria, di usi e costumi incantandocosì gli spettatori sospesi tra la real-tà “a presa diretta” di luoghi e per-sone vostro il sogno, punto cardinedel pensiero del regista.

Ogni suo lavoro infatti è legatoagli altri dal tratto caratteristico del-le pause accompagnate da musiche(composte appositamente e arran-giate dal maestro Edmondo Teodo-lindo Negri) che lasciano le portedello schermo aperte, dove lo spet-tatore vi è proiettato e può immede-simarsi lasciando spazio all’imma-ginazione, una sorta di gioco Piran-delliano dove i ruoli vengono scar-dinati e il finale resta aperto.

Seguendo una precisa e volutascelta Francesco, così come lo eraper Pasolini, sceglie i personaggi trala gente comune per rendere al mas-simo la realisticità della storia mes-sa in atto e affianca artisti famosicon parti minori. Inoltre promuovenell’Isola iniziative adeguate a faremergere talenti e nuove propostenel campo cinematografico, essendoideatore e direttore artistico del“San Gregorio in Festival-Pensieri& Cinema di Sicilia” che si svolgeogni anno a Capo d’Orlando (Me), edel “Ficarra Festival” rassegna diCinema e cortometraggio.

Oggi tutti si improvvisano registi,anche per un giorno con il cellulare,o facendo video da mettere su Youtube … La figura del regista oggi hagrosse possibilità, a partire dalla re-

peribilità dei materiali, ma fare il re-gista vuol dire soprattutto mettereassieme situazioni, storie, sceneg-giatura, trattamento dei personaggi.È un lavoro preparatorio complesso,dove è il regista che deve coniugarecapacità tecniche. E proprio sulla fi-gura di un giovane regista “in erba”che si focalizza l’attenzione di Fran-cesco Lama nel suo film “Volevo gliocchi Blu” dove emerge lo stato diincomprensione e solitudine che cir-conda e fa scudo al giovane che tro-va una scappatoia alle grandi tauto-logie della vita grazie all’incontrocon un filosofo pazzo interpretatoda Tony Sperandeo che cita la “Cor-da pazza”. Il film, omaggio al cine-ma italiano e internazionale, ha avu-to menzione speciale al 62° FestivalInternazionale del Cinema di Saler-

no 2008, menzione speciale targad’argento alla III Mostra del Cine-ma dello Stretto di Messina 2009 einoltre presentato come evento spe-ciale e come omaggio al cinema si-ciliano all’VIII edizione del Villam-mare Film Festival, Sapri.

Il prossimo film, ci svela il nostroregista, sarà girato in questo periodoe avrà come location tutta la zonadel catanese, in particolare Etna, Ta-ormina e Catania.

Sfuggendo al subdolo torpore del-la sua natia Rimini, Federico Fellinisi recò a Roma dove con innovativogusto neorealistico e il proprio mo-do di essere, diede vita a grandi ca-polavori senza perdere mai di vistala sua città e quel tocco tragico-grottesco che gli aveva donato. Sor-te affine muove le fila del destino di

Francesco Lama che, all’età di 15anni, parte un giorno deciso a visita-re Cinecittà perché insegue e vuolecatturare il suo sogno, quello di es-sere regista.

Durante i vari soggiorni a Romaentra in contatto con vari registi eattori che segnano inevitabilmente ilsuo percorso creativo, in particolarel’amicizia con il grande attore carat-terista siciliano Tano Cimarosa:“Tano forse è stata la persona piùbuona che abbia mai conosciuto, siparlava sempre di cinema, per me èstato qualcosa di straordinario, glidevo molto”, ci racconta Francesco,e Cimarosa è uno dei protagonistidel cortometraggio realizzato nel2002 dal titolo “I rumori della vita”,storia di un aristocratico siciliano ri-masto solo e di un ragazzo che so-gna l’America i cui destini si incro-ciano per dividersi poi tragicamente,presentato alle pre-selezioni del Ta-ormina Film Fest 2002-I corti sici-liani.

Francesco realizza cortometraggi,lungometraggi, documentari di va-rio tipo per enti privati, comunali eregionali: un esempio, dove emergela tematica sociale, è “Jhony” unastoria vera ambientata a Modica(RG) che ha come protagonista unragazzino autistico e l’amicizia co-me cura ai pregiudizi su chi è “di-verso”. Il forte attaccamento del re-

gista alla sua terra ha permesso a si-ciliani e non, di scoprire le bellezzerecondite dei paesaggi siculi, dellastoria, di usi e costumi incantandocosì gli spettatori sospesi tra la real-tà “a presa diretta” di luoghi e per-sone vostro il sogno, punto cardinedel pensiero del regista.

Ogni suo lavoro infatti è legatoagli altri dal tratto caratteristico del-le pause accompagnate da musiche(composte appositamente e arran-giate dal maestro Edmondo Teodo-lindo Negri) che lasciano le portedello schermo aperte, dove lo spet-tatore vi è proiettato e può immede-simarsi lasciando spazio all’imma-ginazione, una sorta di gioco Piran-delliano dove i ruoli vengono scar-dinati e il finale resta aperto.

Seguendo una precisa e volutascelta Francesco, così come lo eraper Pasolini, sceglie i personaggi trala gente comune per rendere al mas-simo la realisticità della storia mes-sa in atto e affianca artisti famosicon parti minori. Inoltre promuovenell’Isola iniziative adeguate a faremergere talenti e nuove propostenel campo cinematografico, essendoideatore e direttore artistico del“San Gregorio in Festival-Pensieri& Cinema di Sicilia” che si svolgeogni anno a Capo d’Orlando (Me), edel “Ficarra Festival” rassegna diCinema e cortometraggio.

Oggi tutti si improvvisano registi,anche per un giorno con il cellulare,o facendo video da mettere su Youtube … La figura del regista oggi hagrosse possibilità, a partire dalla re-peribilità dei materiali, ma fare il re-gista vuol dire soprattutto mettereassieme situazioni, storie, sceneg-giatura, trattamento dei personaggi.È un lavoro preparatorio complesso,dove è il regista che deve coniugarecapacità tecniche.

E proprio sulla figura di un giova-ne regista “in erba” che si focalizzal’attenzione di Francesco Lama nelsuo film “Volevo gli occhi Blu” do-ve emerge lo stato di incomprensio-ne e solitudine che circonda e fascudo al giovane che trova unascappatoia alle grandi tautologiedella vita grazie all’incontro con unfilosofo pazzo interpretato da TonySperandeo che cita la “Corda paz-za”. Il film, omaggio al cinema ita-liano e internazionale, ha avutomenzione speciale al 62° FestivalInternazionale del Cinema di Saler-no 2008, menzione speciale targad’argento alla III Mostra del Cine-ma dello Stretto di Messina 2009 einoltre presentato come evento spe-ciale e come omaggio al cinema si-ciliano all’VIII edizione del Villam-mare Film Festival, Sapri.

Il prossimo film, ci svela il nostroregista, sarà girato in questo periodoe avrà come location tutta la zonadel catanese, in particolare Etna, Ta-ormina e Catania.

Un giovane regista rimasto inesorabilmente legato alla sua Terra

Francesco Lama alla ribaltasi impone con i “Corti” siciliani

Cultura 27

La Voce dell’Isola n. 18~20 29 Ottobre 2009

Promuove nell’Isola iniziative adeguate a far emergere talenti e nuove proposte nel campocinematografico. Personaggi sceltitra la gente comune per rendereal massimo la realisticità della storia

Francesco Lama

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Tradizioni28

29 Ottobre 2009 La Voce dell’Isola n. 18~20

A Catania una serata indimenticabile all’insegna della nobiltà Federiciana

Ritorno al passato a Palazzo Biscaricon il Gran Ballo delle Debuttanti

di DOMENICO COCO

Nel grande salone della rap-presentanze del sontuoso Pa-lazzo Biscari di Catania, la

a.c. Cavalieri Federico II di S.A.Presidente principe e Maestro deiFedericiani, don Salvatore, e i Cava-lieri di Castiglia D’Aragona delprincipe Carmelo Lanzafame, con lacollaborazione del barone Federicia-no Pino Lauria, del barone Federi-ciano Nunzio Spitalieri, della du-chessa e dott.ssa Anna Patanè, e delCavaliere Dario Recupero, hannorealizzato e riportato, dopo anni diassenza in Sicilia, il sogno delle no-bili fanciulle Federiciane, quello delGran Ballo delle Debuttanti. Per unasera un ristretto numero di Debut-tanti hanno potuto rivivere i fasti egli antichi sapori dell’antica nobiltà,danzando al ritmo del valzer con iCadetti dell’interforze.

La serata, che si è tenuta recente-mente nel capoluogo etneo, ha vis-suto anche momenti di arte, culturae poesia.

Sono intervenuti per arricchirequesto significativo evento persona-lità della politica e della moda con

la partecipazione di stilisti impor-tanti, quale quelli dei Conti Taguali.

Nelle foto, alcuni momenti delGran Ballo delle Debuttanti, e(nell’immagine in basso, in chiusu-ra) da sinistra il sacerdote DonPortera, il sacerdote canonico Pap-

palardo Salvatore S.A.R. Heghè-mon, don Salvatore Coco principe eGran Maestro dei Cavalieri Federi-ciani, il barone Pino Lauria, il ba-rone Nunzio Spitalieri, il principeCarmelo Lanzafame, alti Ufficialidella Marina Militare.

Il giorno 7 novembre 2009, dalle ore 9,30 alle ore 13,30, a Catania, presso la sala-convegni del Palazzo E.S.A.sita in Via Santa Maria La Grande, si terrà il convegno sul tema:

“La politica nell’era della globalizzazione:dalla contrapposizione Destra-Sinistra alla contrapposizione Nord-Sud”

Relazioni:

“Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica” Sen. Avv. Enzo Trantino “Questione Meridionale e Questione Settentrionale” Dott. Pietrangelo Buttafuoco“Dalla dialettica ideologica alla dialettica territoriale” Prof. Michelangelo Ingrassia “Politica ed Economia nell’Italia del domani: Partito del Sud” On. Dott. Raffaele Lombardo

Interventi programmati:

On. Giuseppe Maria Reina Sottosegretario di Stato alle Infrastrutture ed ai Trasporti Pres. Mario Di Mauro Pres. del Movimento “Terra e liberazione”Pres. Arch. Liborio La Vigna Pres. del Movimento Rinascita Siciliana - MOSIF

Moderatore:

Avv. Renato Sgroi Santagati Segretario del Movimento Rinascita Siciliana - MOSIF