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IT'S TIME FOR CHELSEA A cosa ti serve un altro gior- nale sportivo? Potresti pen- sare che lo sport è un argo- mento inflazionato, che ti basta un clic di mouse per saziare tutte le tue avidità, pigiare un tasto sul telecomando per aggiornarti sulle ultime news sportive. Quindi, cosa ti darebbe in più un altro fascio di fogli spillati? Noi, caro lettore, ti offriamo la possibilità di entrare a contatto con un’altra concezione dello sport. 'Laboratorio Sportivo' guarda il mondo sportivo da una angolatura più profonda: non solo quello che accade in campo, il 'visi- bile', il risultato agonistico in sé, ma ci proponiamo anche di esplorare tutti quegli aspetti che sono affe- renti allo sport ma che non hanno una grande risonanza mediatica. Ci piace indicare questi argomenti come la 'parte sommersa', insita nel fenomeno sportivo: ti raccon- teremo la storia delle varie disci- pline, l’excursus sulla nascita delle Olimpiadi, le nozioni di marketing, gocce di sociologia, ti porteremo a conoscenza di storie sportive fan- tastiche provenienti da mondi lon- tani e il ruolo che riveste lo sport nelle altre culture, saprai di più sulle manifestazioni sportive meno conosciute e tante altre curiosità. Lo studio di questi argomenti rive- lano il duplice significato della no- stra mission: da un lato intendiamo farti appassionare, informarti e far nascere in te spunti di riflessione; dall’altro, stuzzicare la tua curiosi- tà verso argomenti oscuri alla tua cultura sportiva. Noi metteremo a tua servizio tutta la nostra passione e competenza. Lavoreremo scrupo- losamente per darti un prodotto editoriale di qualità. Il nome della testata non è frutto di un caso: il nostro 'Laboratorio Sportivo' è una fucina di idee, sperimentazio- ni, continuo studio per un arricchi - mento culturale-sportivo. Apri la mente, respira a fondo, prendia- moci per mano e diamo inizio a questa nuova avventura. Gli azzurri a Stamford Bridge forti del 3-1 dell'andata Rispetto per i 'blues' ma testa alta e niente paura Anno 1 | Numero 1 | Marzo 2012 La nostra missione: fare emergere la parte meno conosciuta dello sport di Vincenzo Iovinelli Periodico free press di informazione e cultura sporva ASSALTO ALL'EUROPA l'Editoriale Incontro con l'assessore allo Sport del Comune di Napoli Giuseppina Tommasielli che fa il punto sulla situazione degli impianti partenopei ed indica le linee guida per il futuro delle strutture in città e per quello che sarà il San Paolo all'europea pag. 12 Super Djoko Ci sono uomini destinati a diventare delle leggende. Sportivi il cui nome rimarrà impresso nella mente di tutti, appassionati e non. Un nome destinato a riscrivere la storia del tennis è sicuramente quello di Novak Djokovic, attuale numero uno nel ranking mondiale Atp: il serbo è stato capace in poco tempo di scalare la vetta scal- zando i due rivali Federer e Nadal Gian 'Villeneuve' Il pilota napoletano alla caccia del titolo nel Ferrari 458 Challange 1983: a Libreville, in Gabon, lo Zambia perse tutti i suoi giocatori in un tragico incidente aereo. 19 anni dopo, i “chipolopolo” conquistano nella stessa città la prima Coppa d’Africa Storie di sport... - l'intervista Avvincente, sentita, combattuta in campo e sugli spalti: in serie B, la sfida del 'Menti' tra Juve Stabia e Nocerina finisce in parità con le 'vespe' che trovano il pareggio allo scadere facendo cadere, forse, le ultime speranze di salvezza dei molossi - il derby pagg. 4 e 5 pagg. 6 e 7 pag. 15 pag. 11

Laboratorio Sportivo

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'Laboratorio Sportivo' guarda il mondo sportivo da una angolatura più profonda: non solo quello che accade in campo, il 'visibile', il risultato agonistico in sé, ma ci proponiamo anche di esplorare tutti quegli aspetti che sono afferenti allo sport ma che non hanno una grande risonanza mediatica

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IT'S TIME FOR CHELSEA

A cosa ti serve un altro gior-nale sportivo? Potresti pen-sare che lo sport è un argo-

mento inflazionato, che ti basta un clic di mouse per saziare tutte le tue avidità, pigiare un tasto sul telecomando per aggiornarti sulle ultime news sportive. Quindi, cosa ti darebbe in più un altro fascio di fogli spillati? Noi, caro lettore, ti offriamo la possibilità di entrare a contatto con un’altra concezione dello sport. 'Laboratorio Sportivo' guarda il mondo sportivo da una angolatura più profonda: non solo quello che accade in campo, il 'visi-bile', il risultato agonistico in sé, ma ci proponiamo anche di esplorare tutti quegli aspetti che sono affe-renti allo sport ma che non hanno una grande risonanza mediatica. Ci piace indicare questi argomenti come la 'parte sommersa', insita nel fenomeno sportivo: ti raccon-teremo la storia delle varie disci-pline, l’excursus sulla nascita delle Olimpiadi, le nozioni di marketing, gocce di sociologia, ti porteremo a conoscenza di storie sportive fan-tastiche provenienti da mondi lon-tani e il ruolo che riveste lo sport nelle altre culture, saprai di più sulle manifestazioni sportive meno conosciute e tante altre curiosità. Lo studio di questi argomenti rive-lano il duplice significato della no-stra mission: da un lato intendiamo farti appassionare, informarti e far nascere in te spunti di riflessione; dall’altro, stuzzicare la tua curiosi-tà verso argomenti oscuri alla tua cultura sportiva. Noi metteremo a tua servizio tutta la nostra passione e competenza. Lavoreremo scrupo-losamente per darti un prodotto editoriale di qualità. Il nome della testata non è frutto di un caso: il nostro 'Laboratorio Sportivo' è una fucina di idee, sperimentazio-ni, continuo studio per un arricchi-mento culturale-sportivo. Apri la mente, respira a fondo, prendia-moci per mano e diamo inizio a questa nuova avventura.

Gli azzurri a Stamford Bridge forti del 3-1 dell'andataRispetto per i 'blues' ma testa alta e niente paura

Anno 1 | Numero 1 | Marzo 2012

La nostra missione:fare emergere la parte

meno conosciuta dello sportdi Vincenzo Iovinelli

Periodico free press di informazione e cultura sportiva

assaltoall'europa

l'Editoriale

Incontro con l'assessore allo Sport del Comune di Napoli

Giuseppina Tommasielli che fa il punto sulla situazione degli impianti partenopei ed indica

le linee guida per il futuro delle strutture in città e per quello che

sarà il San Paolo all'europea

pag. 12

Super DjokoCi sono uomini destinati a diventare delle leggende. Sportivi il cui nome rimarrà impresso nella mente di tutti, appassionati e non. Un nome destinato a riscrivere la storia del tennis è sicuramente quello di Novak Djokovic, attuale numero uno nel ranking mondiale Atp: il serbo è stato capace in poco tempo di scalare la vetta scal-zando i due rivali Federer e Nadal

Gian 'Villeneuve'

Il pilota napoletano alla caccia del titolo nel Ferrari 458 Challange

1983: a Libreville, in Gabon, lo Zambia perse tutti i suoi

giocatori in un tragico incidente aereo. 19 anni dopo, i “chipolopolo” conquistano

nella stessa città la prima Coppa d’Africa

Storie di sport...

- l'intervista

Avvincente, sentita, combattuta in campo e sugli spalti: in serie B, la sfida del 'Menti' tra Juve Stabia e Nocerina finisce in

parità con le 'vespe' che trovano il pareggio allo scadere facendo cadere, forse, le ultime speranze

di salvezza dei molossi

- il derby

pagg. 4 e 5

pagg. 6 e 7

pag. 15 pag. 11

Esserci, partecipare, gioire, soffrire: è questo il motivo che spinge i sostenitori di una squadra di calcio a radunarsi una notte intera per attendere l’apertura dei botteghini e acquistare un biglietto di una partita. È quello che è successo la notte del 5 marzo fuori allo stadio “San Paolo”, quando numerosi tifosi sono accorsi in fila per impossessarsi del tagliando della partita di Cham-pions League tra Chelsea e Napoli. E poco importa se c’era la pioggia, il gelo notturno, la spasmodica attesa a far compagnia: la passione e l’amore per il Napoli va oltre ogni ostacolo. La mattina dell’apertura dei botteghini, siamo andati a sentire l’umore che serpeggiava tra i tifosi. Alcuni erano emotiva-mente commossi: “per me questo biglietto ha un grande valore- dichiara Giulio a Laboratorio Sportivo. Parto per Londra per stare accanto al Napoli in una partita storica. Ovunque il Napoli sarà, io ci sarò. Poi questa trasferta ha un sapore speciale e non ha prezzo tornare a gioire dopo tanti anni di sofferenza”. Un entusiasmo che a Napoli non si viveva dagli anni ’90, quando si andava in giro in Europa per sostenere la mitica squadra capitanata dall’immenso Maradona. Per altri tifosi, però, tante ore di attesa sono state vissute come un dramma ma la felicità di essere in possesso del prezioso tagliando compensa di ogni cosa: “Sono qui dalle sei del pomeriggio- afferma Martina- mi sono sentita anche male stanotte per il freddo. Poi è sopraggiunta anche l’ansia di non poter acquistare il tagliando. Sono a pezzi, ma alla fine sarò al fianco del mio Napoli e vivere una notte indimenticabile”. Un altro tifoso ha anche cercato di attaccare il sistema organizzativo della vendita dei biglietti “com’ è possibile che non ci sia un organizzazione tale da evitare il caos- incalza Sergio- come accade in altre città italiane? Bisognerebbe adottare il sistema della vendita on-line”. In effetti la Società Calcio Napoli da mesi, permette l’acquisto di biglietti su siti autorizzati come listicked. Ma il sistema risultava bloccato e inaccessibile. Sfrutto del caso o premeditazione della società Calcio Napoli? Infine, ci sono anche tifosi rimasti a mani vuote. “Nonostante l’interminabile attesa - dice mestamente Rocco- non sono riuscito a comprare il biglietto. Sono molto deluso ed amareggiato. Mi sembra di aver fatto un sacrificio per niente. Pazienza, guarderò la partita in tv con il cuore a Londra”. Stampa e tv nazionali hanno dato molto risalto al fatto che i tifosi partenopei si accalcassero molte ore prime dell’apertura dei botteghini, tacciando i napo-letani di fare sacrifici enormi per la squadra ma non per il lavoro. Ma anche in altre città accade lo stesso: nel 2010, i tifosi dell’Inter trascorsero oltre due notti per la finale di Champions a Madrid contro il Bayern Monaco. L’anomalia è che a Napoli, come dimostrano le lunghe notti per Monaco e Manchester, la febbre sale ogni volta che c’è una sfida che scrive la storia e la prossima tappa si chiama Londra. Salvatore Esposito

Eppure, non sarà facile. Non è scaramanzia filo-partenopea, né tantomeno esercizio di esorcismo o alibi in caso di sconfitta. E’ la verità, nuda e cruda, di un Chelsea-Napoli da prendere con le molle a dispetto di un ultimo periodo che, insieme al 3-1 dell’andata, pare sorridere alla truppa di Mazzarri. Non sarà facile nonostante il momento particolare del Chelsea, che ha appena licenziato Villas-Boas, presunto vate di ispirazione mourin-hana incapace di seguire fin dal primissimo minuto la stella cometa del gran visir portoghese, ancora rimpianto a Londra. Non sarà facile nono-stante il nuovo mister, l’italiano Di Matteo, sia alla prima esperienza su una panchina che scotta (il precedente al West Bromwich è pura accademia rispetto al Chelsea). Non sarà facile nonostante una gara di andata che ha partorito un risultato addirittura ristretto rispetto ad una difformità

di gioco, motivazioni e strutturazione tecnico-tattica che ha giustamente premiato un Napoli caparbio, fisicamente a mille ed esaltato nelle sue individualità migliori. Non sarà facile nel diffe-renziale d’esperienza internazionale: gli azzurri avranno anche vinto 3-1 all’andata, ma di fronte avranno gente che la Champions la mastica da anni come un chewing-gum, e che ha raggiunto tre semifinali ed una finale negli ultimi sei anni. Gente che oltretutto vuole ora dimostrare come la testa di Villas-Boas non sia caduta invano: Terry, Lampard, Drogba, Cech, la vecchia guardia, più Torres, Mata, Sturridge, ossia il nuovo che avanza e vuole sorprendere: una bella ciurma di bucanieri in grado di far male a chiunque. Non sarà facile perché lo Stamford Bridge è terra storicamente difficile da addomesticare (impressionante il rendimento interno del Chelsea in Europa, quattro sconfitte negli ultimi nove anni), specie per calcia-tori che fino ad ora l’hanno potuto vedere solo il mercoledì in televisione. Non sarà facile, certo, ma il Napoli può farcela. Prima di tutto, perché vive un periodo di forma favoloso: tenuta fisica e mentale sono eccezionali, Lavezzi e Cavani stantuffano calcio e gol mai come ora in maniera così comple-mentare, e la squadra che sa essere grande in Champions non può proprio tradire in una serata storica come quella di Stamford. Il Napoli può farcela, perché la tana del Chelsea, tutta vestita di aristocratico Chelsea Blues, accoglierà la solita festante, rumorosa e numerosa macchia azzurra, garante di un sostegno simile a quello delle trasferte italiane, dove quasi sempre lo stadio che ospita si trasforma in una filiale del San Paolo. Può farcela perché è la partita perfetta per gli schemi di Mazzarri: il Chelsea dovrà scoprirsi fin da subito per cercare la rimonta, e si sa che gli azzurri sanno essere cinici come pochi nelle praterie del contro-piede. Può farcela, soprattutto, perche ha dimo-strato di poter tenere testa a chiunque, di poter opporre il proprio calcio di intensità e ritmo a tutte le compagini continentali. Ma adesso, la parola passa al campo: il match si avvicina, e se il Napoli giocherà con quella concentrazione e quel ritmo incalzante che gli sono propri, i quarti di finale non saranno una chimera. Non sarà facile, ma in fondo, nessuna grande impresa lo è.

Alfonso Fasano

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Napoli, scrivi la storiaL'attesa per il ritorno degli ottavi di Champions

Azzurri a Stamford Bridge per difendere il 3-1 del San Paolo

LondraDESTINAZIONE

L'allenatore dei blues ha giocato per tre anni contro il Napoli ai tempi della Lazio: in 6 partite ha sempre vinto

Di Matteo 'bestia nera'

I curiosi che oggi, fuori la West End di Stam-ford Bridge, vengono accolti dalla statua di un certo Peter Osgood, non fanno altro che chiedersi cosa ci sia in comune tra il semisco-nosciuto giocatore ritratto in quello schizzo d’arte, e il ricco Chelsea di oggi, fenomeno sportivo ed economico di caratura plane-taria. Eppure, la dicotomia tra un passato di gloria effimera e solide tradizioni inglesi, ed un presente di fama e ricchezza spiega in pieno la storia del club. Il Chelsea Football Club nasce nel 1905, figlio del suo stadio (lo Stamford Bridge, ancora oggi home dei Blues) e di un quartiere troppo importante per rimanere privo di un club prestigioso. I primi vagiti vivono in uno spaventoso anonimato, che in cinquant’anni conosce un solo alloro, il titolo nazionale nella stagione 1954/55. L’altro periodo d’oro del club, alla fine dei Sessanta, porta in dote indimenti-cati campioni come Osgood e Bonetti, le prime League Cup (1965) e FA Cup (1969), e soprattutto la Coppa delle Coppe 1970. A seguire, ancora silenzio, almeno fino all’era Bates, avviata per la simbolica cifra di un pound nel 1982. Il nuovo presidente, dopo un inizio anonimo, configurò il Chelsea del 2000 come club d’elite del panorama inglese, acquistando grandi campioni stranieri (gli italiani Vialli e Zola su tutti, più Gullit, Desailly e tanti altri) e portando a Stamford due FA Cup (1997 e 2000), la seconda Coppa delle Coppe (1998) e la susseguente Super-coppa Europea. I trionfi, però, non basta-rono a contenere i costi, e il club, alla fine della stagione 2002/2003, si ritrovò ad un passo dal fallimento. Un provvidenziale volo

in elicottero su Stamford Bridge fece inna-morare dello stadio un signore russo carico di rubli, tale Roman Abramovich, che nel 2003 acquistò la società-derelitto da Bates per portarla di peso nell’elite del football. La prima stagione di Ranieri, corroborata da acquisti top come quelli di Veron e Mutu, è deludente nonostante la semifinale di Cham-pions raggiunta, e quindi il club passa nelle mani di Josè Mourinho, grande allenatore e fenomeno mediatico della panchina. Il titolo nazionale del 2005 arriva nell’anno del cente-nario e viene bissato l’anno successivo. Il vate portoghese conquisterà anche la quarta

FA Cup della storia del Chelsea (2007), senza però riuscire a coronare il grande sogno di Abramovich: conquistare la Champions League. Ci andrà vicinissimo il suo succes-sore, Grant, che cederà al Manchester United la finale di Mosca 2008 solo perché capitan Terry, simbolo dei Blues, inciamperà al momento del rigore decisivo. Il durissimo colpo di Mosca e l’eliminazione all’ultimo minuto della semifinale 2009 col Barcellona saranno superati solo con l’arrivo in panca di Carlo Ancelotti, che porterà al club il primo double Premier-Fa Cup (2010) prima di inabissarsi pure lui in una Champions che

sa di sortilegio. Il resto è storia recente, con Di Matteo ed un progetto difficile ma stimo-lante, come nelle corde di un Abramovich che non ha mai lesinato gli sforzi economici e di fantasia per portare in alto la sua crea-tura. Sarà stato anche criticato per le somme investite, ma scommettiamo che i tifosi dei Blues, mentre passano per West End, un po’ fanno l’occhietto all’Osgood di pietra, un po’ strabuzzano gli occhi sulle gigantografie dei successi degli ultimi anni. Che siano rubli o sterline, tutto il mondo è paese, e vincere è la sola cosa che conta.

Alfonso Fasano

Tutte le squadre di calcio del mondo hanno un legame fortissimo con il proprio stadio, ed i tifosi fanno ampi sforzi lessicali per definire la propria “Home”: santuario, tempio, arena dei leoni, e chi più ne ha più ne metta. Si pensi poi all’Inghilterra, dove i club e i relativi impianti di gioco sono soventi rappresentare quar-tieri più che città, incarnando quindi il massimo grado possi-bile di appartenenza sociale. Eppure, proprio nelle terre d’Albione, c’è uno stadio che vive una situazione parados-sale. Parliamo dello Stamford Bridge, il bellissimo stadio del Chelsea con sede a Fulham Road, in un quartiere che non solo non è quello rappresen-tato dal club, ma che ha una grande rivalità calcistica con i vicini Blues, che devono la propria nascita proprio alla stravagante posizione del proprio storico impianto. Inaugurato nel 1877 ed utilizzato per gare di atletica, Stamford Bridge venne rifiutato dal Fulham FC, restio ad abbandonare il già storico fortino di Craven Cottage. Così, i Mears Brothers, proprietari dello stadio, decisero di fondare una nuova squadra che potesse calcare le scene del più grande impianto sportivo della Londra pre-Wembley: ecco impacchettato il Chelsea, e siamo al 1905. Lo stadio del West London ebbe il tempo di ospitare tre finali di FA Cup consecutive (dal 1920 al 1022) prima di conoscere i primi lavori di rinnovo, terminati all’alba degli anni trenta. Nel

corso del tempo, furono tante le opere di miglioria applicate al vecchio The Bridge fino ai recenti interventi delle gestioni di Bates e Abramovich, che hanno portato la capienza agli attuali 42.000 posti a sedere tutti al coperto. Nonostante la “vecchiaia”, è quindi ancora saldissimo il legame tra il Chelsea e il vecchio The Bridge, uno degli stadi inglesi più amati: l’affluenza media

degli ultimi dieci anni rasenta il tutto esaurito continuo, e si attribuisce proprio allo stadio il colpo di fulmine che ha convinto il facoltoso Roman Abramovich ad acquistare, nel 2003, un club ad un passo dal fallimento. Parlare di Stam-ford Bridge vuol dire evocare grandi gesta, a cominciare dalle cinque semifinali di Champions tra il 2004 e il 2009 e dal record di imbatti-

bilità (86 gare tra il 2004 e il 2008) casalinga di una squadra inglese, fino ad arrivare a ricordi dolci in lingua italiana, con i vari Zola (nominato miglior giocatore della storia del club), Vialli, Ancelotti e Di Matteo come figli di Dante prediletti di una delle più fascinose franchigie della Premier. Ricordi e storia di uno stadio fantastico, adorato dai tifosi nonostante l’ubicazione in una “terra di mezzo” che deve far riflettere tutti noi, poveri campanilisti italiani. Pensiamoci: in quante città d’Italia accette-remmo questa situazione? Esatto, proprio in nessuna. Ah, questi geniacci degli inglesi… Alfonso Fasano

Chelsea, un grande bluesdi stelle, rubli e palloni

Stamford Bridge: un ponte nella terra di mezzo

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Giuseppina Tommasielli, nata a Castel Campagnano (CE) nel 1957 è Assessore allo Sport, Tempo libero - Impianti sportivi, Politiche giovanili, Politiche familiari e Pari oppor-tunità del Comune di Napoli. Laureata in Medicina e Chirurgia presso l'Università Fede-rico II° di Napoli, è docente alla Scuola Specializzazione in Geriatria e Gerontologia del SUN. Ha svolto attività di ricerca e assistenza dal 1983 al 1997 in qualità di Assistente – Ricer-catore al Dipartimento di Geriatria e Gerontologia. Dal 1997 ad oggi svolge attività di Medico di Medicina Generale nel Quartiere Soccavo-Pianura. Giuseppina Tommasielli è anche membro della Commissione Pari Opportunità dell'Ordine dei Medici di Napoli e Consiglio Provinciale.Forse proprio per la stretta e fondamentale connes-sione che esiste tra pratica sportiva e buona salute, è stata scelta dal neo Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, per ricoprire il ruolo di Assessore allo Sport e per contri-buire a valorizzare lo sport quale strumento di aggrega-zione sociale e sviluppo di buone pratiche e buoni valori.

Assessore, cosa è stato fatto in questi primi mesi di giunta De Magistris sul fronte sport?E’ tristemente nota la scarsità di fondi in cui versa il Comune di Napoli. A dispetto, però, di questa situazione, l'Assesso-rato allo Sport si è dato da fare al fine di reperire fondi da finanziamenti europei, nazionali e regionali, per poter pianifi-care interventi e risposte efficaci ai problemi e alle esigenze dello sport cittadino, comprese quelle relative all'impianti-stica sportiva esistente e/o di nuova costruzione. E’stato, innanzitutto, avviato un lavoro di recupero e revisione

della normativa vigente relativa all'impiantistica sportiva che, oltre a non essere più rispondente alle attuali richieste della collettività e del mondo sportivo, perché ormai obsoleta, risulta inapplicabile anche in considerazione dall'attuale congiuntura economica negli Enti Locali. Il lavoro fin qui svolto dall’Assessorato, consentirà di ripro-porre nuovi criteri nello svolgimento della pratica sportiva. Le principali novità riguarderanno il nuovo regolamento per l'affidamento degli impianti sportivi e la possibilità di affidare in gestione gli stessi, il rinnovo della convenzione tra SSC Napoli e Comune, il nuovo regolamento d'uso degli impianti sportivi, la revisione e aggiornamento delle tariffe applicate per l'utilizzo degli impianti a domanda individuale, l’elabora-zione di nuovo regolamento che disciplini l'uso delle pale-stre scolastiche, il rinnovo del contratto di comodato d'uso dello Stadio “A. Collana” tra Comune di Napoli e Regione Campania.Quali sono le principali difficoltà che ha riscontrato svol-gendo il suo ruolo di Assessore allo Sport?In qualità di Assessore allo Sport, dall’inizio del mandato conferitomi mi sono dovuta confrontare con due grandi problematiche: la condizione operativa dei Servizi Comunali impegnati a garantire il regolare svolgimento dell’attività sportiva nella città di Napoli e la carenza di fondi utilizzabili per l'attuazione di politiche a sostegno dell’impiantistica e della pratica sportiva. A ciò si aggiunga l'assenza di un indi-spensabile “Piano di sviluppo”, quale strumento capace di fornire il quadro normativo e le linee guida a quanti vogliano organizzare e promuovere la pratica sportiva in città.Che idee per lo stadio San Paolo? Ritiene si possa riva-

lorizzare la struttura o meglio perseguire l'obiettivo di un nuovo stadio per Napoli?In questi primi mesi di amministrazione, molte delle energie e delle risorse dell'Assessorato sono state investite nello stadio San Paolo. L'importanza storica ed affettiva dell'im-pianto, insieme all'entusiasmante momento che sta attraver-sando la prima squadra cittadina di calcio, fanno si che le attenzioni siano costantemente dedicate allo stadio di Fuori-grotta. E' al vaglio dei tecnici uno studio volto alla riqualifi-cazione, non solo dell’impianto stesso, attraverso significa-tivi interventi di carattere strutturale, ma pure di tutta l'area flegrea che, con l’intento di creare un vero e proprio polo sportivo, possa rappresentare un fondamentale punto di riferimento per gli sportivi e gli appassionati di ogni quar-tiere napoletano.In quanto all'idea più volte presentata in pubblico dal Sindaco, Luigi de Magistris, gli uffici tecnici del Comune stanno lavorando alla realizzazione di un progetto che possa offrire alla città uno stadio di nuova concezione, sul modello degli impianti inglesi e tedeschi, e che possa ospitare le grandi sfide internazionali che ci auguriamo la squadra del Napoli debba disputare.Oltre al San Paolo, Napoli ha numerose altre strutture, dal Collana al Palargento. Cosa stà facendo per queste l'Amministrazione Comunale?L'impiantistica sportiva a Napoli rappresenta una realtà estremamente delicata. Numerose strutture sono state gestite per troppo tempo con scarsa attenzione e con criteri non sempre chiari. Una volta preso contatto con le realtà presenti sul territorio, l'indirizzo dell'Assessorato è stato

l'intervista Giuseppina Tommasielli“Napoli, presto le strutture sportive che meriti”L'assessore conferma: con il nuovo San Paolo Fuorigrotta diventerà un'oasi verde della città

l'intervista 4

quello di instaurare con le società un rapporto diretto e trasparente, nell'interesse reciproco e con il fine di tutelare il diritto allo sport soprattutto dei più giovani e delle fasce sociali meno abbienti.Quanto alle strutture storiche presenti nel territorio cittadino, particolare attenzione merita lo stadio Collana, impianto vomerese di proprietà della Regione. In sinergia, infatti, con gli Assessorati competenti di Santa Lucia, ed avvalendosi di una squadra di professionisti, si stanno valutando le oppor-tunità concrete di rinnovare il contratto di comodato d'uso dell'impianto e di una riqualificazione della struttura al fine di renderla più attuale e funzionale. Quanto, invece, al Mario Argento, è stato commissionato uno studio di fattibilità per la ricostruzione del palazzetto, al fine di restituire, in tempi ragionevolmente brevi, una degna casa al basket partenopeo che in questi ultimi mesi sta attra-versando, grazie al merito di una nuova società, un'entusia-smante e florida stagione.Una considerazione sul valore sociale dello sport a Napoli...Favorire nuove forme di socializzazione e solidarietà, consen-tire a tutti i cittadini un sano sviluppo psico-fisico attraverso la pratica sportiva, in particolare presso le fasce più giovani e presso quelle più disagiate, rappresenta il valore che quoti-dianamente mi guida nel ricoprire il mio ruolo di Assessore allo Sport nella città di Napoli. E’ questa, al tempo stesso, il significato che il valore sociale dello sport va sempre più ad assumere nella struttura societaria. l'Assessorato allo Sport si sta’ orientando, infatti, non solo verso manifestazioni con valenza prettamente sportiva, ma anche verso iniziative con valenza sociale.

La commistione dell’elemento puramente sportivo ed agonistico con quello più pret-tamente sociale e culturale permette di rendere il mondo sportivo napoletano grande vetrina per lo sport e riferimento per l'organizzazione di Grandi Eventi Internazionali. Lo sport fa bene, si sa. Come pensa di promuo-verne la pratica presso le generazioni più giovani?Per promuovere ancor di più la pratica spor-tiva presso le gene-razioni più giovani intendo lavorare alla realizzazione di una "Carta dei diritti delle ragazze e dei ragazzi che fanno sport" affinché ciascuno abbia il diritto ad una pratica sportiva che risponda alle proprie esigenze e necessità.

Una battuta sullo sport per i diversamente abili a NapoliLo Sport, fondamentale strumento di

socializzazione e solidarietà, rappresenta un’importante

attività per le persone con disabilità

fisiche e i progetti che l’Assessorato sta attuando, rappre-senteranno nuovi trampolini di lancio per le loro profes-sionalità e per lo sviluppo di nuove forme di integrazione nel mondo dei normodotati.

Giorgia Pietropaoli

“ Il problema dei fondi: Comune 'in rosso',per programmare gli interventi risorsereperite dai finanziamenti europei

l'intervista5

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Che derby quello tra Juve Stabia e Nocerina. I riflettori della 29’ giornata Serie Bwin hanno illuminato l’iperbolico pari per 2-2 tra Molossi e Vespe nella splendida cornice dello stadio “Menti”. I 5334 spettatori, tra cui tante fami-glie, hanno fatto del match una pagina sportiva da ricor-dare. I cancelli dell’impianto stabiese hanno anticipato l’apertura alle 12:30, per agevolare l’ingresso del pubblico evitando che le opposte tifoserie venissero a contatto. La Curva San Marco ha risposto sul campo ai timori della vigilia dando un segnale di civiltà: striscioni di sfottò,

coreografie mozzafiato ed un comportamento esemplare fino al termine dell’incontro. Dalle Tribune sono stati fatti librare in volo palloncini gialli e blù, appositamente distri-buiti per l’occasione, sebbene gli Ultras nocerini erano spesso alle prese con lanci di lacrimogeni, petardi e razzi. Proprio un razzo è stato lanciato dal settore ospiti verso il lato panoramico dei Distinti; colpito, lo spettatore, si è subito sbarazzato del giubbotto prima che questo pren-desse fuoco. Il caso ha voluto evitare che il gesto deplo-revole di qualche idiota – sarà presto identificato perché in possesso della tessera del tifoso – rovinasse il sano agonismo sportivo del campo. Il sintetico del “Menti”, infatti, è testimone del perfetto mix di ingredienti in grado di estasiare le rispettive tifoserie: il grande ex – l’attac-cante molosso Castaldo, alla Juve Stabia tra il 2003 e il 2007 –, i quattro gol, e le differenti motivazioni che anima-

vano la vigilia delle due compagini. La Nocerina di mister Autieri domina per tutto il primo tempo; doppietta capola-voro di Negro (8’-30’). Il mister dei Molossi vara l’inedito 4-3-3, coprendosi maggiormente in difesa, è la mossa che spiazza Braglia. Zito e Raimondi non in giornata; quest’ultimo – peggiore dei suoi – esce per dar spazio a Mbakogu. Con l’ingresso di “Speedy Gonzales” la partita cambia; il nigeriano mette la freccia al 68’: rigore generoso concesso dall’arbitro Velotto. Sau realizza dal dischetto il suo 15esimo gol. Agli stabiesi non vengono assegnati due penalty ben più netti. Molossi in calo, così al 88’, è il subentrato Caserta a far tremare le fondamenta del “Menti” con il punto del definitivo 2-2. Il pari scontenta solo la Nocerina: fanalino di coda a quota 19 punti. Per credere ancora nel miracolo salvezza occorrono 30 dei 39 punti a disposizione. La Juve Stabia – in attesa della sentenza del Tnas per la restituzione dei 4 punti di penalità – galleggia serena a centro classifica con 37 punti. A fine partita il Presidente della Lega Serie B Andrea Abodi – presente in Tribuna Stampa – ha lasciato le seguenti dichiarazioni a Laboratorio Sportivo: “Ci terrei ad elegiare il lavoro delle forze dell’ordine e delle società che attraverso i loro inviti e attraverso alcune attività prima e durante la partita hanno creato iniziative che potessero incentivare un clima sereno, alle squadre che con un sano

agonismo hanno dato vita ad una partita emozionante, accesa ma corretta, e alle tifoserie che hanno colorato con un tifo appassionato ma mai oltre le regole lo stadio Menti”. Non proprio dello stesso avviso il patron della Juve Stabia, Franco Manniello, che nel complimentarsi

con il lavoro svolto dalle forze dell’ordine ha sotto-lineato ai nostri microfoni: “Purtroppo questo senso di civiltà e di ospitalità non avviene quando la Juve Stabia gioca fuori casa”, riferendosi agli incidenti delle trasferte di Nocera e Verona. In chiusura, da applausi il sentito omaggio della cittadinanza stabiese al grande estimatore di Castellammare Lucio Dalla. Dalla Curva Sud un coro unanime per il

cantautore da poco scomparso: “Lucio Dalla, uno di noi!”. Marcello Simonetti

IL dERby

Direttore Responsabile: Achille TalaricoStampato presso Tuccillo Arti Grafiche Srl AfragolaImpaginazione e Grafica: Antonio Schiavone

Autorizzazione del. Tribunale di Nola

n° 3 del 2/3/2012

Editore e Direttore Editoriale: Vincenzo Iovinelli

Avanti di due gol, i molossi si fannoraggiungere allo scadere: infranti, forse,gli ultimi sogni di conquistare la salvezza

La beffa al 90°

JuvE STAbIA E NOCERINAdANNO SpETTACOLO AL MENTI

[email protected] tiratura 5mila copie

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Viareggio è da sempre il “Centro” mondiale del calcio giova-nile. In pochi sanno che, la parola centro, si riferisce anche all’abbreviazione dell’acronimo C.G.C. Viareggio, ovvero lo Sporting Club Centro Giovani Calciatori Viareggio A.S.D. Fondata nel 1947, la polisportiva è nota ai più per l'organiz-zazione del Torneo Internazionale di calcio giovanile "Coppa Carnevale" (detto anche Torneo di Viareggio). Piuttosto, ci piace ricordare che l’attuale competizione nasce alla fine della Seconda Guerra Mondiale da un gruppo di appassio-nati di sport – capitanati dal fondatore Torquato Bresciani –, di gente coraggiosa e desiderosa di mettersi in gioco a favore dei giovani. E’ il simbolo dell’Italia che riparte dalle sue ceneri; una lezione che il nostro paese troppo spesso accan-tona a favore di una classe dirigente vecchia, nella vita poli-tica, come nel calcio, e incapace di stare al passo coi tempi. Tempi di crisi, appunto, in cui puntare sui giovani è ancora considerata una scelta coraggiosa. A riprova di questa sterile critica, il panorama calcistico tricolore denuncia a scadenze regolari l’incapacità di stare al passo con Spagna (la vitu-perata Cantera del Barça), Inghilterra e quant’altro. In effetti l’importanza di lanciare i giovani in prima squadra è tutt’ora il tallone d’Achille dell’impostazione dirigenziale dei top club italiani, eccezion fatta per la Roma di Luis Enrique – da

sempre in prima linea nel lancio delle giovani promesse (De Rossi e Totti su tutti). La 64’edizione viareggina, comunque, ha dimostrato ancora una volta di poter essere fucina di talenti in giro per il mondo: dai campi polverosi dell’Africa agli altrettanto sconnessi pantani del dilettantismo di provincia.

Proprio la Rappresentativa di Serie D, infatti, è stata una delle note liete del torneo, assieme al semifinalista Parma – capace di eliminare il Milan, la detentrice Inter agli ottavi ed il Torino – ed agli spigolosi paraguayani del Club Guaranì. Tra le pretendenti al titolo, Fiorentina, Roma e Juventus hanno impressionato per maturità e profondità delle rispettive rose

tra cui spiccano le stelline viola Acosty (’91), Zohore (’94), Svedkauskas (’94) – eletto miglior portiere; i lupacchiotti Piscitella, già convocato in prima squadra, Politano e Cici-retti (’93), Tallo, Viviani – il nuovo De Rossi (’92) – e gli ottimi Verre e Ricci Matteo (’94). Merita una parentesi speciale la Juventus di mister Marco Baroni, vincitrice della Coppa (e sono 8!) in finale contro la Roma di Alberto De Rossi – 2-1 con reti di Beltrame, Padovan e Pscitella –. Se il passaggio da prima nel girone B (Gruppo A) era più che preventivabile – 6-1 contro i danesi del Nordjælland –, le successive ostiche sfide hanno temprato il gruppo di Baroni – come agli ottavi, sofferta vittoria ai rigori contro un ottimo Vicenza – fino alla definitiva consacrazione del progetto bianconero. La Vecchia Signora ha messo in campo il suo gioco, fatto di dinamismo e fisicità fuori dal comune; un parco attaccanti di tutto rispetto, grazie ai gol dei vari Beltrame, Ruggiero (’93) e Padovan, vero e proprio cecchino classe ’94; la tecnica in mezzo al campo del brasiliano Appelt, di Chisbah e Bouy (’93); la forza e il carisma dei baluardi difensivi Untersee (’94) e Gouano (’93) ed infine la fantasia e la classe della coppia De Silve-stro, mancino sopraffino, e Spinazzola – miglior giocatore del torneo e Mvp della finale – entrambi classe ’93.

Marcello Simonetti

Coppa Carnevale, la Juve centra l'ottava meraviglia

Juve Stabia e Nocerina, lo scontro senza tempoUna rivalità, quella tra nocerini e stabiesi, che affonda le sue radici già in epoca romana; durante le Guerre Sociali, l’antica Stabiae rientrò nella sfera di appartenenza della famosa Nuceria Alfaterna. La città dell’agro-nocerino-sarnese divenne capitale della Lega Nucerina, la quale si serviva di importanti vie di comunicazione tra cui la via Stabiana. Ben presto, questa rivalità si riversò anche nel calcio: in un derby i nocerini si imposero per tre a zero e, dalle colonne del giornale “Risorgimento Nocerino”, un giornalista, Zoppi, nel 1929, celebrò la vittoria con un pezzo ironico sugli acerrimi rivali dello Stabia (nel riquadro a destra). La rivalità mai sopita tra Vespe e Molossi, continua fino ai giorni nostri. Così, è semplice intuire il motivo della massiccia presenza di 400 agenti delle forze dell’ordine in quel di Castellammare per evitare gli spiacevoli episodi che si sono verificati all’andata, quando Nocera Inferiore fu teatro di una guerriglia a danno degli stabiesi. In quella occasione a farne le spese fu Catello, un ragazzino stabiese colpito da un sasso. La lezione del passato è servita quanto meno a dar vita ad una campagna di comunicazione congiunta tra le due società. L’iniziativa “Oltre il derby”, ha coinvolto tanti giovani – in primis Catello, omag-giato dai alcuni ragazzi di Nocera di un pallone uffi-

ciale della Lega Serie B – in eventi di avvicinamento e sensibilizzazione al derby di sabato 3 Marzo. Le alte sfere della Lega hanno elogiato il grande sforzo di collaborazione delle compagini campane; in particolare la Juve Stabia, con il suo tifo sano e genuino, ha dato prova di grande accoglienza prima e dopo l’incontro. Lo stesso non può dirsi di una piccola schiera di facinorosi di entrambe le fazioni. Alcuni tifosi della Nocerina che si recavano a Castellammare per assistere al derby – 6 bus, 700 ultras, molti muniti di autovettura –, si sono resi protagonisti delle consuete pagine di cronaca anti-sportiva; durante il tragitto si sono scontrati fisica-mente contro alcuni tifosi dell’Angri e devastato una vettura lungo Viale Europa. Gli stabiesi avrebbero risposto con sassaiole ai bus degli ospiti all’altezza dell’imbocco del raccordo autostradale. E pensare che l’ordinanza apportata dal sindaco di Castel-lammare Bobbio aveva preventivamente chiuso al traffico la via adiacente lo stadio (Via Cosenza), anti-cipato l’uscita dalle scuole, e posticipato l’apertura dei negozi del rione San Marco. “Nessun ferito” è il finale agro-dolce di un sabato di sport vissuto in bilico tra le passioni del campo e l’avversione per certe usanze che il pallone fatica a cancellare.

Marcello Simonetti

comunicazione 8

C’è chi chatta, c’è chi twitta, chi va su Facebook. Da qualche anno ormai i social network impazzano nella rete. Uomini, donne, bambini; sembrano tutti contagiati dallo stesso virus virtuale. Che infetta anche i cosiddetti vip, le star del momento, addi-rittura gli atleti. Da Ibrahimovic a Francesca Piccinini e Valentino Rossi, da Federica Pellegrini a Edinson Cavani. Dal calcio alla pallavolo, dal nuoto alle moto. La nuova frontiera della comunicazione è internet. Tutti gli sportivi hanno un profilo o una pagina

Facebook e, soprattutto, “twittano”. Alcuni in continuazione: “mi sono svegliato”, “vado a letto”, “sto andando ad allenarmi”; i ritmi della giornata sembrano scanditi dai continui tweet. O, semplicemente, si utilizza il social network per incitare la propria squadra e coinvolgere i tifosi, soprattutto in vista di occasioni importanti. Come l’attaccante svizzero Gokhan Inler, prima della partita di Champions Napoli – Chelsea, che scriveva: “Stasera il cielo del San Paolo si colorerà di azzurro, forza Napoli!” . Chi per diletto, chi per accontentare i fan, chi per dire la propria. Chi per amalgamarsi alla massa e non rima-nere escluso da un fenomeno di così larga portata. Chi per puro esibizionismo, o perché proprio non se la sente di privare gli altri di

notizie che parlino di sé. Una cosa è certa: ai social network nessuno rinuncia. Soprat-tutto nel mondo dello sport. Per tutti gli atleti, i calciatori in particolare, è diventato il modo di comunicare con i propri tifosi, di mostrare le immagini della propria vita privata, addirittura per dare notizie in ante-prima. Scavalcando talvolta chi fa delle news sullo sport un vero e proprio mestiere, come gli uffici stampa. Sembrano lontani i tempi in cui bisognava rincorrerli e “pregarli” per ottenere anche solo una piccola anticipa-zione; spesso gli sportivi twittano o postano su Facebook pensieri e parole in tempo reale, ancora prima di comunicarli ai propri portavoce. Rendendo talvolta il loro lavoro quasi inutile. Chi passerebbe oggi il tempo a leggere i comunicati, a intervistare i porta-voce, a cercare di carpire loro una minima notizia, uno scoop per il proprio giornale o per l’amico tifoso, se ormai l’atleta fa tutto da sé? Accedere alle informazioni degli spor-tivi è diventato più facile: se fino a qualche tempo fa bisognava far in modo che il proprio beniamino “accettasse l’amicizia” su Facebook per poter chattare con lui o riuscire ad accedere a post, foto e quant’altro, oggi con Twitter è tutto diverso. Basta “seguirli”. Ed ecco che, come per magia, ogni volta che si accede al social network si viene automati-camente aggiornati sui post del proprio eroe sportivo. Ci sono atleti più o meno noti che arrivano ad avere migliaia “followers”. Trat-tasi di coloro che seguono gli sportivi del cuore ovunque loro vogliano e gli concedano di accedere; tutto attraverso foto, video, frasi postate. Basta accendere il proprio computer e si viene immediatamente catapultati in un mondo parallelo, fatto di personaggi più o meno noti, di sport, allenamenti, partite e commenti post partita. Come sempre c’è chi va controcorrente. E prende le distanze

da tale fenomeno ponendosi una semplice domanda: queste notizie saranno poi vere? Fino a che punto possono considerarsi attendibili annunci e dichiarazioni virtuali, twittate o postate su Facebook? Il bandolo che scioglierebbe l’intricata matassa sarebbe quello di arrivare a capire se sono davvero gli sportivi in prima persona che scrivono. O se, secondo i più maliziosi, si tratta di una terza persona, forse parte di un ufficio stampa che, stanco di essere scavalcato, ci rende pan per focaccia e ci manda in visibilio gestendo i

profili dei propri clienti, previa loro autoriz-zazione. Sarebbe davvero il colmo per tutti i Facebook e Twitter dipendenti. Che sperano in qualche modo di avere un contatto più o meno reale con i propri beneamati del mondo sportivo. Sarà difficile scoprirlo. Nonostante il dubbio, tutti finiscono per crederci. E lo usano. Guai a rimanerne fuori, sarebbe “out”. Chiamiamola moda, o dipendenza, chiamiamola comunicazione. In ogni caso, in qualunque occasione, il social network “s’ha da fare!” Danila Liguori

Basta un tweet...La “twittermania” dilaga anche all’ombra del Vesuvio. Molti sono i giocatori del Napoli che lo utilizzano: in rete si possono trovare i profili di Cavani, Cannavaro, Fernandez, Inler. Ma soprattutto dell’amatissimo Pocho. Che twitta spesso alla vigilia di partite importanti inneggiando alla vittoria, o festeggiando all’indomani di indimenticabili

match, come in Coppa Italia o in Champions League. Sul suo profilo Twitter il Pocho spesso si sponso-rizza: in anteprima, nel mese di febbraio, in un post Lavezzi annunciò l’indirizzo web del suo sito nuovo di zecca, con tanto di foto e frasi in napoletano. L’at-taccante argentino non risparmia nemmeno la sua vita privata e sentimentale: su Twitter foto personali, degli allenamenti, la presentazione ufficiale di suo figlio Thomas, della fidanzata Yanina Screpante. Che, in qualità di anima gemella del calciatore di una città dove si cresce a pane e calcio, twitta a più non posso. Indimenticabile il suo post in cui si scagliava contro la città di Napoli, rea di essere stata scenario di uno scippo al suo preziosissimo orologio. Potenza della comunicazione nei social: la notizia fece il giro della rete e dell’Italia in brevissimo tempo. Segui-rono le scuse di Lavezzi e della stessa modella, che da quel momento in poi twitta “in rosa”: tenere foto

del loro cane con la maglia del Napoli, un passionale “te amo” al suo adorato Pocho nel giorno di San Valentino. Nell’era virtuale, si sa, anche le storie d’amore nascono, crescono e muoiono sui social network. Per tutti gli aggiornamenti sul Pocho quindi, inclusa la sua storia d’amore, bisogna seguirlo in rete. Basta un tweet. dl

Il boom dei social network900 milioni

Gli iscritti a facebookL'Italia è all'undicesimo posto nella classifica dei

paesi con più utenti registrati: sono circa 21 milioni

2006

Il social network è stato creato nel marzo 2006 dalla Obvious Corporation di San Francisco

5,3 miliardi di $

È il risultato economico conseguito negli ultimi 3 anni, 2009-2011, dal sito di Marck Zuckerberg

Pensieri e parole in tempo reale:lontani i tempi di rincorseai campioni e preghiere ai portavoce

Twitter e Facebook, parola agli sportivi

Non sempre dietro il profilodei social network ci sono realmentei nostri beniamini: occhio alle 'truffe'

la nascita di twitter il fatturato

La comunicazione

Il dubbio

sport marketing9

Lo sport marketing, inteso come gestione del fenomeno sportivo attraverso gli stru-menti propri delle discipline di economia, marketing e comunicazione, ha le sue origini nella genesi dello sport moderno. Nell’800 lo sport era visto come una semplice attività ludica, ricreativa, utile a forgiare,fortificare ed educare lo spirito dei giovani agonisti. Nel corso degli anni, complice un progressivo incremento delle ore dedicate al tempo libero, un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita, l’avvento dell’industrializzazione, la nascita e la strutturazione delle federazioni

sportive insieme alla commercializzazione dei primi prodotti su larga scala, lo sport, ha esulato dalla stretta logica di loiser ed ha assunto forti connotati aziendalistici, trasfor-mandosi in prodotto: da evento tout court, a spettacolo, a medium. Nei primi anni del ‘900 l’interesse di vaste folle nei confronti del feno-meno sportivo aprì la mente ai primi pionieri del marketing che decisero di investire parte delle loro risorse per far conoscere i propri prodotti al grande pubblico utilizzando le emozioni che lo sport è in grado di veicolare. Il ciclismo, sport nazionale fino alla metà del ‘900, fu il primo sport ad essere messo sotto la lente d’ingrandimento di questo feno-meno. I primi vagiti di marketing sportivo li possiamo ricondurre alle figure chiave di due storici personaggi delle “due ruote”: Ganna e Bianchi. Il varesino Luigi Ganna, passista dal fisico possente, fu il primo vincitore del Giro D’Italia nel 1909. Nel 1912 tramutò la sua passione in affari: con i proventi ricavati

dall’attività agonistica fondò una fabbrica di biciclette, la “Ganna”, e iniziò ad apporre il suo marchio sulle biciclette che scorazzavano in giro per la penisola. Questa felice intuizione gli procurò in tempi rapidi introiti vertigi-nosi, grazie anche alla vittoria di Fiorenzo Magni che vinse il Giro d’Italia, nel 1951, con una bicicletta “Ganna”. Bianchi, picco-lissimo costruttore milanese di biciclette era un’esteta e un perfezionista della bicicletta. E’ dalla sua officina che uscivano invenzioni e tendenze destinate a cambiare il volto di questo sport: ridusse il diametro della ruota anteriore, supplendo allo sviluppo dinamico con l'applicazione della catena, propose la prima bicicletta equipaggiata con trasmis-sione a cardano, inventò il dispositivo frenante anteriore, realizzò la bicicletta militare con gomme pneumatiche di grande sezione, telaio pieghevole, sospensioni su entrambe le ruote. Bianchi ha sempre legato il suo marchio

al ciclismo agonistico e le sue mitiche bici-clette celesti hanno vinto sulle strade di tutto il mondo. Molti grandi campioni del ciclismo mondiale si sono affidati al nome di Edoardo Bianchi: il primo fu Costante Girardengo. La storia di Gadda e Bianchi dimostra come già all’inizio del ‘900 le logiche di marke-ting, ancora primordiali ma apripista ad una progressiva invasione di questo fenomeno nello sport, erano insite nel tessuto della società dell’epoca; furono i primi ad intuire la valenza sociale e i sentimenti di identifi-cazione che lo sport riusciva a suscitare. Un connubio redditizio e cementificato grazie soprattutto all’avvento della televisione che ha permesso al fenomeno di esplodere in

tutta la sua forza.

Il Giro D’Italia si può considerare il primo caso di sponsorizzazione diretta di un grande evento sportivo. La prima edizione fu organizzata dalla “Gazzetta dello Sport” nel 1909 e si articolava in 8 tappe per un totale di 2.848 km: i concorrenti furono 127 e il montepremi di ben 25mila lire. Il ciclismo nei primi anni del ‘900 era considerato lo sport per tutti, simbolo di riscatto per gli umili e soprattutto emblema dell’unità d’Italia. Attorno ai corridori che percorrevano tutta la penisola il popolo italiano si stringeva attorno e si identificava nel suo

ciclista preferito. Era uno dei pochi eventi in cui tutti gli italiani si sentivano coesi sotto la bandiera del ciclismo e poco importava se vinceva il corridore preferito. Esserci, parteggiare, animarsi erano sentimenti che scuotevano le corde di una socialità condivisa. La “Gazzetta” si fece portatrice di questo bisogno incalzante e con il Giro diede sfogo alle passioni degli italiani. Solo nel 1931, per contraddistinguere il corridore leader della corsa, fu usato il colore rosa, in onore al colore delle pagine della “Gazzetta’.

Il primo brand al servizio dello sport

Ganna&Bianchi, pionieri del marketing sportivoLA STORIA

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Dal 21 Gennaio al 12 Febbraio, in Gabon e Guinea-Equatoriale si è svolta la 28ª edizione della Coppa d’Africa. La vincente del torneo è stata lo Zambia, prima volta dei Chipolopolo a mettere le mani sulla ambita coppa. Questa competizione, che si svolge ogni due anni, tra Gennaio e Febbraio, è un caleidoscopio di cultura ed emozioni: poco trattata dai media ma molto sentita dalle popolazioni che ne fanno parte. Vetrina per moltissimi giovani talenti e allet-tante occasione per i talent scout di tutto il mondo, la Coppa d’Africa è la competizione se non la più blasonata, senza dubbio la più affascinante. La prima edizione fu disputata nel 1957 in Sudan, a Khartoum, con solo 4 squadre partecipanti e la vittoria andò all’Egitto che sconfisse in finale l’Etiopia. Nel tempo, la manifesta-zione crebbe di interesse, tanto che nell’edizione del ’68 vi parte-ciparono 22 squadre, rendendo

necessaria una fase di qualifica-zione. Nel ’70 vi fu la prima diretta televisiva e solo nel ’96 fu fissato il nuovo numero di squadre alle attuali 16. La nazionale che vanta più trofei è l’Egitto (7), seguito dal Camerun e dal Ghana (4). Il calcio in questo continente trascende i meri fini economici che afflig-gono il calcio moderno: la vittoria è il riscatto di una nazione e lo specchio di questa alla platea mondiale, ma, talvolta, intrecci politici ed economici contano più dello spirito agonistico messo in campo. Molte ombre si sono insi-nuate nelle tre vittorie consecutive dell’Egitto (06-08-10): non come naturale effetto di uno strapotere calcistico ma frutto di malcelati interessi che travalicano il fine sportivo. Secondo una disamina conclamata dagli studiosi del mondo arabo, l’Egitto ha sempre ambito ad ergersi a supremazia incontrastata nel mondo arabo, cercando di primeggiare in tutti i

campi, anche in quello sportivo. Ci sono accuse fondate che l’Egitto abbia corrotto gli arbitri per otte-nere trionfi in grado di garantire una maggiore visibilità agli occhi della scena internazionale calci-stica. Non è un caso che l’Egitto a livello mondiale sia una squadra misconosciuta, mentre ben altra fama hanno il Camerun, il Ghana o la Nigeria. Lo spirito aggressivo di questa nazione, è appurato anche dall’increscioso episodio avvenuto alla vigilia dello spareggio per la Coppa del Mondo 2012 contro l’Al-geria, quando il presidente della federa-zione dicalcio egiziana Samir Zahem, p r e s e n t ò l’evento come “la partita della

vita o della morte”, scatenando tensioni e violenze tra i tifosi, 35 morti e più di 350 feriti e una rottura diplomatica fra i due paesi. Poi è venuta la “primavera araba” e sappiamo tutti cosa sia accaduto al regime di Mubarak. La compe-tizione è stata anche occasione per frange estremiste di usare la violenza per imporre all’atten-zione mondiale la loro causa: il 9 gennaio del 2010, il pullman

della nazionale del Togo fu assaltato da ribelli

del Flec (Fronte di liberazione

d e l l ' e n c l a v e di Cabinda), organizzazione armata separa-tista che da 30 anni combatte il governo angolano, a colpi di mitra nei pressi della fron-

tiera fra Congo e Angola, ucci-dendo 3 persone e ferendone sette. Kodjovi Obilale, portiere della nazionale togolese, ferito gravemente alla schiena, è stato costretto a dire addio al calcio e dopo sette operazioni cammina con l’ausilio di due stampelle. Ma il calcio in Africa non è solo violenza o corruzione. Una vena di romanticismo scorre inebriando e fortificando gli spiriti degli amanti di questo sport: lo Zambia, ha conquistato la sua prima Coppa a Libreville, proprio nella città che fu teatro di un tragico inci-dente aereo, nel 1993, dove morì la nazionale zambiana. Il calcio, come nella vita, si è preso la sua rivincita: ha dato lì dove aveva infaustamente tolto.

Vincenzo Iovinelli

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La vera essenza del calcio, inteso come gioco che dovrebbe crescere l’aggrega-zione culturale e sociale dei diversi soggetti, gioia di condividere sconfitte e vittorie, la possiamo ricercare nei paesi arabi. Quello del calcio nei paesi arabi è un caleidoscopio di colori, emozioni e sorprese, un po’ come “Palazzo Yacoubian” di Al Aswani, il libro preferito di Aboutrika, stella della nazio-nale egiziana che giudica un insulto arric-chirsi con il calcio e che per questa ragione qualche anno fa rifiutò un’offerta faraonica del Real Madrid. La mancanza di riso-nanza mediatica del calcio in questi paesi

è uno dei motivi per cui questo mondo ci è oscuro. Ma è in queste radici che germo-glia, riproduce e esplode la fonte originaria di questo sport bellissimo: attraverso le storie che debordano da quest’area che si riesce a cogliere quel legame indissolubile tra il calcio e la società: un’osmosi continua che arricchisce e depaupera vicendevol-mente. Dal prossimo mese vi regaleremo una “perla”: storie e racconti appassionanti e salienti che tracimano dal substarto della cultura calcistica araba. Affacciandoci al calcio nel mondo arabo, conviene sgom-brare il campo da alcuni equivoci. Da una parte, esiste il calcio dei paesi maghrebini, ricchi di tradizioni calcistiche e con gioca-tori di assoluto livello, che concepiscono il calcio come un impegno costante in cui infondere sforzi e sacrifici per mettersi in evidenza e magari strappare un contratto con club europei e riscattarsi da una vita di miseria. Algeria, Marocco, Tunisia ed Egitto, sono tutti paesi che incentivano

lo sport costantemente potendo contare su valide strutture sportive. Per quanto concerne i paesi della penisola arabica e più estensivamente del Medio Oriente, bisogna fare un’ulteriore distinzione: ci sono paesi come l’Iran, l’Iraq e l’Arabia Saudita dove il calcio è sicuramente la passione trainante di numerosi sportivi ma che non riesce a decollare sia per motivi religiosi, sia per le innumerevoli guerre che ne hanno ostaco-lato la crescita del movimento calcistico e sia per un forte nazionalismo e un prote-zionismo oltre lerighe. Infine ci sono paesi come il Qatar, i Bahrein, gli Emirati arabi, dove il calcio è considerato poco più che un passatempo con gli emiri che sono pronti a ricoprire d’oro campioni ormai sul viale del tramonto. I vertici calcistici, che fanno sempre capo agli emiri, non sono propensi a strutturare un movimento calci-stico dalle basi, ma si affidano a campioni già affermati per promuovere questo sport: un Batistuta, secondo il vigente pensiero,

potrebbe coinvolgere un bambino ad avvi-cinarsi al calcio, ma nessuno ha spiegato loro che dovrebbero affidarsi anche ad allenatori e preparatori specializzati per dare quel tocco di tecnica e fisico al futuro campioncino made in Qatar. Ma gli sceicchi non intendono dissipare energie in questi ragionamenti: la via più semplice e indo-lore è sempre dietro l’angolo: esportare i propri petrodollari oltre l’angusto golfo del Persico è una tentazione a cui non sanno rinunciare. Avere visibilità internazionale, essere considerati credibili dalla comunità sociale e sportiva, stringere rapporti di alle-anze oltre il medio oriente o soddisfare solo capricci personali restano le priorità per cui gli sceicchi stanno invadendo il calcio mondiale, arrivando anche alle soglie di casa Italia.

Vincenzo Iovinelli

African’s Cup: storie di corruzioni, violenze e romanticismo

Alla ricerca del calcio perduto: un tuffo nel mondo arabo

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L’Australian Open è il torneo che “bagna” la stagione tenni-stica. Primo degli slam in termini di svolgimento, il torneo viene disputato nella terza e nella quarta settimana di gennaio. I fasti a cui la kermesse australiana ci ha abituati sono stati raggiunti dopo numerose difficoltà che la Tennis Australia, (conosciuta come Lawn Tennis Association of Australia) gestrice del torneo, ha dovuto affrontare in termini economici e logistici. Ai suoi albori, il torneo veniva disputato sui campi in erba di Kooyong, area a sud ovest di Melbourne, fino al trasferimento definitivo al Melbourne Park, dotato di campi in cemento gommoso, avvenuto negli anni ottanta. La prima edizione si disputò nel lontano 1905 col nome di Australasian Championships; l’attuale denominazione è stata

adottata soltanto a partire dal 1969. A causa dell’esiguo montepremi e della sua lontananza geografica, erano pochissimi i giocatori stranieri a partecipare al torneo: per raggiungere la sede era necessario un estenuante viaggio di circa quarantacinque giorni in nave. Svariate inoltre le sedi nelle quali esso si è disputato: Melbourne, Sidney, Adelaide, Brisbane, Perth, Christchurch e Hastings. Ciò che ha confe-rito allo svolgimento del torneo un maggiore lustro è stata sicuramente l’attuale sede di svolgimento. Melbourne Park infatti ha offerto un aumento di circa il novanta per cento in termini di spettatori, ottenendo quindi una certa rilevanza anche sotto il punto di vista degli ascolti. Prima di allora il periodo di svolgimento non è mai stato lo stesso. L’attuale collocazione temporale è stata attuata solo dal 1987 mentre negli anni precedenti, il torneo si è disputato nelle date più svariate: ad agosto così come a dicembre. Curioso inoltre l’aneddoto legato agli Australian Open del 1986, che a causa dei continui spostamenti sul periodo di svolgimento, non si è disputato. Queste piccole complicanze, non hanno però offuscato la bellezza di questo torneo, dotato oramai di impianti avveniristici e di un montepremi che nell’edizione del 2012 ha toccato vette mai raggiunte prima nella storia di questo sport: 18,7 milioni di euro, suddivisi tra i vincitori

del singolare femminile e di quello maschile e delle gare di doppio. Per quanto concerne l’albo d’oro del torneo nella terra dei canguri, i primatisti, per i motivi geografici prima esposti, sono entrambi australiani: tra gli uomini primeggia Roy Emerson con sei trofei in bacheca; tra le donne invece conduce Margareth S.Court, detentrice del torneo per ben undici volte. Grazie alla rilevanza acquisita nel corso degli anni, La “Rod Laver Arena”, stadio principale del Melbourne Park che prende il nome da Rod Laver, ultimo tennista australiano capace di compiere il “Grande Slam”, è stata teatro di grandi finali entrate di diritto nella storia di questo sport. Dagli ”scontri” tra Ivan Lendl e Boris Becker, al derby a stelle e strisce tra Agassi e Sampras a quelli più recenti ma altrettanto avvincenti tra lo svizzero Federer ed il maiorchino Rafa Nadal, sino all’ultima in ordine di tempo,che è stata tra le più avvincenti non solo della storia degli Australian Open, ma dell’intera storia del tennis, che ha visto il serbo Novak Djokovic, attuale numero uno al mondo, imporsi sul suo antagonista principale nonché numero due della classifica ATP Rafael Nadal in un match durato 5 ore e 52 minuti. Un autentica battaglia, un duello che, c’è da starne certi, rimarrà impresso nella mente di chi l’ha visto, seguito e vissuto, sino all’ultimo colpo. Luca Profenna

Ci sono uomini destinati a diventare delle leggende. Sportivi il cui nome rimarrà impresso nella mente di tutti, appassionati e non. Un nome destinato a riscrivere la storia del tennis è sicuramente quello di Novak Djokovic, attuale numero uno della classifica ATP. Ranking che detiene conti-nuamente dallo scorso 4 luglio. Classe 87, sin dai primi anni della sua vita ha calpe-stato campi da tennis: erba, cemento e terra battuta; per il piccolo Novak non faceva differenza. Suo padre, sciatore professio-nista, era inizialmente orientato a incanalare il figlio verso la sua medesima carriera, ma dati i risultati, ha poi dovuto “rassegnarsi” all’evidenza. La scalata alla vetta della classifica ATP inizia nel 2005, anno in cui Novak esordisce in un torneo dello Slam: gli Australian Open. L’esperienza però si conclude al primo turno. Nello stesso anno, il serbo ottiene le prime vittorie in tornei dello slam: al Roland Garros giunge fino al secondo turno, mentre nel torneo di

Wimbledon si arrende al terzo turno. Questi risultati gli permettono di entrare nella top 100 della classifica ATP. L’anno succes-sivo conquista il primo ATP sulla terra di Anersfoort, superficie sulla quale riesce ad esprimersi meglio. Nel 2007 ottiene la prima vittoria di prestigio, battendo l’allora numero uno della classifica ATP Rafael Nadal nel Master di Miami che lo vedrà poi vincitore. Tale vittoria gli permetterà di fare un balzo in avanti nella classifica ATP, arri-vando ad occupare la settima piazza. Nello stesso anno raggiunge la prima finale di un torneo dello slam: agli Australian Open il serbo affronta in finale lo svizzero Roger Federer, venendo battuto in tre set ma raggiungendo il suo best ranking assoluto, piazzandosi al terzo posto. Il 2008 è l’anno che lo inscrive di diritto nell’elite del tennis: Djokovic infatti conquista il suo primo slam, aggiudicandosi gli Australian Open battendo campioni del calibro di Hewitt, Federer e Tsonga. Il 2010 segna l’inizio

della scalata alla vetta della classifica ATP: giungendo alla finale degli US Open, persa contro il numero uno Rafa Nadal, Djokovic scavalca lo svizzero Federer (battuto in semifinale) occupando la piazza d’argento della classifica ATP. Ma è il 2011, l’anno dei “record” a regalare ai palati sopraffini del tennis un nuovo numero uno: Djokovic infatti arricchisce la sua bacheca di trofei, vincendo tre dei quattro tornei dello slam (Australian Open, Wimbledon e US Open), infrangendo anche il record di guadagni. Al termine della stagione tennistica saranno infatti ben 19 i milioni i dollari da lui incas-sati. L’anno in corso si apre ancora una volta all’insegna del serbo. Agli Australian Open infatti, assieme a Rafael Nadal, è protagonista della finale più lunga della storia dei tornei dello Slam: 5 ore e 52 minuti di gioco al termine dei quali il serbo ha trionfato per la terza volta in Australia:la “sua” era non pare che agli inizi…

lu.pro.

Nome: NOVAKCognome: DJOKOVICNato a BELGRADO il 22/05/1987Altezza: 187 cm Peso: 80 kgEsordio: 2003 CIRCUITO JUNIORESRacchetta: HEAD YOUTEK IG SPEEDMain Sponsor: HEAD e S. TACCHINIPalmares: 29 TITOLI VINTI 8 slam singolare; 1 slam doppio; 20 Master Ranking: 1° dal 4 luglio 2011 a oggiColpo migliore: ROVESCIO BIMANEColpo da migliorare: GIOCO A RETE

Australian OpenDalle tribune di legno di Kooyong al cemento di Melboure Park

Novak Djokovic, la scalata alla vetta

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Il Grande Slam

Chi mastica dello sport di racchetta avrà sicuramente sentito questo termine. Ma da dove deriva questa espressione? La sua origine discende da un altro gioco, che non fa della fisicità o della spettacolarità i suoi assi portanti: stiamo parlando del bridge, noto gioco di carte di matrice anglosassone. Il nesso col tennis è presto spiegato. Senza sviscerarne tutte le sue (complicate) regole, nel bridge, giocato con le carte fran-cesi, per “Grande Slam” s’intende il massimo colpo realizzabile. Il tennis ha coniato questa espressione per indicare la vittoria nell’arco di un solo anno nei quattro principali tornei di tennis: Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open. Una vera e propria impresa che inscrive di diritto nella storia del tennis coloro che c’entrano l’ambito obiettivo .Sono ben pochi gli eletti che sono riusciti a compiere questo sforzo. Il primo fu Don Budge, tennista statu-nitense, che compì il Grande Slam nel lontano 1938. Tra le tenniste in gonnella invece, la prima fu Maureen Connolly , anch’essa statunitense, nel 1953. E poi altri campioni come Rod Laver(1962), Margareth S. Court(1970) e Steffi Graff(1988). Data la grandezza dell’impresa, spor-tivamente parlando, esistono varie forme, per così definirle, di eseguire il Grande Slam. I tornei su citati infatti, possono essere vinti conse-cutivamente, ma non nel medesimo anno solare; una sorta di Grand Slam

“virtuale”. Tre grandissime campio-nesse contano nel loro palmares questa particolare forma di Grand Slam: Martina Navratilova(83-84), Steffi Graff(93-94) e Serena Williams(02-03). Da ciò si può evin-cere che passare alla storia nel tennis risulta essere un compito al quanto arduo. Agli atleti viene richiesto un enorme sforzo fisico e mentale data soprattutto la consecutività in termini di svolgimento dei tornei dello slam. I tennisti che riescono a vincere almeno una volta tutti e quattro i “capi saldi” del tennis conseguono la cosiddetta “Career Gran Slam”. In questo senso, sono molti di più i nomi che arricchiscono la storia di questo sport. Ai campioni già sopracitati,si aggiungono nomi degni della loro fama: Roger Federer,Andrè Agassi e Rafael Nadal solo per dirne alcuni; tennisti con la cosiddetta “T” maiuscola, vere e proprie leggende di questo sport. Negli anni si è svilup-pata però una sorta di “evoluzione” del Grande Slam, meglio conosciuta come “Golden Slam”. Il nome è stato coniato in seguito all’impresa della tedesca Steffi Graff, unica nella storia di questo sport ad aver trionfato nei quattro tornei dello slam ed a vincere la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici nello stesso anno(1988). Impresa epica vero, ma c’è da dire che per molti anni il tennis fu lasciato fuori dalle discipline olimpiche, preclu-dendo così a grandi campioni del passato la possibilità di conseguire questo prestigioso traguardo.

di Luca Profenna

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Il 6 febbraio scorso il TAS (Tribunale d’Arbitrato Sportivo) di Losanna ha squalificato in via definitiva il campione spagnolo Alberto Contador per doping. Su di lui pesa la positività riscontrata al Tour de France del 2010, che poi vinse, al clenbuterolo, uno stimolante con effetti anaboliz-zanti. A nulla sono valse le sue giustificazioni di aver consu-mato carne contaminata. Squalifica di due anni e perdita delle vittorie del suddetto Tour e del Giro d’Italia 2011. L’ul-

timo eclatante caso di campionissimo macchiato da questa piaga. La sua vicenda, come molte simili, è avvolta da sospetti e misteri su come è stata portata avanti, perché più che dei reati sportivi, che solo in rarissimi casi si riescono a dimostrare con sicura certezza, sono i sospetti ad ucci-dere in questi casi. Gli stessi sospetti che uccisero Marco Pantani cui fu accertato la presenza solo di un ematocrito (cioè la percentuale di sostanze corpuscolari nel sangue, ndr) fuori norma. Molti scienziati hanno anche sostenuto che un ematocrito che superi la soglia consentita può essere dovuto anche a cause assolutamente naturali. Il ciclismo, sport di resistenza e fatica, è più degli altri afflitto da questo fenomeno, anche perché è quello con maggiori controlli, e in determinati momenti storici è apparso che fosse tutto colpevole, cosa ben lungi dall’essere vera. In realtà è inve-rosimile che esista sport fatto ad un certo livello che non contempli anche un’intromissione delle pratiche dopanti. Ma cos’è il doping? Wikipedia lo definisce “l'uso (o abuso) di sostanze o medicinali con lo scopo di aumentare artifi-cialmente il rendimento fisico e le prestazioni dell'atleta”. Una definizione che potrebbe essere valida, se non fosse eccessivamente vaga. Infatti qual è il discrimine tra doping e integratori sportivi? Ci sono aziende che si occupano proprio di questo, e hanno tutti i permessi a norma di legge. Del resto il ciclista, diversamente da chi non pratica questo sport, tende a spingere il proprio corpo spesso ai limiti estremi,in cui si rende necessaria l’assimilazione di sostanze extra. Tuttavia è indubbio che esista un confine

tra integratori alimentari e sostanze dopanti, un confine segnato dalla legge prima ancora che dalla morale sportiva. Le organizzazioni sportive e gli stessi Stati sono intervenuti a porre norme sempre più severe e controlli sempre più precisi per combattere questo male atavico che attanaglia questo sport, sempre più nell’occhio del ciclone. Eppure sono sempre di più i ciclisti che fanno uso di sostanze al

limite della liceità, tentando di migliorare le proprie presta-zione al fine di ottenere così successo sportivo, e quindi fama, soldi, riconoscimento. Ma è ben effimero il riconosci-mento ottenuto con tali mezzi e peggiore sarà la ricaduta e l’infamia nella lunga via crucis della rivelazione successiva. Chi sono i responsabili dunque? Forse tutti e nessuno. Il doping, è lo stesso ovunque: una pratica che viola le regole comuni al fine di assicurare vantaggi personali. Come tutte le cose di quest’epoca è frutto di un sistema. Il sistema della competizione a tutti i costi. Solo abolendo essa si rende-ranno vani anche tutti i suoi derivati. Ma essa è il cuore stesso della società moderna capitalistica. Bisognerebbe scegliere un’altra via. E molti già ci stanno lavorando.

Lucio Iacono

D’Abusco, pedalate di gioia e sacrificioMichele Scotto d’Abusco, classe 1983, ex-ciclista professionista in questa intervista snocciola tutta la sua vita passata con la sua amata bicicletta. Dalle soddisfazione all’ap-prodo nel ciclismo che conta alle cocenti delusioni di dover dire addio al suo sogno. Michele, quando hai iniziato con la bici?A 4/5 anni. Ho fatto tutte le categorie prima di approdare al professionismo. Dai giova-nissimi, quindi esordienti, allievi, juniores e dilettanti. Dai 16 anni mi sono dovuto spostare in Toscana perché lì c’erano le squadre.E la tua carriera nel professionismo?Dal 2004 al 2008, i primi due anni con la Lampre e i secondi due con la Flaminia.Ci puoi dire una tua giornata tipo di quando eri corridore?Sveglia alle 7, dopo colazione uscita alle 9.00. Da 2 a 6 ore di allenamento a seconda della stagione. Da 60 a 120 chilometri al giorno. Era molto sacrificante, ma lo facevo con passione.Quindi è stata la passione a spingerti?Certamente. Il massimo del ritorno econo-

mico che ho avuto da professionista fu con contratti al minimo sindacale a 1500 euro al mese, per 4000 chilometri annui.Eppure hai corso con grandi campioni giusto?Sì alla Lampre ho potuto correre al fianco di corridori come Simoni, Cunego, Figueras. Ma quelli che mi sono più rimasti impressi sono stati Armstrong e Ullrich. Si sentiva proprio che erano di un altro livello. Rimpiango però di non aver conosciuto il “Pirata”, visto che è morto proprio nell’anno in cui sono passato professionista.Quali sono state le corse più importanti a cui hai partecipato?La Liegi-Bastogne-Liegi, la Freccia Vallone,

San Sebastian, Zurigo, la Vuelta di Spagna dove purtroppo a causa di una mononu-cleosi ho potuto fare solo 15 tappe.Veniamo all’evento che ha segnato il tuo percorso.Sì un giorno fui trovato con un ematocrito (cioè la percentuale di sostanze corpusco-lari nel sangue, ndr) più alto della norma consentita. Ai controlli non è risultato mai alcun doping. Ma ciò mi costò il licen-ziamento in tronco dalla Lampre, dove eravamo molti e uno in meno non avrebbe fatto differenza.Dunque l’ombra del doping ha segnato anche la tua carriera. Cosa ne pensi di questo fenomeno?

Vedi, nel ciclismo il ciclista è l’ultima ruota del carro. Sebbene tutto graviti attorno a lui. I manager, gli sponsor, i medici e tutti gli altri ci guadagnano solo sulle sue spalle, ma lui, oltre a fare tutta la fatica, se ne prende anche tutte le colpe. Se è trovato positivo viene scaricato, rimanendo da solo a pagarne le conseguenze. E’ difficile dire se il doping sia responsabilità dei corridori, dei medici, dei dirigenti o di chicchessia. In sé è come le bustarelle del politico, le specu-lazioni del finanziere, insomma uno dei tanti sistemi per migliorare giocando sporco.Insomma alla fine hai smesso con la carriera, puoi dirci perché?E’ stata una battaglia testa contro cuore. Per un po’ la passione ha retto, poi ha vinto la testa. In sostanza mi sono stancato. È un mondo che non perdona niente e non essendo riuscito a scrollarmi di dosso la questione, ho deciso che non valesse più la pena. Inoltre è nata la mia prima figlia, e insomma la mia vita ha preso un’altra piega. Ma non rimpiango assolutamente di aver preso questa scelta.

Lucio Iacono

Lo scandalo investe anche ContadorDOPING E CICLISMO Il campione spagnolo squalificato 2 anni

Il ciclista iberico fu trovato positivo al Tourdel 2010: provò a giustificarsi dicendodi aver mangiato carne contaminata

La scusa

motori15

La Mercedes ha tolto il velo al nuovo SUV, ML 63 AMG: il più possente e prestazionale della sua categoria. Ridotto il peso, poco meno di due tonnellate e mezzo, ma capace di accelerazione da Formula 1, grazie al suo assetto spor-tivo e alle sospensioni pneumatiche rivoluzionarie che fa dell’ ML 63 AMG la versione più sportiva delle classe M, frutto della collaborazione tra Mercedes e AMG. Il SUV,

a trazione integrale e con cambio automatico 7G-Tronic Plus, monta un motore 5.5 V8 biturbo a iniezione diretta e sviluppa la potenza di 525 CV per una coppia massima di 700 Nm costante tra i 1.750 e i 5.000 giri/minuto. L’ac-celerazione da 0 a 100 richiede 4,8 secondi e la velocità massima è limitata elettronicamente a 250 km/h. Ma c’è di più: il pacchetto “AMG Performance” per esaltare il SUV Mercedes fino a 557 CV e 760 Nm di coppia, limando un decimo sull’accelerazione. L’unicità del nuovo SUV non sta solo nelle performance e nella motoristica: ad arricchire il suo valore c’è anche il look innovativo nei vari partico-lari. Il frontale decisamente più dinamico, con prese d’aria

aggiuntive per un migliore raffreddamento del motore e una mascherina più larga e aggressiva. Gli interni dell’auto non sono meno curati, considerando il taglio sportivo del volante, i sedili in pelle di serie e la pedaliera sportiva, il tettuccio elettrico in vetro e il navigatore Beker. Di serie anche il nuovo servosterzo elettromeccanico che agisce in funzione della velocità, mentre le ruote standard sono da 20 pollici e montano gomme di misura 265/45. In Europa sono già iniziate le vendite. Il prezzo si aggira tra i € 116.450 della versione base, per arrivare a € 127.220 con il pacchetto AMG Performance.

Alfredo Di Costanzo

Molti colleghi prima di me lo hanno definito il ‘Jill napoletano’ e chi lo ha visto alla guida sa che, non è solo per omonimia del nome con il grande Villenueve. Gian Domenico Sposito nasce a Napoli il 10 Agosto 1984. La sua più grande passione sono le auto. Salta all’occhio la sua compostezza e il suo stile da ‘bravo ragazzo’, frutto dell’ educa-zione ricevuta dai genitori che sono sempre stati al suo fianco, soprattutto il padre, che lo segue da molto vicino sin dai suoi esordi con i kart. Tutt’altro discorso è quando Gian Domenico sale in macchina e si prepara per un altro week end di gara. In quel caso più che un ‘bravo ragazzo’ sembra un ‘gladiatore’ il cui unico scopo è quello di domare i cavalli che sprigiona la sua auto, e di occupare il gradino più alto del podio. Gian Domenico ha cominciato presto, partendo alla guida dei Kart, poi subito dopo è passato a disputare gare internazionali, esordendo nella coppa costruttori presentandosi direttamente in gara, senza effettuare le qualifiche e senza avere la possibilità di provare l’auto, piaz-zandosi al 6 posto. A soli 18 anni approda in Formula Ford 1600 concludendo la stagione sul gradino più alto del podio nel campio-nato regionale. Grazie a questo successo come esordiente, si guadagna il diritto di passare alla Formula Ford 1800: anche qui Gian Domenico lascia il segno, concludendo la stagione al 4° posto a soli tre punti dal podio. Successivamente passa alla Formula Renault 2000 piazzandosi 5° ad Andria al suo esordio in categoria e 6° a Monza. La carriera di Gian Domenico affronta un importante passo quando approda in Formula 3000, la categoria che più si avvicina alla la Formula 1, ottenendo il miglior piazzamento ad Estoril in Portogallo. In formula 3000 Gian Dome-nico ha carpito da piloti del calibro de russo Petrov, il venezuelano Maldonado e il giappo-

nese Kobayaschi, importanti “segreti” che gli consentiranno di arrivare alla Formula Ferrari challenge.

Che auto guidi e in quale campionato militi?Milito nel Ferrari 458 challenge, guidando una Ferrari 458, un’auto potentissima da 570 CV, con cambio a doppia frizione a 7 marce.Cosa conta per essere un buon pilota? Pensi di avere particolari doti?Per essere un buon pilota si deve dare sempre il meglio di sé in ogni gara prestando la massima attenzione senza mai dare nulla per scontato. Credo, di possedere le doti neces-sarie per essere un buon pilota e per scrivere il mio nome nel libro della storia delle corse.Chi ti ha insegnato a guidare e quali sono state le prime cose che hai imparato?L’impronta alla mia guida l’ha data sicura-mente la scuola piloti che ho frequentato disputando contemporaneamente il campio-nato, grazie alla quale la federazione mi ha assegnato la patente speciale per poter correre in tutte le categorie.La mia tecnica di guida l’ho imparata frequentando la scuola di piloti e facendo molta pratica sui circuiti di tutta Europa, soprattutto per quanto riguarda il disegno delle traiettorie, le staccate e le partenzeHai un circuito preferito?Il mio circuito preferito è sicuramente quello di Spa Francorchamps in Belgio. E’ il circuito più emozionante con le sua varie caratteristiche, a partire dalle diverse condi-zioni meteo dai due lati opposti della pista, senza parlare dell’esaltante tratto Eau Rouge-Raidillon. Non da meno è il circuito del Mugello, dove riesco a dare sempre il meglio di me.Il Pilota a cui t’ispiri?Il mio idolo è Michael Schumacher, per lo

stile, le capacità e i successi che ha raggiunto in tutta la sua carriera, anche se il mio predi-letto rimarrà sempre Villenueve.Quale consiglio daresti a chi si affaccia sul mondo delle quattro ruote?Consiglio a tutti di iniziare dai kart, magari in età molto giovane per poi andare aventi nelle categorie, senza però strafare e bruciare le tappe, come vedo fare da ragazzi che incontro al corso di guida sicura di cui sono istruttore . Un altro aspetto importante è quello dell’allenamento fisico, perché le gare sono lunghe ed estenuanti e di certo l’abbi-gliamento ignifugo e le temperature interne ed esterne all’abitacolo non aiutano.Qual è la tua mentalità sportiva?Impegno e dedizione per quello che faccio ogni giorno, sia dal punto di vista dell’alle-namento fisico, sia dal punto di vista della preparazione tecnica, per poter arrivare al miglior risultato possibile.Noti differenze tra il ‘Jill’ di quando ha iniziato e quello di oggi? Sicuramente oggi sono un pilota che è matu-rato tantissimo, sono riuscito a placare la mia irruenza e grazie a questo a commet-tere meno errori, ho imparato a studiare il mio avversario e ad aspettare il momento propizio per effettuare la manovra giusta.La prossima stagione sarà sicuramente più impegnativa di quella passata, quanto

sono importanti le motivazioni, e che obbiettivi ti sei posto?Le motivazioni in un pilota sono fondamen-tali, ed io quest’anno sono molto motivato e ho come obbiettivo quello di vincere il campionato.Come ti stai preparando alla nuova stagione?Mi alleno moltissimo in palestra e passo molto tempo al simulatore per imprimerla bene nella mia mente, ho sempre cercato di strutturare le mie gare avendo come riferi-mento la pista anziché gli avversari. Qualcuno ti ha definito il ‘‘Jill napoletano’’, altri ancora il ‘‘miracolo di San Gennaro’’, tu come ti definisci?Mi definisco un ragazzo con una passione innata per le auto che si è tramutata in ‘malattia’, credo proprio di essere nato per questo sport.Puoi tracciare un bilancio della tua carriera fino ad ora?Il bilancio della mia carriera è pianamente soddisfacente, l’unica cosa che cambierei potendo tornare indietro, sono alcune scelte che hanno ritardato la mia ascesa.Il tuo sogno nel cassetto?Facile a dirsi: approdare un giorno nella Formula 1.

Alfredo Di Costanzo

Il 'Villeneuve' napoletanoSposito si racconta a 'Laboratorio Sportivo'

La Mercedes lancia il SUV 'ML 63 AMG'novità e curiosità dal mondo dei motori