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1 LABORATORIO STORICO LAVORO MINORILE E LAVORO FEMMINILE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO I Le piscinine a Milano Introduzione Con le mie studentesse e i miei studenti della classe IVA del Liceo Linguistico Francesco Severi di Milano, abbiamo lavorato, in Archivio e in classe, sul tema, di storia sociale, del lavoro nell’Ottocento, con particolare riferimento al lavoro minorile e femminile, con il fine di avviare una riflessione sulle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori italiani nell’Ottocento e nel Novecento, nel nostro Paese. È fondamentale rendere consapevoli gli studenti, nel corso della loro formazione, delle durissime condizioni di lavoro, nel nostro Paese, e fino a pochi decenni orsono. Abbiamo così pensato di ripercorrere la lunga lotta dei lavoratori per ottenere il riconoscimento di alcuni basilari diritti sul lavoro e di farlo quest’anno attraverso lo studio delle condizioni di lavoro di queste bambine, che, come molti loro coetanei, lavoravano duramente, sfruttati, sottopagati e senza alcuna attenzione a quelli che noi oggi consideriamo i diritti dell’infanzia. Il percorso si articola in due momenti: un approfondimento sul lavoro delle piscinine, espressione di un aspetto emblematico del lavoro nell’Ottocento, il lavoro minorile e femminile, quest’anno in classe quarta, e uno sul lavoro nel Novecento e ai giorni nostri, in classe quinta. Prima di recarci in Archivio, avevamo già affrontato nelle lezioni in classe, all’interno del nostro programma di storia dell’Ottocento, lo studio delle questioni legate all’industrializzazione in Europa e in Italia e più in generale, quelle di storia sociale, con al centro il rapporto tra borghesia e proletariato. La professoressa di storia della classe, Cecilia Maria Di Bona, aveva già preparato e tenuto agli studenti le lezioni introduttive, per accostare preliminarmente in classe alcuni dei temi presenti nei documenti che la professoressa di storia referente della didattica, la storica e la archivista ci hanno mostrato in Archivio e inviato, in seguito, da leggere. Una volta arrivati all’Archivio, le studentesse e gli studenti hanno seguito con sincero e vivo interesse l’articolata lezione di storia tenuta dalla presidente, prof.ssa Concetta Brigadeci, volta ad inserire la figura della piscinina all’interno del contesto storico del tempo e all’interno dell’opera sociale dell’Unione femminile, hanno consultato i testi con la sicura guida della professoressa Marina Medi, referente per la progettazione didattica delle attività del laboratorio dell’Officina dello storico, 1 hanno ascoltato l’avvincente invito alla lettura, consultando le fonti in internet e cartacee della ‘bibliotecaria’ Eleonora Cirant e le preziose indicazioni sull’origine storica, sulla struttura e sui fini dell’Archivio, nonché sulle diverse caratteristiche dei documenti, della storica e archivista Donata Diamanti. I ragazzi, raggruppati in gruppi di quattro o di due, hanno letto con interesse e passione i documenti, trascrivendone nella scheda archivistico-didattica, gli elementi salienti, sia in relazione alle loro caratteristiche (manoscritti, dattiloscritti, articoli di giornale, testi poetici, datazione, autore, destinatario e alla loro collocazione in Archivio), che con riferimento ai contenuti. Al termine della consultazione dei documenti, un portavoce del gruppo ha esposto a tutti i compagni, di altri gruppi, gli elementi rilevanti emersi nella lettura. Il laboratorio storico in Archivio è piaciuto moltissimo agli studenti, anche grazie alla guida veramente preziosa delle professoresse, storiche, bibliotecarie dell’Unione femminile che hanno trovato una modalità felice di raggiungere menti e cuori dei ragazzi. Le studentesse e gli studenti hanno dimostrato di sapersi coinvolgere e impegnare quando interessati; alcuni di loro hanno dichiarato di aver scoperto in quel momento il valore dei documenti storici e degli archivi. Tutti hanno colto come dato di realtà, attraverso l’emblematico spaccato di storia sociale, rappresentato dalla figura della piscinina, la diffusa prassi, nell’Ottocento e nella prima parte del Novecento, del lavoro minorile. Tutti hanno compreso che la pagina della nostra storia affrontata nella lettura dei documenti ci riguarda da 1 La professoressa è inter alia anche membro del direttivo di IRIS, di Clio92, del CRES.

LABORATORIO STORICO LAVORO MINORILE E LAVORO … · archivista Donata Diamanti. I ragazzi, raggruppati in gruppi di quattro o di due, hanno letto con interesse e passione i documenti,

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LABORATORIO STORICO LAVORO MINORILE E LAVORO FEMMINILE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO I Le piscinine a Milano Introduzione Con le mie studentesse e i miei studenti della classe IVA del Liceo Linguistico Francesco Severi di Milano, abbiamo lavorato, in Archivio e in classe, sul tema, di storia sociale, del lavoro nell’Ottocento, con particolare riferimento al lavoro minorile e femminile, con il fine di avviare una riflessione sulle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori italiani nell’Ottocento e nel Novecento, nel nostro Paese. È fondamentale rendere consapevoli gli studenti, nel corso della loro formazione, delle durissime condizioni di lavoro, nel nostro Paese, e fino a pochi decenni orsono. Abbiamo così pensato di ripercorrere la lunga lotta dei lavoratori per ottenere il riconoscimento di alcuni basilari diritti sul lavoro e di farlo quest’anno attraverso lo studio delle condizioni di lavoro di queste bambine, che, come molti loro coetanei, lavoravano duramente, sfruttati, sottopagati e senza alcuna attenzione a quelli che noi oggi consideriamo i diritti dell’infanzia. Il percorso si articola in due momenti: un approfondimento sul lavoro delle piscinine, espressione di un aspetto emblematico del lavoro nell’Ottocento, il lavoro minorile e femminile, quest’anno in classe quarta, e uno sul lavoro nel Novecento e ai giorni nostri, in classe quinta. Prima di recarci in Archivio, avevamo già affrontato nelle lezioni in classe, all’interno del nostro programma di storia dell’Ottocento, lo studio delle questioni legate all’industrializzazione in Europa e in Italia e più in generale, quelle di storia sociale, con al centro il rapporto tra borghesia e proletariato. La professoressa di storia della classe, Cecilia Maria Di Bona, aveva già preparato e tenuto agli studenti le lezioni introduttive, per accostare preliminarmente in classe alcuni dei temi presenti nei documenti che la professoressa di storia referente della didattica, la storica e la archivista ci hanno mostrato in Archivio e inviato, in seguito, da leggere. Una volta arrivati all’Archivio, le studentesse e gli studenti hanno seguito con sincero e vivo interesse l’articolata lezione di storia tenuta dalla presidente, prof.ssa Concetta Brigadeci, volta ad inserire la figura della piscinina all’interno del contesto storico del tempo e all’interno dell’opera sociale dell’Unione femminile, hanno consultato i testi con la sicura guida della professoressa Marina Medi, referente per la progettazione didattica delle attività del laboratorio dell’Officina dello storico,1 hanno ascoltato l’avvincente invito alla lettura, consultando le fonti in internet e cartacee della ‘bibliotecaria’ Eleonora Cirant e le preziose indicazioni sull’origine storica, sulla struttura e sui fini dell’Archivio, nonché sulle diverse caratteristiche dei documenti, della storica e archivista Donata Diamanti. I ragazzi, raggruppati in gruppi di quattro o di due, hanno letto con interesse e passione i documenti, trascrivendone nella scheda archivistico-didattica, gli elementi salienti, sia in relazione alle loro caratteristiche (manoscritti, dattiloscritti, articoli di giornale, testi poetici, datazione, autore, destinatario e alla loro collocazione in Archivio), che con riferimento ai contenuti. Al termine della consultazione dei documenti, un portavoce del gruppo ha esposto a tutti i compagni, di altri gruppi, gli elementi rilevanti emersi nella lettura. Il laboratorio storico in Archivio è piaciuto moltissimo agli studenti, anche grazie alla guida veramente preziosa delle professoresse, storiche, bibliotecarie dell’Unione femminile che hanno trovato una modalità felice di raggiungere menti e cuori dei ragazzi. Le studentesse e gli studenti hanno dimostrato di sapersi coinvolgere e impegnare quando interessati; alcuni di loro hanno dichiarato di aver scoperto in quel momento il valore dei documenti storici e degli archivi. Tutti hanno colto come dato di realtà, attraverso l’emblematico spaccato di storia sociale, rappresentato dalla figura della piscinina, la diffusa prassi, nell’Ottocento e nella prima parte del Novecento, del lavoro minorile. Tutti hanno compreso che la pagina della nostra storia affrontata nella lettura dei documenti ci riguarda da

1 La professoressa è inter alia anche membro del direttivo di IRIS, di Clio92, del CRES.

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vicino, non solo perché lo sfruttamento del lavoro minorile era una realtà, qui da noi, ma perché lo sfruttamento del lavoro e del lavoro minorile è ancora oggi una questione sociale grave e da affrontare. Dopo esserci recati all’Archivio dell’Unione femminile nazionale, ci siamo immersi nella consultazione dei documenti storici e nello studio dei testi. I documenti che abbiamo analizzato attestano le dure condizioni di lavoro delle piscinine, e più in generale, di uomini, donne e bambini; essi mettono, inoltre, in luce alcune malversazioni alle quali potevano essere sottoposte queste bambine, e non ultimo la loro capacità di organizzare uno sciopero per ottenere un compenso un po’ meno da fame. Sullo sfondo, emerge anche l’opera cruciale dell’Unione femminile, nel nostro Paese, nel sostenere la formazione professionale femminile, nell’essere punto di riferimento e luogo di incontro, nel sostenere la lotta delle donne per il riconoscimento dei propri diritti. Dallo studio dei saggi storici e dalla lettura dei documenti, emerge un quadro di grande complessità che richiede un’interpretazione che sia capace di contemperare la constatazione degli elementi di potenzialità dell’economia industriale (in questo caso, la piccola industria tessile, protoindustriale, che dava lavoro a molti) con la consapevolezza degli alti costi sociali del progresso. Approfondiremo questo tema da diverse prospettive (storiche, filosofiche, letterarie, artistiche) e con una certa apertura di temi e di orizzonti per suscitare questioni e riflessioni di natura storica, etica, culturale. L’approccio interdisciplinare è fondamentale nella formazione culturale degli studenti alla comparazione, alla comprensione della complessità dei fattori in gioco, alla consapevolezza della loro evoluzione nel tempo. Di tutto questo, occorre che gli studenti sappiano fare sintesi, certo sintesi provvisorie e aperte a nuove ristrutturazioni della visione della realtà, ma pur sempre sintesi che li aiutino a pensare la complessità della realtà del lavoro e ad interagire con essa come giovani cittadini, portatori consapevoli e in prima persona di diritti. Della nostra riflessione e lavoro di ricerca ampi e articolati in vari aspetti, daremo di seguito solo una sinteticissima esposizione. Contiamo di presentare ad altri studenti della scuola il frutto della nostra ricerca per renderli partecipi degli elementi che sono emersi nella nostra ricerca: inter alia, quanto fossero dure le condizioni di lavoro, anche prima del processo di industrializzazione, quanti decenni siano occorsi a conseguire il riconoscimento di alcuni diritti sul lavoro che tutti noi, oggi, siamo inclini a dare per scontati, l’importanza dell’acquisizione di una coscienza dei propri diritti e della lotta politica per ottenerne il riconoscimento. Indicazioni metodologiche Dopo aver svolto, insieme, in classe,

alcune lezioni introduttive di storia sociale dell’Ottocento, preparate dalla professoressa, dopo esserci recati all’Archivio e avervi consultati i documenti storici, dopo aver terminato di leggere in classe i documenti, ci siamo ripartiti, per un approfondimento individuale di temi da mettere in seguito in comune, aspetti diversi del lavoro e del lavoro minorile e femminile. Le studentesse e gli studenti hanno partecipato con grande attenzione e interesse alla lettura dei documenti in Archivio. Accostare i documenti ‘in originale’, con lo spirito della ricerca, lavorare in gruppo, acquisire gli elementi della comprensione attraverso la ‘sperimentazione’ diretta e un’attitudine più attiva è stato mostrato, nella ricerca didattica, essere più efficace dell’ascoltare solo lezioni frontali. La ‘classe capovolta’ funziona! Qui sotto, gli elaborati delle studentesse e degli studenti. Gli studenti hanno rielaborato questi temi, in gran parte già affrontati insieme, con parole loro, per farne comprendere il senso ai loro compagni, anche nella prospettiva di riprenderli il prossimo anno per un approfondimento centrato sul Novecento e sulla storia contemporanea e presentarli nella loro esposizione scritta o orale agli esami di maturità. La professoressa è sicura che il laboratorio storico abbia suscitato un vivo interesse negli studenti e che la comprensione delle dure condizioni di lavoro, nel nostro Paese, fino a pochi decenni orsono, sia stata per loro un’esperienza formativa. Dopo aver tenuto delle lezioni introduttive ed aver inviato ad ogni studente, immagini e testi per approfondire, abbiamo raccolto e armonizzato in un unico testo, letto e corretto dalla docente, l’apporto di singoli studenti. Riproponiamo di seguito, alcuni degli elaborati degli studenti di classe IVA sui temi loro assegnati per l’approfondimento.

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Lo sciopero delle piscinine Davide Calvi Nel Giugno del 1902, a Milano, scoppiò uno sciopero di “ piscinine ” bambine tra gli 7 e i 14 anni, costrette a compiere lavori non adatti alla loro età e non adeguatamente retribuiti; in quel dì di Giugno, oltre 50 ragazzine si trovarono in piazza, dove risiedeva la sede della Camera del Lavoro, chiedendo: che fosse loro raddoppiato il salario, che era di appena 50 centesimi, di ridurre le loro ore lavorative, di portare meno carichi, di ricevere una paga settimanale, di abolire i servizi domestici e di eliminare lo “scatolone”, che le contraddistingueva. Prima di iniziare questo sciopero, alcune piscinine si recarono davanti alle entrate delle varie sartorie e modisterie per reclutare altre compagne; alcune si unirono spontaneamente alla lotta per la giustizia, altre no e pertanto venivano obbligate. Una maestra che, incontrando le scioperanti, si era permessa di deriderle, fu oggetto di urla e derisioni. Anche i giornali si interessarono all’accaduto, in particolare i giornalisti del “Corriere della Sera” si mostrò subito essere contro queste ragazze, scrivendo le testuali parole: “Anche oggi si sono rinnovate le brutte monellerie delle piscinine in sciopero. In piazza santa Redegonda, una piscinina che portava tanto di scatolone, fu circondata dalle compagne che volevano condurla alla Camera del Lavoro”. Anche il giornale di destra “L’Alba” fu ancora più duro e derise l’accaduto, scrivendo: “ Qualcuno suggerisce come rimedio quattro pompieri con relative pompe in piazza Camposanto: per certi bollori non c’è niente di meglio che una buona cura idroterapica. Altri auspicano un provvidenziale intervento delle savie mamme con una buona correzione “a posteriori”. Ma nonostante ciò, gli scioperi continuarono mentre i giornali cercarono di affossare tutto per evitare gli scandali in relazione allo sfruttamento minorile e al lavoro in nero. In piazza del Duomo, fu necessario l’intervento delle guardie per limitare l’afflusso delle bambine, ma nonostante ciò, la rivolta continuò. Tutti furono sorpresi dalla forza e dalla tenacia di queste piccole lavoratrici. Esse riuscirono a ottenere, oltre all’aumento di salario, il diritto ad entrare nella scuola di disegno professionale fondata dal pittore Giuseppe Mentessi. Qui, le ragazze imparano la bellezza dell’arte e della lettura; iniziarono con semplici esercitazioni di disegno geometrico, fino ad arrivare allo studio dell’immagine nei particolari. Tutti questi insegnamenti servirono a fornire una cultura di base a queste povere ragazze che erano costrette a non andare a scuola perché dovevano guadagnare quei pochi centesimi che non servivano neanche a soddisfare i loro bisogni primari. Alle giovani ragazze venivano dati libri da leggere, opere da analizzare e venivano organizzate gite per stimolare la loro creatività. Riflessione Questa è una storia del tutto dimenticata, sicuramente non per caso, perché infatti si tende a affossare questo genere di avvenimenti. Ma oggi, qualcosa è cambiato; adesso i lavoratori/trici godono di molti più diritti e il lavoro minorile è considerato un reato punibile con il carcere. Per questo, possiamo dire che anche grazie alla rivolta delle piscinine oggi la situazione è migliorata.

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Le piccole ‘operaie’ milanesi, quelle torinesi, quelle parigine Noelia Carniti Degas, Dalla modista A Milano, le piscinine erano le piccole ‘operaie’ milanesi, generalmente di un’età che poteva variare dai sei ai quindici anni. Esistevano piccole lavoratrici anche a Torino e a Parigi, le cosiddette “Trottinnes”. Ma in che cosa consisteva il loro lavoro e soprattutto che cosa comprendeva? Essenzialmente, esse portavano pacchi e scatoloni molto pesanti, i quali piegavano i loro esili corpicini per il peso eccessivo, e che esse non

riuscivano quasi a reggere poiché erano sproporzionati alle loro stature e alle loro forze. Inoltre, esse andavano ad acquistare la colazione per le lavoratrici più grandi, ed effettuavano i lavori che spesso spettavano alle domestiche, quali fare da bambinaia ai bambini dei lavoratori, da lavapiatti nelle famiglie e fare ulteriori lavori come la cucitrice o la portalettere (per questo loro stesse chiamavano “Telegramma” lo scatolone che le conteneva). Ma perché noi oggi chiamiamo tutto ciò sfruttamento? In realtà, vi sono fondati motivi per farlo, oltre che per la loro giovane età, i motivi sono anche altri. Ad esempio, esse lavoravano a tempo pieno, come le loro compagne adulte, circa 10 ore al giorno come minimo, per avere una paga di pochi centesimi (circa 10 o 20 centesimi per le più fortunate). Inoltre, esse non avevano il diritto di frequentare la scuola elementare; non studiavano, e si formavano principalmente nei laboratori e nelle strade. Così una gran parte di esse, come sappiamo dai vari articoli di giornali del tempo, si riunirono nella Piazzetta Camposanto, dietro il Duomo di Milano, per poi marciare, con spirito battagliero, in cerca di un riconoscimento dei loro diritti, verso gli stabilimenti dei fratelli Bocconi e poi ancora verso la Camera del Lavoro. Esse, pur di entrare, passarono dalle finestre e, una volta giunte all’interno della Camera del Lavoro, chiesero principalmente, per una giornata ordinaria di lavoro, un salario di almeno 50 centesimi; chiesero inoltre che le ore straordinarie e quelle delle giornate festive venissero pagate il doppio; un’ulteriore richiesta formulata dalle bambine fu l’alleggerimento degli scatoloni, o che venisse addirittura tolta loro quest’incombenza, poiché volevano imparare il mestiere della modista o sarta, per poter guadagnare di più lavorando, con il desiderio di arrivare a conquistare la ricchezza e la gioia, tanto desiderata anche dalle loro madri, anch’esse operaie. Volevano chiedere un trattamento più umano alle maestre dell’apprendistato nelle botteghe, le quali ultime, il 27 Giugno, si presentarono alla Camera del Lavoro dichiarando di accettare in linea di massima le richieste avanzate delle piscinine, così da porre finalmente fine a questo sciopero. Di fatti, le piscinine tornarono al loro lavoro, e l’Unione femminile che aveva come scopo quello di cooperare all’elevazione morale, al miglioramento intellettuale, economico e giuridico della donna, le sostenne e offrì loro la colazione, composta da panini e ciliegie. Penso che queste ragazzine lavoratrici fossero molto sfruttate e che fossero così affaticate, sottopagate e moralmente insidiate, che trovarono la forza ed il coraggio di ottenere, anche se in piccola parte, il riconoscimento dei loro diritti. Tutte insieme, con l’Unione Femminile.

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L’Unione femminile era stata fondata nel 1899, a Milano, da alcune donne, di condizione sociale e formazione culturale diversa: Ersilia Majno Bronzini, Nina Rignano Sullam, Ada Garlanda Negri,

Edvige Vonwiller Gessner, Adele Riva, Antonietta Pisa Rizzi, Jole Bersellini Bellini, Rebecca Calderini, con questi fini: “L’Unione femminile si è costituita per l’elevazione ed istruzione della donna, per la difesa dell’infanzia e della maternità, per dare studi ed opera alle varie istituzioni di utilità sociale, per riunire in una sola sede le Associazioni ed Istituzioni Femminili, con il vantaggio per le socie: a) di avere una Sede decorosa b) una Biblioteca in comune c) una sala di lettura d) conferenze, corsi di lezioni, trattenimenti”. Mentessi, maternità

Uno ‘strano’ sciopero Carolina Drago

Nel giugno del 1902, Milano si svegliò con duecento piscinine davanti alla Camera del Lavoro a reclamare i propri diritti come lavoratrici. Le piscinine erano bambine dai 6 ai 14 anni che lavoravano presso sarte e modiste per apprendere il loro mestiere ma in realtà erano tra le lavoratrici più sfruttate: erano impiegate nelle mansioni più basse come bambinaia, lava piatti, facchine o intermediarie amorose e del mestiere imparavano ben poco. Proprio a causa di questa situazione, il 24 giugno si riunirono in piazza Camposanto e marciarono verso la Camera del lavoro, chiedevano per una giornata di 10 ore di lavoro un salario di 50 centesimi, la rimozione dello scatolone, il quale a causa della sua pesantezza aveva gravi conseguenze per il loro sviluppo fisico, e infine di impara realmente il mestiere e non essere utilizzate come serve. La Camera del Lavoro scrisse un memoriale per chiedere alcuni miglioramenti nelle condizioni di lavoro ma a causa del numero grandissimo di questi piccoli laboratori fu difficile raccogliere le risposte di tutti; quindi le donne

dell’unione femminile nazionale aiutarono queste lavoratrici. Crearono la Fraterna, una scuola di disegno professionale per le piccole lavoratrici fondata e diretta dal pittore Giuseppe Mentessi.

Giuseppe Mentessi, Piazza del Duomo di domenica

Personalmente, mi ha colpito la tenacia con cui queste bambine di 6-13 anni hanno affrontato una situazione e problemi lavorativi con la maturità di un adulto. Mi commuove l’aiuto che queste piccole lavoratrici hanno ricevuto, soprattutto dall’Unione Femminile, che ha preso sotto la sua ala queste bambine, dando loro un’opportunità di riscatto. Non bisogna dimenticare che questa piccola rivoluzione è partita da bambine analfabete, nate in famiglie povere, che necessitavano più di chiunque altro quei 25/35 centesimi a cui in quei giorni rinunciarono per ottenere il riconoscimento dei loro diritti. Oggi, la situazione, in Italia, è migliorata, ma mi sconcerta sapere che il problema persista in alcune realtà nel mondo.

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Lavoro femminile e lavoro minorile tra Ottocento e Novecento Irene D’Ercole

Tra Ottocento e Novecento, in Italia, che fino ad allora appariva nel quadro europeo decisamente arretrata e sottosviluppata rispetto agli altri paesi, si verificò un processo di industrializzazione. Tuttavia, a causa dell’estensione delle attività produttive che dava lavoro a molti e per compensare le insufficienze tecnologiche e di mercato, si fece leva sullo sfruttamento della forza-lavoro.

A risentire maggiormente di condizioni lavorative durissime quando non intollerabili, furono le donne poichè una grande percentuale di esse era occupata nell’industria tessile. Esse erano sottopagate, sottoposte ad orari rigidi e l’ambiente lavorativo malsano in cui lavoravano produceva effetti negativi sulla loro salute, quali denutrizione e frequenti infortuni.

In caso di gravidanza, esse dovevano lavorare fino al termine della gestazione; queste dure condizioni di lavoro causavano un aumento del numero degli aborti e un peggioramento dello stesso stato di salute delle madri e dei bambini.

La pressante necessità di reclamare i propri diritti e di migliorare la propria condizione lavorativa spinse i lavoratori e gli operai a sviluppare forme di mutuo soccorso e di cooperativismo e diede vita ai movimenti socialisti.

Un fenomeno preoccupante fu inoltre lo sfruttamento del lavoro minorile, sfruttamento del quale noi abbiamo accostato i documenti storici sulle piscinine.

Quest’ultime erano apprendiste sarte e modiste, avevano un’età fra i 6 e i 15 anni; erano ormai considerate delle figure caratteristiche della Milano, tra Ottocento e Novecento, e percorrevano la città per consegnare vestiti su misura dagli opifici tessili.

Le paghe giornaliere non superavano i 35 centesimi e il peso dello scatolone contenente i capi da consegnare recavano loro conseguenze gravi sullo sviluppo fisico.

Questo lavoro spesso si aggiungeva ad altri già realizzati all’interno dei laboratori di sartoria o addirittura nelle case private dei datori di lavoro. In aggiunta, non esistevano né ferie, né un pagamento previsto per gli straordinari.

Scoppiò quindi, nel Giugno del 1902, lo sciopero delle piscinine. Le piccole lavoratrici scesero in piazza Camposanto e marciarono fino a piazza del Duomo per reclamare i loro diritti, quali l’aumento della paga, una limitazione delle ore lavorative, il pagamento del lavoro festivo e degli straordinari e che fosse fissato un limite del peso dello scatolone da trasportare in rapporto all’età delle lavoratrici. D’altro canto, il «Corriere della sera», sminuì lo sciopero ridicolizzando le scioperanti. Fu l’Unione femminile, associazione costituita per difendere i diritti della donna, quella che probabilmente aiutò di più le giovani scioperanti e che ne intuì l’importanza.

Tutto ciò porta alla triste riflessione che purtroppo, queste condizioni lavorative precarie costituiscono la realtà odierna di molti esseri umani e tuttora la donna è soggetta a episodi di disuguaglianza in ambito lavorativo.

Ragazzine in sciopero Arianna Ermoli

Nei documenti che abbiamo consultato in Archivio, viene riportato lo sciopero avvenuto a Milano nel Giugno del 1902, messo in atto dalle così denominate piscinine.

Le “piccole ribelli”, così chiamate dai giornali di quell’epoca, scesero nelle strade per protestare contro gli abusi e lo sfruttamento che subivano nei loro “posti di lavoro”.

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Esse venivano letteralmente trattate come piccole ‘schiave’, che dovevano adempiere a doveri che non c’entravano niente con il lavoro che avrebbero dovuto imparare, come: portare scatoloni, casse da morto, lavare i piatti e fare da baby-sitter ai bambini delle “maestre”, le quali avrebbero dovuto insegnar loro il mestiere delle sarte e non sfruttarle come domestiche.

Durante il percorso che fecero per arrivare nella sala maggiore della Camera del Lavoro, le piscinine cercavano di coinvolgere altre compagne di “sventura”, ma alcune di queste si rifiutarono scatenando l’ira e lo sconforto di quest’ultime che iniziarono a prenderle a male parole lanciando loro anche gli zoccoletti, gli unici che possedevano, perché non capivano come esse potessero ancora sopportare tutti gli abusi delle loro maestre. Questo sciopero venne molto sottovalutato dall’opinione pubblica e dai giornali e le piscinine vennero derise e considerate delle stupide da tutti coloro che non potevano capire, e infine venivano etichettate come delle “bambine ribelli”. A questo punto, però le piscinine, resistettero con tutta la forza che avevano in corpo, non demorsero e riuscirono a farsi ascoltare dalle donne dell’Unione, alle quali esposero le loro richieste che, esposte alla Camera del Lavoro, vennero mese in atto. L’Unione femminile creò La Fraterna un’associazione, una società di mutuo soccorso, che si prendeva cura delle piscinine, infatti creò sotto la guida di Giovanni Mentessi una scuola di disegno dove veniva loro insegnato a disegnare semplici figure geometriche che poi avrebbero ricamato; questo luogo era inoltre un luogo di ritrovo e di svago per queste piccole guerriere. Tra il 1918-1919, si registrarono molte adesioni da parte di altre piscinine; le sorelle Righetto furono alcune delle figure di riferimento per le piscinine perché si prendevano cura di loro, assicurandosi che esse godessero di un certo benessere fisico e mentale.

Io personalmente stimo molto queste bambine che hanno lottato per il riconoscimento dei loro diritti come vere e proprie donne e che, nonostante il fatto che tutti le deridessero, hanno continuato a combattere per ciò che era giusto.

Giovanni Sottocornola, Fuori di porta

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Una società giusta deve garantire pari opportunità Lucio Forlano

La serie di documenti proposti (tra i quali alcuni articoli di giornale) tratta il tema delle cosiddette “piscinine”, le giovani apprendiste sarte, fra i 6 e i 15 anni, che percorrevano la città di Milano per consegnare vestiti su misura.

Erano sottopagate, lavoravano senza sosta con orari molto lunghi; questo indusse una protesta, che vide queste giovani bambine e ragazze avanzare diverse richieste, tra le quali: un salario minimo di 50 centesimi, la riduzione del peso dello scatolone e la riduzione delle ore lavorative.

Il tono utilizzato dai giornalisti nei giornali per descrivere lo sciopero è poco serio, e si riferisce alle piscinine come a delle bambine che non sanno quello che chiedono. Si cerca, inoltre, di descrivere in una luce negativa questo gruppo di giovani donne, con racconti di episodi di violenza e sopraffazione contro chi non avrebbe voluto partecipare a queste proteste.

Vi sono inoltre diversi paragoni con le “colleghe” torinesi e parigine che non hanno protestato. Le piscinine verranno inserite più avanti in un contesto scolastico ossia la Scuola di disegno dove venivano insegnate le discipline necessarie per progettare vestiti su misura. Si descrive inoltre l’associazione chiamata “La Fraterna”, nata da una rivolta delle piscinine del Giugno 1902.

L’Unione Femminile aiutò le giovani piscinine nella lotta per il riconoscimento dei loro diritti e portò avanti le loro battaglie, negoziando con la Camera del Lavoro.

L’ultimo testo proposto è una poesia che descrive la dura vita delle piscinine, e la loro routine quotidiana. La poesia ci offre un’interessante visione della vita di queste bambine e fa vedere la fatica e il coraggio con i quali affrontavano le loro giornate.

Commento personale:

Trovo che queste giovani donne fossero obbligate ingiustamente a svolgere un lavoro poco adatto alla loro età. Nella gioventù, penso che ci si debba innanzitutto formare per poi andare a svolger un qualsiasi lavoro.

Purtroppo, il lavoro minorile esiste ancora oggi in molti paesi, ma per fortuna molte società sono progredite verso una visione più “protettiva” verso la propria gioventù.

Non sono d’accordo con il maschilismo che regnava sovrano nella società di quell’epoca e trovo che una società vitale e giusta debba garantire pari opportunità e pari diritti a entrambi i sessi, non solo a una determinata cerchia di individui.

Trovo che il nostro paese si sia molto evoluto sotto questo aspetto, e si sia messo su una buona strada per arrivare ad eliminare le diseguaglianze di genere sia nel mondo del lavoro che nella società di tutti i giorni.

Il nostro mondo presenta ancora molte tensioni sociali che si manifestano come razzismo e sessismo che continuano a riaffiorare, e secondo la mia opinione, questo non porta nulla di buono.

Bisogna smettere di credersi migliori di altri e accettare il fatto che siamo tutti esseri umani, affrontando queste questioni con maturità e con la capacità di vivere con gli altri, non con slogan e analisi semplicistiche.

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‘La Fraterna’ Beatrice Gerosa

‘La Fraterna’ ebbe origine da uno sciopero di piscinine che scoppiò spontaneo e violento nel Giugno del 1902. La piscinina come la madamina era il nome che si dava alle bambine di età compresa tra i 6 e i 15 anni che venivano impiegate come piccole operaie, svolgendo le più disparate mansioni: apprendiste sarte, lavapiatti, cucitrici, portalettere amorose, bambinaie. La situazione e le condizioni di lavoro di queste bambine operaie erano inaudite: 10 ore di lavoro, una paga che andava dagli 8 ai 35 centesimo e lo scatolone, o come veniva da loro chiamato il telegramma, sproporzionato alla statura e alla forza di queste bambine. La piscinina che di solito non frequentava, o ben poco, la scuola elementare si formava nel laboratorio o nelle strade, ricevendo una formazione precoce per la sua età. Come ho detto precedentemente, lo sciopero scoppiò come un moto di rivolta spontaneo e senza alcun preciso programma, ma sorse dall’unione di piscinine motivate a far valere i loro diritti. Le piscinine domandavano: per una giornata ordinaria di lavoro di 10 ore, un salario di 50 centesimi, che le ore straordinarie e che le giornate festive fossero pagate il doppio quindi 10 centesimi cada una, che lo scatolone fosse modificato e alleggerito e che di conseguenza esso non fosse più il tormento deformatore delle loro piccole e deboli spalle e di essere ‘applicate’ al lavoro in modo da poter imparare il mestiere e non essere impiegate soltanto nelle mansioni più basse quasi come serve, domandavano quindi un apprentissage regolare. Lo sciopero arrivò nella sala della Camera del Lavoro ove le piscinine fecero domande, fecero anche un gran baccano, mentre altre facevano dei gesti bambineschi (come fare ginnastica su due seggiole), esponendo le loro richieste in un vero e proprio sciopero infantile. In quegli stessi giorni, anche i garzoni, ragazzi tra i 12 e i 15 anni, abbandonarono il lavoro, domandando anch’essi un aumento di paga, arrivarono alla Camera del Lavoro dove esposero le loro richieste e finirono per giocare nel cortile con le piscinine.

Fu istituita ‘La Fraterna’: efficace mezzo di educazione che diede vita anche alla scuola di disegno professionale per le piccole lavoratrici. La scuola durante la dura settimana di lavoro, mentre la domenica pomeriggio il momento ricreativo presso la sede dell’Unione davano alle piccole lavoratrici un momento di luce e il calore di una fraterna riunione.

Migliaia furono le piscinine che furono, nel corso degli anni, frequentatrici della Fraterna. Le signore che dirigevano l’Unione Femminile Nazionale avevano provveduto a venire in aiuto di questa singolare classe di lavoratrici. Le lezioni di disegno venivano tenute dal professor Mentessi, professore all’Accademia di Brera tutt’altro che ‘accademico’; infatti, per il professore non c’era

errore più grande nel far disegnare rilievi ornamentali pasticciati o le stampe di geroglifici incomprensibili considerati come modelli di stile; egli pensava che bastasse guardarsi attorno per trovare un campo di osservazione e di studio poiché anche gli antichi modelli non erano, in fondo per lui, altro che derivazione del vero. Le allieve del Mentessi non studiavano quindi gli stili, ma cominciavano dalle semplici esercitazioni di disegno geometrico a mano libera per abituarsi alla precisione e al ragionamento. Il Mentessi compì un’opera di diffusione della conoscenza della bellezza. Il lavoro delle piscinine e la loro carriera poteva essere più facile e proficua se avessero imparato a disegnare con sicurezza e se avessero saputo scegliere e abbinare i colori.

Giuseppe Mentessi, pane

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Esse non avevano “diritto al gioco” Giulia Intonato e Chiara Nardiello

Il 24 giugno del 1902 fu la data che segnò uno sciopero (quello delle piscinine a Milano), ma anche una grande rivoluzione. Le piscinine erano bambine, apprendiste sarte e modiste, che avevano fra i 6 e i 15 anni; erano figure caratteristiche della Milano tra Otto e Novecento che percorrevano la città per consegnare vestiti su misura dagli opifici tessili.

Esse erano considerate al pari di molte altre bambine e bambini, ragazzi e ragazze che lavoravano senza tutela, sia nelle campagne, che nelle fabbriche opera dell’industrializzazione della città. Inoltre, esse non avevano “diritto al gioco”, riconosciuto solo nel 1989 dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.

Al di là della forte presenza femminile nei servizi domestici, la percentuale delle donne occupate nell’industria, a Milano, all’inizio del secolo, era considerevole, la più alta del Paese, con una maggiore concentrazione nel settore del vestiario, dell’abbigliamento e in quello tessile.

L’attrazione esercitata dall’attività del cucito, sin dalla fine degli anni Sessanta era legata sia all’incremento della domanda per l’espansione dei consumi, sia al processo di industrializzazione in atto, grazie alla macchina da cucire, da poco inventata.

Con l’introduzione della nuova tecnologia, l’antica mansione del sarto venne frantumata in tanti mestieri specializzati.

Sicuramente, la rivoluzione industriale ha portato uno sfruttamento del lavoro minorile perché appunto, come abbiamo detto, le bambine di 6 anni erano già costrette a lavorare a quella età, anche in condizioni di lavoro pesanti e durante i periodi estivi si lavorava all’incirca per 16 ore. Dunque, questo sciopero ha portato un cambiamento delle condizioni lavorative migliorandole, anche a beneficio delle generazioni future.

Lo sfruttamento minorile non è una questione risolta Matilda Lazzati

Nella Milano della fine dell'800, inizio '900, le piscinine erano le piccole operaie milanesi, di età tra sei e i quindici anni che venivano impiegate come piccole operaie, e svolgevano diverse mansioni, come per esempio erano apprendiste sarte, bambinaie, lavapiatti, portalettere, che loro stesse chiamavano telegramma. Le loro condizioni di lavoro erano molto dure, infatti lavoravano 10 ore al giorno, con salario molto scarso, dagli otto ai trentacinque centesimi. Esse portavano in giro per Milano pacchi e scatoloni di grande misura, sproporzionati e pesanti per il loro esile corpicino. Le piscinine non ricevevano alcuna educazione, infatti non frequentavano la scuola elementare, e la loro formazione avveniva nelle strade o nei laboratori, una formazione non adatta alla loro tenera età. Il 24 giugno 1902 però è la data che segna un grande punto di svolta e una grande rivoluzione nell'ambito del riconoscimento dei diritti umani; fu infatti indetto lo sciopero delle piscinine. Il primo a dare la notizia di questo moto appena insorto fu proprio il Corriere Milanese. Le piscinine si riunirono in piazza Camposanto, dietro al Duomo di Milano, per protestare. Esse domandavano di avere un salario minimo di 50 centesimi (rispetto ai 20 centesimi che guadagnavano), una riduzione dell'orario lavorativo, che venisse modificato lo scatolone e alleggerito, e soprattutto di essere applicate al lavoro di modista in modo da ricevere una formazione per un mestiere che avrebbe loro garantito un futuro, domandavano quindi un “apprentissage regolare”. Nei giorni di rivolta, le piccole operaie crebbero fino ad essere centinaia a protestare per i loro diritti, cosi arrivarono alla Camera del Lavoro dove esposero tutte le loro richieste. Le signore fondatrici dell'Unione

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Femminile Nazionale avevano provveduto a venire in aiuto di questa classe di lavoratrici infantili, instituendo “La Fraterna”, ovvero una società di mutuo soccorso che fosse uno strumento di educazione per le piccole operaie che, in seguito, diede vita ad una scuola di disegno professionale, presieduta dal Professor Mentessi, dall'Accademia di Brera. Le piscinine infatti andavano al lavoro tutti i giorni, e il pomeriggio frequentavano i corsi di formazione della Fraterna. L'Unione Femminile aiutò le giovani piscinine nella lotta per il riconoscimento dei loro diritti.

Trovo che queste giovani lavoratrici abbiano avuto grande coraggio e forza d’animo, e penso sia grazie al loro contributo nella storia dello sfruttamento e maltrattamento delle donne, che oggi siamo finalmente, o almeno molto più rispetto ai secoli passati, riconosciute con tutti i diritti che ci spettano. Lo sfruttamento minorile purtroppo però non è una questione archiviata, non è risolta. Pensiamo infatti allo sfruttamento minorile in Asia, in India o in Africa tutt'ora ancora in atto, dove i bambini sono costretti a lavorare tutto il giorno nei capannoni con agenti chimici nocivi e condizioni di lavoro degradanti, che ledono i diritti umani.

Approfondimento in classe

Il diritto a percepire un salario dignitoso è sancito dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, nel Patto delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali e nella Carta sociale europea.

Anche oggi, l’industria dell’abbigliamento dà lavoro a molti milioni di persone, la maggior parte in Asia e alcuni in Europa, i quali pur lavorando per produrre quasi tutti i nostri abiti vivono in precarie condizioni economiche e sociali, vivono in condizioni igieniche e sanitarie a rischio, lavorano in luoghi pericolosi e malsani e per un numero di ore altissimo. Solo il 3% del costo di quanto acquistiamo viene dato a coloro che lavorano per produrlo e tutto questo quando, sappiamo bene che per molte famiglie il salario è necessario a coprire i costi dell’alloggio, delle spese alimentari, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria.

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Erano bambine che non frequentavano la scuola Camilla Mariani

Il 24 giugno del 1902 è la data che non solo segna uno sciopero, quello delle piscinine, ma una vera e propria rivoluzione nell’ambito del riconoscimento dei loro diritti. Le piscinine erano le piccole operaie dei ‘grandi magazzini’ di moda milanesi, bambine dai 6 ai 15 anni di età; minuscole commesse portatrici di pacchi, di scatole, di cesti talora enormi per il loro misero corpicino, erano inoltre addette a ritirare i campioni dai mercanti e a fare piccoli acquisti, l’insegnamento del mestiere era l’ultima cosa a cui si pensava. Erano bambine che non frequentavano nemmeno la scuola primaria e che si erano formate nei laboratori e nelle strade, portando i ‘telegrammi’ -come loro chiamavano gli scatoloni, in modo del tutto ironico-, una situazione decisamente non adatta a persone così piccole. Per questo, le donne che lavorano all’interno dell’Unione Femminile nazionale hanno combattuto e combattono tutt’ora, originariamente per aiutare questa ‘singolare’ classe di lavoratrici, e in un secondo momento, e anche oggi, per evitare che questa forma di sfruttamento possa succedere nuovamente. L’Unione Femminile sorse appunto, con lo scopo di cooperare all’elevazione morale ed al miglioramento intellettuale, economico e giuridico della donna. Appunto, tra il 24 e il 25 giugno del 1902, il primo a dare la notizia scioccante di questo impensabile sciopero, fu proprio il Corriere Milanese. Si parla di uno sciopero ben organizzato, preceduto da diverse riunioni tenute nella piazzetta Camposanto, dietro al Duomo. Quella mattina, un gruppo non troppo numeroso di piscinine, dopo averne reclutate altre con le buone, e se necessario, anche con le cattive (le bambine che si opponevano venivano dette ‘crumire’ e prese per i capelli per convincerle a manifestare), si radunò nel salone maggiore della Camera del Lavoro; questo gruppo nei giorni successivi, è arrivato anche a duecentocinquanta piccole manifestanti, tutte capitanate dall’organizzatrice Giovannina Lombardi. Ciò che domandavano le piscinine era un salario minimo di 50 centesimi (contro i 20 o 30 centesimi in quel momento), una riduzione di orario, che era al tempo un orario quasi insostenibile persino per un adulto, di non portare più quei pesantissimi scatoloni (già in parte sostituiti, da persone con buonsenso, con ceste più leggere o direttamente ingaggiando fattorini) ed infine, di fare un “apprentisage regolare” ossia, imparare un mestiere che avrebbe loro garantito un futuro. Molte maestre, in seguito alla lettera loro spedita dalla Camera del Lavoro, che riassumeva i desiderata delle piscinine in sciopero, il 26 giugno, dichiararono di accettare le richieste avanzate dal loro personale costituito da queste piccole, salvo qualche modifica. Fu così che, grazie a questa unione apparentemente sgangherata ed improbabile, iniziò la scalata di queste bambine, che si inserì all’interno di quello delle donne verso il riconoscimento dei pari diritti.

Io personalmente trovo assurdo che, al principio del ventesimo secolo, la gente fosse ancora così ignorante da sfruttare le bambine, sono ben consapevole che eventi come questi accadano tutt’ora in diversi paesi nel mondo, ma in questo caso stiamo parlando dell’Italia, uno Stato in pieno sviluppo. Insomma, non si tratta di fisica quantistica, mi sembra evidente quanto sia deleterio per qualsiasi bambina di 6,7,8 anni, portare scatoloni così pesanti. Penso inoltre che sia stato e sia ancora fondamentale il lavoro dell’Unione femminile nazionale, in questo momento soprattutto, per non dimenticare ed evitare che possano avvenire nuovamente questi fatti, non degni certo in un paese sviluppato come l’Italia.

Louis Emile Adan. Negozio di modista

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Una moltitudine di scioperi locali Allegra Migliavacca

Lo ‘sciopero delle piscinine ’ fu un avvenimento inizialmente sottovalutato dalla maggioranza della popolazione di Milano, come si può leggere dal Corriere Milanese del 1902 che lo definì “un incidente che ha divertito assai il pubblico”. I Milanesi dovettero poi ricredersi: in contemporanea con una moltitudine di scioperi locali come quello dei conducenti dei tram, centinaia di bambine dai sei ai quindici anni (le guide, distinte da due fasce rosse sul braccio, tenute a far rispettare l’ordine) il 24 giugno 1902, dichiarano lo sciopero, prima in Piazza Camposanto (dietro il Duomo) e successivamente, dopo aver reclutato altre ragazze, direttamente nella Camera del Lavoro. Questa reazione, purtroppo, a causa dell’insensibilità di molti, inaspettata, ebbe luogo come reazione allo sfruttamento minorile dell’epoca, che aveva come ‘scusa’ il fine di insegnare il valido mestiere della cucitrice o sarta nella piccola industria tessile o sartoria. Di insegnamento, in realtà, ce n’era ben poco: queste ragazzine venivano infatti sfruttate e usate per tutti i mestieri, “da quello delle portalettere amorose e lavapiatti a quello delle bambinaie”, essendo il più delle volte costrette a portare carichi non adatti alle loro fragili figure, cosa che spesso le esponeva a gravi conseguenze per il loro sviluppo fisico, il tutto retribuito dai 25 ai 35 centesimi al giorno, e spesso in base all’età. Le bambine in questione, alla fin fine, non domandavano cose irragionevoli e irrealizzabili: 50 centesimi al giorno come paga minima, una riduzione di orario, non portare “lo scatolone” e di essere applicate al lavoro al fine di imparare un mestiere utile al loro avvenire, non di svolgere le mansioni che sarebbero state destinate a delle domestiche e non a delle apprendiste.

Questa protesta durò dei giorni, finché, in seguito al malcontento delle clienti che non avevano ricevuto abiti e vestiti in mancanza di “fattorine”, più di quaranta maestre si recarono alla Camera del Lavoro, (la quale aveva inviato loro delle lettere che riassumevano i desideri delle ragazzine), accettando gran parte delle loro richieste, con solo piccole modifiche. L’astensione dal lavoro durò altri due giorni e ne seguirono alcuni licenziamenti.

In tutto questo, l’Unione femminile si sforzò di aiutare, accogliere e assistere queste giovani, fondando “la Fraterna” e vedendo in esse una potenzialità, attraverso l’istituzione di una scuola di disegno, presieduta dal professor Mentessi, professore all’Accademia di Brera, e la creazione di un luogo di ricreazione domenicale. Negli anni successivi, la Fraterna si occupò anche di corsi di calligrafia, disegno elementare, ginnastica …

È triste pensare allo sfruttamento che all’epoca si faceva del lavoro dei minori; questa è una realtà che ci sembra lontanissima, ormai quasi solo un ricordo raccontato dai nostri bisnonni, lontano dalla nostra esperienza nella quale il massimo sforzo è fare una lunga camminata in montagna. In fondo, bisogna essere consapevoli del valore dello studio della storia e essere grati all’azione di queste piccoline e prendere spunto dalla loro forza d’animo, dal loro coraggio e dalla loro voglia di reagire.

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“Le piscine”, piccole operaie, apprendiste, sarte e modiste Sonia Mitrione

Le piscinine erano le piccole operaie, apprendiste, sarte e modiste, che avevano tra i 6 e i 15 anni, figure emblematiche della Milano tra ’800 e ’900, che percorrevano, in lungo e in largo, le strade della città per consegnare alle signore vestiti su misura dalle fabbriche tessili.

Come molti altri bambini e ragazzi, alle piscinine non era riconosciuto il diritto al gioco e alla spensieratezza infantile. Questo diritto fu riconosciuto solo nel 1989 dalla Convenzione

internazionale sui diritti dell’infanzia.

Concentrandosi sul contesto storico del tempo, è importante sottolineare che la Lombardia visse una rapida trasformazione nelle sue tradizionali strutture economiche e sociali per via della politica protezionistica voluta dagli industriali milanesi.

Nella seconda metà del ’700, in tutt’Europa, sia pur con differenze locali, si era assistito a un’enorme espansione industriale che aveva determinato il passaggio dalla manifattura artigianale alla fabbrica meccanizzata.

Gli operai e le operaie, che sostennero fin dall’ inizio questo sforzo produttivo, vissero in condizioni quasi sempre intollerabili: la giornata lavorativa durava 15/16 ore nel periodo estivo e la disciplina sul lavoro era quasi militaresca; il ‘cottimo’ (retribuzione determinata in base alla quantità del lavoro prodotto, anziché alla sua durata nel tempo) influiva sul salario e lo sfruttamento interessava anche donne, ragazzi e bambini a partire già da 4/5 anni, sia negli stabilimenti che nel lavoro a domicilio.

Un’ informazione da non tralasciare è che la percentuale di donne impiegata nell’industria a Milano era la più alta del Paese.

Fin dagli anni Sessanta, l’attrazione esercitata dall’attività del cucito, su un numero sempre più esteso di donne, era legata sia all’incremento della domanda per l’espansione dei consumi, sia al processo di industrializzazione in atto, grazie all’invenzione della macchina da cucire.

Per poter lavorare, le donne erano costrette a organizzare la propria attività in misere stanze che si trasformavano quasi in piccoli laboratori.

Nei poveri alloggi, la tubercolosi era molto elevata e colpiva soprattutto le donne, fin dalla prima fanciullezza e fino ai trent’anni. Inoltre, i salari delle sarte erano bassi, e nel settore del vestiario, i compensi erano compresi tra meno di una lira a una lira e mezza al giorno.

Nell’attività svolta a domicilio, il lavoro veniva gravato da spostamenti e attese e l’uso del cottimo contribuiva a peggiorare il livello delle retribuzioni e a incrementare, di conseguenza, la disoccupazione.

La bambina veniva avviata al lavoro presso una sarta “in proprio”, che poteva essere la vicina di casa o un’amica della madre; successivamente, entrava nei laboratori come “piscinina”, incaricata di raccogliere spilli, e destinata a consegnare i pacchi ai clienti e a fare le commissioni.

Un evento memorabile è stato lo sciopero delle “piscinine”: bambine e ragazzine dagli 8 ai 14 anni che protestarono contro le misere paghe, le molteplici mansioni alle quali erano destinate e contro il pesante ‘scatolone’ che erano costrette a portare e che le esponeva a gravi conseguenze per lo sviluppo fisico.

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Un esercito di 250 ragazzine si recò, la mattina del 24 giugno 1902, presso i principali stabilimenti a sollecitare le compagne all’astensione dal lavoro e poi, più numerose ancora, esse si diressero alla Camera del Lavoro; qui venne costituita una commissione di giovanissime sarte e modiste e steso un memoriale da presentare alle “maestre”.

Riflessione Con l’avvento della Rivoluzione Industriale e lo sviluppo dell’industria tessile, il fenomeno dello sfruttamento minorile si è accentuato in particolar modo in tutt’Europa.

Faccio fatica a credere, ma soprattutto ad accettare che, già all’età di 4 anni, bisognasse lavorare così duramente, con paghe misere e orari di lavoro così pesanti. Per di più, l’ambiente di lavoro non era dei migliori, le condizioni igieniche erano precarie e la possibilità di contrarre malattie era elevata. Lo sciopero delle “piscinine” è stato un atto di protesta da parte di queste bambine che condivido pienamente; il coraggio di queste bambine/ ragazzine di far emergere, rendendone consapevoli anche gli altri, le loro condizioni di vita inaccettabili è un gesto da prendere come esempio e che sicuramente ha influenzato il miglioramento delle condizioni lavorative del giorno d’oggi, che contemplano: il diritto allo sciopero, quello a ricevere un salario che non dipenda dalla quantità di prodotto, ma che tenga conto delle ore lavorative che sono state necessarie a produrlo, e della qualità del prodotto stesso, e, non ultimo, un maggior rispetto delle condizioni di lavoro del lavoratore.

Una poesia per la piscinina Gaia Palmieri, Matilda Lazzati

La poesia “La Piscinina” scritta da G. Porro-Schiaffinati era destinata alla società della Fraterna e oggi è conservata nell’archivio storico dell’Unione Femminile a Milano, ci narra la tipica giornata di una piscinina.

Anche la poesia, come la letteratura nel suo complesso, può essere letta come un documento storico. La poesia ci descrive il momento in cui la piscinina, dopo aver lavorato tutto il giorno, girando su e giù per Milano, torna a casa esausta e affamata. Dopo aver mangiato gli avanzi, ormai freddi, della cena, va sul pianerottolo a chiacchierare con le vicine. Quando si fa tardi, la mamma la chiama per andare a dormire e, prima di addormentarsi, madre e figlia ricordano insieme il padre defunto.

La notte sogna di essere una gran signora, ammirata per la sua bellezza, eleganza e ricchezza; ma all’improvviso, si sveglia sentendo i rimproveri della madre che le dice di svegliarsi. Salta giù dal letto e a malincuore torna a pensare ai suoi doveri: i suoi scatoloni.

La società è cambiata e la forza di reagire alle ingiustizie si è spenta Piccin Sara

La giornata lavorativa delle piscinine toccava le 15 ore, il salario era estremamente basso, di conseguenza si può affermare che si trattasse di sfruttamento. Ma chi erano le “piscinine”? Erano giovani donne, anzi, bambine la cui età variava dai 5-6 anni ai 14-15, sfruttate per lavori manuali poiché erano veloci e le loro piccole dita erano più precise rispetto a quelle di una persona adulta, venivano assunte per lavorare negli stabilimenti o a domicilio, erano inoltre impegnate soprattutto nel settore tessile e del vestiario. Non era loro permesso frequentare la scuola primaria, correvano e trascinavano pacchi e scatoloni di massa elevata per il loro piccolo corpicino esile. Finalmente però, il 24-25 giugno 1902, queste giovani fanciulle organizzarono uno sciopero che diede inizio a una vera rivoluzione che crebbe giorno dopo giorno. Chiesero di aumentare il salario, di non portare più quegli enormi pesi e di ridurre l’orario di lavoro, ma soprattutto di fare un “apprentissage regolare”. Dopo aver conseguito l’approvazione di alcune richieste il 26 giugno, si fondò la Fraterna e una scuola di disegno professionale diretta dal pittore Mentessi, così, le piscinine iniziarono la “scalata” per i loro diritti.

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Riflettendo su questo fatto, mi viene da pensare che lo sfruttamento sia un atto spaventoso, non si può nemmeno immaginare che cosa potessero pensare quelle piccole bambine nella loro fragile mente, bambine probabilmente traumatizzate e illuse a tal punto da credere che fare quel lavoro e venire usate e sfruttate in tal modo fosse normale. Ancora oggi, esiste lo sfruttamento minorile ma solo in alcuni paesi del mondo, rispetto all’epoca, ma ciò non significa che sia giusto che ancora oggi non sia del tutto scomparso.

È inoltre imparagonabile la società del tempo con quella di oggi, delle nuove generazioni, tra le quali, anche un ragazzo di 16 anni che “lavora” dopo la scuola per aiutare in casa sembra un caso di sfruttamento. La società è molto cambiata, ma non sempre in meglio: la forza e la voglia di reagire alle ingiustizie delle persone si è spenta, penso all'indifferenza odierna di gran parte della popolazione verso i problemi di sfruttamento. Possiamo solo essere affascinati dalla resistenza e dalla forza d’animo di queste giovani fanciulle.

Un’immensa forza lavoro Chiara Pozzi

Siamo già tra gli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento, quando Milano è investita da un’esponenziale crescita industriale, e vi era necessità di un’immensa forza lavoro per compensare la mancanza di manifattura meccanizzata.

Operai e operaie erano costretti a condizioni e ritmi di lavoro estenuanti, come il monte ore lavorativo che spesso sfiorava le 20 ore consecutive; erano pagati poi con pochi centesimi di soldi. I settori in maggiore sviluppo erano senz’altro quelli tessile e dell’abbigliamento che per andare in pari con le richieste del mercato, non mancarono di sfruttare donne e soprattutto bambine. Ma con l’avvento delle neo-industrie, arrivarono problemi come la disoccupazione e la povertà per le donne che prima lavoravano in queste fabbriche perché la produzione necessitava di manodopera solamente per piccole manifatture come guanti, pizzi, orli…

Cosicché, le grandi case d’abbigliamento decisero di creare macchine per tessere con dimensioni ridotte affinché quest’ultime potessero essere utilizzate nell’ambito domestico. Lo stretto rapporto tra abitazione e laboratorio non era quindi occasionale, ma era legato ad una precisa strategia imprenditoriale che mirava ad una riduzione generale dei costi, grazie al risparmio negli impianti e al ricorso a maestranze dal basso potere contrattuale. Ora questi innumerevoli pacchi che si formavano di tessuti lavorati venivano portati dalle piscinine, bambine che apprendevano il mestiere nelle fabbriche ed erano utilizzate come ‘carrucole’ per pacchi e raccoglievano aghi e scarti di tessuti. Siamo nel 1902, quando un esercito di piscinine si diressero alla Camera del Lavoro per protestare contro le misere paghe, le molteplici mansioni a cui erano adibite, e contro il pesante scatolone che erano costrette a portare, esponendole a gravi conseguenze per lo sviluppo fisico, data la loro età. Inizialmente, vennero derise anche dall’opinione pubblica in quanto si diceva che fossero piccole e “stupide”, ma vedendo che la ribellione non era un’azione destinata a calmarsi da sola, le sartorie decisero di appoggiare le richieste di queste bambine, alcune delle quali erano:

1- minimo di paga giornaliera cent. 50

2- dieci ore di lavoro al giorno e un’ora di intervallo per la colazione

3 – pagamento delle ore fatte in più dell’orario

4 – abolizione dei servizi domestici

5 – paga settimanale

6 – il lavoro domenicale retribuito con il 100% di aumento

7 – riduzione dello scatolone in modo che le bambine fino a nove anni non portino un peso superiore a 4 kg e fino a 12 anni non superiore a 10 kg».

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L’Unione femminile fu una società di donne importante per il buon fine di questa sommossa infantile, infatti alcune donne dell’Unione avviarono un intenso scambio epistolare con il capo della Camera del Lavoro del tempo poiché esse ne avevano intuito l’importanza.

Una vera e propria Rivoluzione nell’emancipazione femminile Francesca Rossini

Le “piscinine” erano bambine, dai 6 ai 15 anni di età, che lavoravano come operaie nell’industria tessile milanese, ogni giorno correvano, per le vie della città, a centinaia, portando enormi scatoloni e grandissimi pesi, nonostante la loro esile figura.

Alle fanciulle non era permesso di frequentare la scuola primaria, ma dovevano essere formate nelle strade, portando i ‘telegrammi’ (nomignolo scherzoso dato agli scatoloni) perché non potevano accedere a una vera e propria istruzione, che sarebbe stata decisamente più adatta alle bambine della loro età.

Tra il 24 e il 25 giugno del 1902, le “piscinine” organizzarono uno sciopero che diede inizio ad una vera e propria ‘rivoluzione’. Quella mattina, un gruppo di piscinine, si radunò nel salone maggiore della Camera del Lavoro; nei giorni successivi, il numero di piccole manifestanti crebbe in maniera esponenziale e agli occhi dei contemporanei spropositata, tanto che esse arrivarono a un numero di duecentocinquanta, capitanate dalla figura di Giovannina Lombardi.

In questa vera e propria rivoluzione, le fanciulle chiedevano semplicemente di veder aumentato il loro salario dai venti o trenta centesimi, che ricevevano, ad un salario minimo di 50 centesimi; chiedevano, inoltre, di non portare più pesantissimi scatoloni, una riduzione dell’orario di lavoro, ed infine, di fare un “apprendisage regolare” ovvero, di imparare un mestiere affinché potessero in futuro mantenersi in maniera del tutto autonoma.

Il 26 giugno, la Camera accettò, in parte, le richieste delle “piccole donne” e da quel momento iniziò la “scalata” per il conseguimento del riconoscimento dei loro diritti.

Personalmente, penso che lo sfruttamento, e soprattutto lo sfruttamento del lavoro minorile, sia un fatto gravissimo e che, anche ai giorni nostri, sia una piaga che stenta ad essere rimarginata. Per questo motivo, penso che sia molto importante il lavoro che l’Unione Femminile Nazionale si è sempre impegnata e si impegna anche oggi a fare per i diritti delle donne in campo lavorativo e più in generale nella società, tanto da garantire uno sportello di assistenza legale gratuita per il Diritto di famiglia.

Molti sono i traguardi raggiunti nell’emancipazione femminile sotto tutti gli aspetti, sociali, economici, lavorativi etc., la strada però è ancora lunga per arrivare ad una parità di genere, ma sono certa che le donne, vero motore del mondo, ce la faranno.

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La scuola di disegno diretta dal Mentessi Daniela Saporito

Le piccole bambine operaie, tra i sei e i quindici anni, chiamate col nome di “piscinine” dai milanesi erano sottopagate e costrette a lavorare per moltissime ore al giorno. Tra i vari tipi di lavoro che erano obbligate a svolgere, esse erano impiegate anche come commesse portatrici di pacchi, di scatole, di cesti, talora enormi per i loro miseri corpicini.

Solitamente, queste piccole, ma grandi, lavoratrici non frequentavano neppure la scuola elementare, si formavano nel laboratorio e nelle strade anche se questa era un’istruzione non adatta alla loro età.

A Milano, ci fu un avvenimento clamoroso ed improvviso, una piccola rivoluzione fatta scoppiare da queste ragazzette che chiedevano solo delle condizioni più umane e ragionevoli: 50 centesimi al giorno come minimo di paga, 10 ore di lavoro e di poter portare una scatola proporzionata alla loro età e corporatura.

L’Unione Femminile venne loro in aiuto: presso la sua sede storica, esse trovarono un ‘ricreatorio’ domenicale ed una scuola di disegno, diretta dal Mentessi, professore dell’Accademia di Brera ed autore illustre di molti quadri memorabili per il loro significato umano, nonché per la maestria pittorica.

Nel corso di queste lezioni, le fanciulle non solo dovevano intendere le spiegazioni, ma bisognava anche che si interessassero al disegno e che l’osservazione e l’esercizio diventassero un po’ un piacere poiché le future ricamatrici, modiste, tagliatrici e disegnatrici di stoffe dovevano vedere subito la praticità, ovvero tutte le possibili applicazioni, di tale studio. Le piscinine del Mentessi non studiavano la storia dell’arte dato che non ne avevano il tempo e in più non avrebbero saputo che farsene. All’inizio, esse incontravano delle difficoltà materiali e meccaniche che andavano superate per creare dei lavori ben fatti. La mano doveva essere educata a svolgere esattamente ciò che la mente pensava e l’occhio doveva essere educato ad avere una sicurezza sufficiente ad afferrare e confrontare le forme; da questo fine derivava la necessità di cominciare con semplici esercitazioni di disegno geometrico a mano libera, in modo da scoprire l’errore ed abituare l’allievo a una preziosa esattezza. Il Mentessi ha anche esposto minutamente, in testi, il suo sistema didattico utilizzato nell’Insegnamento razionale dei primi elementi del disegno. Egli vi illustra uno dei temi in apparenza elementare: insegnare a tracciare linee curve, miste, spezzate. Egli sa come insegnare a raccordare le rette e gli archi con armonia ed equilibrio. Il suo metodo d’insegnamento, quale emerge dalla lettura del suddetto libro, si può riassumere in un concetto molto semplice: acquisizione delle forme e nozioni geometriche per abituare alla precisione e al ragionamento; acquisizione del controllo geometrico nella riproduzione degli oggetti piani o solidi; studio e apprendimento della capacità di combinare le forme naturali con intrecci geometrici, per dar vita alle prime composizioni decorative. Il Mentessi, inoltre, progetta uno strumento molto utile nella riproduzione di oggetti di piccola dimensione in modo da rendere indipendente l’allievo, anche dopo poche prove elementari, e da fornirgli un controllo sicuro del proprio occhio. Si tratta di una cartella che si apre ad angolo retto e che porta sulle facce interne un reticolato. Gli oggetti contenuti fra i due piani della cartella avranno necessariamente diversi punti comuni col reticolato, perciò il contorno loro sarà determinabile con la più grande esattezza. Il professor Mentessi manifestava una spiccata attenzione alla precisione: tutto doveva essere esatto, la parola come il segno della matita. Le ragazze lavoratrici compresero subito la ragione della sua severità e che la loro carriera avrebbe potuto essere più semplice e sicura se esse avessero imparato a disegnare con sicurezza, se avessero saputo scegliere e combinare bene i colori delle stoffe o dei fili e dimostrare un po’ di buon gusto.

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Rosa Genoni che, a fianco della sua professione di ‘stilista’, continuò il suo impegno politico e femminista per i diritti delle donne.

Il Tempo, 1902, le “piscinine” in sciopero “Le lavoratrici più sfruttate, più affaticate, meno pagate e le più igienicamente e moralmente insidiate” furono sicuramente le piscinine che lavoravano presso sarte e modiste per apprendere il loro mestiere.

Lavoravano quanto le donne adulte, ma venivano sfruttate e fatte lavorare in condizioni veramente deplorevoli. La loro paga variava da 25 a 35 centesimi al giorno e avevano, inoltre, l’obbligo di portare il pesante scatolone, detto anche telegramma nel loro gergo, che le esponeva a gravi conseguenze per il loro sviluppo fisico, data la loro giovanissima età.

Per combattere queste ingiustizie, create dalle loro condizioni sociali e dalle condizioni lavorative, le piscinine dichiararono sciopero il 23 giugno del 1902.

Alle sette e mezzo del mattino, 250 piscinine scesero in piazza Camposanto per fare valere i propri diritti con spirito battagliero; al loro fianco, emergevano Maria Cabrini e Carolina Annoni, come due benefiche madri collettive, intente a mantenere nei limiti necessari quella esuberanza d’animi giovanili, quasi infantili.

Occorse l’arrivo del segretario generale della Camera del Lavoro, Scaramuccia, per ripristinare un po’ d’ordine nella discussione.

Egli si rese disponibile ad ascoltare i desideri delle piccole lavoratrici e domandò loro se volessero 50 centesimi al giorno e in più l’abolizione dello scatolone, ad entrambe le domande risposero con un forte “si” e il buon Scaramuccia fu costretto ogni tanto a richiamare all’ordine le molte piccole scioperanti, che si davano ad esercizi più adatti all’età loro.

Le piscinine chiesero, infatti, per una giornata ordinaria di lavoro di 10 ore, un salario di cinquanta centesimi; chiesero che le ore straordinarie e quelle delle giornate festive fossero pagate il doppio,

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cioè, dieci centesimi cadauna; che lo scatolone fosse modificato, alleggerito, così da non deformare le gracili e deboli spallucce di bimbe malnutrite; chiesero infine di essere applicate al lavoro in modo da poter imparare il mestiere e non di essere impiegate soltanto nelle mansioni più basse, di serva, di lavapiatti, di facchine ecc...

In conclusione, lo Scaramuccia raccomandò la serietà e la calma, e alle ore 17 mandò a casa le piscinine, riconvocandole per il giorno seguente alle ore 9.

Durante lo sciopero, si può ricordare una scena che fa capire quanto queste piccole lavoratrici fossero ben coscienti della situazione in cui si trovavano e con quanto coraggio e serietà lottassero per far valere i loro diritti; la mamma di una piscinina - un’operaia anch’essa- cercava di persuadere la propria figlioletta a non unirsi alle scioperanti e a tornare a lavoro, ma la bimba pose fine alla discussione, rispondendole che lei voleva guadagnare cinquanta centesimi al giorno e che voleva aiutarla a mantenere la famiglia. Una volta baciata rapidamente la mamma, scappò, confondendosi nella folla delle scioperanti.

A mio parere, le “piscinine” sono state molto coraggiose e audaci nell’intraprendere uno sciopero per fare valere i propri diritti.

Nonostante la loro giovanissima età, esse si sono battute per ciò in cui credevano e volevano. Questo è molto ammirevole perché molte persone, anche se adulte, non sarebbero disposte ad esporsi ad una situazione simile, ma piuttosto continuerebbero a sottostare a regole ed imposizioni anche se del tutto sbagliate.

La Fraterna " La Fraterna" ebbe origine dallo sciopero delle piscinine che scoppiò spontaneo e violento nel Giugno del 1902. Le ragazzine ribelli erano scese in piazza a proclamare i loro diritti, e in quel momento fecero presenti a tutti le loro condizioni miserevoli di vita e di lavoro; queste erano tali, da rivelare quale fosse la vera causa della rovina fisica e morale di molte fra loro, povere bambine operaie.

Dapprima, la Camera del Lavoro le accolse e ascoltò le loro richieste, poi Rebecca Calderini e Bice Cammeo le condussero all’Unione, ritenendo che quello fosse il luogo più adatto per loro, essendo il suo scopo fondamentale e statutario difendere l’infanzia.

L’Unione si occupò ammirevolmente della giusta causa delle piscinine. Fondò la “Fraterna”, la scuola di disegno professionale per le piccole lavoratrici, diretta dal Pittore Giuseppe Mentessi, esercitando a loro vantaggio un’azione educatrice e insieme dando loro qualche ora di gioia e di svago. Inoltre, l’Unione ottenne che il loro memoriale venisse accolto dalle maestre e propugnò le loro ragioni.

La Fraterna, costituitasi dapprima nei bellissimi locali di Via Monte di Pietà, fu e rimase una associazione di donne che diedero, “con intensa comprensione, le forze vive del loro cuore, perché altri cuori siano illuminati, confortati, e rimanga loro, durante la settimana di lavoro, la luce e il calore delle fraterne riunioni.

Le piccole operaie apprendiste nelle sartorie Gaia Schiavone

Le piscinine, definite così per la loro giovane età, compresa tra i sei e quindici anni, erano delle piccole operaie apprendiste nelle sartorie e nei magazzini di moda milanese. Esse erano apprendiste per modo di dire, viste le circostanze: queste bambine di corporatura esile, avevano il compito di portare pacchi, scatole e cesti a dir poco pesanti per il loro corpicino, perciò si può dire che l’insegnamento del mestiere, in realtà, fosse l’ultima cosa a cui si pensava.

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In più, come se tutto ciò non fosse già abbastanza, la loro paga era minima e il loro tempo libero lo era altrettanto. Fu sulla base di questa situazione che, tra il 24 e il 25 giugno del 1902, sul Corriere della Sera apparve la notizia scioccante, di uno sciopero di piscinine, in occasione del quale esse ottennero l’appoggio dell’Unione Femminile Nazionale. Questo sciopero, non era uno sciopero come gli altri, a modo suo, era ben organizzato. Si trattava di uno sciopero che scoppiò spontaneo e violento, durante il quale le piccole ribelli scesero in piazza a proclamare i propri diritti. Inizialmente, quella mattina un gruppo non troppo numeroso di piscinine fu accolto alla Camera del Lavoro, dove però, nei giorni successivi, si trovarono duecentocinquanta piccole manifestanti. Successivamente, vennero spostate all’Unione, ritendendo che questo fosse per loro un ambiente più adatto in quanto il suo compito era proprio quello di proteggerle e aiutarle a lottare per i propri diritti. Ciò che domandavano era una paga di un minimo di 50 centesimi, una riduzione d’orario, l’abolizione del trasporto di quei pesantissimi pacchi e infine un “apprentissage regolare” ovvero volto ad imparare un mestiere che fosse utile nel futuro. Era il 26 giugno, quando parte delle loro richieste vennero prese in considerazione e accolte, grazie anche alla Unione femminile che aveva fondato La Fraterna, accompagnata dalla creazione di una scuola di disegno professione per le piccole lavoratrici diretta dal pittore Mentessi. La mia opinione personale è che è impensabile pensare che delle bambine di età tra i cinque e i quindici anni venissero sfruttate, perché la parola corretta è questa, per trasportare pacchi e scatoloni di peso maggiore rispetto al loro. In realtà, la parola impensabile non è quella giusta dato che ancora oggi, nonostante più di un secolo di distanza, ci sono paesi in cui lo sfruttamento minorile è ancora presente. Per queste ragioni, trovo che il lavoro svolto dall’Unione Nazionale Femminile sia un’ottima risorsa e che sia fondamentale per non dimenticare l’accaduto, per non ripetere gli errori, e intervenire anche oggi in caso di quest’ultimi.

Analisi dei documenti contenuti nell’Archivio storico dell’Unione femminile nazionale Veronica Vai

I documenti che ci sono stati proposti, risalenti all’inizio del XX secolo, possono darci un’idea ben chiara della condizione di lavoro delle cosiddette “piscinine”, giovani apprendiste sarte e modiste che percorrevano tutta la città di Milano per consegnare vestiti su misura. Le piscinine non solo venivano sottoposte a un grande sforzo fisico non adatto alla loro età (le giovani ragazzine avevano tra i 6 e i 15 anni), ma erano inoltre sotto pagate e i loro orari lavorativi erano decisamente troppo lunghi.

Nel frattempo, iniziava a sorgere tra le masse operaie una coscienza dei propri diritti sul lavoro, una prima forma di cultura sindacale e fu grazie a questa che le piscinine decisero di organizzare uno sciopero nel 1902 in cui avanzarono richieste: un salario minimo di 50 centesimi e la riduzione sia delle ore lavorative che del peso degli scatoloni. Per circa una settimana, le giovani scioperanti attraversarono le strade della città di Milano, urlando “L’inno dei lavoratori”, e secondo i giornali, obbligando le ‘crumire’ a prender parte, seppur con la forza, allo sciopero indetto. Fu così che i giornali, come possiamo leggere nel documento del "Corriere Della Sera”, cercarono di minimizzare i fatti per ridicolizzare le scioperanti e fare in modo che le loro proteste passassero in secondo piano. Venivano infatti considerate bambine incoscienti delle proprie richieste nonché violente. Inoltre, nell’articolo le paragonarono alle loro “colleghe” Torinesi le quali non avevano protestato. Da questa protesta del 1902, nacque un’associazione di mutuo soccorso chiamata “La Fraterna” i cui scopi erano solidarietà, previdenza sociale e istruzione. A questa associazione fu

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annessa una scuola di disegno professionale, dove venivano insegnate le discipline per progettare vestiti su misura, diretta dal pittore e insegnante di Brera Giuseppe Mentessi.

Grazie alla loro protesta, le piscinine ottennero il riconoscimento di una serie di diritti tra i quali questo spazio apposito per loro, dove poter studiare e crescere e ottennero l’ospitalità da parte dell’Unione Femminile.

I documenti contengono anche una poesia scritta in dialetto milanese che descrive la tipica giornata di una Piscinina.

Commento:

Questa presa di coscienza della propria condizione di sfruttamento da parte delle piscinine, la quale è solo un esempio di lotta sindacale in confronto alle numerose avvenute nel corso del tempo, servì per ottenere il riconoscimento di molti diritti e per migliorare le condizioni della propria vita lavorativa.

Nonostante ciò, ancora oggi assistiamo a numerose gravi situazioni di sfruttamento del lavoro minorile sia nel nostro Paese che in tutto il mondo occidentale. Secondo me, sarebbe necessario diffondere una coscienza civile di questo grave problema in modo che si possano spingere almeno i paesi più civilizzati a migliorare questa condizione sociale per mezzo di una legislazione più protettiva nei confronti dei minori. Ho trovato i documenti molto interessanti e ho capito quanto sia fondamentale l’utilizzo degli archivi in quanto che essi contengono le fonti originali che sono testimonianza del nostro passato e della nostra storia.

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Quest’opera d’arte ci mostra il valore dell’abito (e del corredo), in particolare di quello da sposa, nella vita di una donna (e non solo nel ceto borghese, il corredo era importante per le ‘ragazze’ di diverse estrazioni sociali) e conseguentemente il valore del lavoro necessario a tesserlo, cucirlo, confezionarlo…

Gaele Covelli, La prova dell’abito da sposa

Il lavoro minorile, visto attraverso il ritratto della piscinina del Longoni (la pittura come documento storico)

"La piscinina" di Emilio Longoni è un’opera del 1891. La rappresentazione della bambina è nel complesso realistica e il volto della piccola molto espressivo. I volti da lui rappresentati risentono stilisticamente dell'esperienza pittorica napoletana. Per la creazione di questi ritratti, l’artista partiva dallo studio del dato reale e il colore utilizzato presentava inizialmente una maggior consistenza di materia, mentre via via che dipingeva, la tavolozza si arricchiva di nuove cromie. Osserviamo che

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Longoni oltrepassa i confini della pittura di genere per offrirci un vero e proprio ritratto, nell’intento di conferire dignità al soggetto.

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La piscinina, una poesia dialettale di Piera Bottini (la letteratura dialettale come documento storico) http://www.elioborgonovo.it/le-rubriche/letture/815-piscinina-doma-de-statura In Milan, tò territòri mì te vedi sgambettà e in del mezz di mè memòri nò.. t'hoo nò desmentegaa Cara bella piscinina cont el nòmm pussee adattaa per mej dì, de galoppina sempr'in gir per la città Cent e cent i tò mansion! Tì, on niascin ben desgaggiaa cont in man el scatolon, per pòcch ghèi ben guadagnaa Furba, svelta e maliziosa te portavet bigliettin per la Ròsa, la Graziosa ai pontell di sò spincin Te godevet del comprà ai tosann la colazion quand i tò manitt garbaa sleggeriven i porzion. Te battevet anch la fiacca, sì... on quèi dì l'andava nò, nò perchè te seret stracca... ma el giugà 'l tentava anmò. Sbarattaa i tò oggitt su i vedrinn illuminaa, te vardavet i fiolitt coi sò mamm accompagnaa.

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Te sentivet nostalgia per i banch de la toa scòla maliziosa, desgaggiada. ma pur semper 'na popòla. Te regòrdi piscinina con rispett e devozion, perchè i sògn de tosettina t'hinn restaa in del scatolon.

Milano, una piscina con il suo carico