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LA STAMPA 30/11/1973 A Cesana muratori minacciati dal racket Due muratori torinesi sono stati minacciati dal «racket delle braccia» a Cesana, in Alta Val di Susa. La magistratura, per questo episodio, ha incriminato l'impresario edile Giuseppe Lazzaro, 32 anni, abitante a Susa in via Couvert 18. Il Lazzaro, che lavora in un cantiere di Cesana ed è noto anche come «il padrino», è stato incriminato per tentata violenza privata e intermediazione della mano d'opera, con tangente sugli operai. Il Lazzaro, nei giorni scorsi, spalleggiato da quattro suoi dipendenti: Luigi Giuffrida, 23 anni; Nunzio Meili, 24 anni; Antonino Grasso, 24 anni; Emilio Bandiera, 21 anni, tutti immigrati abitanti a Cesana, e da un giovane di Bardonecchia che è rimasto sconosciuto, avrebbe affrontato due muratori torinesi che lavorano per la ditta Sefo. Il Lazzaro e lo sconosciuto avrebbero minacciato più volte Salvatore Francesco, di 30 anni, muratore abitante a Torino in corso Casale 83, e Antonio Furia, di 28 anni, abitante a Torino in via San Tommaso 9, riquadratore, pretendendo che abbandonassero la «Sefo» per andare a lavorare sotto il Lazzaro. I due erano già stati minacciati altre volte dallo sconosciuto. Alla pensione Alba, di Cesana, si sarebbe avuta un'altra intimidazione. I due operai torinesi avvertivano allora il maresciallo Peraro, di Cesana, ed il brigadiere Tessari, di Susa. g. d. LA STAMPA 25/06/1978 Da porto di armi improprie alla rissa, ai reati di oltraggio e resistenza. Sono Pietro Latona, 22 anni, via Martiri della Libertà 3; Raimondo Boninconto, 20 anni, meccanico, anch'egli abitante in via Martiri della Libertà: Roberto Battista. 35 anni, meccanico, attualmente In servizio militare, via Montanaro 10; Sebastiano Saveris, 20 anni, via Abegg 22, operalo; Antonio Federico, 23 anni, via Martiri della Libertà 17; Salvatore Lazzaro, 27 anni, meccanico, ed il fratello Benedetto, 37 anni, Impresario edile, e Gaetano, 35 anni, meccanico, tutti abitanti in via Oulx 21. La rissa era nata da un diverbio tra il Latona (spalleggiato da Raimondo Bonlnconto) e Benedetto Lazzaro, che avevano concluso quel litigio con una prima scazzottata. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, nel pomeriggio dello stesso giorno venne poi intrapresa una spedizione punitiva a cui presero parte i fratelli Lazzaro ed altri tre giovani: durante lo scontro tra i due gruppi rivali comparvero armi da taglio ed oggetti contundenti che ferirono Benedetto Lazzaro e Sebastiano Saveris (il primo, colpito da una coltellata al dorso, è stato medicato all'ospedale di Susa e giudicato guaribile in nove giorni; il secondo, anch'egli ferito alla schiena, ha avuto una prognosi di dieci giorni). A conclusione delle indagini i carabinieri hanno arrestato tutti i contendenti che ora sono rinchiusi nelle carceri di Susa... LA STAMPA 16/03/1988 Si indaga su «interventi» nei guai fiscali di amici Il Procuratore militare inquisito per corruzione Si indaga su «interventi» nei guai fiscali di amici Il

Dossier giornali c'è lavoro e lavoro

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Page 1: Dossier giornali c'è lavoro e lavoro

LA STAMPA

30/11/1973

A Cesana muratori minacciati dal racket Due muratori torinesi sono stati minacciati dal «racket delle braccia» a Cesana, in Alta Val di Susa.

La magistratura, per questo episodio, ha incriminato l'impresario edile Giuseppe Lazzaro, 32 anni, abitante a Susa in via Couvert 18. Il Lazzaro, che lavora in un cantiere di Cesana ed è noto anche come «il padrino», è stato incriminato per tentata violenza privata e intermediazione della mano d'opera, con tangente sugli operai. Il Lazzaro, nei giorni scorsi, spalleggiato da quattro suoi dipendenti: Luigi Giuffrida, 23 anni; Nunzio Meili, 24 anni; Antonino Grasso, 24 anni; Emilio Bandiera, 21 anni, tutti immigrati abitanti a Cesana, e da un giovane di Bardonecchia che è rimasto sconosciuto, avrebbe affrontato due muratori torinesi che lavorano per la ditta Sefo. Il Lazzaro e lo sconosciuto avrebbero minacciato più volte Salvatore Francesco, di 30 anni, muratore abitante a Torino in corso Casale 83, e Antonio Furia, di 28 anni, abitante a Torino in via San Tommaso 9, riquadratore, pretendendo che abbandonassero la «Sefo» per andare a lavorare sotto il Lazzaro. I due erano già stati minacciati altre volte dallo sconosciuto. Alla pensione Alba, di Cesana, si sarebbe avuta un'altra intimidazione. I due operai torinesi avvertivano allora il maresciallo Peraro, di Cesana, ed il brigadiere Tessari, di Susa.

g. d.

LA STAMPA

25/06/1978

Da porto di armi improprie alla rissa, ai reati di oltraggio e resistenza.

Sono Pietro Latona, 22 anni, via Martiri della Libertà 3; Raimondo Boninconto, 20 anni, meccanico, anch'egli abitante in via Martiri della Libertà: Roberto Battista. 35 anni, meccanico, attualmente In servizio militare, via Montanaro 10; Sebastiano Saveris, 20 anni, via Abegg 22, operalo; Antonio Federico, 23 anni, via Martiri della Libertà 17; Salvatore Lazzaro, 27 anni, meccanico, ed il fratello Benedetto, 37 anni, Impresario edile, e Gaetano, 35 anni, meccanico, tutti abitanti in via Oulx 21. La rissa era nata da un diverbio tra il Latona (spalleggiato da Raimondo Bonlnconto) e Benedetto Lazzaro, che avevano concluso quel litigio con una prima scazzottata. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, nel pomeriggio dello stesso giorno venne poi intrapresa una spedizione punitiva a cui presero parte i fratelli Lazzaro ed altri tre giovani: durante lo scontro tra i due gruppi rivali comparvero armi da taglio ed oggetti contundenti che ferirono Benedetto Lazzaro e Sebastiano Saveris (il primo, colpito da una coltellata al dorso, è stato medicato all'ospedale di Susa e giudicato guaribile in nove giorni; il secondo, anch'egli ferito alla schiena, ha avuto una prognosi di dieci giorni). A conclusione delle indagini i carabinieri hanno arrestato tutti i contendenti che ora sono rinchiusi nelle carceri di Susa...

LA STAMPA

16/03/1988

Si indaga su «interventi» nei guai fiscali di amici

Il Procuratore militare inquisito per corruzione Si indaga su «interventi» nei guai fiscali di amici Il

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generale Tattoli: «Il mio comportamento è sempre stato corretto»

Una poco elegante raccomandazione, oppure un interessato intervento per proteggere alcuni amici finiti nei guai con la Guardia di Finanza? E' l'interrogativo al quale sta cercando di dare una risposta il sostituto procuratore della Repubblica, Bruno Tinti, il quale, tre giorni fa, ha aperto un'inchiesta per corruzione sul procuratore militare, Giuseppe Tattoli, 70 anni, il suo segretario, l'appuntato della Finanza Ignazio Ferrauto, 39 anni, e i fratelli Gaetano, Salvatore, Giuseppe e Benedetto Lazzaro, parenti del Ferrauto e tutti, in qualche modo, legati alla gestione di un bar pizzeria di piazza Trento a Susa (Benedetto Lazzaro è anche consigliere nella stessa città). Il gen. Tattoli è dal 1950 a Torino, ha rappresentato l'accusa in migliaia di processi. Da lui dipende, dal 1978, l'amministrazione della giustizia sui militari del Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta e mezza Lombardia. Appena ricevuta la comunicazione giudiziaria e vistosi perquisire casa e ufficio, il generale si è presentato, accompagnato dai suoi legali, gli avvocati Geo e Oliviero Dal Fiume, al dott. Tinti per essere interrogato. Ieri, ha deciso di porsi in congedo straordinario: »Per meglio difendere il mio operato che è sempre stato corretto». I fatti, oggetto dell'inchiesta, risalirebbero al giugno dell'anno scorso quando la Finanza di Susa si presentò nel bar pizzeria dei fratelli Lazzaro per una verifica fiscale. Un intervento, pare, un po' rude: « i miei clienti - dice l'avv. Costanzo, che assiste tutti e quattro i fratelli — furono addirittura fermati per strada». Il lavoro dei finanzieri nel bar pizzeria di piazza Trento si prolungò per più giorni: vennero posti sotto controllo anche i telefoni del Lazzaro. E proprio nel corso di queste intercettazioni sarebbero state registrate delle telefonate nelle quali i Lazzaro e, forse, il Ferrauto (è difeso dall'avv. Piovano) affermavano la necessità «di far intervenire il generale». E mentre la Finanza era ancora impegnata nei suoi controlli il gen. Tattoli si sarebbe presentato nel bar: «Ero a Susa — avrebbe affermato — per accompagnare mia moglie e decisi di passare da piazza Trento per salutare persone conosciute attraverso il mio segretario. Sulle telefonate non so proprio cosa dirvi». Un'altra circostanza che sarebbe stata contestata al procuratore militare è di avere, il giorno dopo la visita a Susa, parlato dei guai giudiziari che stavano capitando ai fratelli Lazzaro con un colonnello della Guardia di Finanza: «i fratelli mi avevano esternato la loro protesta per i metodi seguiti dai finanzieri di Susa e io mi sono solo permesso di accennarli a quell'ufficiale, casualmente capitato nel mio ufficio. Nulla di più».

b. min.

LA STAMPA

10/03/1993

NEL MIRINO COSTRUTTORE DELLA VALLE DI SUSA

Nel mirino della Guardia di Finanza è tornato un imprenditore di Susa, Benedetto Lazzaro, che ha avuto in appalto dalla Sitaf lavori per 12-13 miliardi. I finanzieri, ieri, hanno perquisito le sedi delle tre società che fanno capo a lui: la «Lazzaro Sas», in via Rocchetta 1 a Susa, la «Gillio Sas» a Chiusa San Michele, e la «Ital.Co.Ge» di via Sant'Anselmo 29, a Torino. La Guardia di Finanza avrebbe cercato le tracce di fatture false: una pista per risalire eventualmente a pagamenti «in nero». Sull'esito dell'operazione nulla è trapelato. Le imprese di Lazzaro e dei fratelli minori Salvatore, Giuseppe e Gaetano erano già state «visitate» dai finanzieri nel 1988 e nel gennaio dell'anno scorso. Allora era in attività anche la «Icet Snc», liquidata nei mesi scorsi. Nella contabilità di quella società e della «Lazzaro» furono scoperte false fatturazioni. La prima volta per centinaia di milioni, la seconda per tre miliardi. Il costruttore è ricorso al condono per sanare la propria posizione giudiziaria: deve versare un miliardo nelle casse dello Stato. La famiglia Lazzaro è originaria di Brente, in Sicilia, e arriva in Piemonte negli Anni Settanta in coincidenza con il boom edilizio dell'Alta Valsusa. Si inserisce nei cantieri edili di Cesana. Benedetto è il più intraprendente: si butta in politica e si fa eleggere consigliere comunale a Susa, contando su un pacchetto di 400 voti raccolti fra i siciliani residenti in zona. Tira la volata ai fratelli nei rapporti sociali ed

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economici. Contemporaneamente cresce il suo peso imprenditoriale nel campo degli appalti pubblici. Ottiene dall'Anas più incarichi per lo sgombero della neve sulle statali dell'Alta Valsusa. E nel 1989 comincia a lavorare per la Sitaf. Nel 1990 tenta di lanciare il nipote Ferdinando chiedendo un posto per lui nella lista per le ultime elezioni comunali di Susa, ma trova opposizione negli amministratori locali del partito. In altre occasioni appoggia candidati democristiani. Con gli appalti Sitaf arrivano per Lazzaro commesse per miliardi. A Meana, in località Cantalupo, Lazzaro ha rilevato un' ex discarica delle Ferrovie per rifornire di materiali inerti l'autostrada del Frejus: il contratto è di 2 miliardi. Non basta: per raggiungere il posto allarga una strada sterrata e la asfalta con un finanziamento Sitaf di 589 milioni. Lavori eseguiti in pochissimi giorni su un tratto di trecento metri. Per l'ampliamento della strada provinciale Exilles-Cels, Lazzaro ottiene lavori per un miliardo e mezzo. Solo per l'allargamento dell'imbocco della stessa strada il finanziamento è di 500 milioni. Altri 2 miliardi corrono per il ripristino dell'acquedotto di Cels, demolito durante i lavori. Ancora una cava, fra Meana e Mattie, in località «Le Combe»: solo per costruire la strada d'accesso la Sitaf gli concede 748 milioni. E ad Avigliana, per la centrale idroelettrica «Villa Quagliotti», Lazzaro ha un appalto di oltre 2 miliardi. Anche questo, come tutti gli altri, gli viene affidato a trattativa privata.

Alberto Gaino

LA STAMPA06/10/1994CAMPO SMITH ALTRI AVVISI

L'inchiesta sulle speculazioni a Bardonecchia coinvolge professionisti e tecnici Campo Smith, altri «avvisi» E il sindaco toma in libertà «Il cerchio si è chiuso» affermano i magistrati che indagano sull'affare di Campo Smith a Bardonecchia. Ecco perché ieri sera il sindaco Gibello è tornato in libertà. Il suo legale, Alberto Mittone: «Il mio cliente si è difeso e non ha collaborato». E il pm Alberto Giannone, dopo aver interrogato Gibello per l'intero pomeriggio, aggiunge: «A questo punto non c'è più l'esigenza di protrarne la custodia cautelare. L'inchiesta per l'abuso d'ufficio è quasi conclusa». Ai due indagati per questo reato si sono nel frattempo aggiunti l'ex responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di Bardonecchia, il geometra Romano Jacob, e un professionista. Jacob è il perito che ha stimato per conto dell'amministrazione civica il valore delle aree interessate alla permuta fra il Comune e 1'«Immobiliare Marina di Alessandro» di Aguì. Altri avvisi di garanzia sono in arrivo. Uno - per falso nel bilancio dell'immobiUare - è per l'architetto torinese Pierpaolo Maggiora, sindaco della società, componente della commissione edilizia del Comune e progettista dei lavori. Da Bardonecchia, intanto, si sono fatti vivi con la procura alcuni cittadini per denunciare tentativi di concussione da parte di funzionari amministrativi del Comune per il rilascio di licenze. Oggi viene interrogato Aguì, martedì era stato sentito anche Gian Mauro Borsano, che aveva ceduto un fondo di Campo Smith all'impresario. Politici, professionisti e imprenditori con la fedina penale più che compromessa: sono in tanti ad agitarsi intorno all'edificabilità dell'ultimo grande terreno che ancora restava a Bardonecchia. Un'operazione che viene da lontano. La prima data che conti è il 3 marzo 1978. Quel giorno viene approvato dal Consiglio comunale il piano regolatore generale che prevede un incremento dell'attività alberghiera a Campo Smith. Occorreranno otto anni per il varo del piano particolareggiato e per l'accelerazione della «grande operazione» speculativa. Rocco Lo Presti, già stuccatore, poi riquadratore, infine impresario edile, ha alternato nuove attività a guai sempre più grossi con la giustizia. Ma da tutti i processi esce, alla fine, assolto. Anche l'«Antimafia» ha dedicato a lui e al cognato Francesco Saverio Mazzaferro pagine e pagine. Sono sospettati di aver controllato il boom del mattone nell'Alta Val Susa e il mercato delle braccia che materialmente l'hanno realizzato. Fine Anni Ottanta: Mazzaferro si eclissa in Calabria e Lo Presti torna apparentemente nell'ombra, da incensurato. E non si parlerà più di lui. Sino a ieri. Quante coincidenze: in quel pe¬ riodo il Comune sceglie la strada della trattativa privata con l'Immobiliare «Marina di Alessandro» del calabrese Aguì e poi partecipata dalla Edil-Gi, controllata a sua volta da Lo Presti. L'amministrazione civica disattende i pareri degli avvocati Mortarino e Coletto (che

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propose poi di aumentare gli oneri di urbanizzazione per i costruttori e si vide incendiare la porta di casa). I legali avevano suggerito la via più trasparente dell'asta pubblica. L'immobiliare di Aguì era stata costituita da appena un anno. Ma in una lettera del Comune costui è definito «un imprenditore di primaria importanza». Così si arava il terreno per l'operazione. Un passo indietro: gran parte dell'area di Campo Smith appartiene al Comune che l'ha avuta in donazione dalla famiglia Treves nel 1932. A una sola condizione: che l'amministrazione municipale si impegnasse a crearvi impianti sportivi. Il resto era di proprietà della società Colomion e di un certo Botticelli. Sindaco e assessori vogliono trattare con chi abbia già acquisito quel resto. Aguì ha rilevato la parte della Colomion, non quella di Botticelli. Ma diventa un dettaglio. A Torino si svolgono incontri fra Aguì, Gibello, tecnici comunali e il perito Romano Jacob sulla stima dei terreni del Comune e di Aguì che dovevano «entrare» nella permuta decisa. Si sa già che la valutazione dell'Ute, richiesta dal prefetto, avrebbe portato un miliardo in più di conguaglio nelle casse municipali. Disattesa. Altre stranezze: l'Àssocasa viene esclusa da ogni trattativa, L'Intercostruzioni desiste, sollecitata da una lettera del Comune. E così scompaiono i concorrenti di Aguì, che si presenta a più d'uno come prestanome. Cuore del progetto sono i 650 appartamenti in multiproprietà che Aguì vorrebbe affidare alla gestione di Eurotel di Bolzano, apprezzata nel settore. La società viene sostituita, a cose avviate, il 14 aprile '93, con la meno conosciuta Spai dell'ingegner Ermanno Tedeschi. E si arriva alla data fondamentale: 3 giugno dello stesso anno, la firma della convenzione edilizia fra il Comune e l'immobiliare, e il perfezionamento del contratto di permuta. Tre giorni prima delle elezioni in cui la lista del sindaco «passa». Un teste: «Quella sera vidi Lo Presti e il figlio di Gibello insieme nei seggi». Per la verità, a Lo Presti si rivolgono in molti perché dia una mano a questo e quello. Un certo «Franco» gli chiede per telefono aiuto per un candidato di Alleanza nazionale. A un altro, Renato Tisi, Lo Presti assicura: «Non abbiamo mai perso». Poco dopo spariscono i vecchi soci di Aguì ed entra in scena la Edil-Gi cui vengono affidati i lavori. E' il novembre '93, quando nella sede torinese dell'impresa le indagini sulle tangenti intorno ai cimiteri portano alla scoperta di un singolare tesoro di argenteria, preziosi e assegni. E fra i subappaltatori del cantiere di Campo Smith spicca la ditta di Francesco Bonelli perché il titolare, originario di Piatì, è pregiudicato anche per omicidio. L'enclave malavitosa riaffiora d'improvviso. Per l'ex sindaco Mario Corino «il riporto terra utilizzato per costruire l'autostrada del Frejus e i lavori eseguiti dalla ditta Lazzaro di Susa sono stati mascherati a favore di Mazzaferro». Alberto Gaino

ARCHIVIO LA REPUBBLICA

BARDONECCHIA, L' ASSALTO DEI CLAN

30 aprile 1995 — pagina 21 sezione: CRONACA BARDONECCHIA - Adesso si indaga in tutte le direzioni: dai pacchetti di voti gestiti dalla mafia, fino alle elezioni politiche del 27 marzo ' 94, ai rapporti poco chiari che sarebbero intercorsi tra alcuni ufficiali e sottufficiali dei carabinieri e presunti boss della ' ndrangheta operante nella zona. Sono i nuovi sviluppi dell' inchiesta della procura della Repubblica di Torino su Bardonecchia, la stazione sciistica dell' alta Valle di Susa per la quale il Consiglio dei ministri ha proposto lo scioglimento dell' amministrazione comunale. Per infiltrazioni mafiose, appunto. Le indiscrezioni sull' indagine dei magistrati torinesi sono trapelate ieri, nelle stesse ore in cui una delegazione della Lega, capeggiata dal deputato Mario Borghezio, occupava simbolicamente il municipio. "Nord libero, alt alla penetrazione della mafia al Nord" era scritto sui volantini distribuiti dai leghisti. A quanto si è saputo, la Procura di Torino, titolare dell' inchiesta sulle pretese collusioni tra esponenti politici e personaggi sospettati di appartenere alla ' ndrangheta (fra questi Rocco Lo Presti, attualmente con i beni sequestrati dal Tribunale torinese), adesso indaga anche su alcuni carabinieri. In particolare, l' attenzione è focalizzata su un ufficiale e un sottufficiale, che, negli ultimi anni, hanno prestato servizio a Bardonecchia e in altri centri della valle. Al vaglio degli inquirenti, i pm Alberto Giannone e Paolo Tamponi, ci sono episodi di vario genere. Ne avrebbero parlato, in queste

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settimane, pure alcuni pentiti delle ' ndrine della costa ionica. Sarebbero emersi, tra le altre cose, legami poco trasparenti tra militari dell' Arma e i più noti capifamiglia calabresi immigrati in Val di Susa. Frequentazioni ambigue, favori, regalie, omissioni sulle attività dei presunti boss. Tra le carte all' esame dei magistrati torinesi, inoltre, ci sono i rapporti che le forze dell' ordine di Bardonecchia hanno inviato in Prefettura, negli anni scorsi, su alcune persone in odor di ' ndrangheta. Gente che aveva richiesto la certificazione antimafia per motivi di lavoro. Relazioni, queste, nelle quali veniva sottolineata la buona condotta e l' estraneità alla mafia dei personaggi in questione. Ma le novità da Palazzo di giustizia, che s' innestano nella decisione del Consiglio dei ministri che ha decapitato il comune guidato dal sindaco liberale Alessandro Gibello (arrestato due volte per abuso nell' ambito dell' indagine dei magistrati torinesi), non si fermano qui. Si indaga anche sul cosiddetto voto di scambio, sull' importanza dei pacchetti di consensi gestiti da personaggi legati alle ' ndrine: dalla metà degli anni ' 70 fino alle ultime elezioni europee e a quelle del ' 94. Il primo a parlare, in un' aula di giustizia, di questi meccanismi, negli anni 70, proprio quando la Commissione antimafia si occupò di Bardonecchia e del clan calabrese dei Mazzaferro, fu uno degli imprenditori più noti della cittadina, Diano De Matteis, ora presidente dell' azienda turistica. Negli atti del processo, in cui venne respinta la richiesta di misure di prevenzione avanzata dalla questura nei confronti di alcuni presunti boss (fra questi Francesco Mazzaferro, Rocco Sainato, Nicodema Bruzzese), a proposito di Rocco Lo Presti si legge la seguente dichiarazione di De Matteis: "Dal comitato civico ebbi l' incarico di chiedere voti per la Dc a Rocco Lo Presti. Lo Presti si è rifiutato dicendo che Corino (candidato sindaco, ndr), in precedenza, come sindacalista, gli aveva dato dei fastidi". Da allora è iniziata una faida politica che ha contrapposto, tra gli altri, il democristiano Mario Corino e Gibello, sindaco ininterrottamente dal ' 78 anche -si ipotizza- con i voti dei calabresi. La politica, ad un certo punto, si è intrecciata agli affari. La speculazione edilizia, negli anni ' 60 e 70, ha deturpato Bardonecchia con centinaia e centinaia di seconde case. E alle imprese di costruzione locali, si sono affiancate quelle calabresi. Anni, quelli, di racket delle braccia, di regolamenti di conti, di intimidazioni. Anni di indagini dell' Antimafia, rimaste però lettera morta. La presunta collusione tra le cosche calabresi e l' apparato politico-affaristico locale, tuttavia, emerge con l' operazione immobiliare di Campo Smith, l' ultima oasi verde di Bardonecchia. Proprio da questo affare, che prevede la costruzione di un residence e di alloggi, scatta nel ' 94 l' inchiesta della Procura torinese destinata ora a clamorosi siluppi. Il primo politico a finire in carcere è Marco Quatto, il segretario di zona della Dc, accusato, da una registrazione, di aver tentato un' estorsione contro Mariano Aguì, titolare della società "Marina di Alessandro", che ha gestito l' operazione Campo Smith. In quella cassetta, Quatto aveva fatto intendere ad Aguì che, se non avesse rispettato alcune sue condizioni, in consiglio comunale la minoranza gli avrebbe ostacolato il progetto. Poi, a catena, scattano le manette per altri personaggi: dallo stesso Agui a Gibello. Nell' affaire di Campo Smith fa il suo ingresso, come indagato e sottoposto a misure di prevenzione, Lo Presti. Fino agli sviluppi di questi giorni e all' inchiesta della Prefettura di Torino. Parallelamente al lavoro della magistratura, gli ispettori della prefettura indagano e si convincono che Susa, vi sarebbero pesanti ingerenze mafiose nell' amministrazione di Bardonecchia: da qui la richiesta di scioglimento del consiglio comunale. - dai nostri inviati ALBERTO CUSTODERO e MASSIMO NOVELLI

LA STAMPA

31-05-2002

PILOTAVANO GLI APPALTI NEI COMUNI, 12 ARRESTATI

Un cartello di società si spartiva le gare per le opere pubbliche

Pilotavano gli appalti nei Comuni, 12 arrestati. Indagati 59 imprenditori, 50 aziende coinvolte nell'inchiesta della procura .

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C'è stata una retata di imprenditori. In 12 sono stati tirati giù dal letto o fermati sulla porta di casa prima che si recassero in azienda o in cantiere. Un tredicesimo non l'hanno trovato. Fa poca differenza nei grossi numeri di quest'inchiesta che si palesa d'improvviso ieri mattina con il gran viavai di investigatori e uomini della polizia municipale fra il loro comando e le sedi delle oltre 50 società coinvolte. Il procuratore aggiunto Bruno Tinti, con al fianco i sostituti Roberto Furlan e Paolo Storari, parla di «cartello che predeterminava l'esito delle gare d'appalto, con danni per gli enti pubblici interessati che devono essere ancora calcolati». Aggiunge che un «fenomeno storicamente noto finalmente è stato provato», i magistrato chiude con il numero che più dovrebbe indicare l'imponenza degli sforzi investigativi: 72 indagati. Non dice che le misure sono state chieste e ottenute dopo la sorpresa che gli imprenditori avevano scoperto di avere i cellulari sotto controllo, (ma non che erano state «piazzate» microspie nei loro uffici). Le intercettazioni duravano da sei mesi. Nel listone vi sono anche pubblici ufficiali in servizio, nei 7 comuni interessati dall'inchiesta: Torino, Rivalta, Bruino, Avigliana, Giaveno, Rosta e Sant'Ambrogio. L'accusa, nei confronti di dirigenti e impiegati comunali, è di abuso in atti d'ufficio. Insomma, avrebbero collaborato al buon esito delle gare d'appalto sui cui il «cartello» si preparava meticolosamente (al punto da essere accusato oggi di associazione per delinquere). Ogni martedì, riunione a Buttigliera, nella sede della «Escavazioni Valsusa srl» di Luciano e Enrico Lucco Castello, ritenuti dal gip Emanuela Gai, gli organizzatori insieme con Francesco Butano, titolare della Pavimentazioni Stradali snc di Rivoli, e Claudio Gombia, amministratore di fatto della Sirio srl di Buttigliera. C'era chi selezionava gli appalti pubblici su cui puntare, chi doveva occuparsi di calibrare il gioco di squadra delle offerte, chi di coordinare il «lavoro». Un consulente a tutti gli effetti che fatturava le sue prestazioni professionali: l'ultimo è deceduto, prima di lui avrebbe avuto il ruolo di play maker tale Antonino La Russa che ha poi assunto un ruolo decisivo nell'inchiesta: è stato lui, nel giugno di un anno fa a presentarsi a Stòteli con il biglietto da visita; ». Come piccolo imprenditore era fallito nel 2000. Storari coglie lo spunto: «Chi è escluso o si fa escludere da certi giri è destinato a chiudere. Le distorsioni del libero mercato hanno anche queste conseguenze. Noi abbiamo scoperto un cartello, ma ci risulta che in Piemonte ne agisca più d'uno». Rifacimento di strade, ristrutturazione di acquedotti, scavi per fognature, depuratori da realizzare. Appalti da 200 milioni di vecchie lire a milioni di euro. Il più importante degli 11 di cui l'accusa ritiene di aver provato la 'turbativa d'asta è quello torinese-15 miliardi di lire - per la «riqualificazione ambientale» di Borgo Dora. Con gli «organizzatori» l'ordinanza xli custodia cautelare è stata emessa anche per i frequentatori degli «incontri del martedì»: Antonio Camardo (direttore tecnico dell'omonima srl di Pinerolo); Giuseppe Mai^rita di Giaveno e titolare di una ditta individuale; Felice Bracco di Venaria, della omonima snc; Piero Tartara di Cantarana d'Asti, amministratore unico della Cantieri Moderni srl; Elio Baudino di Roletto, presidente della Baudino Costruzioni srl; Ermanno Codino, di Prarostino, amministratore della Codino Scavi snc. In carcere è finito anche Ferdinando Lazzaro di Susa e amministratore della Ital.Co.Ge. di cui si era già parlato dieci armi fa, al tempo dell'arresto di Benedetto Lazzaro per fatture false. Arresti domiciliari invece per la rappresentanza femminile del cartello: Marinella Boiigis di Bruzolo (della Boi^is Luigino) e Loredana Garzena di Cumiana (della Garzena Sergio sas). Piccoli imprenditori, per lo più, ma nelle intercettazioni telefoniche e ambientali si parla di accordi con importanti consorzi edili di altre regioni. Lo scenario che fa dire a Storari «l'indàgine è solo all'inizio»? Per ora i pm devono rintuzzare la contraerea dei difensori (Zancan. Castrale, Maria Grazia Cavallo, Marta, Piacentino e Trincherò) nella maratona di interrogatori previsti da stamane a lunedì. Fognature, acquedotti, riasfaltature delle strade in molti centri del Torinese e della Bassa Valsusa assegnati alle stesse ditte La squadra di polizia giudiziaria dei vigili urbani di Torino trasferisce in carcere uno degli arrestati

Alberto Gaino

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REPUBBLICA

Il cartello dei lavori pubblici31 maggio 2002 — pagina 2 sezione: TORINO

marco travaglio Tredici imprenditori arrestati, altri 59 indagati a piede libero (compresi una decina di pubblici funzionari), 70 imprese e 7 comuni coinvolti, decine di appalti per centinaia di miliardi col trucco. Sono le cifre del blitz che ieri mattina all' alba, fra manette e perquisizioni, ha ripiombato Torino in pieno clima di Tangentopoli. Scoperchiando una «cupola» di piccoli e medi impresari che si accordavano per spartirsi appalti pubblici plurimiliardari nell' edilizia, nella viabilità e nel verde pubblico in città e in provincia, soprattutto in Valle di Susa, col sistema del minimo ribasso d' asta. D' intesa con una serie di dirigenti comunali. I fatti sono recentissimi: la voluminosa ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Emanuela Gai (cento pagine) dice «sino al maggio 2002». Gli appalti incriminati sono un' infinità: il giudice ne cita una dozzina, nei comuni di Torino, Avigliana, Rosta, Bruino, Sant' Ambrogio, Giaveno, Rivalta, ma «soltanto a titolo esemplificativo e non esaustivo». Di mazzette, per ora, non si parla: una trentina di inquisiti sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d' asta, gli altri di turbativa semplice, mentre gli otto pubblici ufficiali rispondono di abuso d' ufficio: fra questi ci sarebbe anche un dirigente del Comune di Torino, indagato per gli appalti di piazzale Borgo Dora e per un altro appalto di 15 miliardi, bandito sempre dall' amministrazione torinese, per la manutenzione stradale. Se, oltre ai patti antimercato, siano volate anche bustarelle, si vedrà dopo gli interrogatori, che cominceranno domani. «Blindate» le prove raccolte dalla Procura, dalla Polizia municipale del vicecomandante Roberto Mangiardi e dell' ispettore capo Giovanni Callea, e dai finanzieri della polizia giudiziaria dei due pm che conducono le indagini, Paolo Storari e Roberto Furlan, coordinati dall' aggiunto Bruno Tinti. Sei mesi di intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti con videocamere digitali. Dei 13 imprenditori arrestati, 11 sono in carcere, sparpagliati fra le Vallette e le altre prigioni del Piemonte. Si tratta di Francesco Butano, messinese di 44 anni, amministratore dell' impresa omonima; Luciano ed Enrico Lucco Castello, padre e figlio, torinesi di 59 e 31 anni, titolare e amministratore della Escavazioni Valsusa; Antonio Camardo, nato a Potenza 53 anni fa, direttore tecnico della Camardo Srl; Giuseppe Margrita, nato a Buttigliera nel 1944, titolare di una ditta che porta il suo nome; Ferdinando Lazzaro, nato a Susa nel 1965, titolare di Italcoge Srl; Claudio Gombia, emiliano di 48 anni, dominus della Sirio Srl; Felice Bracco, nato a Venaria Reale nel 1963, direttore tecnico della Bracco Snc; Piero Tartara (Asti, 1961), amministratore unico della Cantieri Moderni Srl; Elio Baudino, (Pinerolo, 1965), direttore tecnico della Baudino Costruzioni Srl; Ermanno Godino (Pinerolo, 1948) della Godino Scavi Snc. Gli ultimi due destinatari della misura cautelare sono donne, e avendo figli sotto i tre anni hanno ottenuto gli arresti domiciliari: sono Marinella Borgis (Susa, 1967) della ditta Burgis Luigino, e Loredana Garzena (Pinerolo, 1963) della Garzena Sergio Sas. Le difese sono affidate, fra gli altri, agli altri agli avvocati Zancan e Castrale, Dal Piaz, Cavallo, Marta, Piacentino, Trinchero. Gli imprenditori si riunivano in un luogo convenuto, un ufficio pubblico, sempre lo stesso top secret, per ovvie ragioni investigative e decidevano a tavolino chi, all' interno del «cartello», doveva di volta in volta aggiudicarsi gli appalti (gli 007 dei Vigili li hanno filmati e fotografati mentre arrivano alla spicciolata alle riunioni). In base alla legge Merloni, il sistema è quello della «media ponderata»: vince chi presenta un' offerta proporzionata alle altre, ma appena più conveniente. Un patto ferreo fra tutti i contraenti, al centesimo. E se qualcosa non filava liscio, si rimediava con i subappalti e con i fondi neri, tramite false fatture. Le imprese avevano un «coordinatore» (l' ultimo, un consulente del lavoro, è indagato) per tenere i rapporti con le amministrazioni comunali. Ma non sempre l' accordo andava a buon fine: se alla gara si presentava un altro cartello, o un' impresa fuori dal «giro», il banco saltava. «Sono diversi i cartelli che operano in Piemonte», dicono gli investigatori, «e non tutti sono d' accordo. Per fortuna».

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MARCO TRAVAGLIO

REPUBBLICAESCAVATORI VALSUSA BUTTIGLIERA

Giovanna, straccia tutto ché c' è baruffa nell' aria'01 giugno 2002 — pagina 2 sezione: TORINO

«Giovanna, straccia e butta via tutto, imbosca tutto, chè c' è baruffa nell' aria...». No, non è lo spot di una nota marca di profumi. È Enrico Lucco Castello, uno degli imprenditori intercettati e poi arrestati, che ordina alla segretaria di fare sparire le carte più compromettenti. Le soffiata sull' inchiesta in corso ha raggiunto anche lui. Il fruscio delle carte che vengono strappate e cestinate in fretta e furia lo ascoltano, impotenti, gli investigatori della polizia giudiziaria nella saletta intercettazioni della Procura. Giovanna, l' impiegata tuttofare, è disponibile: straccia quel che può, mentre il resto, le carte di una gara di appalto a Verona, si offre di tenerlo lei nella sua valigetta. Ma le tecniche di inquinamento delle prove, dopo la fuga di notizie, sono anche altre: il 23 maggio, Enrico Lucco Castello, Luciano Lazzaro e Claudio Gombia decidono di sciogliere il consorzio Cei (il paravento dietro cui operava il «cartello»), retrodatando la data di chiusura a gennaio, cioè a prima di quello che suppongono essere l' inizio dell' inchiesta. Le riunioni spartitorie avvenivano ogni martedì a Buttigliera Alta, negli uffici della Escavazioni Valsusa della famiglia Lucco Castello. Con esilaranti sistemi escogitati per parlare delle percentuali dei ribassi senza farsi capire all' esterno. C' era il cifrario degli orari (Gombia ad Antonio Camardo: «Potresti trovarti alle 11.40, eh!, però devi decidere se arrivare per primo o per ultimo, per me va bene tutto... Decidi se arrivare per primo alle 10.5 o per ultimo alle 11.40»). C' era il cifrario delle stature («C' era la moglie, le ho dato l' altezza»). E persino quello dei pesi e delle circonferenze toraciche. Butano a Camardo: «Ciao, senti un po' , io sono andato dal dietologo.. Mi ha detto che ho... la circonferenza toracica più grossa, rispetto a quello che è il normale di 12 centimetri e 74». Camardo: «Eh ha fatto proprio un esame accurato...». Butano: «Porco schifo, mi ha tenuto due ore... (risatina) Tuo figlio riesce a farmi ridurre di tanto così?». A volte gli appalti erano camuffati da funghi. Butano: «Mi ha telefonato Claudio, dice cheee là per i funghi... aveva bisogno di un' indicazione per andare a mangiare i (porcini) reali». Cifrati anche i nomi delle ditte (la Baudino Costruzione, ad esempio, era «il budino») e degli imprenditori (Piero Tartara dventava «Tartarin di Tarascona», un altro «Pilo» o «il Pil», un altro ancora «il Barbuto», mentre Edmondo Eddy Ritonnaro era «Papino»). Le offerte di Felice Bracco sono «i sei bracchi» e quelle di Giacinto Orso «quattro o cinque orsacchiotti». I capi del cartello («dominus», «veri e propri organizzatori dell' associazione»), secondo gli inquirenti, erano quattro, ciascuno con un compito preciso: Butano e Gombia, che indicavano alle imprese i ribassi d' asta da presentare; i Lucco Castello padre (Luciano) e figlio (Enrico), che calcolavano gli indici di ribasso al computer, con un software piuttosto sofisticato. Enrico: «Allora, i primi li scarto e non li conteggi i primi sotto e i primi sopra... poi faccio la media degli altri». Enrico: «Tanto lo fa il computer, non è che mi metto a fare il conto manuale, eh». Ma ogni tanto qualcosa andava storto. Magari per un errore di calcolo. Ecco Gombia che avverte Marina Giordana (Cantieri Moderni): «Dovreste controllare il vostro programma che sbaglia i conti!». Marina: «No, è giusto, li abbiamo caricati lì sopra». Gombia: «Come no? E come poteva finire a Tartara o a me? Nenche se veniva giù Gesù Cristo, ci finiva!». Marina: «Ma sì, è giusto, l' ho ricaricato sopra! è solo che ne sono mancati 2 di Torino... Abbiamo fatto le prove: aggiungine 3, aggiungine 4! Non doveva variare così tanto!». Altre volte, a rompere le uova nel paniere, arrivava un «cartello» concorrente: come nel caso dei «torinisti» (un gruppo di imprenditori torinesi,

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esterni al solito «tavolino») intervenuti nell' appetitosa gara da 1.2 miliardi per l' appalto delle fogne di Giaveno. Gombia e Luciano Lucco promettono immediate ritorsioni contro gli «intrusi»: «Li dobbiamo castigare subito: li castighi subito e non metti il nominativo nel subappalto, così è bello che castigato! Perché è così, eh, che si deve fare!». Così imparano a credere nel libero mercato. - (m.trav.)

LA STAMPA13/06/2002Un'altra «talpa» nel caso degli appalti

CHIAMATO IN CAUSA L'ON. NAPOLI, CHE SI DIFENDE: «UNA CALUNNIA»

Avrebbe riferito a imprenditori le confidenze di un magistrato Nell'inchiesta sugli imprenditori accusati di aver costituito un cartello per predeterminare l'esito di gare d'appalto entra un parlamentare. Ne fa per primo il nome il titolare della «Pavimentazioni stradali snc» di Rivoli, quel Francesco Butano che è stato sentito dai pm per un'intera settimana e che ieri ha ottenuto gli arresti domiciliari. L'imprenditore sostiene che la fuga di notizie sull'inchiesta nacque nel corso di una cena. Vi parteciparono l'uomo politico e un magistrato. Quest'ultimo rivelò all'altro delle intercettazioni telefoniche a carico di un gruppo di industriali valsusini e l'onorevole avrebbe riferito la confidenza. Il suo nome emerge dagli atti del procedimento. Si tratta di Osvaldo Napoli, parlamentare di Forza Italia, vicepresidente Anci (l'associazione dei comuni italiani) e sindaco di Giaveno. Da giorni veniva sussurrato dal tam tam delle indiscrezioni, ora se ne ha la conferma con gli interrogatori degli altri imprenditori arrestati. Veemente la reazione di Napoli: «E' una cosa priva di ogni fondamento. Al dieci milionesimo per cento. Non conosco magistrati che mi siano venuti a dire qualcosa del genere. Non esiste il contendere: sono andati a prendere atti in dieci comuni, è ovvio che tutti sanno». Sull'identità del magistrato ci sono solo indiscrezioni. E in relazione a un certo «Procuratore di...» di cui parla Beppe Margrita (titolare dell'omonima ditta individuale di Giaveno, in carcere pure lui da due settimane) in una conversazione un po' arruffata intercettata da una microspia negli uffici della «Escavazioni Valsusa srl» di Buttigliera. E' il 15 aprile scorso, Margrita butta lì: «Ci sono dieci telefoni cellulari sotto controllo». Solo dopo un po' il suo «ragionamento» cade sul «Procuratore». Riferisce l'imprenditore: «Mi sono fatto un giro là che il Procuratore qua è amico di...». Nel corso degli interrogatori sia il gip Emanuela Gai sia i pm Roberto Furlan e Paolo Storari hanno insistito sull'argomento. Non è da escludersi che pensino ad altro magistrato, diverso da quello identificabile in base alla trascrizione dell'intercettazione. Se la segnalazione della «talpa» non è stata ancora inviata alla Procura di Milano (competente ad indagare sui reati commessi da magistrati piemontesi) è perché l'identità della fonte giudiziaria dell'onorevole non è ancora saltata fuori. Sul parlamentare Butano ha aggiunto che il gruppo di imprenditori gli è pohticamente molto vicino e che a lui è da riferirsi l'avvertimento lanciato da Margrita ai colleghi nel corso di quella stessa riimione: «Gli ha detto, "dottore, mi scusi, ma è la legge che mi porta a fare questo, lei crede'.... la fonte è sicura...... Poco oltre, aggiunge: «Non fate mai il suo nome, eh!». Interrogato a sua volta martedì da uno dei pm, Margrita ha parlato di equivoco: «Sono stato frainteso».

[al. ga.]

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l cartello finisce in cella19 luglio 2002 — pagina 2 sezione: TORINO

Un funzionario del Magistrato del Po, tre tecnici del Comune di Torino e nove imprenditori sono stati arrestati ieri per reati che vanno dall' associazione per delinquere, alla turbativa d' asta, alla corruzione. Il blitz della guardia di finanza del Nucleo Provinciale e degli agenti della polizia municipale è durato tutto il giorno. Cento perquisizioni in tutta Italia, 350 finanzieri impegnati nelle catture danno la dimensione dell' inchiesta che ha azzerato il «cartello» che gestiva i lavori pubblici del Comune di Torino relativi alla pavimentazione stradale. «Truccati» quasi tutti gli ultimi appalti del comune, dai lavori di riqualificazione ambientale di via XX Settembre, vicino al Duomo (partiti nei giorni scorsi), a quelli appena conclusi per la risistemazione di piazza Bodoni, all' abbattimento delle barriere architettoniche. Quarantanove giorni dopo il blitz del 30 maggio scorso dei pm Roberto Furlan e Paolo Storari (coordinati dall' aggiunto Bruno Tinti), che portò in carcere tredici piccoli imprenditori della Val Susa per turbativa d' asta, la procura di Torino ha ora concentrato la sua attenzione sui «cartelli» organizzati dalle imprese medio grandi, quasi tutte quelle storiche del Torinese che si spartiscono gli appalti sotto i 5 milioni di euro regolati dalla legge Merloni. E le due inchieste sono collegate non solo dal «tredici», il numero degli arrestati in entrambi i blitz. Dalla prima indagine, infatti, scaturisce la seconda, dalle dichiarazioni e dalle confessioni dei primi 13 imprenditori arrestati sono state svelate le corruzioni e si sono delineati i contorni di tre importanti gruppi imprenditoriali che si accordavano per offrire anche ribassi del 30 per cento e aggiudicarsi i lavori, spartendoseli poi con il complesso sistema del subappalto. Sono stati gli imprenditori Claudio Gombia (Sirio srl), e Ferdinando Lazzaro (Italcoge), finiti in carcere a maggio, ad esempio, a tirare in ballo il funzionario del Magistrato del Po Adriano De Falco, offrendogli (stando al capo di imputazione firmato dal gip Emanuela Gai), il primo 8,5 mila euro e il secondo 20 mila. In cambio di tanta generosità, il funzionario assegnava a quelle ditte lavori a Susa di ripristino delle sponde fluviali. Il Gombia aveva adottato lo stesso metodo pagando una mazzetta da 12 mila euro (in cambio di trattamenti preferenziali), al funzionario dell' ufficio tecnico del comune di Torino, Albano Pallotta. A pagare tangenti (12 mila euro), a Pier Angelo Castellaro, anch' egli geometra al Comune torinese, sono stati più imprenditori arrestati a maggio. Oltre a Gombia (che materialmente effettuava la consegna del denaro), hanno pagato anche Giacinto Orso (Cogeca) e Luciano Lucco (Escavazioni Valsusa). Stessa sorte giudiziaria è toccata al terzo geometra comunale, Michele Torciano, definito dagli imprenditori in un' intercettazione telefonica «il vampiro». A lui i soldi - 7,5 mila euro - furono consegnati da Felice Bracco (Bracco snc), in cambio di una accelerazione nei pagamenti, un occhio di riguardo nell' assegnazione dei lavori e un occhio chiuso sui controlli. Per quanto riguarda la corruzione ai pubblici ufficiali, c' è ancora un fronte aperto: quello di alcuni funzionari dell' Anas che avrebbero incassato mazzette. A svelare questo retroscena ancora tutto da chiarire è stato un imprenditore arrestato nella prima tranche dell' inchiesta, Francesco Butano (dell' omonima impresa). In concorso con lui (che avrebbe provveduto materialmente a consegnare 9 mila euro e a prometterne altri 20 mila), è stato arrestato ieri Angelo Semenzato, della Site di Bologna, una ditta specializzata nella posa di cavi. Le tangenti dovevano servire a tacitare le osservazioni dell' Anas su lavori non eseguiti dei ripristini stradali dopo la posa dei cavi di fibre ottiche fra Moncalieri e Bardonecchia. Fin qui la corruzione. Per otto imprenditori la contestazione riguarda l' associazione per delinquere finalizzata a turbare il mercato. Il meccanismo era lo stesso già individuato nel primo filone d' indagine di maggio. Le imprese si associavano a gruppi costituendo veri e propri «cartelli» a volte in concorrenza l' un con l' altro, a volte alleati. Il funzionamento della presentazione delle offerte era simile a chi, giocando al totocalcio, si associa con tanti giocatori per puntare su un sistemone. Più partecipanti ci sono, più alta è la probabilità di azzeccare il «tredici», cioè di aggiudicarsi i lavori. Il primo «cartello» individuato dalla magistratura è stato quello di Piero Arlotto, Sebastiano Borio e Giacomo Cumino. Erano loro che prendevano le decisioni del «cartello» di imprenditori del quale facevano parte Carlo Tribaudino (Impregest), Fernando Pia (Coesit), Armando Brillada (Brillada&Vittorio srl), Gianmichele Artuso (Pavimentazione Moderna),

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Michele Capitolo (Tecnico srl) e Marco Cavagnero (Sisea). Erano loro che distribuivano agli «associati» i ribassi d' asta da presentare alle gare d' appalto, e che partecipavano alle riunioni con i rappresentanti di altri «gruppi». Il secondo «cartello» era coordinato da Nicola Smaldone (sindaco del «Consorzio fra costruttori») e da Aldo Puttin (consorzio ravennate delle cooperative), il terzo da Bruno Bresciani (Bresciani Bruno), da Luigino Valle (Valle Costruzioni), e da Paolo Mottura (Consorzio imprenditori subalpini). Tutti arrestati. - ALBERTO CUSTODERO

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Era come al Totocalcio'20 luglio 2002 — pagina 2 sezione: TORINO

Non c' era una «superorganizzazione», o, almeno, i pm non l' hanno ancora scoperta. Ma la rete di piccole imprese che si riunivano periodicamente per pilotare gli appalti era diffusa e molto ben strutturata. Tanto che oggi è possibile tracciare una mappa delle squadre in campo. Scrivono gli inquirenti: «Hanno continuato ad operare più cartelli, a volte alleati e a volte contrapposti, con composizioni mutevoli, doppi giochi e altro». «Signor giudice - ha detto nei giorni scorsi un imprenditore al pm - dovevamo fare così per non rischiare di perdere i lavori. Il criterio di assegnazione degli appalti è aritmetico, fatto sulla base della media ponderata delle offerte. Ma è un calcolo complicatissimo, azzeccare da soli il prezzo giusto è come fare tredici al Totocalcio». E allora che cosa fa un bravo giocatore? «Fa il sistema insieme agli amici. Divide il rischio e aumenta le probabilità di vincita». Ecco, il cartello, secondo gli imprenditori imputati, era come un «sistema» del Totocalcio: non una turbativa delle regole della concorrenza ma un' alleanza per fare tredici e portarsi a casa l' appalto. Tutto è filato liscio finché qualcuno dei partecipanti, che magari «giocava la schedina» e vedeva sempre vincere gli altri, non si è stufato e ha denunciato tutto. La prima defezione si è avuta nel novembre scorso, quando una ditta ha fatto sapere alla giunta comunale che il «sistema» veniva usato per pilotare gli appalti del verde pubblico a Torino. L' indagine della Procura ha messo in allarme i diversi cartelli di imprese. E a febbraio del 2002 si è verificata la seconda rottura, la lite che ha rotto le alleanze. Ma per comprendere le conseguenze di quello che nel gergo dell' inchiesta viene definito «il 'pacco' di Butano» (dal nome dell' imprenditore che avrebbe commesso lo sgarbo), è necessario tracciare la mappa dei cartelli in campo. La squadra della Bassa val di Susa. Sono i primi a finire sotto inchiesta e a confermare circostanze e nomi già emersi della intercettazioni telefoniche. Fanno parte del cosiddetto «Consorzio Cie» cinque imprenditori: Francesco Butano, Ferdinando Lazzaro, Claudio Gombia, Luciano Lucco e Felice Bracco. Sono loro a raccontare il meccanismo dei cartelli e a fare i nomi delle altre squadre in campo. I «torinisti». Racconta Ferdinando Lazzaro: «C' era il gruppo che noi, in gergo, chiamavamo dei torinisti. Era composto da Piero Arlotto, Renato Borio e Giacomo Cumino. Il gruppo si riuniva a Borgaro, presso la sede dell' impresa Borio». Torinisti e valsusini, un tempo erano stati nella stessa squadra. Solo successivamente si sono divisi. Ma non mancavano le riunioni comuni: «Durante queste riunioni - racconta Lazzaro - ci spartivamo gli appalti secondo vari criteri tra cui l' area geografica e le categorie di lavoro». Il cartello di San Mauro. Secondo le dichiarazioni di Francesco Butano, «il gruppo non è molto coeso, vi sono interessi di non facile composizione». Anche questo gruppo è nato da una scissione dei «torinisti». Ne avrebbero fatto parte Bruno Bresciani, Luigino Valle e Paolo Mottura. Quest' ultimo, secondo Butano, «aveva il compito di tenere unito il gruppo e trattava con poteri decisionali». Le Cooperative. Un gruppo in tutto simile agli altri ma con caratteristiche particolari. Racconta Felice Bracco: «Nel cartello delle cooperative io conosco Aldo Puttin, e Nicola Smaldone». Il gruppo si riuniva in corso Vercelli. Aggiunge Claudio Gombia: «Del gruppo facevano parte la Coveco, il Consorzio Ravennate, il Consorzio Cooperative di Reggio Emilia». La «stranezza» era che i lavori vinti dal gruppo venivano

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affidati anche a cooperative non piemontesi. Il gip sottolinea «l' episodio raccontato secondo il quale per una gara di modesto valore per lavori al cimitero di Giaveno i lavori erano stati effettuati da un' impresa i cui operai alloggiavano in albergo». Il «pacco» di Butano. Schierate le squadre in campo si può comprendere meglio l' importanza della lite del febbraio 2002, poche settimane prima dell' esplodere dello scandalo. Il racconto è di Claudio Gombia, imprenditore del gruppo dei valsusini titolare della Sirio srl. «In questi anni - ha raccontato Gombia - noi siamo stati sostanzialmente alleati del gruppo di Borio (cioè dei «torinisti» n.d.r.) mentre non abbiamo mai trovato alleanza continuative con il gruppo di Bresciani (San Mauro) e delle cooperative in quanto si sapeva che ogni tanto non rispettavano i patti». Ma c' era un momento magico in cui dissapori e sospetti venivano messi da parte: «C' era un momento di accordo con il gruppo di Bresciani, le cooperative e Borio in occasione degli appalti per le manutenzioni ordinarie e straordinarie del Comune di Torino». Piatto ricco per il gran numero di lotti da assegnare: «In queste occasioni venivano fatte riunioni infragruppo per la spartizione dei lavori con una quindicina di persone». Riunioni importanti che si svolgevano presso la sede della «Cubit» di Venaria. Riunioni tanto importanti che era definito anche il posto al tavolo dei partecipanti: «Borio sedeva sempre capotavola verso la porta d' ingresso. Al suo fianco c' era Arlotto. Noi ci sedevamo sempre in mezzo e verso il fondo si mettevano Bresciano, Mottura e Puttin». Ma all' inizio del 2002, in occasione dell' ultimo appalto per «la Straordinaria» del comune di Torino, la riunione salta: «Erano già in corso le indagini sul verde pubblico - spiega Gombia - e forse si è ritenuto opportuno non farla». Così gli accordi vengono presi da Butano e da Borio e le loro indicazioni alle singole ditte sulle offerte da fare vengono distribuite con un sistema di passa parola. Prosegue Gombia: «Butano aveva dato anche a me i ribassi da presentare. Io mi sono comportato secondo le indicazioni mentre Butano, probabilmente in accordo con Bracco, le ha cambiate». La scelta di Butano di non rispettare gli accordi fa saltare le alleanze. Scoppia la lite: «A causa del 'pacco' di Butano - si rammarica Gombia - è saltato tutto il sistema». Era il febbraio scorso. A maggio sono scattati i primi arresti. - PAOLO GRISERI

LA STAMPA

21/07/2002

Le prove nello schiacciasassi Erano state nascoste per proteggere l'ex massone Lodovico Poletto Robusto.

Barba, baffi, capelli castani , 47 anni. Eccola qui la fotografia dell'ingegner Adriano De Falco, dipendente del genio civile di Napoli distaccato in Piemonte per i lavori relativi all'emergenza in Piemonte dopo l'alluvione del 2000. E adesso tornato in Campania, ad Avellino. Spregiudicato, per qualche tempo iscritto alla massoneria. De Falco era l'uomo della contabilità esatta: 5 per cento sulla contabilizzazione dei lavori, «spiccioli compresi» dicono,gli imprenditori che lo tirano in ballo. Era lui a scegliere le impre¬ se, anche se queste non erano ancora interessate ai lavori. Enrico Lucco Castello, titolare con il padre Luciano della escavazioni Valsusa, è uno dei tanti che lo hanno chiamato in causa. Racconta così il primo incontro: «Ero andato al Magispo per vedere un lavoro: cioè capire cosa c'era da fare, i costi e tutto il resto. Quando arrivò De Falco, fece che consegnarmi il foglio dell'aggiudicazione da firmare. Lui non rispondeva alle mie domande, ma addirittura aveva già compilato i moduli dove ero risultato aggiudicatario di un lotto, e aveva già deciso che io proponevo un ribasso del 7 07o e che lui l'aveva aumentato fino al 12...». Strano atteggiamento, per uno che dovrebbe controllare e poi decidere in base a criteri di economicità. Enrico Lucco Castello dice di aver firmato per quell'appalto, a Susa, il rifacimento dell'ospedale alla chiesa, in centro. Per questo ed altri lavori - secondo gli investigatori - sarebbero state pagate mazzette per una cinquantina di milioni. Che quel modo di assegnare le opere - seppur di somma urgenza - fosse alquanto anomalo è dimostrato anche da tentativi, a volte infantili, di far sparire le prove, nascondendo agende e documenti nei posti più strani. I riferimenti di De Falco sono stati trovati in una cartellina gialla, nascosta ad arte nel vano porta oggetti della macchina schiacciasassi della «Escavazioni Valsusa» l'impresa dei Lucco. E non è che fosse stata dimenticata lì dai tempo

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dell'intervento. Tra quelle carte c'era anche il numero di casa dell'ingegnere, a Nola, 0181....I Ferdinando Lazzaro, un altro impresario coinvolto in questa storia. Luciano Lucco Castello è stato arrestato a maggio con II figlio Enrico (sono i titolari della società Escavazlonl Valsusa) per gli appalti truccati. A metà giugno, quando ormai i veli di reticenza sono caduti, e dopo quasi un mese passato dietro le sbarre, racconta: «Vista la disinvoltura con la quale mi chiese i soldi, non escludo che siano stati chiesti denari a tutte le imprese cui sono affidati i lavori...». Da quel giorno sono iniziate le verifiche. Nell'ufficio dei vigili urbani e in quelli della Guardia di Finanza i fascicoli sul dopo alluvione si ammucchiano. In quelli dove compare la firma di De Falco hanno fatto un segno con un pennarello blu.

LA STAMPA

02/08/2002

Sequestrati i conti ai funzionari corrotti

Sequestrati i conti ai funzionari corrotti La Guardia di finanza ha bloccato i depositi bancari di un geometra del Comune di Torino e del rappresentante'del Magistrato del Po Nel mirino i lavori di ripristino del fiume Dora Riparia dopo l'alluvione Lodovico Poletto Adesso è l'ora dell'alluvione. E dei lavori appaltati con il sistema dell'affidamento diretto per rimediare ai danni che, nel 2000, vennero provocati dalle inondazioni. Ieri mattina la Guardia di Finanza si è presentata ancora una volta negli uffici del «Magistrato del Po» a cercare i documenti di tutti i lavori seguiti da Adriano De Falco, il dipendente del Provveditorato opere pubbliche di Napoli distaccato a Moncalieri pochi giorni dopo l'alluvione. De Falco, oggi in carcere, è accusato di corruzione: avrebbe intascato soldi per «agevolare» alcune imprese, dirottando interventi su aziende che accettavano il suo sistema di gestione. Quanto denaro avrebbe intascato il funzionario? E qual è l'entità del danno che avrebbe provocato all'amministrazione? In attesa che il calcolo venga completato e che i finanzieri del Nucleo provinciale di polizia tributaria abbiano fatto lucè su tutti gli appalti da lui gestiti direttamente, è scattato il primo provvedimento di sequestro cautelativo dei conti correnti. Da un deposito in ima banca milanese, intestato a De Falco, sono stati «congelati» circa 30 mila euro: più o meno l'equivalente di sessanta milioni di vecchie lire. La cifra corrisponde ai «regali» ricevuti da due imprenditori ai quali erano stati affidati lavori: Claudio Gombia e Ferdinando Lazzaro. Il primo gli avrebbe consegnato 17 milioni; il secondo 40, in un ristorante a Meana di Susa. Un analogo provvedimento è stato adottato nei confronti di Albano Palletta, geometra del Comune di Torino in servizio al settore suolo pubblico e finito in manette due settimane fa. A Palletta, i finanzieri hanno «bloccato» circa 11 mila euro: che, a grandi linee, è l'equivalente di quanto avrebbe ricevuto, sempre da Claudio Gombia, per i lavori di manutenzione straordinaria di alcune strade della città. Il blocco, sui conti correnti, del denaro equivalente alla somma delle mazzette intascate, è la prima volta che viene adottate in casi di corruzione. Tipico nelle vicende in odor di mafia, il sequestro del denaro è - da qualche tempo - un'arma in più in mano agli investigatori che si occupano di reati contro al pubblica amministrazione. E i magistrati che stanno coordinando le indagini sull'appaltopoh (Furlan, Parodi e Storari) hanno deciso di farvi ricorso. L'altra mattina, Parodi, ha firmato i decreti, eseguiti ieri dagli uomini del capitano Emesto Pitruzzella. Da adesso, man mano che emergeranno nuove mazzette, scatteranno altre azioni di carattere finanziario. Intanto si lavora sull'alluvione. Dalla sede del Magispo di Parma, ieri, le Fiamme Gialle hanno prelevato tutta la documentazione sulle opere post alluvione, firmate da Adriano De Falco. L'intervento è la fotocopia di quello di Moncalieri, ed è stato voluto per controllare, in modo incrociato, le carte relative a tutti i lavori. Così che se anche un atto fosse stato fatto sparire a Torino ci sarebbe la copia di confronto provenien¬ te dagli archivi centrali. Intanto si aspettano le determinazioni del Tribunale deDa Libertà sulla richiesta di scarcerazione presentata dall'avvocato Morra per l'imprenditore Piero

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Arlotto. Che oggi, per la prima volta dall'arresto, sarà interrogato dal pm Parodi. Di ieri, invece, è la decisione degli inquirenti di concedere parere favorevole alla concessione degli arresti domiciliari a tutti e tre i tecnici del Comune che hanno collaborato: Palletta, Torciano e Castellare. Militari della Finanza impegnati nel sequestro di documenti a Collegno.

REPUBBLICAGIACOMO VALLE CAVE ROTUNNO CAPRIE

Appalti, altri tre in manette29 novembre 2002 — pagina 5 sezione: TORINO

«Valle è un uomo grosso di circa 60 anni, peserà 120 chili, arrivava su una Range Rover: per il lotto 4 mi ha dato 10 milioni». Con queste parole di Michele Manis, geometra arrestato alcune settimane fa, è stato coinvolto dell' indagine «Appalti Puliti» l' imprenditore Giacomo Valle, di Caprie, presidente del consiglio di amministrazione della Vito Rotunno spa, socio accomandatario della Solles e amministratore unico della Vigofin srl. Valle è stato arrestato ieri e con lui altri due geometri del comune della divisione gestione e manutenzione uffici, Domenico Viola e - agli arresti domiciliari - Davide Gavetti. Salgono così a 44 le persone finite in manette per le bustarelle sui lavori comunali. Dalla misura cautelare firmata dal gip Emanuela Gai e eseguita ieri dai finanzieri del capitano Ernesto Pitruzzella è emerso, però, anche un altro particolare rimasto finora inedito: la confessione di Adriano De Falco, il funzionario del Magistrato del Po che ha coordinato i lavori per il ripristino dei danni provocati dall' alluvione del 2000. De Falco aveva sempre negato le accuse di aver ricevuto tangenti dagli imprenditori; il suo avvocato, Antonio Passero, del foro di Napoli, aveva addirittura presentato un esposto contro uno dei pm accusandolo di essere stato troppo duro negli interrogatori. Ebbene, ecco cosa si legge nell' ordinanza di ieri a proposito dei rapporti fra De Falco e il Valle (non Giacomo, bensì Luigino, arrestato nei mesi scorsi). «De Falco - ha scritto il gip Emanuela Gai - confessando di aver ricevuto oltre 350 milioni di tangenti (il 5% sull' importo di ogni lavoro assegnato a seguito dell' alluvione), riferiva: 'Ho ricevuto il pagamento del 5% da Valle Luigino per il lotto 17 di Collegno, per il lotto 15 di Pianezza e quello 16 di Condove». De Falco, quindi, dopo aver tenacemente negato, ha ceduto e ha infine ammesso di essere il «mister cinque per cento» del MagisPo, così com' era stato riferito da numerosi imprenditori. La fonte principale di accusa contro Viola e Gavetti è costituita dalle dichiarazioni (raccolte dai pm Paolo Storari, Roberto Furlan e Cesare Parodi), dell' imprenditore Piero Arlotto e del geometra Vittorio Bertello. Contro Valle ci sono invece le confessioni dei geometri Manis, Pallotta e Albano. Ecco, nei particolari, i fatti contestati agli arrestati di ieri. Valle è accusato di aver pagato 10 milioni ai geometri comunali Manis e Lomartire nel '98 per la manutenzione straordinaria del lotto 4 e altri 10 al geometra Pallotta nel '99 per la manutenzione del terzo lotto. Viola ha ricevuto da Fernando Pia (della Coesit spa), da Piero Arlotto (dell' omonima ditta), da Michele De Cata e da Sergio Ramella (della Stradaedile srl), la somma complessiva di 74 milioni. Gavetti, infine, ha incassato da Arlotto, per i lavori di via Giulio 22, 7,5 milioni per atti contrari al suo dovere d' ufficio. Una mazzetta di modesto importo che gli è valsa il «beneficio» degli arresti domiciliari. Per comprendere il perché le imprese fossero tanto generose nei confronti di quasi tutti i geometri comunali, il gip Gai cita, a titolo di esempio, la giustificazione resa ai pm dal geometra Michele Manis. «Perché accettavo denaro? In cambio, non rompevo le scatole alle imprese».

LA STAMPA

16/11/2005

Page 15: Dossier giornali c'è lavoro e lavoro

Dalla Regione contributi a sbafo PROCESSO PER TRUFFA Al TITOLARI DI UNA CASA DI RIPOSO UN MILIONE E MEZZO DI EURO SENZA DIRITTO Alberto Gaino

Una casa di riposo da ristrutturare, due imprese, l'ima che assegna l'appalto, l'altro che deve eseguirlo, i titolari che appartengono alla stessa famiglia e un contributo pubblico per quei lavori che, secondo l'ipotesi d'accusa, viene deliberato indebitamente dalla Regione Piemonte per l'ammontare di un milione e mezzo di euro. Nel fascicolo che il pm Onelio Dodero ha inviato in tribunale per il processo per truffa aggravata (in calendario stamane) sono state inserite alcune relazioni del comando della Compagnia di Susa della Guardia di Finanza su una delle due imprese (la ItaLCoge). Ripropongono dubbi e sospetti su almeno una parte della famiglia. Per via di un suo componente ritenuto affiliato negli Anni Settanta al clan dei Mazzaferro, allora molto potente nell'alta valle di Susa. A torto o a ragione, le «fiamme gialle» hanno continuato ad iscrivere numerosi membri dei Lazzaro allo stesso clan. In uno dei rapporti si riparla di ItaLCoge dei Lazzaro come di un'azienda che lavora attivamente nel settore dei subappalti e vi si riporta la denuncia di un concorrente sul danneggiamento di un suo escavatore (ad opera però di un'altra famiglia, questa di origini calabresi e decisamente coinvolta in affari loschi). Ma, errori e coincidenze a parte, in quel breve dossier si rilanciano storie di minacce e pressioni nello sgomitare delle imprese del movimento terra in Valle di Susa. Attorno a grandi opere come quella della mega centrale elettrica di Pont Ventoux.

I Lazzaro c'entrano sicuramente nella truffa aggravata che coinvolge la casa di riposo «San Giuseppe delle Salesiane di Don Bosco» di Agliè. Benedetto Lazzaro, uno dei quattro imputati, ad un certo punto la rileva. Alle spalle il discusso imprenditore si lascia una serie di reatini e alcuni appalti importanti, fra cui quello della manutenzione del tratto più impegnativo dell''Autofréjus. E' stato consigliere comunale di a Susa. Ha fama di non essere morbido con i sindacati degli edili. Ma Lazzaro ha deciso di diversificare la propria attività. E nel passare al ramo assistenziale decide di puntare a un finanziamento pubblico della Regione Piemonte. Siamo nel 1999: per accedere ai fondi occorre la documentazione di contratti che il pm ritiene siano stati costruiti falsamente da Lazzaro e da un suo familiare, Ferdinando, che appartiene alla generazione successiva. Quella degli attuali quarantenni, più «colletti bianchi» dei padri. Per l'accusa, le carte che ricostruiscono le tracce di «una gara di licitazione privata con il sistema delle offerte segrete» e il successivo «contratto» fra la General Service 105 di Benedetto e la ItaLCoge (di cui Ferdinando è allora presidente) dovevano servire a creare i presupposti per il finanziamento pubblico al presidio sociosanitario. C'è anche una coda: una richiesta di variante del progetto originario di ristrutturazione «laddove i lavori erano già stati eseguiti». Per il pm un ruolo attivo nella truffa ha anche l'architetto Giovanni Pierro, che redige il verbale «di consegna dei lavori» di ristrutturazione. «Consapevole che non sarebbe stato adempiuto». Perno dell'accusa il professionista Aldo Gervasio, componente del Comitato Regionale Opere Pubbliche che ebbe il ruolo di relatore della «pratica Lazzaro» e che, per non aver tenuto conto delle «anomalie» segnalate da una relazione di accompagnamento, avrebbe spianato la strada del finanziamento pubbhco. Lui è accusato di abuso d'ufficio. Stamane, la parola passa agli avvocati (Bronzini, Zancan, Mittone, Dal Fiume e De Sensi). Qualcuno degli imputati potrebbe patteggiare. A giudizio anche un loro dipendente e un consulente di Piazza Castello la sede della Regione in piazza Castello

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REPUBBLICA

Una vigilia di tensione per gli operai24 maggio 2011 — pagina 2 sezione: TORINO

MANIFESTAZIONE di due ore ieri mattina a Susa e in piazza, per una volta, non c' erano i «No Tav». Erano i 70 operai di Italcoge, l' azienda di proprietà della famiglia Lazzaro, che si è appena aggiudicata i lavori (un milione e mezzo la commessa), per la preparazione del cantiere della Maddalena a Chiomonte in consorzio con Martina, altra azienda locale. Il supertreno però non ha responsabilità in questa partita, almeno per ora. Gli operai infatti hanno incrociato le braccia davanti ai mezzi di lavoro e hanno organizzato un' assemblea perché da due mesi non ricevono lo stipendio «a causa - si affretta a spiegare Ferdinando Lazzaro che ha incontrato i lavoratori - dei ritardi con cui riceviamo i soldi dai nostri committenti Rfi, Anas e enti pubblici in generale». Il milione e mezzo appena «conquistato» per i lavori Tav sarà una «boccata d' ossigeno, sempre che i tempi di pagamento non siano biblici anche in questo caso». Ieri mattina infatti i soldi alla fine sono arrivati: un bonifico di 80 mila da parte di Rete Ferroviaria Italiana, per conto della quale Italcoge sta costruendo una serie di sovrappassi tra Chiusa San Michele e Condove, ha convinto i lavoratori a tornare al lavoro. L' azienda aspetta ancora soldi, dall' Anas (tre milioni di euro l' importo) per lavori realizzati fuori Piemonte, da giugno dello scorso anno. Una situazione che ha ben presente anche il sindacato: in una nota la Filca-Cisl, che segue i dipendenti della Italcoge, ha riconosciuto lo sforzo della proprietà che si è impegnata a versare già un acconto sugli stipendi arretrati e la rimanenza entro la settimana. Filca ha inoltre chiesto «ai numerosi amministratori locali, molto attenti a contrastare la realizzazione delle grandi opere come la Tav, che prendanoa cuore anche le questioni occupazionali dei tanti dipendenti delle imprese edili». - (mc. g.)

REPUBBLICA

Troppe perdite, il giudice ferma Italcoge03 agosto 2011 — pagina 5 sezione: TORINO

L' AZIENDA finita nel mirino dei No Tav è fallita. La Italcoge della famiglia Lazzaro, una delle due società che si stanno occupando di allestire il cantiere del primo cunicolo esplorativo a Chiomonte, non potrà più proseguire i lavori alla Maddalena. Lo stop è arrivato ieri dal Tribunale di Torino che ha dichiarato fallita l' azienda di Susa. I lavori si sono subito bloccati. Alla base della decisione del giudice Bruno Conca, un' istanza della procura dove si evidenziano perdite di capitale intorno a 1 milione e 800 mila euro. «La procura ha fatto una richiesta non per la sussistenza di reati fallimentari, in quanto non è stata riscontrata alcuna distrazione - sottolinea però l' avvocato Francesco Torre che assiste l' Italcoge- ma per le perdite superiori al capitale sociale». Al momento della richiesta dei pm «la famiglia Lazzaro aveva l' intenzione di ripianare la perdita e aumentare il capitale sociale di un milione di euro», aggiunge. Opzione che non ha convinto il giudice. Subito nominato il curatore fallimentare. Il commercialista Michele Vigna ieri ha analizzato la contabilità e i macchinari di Italcoge sono stati spenti in attesa dell' asta, mentre i 60 operai finiranno in cassa integrazione. Con il fallimento di Italcoge si apre un doppio problema. Quando ripartiranno i lavori? Quale sarà il futuro dei dipendenti che negli ultimi due mesi hanno lavorato in una situazione difficile, tra pietre e minacce? Solo poche settimane fa due mezzi della ditta, nel cortile della sede di Susa, hanno preso fuoco. «Il cantiere ripartirà a breve», dice il curatore Vigna. Neè convinta anche l' assessore ai Trasporti della Regione, Barbara Bonino. Il fallimento prevede la risoluzione immediata del contrattoe Ltf, la società italo-francese che si occupa di realizzare la galleria internazionale della linea Torino-Lione, procederà ad un

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nuovo affidamento entro questa sera. E se non ci saranno intoppi domani i lavori ripartiranno. La Martina, l' altra società che lavorava alla Maddalena in tandem con la Italcoge, prenderebbe in carico tutto l' appalto. Difficile, però, che Martina possa caricarsi i 60 dipendenti, solo la quota che opera nel cantiere di Chiomonte è inferiore. Una decina al massimo. «Questo è il colpo più duro - dice il deputato pd Stefano Esposito- la perdita del lavoro che getta decine di persone in una condizione di insicurezza. Chiedo a Ltf e alla società che subentrerà di farsene carico». I No-Tav festeggiano. Alberto Perino annuncia un esposto contro Ltf per aver scelto Italcoge per la Maddalena, mentre Davide Bono del Movimento5Stelle si chiede: «Tutti in valle conoscevano la pluridecennale inaffidabilità delle due ditte (Italcoge e Martina), come mai Regionee Ltf ne erano all' oscuro? Una storia di continguità con le ' ndrine e di turbativa d' asta per Italcoge». Ieri mattina erano partiti i lavori di ampliamento del cantiere verso la Val Clarea e Giaglione, poi sospesi. Oggi i No-Tav si ritroveranno alla vecchia baita per un' assemblea. © RIPRODUZIONE RISERVATA - ANDREA GIAMBARTOLOMEI DIEGO LONGHINREPUBBLICA

LA STAMPA

Bancarotta fraudolenta nell' impresa della Tav ex proprietari accusati30 novembre 2011 — pagina 9 sezione: TORINO

SONO accusati di bancarotta fraudolenta per aver sottratto dalla loro azienda un milionee 200 mila euro: il pm Roberto Furlan ha ora chiuso l' inchiesta in cui sono coinvolti i due gemelli Robertoe Claudio Martina, titolari della Martina Srl di Susa, poi fallita ma «rinata» come Martina Service (di cui ad aprile 2011 è stata nominato amministratore e socio unico Emanuela Cattero, moglie di uno dei due gemelli), la ditta che sta lavorando per la Tav dopo il fallimento dell' Italcoge. L' indagine era nata dopo la stessa denuncia dei fratelli, che si erano rivolti a Carmine Crescenzo per raddrizzare le sorti della loro azienda: l' imprenditore aveva in realtà cannibalizzato quel che restava dell' azienda spogliandola di macchinarie beni, creando poi un giro di fatturazioni false per diversi milioni di euro. Qualche tempo fa è stato condannato in abbreviato assieme ad altri tre complici per associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, alla truffa e a reati fiscali. Il pm ha continuatoa indagaree ha scoperto che in realtà i fratelli Martina sarebbero stati gli ideatori della bancarotta, con Pasquale Crescenzo (fratello di Carmine) e gli intermediari Antonio Andreis e Fulvio Visioli. Ma prima di rivolgersi ai Crescenzo, i gemelli, per il pm, avrebbero già ridotto sul lastrico la Martina srl, sottraendo dalle casse 1 milione e 200 mila euro.

LA STAMPA25/02/12

APPENA SETTANTA VOTI? E' UN CALABRESE FASULLO

Politica, appalti e tangenti nelle carte dell’operazione MinotauroI‘N drangheta, appoggio elettorale a politici alleati, appalti pubblici e controllo occulto di aziende, in particolare nell’edilizia, molto più stringente di quanto non apparisse dai primi atti dell’Operazione Minotauro. Dagli ultimi questo intreccio di interessi diventa soffocante per politici come Fabrizio Bertot, sindaco di Rivarolo Canavese, o sviluppa interessi paralleli per Nevio Coral (dominus di Leinì, in carcere) che approfitta dei «calabresi» anche negli affari. Il rapporto del nucleo

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investigativo dei carabinieri di fine dicembre è stato depositato dalla procura a disposizione dei legali dei 191 indagati di «Minotauro»: ridefinisce questi legami e estende ombre nuove su appalti pubblici, compresa «la commessa aggiudicata da Ltf (Lyon Turin Ferroviaire) per realizzare la recinzione nel cantiere di Chiomonte».

Da Salerno alla Valsusa Nell’ultima delle 604 pagine del dossier il colonnello Domenico Mascoli inserisce uno schema dei lavori aggiudicatisi da Foglia Costruzioni e condivisi con Italcoge spa dei Lazzaro (quelli della recinzione del cantiere di Chiomonte). Vi spiccano interventi sull’autostrada Salerno Reggio Calabria e su acquedotti calabresi. I carabinieri sottolineano uno snodo societario a loro dire cruciale: «L’acquisto della fallita Foglia da parte di Finteco», altra società che riconducono al controllo occulto di Giovanni Iaria, arrestato con il blitz di giugno e personaggio che viene di lontano.

Iaria a Italcoge Sin qui potrebbe trattarsi di coincidenze, per quanto strane. Ma da settembre 2006 (e sino a marzo 2007) fra i dipendenti di Italcoge risulta Bruno Iaria, capo della «locale» di Cuorgné e nipote di Giovanni che divide con Nevio Coral il ruolo di protagonista del rapporto dei carabinieri. In comune hanno pure la «passione» per la politica: Giovanni Iaria fu vicesegretario provinciale del Psi fra la fine degli Anni 80 e l’inizio dei 90 per quanto avesse già avuto disavventure giudiziarie.

Sembrava scomparso da vent’anni, dopo aver ceduto un paio di imprese edili all’allora presidente del Torino Calcio, Gian Mauro Borsano. Gli investigatori informano che per lungo tempo ha fatto la spola fra il Canavese e Santo Domingo. E nel 2007 fotografano 14 imprenditori e un dipendente Sitaf (concessionaria autostradale in Valle Susa) mentre entrano in casa sua, a Cuorgnè, per un incontro di affari. Nel gruppo si notano Piero Gambarino (figura centrale dell’ultimo scandalo sanitario) e Claudio Pasquale Martina, socio del Lazzaro e di Italcoge nell’Ati che si aggiudicò l’appalto di Chiomonte prima dei rispettivi fallimenti. Le coincidenze diventano un po’ troppe.

Gli affari di Coral Un imprenditore vicino alla ‘ndrangheta mette a verbale: «Giovanni Iaria era mio socio occulto. Lo conobbi quando iniziai a lavorare per Coral... Mi chiamò Coral in ufficio dicendomi di comprare una società in fallimento, la Cogeca, e precisandomi che dovevo cedergli una quota per garantire un più facile accesso al credito bancario. Gli diedi il 15% gratuitamente, come negli altri casi... Il senso dell’operazione era di acquisirne la Soa (un attestato) che consentiva l’accesso agli appalti pubblici.. Ad esempio, la Edilmaco (altra società attribuita al controllo occulto di Iaria, come la storica e ormai defunta Bresciani Costruzioni) acquista Cogema, Coral si prende stipendi da “capogiro”, intasca “tangenti” per rinunciare a lavori (nel portafoglio ordini dell’azienda) e lascia la società al suo destino...».

I voti del colonnello A Rivarolo il costruttore Giovanni Parisi «viene agevolato nel conferimento e nell’esecuzione dei lavori edili dei complessi residenziali Il Villaggio del Sole (realizzato) e della Città del Sole». Gli ‘ndranghetisti si spartiscono i subappalti e Giovanni Iaria si attiva per l’elezione del sindaco Bertot alle Europee 2009. I carabinieri danno conto dell’impegno di Parisi di raccogliere per lui 800 voti a Nichelino. Ne avrà 70 e Iaria sbotta: «Quello è un calabrese fasullo». E rimbrotta uno dei suoi collaboratori, Giovanni Macrì, di avergli «dato retta».Bertot raccoglie 19.156 voti, «quarto dei non eletti nel Pdl». Iaria gli ha organizzato incontri elettorali a Cuneo, Vercelli (dove si attiva pure il colonnello dei carabinieri Giuseppe Romeo, «già coinvolto nelle indagini su Salvatore Strangio») e Novara. Con Macrì si esalta: «Mi sento ringiovanito di vent’anni». E alla mancata elezione di Bertot l’altro lo rincuora: «Abbiamo cominciato a mettere in piedi una struttura... E’ la base per il futuro». I quasi 20 mila voti di Bertot non sono pochi, ma i conti non tornano, anche per il «patto elettorale» con Coral che «non ha funzionato». La «rete dei calabresi» si è elettoralmente dispersa quella volta. Un caso?

I

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di Alberto Gaino, da La Stampa 25 febbraio 2012

LA STAMPA

14/06/2012

Minotauro, pugno di ferroper i primi 73 imputati

Dopo il blitz di un anno fa, il processo contro la criminalità organizzata calabrese - al suo primo atto - si svolge nell'aula bunker del carcere Lorusso-Cutugno (nella foto)

Quasi 500 anni le pene chieste dai pm per chi ha scelto l'abbreviatoMASSIMILIANO PEGGIOtorino

Quasi 500 anni di reclusione per gli affiliati alla ‘ndrangheta. È la somma delle pene richieste ieri dalla procura torinese per i 73 imputati dell’operazione Minotauro, inchiesta monumentale contro la criminalità organizzata calabrese, che hanno scelto il giudizio abbreviato. Pugno duro dei magistrati nei confronti dei «capi locale» e dei «padrini», cioè per quei soggetti che secondo il codice penale, articolo 416 bis, nell’ambito dell’organizzazione mafiosa «promuovono, dirigono o organizzano l'associazione».

Proposte di condanna che sanno di alchimie giuridiche: un labirinto di commi, aggravanti, recidive. Nel complesso calcolo delle richieste di pena, è stata comunque riconosciuta in generale l’equivalenza tra le attenuanti generiche e la circostanza aggravante dell’associazione armata. Scelta che in procura viene definita «equilibrata», per suggellare il primo atto processuale della più importante inchiesta contro la criminalità calabrese attiva in Torino e provincia, portata a termine dai carabinieri del Comando Provinciale. Ma gli imputati non finiscono qui. Al di là di quelli che hanno scelto il patteggiamento, tutti gli altri, oltre settanta, andranno a dibattimento. Tra questi Nevio Coral, ex sindaco di Leini e imprenditore, coinvolto nella vicenda con l’accusa di aver «fatto affari con le «famiglie» dell’associazione, anche per scopi politici.

Quindici anni di reclusione è la pena più severa richiesta al tribunale dal procuratore aggiunto Sandro Ausiello, coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia. È quella per Aldo Cosimo Crea, alias «Cosimino», 38 anni. Stando agli atti dell’inchiesta avrebbe ricoperto la dote di «padrino» con un ruolo attivo nel «crimine di Torino», cioè «la struttura associativa operativa, preposta allo svolgimento di azioni violente». Quattordici anni e 4 mesi per il fratello Adolfo, 41 anni, originario di Locri, anche lui affiliato con dote di «padrino». Per entrambi hanno pesato le condanne ricevuto in precedenti sentenze.

A ruota segue la richiesta per Bruno Iaria, considerato capo locale di Cuorgnè: 14 anni, più 45 mila euro di multa dovuti ad altri reati oltre a quello associativo. Per suo zio, Giovanni Iraia, ex assessore comunale di Courgné ed ex attivista socialista, la procura ha chiesto 7 anni e 8 mesi di reclusione. Rilevanti anche le pene richieste per Giuseppe Barbaro e Pasquale Barbaro, rispettivamente 6 anni e 8 mesi, e 10 anni. Quest’ultimo, detto «U Nigru», è considerato un anello di congiunzione tra Nord e Sud, tra due «unità criminali», come «referente del Locale di Platì col Locale di Volpiano». La pena più mite riguarda Leonardo Bernardo, 8 mesi, per l’accusa di aver partecipato al furto di

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un’auto. Per uno solo dei 73 imputati, Ergas Brollo, di Rivoli, finito nel calderone delle annotazioni d’indagine per le sue frequentazioni «pericolose», la procura ha chiesto l’assoluzione.

A margine è stata chiesta anche la confisca di beni per un valore superiore a 4 milioni di euro. Il provvedimento riguarda 25 imputati. Tra i beni da confiscare, 32 immobili, appartamenti, box, terreni, nove automobili, 650 mila euro in contanti e quote societarie di una decina di aziende. Nelle prossime udienze parleranno i difensori. Dopo l’estate si pronuncerà il tribunale.

LA STAMPA

16 marzo 2012 la stampa

“Sette milioni sottratti dai Martina” Concorso in bancarotta fraudolenta dell’azienda di famiglia, con l’accusa di averne distratto beni per circa 7 milioni: con questa imputazione il pm Roberto Furlan ha chiesto il rinvio a giudizio dei gemelli Roberto e Claudio Pasquale Martina. Si tratta degli imprenditori valsusini che avevano ottenuto con i fratelli Lazzaro l’appalto per la recinzione del cantiere Tav di Chiomonte. Dei Lazzaro Ferdinando patteggiò con lo stesso pm una pena per turbativa d’asta e corruzione.

Fallite le aziende degli uni e degli altri sono subentrate nell’appalto - ora ridotto alla manutenzione della recinzione società riconducibili alle due famiglie: Italcostruzioni, che ha affittato dal curatore fallimentare di Italcoge il ramo di azienda, è controllata attraverso Invest srl dai Lazzaro; Martina

Service è subentrata all’indiretta progenitrice avendo co- me titolare Emanuela Cattero, moglie di Claudio Pasquale Martina. Lo stesso imprenditore che fu segnalato, con altri 13 colleghi, come partecipante ad un incontro nella casa di Cuorgnè di Giovanni Iaria, personaggio di spicco della

‘ndrangheta infiltratasi nel Torinese. Sui rapporti di Iaria con Italcoge e i Martina si sofferma una relazione del comando provinciale dei carabinieri per l’inchiesta Minotauro.

Martina Service ha acquistato a sua volta i mezzi dal Martina Group, costituita un mese prima del fallimento di Martina Srl e di cui aveva rilevato il ramo di azienda dal curatore fallimentare. A vendere e comprare da ultimo è stato lo stesso soggetto: Cattero.

REPUBBLICA4 giungno 2012

Torino: pm chiede condanna fratelli Martina per bancarottaTorino, 4 giu. (Adnkronos) - Il pubblico ministero di Torino, Roberto Furlan, ha chiesto una condanna a tre anni e nove mesi di carcere a testa per concorso in bancarotta fraudolenta per i fratelli Claudio e Roberto Martina, all'epoca dei fatti proprietari della Martina srl di Susa (Torino). Sulle ceneri di quella azienda era poi nata, con un'altra proprieta', la Martina Service, una delle ditte che e' poi stata impegnata nei lavori preliminari per la Torino-Lione a Chiomonte. Il procedimento si sta svolgendo con il rito abbreviato. Ai fratelli Martina la Procura contesta la distrazione di 1,2

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milioni di euro dalle casse societarie prima della bancarotta. Nell'inchiesta sono indagati anche gli intermediari Fulvio Visioli, Antonio Andreis e Pasquale Crescenzo, che andranno a dibattimento. (04 giugno 2012 ore 19.16)

sito infilttato.it direttore emiliano morrone

12 marzo 2012

rischio di infiltrazioni è forte e, in alcuni casi, già palese: le operazioni investigative Minotauro e Infinito, d’altronde, hanno confermato le mire criminali sui progetti. E poi ci sono le minacce e le intimidazioni verso chi si oppone ai progetti. Ma si sta anche tentando di garantire trasparenza, come si sta facendo a Milano con la white list. Ma i dubbi su una garanzia effettiva restano …

di Carmine Gazzanni

OMBRE SULLA TAV: ITALCOGE, MARINO E QUEL DIPENDENTE ‘NDRANGHETISTA - “Brutto figlio di puttana, le stalle che abbiamo bruciato erano solo un avvertimento. Ora passeremo ai cristiani: vi veniamo a prendere mentre dormite, vi scanniamo come maiali e vi squagliamo nell'acido”. Questo è il contenuto di una lettera recapitata un anno fa ad Alberto Perino, leader del Movimento No Tav. “E mi hanno anche avvelenato il cane – ci dice nell’intervista che ci ha rilasciato alcuni giorni fa - Ultimamente, poi, hanno minacciato anche altri manifestanti”. Altri “sucaminchia dei No Tav”, come si legge sempre nella lettera intimidatoria. Insomma, sembrerebbe che i No Tav siano rei di aver toccato alcuni importanti interessi.

D’altronde non c’è da sorprendersi. Il Piemonte è una terra a forte presenza ‘ndranghetista e l’operazione Minotauro ne è una palese dimostrazione: 148 persone arrestate per reati a vario titolo (voto di scambio, usura, traffico d’armi e stupefacenti) e sequestro di beni per 50 milioni di euro. L’operazione ha evidenziato, rivela la DIA, che “nella regione sono radicate qualificate presenze di soggetti riconducibili alle ‘ndrine del vibonese, della locride, delle coste ioniche e tirreniche reggine”.

Ed è proprio dagli ultimi atti dell’indagine depositati dalla procura che cadono ombre anche sulla Tav. “Dietro la Tav – ci dice il giornalista antimafia Biagio Simonetta - sappiamo tutti cosa c’è. Sappiamo che ci sono dei clan calabresi che stanno attendendo il varo dei progetti d’inizio dei cantieri perché incasserebbero diverse centinaia di migliaia di euro subito. Dietro la Tav c’è un gruzzolo di soldi importantissimo. Considerando che la ‘ndrangheta è egemone in Piemonte, pensare che dietro la Tav non ci sia la ‘ndrangheta è un po’ da folli. Bisogna stare molto attenti”.

Nell’operazione Minotauro, infatti, si fa esplicito riferimento alla Italcoge dei fratelli Lazzaro, società aggiudicatrice dell’appalto per la recinzione del cantiere di Chiomonte. La figura che getta ombre su questa spa (che per giunta già era finita agli onori della cronaca nel 2002 per un’operazione che portò all’arresto di Ferdinando Lazzaro per corruzione) è quella di Bruno Iaria, come ha ricostruito alcuni giorni su La Stampa Alberto Gaino. Bruno Iaria, infatti, da settembre 2006 sino a marzo 2007 è dipendente di Italcoge. Fin

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qui niente di strano. Ma i dubbi crescono se si precisa che Bruno è capo della ‘locale’ di Cuorgnè e nipote di Giovanni Iaria, arrestato nell’operazione Minotuaro, accusato di ave fatto convogliare il voto ‘calabrese’ su Fabrizio Bertot, candidato alle elezioni Europee 2009 (ottenne ben 19. 156 voti) e oggi sindaco di Rivarolo Canavese.

Ma le coincidenze non finiscono qui. Nel 2007 – ricostruisce ancora Gaino – i carabinieri fotografano 14 imprenditori mentre entrano a casa di Giovanni Iaria, a Cuorgnè, per un incontro di affari. Tra di loro ci sono due persone la cui presenza alimenta tanti dubbi. C’è un dipendente Sitaf, Società Italiana per il Traforo Autostradale del Frejus, concessionaria autostradale in Val Susa. Ma c’è anche Claudio Paquale Martina, presidente della Martina Service srl, socio di Italcoge, nell’ATI, società che si aggiudicò l’appalto di Chiomonte.

Il quadro che emerge, a questo punto, è dei meno rassicuranti se si pensa che, all’indomani del fallimento dell’Italcoge, l’appalto è stato immediatamente concesso proprio alla Martina Service srl. La stessa che ne era già in affari e il cui presidente era a Cuorgnè a casa di Iaria nel 2007.

Tutto questo finisce col gettare ombre anche sulla stessa società che dovrebbe gestire e coordinare i lavori, la Ltf (Lyon Turin Ferroviaire), perché gli appalti – come ci ricorda Perino – “si affidano a trattativa privata”. “Come cavolo si fa a dire che non ci sono infiltrazioni quando poi si affidano i lavori a queste due ditte che sono in odore di mafia?”, si chiede il leader del Movimento. E, con lui, ce lo chiediamo anche noi.

VINCENZO PROCOPIO PRIMA TITOLARE E POI DIRETTORE TECNICO DELLA STI

da Repubblica, 16/12/2004, cronaca di Torino Pag. IV

Un ministro, il suo vice e quei microfoni indiscreti

Sul tavolo del procuratore Saluzzo uno scottante rapporto della Divisione investigativa antimafia sui progetti per la Torino-Lione. Nelle intercettazioni i nomi di Lunardi, di una società di famiglia e di sua figlia. Si citano anche Martinat (An) e un suo presunto "cassiere". Già aperto un fascicolo.

Tutto è nato a luglio dalle indagini dopo l´invio di una busta con dei proiettili al presidente dell´Agenzia Olimpica Arcidiacono

VENAUS, dal nostro inviato Alberto Custodero

La Rocksoil Spa, società delle figlie del ministro per le Infrastrutture e Trasporti Pietro Lunardi.

Il nome del vice-ministro ai Lavori Pubblici, Ugo Martinat.

E, poi, l´uomo definito in alcune intercettazioni telefoniche come il suo «cassiere»: Vincenzo Procopio, titolare della Sti Srl e socio della Stef, la società che progettò l´autostrada Torino Bardonecchia.

Nomi eccellenti e oscuri retroscena compaiono in un rapporto segreto della Divisione Investigativa Antimafia datato 16 luglio 2004 sulla linea ferroviaria Alta Velocità Torino Lione. Repubblica è adesso in grado di ricostruire il contenuto di quel fascicolo della Dia

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finito nell´inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Saluzzo e dai sostituti Paolo Toso e Cesare Parodi.

Gli uomini diretti dal dottor Claudio Cracovia hanno iniziato a indagare sul primo lotto in territorio italiano relativo alla perforazione, a Venaus, nel cuore della Val Cenischia, di un tunnel esplorativo largo 5 metri e profondo alcuni chilometri. Il treno super veloce si infilerà a Modane in una galleria lunga 52 chilometri, sbucherà a Venaus, taglierà su un viadotto lungo 4 chilometri e alto 10 la Val Cenischia per rituffarsi nella pancia della montagna e sbucare a nella bassa Valle Susa. Ebbene, nel settembre del 2003, durante la fase di assegnazione dell´appalto del primo «carotaggio» della montagna (poi annullato per un vizio di forma), erano giunte a Vincenzo Procopio, a Domenico Arcidiacono, direttore dell´Agenzia per le opere olimpiche di Torino 2006, e al consigliere Giovanni Desiderio, delle buste contenenti della pallottole calibro 38 accompagnate da una lettera dal tono eloquente: «le prossime saranno calde». La Dia ha svolto lunghi e articolati accertamenti alla ricerca della mafia, la cui sospetta infiltrazione in Val di Susa poteva giustificare le missive «calibro 38».

Il rapporto Dia si è concluso in modo sorprendente: non è stata trovata alcuna traccia di criminalità organizzata attorno ai lavori dell

´Alta Velocità. In compenso, è emerso un inedito spaccato degli oscuri intrecci fra politica, lavori pubblici e imprese di costruzioni. Le attenzioni della Dia si sono concentrate su Walter Benedetto, il direttore lavori della LTF, la Turin Lyon Ferroviaire, la società metà Ferrovie Francesi, metà italiane, che appalta l´intera opera. Benedetto ha lavorato a lungo alla Stef, la società che ha progettato l´autostrada Torino-Bardonecchia, ora controllata da Procopio. Parlando con Desiderio, commenta a lungo il fatto che la «Stone del Ministro» (una Srl fino al 2001 del ministro Lunardi e della figlia Martina), stava facendo alleanze con altre società del Gruppo Gavio per «fottere» la concorrenza. C´era una gran lotta per aggiudicarsi l´appetitoso appalto. Nelle varie conversazioni, si dice che una talpa «della commissione di Venaus ha avvisato le imprese». Qualcuno anticipa che avrebbe vinto Geodata. O Fenice.

Ma la presenza del Ministro per le Infrastrutture è evocata, in modo indiretto, dalla società Rocksoil Spa che si è aggiudicata, dalla Tlf francese, la consulenza per la progettazione della galleria di 52 chilometri che sbucherà a Venaus.

A delineare invece i rapporti che legano Ugo Martinat a Procopio è l´ingegner Giulio Burchi, presidente della Metropolitana Milanese Spa, interpellato - in virtù della sua alta esperienza in infrastrutture ferroviarie - da un suo conoscente. Burchi, al suo interlocutore, ha raccontato, non senza stupore, di avere saputo dalla ex Satti di Torino (ora Gtt), che la società trasporti torinese era stata costretta a affidare 240 miliardi a Procopio definito «il cassiere di Martinat». Si parla di lavori, ovviamente, Burchi si lascia andare a considerazioni personali, parla al telefono in modo riservato.

La Dia, però, osserva che quella definizione («cassiere»), potrebbe trovare giustificazione in un altro episodio riscontrato da altre intercettazioni. Questa volta è Calvani, della segreteria particolare di Martinat, a parlare con Procopio. E a chiedergli conto «del versamento fatto da C per Roma....» di circa 100 mila euro da un personaggio di Castel Nuovo Don Bosco, attraverso una triangolazione di fatture false.

Nel rapporto della Dia si parla anche di Nicola Chiatante, il direttore dell´Ares, l´agenzia regionale strade. Che, dopo aver incontrato Martinat e aver parlato con lui dei lavori di Omegna, riferisce a Gilberto Valle: «Stamattina con Ugo ho messo il tuo cappello su una sedia e accontentati di questo». Chiatante parla poi con un certo «Attilio» (forse un ex deputato e noto professionista torinese) dell´ipotesi di ottenere una consulenza per un collaudo dal provveditore di Genova nell´ambito di uno cambio di favori. Si parla dei lavori di Cossato, dei due milioni di euro che l´Ares ha girato all´Agenzia di Arcidiacono per la costruzione di un ponte. E le intercettazioni proseguono, a lungo.

repubblica

I versamenti ad An nel mirino dei pm09 maggio 2005 — pagina 1 sezione: TORINO

Ugo Martinat, vice ministro ai Lavori Pubblici, indagato per abuso d' ufficio e turbativa d' asta, sarà ascoltato nei prossimi giorni. La data è ancora da fissare e dipenderà dall' esito di un interrogatorio di un indagato eccellente - fissato per stamattina alle 9,30 -, un commissario di gara della metropolitana di Torino. Nell' ufficio del procuratore aggiunto Francesco Saluzzo e dei sostituti

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Cesare Parodi e Paolo Toso il segretario regionale di An ci andrà accompagnato dagli avvocati Andrea e Michele Galasso. La sua linea difensiva non si conosce. Ma non è escluso che Martinat non negherà di essersi preoccupato di alcuni appalti (in particolare quello di Avigliana), essendo suo compito istituzionale in quanto previsti dalla legge sulle opere olimpiche. Ma a creare imbarazzo al vice ministro sono le telefonate che la Dia ha registrato intercettando il telefono di Vincenzo Procopio, presidente della società di progettazione e direzione lavori Sti. Ebbene, dall' ascolto delle telefonate di Procopio (definito dal presidente della Metropolitane Milanesi Giulio Burchi «il cassiere di Martinat»), emerge un episodio che dà ora agli investigatori, procura e guardia di finanza, lo spunto per accertare tutti i finanziamenti ufficialmente dichiarati e incassati da An. Ecco il passaggio del rapporto della Dia che ha insospettito gli inquirenti. Un certo «Claudio Casalegno avrebbe emesso nei confronti di Sti una fattura per operazioni inesistenti per un importo pari a 126.540 euro. Presumibilmente, lo stesso Casalegno, una volta ricevuto il pagamento della fattura da parte di Procopio, lo avrebbe versato, a titolo di contributo volontario, a favore del partito di appartenenza dell' onorevole Ugo Martinat». «In seguito, il Casalegno avrebbe richiesto a Procopio una somma in denaro contante di 30 mila euro, 20 mila dei quali a copertura dell' Iva e 10 mila a titolo di compenso per la disponibilità a compiere la predetta operazione». Fatture false, triangolazioni per contributi politici al partito di Gian Franco Fini: nei prossimi giorni le «fiamme gialle» acquisiranno le ricevute di tutti i versamenti destinati a An. E, poi, verificheranno la loro reale provenienza, la corrispondenza fra l' importo dichiarato e quello versato. E, soprattutto, l' eventuale esistenza di una relazione fra il contributo elettorale e gli appalti vinti dalle «generose» imprese. - ALBERTO CUSTODERO

Appalti truccati per lavori stradaliotto condanne e sei assoluzioniOtto condanne e sei assoluzioni hanno chiuso un processo per una serie di irregolarità nell'assegnazione, in Piemonte, di appalti legati, tra l'altro, alla linea ferroviaria ad alta velocità e alle Olimpiadi invernali del 2006. La pena più alta (un anno e tre mesi di reclusione) è stata inflitta all'imprenditore Vincenzo Procopio. Il pm Cesare Parodi aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati partendo da quattro anni di carcere.La causa aveva riguardato anche l'ex viceministro alle infrastrutture Ugo Martinat (An) e l'imprenditore Marcellino Gavio, ora deceduti. Tra le assoluzioni figurano quelle di Michele Colistro, dirigente del ministero, di Mauro Coletta, direttore dell'Anas per le autostrade, e di Elio Perotto, dell'Agenzia Torino 2006 (l'organismo che si occupò delle opere olimpiche). Fra i condannati figurano Giuseppe Cerutti (un anno), chiamato in causa nella veste di presidente della Sitaf, la società di gestione dell'autostrada del Frejus, e Paolo Comastri (otto mesi), direttore generale di Ltf, la società mista italo-francese che si occupa della Torino-Lione.I reati ipotizzati, a seconda delle singole posizioni, erano l'abuso e la turbativa d'asta. Le opere in questione erano il cunicolo esplorativo di Venaus (Torino) per la ferrovia ad alta velocità; la variante Cossato-Valle Mosso (Biella); la messa in sicurezza della statale 589 a Pinerolo (Torino); la variante esterna di Tortona (Alessandria); il raccordo ponte di Gassino (Torino); la variante di Avigliana (Torino); la galleria di Fenestrelle (Torino).

REPUBBLICA

Via a nuove norme antimafia il governo pronto a blindare gli appalti per l' Alta velocità

07 marzo 2012 — pagina 6 sezione: CRONACA

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ROMA - Il nodo Tav sì - Tav no diventa ora appalti sì - appalti no. Le parole di Roberto Saviano su Repubblica scuotono e fanno riflettere anche palazzo Chigi. La necessità di regole più stringenti per stoppare le infiltrazioni mafiose si salda con quella di avere norme anti corruzione a livello europeo. Un fronte aperto dove la maggioranza rischia di spaccarsi per colpa del Pdl che invece fa muro. La protesta tace, ma il tormentone Tav continua. In una Torino blindata Napolitano non vede i sindaci anti-treno e non aggiunge nulla alla sua reprimenda contro la violenza. Parla il cardinale Angelo Bagnasco, al vertice della Cei, con espressioni simili a quelle del Colle: «Se le contestazioni sono nel segno della violenza non sono mai accettabili». Oggi si riparlerà di mafiae corruzione, entrambe sul tavolo del premier quando incontrerà Bersani, Casini e Alfano. Una cosa è certa. Il governo è pronto a mettere a punto strumenti più efficaci per frapporre una rigida barriera alle cosche che vogliono impadronirsi degli appalti. Già ieri ne hanno parlato riservatamente Monti e il ministro dell' Interno Anna Maria Cancellieri. La convinzione è che le leggi attuali sulle grandi opere hanno dato risultati positivi, ma tutto è migliorabile. In una coalizione in cui stanno assieme destra e sinistra, temi come mafiae corruzione portano alla rissa. Lo si è visto chiaro ieri quando alla Camera si sono incontrati Bersani, Casini e il Guardasigilli Paola Severino. Argomento il ddl anti corruzione. Il Pdl lo boicotta, si schiera per lo stralcio delle pene aggravate, di fatto vuole svuotare una legge che lo stesso Alfano firmò a maggio 2010. Garantisce Severino: «Io voglio andare avanti, ma dovete garantirmi l' appoggio in Parlamento». Andare avanti significa mettere nel codice reati come corruzione privata, traffico di influenze illecite, una nuova formula che inglobi corruzione e concussione. Bersani e Casini garantiscono pieno appoggio. Tratteranno con Alfano per vedere quanto il segretario del Pdl può strappare a Berlusconi. Che teme leggi anti-Silvio. Questo è il clima in cui cade la Tav e il conseguente rischio che gli appalti siano preda delle cosche e occasione di corruzione proprio com' è avvenuto all' Aquila per quelli del terremoto. Bloccare tutto? Non la pensa così Walter Schiavella, il segretario nazionale della Fillea Cgil: «Mentre le imprese sane spariscono o fanno i conti con la disperazione, quelle direttamente o indirettamente collegate con la mafia vedono crescere i loro profitti. Ma per fermare la criminalità non si devono fermare le opere e lo sviluppo del Paese. Un sistema di controlli già esiste e il governo deve rilanciarlo, applicandolo in pieno, abolendo le gare al massimo ribasso, rafforzando la qualificazione delle imprese, applicando la delibera Cipe antimafia su tutte le opere della legge obiettivo». Un protocollo che finisce sul tavolo di Monti e Cancellieri. Come le rassicurazioni della Ltf, la società incaricata di costruire la TorinoLione. Dice il direttore generale Marco Rettighieri: «Il certificato antimafia viene richiestoa tuttie poi c' è il gruppo interforze che passa al setaccio chi lavora per noi. Le maglie sono strette. E se sorge il minimo sospetto non iniziano nemmeno a lavorare». Ma a questo punto si muoverà il governo. DIEGO LONGHIN LIANA

Sulla Tav si scavi, ma non solo con le ruspe

di Ferruccio Sansa | 1 marzo 2012 il fatto quotidianoCommenti (119)Più informazioni su: alta velocità, Cooperativa muratori e cementisti, Lyon Turin Ferroviaire, No Tav, Val di Susa.

Corridoi europei, strategie di trasporti, il tunnel più lungo del mondo. La Lione-Torino (ecco il vero nome, non è una linea ad Alta Velocità) è questo. Ma anche un affare da miliardi su cui puntano molti occhi. Normale, ma siamo in Italia dove le inchieste per l’Alta Velocità non si contano. E siamo in Val di Susa, territorio ad alta penetrazione della ‘ Ndrangheta (Bardonecchia fu il primo comune del Nord sciolto per mafia). L’aperitivo era stato servito nel 2005 quando la Procura di

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Torino indagò l’allora viceministro delle Infrastrutture, Ugo Martinat, numero due di Pietro Lunardi (sponsor dell’opera). L’accusa: turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Oggetto: gli appalti, tra l’altro, per la galleria di Venaus (opera preliminare della Torino-Lione). Emersero consulenze a imprese vicine a personaggi di governo, contatti con politici e imprenditori di primo piano: il processo di primo grado si è concluso con 8 condanne tra cui Giuseppe Cerutti, presidente della Sitaf, la società dell’autostrada del Frejus, e Paolo Comastri, direttore generale di Ltf (Lyon Turin Ferroviaire, la società madre della Tav, controllata con quote del 50 % dall’italiana Rfi e dall’omologa francese Rff). Martinat e l’imprenditore Marcellino Gavio nel frattempo sono morti.

Il boccone grosso degli appalti è ancora nel piatto: parliamo del tunnel di 57 chilometri tra Francia e Italia. Fonti Ltf raccontano: “Nel 2012 sarà ultimato il progetto, nel 2013 toccherà alle procedure autorizzative e nel 2014 ci sarà la gara. I lavori partiranno entro il 2014”. Valore: 8, 5 miliardi se passerà l’ipotesi “minimalista”, fino a 20 miliardi in caso di completamento dell’opera. I giochi sono ancora da fare, ma i grandi costruttori stanno già elaborando le loro strategie. Così anche le imprese minori destinatarie di ambiti subappalti milionari, sottoposti a controlli meno stringenti. La prima fetta, però, è aggiudicata: “Sono 93 milioni per la galleria esplorativa”, racconta François Pellettier di Ltf. Aggiunge: “L’opera sarà realizzata da Cmc”. La Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna è un colosso del settore, con un fatturato di 805 milioni e 8. 500 persone. Cmc è uno dei fiori all’occhiello del mondo cooperativo dei costruttori una volta detti “rossi”. Un’impresa che in portfolio vanta grandi progetti nei cinque continenti, ma anche opere contestate come il Quadrilatero autostradale delle Marche e la base Dal Molin di Vicenza. Un’industria leader, non solo in Italia; potente, in passato guidata da un signore del cemento: Lorenzo Panzavolta, poi passato al gruppo Ferruzzi e quindi toccato da Mani Pulite.

Cmc è finita nel mirino dei No Tav che avanzano domande maliziose: “Le cooperative per tradizione sono vicine a una parte politica, forse anche per questo il centrosinistra sponsorizza la Tav?”. Ma Cmc ha conquistato appalti a Singapore dove i partiti italiani non mettono becco. E non c’entra sicuramente nulla che, come ricordano i No Tav, “Cmc risulti tra gli inserzionisti della rivista Italianieuropei della fondazione di Massimo D’Alema”. L’appalto da 93 milioni ha dato vita a numerosi subappalti, ambìti dalle società della valle. Una in particolare, la Italcostruzioni, che si occupa delle recinzioni dei cantieri odiate dai manifestanti. E l’impresa è finita nel mirino dei No Tav: “Sono stato aggredito, mi hanno spaccato un braccio. I nostri mezzi sono stati bruciati”, racconta Ferdinando Lazzaro, che pur senza cariche è una delle figure chiave della società (“ho una consulenza”).

Anche Italcostruzioni ha una storia da raccontare. Negli anni ’ 70, il capostipite Benedetto Lazzaro, emigrato dalla Sicilia e vicino alla Dc, fonda una piccola impresa che presto diventa un impero in valle. Racconta il nipote Ferdinando: “Abbiamo lavorato duro”. Guai giudiziari? Le cronache parlano di inchieste per problemi fiscali: “Mio padre fu chiamato in causa in un’indagine sul caporalato, ma venne assolto”. Tutto qui? “No, nel 2002 insieme a decine di imprenditori locali sono stato arrestato in un’inchiesta detta ‘ appaltopoli’. Emerse una rete non per ‘ truccare’, diciamo per ‘ tenere ’ gli appalti. Fui condannato a 8 mesi per turbativa d’asta”.

Ma la famiglia Lazzaro va per la sua strada. E nasce Italcoge: “Alla guida c’era mia sorella Laura. Insieme con un’altra società abbiamo ottenuto un primo subappalto da 2 milioni per i cantieri Tav”. Ed ecco un intoppo: “Italcoge è fallita. Non eravamo stati pagati per lavori sulla Salerno-Reggio”, racconta Lazzaro. Italcoge fallisce nell’agosto 2011, ma i suoi camion lavorano per la Tav. Com’è possibile? “È nata una nuova società”. Chi sono gli amministratori? Non più le sorelle Lazzaro, ma “i loro mariti”, conferma Lazzaro. Stessa famiglia, stessi uffici, stesso stemma. Perfino stessi mezzi: “Li abbiamo affittati dal fallimento”. Di più: “Italcostruzioni, nata sulle ceneri di Italcoge, dopo il fallimento ha ottenuto un altro appalto da due milioni per la Tav”.

Notizie di cronaca sostengono che tra i vostri dipendenti vi sarebbe stato il capo della “locale” della ‘ Ndrangheta di Cuorgné? “Falso. Mai conosciuto”, assicura Lazzaro. Aggiunge: “La mia famiglia non ha niente a che fare con ambienti criminali. Non siamo mai stati indagati per questo,

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non ci possono accusare solo perché siamo siciliani”. Domanda: non le sembra, però, singolare che dopo una condanna per turbativa d’asta e un fallimento la società che fa riferimento alla vostra famiglia continui a ottenere appalti per la Tav? “No, noi lavoriamo bene. Ma qui chi tocca la Tav è come morto”.

LE MANI DELLA MAFIA SUI CANTIERI06 marzo 2012 — pagina 1 sezione: prima pagina

TUTTI parlano di Tav, ma prima di ogni cosa bisognerebbe partire da un dato di fatto: negli ultimi trent'anni l'Alta velocità è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata, un modello vincente di business perfezionatosi dai tempi dalla costruzione dell'Autostrada del Sole e della ricostruzione post-terremoto in Irpinia. SEGUE QUESTA è una certezza giudiziaria e storica più solida delle valutazioni ambientali e politiche (a favore o contro), più solida di ogni altra analisi sulla necessità o sull'inutilità di quest'opera. In questo momento ci si divide tra chi considera la Tav in Val di Susa come un balzo in avanti per l'economia, come un ponte per l'Europa, e chi invece un'aberrazione dello spreco e una violenza sulla natura. Su un punto però ci si deve trovare uniti: bisogna avere il coraggio di comprendere che l'Italia al momento non è in grado di garantire che questo cantiere non diventi la più grande miniera per le mafie. Il governo Monti deve comprendere che nascondere il problema è pericoloso.

Prima dei veleni, delle polveri, della fine del turismo, della spesa esorbitante, prima di tutte le analisi che in questi giorni vengono discusse bisognerebbe porsi un problema di sicurezza del sistema economico. Che è un problema di democrazia. Ci si può difendere dall'infiltrazione mafiosa solo fiaccando le imprese prima che entrino nel mercato, quando cioè è ancora possibile farlo.

Ma ormai l'economia mafiosa è assai aggressiva e l'Italia, invece, è disarmata. Il Paese non può permettersi di tenere in vita con i fiumi di danaro della Tav le imprese illegali. Se non vuole arrendersi alle cosche, e bloccare ogni grande opera, deve dotarsi di armi nuove, efficaci e appropriate. La priorità non può che essere la "messa in sicurezza dell'economia", per sottrarla all'infiltrazione e al dominio mafioso, dotandola di anticorpi che individuino e premino la liceità degli attori coinvolti e creino le condizioni per una concorrenzialità, vera, non inquinata dai fondi neri. Oggi questa messa in sicurezza non è ancora stata fatta e il Paese, per ora, non ha gli strumenti preventivi per sorvegliare l'enorme giro degli appalti e subappalti, i cantieri, la manodopera, le materie prime, i trasporti, e lo smaltimento dei rifiuti, settori tradizionali in cui le mafie lavorano (inutile negarlo o usare toni prudenti) in regime di quasi monopolio. Quando i cantieri sono giganti con fabbriche di movimenti umani e di pale non ci sono controlli che tengano.

IL BUSINESS CRIMINALE Le mafie si presentano con imprese che vincono perché fanno prezzi vantaggiosi che sbaragliano il mercato, hanno sedi al nord e curricula puliti,e il flusso di denaro destinato alla Tav rischia di diventare linfa per il loro potenziamento, aumentandone la capacità di investimento, di controllo del territorio, accrescendone il potere economico e, di conseguenza, politico. Non vincono puntando il fucile. Vincono perché grazie ai soldi illeciti il loro agire lecito è più economico, migliore e veloce. Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione postterremoto del 1980: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d'appalto in virtù della presunta urgenza dell'opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d'opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per migliaia di miliardi. La storia dell'alta velocità in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell'edilizia e del cemento. Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte pronte e già si sono organizzate in questi anni.

Esagerazioni? La Direzione nazionale Antimafia nella sua relazione annuale (2011) ha dato al Piemonte il terzo posto sul podio della penetrazione della criminalità organizzata calabrese: « In

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Piemonte la 'ndrangheta ha una sua consolidata roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla Lombardia». Così come dimostra la sentenza n. 362 del 2009 della Corte di Cassazione che ha riconosciuto definitivamente « un'emanazione della 'ndrangheta nel territorio della Val di Susa e del Comune di Bardonecchia ». L'infiltrazione a Bardonecchia (che arrivò a portare lo scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa nel 1995 primo caso nel Nord-Italia) è avvenuta nel periodo in cui si stava costruendo una nuova autostrada e il traforo del Frejus verso la Francia. Gli appalti del trafo ro portarono le imprese mafiose a vincere per la prima volta in Piemonte.

I LEGAMI CON IL NORD Credere che basti mettere sotto osservazione le imprese edili del sud per evitare l'infiltrazione è una ingenuità colpevole. Le aziende criminali non vengono dalle terre di mafie. Nascono, crescono e vivono al Nord, si presentano in regolae tutte con perfetto certificato antimafia (di cui è imperativa una modifica dei parametri). È sempre dopo anni dall'appalto che le indagini si accorgono che il loro Dna era mafioso. Qualche esempio. La Guardia di Finanza individuò sui cantieri della Torino-Milano la Edilcostruzioni di Milano che era legata a Santo Maviglia narcotrafficante di Africo. La sua ditta lavorava in subappalto alla Tav. La Ls Strade, azienda milanese leader assoluta nel movimento terre era di Maurizio Luraghi imprenditore lombardo.

Secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Luraghi era il prestanome dei Barbaro e dei Papalia, famiglie 'ndranghetiste. Nel marzo 2009 l'indagine, denominata "Isola", dimostrò la presenza a Cologno Monzese delle famiglie Nicoscia e Arena della 'ndrangheta calabrese che riciclavano capitali e aggiravano la normativa antimafia usando il sistema della chiamata diretta per entrare nei cantieri Tav di Cassano d'Adda. Partivano dagli appalti poi arrivavano ai subappalti e successivamente - e in netta violazione delle leggi - ad ulteriori subappalti gestendo tutto in nero.

Dagli appalti si approdava prima ai subappalti e successivamente - e in contrasto con le norme antimafia - ad ulteriori subappalti con affidamento dei lavori del tutto in nero. Nell'ottobre 2009 l'Operazione Pioneer arrestò 14 affiliati del clan di Antonio Spagnolo di Ciminà (Reggio Calabria), proprietario della Ediltava sas di Rivoli, con la quale si aggiudicò subappalti sulla linea Tav. Dalla Lombardia al Piemonte il meccanismo è sempre lo stesso: « Le proiezioni della criminalità calabrese, attraverso prestanome, - scrive l'Antimafia - hanno orientato i propri interessi nel settore edile e del movimento terra, finanziando, con i proventi del traffico di drogae dell'usura, iniziative anche di rilevante entità. In tale settore le imprese mafiose sono clamorosamente favorite dal non dover rispettare alcuna regola, ed anzi dal poter fare dell'assenza delle regole il punto di forza per accaparrarsi commesse».

A Reggio Emilia l'alta velocità è stata il volano per far arrivare una sessantina di cosche che hanno iniziatoa egemonizzarei subappalti nell'edilizia in Emilia Romagna. Sulla Tav TorinoMilano si creò un business mafioso inusuale che generò molti profitti e che fu scoperto nel 2008. Fu scoperta una montagna di rifiuti sotterrati illegalmente nei cantieri dell'Alta Velocità: centinaia di tonnellate di materiale non bonificato, cemento armato, plastica, mattoni, asfalto, gomme, ferro, intombato nel cuore del Parco lombardo del Ticino. La Tav diventa ricchezza non solo per gli appalti ma anche perché puoi nascondere sottoterra quel che vuoi. Una buca di trenta metri di larghezza e dieci di profondità è in grado accogliere 20mila metri cubi dì materiale. Ci si arricchisce scavando e si arricchisce riempiendo: il business è doppio.

IL SISTEMA DEI SUBAPPALTI I cantieri Tav sulla Napoli-Roma, raccontano bene quello che potrebbe essere il futuro della Tav in Val di Susa. Il clan dei Casalesi partecipa ai lavori con ditte proprie in subappalto e soltanto fino al 1995 la camorra intasca secondo la Criminalpol 10mila miliardi di lire. Fin dall'inizio gli esponenti del clan dei Casalesi esercitarono una costante pressione per conseguire e conservare il controllo camorristico sulla Tav in due modi: o infiltrando le proprie imprese o imponendo tangenti alle ditte che concorrevano nella realizzazione della linea ferroviaria. I cantieri aperti dal 1994 per oltre dieci anni, avevano un costo iniziale previsto di 26.000 miliardi, arrivato nel 2011 a 150.000 miliardi di lire per 204 chilometri di tratta; il costo per chilometro è

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stato di circa 44 milioni di euro, con punte che superano i 60 milioni. Le indagini della Dda spiegarono alcuni di questi meccanismi scoprendo che molte delle società appaltatrici erano legate a boss-imprenditori come Pasquale Zagaria, coinvolto nel processo Spartacus a carico del clan dei Casalesi (e fratello del boss Michele, il quale, ancora latitante, riceveva nella sua villa imprenditori edili dell'alta velocità). Il clan dei Casalesi partecipò ai lavori con ditte proprie, accaparrandosi inizialmente il monopolio del movimento terra attraverso la Edil Moter. Nel novembre del 2008 le indagini della procura di Caltanissetta ruotarono intorno alla Calcestruzzi spa, società bergamasca del Gruppo Italcementi (quinto produttore a livello mondiale), che forniva il cemento per realizzare importanti opere pubbliche tra cui alcune linee della Tav Milano-Bolognae RomaNapoli (terzo e quarto lotto), metrobus di Brescia, metropolitana di Genova e A4-Passante autostradale di Mestre. Le indagini (che aveva iniziato Paolo Borsellino) mostrarono: " Significativi scostamenti tra i dosaggi contrattuali di cemento con quelli effettivamente impiegati nella produzione dei conglomerati forniti all'impresa appaltante ». L'indagine voleva accertare se la Calcestruzzi avesse proceduto «a una illecita creazione di fondi neri da destinare in parte ai clan mafiosi dell'isola, nonché l'eventuale esistenza di una strategia aziendale volta a tali fini ».

Ecco: questa è l'Italia che si appresta ad aprire i cantieri in Val di Susa. Che la mafia non riguardi solo il sud ormai è accertato. Di più: le organizzazioni criminali non solo in Italia, ma anche in Usa e in tutto il mondo, stanno approfittando enormemente della crisi, che è diventata per loro un'enorme occasione da sfruttare. Bisogna mettere in sicurezza l'economia del paese e siamo, su questo terreno, in grande ritardo.

La giurisprudenza antimafia è declinata sulla caccia ai boss mafiosi. Giusto, ma non basta: serve un balzo in avanti, serve una giurisprudenza che dia la caccia agli enormi capitali, alle casseforti criminali che agiscono indisturbate nel mondo della finanza internazionale. O ci si muove in questa direzione o l'alternativa è che ogni forma di ripresa economica sarà a capitale di maggioranza mafioso.

− ROBERTO SAVIANO

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