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Progetto “Analisi dei fabbisogni formativi in agricoltura” II^ annualità – Rif. DD 40/I/200 L’analisi dei fabbisogni nella filiera della agricoltura biologica Roma – ottobre 2003 Introduzione

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Progetto “Analisi dei fabbisogni formativi in agricoltura”

II^ annualità – Rif. DD 40/I/200

L’analisi dei fabbisogni

nella filiera della

agricoltura biologica

Roma – ottobre 2003Introduzione

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Questo studio si pone l’obiettivo principale di delineare le figure professionali del “comparto”dell’agricoltura biologica, metterne in luce le competenze e fornire spunti di riflessione inmerito alle prospettive occupazionali. A tal fine si è ritenuto necessario presentare altresì unquadro della situazione strutturale del comparto per potere meglio collocare i dati forniti.

Lo studio è articolato in cinque sezioni.

Nella prima viene fornito il quadro strutturale dell’agricoltura biologica in Italia, distinguendotutte le fasi che compongono la filiera: produzione, trasformazione, distribuzione.

Nella seconda, sempre con un approccio di filiera, viene presentata una stima dell’impattooccupazionale dell’agricoltura biologica e per ogni figura professionale vengono messe in lucele competenze e i fabbisogni di formazione.

Nella terza, al fine di esemplificare percorsi imprenditoriali, formativi e ottenere spunti per unamigliore selezione delle tendenze in atto, vengono presentati alcuni casi di studio relativi adaziende attive nel comparto e che rappresentano esempi di aziende leader.

La quarta parte è dedicata alle tendenze in atto, ossia alle possibili evoluzioni strutturali delcomparto ed alle sue ricadute in termini occupazionali e formativi, con la presentazione dialcune schede illustrative di sintesi delle figure professionali individuate.

Infine, nella quinta parte, le figure professionali del settore vengono presentate attraversoschede di sintesi relative alle loro specificità riguardanti l’attività svolta, il contesto di lavoro, ilsegmento della filiera in cui operano, il ruolo della tecnologia, le competenze ed i requisitinecessari in termini di formazione.

La metodologia per la realizzazione dello studio è basata principalmente su due canali. Da unlato i dati ufficiali o disponibili – di fonte Ministero per le Politiche Agricole e Forestali o dialtre fonti (INEA, FIAO) – che hanno consentito sia di rendere in chiave aggiornata il quadrostrutturale dell’agricoltura biologica (sezione prima dello studio), sia di compiere le stimesull’impatto occupazionale del comparto. Va messo in luce peraltro che questo passaggio vienerealizzato per la prima volta in Italia. Il secondo canale informativo utilizzato è un questionarioelaborato originalmente per questo lavoro e sottoposto all’attenzione di un congruo numero diesperti. Si è trattato in sostanza di una indagine ad hoc i cui risultati rappresentano la quartasezione dello studio. In ogni caso sono stati presi in esame i risultati dei più aggiornati studiscientifici condotti sull’agricoltura biologica e tra questi lo studio promosso dall’AGER –INIPA “Agricoltura ed Ecoambiente”.

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Progetto “Analisi dei fabbisogni formativi in agricoltura”...............................................................................1II^ annualità – Rif. DD 40/I/200........................................................................................................................1

INTRODUZIONE.......................................................................................................................................................2

PREMESSA.................................................................................................................................................................5

ASPETTI ORGANIZZATIVI ED ISTITUZIONALI.............................................................................................6

UNIONE EUROPEA, MINISTERO PER LE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI E REGIONI...........................................................6GLI ORGANISMI DI CONTROLLO......................................................................................................................................6ITER D’INGRESSO DELLE AZIENDE NEL SETTORE AGROBIOLOGICO...........................................................................................7

LA STRUTTURA PRODUTTIVA...........................................................................................................................8

L’AGRICOLTURA BIOLOGICA NEL MONDO E IN EUROPA........................................................................................................8L’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN ITALIA............................................................................................................................12

Tabella 4. Evoluzione agricoltura biologica italiana - Numero aziende bio - 1997/2001..............................................15La struttura aziendale.......................................................................................................................................17Le aziende agricole per classi di superficie.....................................................................................................17

AREE DI PRODUZIONE E FILIERE PRODUTTIVE.......................................................................................18

LE PRODUZIONI VEGETALI............................................................................................................................................18GLI ALLEVAMENTI......................................................................................................................................................20

LA SPECIALIZZAZIONE TERRITORIALE DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN ITALIA .............21

FATTORI DI SVILUPPO E BARRIERE ALLA CONVERSIONE...................................................................27

I fattori che hanno influito sullo sviluppo a livello regionale..........................................................................28I fattori che hanno influito sullo sviluppo a livello di comparti ......................................................................30

LA FILIERA DEI PRODOTTI BIOLOGICI A VALLE DELLA PRODUZIONE...........................................31

LA TRASFORMAZIONE..................................................................................................................................................31LA DISTRIBUZIONE......................................................................................................................................................35

LE NUOVE PROFESSIONI DEL BIOLOGICO NEL SETTORE AGROALIMENTARE............................38

OCCUPAZIONE E FORMAZIONE NEL SETTORE PRIMARIO...................................................................41

UNA STIMA DELL’IMPATTO OCCUPAZIONALE DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA NEL SETTORE PRIMARIO........................................41IL PROFILO PROFESSIONALE DELL’IMPRENDITORE BIOLOGICO...............................................................................................44ESIGENZE DI FORMAZIONE ...........................................................................................................................................50

OCCUPAZIONE E FORMAZIONE NEL SETTORE DELLA TRASFORMAZIONE..................................58

UNA STIMA DELL’OCCUPAZIONE NEL SETTORE AGROINDUSTRIALE........................................................................................58FABBISOGNI DI FORMAZIONE.........................................................................................................................................59

Tipologie aziendali....................................................................................................................................................60

LA DISTRIBUZIONE..............................................................................................................................................65

STRUTTURA ED OCCUPAZIONE.......................................................................................................................................65IL GIUDIZIO SULLA FORMAZIONE E I FABBISOGNI ESPRESSI..................................................................................................66

ASSISTENZA TECNICA E CERTIFICAZIONE.................................................................................................68

L’OCCUPAZIONE NEL SEGMENTO DEI SERVIZI TECNICI........................................................................................................68PERCORSI FORMATIVI E ESIGENZE D’ADEGUAMENTO..........................................................................................................69

UNA STIMA DELL’OCCUPAZIONE COMPLESSIVA....................................................................................72

IL CASO “MUSTIOLA”.........................................................................................................................................74

IL CASO “NATURASÌ”.........................................................................................................................................79

IL CASO “TERRA E SOLE”.................................................................................................................................81

BIOFOODTR@DING: COME FARE INCONTRARE DOMANDA ED OFFERTA DI PRODOTTI DAAGRICOLTURA BIOLOGICA..............................................................................................................................84

PREMESSA...............................................................................................................................................................88

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L’IMPATTO OCCUPAZIONALE DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA.....................................................88

FABBISOGNI ED OFFERTA FORMATIVA.......................................................................................................89

ESIGENZE FORMATIVE..................................................................................................................................................89L’OFFERTA DI FORMAZIONE IN AGRICOLTURA BIOLOGICA...................................................................................................92L’EFFICACIA DELLA FORMAZIONE ATTRAVERSO L’INCONTRO TRA DOMANDA E OFFERTA..........................................................94ANALISI TERRITORIALE................................................................................................................................................99

LE TENDENZE IN ATTO.......................................................................................................................................99

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PARTE PRIMA. IL QUADRO STRUTTURALEDELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA

Premessa

Negli ultimi dieci anni, il metodo dell’agricoltura biologica (AB) ha avuto, in Italia, unosviluppo sorprendente che ha portato ad una diffusione di tale metodo su una superficie di circaun 1.240.000 ettari coltivati da oltre 63.00 operatori (dati MIPAF 2001). Tale rilevanteincremento ha peraltro influito direttamente in termini sia occupazionali, che di esigenze diformazione. Per quanto riguarda il primo aspetto, come verrà messo meglio in luce nellaseconda Parte dello studio, l’agricoltura biologica ha contribuito a creare nuova occupazione sianel settore primario che negli altri stadi della filiera. Vi è infatti, ormai da alcuni anni, unadomanda di professionisti specializzati in grado di supportare le attività produttive e di ridurre iproblemi tecnico-agronomici legati alla fase di conversione dal metodo convenzionale a quellobiologico. A questo deve aggiungersi anche lo sviluppo di nuove attività nei segmenti di filieraa valle della produzione agricola, come la trasformazione e la logistica commerciale, ma anchedelle attività che sono di supporto.

Per comprendere a pieno il legame tra occupazione, formazione e agricoltura biologica è utilerichiamare alcune caratteristiche di tale metodo produttivo. Erroneamente si è pensato che ilmetodo proposto dall’agricoltura biologica fosse un romantico ritorno all’agricoltura pre-industriale. Tale metodo si propone invece, con una piena consapevolezza delle priorità delmondo moderno, di raccordare il patrimonio teorico e pratico di un’agricoltura millenaria aquelle innovazioni che passano il vaglio della eco-compatibilità e del rispetto degliagroecosistemi. Il metodo biologico si contrappone a quello convenzionale perché preferisceuna visione più complessa in cui i vari elementi della vita aziendale sono continuamenteintrecciati e correlati da cause ed effetti che vanno gestiti o orientati, ma mai soppressi.

Questa filosofia non è rintracciabile soltanto nel novero degli agricoltori biologici, ma anchenell’ambito di Organizzazioni istituzionali e scientifiche: durante la 23^ sessione del CodexAlimentarius della FAO/OMS tenutasi a Roma nel luglio 1999, l’Italia insieme ad altri 97 Paesiha sottoscritto le direttive concernenti la produzione, trasformazione, etichettatura ecommercializzazione dei prodotti biologici. La FAO definisce l’AB come “un sistema digestione olistica della produzione che favorisce la salute dell’agrosistema, compresa labiodiversità, i cicli biologici e l’attività biologica del terreno. Essa privilegia le pratiche digestione piuttosto che i fattori di produzione di origine esterna, tenendo conto del fatto che isistemi locali devono adattarsi ai sistemi regionali”.

L’evoluzione definitiva verso l’attuale struttura dell’AB avviene nel 1992, quando vieneapprovato il Reg. CE 2092/91 – il teso base del settore – che istituisce un regime di controllorelativo al metodo di produzione biologico dei prodotti agricoli di origine vegetale. È il primotassello della normativa comunitaria sull’agricoltura biologica che verrà completato solo nel1999 con l’approvazione – sotto la spinta dello scandalo del “pollo alla diossina” - dell’assaidibattuto Regolamento CE 1804/99 relativo alle produzioni animali ottenute secondo il metodobiologico. In Italia il metodo di produzione biologico è stato disciplinato con il DecretoLegislativo n. 220 del 17 marzo 1995 che regolamenta l’organizzazione del sistema di controlloe certificazione dei prodotti provenienti da agricoltura biologica. Nel dicembre dello stessoanno, con successivi decreti, venivano riconosciuti sette organismi di controllo privati. Laseparazione delle attività di controllo e certificazione dalle altre attività di assistenza tecnica,promozione e concentrazione dell’offerta degli associati, è specificatamente richiesta dal D.lgs220/95 - in conformità con il Reg. UE 1935/95 - che obbliga inoltre gli organismi di controllo a

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soddisfare i requisiti di cui alla norma EN 45011 del 26 giugno 1989 e ad attuare verificheinterne e riesami periodici della propria conformità ai criteri esposti in tale norma, entro il 1°gennaio 1998. Oggi in Italia operano 11 organismi di certificazione. Nove sono operanti alivello nazionale, dopo l’ultimo riconoscimento ministeriale avvenuto nel 1999 (che haaccreditato Bios srl). Due operano soltanto nella provincia autonoma dell’Alto Adige (Biozert eIMO), e raggruppano prevalentemente agricoltori di madrelingua tedesca.

Aspetti organizzativi ed istituzionali

Unione Europea, Ministero per le Politiche Agricole e Forestali e Regioni

Le Istituzioni di riferimento per il settore dell’AB coinvolgono sia gli ambiti decisionali dellaUnione Europea (UE), che con la Commissione e il Consiglio legiferano in materia accogliendospesso le istanze di modifica dei singoli Paesi membri, che ambiti nazionali come il Ministeroper le Politiche Agricole e Forestali (MiPAF) ed i governi regionali.

Il MiPAF con il Decreto Legislativo 220 del 17 marzo 1995 esplica attività di controllo ecoordinamento in ambito amministrativo e tecnico scientifico per il settore agrobiologico e siavvale di un Comitato di valutazione degli organismi di controllo al fine di adottareprovvedimenti di autorizzazione, revoca totale o parziale degli stessi. La vigilanza sull’operatodegli Organismi di controllo a livello nazionale viene esercitata dal MiPAF, che rimanel’autorità cui far riferimento per l’autorizzazione alle importazioni di prodotti biologici. IlMiPAF inoltre gestisce la banca dati (BIOL) in cui confluiscono i dati provenienti dall’attivitàdegli Organismi di controllo e riguardante gli operatori da essi controllati e predispone, acadenza annuale, gli elenchi (pubblici) delle attività biologiche e degli Organismi di controllo.

Le Regioni (comprese le Provincie Autonome di Bolzano e Trento) hanno competenza divigilanza sulle strutture degli Organismi di controllo ricadenti sul loro territorio e sono il puntodi riferimento per quelle aziende che intendono adottare il metodo biologico attraverso l’inviodella “Notifica di attività di produzione con metodo biologico”. Le Regioni redigonoannualmente elenchi (pubblici) delle attività biologiche operative sul loro territorio.

Gli Organismi di Controllo

In Italia l’esercizio delle attività di controllo è stata delegata ad organismi privati, i quali, aseguito della notifica di attività di produzione (documento che attesta l’impegno formale daparte del produttore, sia esso agricolo, trasformatore o importatore, a rispettare il metodo diproduzione biologico) effettuano periodici controlli sulle attività dell’azienda notificata.

Gli Organismi di Controllo hanno l’obbligo di effettuare ogni anno almeno una visita completadell’unità produttiva (sia agricola che di trasformazione) con la facoltà di effettuare altre visitenon preannunciate e di effettuare prelievi analitici per la ricerca dei prodotti non autorizzati.

Generalmente vengono effettuate ispezioni supplementari in quelle aziende che, oltre a produrresecondo il metodo biologico, decidono di certificare le produzioni e quindi di utilizzare ilmarchio di conformità sui propri prodotti. In questi casi, infatti, l’Organismo di Controllorilascia l’autorizzazione alla stampa delle etichette (o rilascia il certificato di prodotto per isemilavorati) ed effettua controlli anche sulla materia prima.

I soggetti controllati hanno, dal canto loro, l’obbligo di tenere aggiornata la documentazioneprevista per le registrazioni delle lavorazioni con metodo biologico e di lasciare completalibertà agli ispettori degli Organismi di Controllo nell’esercizio delle loro attività.

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Le ispezioni, operativamente, si svolgono incrociando riscontri derivanti dal controllo fisicodell’unità produttiva (terreni, magazzini, impianti di trasformazione e stoccaggio) con quelliamministrativi e documentali (fatture di acquisto dei mezzi tecnici, documenti di carico-scarico,registro di campagna, Programmi annuali di produzione) e terminano con la compilazione dellarelazione ispettiva controfirmata dal responsabile dell’unità oggetto d’ispezione.

Gli Organismi di Controllo autorizzati ad operare sul territorio nazionale sono 11, di cuidue solo per la provincia di Bolzano.

Organismi di controllo Indirizzo TelefonoAIAB Strada Maggiore, 29 – 40125 Bologna 051-272986

Associazione Suolo e Salute Via Abbazia ,17 – 61032 Fano (PS) 0721-830373Bioagricoop Via Fucini, 10 –

40033 Casalecchio di Reno (BO)051-6130512

Bios Via Monte Grappa, 7 – 36063 Marostica (VI)

0424-471125

Biozert (solo per la provincia diBolzano)

Auf dem Kreutz, 58 – 86152 Ausburg (Germania)

0049-821-3467650

IMO Paradiesstrasse 13 – 78462 Konstanz (Svizzera)

0041-7531-915273

CCPB Via J. Barozzi, 8 – 40126 Bologna 051-254688051-2551198

Codex Via Fornello, 4 – 43030 Basilicanova (PR)

0521 –682000

Ecocert Italia Corso delle Provincie, 60 – 95127 Catania

095-442746095-433071

IMC Via Pisacane, 53 – 60019 Senigallia (AN)

071-7928725

QC&I Villa Parigini, Loc. Basciano – 53035 Monteriggioni (SI)

0577-327234

Gli Organismi di Controllo, tranne QC&I, AIAB e Codex, fanno parte della FederazioneItaliana Agricoltura Organica (FIAO) che, fondata nel 1992, essenzialmente:

· Rappresenta gli Organismi associati nel rapporto con le istituzioni;

· Individua le soluzioni ai problemi pratici circa l’esercizio delle attività ispettive;

· Promuove la conoscenza e la diffusione della cultura dell’agricoltura biologica.

Iter d’ingresso delle aziende nel settore agrobiologico

Il primo passo per produrre materia prima o cibi biologici è, per l’azienda, quello dellacomunicazione formale di tale volontà attraverso l’invio della “Notifica di attività di produzionecon metodo biologico” alle autorità regionali.

In secondo luogo, l’azienda deve scegliere uno degli Organismi di controllo autorizzati e,pagandone il servizio, affidare ai suoi tecnici l’esercizio dell’attività ispettiva. L’Organismoprescelto invierà un ispettore in azienda che preliminarmente verificherà la compatibilitàgenerale dell’azienda con i requisiti di legge. Se l’esito è positivo ha inizio la fase diconversione per le aziende agricole (due anni per le colture annuali e tre per quelle perenni) o lapiena attività per quelle di trasformazione. In particolari casi il periodo di conversione puòessere abbreviato, ma non può in nessun caso essere inferiore ad un anno.

Quando l’azienda è inserita nel sistema di controllo ha l’obbligo di curare la tenuta di alcuneregistrazioni documentali riguardanti l’attività produttiva e di consentire pienamente l’attivitàispettiva.

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Va messo in luce che, nonostante la dimensione economica e l’importanza anche socialeraggiunta oramai anche in Italia dalla filiera dell’agricoltura biologica, la situazioneistituzionale e di conseguenza quella informativa presenta numerose carenze che rendono nonsempre facile la lettura e l’interpretazione dei dati disponibili. Questi derivano comunque dalsistema di notifica e certificazione degli operatori, gestito dagli Organismi di controllo (OdC) edal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali. Su tali dati si baserà, principalmente,l’analisi strutturale di cui alle prossime pagine.

La struttura produttiva

L’agricoltura biologica nel mondo e in Europa

L’agricoltura biologica è diffusa in 120 paesi del mondo, anche se ad oggi non esistono datiufficiali a livello mondiale. Secondo un’indagine commissionata da Biofach e realizzata dallafondazione Oekologie und Landbau in collaborazione con l’IFOAM, gli ettari coltivati conmetodo biologico nel mondo sarebbero almeno 15,8 milioni. La superficie maggiore, pari a 7,6milioni di ettari è in Australia, e in Argentina di tre milioni di ettari. La maggior parte di questasuperficie, però, è utilizzata come pascolo estensivo (Yussefi et al., 2001). Canada, Usa eMessico sono importanti produttori ed esportatori di prodotti biologici, e, proprio per questomotivo, questi paesi presentano percentuali enormi di superficie coltivata biologicamente. Lasuperficie negli USA è raddoppiata tra il 1995 e il 2000, grazie sia ad una forte e crescentedomanda interna, sia ad una quota in continuo aumento d’esportazioni verso il Giappone el’Europa. Nonostante tutti i paesi dell’America Latina coltivino secondo metodo biologico, lasuperficie coltivata risulta comunque molto limitata. Le percentuali più elevate sono raggiuntedall’Argentina, dal Brasile, dal Costa Rica, da El Salvador e dal Suriname. Anche in Africa si èdiffusa quest’agricoltura, ma solo in alcuni paesi è possibile certificarsi. Per questo motivo nonsi hanno dati certi sulla coltivazione biologica africana, anche perché la vendita avviene soloattraverso canali diretti e tradizionali. Tuttavia, secondo la conferenza del commercioorganizzata a Firenze nell’Ottobre del 1999 dall’IFOAM, sembra che “qualcosa cominci amuoversi” anche in Africa, visti gli effetti vantaggiosi di tale agricoltura sul terreno africano.

In Asia sono pochi i paesi che dispongono di linee guida chiare per la coltivazione biologica.Spesso, infatti, non si distingue tra coltivazione biologica e lotta integrata e le scarsecertificazioni sono gestite da organizzazioni degli USA, Europa e Australia. Anche in questocaso però iniziano ad esserci alcuni cambiamenti: alcuni paesi stanno definendo standardnazionali e altri hanno gia degli enti di controllo.

Nell’Unione Europea l’AB ha fatto segnare un’evoluzione spettacolare. Nel 1985 (anno delleprime stime) la SAU biologica era di circa 94.000 ettari, ossia una percentuale inferiore allo0,1% della superficie agricola totale.

Dal 1993 (anno in cui si è avuta la disponibilità dei primi dati ufficiali) al 2000, la superficiecoltivata biologicamente nell’Unione Europa è passata da circa 835.000 a quasi 4.000.000 ettari(Tabella 2), con incrementi che vanno dal +372% rispetto al dato 1993, al +4.077% rispetto aldato 1985.

Se il maggior incremento percentuale delle superfici si è registrato nei primi anni diapplicazione del Reg. CEE/2092/91 il tasso medio che si è avuto dal 1994 al 1999 è statocomunque compreso tra il 23 e il 32%. Come noto tale risultato si deve principalmenteall’adozione da parte dell’UE di politiche di sostegno alla conversione e al mantenimento delmetodo biologico previste dalle misure di accompagnamento della PAC (Reg. CEE/2078/92).Se il Reg. CEE 2092/91 ha determinato le basi normative certe per consentire ai produttori di

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adottare il metodo biologico e immettere i propri prodotti sul mercato, il Reg. CEE/2078/92 hafornito l’incentivo e il supporto economico per superare gli ostacoli al processo di conversione.

Il livello di diffusione dell’agricoltura biologica e il suo tasso di sviluppo in Europa non sonostati tuttavia omogenei e quindi in questo decennio è cambiata anche la geografiadell’agricoltura biologica. Nel periodo antecedente la regolamentazione e il regime di aiuti, laconsolidata sensibilità per l’AB dei Paesi del Centro-nord Europa, aveva fatto di questi Paesi ilpunto di forza produttivo e organizzativo dell’intero settore. Situazione questa, che è venutatrasformandosi progressivamente negli anni a seguire, e marcatamente a partiredall’introduzione del regime di aiuti che, nel volgere di pochi anni, ha visto i Paesi dell’areamediterranea diventare il principale polo della produzione agricola biologica europea sia intermini di aziende che di superfici investite.

Si deve peraltro notare che nonostante la rapida diffusione nei paesi latini (Italia, Spagna,Francia) e il loro “predominio” in termini assoluti (i tre paesi insieme rappresentano oltre il50% della SAU biologica europea), l’agricoltura biologica, in termini di peso interno sullerispettive agricolture nazionali, è tuttora più forte nei paesi del centro-nord Europa. Infatti,l’incidenza maggiore si osserva in Austria e Svezia (quasi il 8% della SAU totale), ma anche inDanimarca e Finlandia (entrambe sul 6%). Tra i paesi latini solo in Italia si osservano valorisimili o superiori (6,2% della SAU), mentre l’agricoltura biologica, al di là dei numeri assoluti,mostra uno sviluppo contenuto in Francia e Spagna (intorno all’1% della SAU).

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Tabella 1. Aziende agricole biologiche nell’Unione Europea (evoluzione1985/2000)

anno 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 2000stima

Tot.aziende

% az. Bio.

Crescita1 anno

Crescita5 anni

Crescita10 anni

Austria 420 500 600 880 1191 1539 1970 6000 9713 13321 18542 19433 19996 20207 19741 18360 226 8,12% 1,10% 17,00% 44,40%Belgio 50 70 103 125 150 160 170 176 160 168 193 228 324 421 586 666 76 0,88% 29,90% 22,00% 13,70%Danimarca 130 150 163 219 401 523 672 675 640 677 1050 1166 1617 2228 3099 3466 74 4,68% 37,80% 29,70% 28,60%Finlandia 60 70 82 160 373 671 950 1305 1599 1818 2793 4452 4381 4975 5197 5225 192 2,72% 13,60% 27,70% 45,30%Francia 2500 2600 2660 2700 2700 2700 2730 2968 3231 3556 3538 3854 4784 6139 8149 9260 801 1,16% 28,30% 14,20% 9,00%Germania-certif. 1610 1720 2006 2330 2685 3438 4274 4750 5091 5866 6642 7353 8184 9209 10400 12740 606 2,10% 12,50% 12,60% 14,90%Germania-altre 0 0 0 0 0 750 1500 5475 6157 8861 8413 6753 4184 0 0 0 606 0,00% -100,00% -23,80% -Grecia - - - 5 10 25 50 75 165 469 568 1065 2523 4183 4500 5270 819 0,64% 65,80% 99,10% 101,60%Irlanda 8 21 52 75 97 150 200 195 238 198 378 696 808 887 1107 1014 159 0,64% 9,80% 36,80% 32,10%Italia 600 700 800 1100 1300 1500 1830 2500 4656 8597 10630 17279 30844 42238 49018 49790 2488 2,00% 36,90% 57,30% 46,50%Lussemburgo 10 12 13 12 11 10 13 12 12 12 19 20 23 26 29 51 3 1,70% 13,00% 18,30% 9,70%Paesi Bassi 215 278 300 300 359 399 439 490 455 512 561 656 746 962 1216 1391 120 1,16% 29,00% 16,30% 12,70%Portogallo 1 4 7 20 34 50 60 70 73 213 349 240 278 564 750 763 489 0,16% 102,90% 68,60% 50,10%Spagna 264 300 320 330 350 350 346 585 753 909 1042 2161 3526 7392 11812 13394 1384 0,97% 109,60% 63,10% 41,80%Svezia-certif. 150 321 466 665 1607 1588 1530 1489 1507 1695 2473 2741 2733 2870 3253 3329 92 3,62% 5,00% 14,80% 20,90%Svezia-altre 0 0 0 0 352 271 327 378 390 386 1733 5527 8136 10657 11000 11000 92 11,96% 31,00% 129,00% -Regno Unito 300 500 600 600 620 700 829 800 655 715 828 865 1026 1462 2322 3200 244 1,31% 42,50% 18,10% 10,40%EU 15 6318 7246 8172 9521 12240 14824 17890 27943 35495 47973 59752 74489 94113 114420 132179 138919 7773 1,79% 21,60% 26,50% 28,60%EU 15 % variaz. 15% 13% 17% 29% 21% 21% 56% 27% 35% 25% 25% 26% 22% 16% 5% 25% - - - - -Svizzera 322 368 442 485 672 803 940 1160 1405 1630 2121 3668 4278 4712 5070 5852 80 7,32% 10,10% 29,20% 26,50%

Fonte: Foster e Lampkin (2000)

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Tabella 2. SAU biologica nell’Unione Europea (evoluzione 1985/2000)

anno 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00provv.

SAU tot000 ha

% biol.

Crescita1 anno

Crescita5 anni

Crescita10 anni

Austria 0 0 0 0 0 0 0 0 135982 192337 335865 309089 345375 287900 290000 267000 3449 7,74% -16,6% 20,6%Belgio 500 700 972 1000 1200 1300 1400 1700 2179 2683 3385 4261 6654 11744 18572 20265 1336 1,52% 76,5% 41,6% 29,3%Danimarca 4500 4800 5035 5881 9553 11581 17963 18653 20090 21145 40884 46171 64366 99161 146685 165258 2715 6,09% 54,1% 41,0% 35,5%Finlandia 1000 1200 1400 1500 2300 6726 13281 15859 20340 25822 44695 84556 102342 126176 136665 147423 2605 5,66% 23,3% 46,7% 62,4%Francia 45000 50000 55000 60000 65000 72000 81225 85000 87829 94806 118393 137084 165405 218790 316000 370000 30277 1,22% 32,3% 20,3% 14,1%Germania-cert. 24940 27160 33047 42393 54295 90021 158477 202379 246458 272139 309487 354171 389693 416518 452279 546023 17344 3,15% 6,9% 11,1% 27,5%Germania-altre 0 0 0 0 0 15000 30000 96742 126385 173128 152062 121575 60307 0 0 0 17344 0,00% -100,0% -29,1%Grecia 0 0 0 50 100 150 200 250 591 1188 2401 5269 10000 15402 17500 24800 5741 0,43% 54,0% 93,3% 81,1%Irlanda 1000 1100 1300 1500 3700 3800 3823 5101 5460 5390 12634 20496 23591 28704 32478 32355 4444 0,73% 21,7% 46,4% 42,3%Italia 5000 5500 6000 9000 11000 13218 16850 30000 88437 154120 204494 334175 641149 785738 958687 1040377 17294 6,02% 22,6% 57,0% 62,7%Lussemburgo 350 400 412 450 550 600 634 500 497 538 571 594 618 777 1002 1030 127 0,81% 25,7% 9,6% 6,3%Paesi Bassi 2450 2724 3384 5000 6544 7469 9227 10053 11150 11340 12909 14456 16960 19323 21511 27820 1981 1,40% 13,9% 11,8% 14,7%Portogallo 50 200 320 420 550 1000 2000 2000 3060 7267 10719 9191 12193 24902 47974 50000 3981 1,26% 104,2% 61,5% 57,3%Spagna 2140 2500 2714 3000 3300 3650 4235 7859 11674 17208 24079 103735 152105 269465 352164 380920 25092 1,52% 77,2% 108,4% 71,3%Svezia-cert. 1500 2500 4870 8598 23600 28500 31968 33267 36674 48039 83490 113995 118175 127330 155674 171682 3438 4,99% 7,7% 30,5% 37,4%Svezia-altre 0 0 0 0 5092 4890 5775 7161 7869 6812 3334 48317 87010 116327 151069 200000 3438 5,82% 33,7% 279,7%Regno Unito 6000 7000 8500 11000 18500 31000 34000 35000 30992 32476 48448 49535 106000 274519 390868 500000 15852 3,15% 159,0% 65,8% 46,6%EU 15 94430 105784 122954 149792 205284 290905 411058 551524 835667 1066438 1407850 1756670 2301943 2822776 3489128 3944953 135676 2,91% 22,6% 27,6% 34,4%EU 15 var % 12% 16% 22% 37% 42% 41% 34% 52% 28% 32% 25% 31% 23% 24% 13% 30,3% Svizzera 0 0 0 0 0 0 0 17300 20784 25230 31815 58741 67189 77842 84124 95000 1083 8,77% 15,9% 32,5%

Fonte: Foster e Lampkin (2000)

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L’agricoltura biologica in Italia

A livello nazionale, rimandando al paragrafo successivo analisi più approfondite e funzionali agliobiettivi dello studio, si nota come la tendenza alla crescita delle unità produttive che hanno aderitoal metodo dell’agricoltura biologica e delle relative superfici sia proseguita anche nel 2001 (tabella3 e 4) con tassi di crescita simili a quelli dell’ultimo biennio, ma inferiori rispetto al periodo1993/1997.

Su questo rallentamento della diffusione dell’AB, che sembra peraltro confermato dai primi dati del2002, ha inciso il venire meno, in alcuni casi, di uno dei fattori di sviluppo prima individuati, ossiale provvidenze ex Reg. 2078/92. Va inoltre ricordato il non completo avvio dei Piani di SviluppoRegionale e le procedure burocratiche di alcuni di questi che hanno reso più problematico l’accessoai contributi per le aziende biologiche, che nelle graduatorie hanno dovuto subire la concorrenzadelle aziende convenzionali di grandi dimensione che hanno aderito alle misure agro-ambientali oda quelle aderenti a piani comprensoriali.

Nonostante queste anomalie strutturali l’Italia si conferma il primo paese in Europa sia in termini diSAU biologica e in conversione, che per numerosità di aziende. Secondo i dati MiPAF l’agricolturabiologica nel 2001, risulta articolata su 63.253 operatori e 1.182.403 ha, con incrementi, rispetto aidati forniti dal MiPAF per il 2000, rispettivamente del 17,13% e del 13,65%. I dati citati sono ilrisultati di due andamenti differenziati per gli operatori e per le superfici. Nel primo caso infatti lacrescita dei trasformatori e degli importatori è stata sensibilmente più evidente (rispettivamente+52,40% e +44,78%) se confrontata con quella delle aziende (mediamente +15,15%). Ancheall’interno delle unità produttive l’incremento è comunque più evidente per le aziende che operanosia nella produzione che nella trasformazione dei prodotti (+17,67%). Tali dati sembrerebberoconfermare la sempre più robusta strutturazione della filiera di produzione-consumo dell’agricolturabiologica. Del resto anche per la SAU il dato nazionale aggregato è frutto di una tendenzacongiunta: da un lato, infatti, la SAU biologica è aumentata di quasi il 60% passando dai 538.209 hadel 2000 ai 747.340 ha del 2001, mentre quella in conversione è diminuita del 13% circa qualesaldo tra i nuovi ingressi (+ 67.000 ha) e le superfici classificabili come biologiche. In sostanza lacrescita avviene in modo che aumentano maggiormente le superfici già convertite e quindi leproduzioni commerciabili come biologiche.

Per quanto riguarda il numero di operatori nel settore biologico, la tabella 3 evidenzia il peso delleisole e del sud, anche se è necessario operare una differenziazione in relazione alla tipologia dioperatori. Infatti nella lettura dei dati va tenuto conto delle diverse tipologie delle attività produttive,che come noto sono articolate in:

r aziende di sola produzione agricola (P)

r imprese che operano nella trasformazione, che si differenziano in:

- imprese con attività di trasformazione pura (T)

- imprese miste, che cioè affiancano attività agricole a lavorazioni ditrasformazione dei prodotti (X)

r aziende commerciali che operano nell’importazione dei prodotti biologici (I).

Relativamente allo sviluppo della filiera produttiva ed al grado di integrazione tra produzioneagricola e industria di trasformazione, i dati evidenziano come, nel nostro paese, le attivitàagroindustriali di trasformazione, nella circoscrizione delle isole, abbiano rappresentato nel 2001soltanto il 2,5% delle attività dell’area, appena il 4% nel Sud, per salire al 9% nel Centro ed al 15%nel Nord (tabella 3, T % per riga).

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Facendo un confronto con altri paesi europei per le aziende di trasformazione, in Germania già nel1994 si registrava un’attività ogni 10 aziende (10%), in Francia una ogni 8 (12,5%), in Danimarcauna ogni 5 (20%), in Olanda una ogni 2 (50%). A questo aspetto va aggiunto quello relativo alledimensioni aziendali che in questi Paesi sono maggiori rispetto ai nostri e quindi con più ampiecapacità di aggregazione dell’offerta e di soddisfacimento dei requisiti richiesti dalla domanda.

Tabella 3. Operatori del biologico - tipologia e circoscrizione territoriale in Italia - 2001

Circoscrizione

Produttore(P)

%

produttore etrasformatore (X)

%

Trasformatore(T)

%

Importatore(I)

% Totaleaziende %

Trasformatore (T)

% sultotale

aziende(x riga)

nord 11.110 19,4 464 29,6 2.126 49,5 83 85,6 13.783 21,8 15,4centro 6.802 11,7 408 26,1 761 17,7 9 9,3 7.980 12,6 9,5sud 18.189 31,7 441 28,2 864 20,1 5 5,2 19.499 30,8 4,4isole 21.197 37,0 252 16,1 542 12,6 0 0 21.991 34,8 2,5ITALIA 57.298 100 1.565 100 4.293 100 97 100 63.253 100

Le aziende di produzione sono infatti concentrate nelle isole (37% del totale) e nel sud (31,7% deltotale) - (tabella 3) - ma per le altre tipologie la situazione è nettamente diversa. Già se si analizzanole aziende di produzione e trasformazione si evidenzia un equilibrio maggiore: in questo caso infattila quota delle isole scende al 16% e il restante numero delle aziende di produzione e trasformazionesi ripartisce pressoché equamente tra le altre tre ripartizioni geografiche. Se invece si analizzano itrasformatori e soprattutto gli importatori questi risultano fortemente concentrati al nord(rispettivamente 49,5% e 85,6%). Viene quindi confermata la struttura territoriale, descritta da moltistudi, della filiera dell’agricoltura biologica in Italia, che vede i produttori concentrati nel sud e nelleisole e le fasi di trasformazione e di commercializzazione localizzate nel nord del paese.

I dati relativi al rapporto tra attività primaria e secondaria non possono oscurare il dato più evidentee di segno positivo: le notevoli dimensioni del fenomeno agrobiologico raggiunte in Italia nell’arcodi un lustro. Dimensioni che posizionano il nostro Paese tra i primi in Europa sia per numero diaziende notificate che per le superfici investite. Situazione nazionale in cui risalta la posizionedominante che, in termini di produzione agricola, hanno le regioni del Sud su quelle del Centro-Nord.

A livello regionale (tabelle 4 e 5), per grandi linee, vengono confermate le tendenze già emersenegli anni passati: infatti, sia in termini di numero di aziende che, soprattutto, in termini disuperficie (SAU), risulta confermata la concentrazione nel sud e nelle isole.

La ripartizione territoriale delle diverse tipologie di operatori è rappresentata in modo emblematicoconsiderando alcune Regioni. La Sicilia è la Regione che presenta la maggiore incidenza di aziendedi produzione (quasi il 23%), ma presenta una quota non trascurabile sia di aziende di produzione etrasformazione (8,1%), che di sola trasformazione (10,4%). Un modello simile, anche se le aziendedi produzione sono la metà di quelle siciliane (11,2%), si ritrova anche in Puglia. Nelle altre dueRegioni del meridione ove si concentrano quote rilevanti di aziende di produzione, ossia Sardegna eCalabria, l’equilibrio è invece più decisamente spostato verso le unità di sola produzione agricola. Ilmodello del nord-Italia si riscontra delineato in modo più netto in Regioni come la Lombardia e ilVeneto, in cui a quote decisamente limitate di aziende di produzione (rispettivamente l’1,9% ed il2,1% del totale) corrispondono incidenze notevoli sia dei trasformatori (il 13,3% ed il 9,3% deltotale) che degli importatori (il 16,5% ed il 18,6% del totale). L’Emilia-Romagna presenta unquadro più equilibrato tra le diverse unità della filiera, anche se le quote di trasformatori sono le piùelevate d’Italia (rispettivamente il 13,6% ed il 32% del totale). In diverse Regioni del centro, esoprattutto in Toscana, sembra affermarsi un modello ancora diverso, in cui tra le unità di

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produzione prevalgono quelle che effettuano anche la trasformazione dei prodotti - a causaprobabilmente della tradizionale diffusione di colture come vite ed olivo - con una presenza diffusaanche di quelle di sola trasformazione.

Se per gli operatori si evidenzia una differenziazione in relazione alla tipologia, ed una certaarticolazione regionale, la distribuzione della SAU non lascia dubbi sul ruolo delle isole e del sudItalia nella componente produttiva della filiera (tabella 5).

È evidente infatti la forte vocazione produttiva delle isole con una quota della SAU - il 43% -decisamente superiore a quella in termini di aziende. Il ruolo delle Regioni meridionali è ancora piùsignificativo considerando che nel sud si concentra un ulteriore 22,9% della SAU. Quale indicatoreaggiuntivo della vocazione produttiva delle isole e del sud va considerato il fatto che in ambedue lecircoscrizioni la quota della superficie già biologica supera quella in conversione, mentre nel centroe nel nord il rapporto tra le due tipologie di superfici è opposto. Considerando le diverse Regionivengono in gran parte confermate le indicazioni già emerse negli anni precedenti. La Regione leaderin termini di estensione di superfici produttive è la Sardegna con più di 313.000 ha, pari al 26,5%della SAU, che diviene il 30,5% considerando la sola superficie già biologica. Seguono la Siciliacon 195.000 ha (16,5% della SAU), la Puglia con 130.000 ha (11% della SAU), l’Emilia-Romagnacon 104.000 ha (8,9% della SAU), e la Calabria con quasi 81.000 ha (6,8% della SAU); questecinque Regioni concentrano, nel loro insieme, quasi i 2/3 di tutta la SAU biologica italiana.

I dati sembrano quindi confermare, sia a livello geografico, che di specializzazioni produttive, ed inparticolare per le fasi di produzione e trasformazione, la situazione strutturale che si era venutadelineando negli anni precedenti, consolidando quello che ormai può essere definito il modelloitaliano di agricoltura biologica.

Nei paragrafi successivi analizzeremo in dettaglio il tessuto aziendale, la distribuzione geografica ela specializzazione territoriale dell’agricoltura biologica, usando i dati dettagliati di fonte MIPAF(BIOL), riferiti però al 1998.

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Tabella 4. Evoluzione agricoltura biologica italiana - Numero aziende bio - 1997/2001

Regione aziende bio 1997

aziende bio 1998

aziende bio 1999

aziende bio 2000

aziende bio2001

aziende bio2001(%)

Piemonte 1.158 1.962 2.307 2.996 3.574 5,91Valle d’Aosta 6 6 6 13 20 0,03Lombardia 666 171 1.038 1.225 1.425 2,36Liguria 132 351 198 277 383 0,63Trentino A.A 201 788 425 526 650 1,07Veneto 819 930 1.015 1.249 1.668 2,76Friuli V. G. 144 160 175 226 302 0,50Emilia Romagna 2.444 3.653 3.869 4.606 5.105 8,44Nord 5.570 8.021 9.033 11.118 13.127 21,69Toscana 795 997 1.223 1.619 2.248 3,72Umbria 433 575 787 837 1.033 1,71Marche 1.313 1.548 1.631 1,736 1.938 3,20Lazio 2.227 1.941 2.063 2.320 2.640 4,36Centro 4.768 5.061 5.704 6.512 7.859 12,99Abruzzo 462 553 584 639 1.057 1,75Molise 272 333 447 479 510 0,84Campania 535 1.324 1.702 1.779 1.960 3,24Puglia 4.364 4.942 6.887 6.758 6.834 11,29Basilicata 198 280 338 434 689 1,14Calabria 1.747 5.086 6.329 8.384 7.938 13.12sud 7.578 12.518 16.287 18.473 18.988 31,38Sicilia 8.399 9.774 9.679 9.616 12.649 20,90Sardegna 4.800 8.324 8.490 8.285 7.886 13,03isole 13.199 18.098 18.169 17.901 20.535 33,94TOTALE ITALIA 31.115 43.698 49.193 54.004 60.509

Fonte: Mipaf

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Tabella 5. Evoluzione agricoltura biologica italiana – Superfici (ha) - 1997/2001

Regione ha bio 1997

ha bio 1998

ha bio 1999

ha bio 2000

ha bio 2001

ha bio2001 (%)

Piemonte 17.175 34.985 37.814 44.557 57.842 4,89Valle d’Aosta 332 452 144 157 769 0,07Lombardia 10.248 11.727 13.770 17.658 25.801 2,18Liguria 167 2.236 2.235 1.624 3.568 0,30Trentino A.A 999 1.853 1.629 3.715 5.833 0,49Veneto 6.039 5.018 6.460 13.092 15.782 1,33Friuli V. G. 732 792 924 1.226 2.468 0,21Emilia Romagna 43.473 72.197 82.223 101.777 104.991 8,88Nord 83.292 129.260 145.199 183.806 217.054 18,36Toscana 22.784 26.156 45.107 55.752 68.799 5,82Umbria 9.148 12.838 21.954 21.073 26.264 2,22Marche 22.471 29.674 32.424 35.805 42.635 3,61Lazio 25.885 26.473 27.411 36.346 48.787 4,13Centro 80.288 95.141 126.896 148.976 186.485 15,77Abruzzo 4.904 5.832 7.145 7.772 12.888 1,09Molise 3.315 4.004 4.692 6.563 6.938 0,59Campania 6.174 10.733 15.501 14.887 17.720 1,50Puglia 94.875 100.099 130.002 132.932 130.083 11,00Basilicata 5.224 6.966 8.513 12.174 21.981 1,86Calabria 25.141 57.061 73.290 92.537 80.944 6,85sud 139.633 184.695 239.143 266.865 270.554 22,88Sicilia 125.903 128.917 142.967 162.486 195.152 16,50Sardegna 135.797 250.058 304.483 307.206 313.158 26,48isole 261.700 378.975 447.450 469.692 508.310 42,99TOTALE ITALIA 564.913 788.071 958.688 1.069.339 1.182.403

Fonte: MiPAF

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La struttura aziendaleCombinando tra loro i dati sinora analizzati - operatori e SAU - si può ottenere una indicazioneseppur generica ma comunque significativa, rispetto agli obiettivi del presente studio, della tipologiaaziendale su cui è articolata l’agricoltura biologica italiana. Può essere infatti evidenziato che laSAU media aziendale - 12,7 ha contro i 5 ha delle aziende convenzionali - pone, come già inpassato diversi studi avevano messo in luce, l’azienda agricola biologica ben al di sopra del datomedio dell’agricoltura italiana, anche alla luce dell’ultimo recente censimento.

Anche in questo caso vi sono differenze in termini di circoscrizioni territoriali, anche se menoaccentuate rispetto ad altri indicatori. Infatti le dimensioni medie aziendali avvicinano da un lato ilnord e il sud (rispettivamente 10,75 ha/azienda e 9,78 ha/azienda), e dall’altro il centro e le isole(entrambi sopra i 15 ha/azienda), anche se il dato è molto più articolato a livello regionale.

Osservando i dati a livello regionale, il quadro relativo alla SAU media risulta molto differenziato.Solo nel caso del Friuli e del Trentino il valore della SAU media aziendale biologica si avvicina aquello medio nazionale e allineato alle medie regionali (nel caso del Trentino è addirittura minore).In queste due Regioni, caratterizzate generalmente da un’agricoltura molto specializzata edintensiva, si ha anche un’incidenza complessiva della SAU biologica su quella regionale sotto lo0,5%. Nelle altre regioni si registrano SAU medie fino a 4-5 volte superiori a quelle convenzionali eincidenze complessive notevolmente superiori. Puglia, Sicilia e Sardegna hanno raggiunto incidenzeragguardevoli e che pongono senza dubbio l’AB al di fuori delle dimensioni di nicchia. In Sicilia eSardegna quasi un ettaro ogni dieci è coltivato con il metodo biologico, in Puglia uno ogni venti.Posizionate su valori percentuali tra il 2 e il 5% della SAU regionale sono Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio e Calabria. Le restanti regioni rimangono sotto il 2%.

Le aziende agricole per classi di superficieLa disaggregazione delle aziende agricole dei vari comparti in classi, vede quello foraggero-zootecnico con la dimensione aziendale più elevata: il 57% delle aziende è collocato nelle fasce aldi sopra dei 20 ettari, le quali coprono l’89% della SAU di comparto.

Segue il comparto cerealicolo (cui andrebbero aggiunti, probabilmente, gran parte delle superficiassimilate nella definizione “Agricoltura Generale”), il quale registra superfici aziendali medie dicirca 29 ettari. La gran parte delle attività si colloca tra i 10 e i 100 ettari, fascia che conta 1.427aziende (65% delle aziende cerealicole) per una SAU complessiva di 44.701 ettari (71%).

Le colture viti-vinicole si concentrano in una fascia di SAU aziendale che va dalle aziende conmeno di 2 ettari a quelle con 20 ettari. Infatti in questa fascia si trovano 505 aziende sul totale di601, che rappresentano però soltanto il 49% della SAU, mentre la restante parte è rappresentata da96 aziende. In questo comparto figurano 112 aziende con una superficie media di 1,3 ettari. Lastessa media risulta per 851 aziende su 4.851 che praticano la frutticoltura. Anche in questocomparto la gran parte delle aziende (88%) si trova nella fasce inferiori ai 20 ettari per una SAUcomplessiva di 23.462 ettari.

Il comparto agrumicolo biologico conta 13.396 ettari e registra una media di SAU per azienda di 7ettari. Concentra il 79 % delle sue aziende nelle fasce di SAU tra i 2 e i 10 ettari, le quali copronoestensioni pari a 7.630 ettari (il 56 % del totale di comparto). Anche per gli agrumeti è significativoche il 41% delle superfici sia espressione di 241 aziende.

Il comparto olivicolo vede la distribuzione delle sue aziende nelle classi di superficie con menodifformità che gli altri comparti. Registra una superficie media per azienda pari a 17,5 ettari e il31% delle aziende si trova nella classe da 10 a 20 ettari. I due estremi riguardano le 419 aziende conuna media di SAU molto bassa (1,4 ettari) e le 125 aziende che si estendono su 9.674 ettari. Leattività con destinazione orto-floro-vivaistica si concentrano per l’80% nelle classi tra 2 e 10 ettari ecoprono la stessa percentuale di SAU di quella dell’intero comparto.

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Aree di produzione e filiere produttive

Le produzioni vegetali

Prima di procedere all’analisi delle produzioni va messo in evidenza come, in Italia, vi sia lamancanza di un vero e proprio sistema informativo dell’agricoltura biologica che consenta lo studioe l’analisi del settore a livello di un dettaglio sufficiente per analisi di tipo scientifico o di politicaagraria. Come si è accennato nel primo capitolo il sistema informativo è basato sui dati rilevati dagliOdC e gestito poi dal MiPAF attraverso il SINAB, con l’archivio BIOL. Questo è stato ideato confini diversi da quelli di studio e di analisi di mercato e mette in luce, pertanto, problemi gestionali inquesto senso. A livello nazionale, è possibile tracciare un breve profilo del settore per compartiproduttivi, completando quindi le informazioni contenute nella banca dati BIOL con altre derivantida fonti ufficiose.

Si conferma, inoltre, la tendenza emersa negli anni passati di una ripartizione della SAU adagricoltura biologica fortemente sbilanciata a favore delle colture foraggiere, sia permanenti cheavvicendate. Nel suo insieme questo comparto produttivo rappresenta quasi il 52% della SAU;seguono i seminativi (il 23% circa), tra i quali assumono posizione predominante i cereali (18%della SAU). Tra le colture da reddito una buona diffusione si riscontra per le colture arboree qualil’olivo e i fruttiferi, ma anche per la vite, mentre decisamente più limitato è il contributo dellecolture orticole. Trascurabile l’apporto delle altre colture.

Le foraggiere sono quindi il comparto colturale più diffuso. Se si raffronta la distribuzione deicomparti con i dati relativi al 1993 si evidenzia una variazione di distribuzione considerevole: ilcomparto rappresentava nel 1993 il 33% delle produzioni biologiche nazionali contro l’attuale 52%.Tale fenomeno è dovuto, come noto, al ruolo decisivo che i contributi previsti dal RegolamentoCEE/2078/92 hanno avuto nelle scelte imprenditoriali, rendendo particolarmente conveniente taledestinazione. Questa variazione va principalmente ricondotta alla notevole crescita registrata negliultimi anni in Sardegna ove quasi l’80% della superficie biologica sovvenzionata è coltivata aforaggiere. Infatti, per le ragioni già esposte, sul totale quasi 80.000 ettari si concentrano inSardegna. Più in generale, le foraggiere sono diffuse nelle regioni in cui viene consentita l’adesionealla misura di sostegno dell’agricoltura biologica prevista dal Reg. 2078/92 anche per le superficiinvestite da foraggiere. Tale situazione si è verificata, oltre che in Sardegna, sicuramente anche inEmilia Romagna e nelle Marche. In Emilia Romagna la superficie a foraggiere finanziata dal Reg.2078/92 è circa 14.000 ettari, dei quali ben 9.800 sono ad erba medica (soprattutto in provincia diRavenna e Forlì). L’erba medica è pure molto presente nelle Marche, soprattutto in provincia diPesaro, anche per la grande concentrazione nella zona di impianti per la disidratazione. Questa, chepuò sembrare un’anomalia, è la norma in quasi tutta l’Unione Europea, dove le colture foraggieresono la coltura biologica più ricorrente; ciò dipende sia da ragioni tecniche, relative alla rotazionecolturale praticata in agricoltura biologica a fini di mantenimento della naturale fertilità del terreno,sia dal fatto che le foraggiere rappresentano gran parte della SAU delle aziende zootecnicheestensive, per le quali la conversione all’agricoltura biologica in molti Paesi rappresenta l’unicapossibilità di sopravvivenza. Regioni relativamente specializzate nelle foraggiere sono pure ilPiemonte e il Trentino Alto Adige. In Lombardia le foraggiere sono ne presenti nella provincia piùsviluppata (Brescia), mentre nella provincia montana di Sondrio – pur essendo complessivamente inritardo – la superficie biologica è tutta appartenente al comparto foraggiero (ISPA 1).

I cereali, tra cui la coltura più estesa è il grano duro, rappresentano circa il 20% della SAUbiologica nazionale. Le superfici sono concentrate in Sicilia (25.000 ha), seguono poi la Sardegna,la Puglia, l’Emilia-Romagna, le Marche, anche se il peso della cerealicoltura nelle prime due regioninon è particolarmente rilevante. La Puglia, inoltre, è specializzata anche dal punto di vista relativo,il che significa che il peso dei seminativi biologici sul totale della superficie biologica è superiorealla quota dei seminativi convenzionali sul totale della SAU. In generale, i cereali biologici sono

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presenti in misura superiore a quelli convenzionali, oltre che in Puglia, anche in Calabria, Sicilia,Sardegna, Emilia Romagna e, in misura minore, in Toscana.

Le colture industriali (prevalentemente girasole) rappresentano 2,5% della SAU biologicanazionale e sono ripartite in modo piuttosto uniforme, anche se si nota una maggiore presenza nelcentro-sud. Le Regioni in cui si ritrova la maggiore quota di superficie sono la Sardegna e la Puglia(entrambe intorno ai 3.000 ha), seguite da Toscana ed Emilia-Romagna.

L’olivicoltura biologica è la terza coltura (e la prima arborea) per importanza, con circa il 15%della SAU biologica italiana; anche qui, prevalgono le regioni meridionali e le Isole. Le regioniparticolarmente specializzate in assoluto sono Calabria, Puglia e Campania. In misura minore,anche Toscana e Molise hanno un settore olivicolo biologico maggiore della media nazionale. Laprima Regione per diffusione risulta la Calabria ove si ritrova circa un terzo della SAU olivicolabiologica, e nella quale la diffusione dell’olivicoltura biologica è stata particolarmente rapida negliultimi anni. Segue la Puglia, dove l’olivicoltura rappresenta circa il 30% della SAU biologica;l’olivicoltura pugliese rappresenta, inoltre, il 20% dell’olivicoltura biologica nazionale. Ciòdipende, comunque, da una specializzazione generale dell’agricoltura pugliese. L’olivo rappresentacomunque una coltura significativa in tutte le Regioni centro-meridionali, oltre che in Liguria. Lealtre regioni, a ragione del loro relativo ritardo nello sviluppo dell’agricoltura biologica, pesanomolto di meno. L’interesse però che il mercato mostra per l’olio di oliva biologico rende questespecializzazioni regionali dei punti di forza da sfruttare per lo sviluppo del settore agrobiologico nelsuo complesso. Inoltre, in zone collinari di olivicoltura estensiva appare che la conversione almetodo biologico sia relativamente facile. Infatti, l’olivicoltura biologica è una specializzazionerelativa in molte regioni “anomale” quali il Veneto, il Friuli, l’Emilia Romagna, tutte con ISPRpositivi e in valore assoluto superiore a 0,6. In Friuli, in particolare, quasi tutta la superficiedell’OTE olivicolo è stata convertita a biologico (si tratta di 3 Ha su 4). Meno sorprendente, invece,la specializzazione relativa di Marche, Toscana e Umbria, caratterizzate da un olivicolturatradizionale fatta di vecchi impianti e di oliveti con sesto d’impianto rado, che ben si prestano a unaconversione al biologico.

Le colture frutticole con più di 82.000 ha, rappresentano il 6,64% della SAU biologica; tra lefrutticole, svettano gli agrumi con circa il 2,4% della SAU. Il comparto della frutticoltura biologica,tra cui si annoverano naturalmente un numero molto alto di produzioni, si articola a sua voltaintorno a tre assi produttivi: frutta fresca, agrumi, frutta secca. Va segnalato il ruolo degli agrumi(più di 18.000 ha pari all’1,5% della SAU) e della frutta in guscio (22.000 ha pari all’1,8% dellaSAU). Considerando il livello regionale le superfici frutticole risultano distribuite maggiormente inpoche Regioni del sud (Sicilia, Calabria, Campania) e del centro-nord (Piemonte ed Emilia-Romagna). La regione più specializzata in assoluto risulta essere la Campania, che pure presentauna despecializzazione relativa e un sostanziale ritardo nello sviluppo del settore biologico. Segue ilFriuli, in cui la frutticoltura biologica era presente fin dagli anni ‘80 con un piccolo distretto deditoalla trasformazione di nicchia nella zona di Gemona, in cui il peso della frutticoltura biologica sultotale della SAU biologica è appena inferiore al peso della frutticoltura convenzionale sul totaleregionale. Ma la regione frutticola per eccellenza nel comparto biologico risulta essere la Sicilia, lacui superficie frutticola biologica rappresenta il 51% della superficie frutticola biologica nazionale.E’ poi interessante il fatto che la Puglia, pur risultando nel complesso in ritardo nella frutticolturabiologica, mostra tuttavia un’elevata specializzazione relativa, a indicare una maggiorecompetitività della frutticoltura biologica rispetto alle produzioni convenzionali. Va ribaditocomunque che tali conclusioni vanno prese con cautela data la diversa definizione degli OTE BIOLe quelli ISTAT. Infine, è interessante notare come l’Emilia Romagna – regione frutticola pereccellenza – sia complessivamente in ritardo sia dal punto di vista assoluto che relativo. Le ragionipossono essere cercate in: (a) una maggiore efficienza e competitività della frutticolturaconvenzionale emiliano-romagnola rispetto a quella meridionale e insulare, che rende il mercatobiologico meno competitivo nonostante i buoni margini; (b) una insufficiente differenziazione del

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premio ad ettaro di cui al Reg. 2078/92 rispetto alle coltivazioni integrate; (c) una buona rete diassistenza tecnica e di commercializzazione delle produzioni ottenute con il metodo integrato, cherisulta quindi ulteriormente competitivo rispetto a quello biologico.

La viticoltura risulta essere il sesto comparto per importanza, con il 3,6% della SAU biologicaappartenente ad aziende viticole. La Regione con la maggiore diffusione di superficie a vite è laSicilia con il 38% delle superfici viticole biologiche nazionali; seguono Regioni con forte tradizioneenologica del centro (Toscana, Emilia-Romagna, Lazio) e del sud (Abruzzo e Puglia). Le regionipiù specializzate in assoluto risultano essere il Trentino e l’Abruzzo. Le superfici viticole siciliane,invece, rappresentano il 45% delle superfici viticole biologiche nazionale, e il comparto viticolorisulta essere specializzato sia in senso assoluto che relativo. Un’altra regione che presenta unabuona specializzazione sia assoluta che relativa sono le Marche, dove esiste una buona presenza ditrasformatori con un buon posizionamento sul mercato: Moncaro per il Verdicchio in provincia diAncona e Aurora per il Rosso Piceno in provincia di Ascoli. In Toscana, invece, pur essendopresente una discreta specializzazione assoluta, il peso della viticoltura biologica è inferiore a quellodella viticoltura convenzionale; ciò indica che la naturale vocazione delle colline toscane allaviticoltura non viene smentita nel settore biologico, che tuttavia non è in grado di competere conquello convenzionale1. Risultano pure fortemente specializzate in assoluto nella viticoltura biologicaanche altre regioni il Veneto e il Friuli V.G., di grande tradizione viticola.

L’ortofloricoltura (orticoltura+florovivaismo) rappresenta solo lo 0,9% della SAU complessivabiologica. I motivi sono noti e vanno ricercati fondamentalmente nell’inadeguatezza dell’incentivoproposto dal Regolamento CE 2078/92, rispetto alle perdite di reddito che si osservano in molti casipassando al sistema biologico. L’orticoltura biologica è articolata su tre Regioni - Sicilia, Puglia edEmilia-Romagna - che nel loro insieme rappresentano il 58% della SAU orticola biologica totale.Entrambe queste regioni sono altamente specializzate sia in senso assoluto che relativo.

Le regioni più specializzate in assoluto sono però tutte regioni in ritardo (Veneto, Liguria,Campania, Basilicata). Il livello di specializzazione relativa è, però, in questi casi, negativo. Ciòindica che l’ortofloricoltura biologica in queste regioni, pur essendo particolarmente competitivaall’interno del settore biologico, non è però in grado di competere con l’ortofloricolturatradizionale, in cui alcune di queste regioni (Liguria, Veneto e Campania) sono particolarmentespecializzate.

Gli allevamenti

La zootecnia è scarsamente rappresentata nel settore biologico, soprattutto a causa della recenteapprovazione, avvenuta solo nel 1999, del regolamento comunitario sul metodo di produzionebiologica nel campo delle produzioni animali. Per questo motivo, del resto, i dati BIOL – facendoriferimento al Reg. 2092/91 che disciplinava le sole produzioni vegetali – non sono affattosignificativi. Gli unici dati sui quali contare sono quelli sugli animali allevati con metodo bio,fornito dal MiPAF.

La zootecnia biologica italiana sembra avviarsi verso uno sviluppo simile a quello dell’agricolturabiologica, anche sotto la spinta di una domanda molto attenta alla qualità dei prodotti animali.Questa affermazione è supportata da alcuni dati forniti dall’Associazione Italiana per la ZootecniaBiologica relativi a pochi anni fa. I capi bovini allevati, per esempio, venivano stimati in 25.000 e lastessa consistenza si aveva per l’insieme degli ovicaprini; il totale degli avicoli veniva stimatointorno ai 680.000. Se si confrontano queste indicazioni con la tabella 6, che riporta i datidisponibili riguardo ai capi allevati distinti per specie e per tipologia al 2001, si capisce chel’evoluzione della filiera sembra assai rapida.

1 Ciò è dimostrato anche dal fatto che Siena, pur essendo specializzata in assoluto, non lo è quanto Pisa, provincia diminore tradizione viticola.

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La tabella 6 infatti, mette in luce una forte crescita nel numero di capi allevati, siano essi bovini(circa 330.000) oppure ovini (300.000). Meno rapida la diffusione per i caprini e i suini. La crescitadegli avicoli è meno imponente, e il numero di capi sembra essersi stabilizzata intorno ai 650.000capi, probabilmente per la più rapida diffusione iniziale.

Pur in assenza di dati più dettagliati, sembra emergere tra i bovini una netta prevalenza dei capi dalatte rispetto a quelli da carne (con un rapporto stimabile intorno a 2,5/1), probabilmente a causadella domanda, ma anche come tentativo di trovare sbocchi alternativi in un mercato rigido comequello del latte per l’applicazione delle quote. L’attenzione degli allevatori, e dell’industria, verso illatte biologico è testimoniata peraltro anche dalla maggiore incidenza di capi già biologici rispetto aquelli in conversione. Il fenomeno si presenta anche per gli ovini e per un allevamentotradizionalmente attento alla qualità dei prodotti come quello apistico.

Anche nel caso degli avicoli si osserva un rapporto nettamente favorevole agli allevamenti giàbiologici rispetto a quelli in conversione, a riprova di una certa maturità del comparto. Il rapportotra polli da carne e ovaiole, è a favore dei primi, anche se è possibile osservare un certo equilibriotra le due produzioni.

Per gli altri allevamenti, ed in particolare per i suini, il metodo biologico sembra riscuotere minoresuccesso. Se per i caprini il fenomeno può essere imputato al limitato interesse che il mercatopotrebbe mostrare per le produzioni - sia latte che carne - caprine, per i suini, probabilmente, ilfenomeno potrebbe essere dovuto a difficoltà di riconversione di un allevamento tradizionalmentemolto intensivo.

Tabella 6. Diffusione della zootecnia biologica (numero di capi)

ALLEVAMENTI IN CONVERSIONE BIOLOGICA TOTALE

EQUINI 1.078 1.127 2.205BOVINI 212.295 118.406 330.701OVINI 93.373 208.228 301.601CAPRINI 18.264 8.026 26.290SUINI 7.156 17.599 25.435POLLAME 98.325 550.368 648.693CONIGLI 822 860 1.682API (PER NUMERO DI ARNIE) 15.401 32.827 48.228ALTRI 0 72 72Totale 446.714 937.513 1.384.907

Fonte MiPAF

La specializzazione territoriale dell’agricoltura biologica in Italia

Lo sviluppo effettivo dell’agricoltura biologica in Italia, non è affatto omogeneo: esistono vistosedifferenze sia tra le varie regioni sia tra i diversi comparti produttivi. Tali differenze si riflettono inmodo abbastanza diretto in termini di occupazione e formazione come si vedrà nella Seconda Partedello studio.

E’ stato quindi ritenuto interessante riportare le analisi condotte nell’ambito della ricerca“Agricoltura ed Ecoambiente”, che, utilizzando i dati MIPAF-BIOL, erano basate su tre tipi diindici di specializzazione:

· uno relativo alla specializzazione territoriale delle regioni;

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· due relativi alla specializzazione produttiva (per comparti) di cui uno all’interno del solo settorebiologico (ISP Assoluto), l’altro in rapporto con l’effettiva consistenza dell’OTE convenzionalecosì come desunta dai dati ISTAT (ISP relativo).

In generale, definiamo area in avanzato sviluppo dell’agricoltura biologica quella nella qualerisulta esservi una elevata specializzazione produttiva, nel senso che la percentuale di SAU agricolabiologica e in conversione sul totale della SAU è superiore alla media nazionale. In altre parole, sitratta di un area per la quale l’indice di specializzazione produttiva (ISP) è positivo.

Allo stesso modo definiamo area in ritardo di sviluppo dell’agricoltura biologica quella in cuil’ISP è negativo.

A livello di comparti, inoltre, un ISP Assoluto elevato per un determinato OTE indica unaparticolare vocazione dell’agricoltura biologica dell’area in quel comparto, spesso per caratteristichestrutturali e/o ambientali. D’altro canto, un valore elevato dell’ISP Relativo indica che, in quelparticolare OTE, il metodo biologico di produzione è particolarmente competitivo rispetto a quelloconvenzionale, vuoi per ragioni tecniche e di mercato (varietà vecchie, forte concorrenza sulmercato convenzionale), vuoi per motivi legati alla politica agraria (premi per ettaro dellecoltivazioni biologiche particolarmente invitanti).

Normalmente si farà riferimento alle regioni come unità di analisi. Dove utile e necessario, sidaranno inoltre informazioni a livello provinciale, soprattutto quando in una regione sievidenzieranno fenomeni di marcato dualismo territoriale tra alcune province e le altre

La Figura 1 riporta gli indici di specializzazione territoriale a livello di regione dell’agricolturabiologica italiana, con disaggregazione a livello provinciale, e mette in evidenza come le regioni incui l’agricoltura biologica è più sviluppata sono sicuramente quelle insulari.

Sicilia e Sardegna rappresentano, infatti, il 43% della superficie biologica nazionale. La loro è unaspecializzazione marcata, storica per quello che riguarda la Sicilia, più recente per la Sardegna. Unaragione di ciò verrà data successivamente, quando si analizzeranno i fattori che influenzano losviluppo dell’agricoltura biologica.

La Sicilia, con più di 195 mila ettari biologici e in conversione, è forse la regione dove l’agricolturabiologica ha avuto lo sviluppo più consistente a partire dagli anni 80. Lo sviluppo del settore agro-biologico in Sicilia, infatti, seppure ha giovato molto delle sovvenzioni previste dalla Riforma dellaPAC del ’92, è di natura sicuramente endogena e in gran parte fondato su ragioni di mercato. Bastiosservare che lo sviluppo del comparto è particolarmente forte nelle province di Siracusa, Ragusa,Enna, Messina e Catania (tutte con quote percentuali della SAU biologica sul totale a due cifre). E’superiore alla media nazionale, ma molto inferiore a quella delle province summenzionate e a quellaregionale, nella provincia di Trapani; ed è inferiore alla media nazionale nelle province di Palermo eAgrigento, che possono definirsi in ritardo. Inoltre, è l’unica regione ad avere una specializzazionerelativa (ISPR >0) in tutti i comparti produttivi, a dimostrazione dell’importanza dell’agricolturabiologica nel settore agricolo regionale.

In Sardegna l’agricoltura biologica ha avuto un’esplosione più recente, prevalentemente dovutaall’applicazione tardiva della misura relativa all’agricoltura biologica del Reg. 2078/92 (avvenutanel 1996) e all’estensione dell’applicazione di detto regolamento ai prati-pascoli (l’80% dell’interasuperficie sovvenzionata è costituita infatti da foraggiere). Le province più interessate, del resto,sono quelle interne (Nuoro e Oristano), tutte con quote della SAU totale molto elevate (13,1% e8,6% rispettivamente), ma anche Sassari (12,2%); Cagliari, invece, pur non potendo definirsi “inritardo”, sta poco al di sopra della media nazionale (3,9%). La Sardegna è comunque, la regioneitaliana con la quota maggiore di SAU biologica sul totale (10%), che la colloca, in un contestoeuropeo, vicino all’Austria (anch’essa con uno sviluppo che ha riguardato prevalentemente superficiforaggiere).

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Una regione a sviluppo recente (1996) è pure la Puglia, soprattutto nelle province di Taranto e Bariin cui la superficie biologica raggiunge, rispettivamente, una quota del 9,6% e del 7,9% del totale(la media regionale è pari al 5,2%). Anche qui le ragioni vanno sicuramente ascritte al RegolamentoCE 2078/92, in quanto in Puglia non è stata attuata la misura A1, inerente la riduzione di concimi efitofarmaci; ne consegue che molti agricoltori, pur di percepire un’integrazione di reddito, si sonodecisi a convertire la propria azienda ai metodi dell’agricoltura biologica, soprattutto nelle provinceolivicole e dedite alla cerealicoltura su vaste superfici. In Puglia, del resto, le aziende biologichesono tra quelle di maggiori dimensioni in Italia: più del 60% di quelle che hanno aderito alla misuraA2 del Reg. 2078/92 ha una superficie aziendale superiore ai 50 ha, mentre la dimensione aziendalemedia delle aziende biologiche regionali (22 Ha) è superiore alla media nazionale.

Sempre al Sud, anche la Calabria ha avuto un sviluppo molto recente, passando da circa 3.000ettari a 9.000 nel 1996 e, compiendo il grande balzo a quasi 81.000 ettari, nel 2001. Anche qui, losviluppo è stato determinato dalle misure agroambientali della PAC, in quanto la Calabria ha attuatoil Reg. 2078/92 solo nel 1996, applicando solo tre misure, tra cui quella biologica, ma non la misuraA1. Lo sviluppo è quasi tutto da imputarsi alla provincia di Catanzaro (quota della SAU bio sultotale: 5,4%), mentre le altre province sono addirittura in ritardo di sviluppo. Come vedremo ciò èin larga parte dovuto alla diversa applicazione del Reg. 2078/92 nelle varie province.

Le altre due regioni che possono definirsi ad avanzato sviluppo del settore biologico sono regionicentrali: le Marche e l’Emilia Romagna. Seppure la percentuale della SAU biologica sul totale nonraggiunga i livelli record delle regioni meridionali e insulari di cui è si è detto prima (le quote sono,rispettivamente, il 3,9% e il 3,7), in queste due regioni – storicamente – l’agricoltura biologica haavuto uno sviluppo consistente e, almeno in prevalenza, guidato dal mercato.

Le Marche sono terra di “pionieri” dell’agricoltura biologica. “Alce Nero”, “La Terra e il Cielo” e“Campo” sono nomi importanti nel panorama del biologico italiano e sono i maggiori produttorinazionali di pasta biologica. Nelle Marche lo sviluppo dell’agricoltura biologica risale alla fine deglianni ’70, dove in provincia di Pesaro , a Isola del Piano, incominciò l’”avventura” di “Alce Nero”.Ancora oggi la provincia di Pesaro rappresenta l’area di maggiore sviluppo dell’agricolturabiologica nella regione, con una quota percentuale della SAU biologica sul totale di tutto rispetto(9%), anche se le ragioni – come vedremo – non sono tutte da imputare al mercato o all’azione deicosiddetti “pionieri”. Le altre province sono nettamente in ritardo, soprattutto quella di Ancona,dove lo sviluppo, pur essendo partito in tempi relativamente lontani (a metà anni ‘80 conl’esperienza della cooperativa “La Terra e il Cielo”), non è esploso nemmeno con l’attuazione delReg. 2078/92.

L’Emilia Romagna, invece, è una regione in cui il dualismo tra province in sviluppo e province inritardo è più marcato. Modena, Bologna, Forlì e Reggio Emilia, sono le province più sviluppate,mentre le altre sono relativamente in ritardo. Anche per quello che riguarda l’applicazione del Reg.2078/92, nelle prime tre province si concentra il 66% delle aziende e della superficie sovvenzionataa livello regionale. Anche in Emilia Romagna esiste una tradizione storica nel campo della frutta edelle orticole biologiche (soprattutto Forlì e Modena, ma anche Bologna), mentre Reggio Emilia èsoprattutto specializzata nella produzione di latte vaccino biologico per produzioni di nicchialattiero casearie (yogurt, parmigiano reggiano). Anche in Emilia Romagna, comunque, la superficieinvestita a foraggere (soprattutto erba medica) risulta essere prevalente.

Tra le regioni in ritardo, spiccano invece quelle del nord, in particolare quelle alpine (Val d’Aosta,Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia) - tutte con ISP superiori a –0,8 - , ma anche quellepadane (Lombardia e Veneto: ISP –0,43 e –0,69 rispettivamente). Ma mentre le prime tre regionisono tutte uniformemente in ritardo, in Lombardia fa eccezione la provincia di Brescia che è inlinea con la media nazionale. In Veneto, ugualmente, fa eccezione la provincia più montana emarginale, Belluno, dove vi è una buona tradizione di agricoltura biologica. In Lombardia, inoltre,risultano essere particolarmente arretrate le province più montane e marginali (Sondrio e

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Bergamo), mentre in Veneto, la provincia più arretrata è Rovigo (la quota della superficie biologicasul totale della SAU è solo lo 0,1%), area sicuramente rurale, ma non montana.

Piemonte e Liguria sono nettamente in ritardo, anche se in entrambe esistono provincerelativamente specializzate: Cuneo per il Piemonte (quota SAU bio/SAU tot: 4,9%; ISP 0,15) chepossiede un piccolo distretto legato alla trasformazione di prodotti biologici “montani” o delsottobosco; e La Spezia (quota SAU bio/SAU tot: 7,2%; ISP 0,34), dove è in atto un programma diconversione delle aziende zootecniche per la produzione di latte vaccino biologico (Val di Vara). Leprovince più in ritardo sono Torino e Asti in Piemonte e Savona in Liguria.

Piemonte e Lombardia sono inoltre regioni in cui l’agricoltura biologica risulta essere in ritardo(relativo) in tutti i comparti produttivi, con valore negativo di tutti gli ISPR.

Ci soffermeremo più avanti sulle possibili ragioni del ritardo delle regioni del Nord Italia. Peradesso è sufficiente osservare che in tutte queste regioni le ragioni dell’adesione ai metodidell’agricoltura biologica è solo in parte riconducibile alle integrazioni di reddito previste dal Reg.2078/92. La percentuale di adesione – da parte delle aziende biologiche e in conversione ai sensi delReg. (CEE) 2092/91 – alle misure relative all’agricoltura biologica previste nei piani regionaliattuativi del Reg. 2078/92 è infatti relativamente bassa e mai superiore al 60% della SAU biologica,a indicare – almeno in parte – uno scarso interesse degli agricoltori biologici per i premi ad ettaroprevisti dalle misure agroambientali di accompagnamento della PAC.

In ritardo notevole, almeno in termini di indici di specializzazione, anche le altre regionimeridionali ad esclusione di Calabria e Puglia (che comunque hanno avuto uno sviluppo moltorecente).

La più arretrata è sicuramente la Basilicata con solo lo 0,7% di superficie biologica sul totale. Tra leragioni, vi è sicuramente la limitazione dell’applicazione della misura A2 del reg. 2078/92 alle solearee di collina e montagna, escludendo cioè la pianura irrigua metapontina. Questo èparticolarmente importante se si considera che nel 1998 avevano aderito alla misura il 90% degliagricoltori biologici pari al 98% delle superfici biologiche, che è il tasso di adesione più elevato alivello nazionale. Non vi sono significative differenze a livello provinciale. La Basilicata, inoltrepresenta una despecializzazione relativa (ISPR <0) in tutti i comparti produttivi, a dimostrazionedello scarso peso dell’agricoltura biologica nel settore agricolo regionale.

In Campania, l’adesione ai metodi dell’agricoltura biologica è appena più elevata, raggiungendol’1% della SAU. Le province più sviluppate sono Salerno e Avellino, mentre Napoli risulta laprovincia in maggiore ritardo di sviluppo. Anche la Campania risulta in ritardo in tutti i compartiproduttivi (ISPR <0).

Abruzzo e Molise, sono entrambe regioni in ritardo, e in entrambi i casi esistono sostanzialidifferenze a livello provinciale.

In Abruzzo (ISP –0,61) la provincia più sviluppata è Teramo, la più arretrata L’Aquila, a parzialeconferma della tesi (Salvioni, 1996) secondo cui l’agricoltura biologica è praticata per lo più daaziende poste nella collina litoranea. A Teramo, inoltre, l’adesione ha interessato alcune aziende digrandi dimensioni. In ogni caso, l’Abruzzo risulta in ritardo (ISPR <0) in tutti i comparti produttivi.

In Molise (ISP –0,48) l’agricoltura biologica è praticamente presente solo in provincia diCampobasso. L’adesione degli agricoltori biologici alle misure agroambientali è stato nel complessoinferiore alla media nazionale. Va rilevato che il programma del Molise escludeva dalfinanziamento tutte le foraggiere (non solo i prati-pascoli), rendendo poco invitante l’adozione di unmetodo che prevede le leguminose in rotazione come tecnica colturale principale per ilmantenimento della fertilità del terreno.

Nel Centro Italia, le regioni in ritardo sono Umbria, Toscana e Lazio, anche se si tratta di un ritardoassai inferiore e di natura diversa rispetto a quelli sinora descritti.

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In Umbria non esistono significative differenze a livello provinciale e l’agricoltura biologica è statapresente sin dagli inizi degli anni ‘80. Si tratta di un agricoltura di “sussistenza”, condotta suappezzamenti di piccola dimensione, prevalentemente da agricoltori “alternativi” che hanno seguitoun percorso di “controesodo” da attività e mestieri urbani. Secondo uno studio su un campione diaziende condotto da Chiorri e Marchini (1998), la tipologia di agricoltori che corrisponde a questadescrizione, rappresentano più del 50% del totale.

In Toscana, se si escludono le province di Pisa (ISP +0,06) e, in misura minore, Firenze (quotadella SAU biologica sul totale appena al di sotto della media nazionale), le altre province sono tuttein ritardo. Spiccano in particolar modo le province settentrionali (Massa Carrara, Lucca, Livorno ePistoia) mentre Siena e Grosseto sono leggermente più sviluppate. Anche la Toscana è terra dipionieri dell’agricoltura biologica, anche se molti – soprattutto i più piccoli – hanno scelto di nonfarsi certificare (e di non richiedere quindi nemmeno i contributi del Reg. 2078/92) sia per ragionieconomiche (costi transazionali e amministrativi) che per ragioni ideologiche (rifiuto della“versione” di agricoltura biologica ufficializzata dal Reg. 2092/91). In generale, poi, va detto che inToscana il programma agroambientale di attuazione del Reg. 2078/92 non ha differenziato i premidella misura biologica (A3) rispetto a quelli delle misure relative alla riduzione di input chimici eall’agricoltura integrata (A1 e A2).

Il Lazio è la regione centrale in maggiore ritardo. Le province più arretrate sono Frosinone e Roma;per contro, la provincia di Rieti (ISP +0,08) è relativamente sviluppata, con aziendeprevalentemente di collina e di dimensioni ragguardevoli (oltre i 50 ha di SAU), anche sei in terminiassoluti la provincia in cui l’agricoltura biologica è più diffusa è Viterbo (INEA, 1999).

Complessivamente, le aree a maggiore sviluppo si trovano nell’Italia insulare e meridionale, anchese il Sud presenta non poche contraddizioni, specialmente per il fatto che si tratta di aree a sviluppotardivo e in cui l’attuazione del Reg. CEE 2078/92 è avvenuta, nella maggior parte dei casi, solo direcente e in maniera molto differenziata.

L’Italia centrale è più omogenea e, insieme alla Sicilia, rappresenta la “culla” dell’agricolturabiologica in Italia. Tuttavia, negli anni più recenti si è acuito il divario tra regioni che sono rimaste aun agricoltura biologica “delle origini”, con produzioni per la vendita diretta e l’autoconsumo –come la Toscana e l’Umbria – e regioni – come l’Emilia Romagna e le Marche – che invece si sonosviluppate sull’onda di un maggiore orientamento al mercato (soprattutto quello estero) senzadisdegnare le opportunità offerte –in termini di integrazioni al reddito – dalle misure agroambientalidella PAC.

L’Italia settentrionale è la macro-regione che ha accumulato maggiori ritardi, in parte per la migliorecompetitività ed efficienza dei sistemi agricoli convenzionali e in parte per un’insufficienza dellapolitica agraria che non ha saputo o voluto incentivare i metodi biologici con premisufficientemente alti.2

Figura 1. Indici di specializzazione per provincia

2 Ciò, tuttavia, avrebbe significato la previsione di aiuti di Stato aggiuntivi rispetto ai premi massimi stabiliti dal Reg.2078/92. E’ evidente quindi che vi è un deficit politico dovuto, almeno in parte, alla scarsa rilevanza dell’obiettivoambientale nelle strategie degli assessorati regionali all’agricoltura di queste regioni.

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Fattori di sviluppo e barriere alla conversione

Questo capitolo è dedicato ad una breve disamina delle ragioni (economiche, storiche edistituzionali) che hanno portato al modello di sviluppo descritto nelle pagine precedenti, tenendoconto che esistono fattori che hanno agevolato tale sviluppo così come ne esistono altri che lo hannoostacolato. Naturalmente tutto ciò va visto nell’ottica delle politiche europee, nazionale e regionali.Infatti, va messo in luce che l’agricoltura biologica si è diffusa grazie alle politiche europee (REG2091 e 2078) e che quindi risponde ad una serie di obiettivi di politica agraria, economica e socialedell’UE, tra cui: il maggiore orientamento al mercato degli agricoltori, la ricerca di una maggiorecompatibilità ambientale, la produzione di alimenti più sicuri. Tali obiettivi poi sono stati fattipropri dall’autorità nazionale e da quelle regionali con l’emanazione dei programmi agroambientali.

Lo sviluppo dell’agricoltura biologica può essere scomposto, analiticamente, in due componenti:

· aumento della produzione degli attuali agricoltori biologici, derivante dall’aumento della loroproduttività e/o dall’aumento della loro dimensione aziendale;

· ingresso di nuovi produttori.

È opinione comune che la crescita maggiore del settore biologico dipenderà più da un aumento deltasso di ‘conversione’ di nuovi produttori che dall’aumento della produzione degli attuali agricoltoribiologici. Se è possibile che si abbiano in futuro lievi incrementi di produttività è, d’altro canto,poco probabile un sensibile aumento della dimensione delle aziende che sono già classificate comebiologiche. Sono noti infatti i problemi relativi alla rigidità della struttura fondiaria del nostroPaese, per cui appare alquanto improbabile un sensibile aumento della base produttiva degli attualiagricoltori biologici, anche se – soprattutto nelle aree più marginali – il mercato degli affitti mostraalcuni parziali cenni di dinamismo.

Numerosi sono i fattori che influiscono sul tasso di conversione all’agricoltura biologica ovverosull’ingresso di nuovi produttori:

· presenza di una qualificata rete di informazione, divulgazione ed assistenza tecnica e gestionale;

· incremento del numero dei tecnici impegnati in tale rete;

· introduzione di specifici corsi di formazione per tecnici, anche a livello universitario;

· introduzione dell’agricoltura biologica nei curricula scolastici delle scuole a indirizzo agrario;

· aumento della ricerca e sperimentazione orientata alla risoluzione di specifici problemi tecnici(problem-solving R&D);

· maggiore impegno delle Organizzazione Professionali rappresentative del mondo agricolo;

· aumento dell’interesse dei giovani agricoltori;

· presenza di incentivi agroambientali commisurati alle effettive perdite di reddito e ai beneficicollettivi prodotti dall’agricoltura biologica;

· armonizzazione e aumento del livello qualitativo dei controlli e della certificazione;

· concentrazione dell’offerta e incremento dei legami di filiera sia a livello verticale (accordiinterprofessionali, contratti di coltivazione, ecc.) che orizzontale (distretti, zone Leader, ecc.);

· aumento della domanda globale di prodotti biologici da parte dei consumatori, soprattutto alivello locale e nazionale;

· sviluppo della domanda collettiva, soprattutto a livello di mense pubbliche (scuole, ospedali,ecc.).

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· sviluppo di una cultura economica e produttiva basata sulla sostenibilità, sia a livello ambientaleche sociale (relazioni di mercato improntate a equità e solidarietà tra produttori e consumatori).

Come si vede i motivi di carattere economico e finanziario sono importanti per comprendere (estimolare) il processo di conversione all’agricoltura biologica, ma non sono gli unici motiviimportanti.

In passato, del resto, i fattori che più hanno influito sullo sviluppo dell’agricoltura biologica sonostati indubbiamente quelli legati agli effetti del Regolamento 2078/92 e agli incentivi finanziari allaconversione in esso previsti. Esistono tuttavia anche una serie di fattori culturali, ideologici,filosofici e persino religiosi dietro alla scelta di convertire la propria azienda all’agricolturabiologica.

Per contro, esistono diverse barriere alla conversione, tra cui:

· insufficiente e incompleta informazione agli operatori (in primo luogo gli agricoltori), adimostrazione della natura imperfetta del mercato;

· la caratteristica stessa del mercato dei prodotti biologici, che essendo di “nicchia” scoraggia gliagricoltori maggiormente avversi al rischio (soprattutto i più anziani, che però rappresentano lamaggioranza della base produttiva);

· basso livello di “credibilità” dei sistemi agricoli biologici, dovuto principalmente allo scarsocoinvolgimento di alcune organizzazioni istituzionali, in primo luogo le organizzazioniprofessionali agricole, le università, i centri di ricerca e i servizi di sviluppo agricolo regionali;

· immagine negativa degli agricoltori biologici, visti come “alternativi”, hippy, dilettanti oagricoltori per hobby, soprattutto a livello di comunità rurali locali;

· ambiente normativo sovente sfavorevole, soprattutto a livello igienico-sanitario, che rende pococompetitivi i prodotti trasformati artigianalmente in azienda.

Il ruolo delle istituzioni nel processo di sviluppo dell’agricoltura biologica è particolarmenteimportante. Infatti, quando la principale istituzione economica – il mercato – fallisce nel provvedereai suoi compiti di allocazione delle risorse, allora diviene fondamentale il ruolo di altre istituzioni –in particolare dello Stato e delle altre Amministrazioni Pubbliche. Nonostante spesso sia data perscontata l’esistenza di mercati perfettamente competitivi, nella realtà i mercati in cui vige unaconcorrenza imperfetta e un’informazione incompleta sono la regola più che l’eccezione.

I fattori che hanno influito sullo sviluppo a livello regionale

In generale, i fattori economici, finanziari e istituzionali sono quelli che hanno più influito sullosviluppo e sui ritardi delle singole regioni.

Nelle regioni del Nord Italia i fattori che più hanno influito sullo sviluppo e sui ritardi delle varieregioni sono indubbiamente quelli di ordine economico e finanziario. Da un lato, infatti, il 2078/92non ha fornito spesso un incentivo sufficiente, dall’altro in alcuni casi l’agricoltura biologica non èstata affatto prevista (è il caso della Valle d’Aosta). Inoltre, la presenza di produzioni ad altoreddito, quali l’allevamento bovino da latte, ben protette dalla PAC anche se con i problemi a tuttinoti delle quote e, in generale, la presenza di coltivazioni intensive convenzionali che garantisconoancora redditi adeguati anche se decrescenti, hanno scoraggiato l’adesione di gran parte degliagricoltori. La mancanza del regolamento comunitario sulla zootecnia biologica (approvato solo nel1999) ha scoraggiato poi in modo specifico gli allevatori, anche quelli delle aree alpine piùestensive e marginali. Il confronto con quanto è avvenuto in Austria, in particolare nel Tirolo, rendeevidente che i fattori che più hanno frenato lo sviluppo nelle nostre aree alpine sono imputabili a:

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· l’iniziale debole coinvolgimento delle organizzazioni professionali agricole, che solo di recenteiniziano a mostrare interesse per l’agricoltura biologica;

· uno scarso impegno istituzionale, soprattutto per quello che riguarda l’informazione, ladivulgazione e lo sviluppo del mercato;

· la mancanza di una domanda nazionale e locale consistente.

In alcuni casi, poi, vi sono stati alcuni specifici problemi di ordine istituzionale che hanno frenato losviluppo sin dalle origini: agli inizi degli anni ‘90, vi sono state alcune iniziative giudiziarie chehanno portato a sequestri di prodotti biologici in Friuli e in Veneto e che hanno causato la crisi e lasuccessiva liquidazione del Consorzio “Il Salto”, all’epoca uno degli attori principali nella scenaproduttiva italiana e, senz’altro, friulana. L’incertezza legislativa (con i problemi relativiall’applicazione del Reg. 2092/91 nel nostro Paese) ha sicuramente scoraggiato molti produttori e hacontribuito non poco ad un’immagine negativa dell’agricoltura biologica presso gli agricoltori.

Diversi sono i fattori che hanno influito sullo sviluppo o sul ritardo dell’agricoltura biologica nelCentro Italia. Qui il ruolo del Reg. 2078/92, seppure importante, non è stato cruciale come al Sud.Le regioni che hanno avuto un clima politico-istituzionale favorevole (Lazio e Marche, ad esempio),non sono tutte ugualmente sviluppate. Inoltre, l’atteggiamento dei governi delle altre regioni centralinon può definirsi particolarmente ostile, anche se in alcuni casi le regioni hanno favorito altremisure. E’ il caso della Toscana, che non ha differenziato i premi tra agricoltura biologica eagricoltura a basso impatto; ma anche dell’Emilia Romagna e dell’Umbria, che hanno attiviprogrammi d’incentivazione dell’agricoltura integrata, con impegno dei servizi di sviluppo assaimaggiore che nel caso dell’agricoltura biologica. In Abruzzo, i ritardi accumulati nell’approvazionedel programma agroambientale (operativo solo dal 1996), nonché quelli relativi all’iter dellepratiche e del pagamento dei premi, come pure l’esclusione delle foraggere dal contributo, hannosicuramente controbilanciato gli effetti dell’introduzione solo successiva (1998) della misura sullariduzione degli input chimici.

Paradigmatico è il caso delle Marche. Questa regione, pur essendosi sviluppata molto in anticiporispetto ad altre, per la presenza di numerose aziende “pioniere”, non ha però avuto di recente unacrescita sostenuta come altre regioni a causa di fattori prevalentemente di mercato. Le Marche sonouna regione prevalentemente cerealicola e viticola ed entrambe queste produzioni, per ragionidiverse (vedi oltre), non hanno prospettive di mercato particolarmente allettanti nel compartobiologico. Non è stato sufficiente l’impegno profuso dall’unico assessore verde d’Italia, nonché ilfatto che il funzionario preposto all’attuazione del Reg. 2078/92 sia uno dei fondatori dell’AMAB eegli stesso un pioniere del movimento biologico. Le Marche, pur non essendo una regione in ritardo,hanno visto progressivamente erosa la loro specializzazione nel comparto biologico.

Al Sud le ragioni dello sviluppo o dei ritardi sono quasi tutte imputabili – come si è già detto –all’applicazione del Reg. 2078/92. Oltre a quanto già detto nel paragrafo precedente, si può portaread esempio il caso della Calabria. Le aspettative di applicazione della misura A1 – attuata solo direcente – e altri fattori di confusione amministrativa hanno addirittura ridotto le superfici biologichesovvenzionate nel 1998, a dimostrazione che la scelta verso l’agricoltura biologica era dettataprincipalmente dalla mancanza di alternative per sistemi agricoli marginali o poco efficienti e conscarsa dotazione strutturale e infrastrutturale.

Complessivamente, quindi è indubbio che sono i fattori politico-istituzionali e quelli economici(finanziari e di mercato) che più hanno avuto un ruolo nello spiegare i recenti successidell’agricoltura biologica in alcune regioni o nel motivare le ragioni dell’insuccesso in altre. Ifattori socio-culturali e altri fattori istituzionali (quali il ruolo svolto, in alcune aree, dai contrattiagrari), se sono importanti per spiegare le fasi iniziali dello sviluppo – cioè quello avvenuto neglianni ‘70 e ‘80 per intendersi – hanno un ruolo molto scarso nella spiegazione dei trend più recenti.

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I fattori che hanno influito sullo sviluppo a livello di comparti Anche qui, alcuni fattori istituzionali e quelli economici – sia finanziari che di mercato – sono glielementi chiave per comprendere il diverso peso dei vari ordinamenti colturali, anche se un certoruolo hanno anche alcuni fattori di ordine tecnico e agronomico.

Le foraggere devono il loro ampio sviluppo sia a fattori di ordine politico-istituzionale e finanziario(in altre parole alle previsioni dei programmi agroambientali regionali di attuazione del Reg.2078/92) sia allo stesso metodo biologico di coltivazione, che prevede la presenza di leguminose inrotazione o come coltura intercalare per preservare e aumentare la fertilità naturale del terreno ecome presidio contro l’erosione dei suoli.

Di contro, le orticole (e il floro-vivaismo) devono il loro scarso sviluppo a problemi di ordinetecnico (difficoltà nel reperimento di ammendanti e altri mezzi tecnici consentiti, problemi nellalotta alle fitopatie e agli insetti dannosi) ma, soprattutto, all’insufficiente consistenza dei premi. InOlanda, dove sono stati previsti premi aggiuntivi a quelli massimi cofinanziati dall’UE medianteaiuti di Stato, in modo da controbilanciare appieno le perdite di reddito, l’orticoltura biologica si èsviluppata molto maggiormente. Inoltre, nel nostro Paese vi sono stati problemi di organizzazione econcentrazione dell’offerta, che solo di recente sono in fase di risoluzione per l’ingresso sul mercatodi grossi operatori provenienti dal mercato convenzionale (Conerpo in Emilia Romagna, BioItalia alSud, ecc.).

Il comparto frutticolo, di contro, è stato agevolato dagli alti premi previsti, soprattutto per gliagrumi, a fronte di impianti condotti con ordinamenti estensivi. Non a caso, nelle regioni frutticoledel Nord (Emilia Romagna, ma anche Trentino Alto Adige) come pure in Campania, dove si praticauna frutticoltura convenzionale intensiva, spesso con metodi di agricoltura integrata, ma conimpianti moderni e nuove varietà, lo sviluppo di questo comparto biologico è stato assai menorilevante. Inoltre, la crisi dell’agrumicoltura siciliana e calabrese, che ha perso competitività neiconfronti di quella Spagnola (più organizzata, con impianti e varietà più moderne e maggiorieconomie di scala), ha contribuito alla crescita della “nicchia” biologica, meno affollata.

Considerazioni simili possono essere fatte per il comparto olivicolo, con in più la peculiarità che laregione in cui lo sviluppo è stato più consistente è la stessa che ha un’altissima specializzazioneanche nel comparto convenzionale, cioè la Puglia. Ciò dipende da ragioni di mercato – la crisi dellanostra produzione oleicola di fronte alla concorrenza di Spagna, Grecia e altri Paesi mediterranei –come pure dalla recente riforma dell’OCM, che ha nettamente abbassato i premi per gli olivicoltoripiù estensivi. In ogni caso, il comparto olivicolo biologico pesa, in termini percentuali, più del suocorrispondente convenzionale.

La zootecnia ha scontato le incertezze legislative (mancanza del regolamento sulle produzionianimali ottenute con il metodo biologico fino a luglio 1999) come pure alcune difficoltà relative allatrasformazione e commercializzazione in circuiti separati. Al momento rappresenta la “cenerentola”dell’agricoltura biologica italiana, anche se le sue prospettive future appaiono buone, soprattutto invista della valorizzazione delle produzioni estensive.

I cereali, soprattutto il grano duro, sono sicuramente un punto di forza della produzione – non solobiologica – del nostro Paese. Tuttavia le prospettive per il futuro non sono rosee, per la riduzionedei premi PAC e per il possibile impatto della ulteriore liberalizzazione prevista a seguito deinegoziati del Millennium Round dell’OMC e dell’allargamento del’UE. Nonostante questo, ilsettore si è sviluppato in misura assai più consistente di quello convenzionale (il suo peso sul totaledella superficie biologica nazionale è quasi il doppio del peso del corrispondente compartoconvenzionale), a ragione della relativa facilità con cui si possono applicare le tecniche previste dalReg. 2092/91, soprattutto nelle aree marginali. A questo proposito va detto, tuttavia, che gran partedella cerealicoltura biologica è tale solo dal punto di vista giuridico, essendo del tutto assenti – inmolti contesti aziendali – metodi agronomici propri dell’agricoltura biologica “organica” (rotazioni

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con leguminose, colture intercalari, sviluppo della biodiversità aziendale mediante field margins ealtri accorgimenti, ecc.); anzi, di fatto, molte aziende – per mancanza di assistenza ma anche perscarsa motivazione o interesse – hanno effettuato una semplice sostituzione di input convenzionali(“chimici”) con mezzi tecnici consentiti ma di impatto ambientale, in taluni casi, anche maggiore (sipensi alla pollina, ma anche al guano, ecc.).

Le colture industriali non hanno avuto uno sviluppo particolarmente consistente è ciò in partedipende da ragioni tecniche e agronomiche ma soprattutto da ragioni economiche (costi diproduzione elevati). Per quello che riguarda le piante sarchiate come la barbabietola da zucchero,esistono numerosi problemi di ordine tecnico per la sua coltivazione con il metodo biologico,soprattutto nelle aree in cui è difficile approvvigionarsi di sostanza organica azotata a basso prezzo.A differenza di alcune aree tedesche, quindi, da noi la barbabietola biologica è quasi inesistente,anche per la mancanza di trasformatori idonei a valorizzarla sul mercato dei prodotti biologici.Inoltre, la risoluzione di molti problemi relativamente all’impatto ambientale di questa colturacomporterebbe un consistente aumento dei costi da renderla, pertanto, poco allettante in assenza diun valido mercato dello zucchero biologico. Un maggiore sviluppo ha avuto il girasole, ma solo inalcune regioni, in rotazione con il frumento o altro cereale. In realtà, la rotazione frumento-girasole,seppure riscontrata nella pratica, non è particolarmente valida dal punto di vista agronomico,soprattutto dal punto di vista degli obiettivi a lungo termine dell’agricoltura biologica (vedi quantogià detto a proposito dei cereali). Le principali ragioni per cui il girasole si è sviluppato sonopertanto di ordine finanziario (premi PAC), in aggiunta a ragioni di mercato (discreta domanda disemi per “spremuta” di girasole, ovvero olio di girasole ottenuto per pressatura a freddo) e allarelativa diffusione di un ordinamento colturale definibile come “biologico semplificato” in alcuneregioni.

La viticoltura biologica ha un peso relativo inferiore a quello della viticoltura convenzionale inrapporto agli altri orientamenti. Il suo sviluppo è stato influenzato da una buona domanda estera divino biologico, anche se la vitivinicoltura italiana non ha ancora raggiunto livelli qualitativiadeguati (soprattutto per carenze dal lato della trasformazione), e paragonabili a quelli di altri Paesi,anche extra-europei (Australia e Cile). Buona anche la domanda di mosti pastorizzati per l’industriadei succhi di frutta, soprattutto nordeuropea. Si tratta tuttavia di produzioni di “nicchia” nella“nicchia”. In molte aree del meridione, ad esclusione di zone vocate alla produzione di uva datavola in grado di essere valorizzata sul mercato biologico, la viticoltura biologica si è sviluppatasoltanto in un’ottica di “caccia al contributo” – dati i buoni premi previsti dal Reg. 2078/92 per tuttele coltivazioni legnose agrarie – ma la produzione segue spesso canali di mercato convenzionali oviene usata per l’autoconsumo.

La filiera dei prodotti biologici a valle della produzione

La trasformazione

Qui di seguito si cercherà di fornire una descrizione delle imprese di trasformazione biologica,focalizzando l’attenzione sulle loro caratteristiche tipologiche e sull’ambiente in cui le stesseoperano. La base informativa è quella della rilevazione, compiuta nella ricerca “Agricoltura edEcoambiente”, visto che non esistono informazioni statistiche, oltre a quelle riportate già nellaTabella 3. E’ importante precisare che si tratta, ad oggi, delle informazioni più recenti sul segmentodella trasformazione di prodotti biologici e che pertanto rappresentano la base migliore per potereprocedere alle considerazioni sull’occupazione fatte nella Seconda Parte dello studio.

Si tratta pertanto di un indagine ad hoc condotta con un apposito questionario su un indirizzario di402 imprese. Le imprese oggetto di analisi sono state, in base alla risposta, 131 localizzatesoprattutto nel Nord Est, con particolare rilievo In Emilia Romagna (61 aziende), e Veneto (53);seguono le regioni del Centro con 89 imprese; il Nord Ovest con 85; infine il Sud e le Isole conrispettivamente 62 e 35 imprese.

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Una prima osservazione di rilievo è relativa alle domande riguardanti gli anni di inizio attività delleimprese e quelli relativi all’ingresso nella produzione biologica (tabella 7). Tra le 94 su 109imprese, otto hanno iniziato la propria attività tra la fine dell’800 e il 1950 e 29 entro il 1980. Unnumero considerevole, 34 aziende, hanno iniziato nel decennio 1980-’90; questo indica comeesistano imprese dotate di una consolidata tradizione. Per ciò che concerne l’anno di ingresso nelbiologico, un dato di notevole importanza risulta essere l’incremento degli ultimi anni, dal 1993 inpoi, che ha interessato le imprese di trasformazione di prodotti biologici, successivamenteall’introduzione delle norme comunitarie che regolano la materia. Un impulso determinante perl’affermazione dell’agricoltura biologica è venuto, infatti, dall’applicazione del regolamento (CEE)n.2078/92, in quanto l’erogazione di aiuti ha contribuito alla diffusione generalizzata dellaproduzione agricola biologica in Italia e ha indirettamente stimolato l’avvio e/o l’espansione diattività di valorizzazione delle produzioni di base, sia di provenienza nazionale che di importazione.

Tabella 7. Inizio attività e inizio produzione biologica

Anno inizio produzione biologicaAnno inizio attività A

(1970-1987)B

(1988-1992)C

(dal 1993)%

sul totale

A (1893-1950) 1 2 5 9B (1951-1980) 7 8 14 31C (1981-1990) 11 13 10 36D (dal 1991) 1 4 18 24% sul totale 21 29 50 100

Non sono però trascurabili le imprese storiche, che hanno iniziato l’attività del biologico ancheprima dell’introduzione delle regolamentazioni comunitarie; 21 imprese prima del 1987, e 28 nelperiodo in cui il settore del biologico iniziava ad avere una struttura più stabile. Sempre in relazioneall’anno di inizio della produzione biologica, si nota come le imprese con un’attività ditrasformazione precedentemente al 1987 erano localizzate soprattutto nell’area Nord Ovest, mentrenel Centro e nel Sud erano quasi inesistenti. Negli ultimi anni sono notevolmente aumentate sia leaziende del Nord Est, sia del Sud, con un totale di 15 unità.

Se si confronta il risultato relativo all’anno di inizio della produzione biologica con lespecializzazioni produttive delle aziende indagate, si nota come nei primi anni le produzionimaggiormente presenti fossero l’olio, il vino, gli ortaggi e le conserve, mentre negli anni successivic’è maggiore presenza di altre tipologie. Nell’analisi delle caratteristiche strutturali e, in particolare,delle forme giuridiche delle imprese, si denota la notevole presenza di imprese individuali, 41,seguite da forme di S.r.l. e Coop, 20 e 18 imprese, con predominanza, dunque, delle piccole impreserispetto alle grandi.

Nell’ambito delle imprese con forma societaria, è rilevante la presenza di aziende, con precisione68, che hanno un numero di soci inferiore a nove, mentre nella maggior parte dei casi non superanoi tre soci. Tra le imprese in esame sono numerose quelle con forma giuridica d’impresa individuale,appartenenti alle classi di fatturato inferiore ai 500 milioni di lire.

Le classi di fatturato superiore, che vanno da 1.000 a oltre 5.000 milioni annui, includono unnumero maggiore di imprese con forme giuridiche generalmente di società di capitali o cooperative(tabella 8).

Tabella 8. Fatturato annuo rispetto alla forma giuridica

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Classi di fatturato in milioni

Forma giuridica 0-100 100-500 500-1000 1000-5000 oltre 5000 % sul totale forma giuridica

Individuale 20 12 1 7 1 38S.n.c 1 5 1 1 2 9S.a.s 2 3 2 7S.r.l 1 3 2 7 7 19S.p.a 1 1 6 7Coop 4 2 7 4 16

Società di fatto 1 1 1 1 4% sul totale

classi fatturato 21 26 8 24 20 100

Va sottolineato che le imprese con un fatturato inferiore, 15 nel centro e 17 nel Sud, sono quellemaggiormente specializzate nella produzione biologica, mentre le imprese con un basso grado dispecializzazione, 22 nel Nord est, ricadono nelle classi di fatturato maggiore. Tali dati confermanoquanto già evidenziato nelle precedenti ricerche del comparto del biologico circa la struttura delleimprese biologiche, che riflette, in linea di massima, quella delle imprese agroindustriali italiane,caratterizzata da una struttura artigianale e articolata su piccole e medie imprese.

La dimensione in termini di addetti conferma la struttura dei precedenti dati. Per quanto concernel’assorbimento del lavoro, appaiono predominanti le aziende con un numero di addetti inferiore ainove, per un totale di 263 occupati, rispetto alla classe di imprese con un numero di addetti oltre100, con un totale di 1004 occupati, realtà questa distribuita in modo uniforme in tutte le regioniitaliane a conferma della caratterizzazione artigianale della struttura del comparto del biologico,indipendentemente dalla localizzazione delle imprese. Un risultato sicuramente più interessante daconsiderare (tabella 9) è quello che evidenzia come al crescere della specializzazione corrisponda ildecrescere degli addetti, sottolineando la predominanza delle piccole e medie imprese tra quellemaggiormente specializzate.

Tabella 9. Classi di addetti per grado di specializzazione

GRADO DI SPECIALIZZAZIONEClassi per addetti Basso Medio Alto Assoluto % sul totale classi

addettiA (0-9) 7 9 13 37 64B (10-29) 5 2 11 5 22C (30-99) 1 8 1 9D (oltre 100) 2 3 5% sul totale classi di spec. 13 12 34 41 100

Caratteristica delle imprese in esame, ma più in generale delle aziende agroalimentari, è laproduzione nelle singole aziende di prodotti appartenenti a comparti diversi. E’ stato possibile, vistele innumerevoli combinazioni, rilevare le frequenze relative ad ogni singolo prodotto presente nelcampione considerato.

I comparti portanti nell’agroindustria tradizionale sono gli stessi anche in quella biologica, sia perl’olio con 33 aziende, pari al 30%, che per il vino con 26, pari al 24%; fa eccezione il compartodelle conserve con 32 aziende, ossia il 29%. Esiste una certa omogeneità tra le diverse produzioni,data soprattutto dalla scarsa specializzazione delle imprese in un solo prodotto. Nel caso dell’olio,

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per esempio, su 33 aziende ben il 58% producono anche conserve, 15 ortaggi, 13 vino, 14 fruttasecca e cosi via. Nell’analisi della localizzazione tra le principali produzioni, l’olio e gli ortaggisono maggiormente presenti nelle regioni meridionali, mentre i comparti del vino e delle conservesono più equamente distribuite in tutto il territorio italiano.

Un altro aspetto considerato, è quello del grado di specializzazione nel biologico, ottenutoattraverso il calcolo dell’incidenza delle produzioni biologiche sul fatturato annuo aziendale. Ingenere si nota una forte polarizzazione tra un alto e totale grado di specializzazione, presente in 55aziende il cui peso del biologico sul fatturato va dal 75% al 100%, ed un basso grado presente in 35imprese con un peso tra lo 0% e il 25%. La fascia media è quella meno rappresentativa. Nescaturiscono due principali differenti attitudini imprenditoriali rispetto al biologico: da un latoaziende integralmente convertite al biologico e dall’altro aziende che producono solo delle lineeparticolari a completamento di quelle tradizionali significative.

Per quanto riguarda la relazione tra localizzazione delle imprese e grado di specializzazione, siriscontra che nel Sud, nel Centro e nel Nord Ovest predominano le imprese con un alto grado dispecializzazione, mentre nel Nord Est e nelle Isole esiste un maggiore equilibrio tra i gradi dispecializzazione; inoltre, i comparti più significativi, quali l’olio, il vino, le conserve e la fruttasecca, sono quelli con un maggiore grado di specializzazione del biologico e con una maggiorepropensione alla specializzazione totale.

Per poter meglio comprendere i differenti atteggiamenti imprenditoriali e le specifichecaratteristiche strutturali delle imprese oggetto d’indagine e per una maggiore esemplificazionedelle successive analisi, sono state individuate delle tipologie d’imprese, considerando comevariabili significative la classe di fatturato ed il grado di specializzazione.

Le tipologie risultanti sono quattro:

- grandi e specializzate, - grandi e poco specializzate, - piccole e specializzate,- piccole e poco specializzate.Il gruppo delle imprese di piccola dimensione con una forte specializzazione appare il più diffuso,includendo 64 imprese (pari al 59%) localizzate in maniera sufficientemente omogenea in tutte leregioni italiane. Seguono le 24 imprese piccole ma poco specializzate, (pari al 22%), senza grandidifferenze di localizzazione; 18 (pari al 17%) appartenenti alla classe di imprese di grandidimensioni e poco specializzate, presenti soprattutto nelle regioni della zona Nord Est che nepossiede la metà; ed infine solo tre che rientrano nella tipologia di grandi imprese specializzate eche risultano completamente assenti sia nel Sud che nelle Isole (tabella 10).

Tabella 10. Localizzazione delle tipologie aziendali per grandezza e specializzazione

TIPOLOGIAREGIONI grande e poco spec. grande e specializzata piccola e poco spec. piccola e specializzataNord Ovest 4 1 3 15Nord Est 9 1 7 15

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Centro 3 1 4 16Sud 1 0 8 15Isole 1 0 2 3% sul totale 17 3 22 59

La distribuzione3

Nei paesi europei la maggioranza dei volumi commercializzati passa attraverso i canali delladistribuzione organizzata. Soprattutto Regno Unito, Lussemburgo, Svizzera e Austria spiccano perl’alta percentuale di alimenti biologici venduti nei supermercati. La presenza di negozi specializzatiè ancora rilevante in tutti i paesi europei, ma in particolar modo in Spagna, Olanda e Germania.Solo in Germania il 21% passa attraverso altri canali, diversi dalla distribuzione organizzata e dainegozi specializzati (Tabella 11).

Tabella 11. - Peso dei canali nella distribuzione dei prodotti biologici in Europa (%)

Negozi specializzati Distribuzione organizzata Altri

Austria 22 66 12Belgio 40 50 10Svizzera 19 69 12Germania 49 30 21Spagna 90 10Francia 43 47 10Italia 45 45 10Lussemburgo 33 57 10Olanda 51 45 4Regno Unito 11 80 9Fonte: The specialized trade for organic products in Europe, Synergie, 2002.

In Italia, i volumi delle varie categorie di prodotto commercializzate al dettaglio, espressi in terminipercentuali, risultano particolarmente alti per il pane e cereali (39,5%), frutta e verdura (27%) elatticini e uova (17%). Considerando i dati in valore, il comparto che contribuisce maggiormentealle vendite di prodotti biologici è quello del pane e cereali.

Negli ultimi due anni sono soprattutto le marche commerciali a registrare i maggiori aumenti conrispettivamente +139% e +125%. Una delle motivazioni di questa crescita, è data dal fatto che lemarche private riescono a ridurre il differenziale tra il prezzo del prodotto biologico e il prezzo delprodotto convenzionale, in genere di entità piuttosto elevata (dal 30% fino a oltre il 100%). Inoltre,è da sottolineare che le bio marche ultimamente sono sottoposte a offerte prima sfruttate solo dalmercato convenzionale come ad esempio le offerte promozionali 3x2. Andando più in dettaglio,appare evidente che le vendite di prodotti biologici risultano maggiori nei supermercati rispetto agliipermercati. Spesso i supermercati hanno spazi limitati, ma una clientela più interessata alla qualitàe, pertanto, maggiormente interessata all’acquisto di alimenti biologici. Negli ultimi anni anche inegozi specializzati mostrano comunque un trend positivo, anche se in crescita più contenutarispetto alla grande distribuzione, incentivato dallo sviluppo di catene nazionali e regionali infranchising (tra queste ricordiamo NaturaSì – CarneSì di Verona e Bottega e Natura di Torino).Una possibile strategia dei negozi specializzati per conservare una fetta di mercato, è data dallagaranzia che possono fornire ai consumatori sulla qualità e selezione dei prodotti commercializzati.3 Questo paragrafo è basato in gran parte sul progetto BIO-FIRB “ Sicurezza ed aspetti tecnico-economici e giuridicidelle produzioni biologiche”.

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In questo modo i distributori assumono un ruolo di quasi “enti certificatori”. Inoltre, neisupermercati più importanti i prodotti biologici non superano le 300 categorie, mentre nei negozispecializzati queste categorie passano a 500. Importanti iniziative sono sorte anche per la venditadiretta. In particolare l’AIAB e Greenpeace Italia, in collaborazione con la rete dei Gruppi diAcquisto Solidali (GAS), hanno promosso una campagna per favorire la vendita diretta, chiamataGODO (Gruppi d’Offerta e Domanda Organizzata). Tale modello, che si sviluppa sui temi delladifesa del territorio, la valorizzazione della biodiversità, la promozione delle culture produttivelocali, ha il vantaggio di contenere i costi di distribuzione, di ridurre quelli ambientali e di fornireuna giusta remunerazione ai produttori.

Tabella 12. Punti vendita alimentare in Italia nel 2000 per categoria

% Valore biologicoConvenzionale Biologico (.000 €)

Pane e cereali 16,3 39,5 415.730Carne 23,2 2,0 21.050Pesce 6,6 0,0 0Latticini e uova 13,6 16,9 177.869Frutta 6,4 19,0 199.972Verdura 10,9 8,0 84.198Oli e grassi 5,2 4,0 42.100Bevande alcoliche 4,9 0,5 5.262Bevande nonalcoliche, inclusisucchi

4,8 3,0 31.575

Altro 8,2 7,1 74.726Totale 100,0 100,0 1.052.481

Fonte: ISTAT

Di seguito sono analizzati i dati a disposizione riferiti ai canali distributivi dei prodotti biologici nel2001. Fino alla fine degli anni novanta, il numero di negozi specializzati superava quello deisupermercati. Negli ultimi anni si è verificata un’inversione di tendenza ed i supermercati hannoraggiunto le 1.439 unità. Come si può notare, a livello territoriale la situazione appare moltodiversificata. Infatti, i punti vendita prevalgono al nord con 1.005 supermercati e 725 negozispecializzati (compresi i negozi specializzati appartenenti alle catene di franchising), mentre tra ilsud, il centro e le isole risultano presenti 434 supermercati e 356 negozi specializzati. In continuaespansione sono anche i mercatini, i ristoranti naturali e le mense biologiche. Infine, gli agriturismosono presenti soprattutto nelle zone centrali con il 46% del totale degli agriturismo italiani (Tabella13).

Tabella 13. Canali di vendita di ortofrutta BIO (numero) al 31/12/2001

Super-

mercati*Negozi

specializzatiNeg. Spec.franchising

Mercatini Agriturismo Ristorantinaturali

Mense

Piemonte 165 125 7 21 17 20 10Valled'Aosta 4 7 0 0 0 1 0Liguria 60 40 1 6 11 12 7Lombardia 322 178 13 31 20 44 21

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Trentino A A 56 52 0 4 16 10 4Veneto 141 132 6 18 16 43 6Friuli V.G. 44 48 1 6 6 32 4Emilia R. 213 108 7 16 38 90 22Tot. Nord 1.005 690 35 102 124 252 74Toscana 146 96 2 21 120 38 18Marche 19 34 1 5 29 11 22Umbria 44 11 0 2 38 4 5Lazio 106 88 5 4 28 14 10Tot. Centro 315 229 8 32 215 67 55Abruzzo 40 6 0 1 30 4 2Molise 5 3 0 1 1 1 0Campania 14 33 0 0 16 2 5Puglia 8 34 0 0 9 3 1Basilicata 0 2 0 0 7 5 0Calabria 0 6 0 0 32 1 2Tot. Sud 67 84 0 2 95 16 10Sicilia 48 26 0 3 24 2 2Sardegna 4 9 0 4 13 5 0Tot Isole 52 35 0 7 37 7 2Tot. Italia 1.439 1.038 29 143 471 342 141Fonte: Bio Bank.

L’evoluzione dei supermercati che vendono ortofrutta biologica, mostra come negli ultimi anni cisia stato un notevole interesse da parte della grande distribuzione. Da sottolineare è l’aumentoconsiderevole verificatosi tra il 1999 e il 2000, in cui il numero dei supermercati è aumentato di 514unità al nord e di 202 unità al centro. Al sud la situazione appare ancora limitata anche se comunquesi nota una notevole crescita di presenze. La crescita dei negozi specializzati che commercianoortofrutta biologica è sicuramente meno evidente rispetto al boom dei supermercati. La maggiorepresenza di questi punti vendita è localizzata in Trentino Alto Adige, in Veneto e in Piemonte. Alsud, la situazione è molto simile per quanto concerne i supermercati, caratterizzata da un lentoaumento giustificato dai bassi consumi di prodotti biologici in queste zone. Un dato che ancora nonemerge dalle informazioni a nostra a disposizione è la crescente presenza di prodotti biologici anchenei discount.

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PARTE SECONDA. L’AGROALIMENTARE BIOLOGICO: RIQUALIFICAZIONE, NUOVA

OCCUPAZIONE, E NUOVE PROFESSIONI

Le nuove professioni del biologico nel settore agroalimentare

L’ingresso, in forma “esplicita”, della dimensione ambientale in agricoltura, dettato dalle politichema anche dall’apertura di nuovi mercati per beni e servizi, comporta cambiamenti che riguardanoaspetti tecnologici, sociali, di mercato, della produzione, che influiscono, a loro volta, sugli aspettiquantitativi e qualitativi del lavoro, siano essi apportati dall’imprenditore che da personaledipendente.

Questo scenario si può concretizzare sia attraverso la riqualificazione delle figure professionaliesistenti, che mediante la nascita di nuove figure professionali legate alla gestione e allasalvaguardia dell'ambiente. Centrale appare, in ogni caso, l'individuazione di figure professionalicon competenze diversificate, capaci di contribuire efficacemente: al controllo del degradoambientale; allo sviluppo di nuovi interventi di indirizzo; alla definizione e al controllo diinnovazioni tecnologiche a maggiore compatibilità ambientale; alla gestione dell'ambiente nei suoiaspetti organizzativi, programmatori, strategici e decisionali.

Anche nel settore dell’agricoltura, negli ultimi anni, sono state prodotte diverse indagini sul temadelle nuove professioni, ed in particolare per quelle con valenza ambientale. In quasi tutti gli studiche negli ultimi anni si sono occupati di “nuove professioni” nel settore agricolo, viene fattoriferimento (in luogo o in aggiunta) all’agricoltura biologica, che viene considerata come un tipo diagricoltura specifico, che prevede una specializzazione aggiuntiva rispetto ai percorsi di tipotradizionali, e richiede quindi professionalità che si ‘specializzano’ sui temi dell’agricolturabiologica. I profili professionali necessari per operare in agricoltura biologica, sono: conduttori diaziende agricole; tecnici di assistenza; tecnici addetti al controllo ed alla certificazione.

Il primo profilo è quello degli operatori agricoli che intendono intraprendere i metodidell’agricoltura biologica. La figura operativa individuata è quella dell'imprenditore agricoloresponsabile dell'intero processo, il cui obiettivo è quello di ottenere significativi risultatieconomico-produttivi rispettando le regole colturali proprie dell'agricoltura biologica. Viene inoltremesso in luce che la conversione richiede competenza e istruzione dell’imprenditore, configurandocosì una professionalità superiore a quella dell’agricoltore convenzionale. In genere si prevede unaelevata richiesta di questo tipo di profilo.

Il secondo profilo individuato negli studi che si occupano di agricoltura biologica è il tecnico chefornisce assistenza alle aziende. La formazione di base è la laurea in agraria, scienze e tecnologiealimentari o in scienze forestali, con una specializzazione specifica post-laurea e la partecipazionead iniziative di aggiornamento e seminari anche di carattere internazionale. Le modalità di accessoalla professione prevedono soprattutto l'esperienza sul territorio e corsi di specializzazioneorganizzati da enti pubblici. Il tecnico necessita di competenze di tipo botanico, chimico,zootecnico, ma anche di conoscenza della normativa e di almeno una lingua straniera che gliconsenta di aggiornarsi sulle tecniche specifiche anche su riviste specializzate. Deve conoscere lecaratteristiche e i modelli produttivi e organizzativi dell'azienda agricola e il mercato dei prodottibiologici; la conoscenza delle norme vigenti internazionali, nazionali e regionali relativeall'agricoltura nonché le principali problematiche ambientali a livello generale e locale èfondamentale. Tra le sue competenze tecnico-professionali rientrano il controllo delle coltivazioninelle diverse fasi secondo procedure definite, l'indicazione degli interventi coerenti con l'agricolturabiologica-integrata e la redazione di materiale di supporto. Le attitudini richieste prevedonoun'attenzione e una sensibilità alle problematiche dell'agricoltura in relazione all'ambiente, alla

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salute del consumatore e dell'agricoltore, la capacità di aggiornarsi sui sistemi colturali, unapproccio trasversale alle problematiche ambientali, e la capacità di relazionarsi e interagire con glioperatori della filiera, con gli organismi e le autorità di controllo.

Le sue attività riguardano la ricerca e l'assistenza tecnica all'agricoltore "biologico" con proposte disoluzioni tecniche ottimali per l'azienda agricola vista in rapporto all'ambiente circostante e almercato. Suggerisce indicazioni sui mezzi tecnici, i sistemi di prevenzione e collabora direttamentecon l'agricoltore aggiornandolo periodicamente. Questa figura opera all'interno di strutture diservizio (consorzi, organismi professionali) per l'agricoltura, come dipendente di aziende diproduzione biologica di grandi dimensioni o come libero professionista e consulente e intervienesulle fasi del processo come consulente specializzato. Svolge attività di orientamento alle scelte pergli agricoltori e fornisce un supporto tecnico nelle valutazioni, decisioni e realizzazioni.

Con riferimento alle funzioni/attività questa figura si occupa:

· della progettazione ed applicazione di schemi di coltivazioni, attraverso l’introduzione di nuovetecnologie a basso impatto ambientale;

· di offrire supporti consulenziali per la presentazione di domande di finanziamento a valere suleggi e regolamenti agroambientali;

· di organizzare e gestire corsi di formazione professionale di sensibilizzazione, svolgendo unafunzione di diffusore di cultura ecologica;

· di aspetti di mercato, redigendo piani di fattibilità aziendale;

· di fare da tramite per analisi di laboratorio al fine di acquisire certificazioni ISO 9000 ed EN45000 o HACCP.

Un recente studio4, condotto nella regione Lazio, individua nell’agricoltura biologica uno dei settoridai quali può scaturire una offerta occupazionale legata a nuove figure professionali. Gli ambiti incui si esplica tale attività sarebbero:

· assistenza tecnica;

· applicazione e perfezionamento dei disciplinari;

· consulenza economica;

· supporto all’accesso per gli aiuti finanziari;

· certificazione delle produzioni;

· valorizzazione commerciale delle produzioni.

Questi ambiti di intervento si riassumono in due figure professionali: il divulgatore e l’esperto dilotta integrata/biologica.

DIVULGATORECompetenze Può trovare occupazione in enti pubblici e privati a supporto del settore agricolo.

Non è una vera e propria “nuova” figura professionale ma va reimpostata alla lucedel binomio agricoltura-ambiente.

Osservazioni È ritenuto di “sostanziale rilevanza”Formazione Dovrebbe essere curata nell’ambito delle facoltà di Agraria; in diffusione i corsi

degli Istituti Tecnici.Fonte: F. Battisti, M. Lozzi, Green Jobs, Franco Angeli

4 F. Battisti, M. Lozzi, Green Jobs, Franco Angeli

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ESPERTO DILOTTABIOLOGICACompetenze E’ la figura centrale per la produzione biologica per ottenere prodotti di qualità. Osservazioni È ritenuto di “sostanziale rilevanza”Formazione Dovrebbe essere curata nell’ambito delle facoltà di Agraria, ma anche di Biologia,

chimica, Veterinaria. Indispensabili per gli sbocchi occupazionali conoscenze dilaboratorio e informatiche.

Fonte: F. Battisti, M. Lozzi, Green Jobs, Franco Angeli

Tra le nuove figure professionali del settore che, secondo gli addetti ai lavori, stanno consolidandosicome e di cui vi saranno maggiori richieste in futuro, rientra il tecnico addetto al controllo e allacertificazione che ha sostanzialmente le stesse competenze del tecnico di assistenza, ma il suocompito è di monitoraggio periodico e di verifica. La sua funzione richiede maggiormenteconoscenze di tipo normativo. Anche in questo caso si è in presenza di una figura medio-alta, cheopera all'interno di strutture di controllo per l'agricoltura biologica per controllare e certificare ilrispetto delle norme e delle procedure previste da marchi riconosciuti.

Per quanto riguarda le sue attività, effettua controlli presso l'azienda agricola per conto di organismidi controllo accreditati; certifica che tutte le procedure siano realizzate nel rispetto degli standard diqualità di riferimento; preleva campioni da sottoporre a controlli di laboratorio. Questa figura deveconoscere le caratteristiche e i modelli produttivi agricoli sia per quanto riguarda l'agricolturabiologica che l'agricoltura integrata. Deve avere familiarità con i modelli organizzativi dell'aziendaagro-biologica nonché il mercato dei prodotti biologici e dell'agricoltura integrata, con gli standarddi qualità sui rischi igienici sanitari in campo alimentare come il sistema HACCP (Hazard Analysisand Critical Points) , con le norme vigenti internazionali, nazionali e regionali.

Le sue competenze prevedono il controllo della documentazione prodotta dall'azienda in termini dicompletezza, correttezza, veridicità rispetto agli standard qualità di riferimento. Deve ispezionare lemodalità di produzione e di controllo e le azioni correttive attuate; redige rapporti sull'azienda econfronta i risultati delle ispezioni con l'Ente di controllo. Deve infine sapere coordinare i varisoggetti della filiera produttiva.

Tra le attitudini richieste rientrano un'attenzione e una sensibilità alle problematiche dell'agricolturain relazione all'ambiente, alla salute del consumatore e dell'agricoltore; la capacità di aggiornarsi suisistemi colturali, un approccio sistemico alle problematiche ambientali, e la capacità di relazionarsie interagire con gli operatori della filiera, con gli organismi e le autorità di controllo.

Questa figura può avere una laurea in diverse discipline: scienze agrarie, scienze e tecnologiealimentari, chimica, biologia, veterinaria, scienze forestali o un diploma da perito agrario. L'accessoalla professione avviene mediante l'esperienza lavorativa sul territorio in associazioni ed enti dicertificazione e con corsi di specializzazione sull'agricoltura biologica e integrata organizzati da entipubblici, consorzi e associazioni di categoria.

La formazione è ritenuta importante per omogeneizzare gli approcci metodologici e operativi delsettore nonché per l'aggiornamento tecnico-normativo.

Infine, alle figure sinora viste può essere aggiunta quella del responsabile commerciale di prodottibiologici, anche se viene citata in uno solo degli studi presi in esame. Si tratta in prevalenza diresponsabili commerciali di aziende agricole, che, nella descrizione dei compiti e delle funzioni,non presentavano, sinora, elementi di rilievo dal punto di vista delle tematiche ambientali richiestiinvece dalla aziende produttrici di prodotti biologici.

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Occupazione e formazione nel settore primario

Una stima dell’impatto occupazionale dell’agricoltura biologica nel settore primario

Cercare di quantificare l’impatto occupazionale determinato dalla diffusione dell’agricolturabiologica nel settore primario è, per diversi motivi, compito quanto mai difficile. Infatti una dellecaratteristiche del settore primario è la lunga e continua fuoriuscita di forza lavoro a vantaggio deglialtri settori economici. Fenomeno che ha conosciuto il picco negli anni ’60 e ’70, ma che, sebbene aritmi più rallentati, continua ancora adesso.

Su tale fenomeno l’agricoltura biologica si innesta con due componenti distinte:

A. il contributo alla creazione di nuova occupazione;

B. il contributo determinato dalle innovazioni nelle fasi tecniche e gestionali nella conduzioneaziendale che possono determinare nuovi e diversi fabbisogni unitari di lavoro.

Per quanto riguarda il primo aspetto si può affermare che l’agricoltura biologica agisca attraversovari canali, quali:

A 1. la creazione di nuove imprese; si ricorda come in questo ambito molte indagini sui“pionieri” dell’agricoltura biologica hanno messo in luce come spesso le prime impresededite a questo sistema colturale fossero formate da giovani provenienti da settori dellasocietà estranei al mondo agricolo;

A 2. il rinnovamento imprenditoriale; intendendo con questo termine la tendenza da parte digiovani agricoltori a rilevare le imprese familiari, dedicandosi all’agricoltura biologica;

A 3. il rallentamento della fuoriuscita dal settore agricolo per via delle migliori prospettive dimercato e dei migliori risultati economici dell’agricoltura biologica; questo, peraltro, è unodegli effetti che l’UE prospettava con il varo del REG/2078/92.

In altri termini si tratterebbe dell’attrazione che una “diversa forma di agricoltura” può esercitare suuna nuova classe di imprenditori, provenienti sia dall’interno del settore che da altre fasce sociali.

Questa prima componente è ovviamente di difficile stima, in quanto attraverso i dati statistici non èpossibile capire quale sarebbe stato il saldo – tra uscite dal settore e nuove entrate – in assenza delladiffusione dell’agricoltura biologica. In altre parole non è possibile quantificare quale sia stato ilcontributo dei diversi canali di cui sopra nel determinare nuova occupazione nel settore agricolo,anche se molti studi condotti a livello locale hanno individuato, specie nella prima fase delladiffusione dell’agricoltura biologica, tipologie d’imprese che possono farsi rientrare fra quellerelative ai punti A.1 e A.2.

Anche il caso A.3 è difficile da quantificare, ma va notato che anche in questo caso alcuni studihanno evidenziato come i contributi del REG/2078/92, siano decisivi alla conversione e quindi almantenimento delle aziende in attività.

Per quanto riguarda la componente B, è possibile disporre di indicazioni provenienti da diversi studiche hanno messo in luce, in genere, come l’agricoltura biologica sia caratterizzata da una maggioreintensità d’impiego del lavoro, e quindi, a parità di numero di imprese e di superfici coltivate,porterebbe ad un impatto occupazionale positivo. A questo va aggiunto che in un numero nonesiguo di casi l’imprenditore biologico diversifica la propria attività aziendale sviluppando attivitàcollaterali quali l’agriturismo, la produzione di prodotti tipici, e così via.

Alcuni autori sostengono che impieghi unitari di lavoro più elevati nelle aziende biologiche possonoessere, almeno in via teorica, riconducibili a un insieme complesso e interconnesso di fattoricorrelati principalmente a:

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· (nuove) operazioni colturali o di gestione degli allevamenti (ad es. diserbo manuale omeccanico, preparazione aziendale dei mangimi, ecc.);

· modifiche strutturali legate alle (nuove) attività aziendali relative alla trasformazione e allacommercializzazione dei prodotti aziendali.

Una rassegna degli studi esistenti, riportata da Offermann e Nieberg (2000), mostra che l’agricolturabiologica utilizza il 10-20% di lavoro in più per unità di SAU. Tale dato è però dipendentedall’anno della rilevazione (gli studi più recenti mostrano un divario più ridotto) e dalla tipologiaaziendale (il differenziale d’impiego di manodopera è maggiore nell’aziende ortofrutticole mentre ènullo o negativo nelle aziende zootecniche).

Tuttavia, Marino et al. (1997) mostrano che tali risultati non sono conclusivi, e che la significativitàdelle differenze tra agricoltura biologica e convenzionale non è quasi mai stata verificata. Inoltre,non sono neanche ben chiari i fattori che causano un aumento della domanda di lavoro nelle aziendebiologiche (Lampkin, 1994).

Fatte queste premesse in questo contesto si è cercato di quantificare il lavoro impiegato a livellonazionale in agricoltura biologica. Punto di partenza è stato la verifica del fabbisogno lavorativodistinto per OTE, per il cui calcolo ci si è avvalsi della banca dati RICA dell’INEA. La tabella 1mostra i dati relativi a 15 OTE in cui sono state suddivise le circa 900 aziende biologiche presenti inbanca dati. Si va quindi da OTE nettamente estensivi come quello ovino o i cereali in cui ifabbisogni di lavoro sarebbero intorno alle 80 ore/ha; sino a quelli più intensivi, come quelloortofloricolo, la viticoltura, la frutticoltura, l’agrumicoltura.

Tabella 1. Fabbisogno lavorativo unitario (ore /ha di SAU) in agricoltura biologica

OTE ORE/SAUAgrumicolo 345,78Cereali 83,02Colture e Allevamenti 183,36Frutta fresca 438,31Frutta mista 386,18Frutta secca 216,21Olivicolo 352,87Ortofloricoltura 1845,90Ovino 76,86Policoltura 324,68Seminativi 102,55Viticoltura 419,90Zootecnia da Carne 156,04Zootecnia da latte 167,17Zootecnia mista 119,15MEDIA 215,63

Fonte Banca dati RICA - INEA

Risulta a questo punto più chiaro perché nella prima parte del lavoro si è data rilevanza all’analisidella struttura dell’agricoltura biologica italiana, evidenziando anche le aree e le colture per le qualisi assiste ad un ritardo di sviluppo. Infatti i riflessi in termini occupazionali di un determinatosentiero evolutivo sono abbastanza evidenti.

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In tabella 2 le stesse risultanze vengono riportate non più in termini di ore/ha di SAU ma di UnitàLavorativa (ULT). E’ un passaggio obbligato per arrivare al calcolo del totale delle ULT assorbitedall’agricoltura biologica in Italia, che viene presentato nella successiva tabella 3.

Tabella 2. Fabbisogno lavorativo unitario (ULT /ha di SAU) in agricoltura biologicaOTE ULT/SAUAgrumicolo 0,16Cereali 0,04Colture e Allevamenti 0,08Frutta fresca 0,20Frutta mista 0,18Frutta secca 0,10Olivicolo 0,16Ortofloricoltura 0,84Ovino 0,03Policoltura 0,15Seminativi 0,05Viticoltura 0,19Zootecnia da Carne 0,07Zootecnia da latte 0,08Zootecnia mista 0,05MEDIA 0,10

Fonte Banca dati RICA - INEA

Tabella 3. Occupazione (ULT totali) in agricoltura biologica

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OTE SAU (ha) ULT/SAU ULT totaliCereali 221.436 0,04 8.356Leguminose da granella 8.709 0,05 406Patate 1.724 0,05 80Barbabietola da zucchero 1.338 0,05 62Colture industriali 27.962 0,05 1.303Piante ed erbe arom. e med. 1.538 0,84 1.290Orticoltura 11.675 0,84 9.796di cui in serra 1.002 0,84 841Fiori e piante ornamentali 25 0,84 21Foraggi 397.878 0,06 23.476Sementi e m. di riproduzione 1.187 0,05 55Fruttifere 41.827 0,20 8.333Frutta secca 22.033 0,10 2.165Agrumi 18.295 0,16 2.875Olivo 121.363 0,16 19.466Vite 44.175 0,19 8.431Prati e pascoli 241.157 0,03 8.425Altro 75.318 0,10 7.382Totale 1.238.642 102.766

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Fonte: nostre elaborazioni su dati MiPAF e Banca dati RICA - INEA

Per tale operazione si è semplicemente messa in relazione la SAU biologica, distinta per OTE, con irelativi fabbisogni di lavoro. Preliminarmente si era provveduto a raccordare gli OTE dei datiMiPAF con quelli della banca dati INEA.

Il risultato è notevole in quanto risulta possibile stimare che quasi 103.000 Unità lavorative sianooggi impiegate in aziende biologiche. E’ bene rammentare che alla composizione di una ULT,possono concorrere lavoratori diversi, qualora – come accade normalmente – il conduttore siavvalga di figure professionali diverse per operazioni colturali specifiche (ad es. potatura) o qualorail calendario di lavoro presenti picchi stagionali (tipicamente per le operazioni di raccolta). Indefinitiva l’impatto occupazionale potrebbe essere ben più vasto delle 103.000 unità lavorative quistimate.

Tale dato rappresenterebbe il 9,24% della forza lavoro agricola nazionale, percentuale ben più altadi quella della SAU – pari al 7,8% di quella totale – che dimostrerebbe il contributo positivo dalbiologico all’occupazione.

E’ quindi possibile affermare che l’agricoltura biologica può costituire un processo positivo per lariduzione dell’esodo occupazionale dall’agricoltura italiana e per lo spopolamento rurale. Al tempostesso è possibile che crei – sempre all’interno del settore agricolo – un indotto che può avere a suavolta effetti positivi per la crescita economica locale.

Il profilo professionale dell’imprenditore biologico

Nonostante siano numerosi gli studi condotti dagli economisti agrari dedicati alla individuazione edalla descrizione del chi è l’imprenditore agricolo che sceglie l’AB, in realtà in questo panoramasoltanto due studi hanno avuto quale ambito d’indagine il territorio nazionale con una base dati inqualche modo rappresentativa dell’agricoltura biologica nazionale. In particolare ai nostri fini è utilesoltanto la prima, condotta da Santucci nell’ambito di uno studio promosso da Ager-Inipa, che hainteressato 884 aziende agricole, con uno schema campionario basato sull’orientamento tecnico-economico e sulla distribuzione regionale (si é trattato della più vasta ed approfondita indaginesull'agricoltura biologica mai realizzata in Italia ed ha coperto numerosi aspetti della struttura, dellagestione e delle problematiche che gravano sul comparto).

Ci sembra utile quindi riportare alcuni risultati di tale indagine che costituiscono una fotografiadell’imprenditore biologico italiano5.

La carriera scolastica dei rispondenti si é interrotta nel 60% circa dei casi con la scuola dell'obbligo.Il dato potrebbe sembrare preoccupante se non considerassimo che nell'universo complessivodell'agricoltura italiana il dato é ben più elevato. Secondo le indicazioni del 13° Censimento

5 Tali dati, come quelli del paragrafo successivo, saranno poi completati dall’aggiornamento dell’indagine presentatonella terza parte dello studio.

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Generale della Popolazione, nel 1991 si aveva in effetti che il 90% della popolazione attiva agricolasi trovava in tale situazione (ISTAT 1995). Certo, la rilevazione demografica censuaria coprival'intera popolazione agricola, coadiuvanti familiari ed operai dipendenti compresi, mentre questostudio si focalizza solo sugli imprenditori, ma resta certo che anche fra quest'ultimi si trovanoancora presenze significativamente rilevanti di titolari di aziende senza alcuna scolarizzazione.

Tornando quindi alla nostra rilevazione, accanto a questa maggioranza di individui che non hannoproseguito gli studi oltre la scuola dell'obbligo, abbiamo però un ventaglio di curriculum educativipiù avanzati, ed in qualche caso decisamente evoluto: il 5% degli imprenditori ha seguito il corsotriennale presso un Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura, quasi il 5% é perito agrario, oltreil 3% é laureato in scienze agrarie. Analizzando infine il titolo di studio per area geografica,abbiamo una modesta presenza di laureati al Nord (6,4% in totale, di cui 2,9% in agraria), molto altaal centro , con il 22,1%, di cui il 7,6% in agraria, del 12,4 al Sud (3,6% in Scienze Agrarie), ancorapiù bassa nelle Isole, con l'8,8%, di cui solo l'1,3% in Agraria. E' proprio nelle Isole checonstatiamo il maggior numero d'intervistati che si é fermato alla scuola dell'obbligo: ben il 79,1%degli intervistati.

L'età relativamente elevata di molti rispondenti ed il precoce inserimento nel mondo del lavorofanno sì che un po' più di un terzo dei rispondenti abbia oltre 30 anni di esperienza nel lavoro diagricoltura, controbilanciato da un 31% circa che invece si occupa del settore primario da meno di14 anni. Ovviamente, l'esperienza di gestione diretta dell'azienda é mediamente minore: per un 36%dei casi si tratta di un periodo inferiore ai nove anni, ma comunque vi é un 35% di soggetti con oltre22 anni di esperienza nella gestione della propria impresa.

Nel 33,6% dei casi, prima di diventare agricoltore il rispondente ha esercitato altri lavori: l'operaio(8,6%), l'impiegato (6,7%), ma anche il libero professionista (5,4%) o il dirigente d'impresa (1,2%).Circa un quinto dei rispondenti continua comunque a svolgere una seconda attività, specialmentecome operaio o impiegato. Solo nelle aziende classificate zootecniche, dove la cura del bestiamerichiede una attenzione continua e quotidiana, abbiamo una presenza totale di full time. L'OTE conla maggior presenza di part time é invece quello olivicolo, dove il 31% dei titolari esercita unsecondo lavoro. Anche questo secondo caso é spiegabile con la tipologia produttiva, che richiede unimpegno quotidiano minore, con in più una concentrazione temporale ben precisa, alla qualel'imprenditore fa comunque fronte con il ricorso alla manodopera fornita dalla famiglia e/o damanodopera salariata a tempo determinato.

La grande maggioranza degli agricoltori intervistati si dichiara abbastanza soddisfatta della propriaposizione professionale, con un punteggio medio di 6,75/10. I più soddisfatti sono i frutticoltori(7,35/10) ed i vitivinicoltori (7,27/10), mentre la posizione di coda é occupata dagli imprenditoridell'OTE orto-frutticolo.

Il rapporto tra soddisfazione professionale e reddito é evidente, poiché il 18% del totale degliintervistati giudica la propria situazione economica migliore di quella di altre persone da luiconosciute ed il 67% la giudica uguale. Solo il 15%, a livello nazionale, stima il proprio redditoinferire a quello dei suoi conoscenti, con una leggera maggior presenza nell'OTE frutticolo. Ineffetti, in questo comparto il passaggio dalla agricoltura convenzionale a quella biologica può esserenon facile e causare notevoli problemi tecnici e perdite di reddito: in molti casi, bisogna sostituire levarietà con altre più resistenti, oppure subire attacchi anche pesanti di vari parassiti.

Si é visto in precedenza come i nostri intervistati abbiano in genere una esperienza pluriennale delsettore agricolo e come siano alla guida della propria impresa da un periodo similmente assai lungo.Assai minore appare di contro l'esperienza accumulata nella gestione agricola biologica, dove ben il21% ha meno di un anno di vissuto, il 46% solo due - tre anni. Poco più di un terzo può vantareun'esperienza più lunga dei tre anni.

E' quindi interessante verificare, nell'immaginario degli intervistati, quali virtù, compiti e qualitàessi stessi attribuiscano all'essere un imprenditore biologico: emerge chiaramente l'ipotesi di essere

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un fornitore di servizi e di prodotti nuovi, con il 55% delle citazioni. Escono da questa linea solo iproduttori di olio d'oliva e gli imprenditori zootecnici, che evidentemente sono ancora su prodottimeno innovativi. La carica innovativa é maggiormente dichiarata dagli agrumicoltori (64%), i qualipure sottolineano il proprio ruolo di tutela ambientale (31%). Questa seconda funzione, disalvaguardia dell'ambiente naturale, é fortemente dichiarata, dal 26% dell'intero campione, conpunte molto forti nel caso dei viticoltori ((39%) e degli allevatori (46%). Pochi si vedono come"imprenditori globali", solo l'8,9% dell'intero campione, con una maggiore incidenza per ifrutticoltori e gli olivicoltori. In effetti, in queste due categorie si ritrovano imprenditori che hannoristrutturato profondamente le proprie aziende, introducendo modificazioni nelle varie fasiproduttive (nuove varietà, gestione degli inerbimenti, controllo dei parassiti, valorizzazione deiprodotti di base, confezionamenti, imbottigliamenti, ecc.) e della commercializzazione (vendite sucatalogo, ordini telefonici, ecc.). Di contro, abbiamo un 10,9% di rispondenti che ritiene di potersopravvivere solo se permane un flusso di sussidi da parte dello "Stato", parola con cui siidentificano i poteri pubblici. E' nell'OTE Olivicoltura ed in quello ad agricoltura generale cheritroviamo incidenze leggermente maggiori.

A fronte di questa autodefinizione, abbiamo di conseguenza che per la maggioranza degliimprenditori resta prevalente, per essere un bravo gestore d'impresa, l'aspetto tecnico concernente leproduzioni realizzate (4.014 punti), seguito dalla capacità di pianificare i processi produttivi (5.934punti) e quindi tutte quelle altre qualità legate al miglioramento ed ottimizzazione dei processiproduttivi, ivi compresa la capacità di saper captare le innovazioni. Agli ultimi posti, come spessopurtroppo succede, troviamo le competenze gestionali (5.554 punti), quelle di marketing (5.488punti) e quelle relazionali (5.356 punti).

Nel complesso, quindi, agricoltori ancora molto legati all'opinione che l'elemento più importanteper il successo dell'impresa sia produrre in maniera efficiente, dei prodotti buoni, con un po' diinnovatività. E' questa una convinzione dura a morire nelle campagne italiane, che fa onore a questatipologia di imprenditori saldamente legati alla terra, ma che dovrebbero aprirsi un po' di più allainnovazione e soprattutto ai rapporti esterni. Non a caso, alcune competenze (l'analisi dei problemi,la pianificazione delle fasi lavorative, il reperimento dei fattori produttivi ed i rapporti con ifornitori) sono saldamente nelle mani dell'imprenditore, con deleghe sempre parziali "io ed altri" aterze persone. L'unico aspetto in cui una frazione importanti degli imprenditori dichiara di delegarepienamente é quello del controllo della qualità (46%). A conferma di quanto scritto nel paragrafoprecedente, nel 35,7% dei casi aziendali analizzati non v'é nessuno che si occupi di marketing, il chetestimonia realtà in cui la vendita dei prodotti segue canali oramai standardizzati (ma questoraramente é positivo) e nel 29% non v'é nessuno che si occupa di sviluppare nuove tecniche o nuoviprodotti.

Ovviamente, si potrebbe anche assumere un atteggiamento positivo e sostenere che il 70% degliimprenditori affronta in prima persona, oppure delegando, il tema della creazione della innovazione,ma ciò nulla toglie al fatto che il 30% degli intervistati abbia un atteggiamento sostanzialmentepassivo ed aspetta che le innovazioni vengano prodotte da entità esterne all'azienda. Ciò poneconseguentemente il problema della comunicazione delle innovazioni e delle metodiche impiegateper la loro diffusione, come si vedrà in seguito.

Le fonti informative ed i canali impiegati dai rispondenti sono un po' di tutti i tipi, ma nessuno éveramente soddisfacente; ciò potrebbe essere dovuto, in parte, ad un'insufficiente diffusioneterritoriale di programmi divulgativi e di formazione permanente finalizzati all'aggiornamentoprofessionale degli agricoltori desiderosi di adottare le tecniche dell'agricoltura biologica. Gliagricoltori citano i tecnici delle associazioni biologiche, ma poi danno loro un voto medio di 3,3/10,oppure i divulgatori pubblici, ma danno loro ancor meno (3,01/10). Quasi tutti hanno seguito deicorsi, magari di quelli attivati in alcune Regioni ai sensi della misura H del Regolamento 2078/92,ma il voto attribuito é solo di 2,1/10. Come e da chi gli imprenditori intervistati stanno apprendendole tecniche della produzione biologica? un po' dai tecnici dei sindacati, che restano comunque

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"insufficienti", con un 5,6/10 e poi da soli (5,45/10) e "parlando con altri e vedendo quello chefanno (4,78/10).

A questo punto, é importante una breve riflessione su tre aspetti: il primo é che tutti intervengono, laformazione permanente, i tecnici dei sindacati e delle associazioni, i consulenti pubblici, il che é unbene, vista la stasi di alcuni anni fa e la sostanziale novità rappresentata dalla agricoltura biologica.Il secondo aspetto é che gli agricoltori percepiscono e denunciano le incapacità di questo sistema nelfornire le informazioni di cui essi hanno veramente bisogno. Il terzo aspetto é che, contrariamente aquanto spesso si riscontrava in passato, gli intervistati sono fortemente autocritici e consci chel'autoproduzione di conoscenza e/o il suo trasferimento orizzontale (da un agricoltore all'altro) nonbasta più.

Questa indicazione é forse la più importante dell'intera ricerca ed esprime il malessere diimprenditori, molti dei quali con decenni di attività al proprio attivo, che si rendono conto che nellemodalità di apprendimento delle tecniche di gestione dell'azienda biologica qualcosa (molto) nonfunziona. Focalizzando la nostra attenzione sul metodo formativo "corso", abbiamo che uno o piùcorsi sulle tecniche biologiche sono stati frequentati solo dal 14% degli agricoltori intervistati, conun'incidenza percentuale maggiore per gli allevatori (31%) e per i viticoltori (28%). Nel complesso,circa la qualità di tali corsi, tra esperienza diretta e sentito dire, abbiamo che i rispondenti siesprimono per la netta maggioranza positivamente: il 62% li giudica di medio livello ed il 15% dilivello alto. Di nuovo, sono gli Enti d'emanazione sindacale i più citati, seguiti dagli Enti diCertificazione e dalle Associazioni dell'agricoltura biologica. V'é comunque quasi un quarto deirispondenti su posizioni più negative, con giudizio negativo sulla qualità dei corsi seguiti, o di cuiha sentito parlare. Riprendendo infine l'opinione espressa sui corsi organizzati, ma disaggregata perarea geografica e con un punteggio attribuito in modo diverso, abbiamo che in tre circoscrizioni(Nord, Centro e Sud), nella quasi totalità dei casi abbiamo un giudizio medio, intorno al 2/3, conpareri un po' più critici su corsi offerti dalle Università (Nord e Centro) e società private (Centro eSud). Nelle Isole la situazione é invece diversa: i corsi promossi dalle associazioni biologichericevono il miglior apprezzamento: 2,33/3, seguiti da quelli organizzati dall'Università (2/3), mentretutti gli altri Enti hanno realizzato attività formative che sono piaciute di meno. Nel complesso,comunque, un quadro abbastanza omogeneo su tutto il territorio nazionale. Va infine notato che lastragrande maggioranza degli imprenditori non ha saputo dire se vi fosse stato oppure no un corsosull'agricoltura biologica nella propria zona o regione. Si pone quindi un problema che é a montedella formazione permanente: quello dell'informazione agli utenti potenziali della esistenza stessa diattività formative.

E' nel Centro e nel Nord che l' auto-apprendimento é più forte, e che riceve il "voto" migliore, paririspettivamente a 6,7/10 e 6,2/10; i consulenti del sindacato hanno voto positivo nel Centro e nelleIsole (6,4/10 e 6,1/10), ma nel complesso si conferma, un po' in tutta Italia, senza alcuna differenza,quanto si diceva poco sopra: una pluralità di metodiche, delle quali lo stesso agricoltore percepisce edenuncia l'insufficienza.

Non deve stupire la bassa presenza dell'Università, che raramente organizza in prima persona corsidi formazione per agricoltori, limitandosi in genere a fornire parte della docenza ed eventualmentestrutture (aule, accesso a laboratori e campi sperimentali) agli organizzatori dei corsi.

L'agricoltore italiano é, almeno dal punto di vista teorico (o potenziale), al centro di un sistemainformativo estremamente composito, in cui operano ed interagiscono Agenzie Pubbliche diderivazione statale e regionale o sub-regionale (in alcune Regioni sono state trasferite deleghe alleProvince o alle Comunità Montane), Agenzie semi pubbliche (o non governative, come si suol direadesso) come i Sindacati, le Cooperative, le Associazioni e quindi le Agenzie private, quali iproduttori ed i distributori di input, gli acquirenti delle produzioni, i consulenti liberi professionisti.Ciascuna delle suddette Agenzie cerca di influenzare il comportamento dell'agricoltore per ilraggiungimento dei propri fini: aumentare il fatturato, avere derrate di qualità, favorire l'adozione di

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norme comunitarie, e così di seguito. Studi svolti in tempi non recentissimi, ma che mantengonoprobabilmente la loro validità, sostengono che la componente privatistica sia preponderante, comeuomini e mezzi, con obiettivi chiari e procedure efficienti, mentre le Agenzie Pubbliche e le ONG osono sottodotate di risorse oppure, anche quando ben dotate di mezzi ed uomini, mancano diobiettivi chiari e di procedure efficienti. In sintesi, quindi, l'agricoltore subirebbe più l'impatto delleAgenzie profit-oriented che non di quelle che dovrebbero realizzare degli interessi collettivi (dellacategoria o del pubblico in generale).

Ciò premesso, l'indagine ha coperto anche tale aspetto, andando a saggiare la fruizione di vari mediae di varie fonti, nonché le opinioni degli agricoltori biologici su tali tematiche. Il primo dato cheemerge é che il 22% degli intervistati non legge alcun giornale agricolo, fortunatamentecontrobilanciato da un 34% che invece legge numerosi periodici agricoli, di vario genere. Talefenomeno é preoccupante, ma conosciuto da tempo ed in lenta evoluzione (positiva), man mano chele generazioni più anziane e meno acculturate di agricoltori lasciano il posto a imprenditori piùgiovani, più istruiti ed usi a tenersi aggiornati anche attraverso la lettura. I titolari d'impresa chemeno leggono sono i produttori di agrumi (37%), gli olivicoltori (26%) ed i produttori di ortaggi(26%), mentre i frutticoltori ed i viticoltori sembrano essere i più propensi all' uso del mezzostampato. La controprova é rappresentata dal fatto che oltre il 50% degli imprenditori di queste dueOTE dichiarano di leggere con regolarità diversi tipi di periodici agricoli: locali, nazionali generici,nazionali specialistici.

I media nazionali (radio e televisione) dedicano un certo spazio al mondo agricolo ed alleproblematiche della alimentazione e rappresentano una fonte di informazioni di tipo generale che ésicuramente utile, nel lungo periodo, per una corretta gestione aziendale. Detto altrimenti, raramentei messaggi della radio e della televisione sono applicabili nella gestione aziendale, ma essiconcorrono a costituire comunque un quadro di riferimento, all'interno del quale l'imprenditorelentamente modifica i suoi atteggiamenti. Circa la televisione, il programma più seguito ésicuramente Linea Verde, in onda da anni la domenica mattina sul primo canale RAI, la cui secondaparte é ignorata solo dal 17% dei rispondenti, mentre quasi il 30% lo vede con regolarità. Seguesempre Linea Verde, prima parte, che non é visto dal 50% dei rispondenti, mentre il 16% sisintonizza sul programma con regolarità. A seguire abbiamo Le ultime dai campi, proposto da Italia1, che ha un posizionamento abbastanza basso, visto che ben l'85% dei rispondenti non lo guardamai e solo il 2,7% lo segue invece con regolarità. La radio, un tempo veicolo potentissimo diinformazioni anche per il mondo agricolo e rurale in genere, é ancora uno strumento informativo perun certo numero di imprenditori, che si sintonizzano sul terzo canale della RAI per seguire ilprogramma T3 Agricoltura, contenente notizie di politica agraria, di mercato, con anche tematicheambientali ed alimentari. Il 4,2% degli intervistati ha dichiarato di ascoltare sempre o quasi sempretale trasmissione ed il 19% di seguirla "ogni tanto".

Gli agricoltori biologici vivono in un contesto istituzionale potenzialmente ricco di fontiinformative ed in effetti ne fanno un uso relativamente intenso: i più citati sono ovviamente i servizidi consulenza organizzati in ambito sindacale, di cui si é detto già più volte. Essi sono del restodelegati dalle Regioni, in molti casi, a erogare tale servizio, sono capillarmente presenti sulterritorio, gestiscono spesso corsi d'aggiornamento per agricoltori adulti, pubblicano periodici anchea livello locale, sono fondamentali per la compilazione della modulistica necessaria per accederealle misure di supporto promosse dalla PAC e quindi é ovvio che il 14% degli agricoltori dichiari difarne uso frequente ed il 63% di usarli con una certa regolarità. Seguono, come seconda fonted'informazione, gli altri agricoltori biologici, che ovviamente non sono degli intermediarinell'accesso alla PAC, ma sono piuttosto dei depositari d'informazioni utili, tecniche, di mercato epiù in generale di tipo organizzativo. Il nuovo agricoltore biologico si trova infatti a doverimpiegare mezzi tecnici diversi dal passato, che magari non sono reperibili in loco, oppure deveindividuare nuovi acquirenti per le sue produzioni. Si tratta quindi di una serie pressoché infinitad'informazioni, molte delle quali di modesta rilevanza, ma che concorrono complessivamente a

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riorientare l'impresa e che spesso l'agricoltore non trova presso le Istituzioni, né sulla stampa. Alterzo posto, come fonte informativa più frequentemente usata, abbiamo l'ente di certificazione dacui l'agricoltore é controllato. In effetti, accade che spesso l'agricoltore, preso da dubbi se un certoprocesso o un certo mezzo di produzione sia ammesso oppure no, telefoni alla sede dell'Ente,oppure all'Ispettore che opera in zona, per averne preventivamente una opinione sulla leicità di unacerta operazione.

Come già constatato altre volte ed in altre parti di questo stesso studio, abbiamo che gli IstitutiSperimentali delle Regioni, le Università e gli Istituti Sperimentali ex MAF figurano agli ultimiposti, come fonti d'informazione. Ciò non deve stupire, per una serie di motivi:

· Tali istituzioni non sono presenti su tutto il territorio nazionale, per cui é ovvio che sianorelativamente pochi gli agricoltori che li citano;

· Pochi sono gli agricoltori, con elevato livello d'istruzione, che hanno comunque rapporti con taliIstituzioni;

· Molto scarsa é l'attività di ricerca sull'agricoltura biologica e tematiche annesse che é stata finorasviluppata presso tali Istituzioni, che solo adesso cominciano ad attivarsi in questa direzione;

· Gli agricoltori non sono comunque il target group primario delle attività divulgative degliscienziati operanti presso tali Centri, i quali sono orientati piuttosto verso altri scienziati e/overso tecnici qualificati.

Circa l'utilità, v'é una relazione stretta tra utilizzo e utilità di una fonte informativa. Anche seteoricamente é ipotizzabile che una persona usi molto una fonte informativa poco utile, oppure chefaccia riferimento raramente ad una fonte assai utile (perché lontana dalla sede aziendale, oppureperché costosa), nel vissuto quotidiano l'opinione sulla utilità e la frequenza d'uso in generecoincidono e così é anche nel nostro caso. Ecco quindi che l'opinione degli intervistati circa l'utilitàdelle fonti informative segue strettamente l'ordine della frequenza d'uso: l'Agenzia più utile sono iservizi sindacali di consulenza tecnica, seguiti dagli altri agricoltori biologici, dagli Enti diCertificazione e così di seguito, per chiudersi con le "altre fonti", usate assi poco e che non a casoricevono un giudizio assai modesto in termini di utilità.

Un altro quesito riassuntivo ha indagato la percezione che gli agricoltori biologici hanno circa lamaggior o minore difficoltà di accedere ad una vasta tipologia di informazioni, classificate in varieclassi. Non v'é alcun argomento circa il quale viene conseguita una assoluta "sufficienza" circa lafacilità di accesso alle informazioni. In linea generale, il numero degli agricoltori che reputano cioèdifficile l'acquisizione di nuove conoscenze é maggiore del numero dei pochi che ritengono d'averefacilità nell'accesso alle novità. Emergono dei posizionamenti diversi, a seconda dei vari argomenti:in posizione relativamente migliore troviamo temi tecnici (tecniche di coltivazione 2.296 punti, paria 5,2/10), meccanizzazione (5,2/10) ed attrezzature (5,7/10), ed anche i fertilizzanti (5,6/19) e lesementi (5,2/10). Più grave appaiono le difficoltà di accesso all'informazioni per ciò che concerne letecniche di allevamento (3,9/10), le tecnologie di trasformazione (3,8/10) e l'intero gruppo delletematiche dell'area "gestione e mercato". E' evidente lo stato di disagio degli imprenditori, i qualifanno riferimento ad una gamma molto eterogenea di figure professionali, dagli altri agricoltori aitecnici di svariate agenzie, in un certo numero leggono le riviste e seguono programmi radio-televisivi, ma poi si rendono conto che accedere ad ogni singola informazione rilevante per ilproprio processo decisionale é spesso tutt'altro che facile

A questo punto, si é proceduto ad alcune connessioni, onde cercare di verificare se il livellocomplessivo educativo sia in qualche modo relazionabile con i risultati produttivi, fatto questo chein letteratura trova pareri non sempre concordi.

Nel nostro caso, v'é una evidente connessione, ad esempio, tra PLV media e livello educativo, alcrescere del quale aumenta la produzione vendibile media aziendale: é inferiore ai 20 milioni per gli

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imprenditori a basso livello educativo, sale a quasi 43 nella fascia di mezzo, supera i 48 per gliagricoltori istruiti ed aggiornati. Ovviamente, gli elevati valori della deviazione standard stannoanche a ricordarci che la separazione non é netta, che i bordi delle classi si sovrappongono, e che épossibile avere agricoltori molto preparati alla testa di aziende con risultati modesti e viceversa. Ineffetti, se andiamo a vedere il rapporto di questo indice complessivo (e delle sue componenti) con laproduttività media del lavoro, la situazione non é così netta e che i risultati finali, in termini di PLVper unità lavoro umano, sono quasi uguali. E' anche vero che questo secondo indicatore é unprodotto di elaborazione, ottenuto a partire da valori grezzi (PLV e occupazione) sui quali si eranogià anticipate alcune perplessità. Analoga situazione si riscontra nella ricerca di significati linearinella connessione tra l'indice complessivo (e delle sue componenti) con la produttività media dellaterra, visto che aziende con bassa produttività della terra sono gestite da imprenditori il cui profilocomplessivo é migliore di quello di imprenditori con produttività del suolo medie.

Detto altrimenti, gli imprenditori con elevato livello complessivo (educazione+formazione+informazione) hanno sempre una situazione migliore, in termini di PLV/azienda, PLV/ha ePLV/ULU, ma per livelli minori si possono verificare evidenti sovrapposizioni, segno chel'efficienza di un sistema produttivo non dipende solamente dalla qualità umana (cognizioni,atteggiamenti, saper fare) dell'imprenditore. Ad ulteriore riprova di quanto appena scritto, gliimprenditori con alto livello educativo complessivo sono in genere convinti di avere un redditouguale o migliore a quello di altri imprenditori di loro conoscenza, mentre quelli con livelloeducativo progressivamente inferiore hanno parere opposto. Solo il 21,8% degli imprenditori dellafascia media é convinto di avere un reddito migliore della media delle persone che conosce e questovale solo per l'8% degli imprenditori della fascia con basso livello educativo complessivo. Non acaso, v'é una evidente connessione tra livello educativo complessivo e soddisfazione professionale: i379 agricoltori della fascia bassa si danno un giudizio di soddisfazione professionale solo di6,08/10, che sale a 7,12 per la fascia media e aumenta ulteriormente a 8,13 per i 15 classificati nellafascia alta.

Esigenze di formazione

La domanda di aggiornamento che proviene dagli agricoltori biologici intervistati é netta e siconcentra, com'era lecito attendersi, sulle tematiche delle tecniche biologiche di coltivazione e su unaspetto relativo alla commercializzazione "prezzi e possibili acquirenti", rispettivamente con 5.136punti e 5.106, pari ad un bisogno espresso di 7,1/10 e di 7,0/10. Sono comunque moltissimi gliargomenti, tecnici, gestionali, oppure relativi alla qualità delle produzioni, che ricevono punteggielevati. Anche argomenti che potrebbero sembrare secondari, come le tecniche di allevamento o ilsaper lavorare in Internet, ricevono apprezzamenti notevoli. Si prenda ad esempio il caso delleproduzioni animali: oltre 214 intervistati esprimono un bisogno alto di informazioni sull'argomento,numero praticamente pari a tutti coloro che hanno dichiarato di avere un qualche capo (bovino,ovino, caprino o suino) in allevamento. Un quarto degli agricoltori dice di aver molto bisogno diapprendere un po' d'inglese, e un po' di più ritiene molto necessario di imparare ad usare internet. Sitratta di tematiche non strettamente agricole, che peraltro lasciano intravedere imprenditori d'etàmedia, con buon profilo educativo, proiettati verso mercati anche esteri, i quali avvertono nuovibisogni, un tempo impensabili. E non a caso, in molte Regioni italiane, gli organizzatori di corsi diqualificazione professionale per giovani agricoltori o di riqualificazione per adulti hanno giàcominciato da qualche tempo ad introdurre l'inglese (o il tedesco) e l'uso del computer neiprogrammi formativi.

Come far fronte a queste esigenze d'informazione? Oltre la metà degli intervistati lamenta lamancanza di una buona rivista tecnica specifica sull'agricoltura biologica, quasi la metà vorrebbedei manuali tecnici elaborati specificatamente per il caso italiano, ma oltre i tre quarti dichiaranoche mancano momenti di incontro e di approfondimento. Disaggregando tali risposte per tipologiaproduttiva, i frutticoltori e gli allevatori propendono per i manuali, di nuovo I frutticoltori

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sottolineano la mancanza della rivista, ma la richiesta di incontri di approfondimento é altissima pertutte le categorie, con punta dell'85% per gli agricoltori con aziende a seminativi.

Siamo quindi ad un altro passaggio centrale della ricerca: l'apprendimento individuale da un lato equello in gruppo dall'altro, dove l'uno non esclude l'altro, ma lo complementa e lo arricchisce. Illibro, la rivista, l'ascolto della radio o il seguito di un programma alla TV sono infatti momenti incui l'agricoltore da solo (o al massimo con qualche familiare) cerca di tenersi aggiornato e diapprendere cosa si muove intorno a lui. Ma tali mezzi per forza di cose non possono fornireindicazioni precise, localizzate, immediatamente applicabili. Trattandosi di mezzi di comunicazionedi massa, debbono forzatamente restare sul generico, fornire cioè stimoli ed indicazioni valide per laSicilia come per il Piemonte. Non v'é la possibilità di riscontro, non é possibile porre delledomande, né confrontarsi con altre persone.

Nelle riunioni e nei corsi, peraltro, oltre al contatto diretto interpersonale con il consulente e/o ildocente, é possibile un'interazione con altri imprenditori, é possibile scambiarsi opinioni edesperienze, é possibile porre domande precise, sperando di avere risposte altrettanto precise ed utili.Non a caso, in alcuni paesi del Nord Europa (Irlanda, Danimarca, Germania, ad esempio)l'approccio di gruppo ai problemi dell'educazione permanente degli agricoltori é assai praticato econsiderato uno strumento assai potente.

Ecco quindi che accanto ad una modesta minoranza di intervistati che sostiene l'inutilità dei corsi,tutti gli altri suggeriscono, per il proprio aggiornamento professionale, delle attività strutturate, divario tipo, ma con un approccio di gruppo e con un taglio sostanzialmente pratico. Il metodo cheriscuote maggior successo é la visita guidata di un giorno, votata dal 74% dei rispondenti, seguito dacorsi multi-disciplinari con approccio zonale, articolati in più riunioni, di sera o pomeriggio (63%).Anche i corsi residenziali intensivi, di due o tre giorni, sembrano riscuotere un potenzialegradimento da parte del 50% dei rispondenti. In effetti, le visite guidate, se ben organizzate erealizzate, permettono ai partecipanti di prendere visione diretta di realtà aziendali migliorate, in cuialtri imprenditori già attuano le innovazioni proposte. Rispetto ai corsi serali o di uno o più giorni,con la visita guidata l'agricoltore biologico può non solo sentir parlare di un certo argomento, ovedere diapositive o video, ma ha la possibilità di toccare con mano e di discutere con un altroagricoltore. Questo ovviamente non vale solo per l'agricoltura biologica, ché anche nella agricolturaconvenzionale le problematiche sono analoghe.

Un corso ottimale potrebbe proprio basarsi su un mix di questo tipo: uno o due incontri teorico-pratici, per affrontare insieme un certo argomento, con approccio sistemico e zonale, per passare poiad una visita guidata ad una o più realtà aziendali interessanti, con discussione con il titolaredell'azienda, e quindi un'ultima riunione per confrontare e razionalizzare insieme, quello che si évisto e sentito in azienda, con le cognizioni teoriche dei primi giorni e con le realtà aziendali diciascuno.

Per avere un ultimissimo riscontro alle risultanze finora esaminate, nonché dei consigli operativi dalmondo agricolo, si é chiesto quale tipologia di corso potesse essere utile per formare dei nuoviagricoltori biologici. Accanto ad un 2,4% di "I corsi non servono" ed a un 24% di mancanza diopinioni, figura un gruppo netto e robusto di persone, pari al 42%, le quali suggeriscono corsi brevidi alcune giornate, scaglionate su più anni, seguiti da un 29,5% che propendono per un corsointroduttivo di un mese, accompagnato e completato da una serie di incontri distribuiti durante unintero anno. I corsi standard, di 400 o 800 ore, non hanno un grande gradimento e sono suggeritirispettivamente solo dal 5,2% e dal 4,9% degli intervistati. Le opinioni dei titolari di aziende dellevarie OTE sostanzialmente coincidono, salvo una maggior polarizzazione degli imprenditorizootecnici. I rispondenti sottolineano come per imparare a gestire una azienda agraria secondo ilmetodo della agricoltura biologica sia necessario un apprendimento diluito nel tempo, che permettadi seguire le fasi fenologiche delle colture, l'evolversi della azienda stessa, il ritmo delle stagioni,con una forte componente di osservazione e di pratica della realtà. Si tratta di osservazioni in linea

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con quello che reputano anche gli Ispettori che lavorano per gli Enti di certificazione e che quindicontribuiscono ad esprimere interessanti linee guida per il futuro.

L'importanza che gli agricoltori biologici attribuiscono all'acquisizione di informazioni, di nuoveconoscenze anche complesse e di particolari capacità operative é confermata dal fatto che ben il36% di essi si dichiara disposto a contribuire al costo di un corso di aggiornamento e che il 28% nonesclude tale possibilità. Solo il 36% dichiara nettamente che non pagherebbe nulla per seguire uncorso di formazione. Tale incidenza può sembrare elevata, ma é opportuno precisare chenell'agricoltura italiana per numerosi decenni gli agricoltori adulti hanno avuto modo di seguirecorsi gratuitamente e che spesso anzi ricevevano degli incentivi (in denaro o in natura) per seguirecorsi, e che spesso tali corsi avevano contenuti, docenze, finalità ed utilità reale alquanto discutibili.I corsi erano (e sono) offerti da una molteplicità di Agenzie, pubbliche, non governative, private,che ricevono finanziamenti pubblici coprenti il 100% del costo del corso e che spesso prevedonoanche rimborsi e/o modeste retribuzioni ai singoli partecipanti. Parlare quindi di "tassa d'iscrizione",di contributo al costo, o di corresponsabilità finanziaria é quindi rivoluzionario e va ad intaccare unsistema consolidato nel quale gli agricoltori unicamente ricevevano (un prodotto spesso scadente),senza però nulla pagare.

Gli imprenditori italiani debbono quindi essere rieducati ad un uso corretto dello strumentoformativo, mentre i realizzatori di attività d'aggiornamento debbono proporre corsi veramente utili,se vogliono che gli agricoltori concorrano al costo di realizzazione dei corsi stessi.

Questa disponibilità a pagare é correlata inversamente con l'età: il no é espresso da personemediamente di 52 anni, il non so da 47enni ed il sì da 46enni, sia pure con elevati valori delladeviazione standard, segno che ci sono giovani riluttanti ed anziani disposti a contribuire al costodella formazione. Leggermente più chiara la relazione con la soddisfazione del lavoro: chi dichiaradi non voler pagare ha un punteggio medio di 6,32/10, quanti non lo sanno sono sul 6,84/10, mentrechi sarebbe disposto a farlo ha un 7,1%. Detto altrimenti: l'agricoltore contento del suo lavoro édisposto ad investire qualcosa per un ulteriore affinamento delle proprie conoscenze e capacitàprofessionali. Analoga chiave di lettura traspare relazionando la disponibilità a pagare con lapercezione relativa del proprio benessere: il 54% di quanti pensano di avere un reddito migliore dialtri é disposto a pagare, mentre ciò é dichiarato solo dal 39% di chi si ritiene in condizione direddito peggiore degli altri. Infine, la disponibilità a pagare cresce al crescere del titolo di studio: édel 27% per coloro che non sono andati oltre la scuola dell'obbligo, sale al 48% per i diplomati, siattesta a quasi il 56% per i laureati.

E’ stato possibile, infine, attribuire ciascun individuo ad una delle seguenti quattro categorie:

OTTIMISTI: hanno frequentato un corso nel passato e sono disposti a contribuire al costoper seguirne degli altri: sono in tutto 109, pari al 12,5% del totale;

VOLENTEROSI: non hanno frequentato nessun corso sulla agricoltura biologica, ma sonodisposti a contribuire al costo per seguirne: sono in tutto 665, pari al 76,1% del totale;

DELUSI: hanno frequentato un corso di formazione professionale sulla agricoltura biologicanel passato e non sono disposti a contribuire al costo per seguirne degli altri: sono solo 14individui, pari all'1,6% del totale. E' altrettanto vero che tale incidenza sale se la pesiamosolamente sul sottogruppo di chi ha frequentato un corso: 14 su 123 significa un'incidenzapercentuale dell'11,4% che, seppure ridotta, serve ad accendere un piccolo segnale d'allarme.Questa piccola minoranza di ex allievi esprime una insoddisfazione, sui contenuti e/o sullaforma, che impone comunque un momento di riflessione.

REFRATTARI: non hanno frequentato nessun corso sulla agricoltura biologica, madichiarano di non essere disposti a contribuire al costo per seguirne. Sono solo il 9,8%.

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Localizzato principalmente nelle Regioni del Sud, dove costituiscono addirittura il 23,6%degli imprenditori e meno nelle Isole.

D'altro canto, proprio nel Sud e nelle Isole troviamo un grandissimo numero, sia in valore assolutoche come rilevanza percentuale, di imprenditori che non hanno mai seguito attività di FPA e chedichiarano di essere disposti a pagare una qualche quota d'iscrizione: almeno nelle intenzioni, ciòdimostra che gli intervistati si rendono conto dei propri limiti conoscitivi e del valoredell'educazione permanente. Tale categoria ammonta al 70,8% degli intervistati del Sud ed al 92,1%degli intervistati nelle due Isole, con leggera prevalenza della Sicilia sulla Sardegna. Le regionimeridionali, nel loro complesso, esprimono quindi un bisogno insoddisfatto di formazioneprofessionale ed esprimono una volontà netta di apprendimento.

Per una ulteriore individuazione di alcune tipologie di profili professionali, si é optato per un usocombinato di più tecniche d'analisi statistica, che consentissero di razionalizzare il vasto complessodi osservazioni, fin qui lette separatamente, oppure incrociando due o al massimo tre variabili. A talfine, si é individuato il metodo dell'analisi fattoriale, abbondantemente impiegato nell'analisisociologica e socio-economica, che ha il grosso vantaggio di permettere di costruire delle tipologiesulla base di variabili quantitative e qualitative.

Le variabili primarie e secondarie prescelte sono state 13, raggruppabili nelle seguenti categorie:

Variabili tecnico-economiche: SAUB: Superficie coltivata secondo il metodo biologico, in ettari(domanda 11), come proxi delle dimensioni della impresa; BIO%: Incidenza percentuale dellasuperficie biologica su quella totale, come indicatore della rilevanza che la scelta biologica haavuto, ho stava avendo, per l'imprenditore; FAM: Numero degli attivi familiari (domanda 19), presotal quale, come ulteriore parametro indicativo delle dimensioni aziendali; OPER: Numero operai atempo determinato (domanda 22), preso tal quale;

Variabili sociologiche ed educative: ETA: Età dell'imprenditore, in anni; SODD: Grado disoddisfazione espresso dall'intervistato, quantificato secondo una scala, come già esplicitato nelquestionario (domanda 41); GIUD: Giudizio attribuito alla propria situazione economica, conquantificazione ottenuta attribuendo punteggio crescente all'aumento della opinione chel'imprenditore ha espresso (domanda 42); EDUC: Titolo di studio (domanda 55), quantificatosecondo una scala numerica crescente, all'aumento degli anni di scolarità; ESP: Esperienza acquisitanella gestione biologica, in numero di anni (domanda 43); LETT: Esposizione alla informazionescritta in agricoltura, quantificata con 1 se l'imprenditore ha dichiarato di leggere qualche rivistaagricola, con 0 se ciò non si verifica (domanda 61); TRASF: Presenza di valorizzazioni alimentarirealizzate azienda, quantificate sommando le citazioni della domanda 33, onde pesare almeno laqualità delle scelte; SANA: Numero di volte che l'intervistato é stato al SANA, di Bologna e diNapoli, con una scala crescente -2, quando non si conosceva nemmeno l'esistenza della fiera, a +6,se era andato ad entrambe (Domanda 65); PUBB: Numero di metodi pubblicitari impiegati per farconoscere le proprie produzioni, ottenuto sommando le citazioni di cui alla domanda 50.

Altre variabili descrittive sono state individuate nelle seguenti: Dom 3 = localizzazione: Nord,Centro Sud e Isole; Dom 7 = OTE : orientamento tecnico economico; Dom 40 = impegnodell'imprenditore nella gestione aziendale, se Full time o part time; Dom 58 = se ha seguito o nocorsi sulla agricoltura biologica; Dom 73 = disponibilità a sostenere parte del costo di un corso diformazione

L'analisi fattoriale, ha evidenziato che i primi due componenti estratti, l'incidenza della superficiebiologica sul totale e la SAU condotta biologicamente, spiegano il circa il 35% di varianza. Inparticolare il primo fattore spiega il 23,47 di varianza, mentre il secondo l'11,48. Anche se il datopuò apparire non eccellente, il fatto che le due variabili che più di altre spiegano il comportamentodell'imprenditore siano proprio due le due più intimamente legate alla scelta biologica, sta a

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significare la rilevanza di tale scelta. L'analisi fattoriale ha indicato come correlatisignificativamente (>0,4) con il 1° fattore le seguenti variabili:

· Grado di soddisfazione del lavoro (0,767);

· Giudizio (soddisfazione) sulla situazione economica della propria azienda (0,709);

· Livelli di istruzione (0,651);

· Grado di informazione a mezzo stampa (0,476);

· Grado di frequentazione del Sana (0,469).

In base alle suddette variabili, il 1° fattore è stato denominato "SODDISFAZIONE-CULTURA".

Con il 2° fattore risultano correlati significativamente (>0,4) le seguenti variabili:

· Gestione biologica in ha (0,565);

· Componenti familiari attivi in azienda (0,653);

· Valorizzazioni aziendali (0,571);

· Età del conduttore (-0,442);

· Grado di informazione a mezzo stampa (0,437);

· Grado di frequentazione del Sana (0,543).

Questo secondo fattore è stato pertanto denominato "STRUTTURA-INFO".

Verificando a questo punto la distribuzione territoriale dei soggetti studiati, rispetto ad esempio allavariabile costruita "STRUTTURA-INFO", si nota che é nelle isole che troviamo la maggioreincidenza percentuale di persone anziane, con basso livello d'istruzione, con scarsa informazione(50,4% degli operatori), mentre nel Centro e nel Sud abbiamo che buona parte d egli operatori delbiologico si situano nei livelli alti di questa variabile: sono cioé più giovani, più istruiti, più aperti,valorizzano le produzioni e così di seguito.

Le osservazioni sulla differenza tra imprenditori a tempo pieno e quelli a tempo parziale, giàprodotte in precedenza, si confermano anche alla luce dell'elaborazioni complesse: il 50% degliintervistati a tempo parziale si situa nel terzile alto della variabile "SODDISFAZIONECULTURA", mentre ciò si verifica solamente per il 29% degli imprenditori a tempo parziale. Dettoaltrimenti, gli agricoltori a tempo parziale sono in genere quelli più istruiti, più soddisfatti, piùaperti.

La variabile "SODDISFAZIONE CULTURA" é poi molto relazionata con l'avere frequentato uncorso di formazione sulla agricoltura biologica: anche se ciò si é verificato solo per il 10% dei casivalidi, ben il 64% di questi si posiziona nel terzile alto, mentre tra coloro che non hannofrequentato corso sulla agricoltura biologica, solo il 30% circa si colloca nel miglior terzile di talevariabile.

Com'era lecito aspettarsi, l'aver frequentato un corso sull'agricoltura biologica é poi strettamentelegato alla variabile "STRUTTURA-INFO".: il 61% di chi ha seguito un corso é nel terzile alto,mentre esattamente l'opposto si verifica per chi non ha mai seguito delle attività formativestrutturate sulla agricoltura biologica.

L'alto posizionamento nella variabile "SODDISFAZIONE CULTURA" influenza chiaramentequello che gli intervistati ritengono essere il ruolo attuale dell'imprenditore biologico: il 65% di

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quanti ritengono che deve essere un imprenditore globale sono infatti nel livello alto di questavariabile., mentre ben il 61% di chi ritiene che l'imprenditore biologico sopravvive solo sesovvenzionato appartiene al terzile basso della variabile "SODDISFAZIONE/ /CULTURA".

Analogamente, anche la variabile "STRUTTURA-INFO" é intimamente connessa con l'opinioneche l'imprenditore ha di se stesso e del proprio ruolo: in poche parole, più si scende nellagraduatoria ipotetica realizzata costruendo questa nuova variabile di sintesi, più abbiamo chel'imprenditore, per motivi oggettivi o soggettivi, si situa su posizioni di attesa di aiuti da parte deglienti pubblici. Anche la distribuzione delle risposte circa la tutela ambientale non deve stupire: sonoanni che gli agricoltori si sentono ripetere di essere "i guardiani del territorio" e che per questafunzione dovrebbero essere premiati dalla Società, ma é evidente che su queste affermazioni siritrovano principalmente (41%) imprenditori con strutture e livello informativo medio-basse.

Più interessante, il rapporto tra la variabile "SODDISFAZIONE/CULTURA". e la disponibilità apagare, come del resto già anticipato in precedenza e qui confermato: il 47% delle persone dispostea pagare qualcosa per frequentare un corso sull'agricoltura biologica ha un alto valore di"SODDISFAZIONE/CULTURA" mentre non é disposto a pagare é prevalentemente (45%) nelterzile basso di tale variabile. Infine, v'é una minore, ma chiara connessione tra la disponibilità apagare e la variabile "STRUTTURA-INFO", segno che gli imprenditori più strutturati e piùimpegnati sono anche quelli più orientati ad investire nella propria crescita culturale, cuiattribuiscono un evidente valore per lo sviluppo dell'impresa.

Per concludere, abbiamo un'ulteriore conferma di quanto già tante altre volte affermato in studianaloghi, non sulla agricoltura biologica ma sul problema della formazione degli adulti,specialmente in agricoltura. L'educazione (in senso lato), composta di istruzione formale, di studisuccessivi, di esposizione ai media ed agli eventi informativi in genere, é correlata con struttureproduttive medio-grandi e con atteggiamenti positivi verso la propria posizione, anche se nonsempre questo significa un impegno full time in prima persona. Più l'individuo é istruito, più davalore alla educazione permanente ed é disposto a spendere (tempo e denaro) per un suo ulterioreperfezionamento. L'opposto si verifica invece per quanti, con aziende piccole, scarso investimento,poca propensione al mercato, magari alto impegno in azienda, sono caratterizzati da bassi livellieducativi e formativi in senso lato.

L'uso combinato dell'una e dell'altra variabile ha permesso conseguentemente di individuare quattrotipologie imprenditoriali, così da noi definite:

Gli imprenditori BIOLOGICI DI PUNTA, con alti valori di entrambe le macrovariabili

Gli imprenditori FELICI MALGRADO (le strutture non proprio ottimali) con alto valore dellavariabile SODDCULTURA e basso dell'altra STRUTTINFO

Gli imprenditori STRUTTURATI INSODDISFATTI, con basso valore della variabileSODDCULTURA ed alto valore dell'altra STRUTTINFO

Gli imprenditori ARRETRATI, con basso valore della variabile SODDCULTURA e pure bassovalore dell'altra STRUTTINFO

Le quattro categorie presentano la seguente numerosità e quindi rilevanza relativa:

BIOLOGICI DI PUNTA: 186, pari al 26,7%FELICI MALGRADO: 161, pari al 23,1%STRUTTURATI INSODDISFATTI: 163, pari al 23,1%ARRETRATI: 186, pari al 26,7%

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Si ha quindi una distribuzione oltremodo regolare, del tutto casuale: studi condotti su altri fenomenihanno infatti condotto a determinare classi di attribuzione degli individui anche completamenteirregolari.

BIOLOGICI DI PUNTA: Sono imprenditori mediamente di 42 anni, con oltre 23 ettari a biologico,pari alla quasi totalità dell'azienda (92%); l'assorbimento di lavoro é medio-alto, con oltre 1,5familiari a tempo pieno in azienda e 0,17 operai a tempo indeterminato. Hanno studiato, leggonoabbastanza, ma vanno pochissimo al SANA (ma comunque più delle altre tipologie). Sonoabbastanza contenti della propria situazione socio-economica e quindi si reputano in condizionemigliore delle altre categorie.

I biologici di punta si trovano un po' in tutte le regioni, con un certo addensamento (>10%) inPuglia, Sicilia, Sardegna, seguiti da Marche e Piemonte. A livello di grande aggregato geografico, ladistribuzione é sostanzialmente omogenea. Considerato peraltro il peso diverso delle quattro areenella formazione del campione, vale comunque l'osservazione che i BIOLOGICI DI PUNTA sonorelativamente più presenti nelle regioni del Centro - Nord che nel Sud o nelle Isole.

Il 24% degli individui ascritti a questa classe ha seguito dei corsi di formazione professionale ed édisposto a pagare per seguirne altri, ma ancora più interessante, il 66% non ha frequentato corsi, masarebbe disposto a pagare per frequentarne. Solo l'1,6% ha frequentato dei corsi, ma evidentementene ha avuto un'impressione negativa e non é disposto a pagare per seguirne degli altri. Infine,abbiamo un gruppetto dell'8% che dichiara di non aver seguito corsi e di non essere disposto apagare per seguirne.

FELICI MALGRADO: In questa categoria si ritrovano degli imprenditori relativamente colti eabbastanza soddisfatti, in genere molto più anziani (53 anni di media) dei precedenti, con aziendeassai più piccole (10,8 ha di media), e minore incidenza del biologico sul totale. Le piccoledimensioni delle aziende si coniugano all'assenza di valorizzazioni alimentari e ciò comporta chenemmeno un full time familiare vi trovi occupazione. Essi si ritrovano in Sardegna (29%) ed inPuglia (24%), seguite da Sicilia (11,7%). La distribuzione per grandi aree geografiche rispecchiameglio che il caso precedente il peso relativo delle componenti del campione, in quanto vediamouna concentrazione verso il Sud (32%) e le Isole (39%). Come nel caso precedente, gli individui diquesto gruppo apprezzano il valore della educazione e dell' informazione: per l'82% dei casi nonhanno seguito corsi, ma sarebbero disposti a pagare per frequentarne. Solo il 12% é su posizioni dirigetto precostituito (i REFRATTARI): non hanno esperienze di formazione professionale agricola,ma dichiarano di non essere disposti a contribuire al costo di tali attività.

STRUTTURATI INSODDISFATTI: In questa classe, si incontrano imprenditori con aziendeanche molto grandi, con mediamente oltre 25 ettari a gestione biologica, arrivati nel biologico soloda due anni, ma con l'azienda già convertita al 93%, con 1,76 familiari full time equivalenti inazienda, ma senza operai. Non realizzano valorizzazioni aziendali, sono (in termini relativi) i menosoddisfatti del proprio lavoro che fanno e pensano che la situazione economica di altri sia migliore.Presentano un basso livello educativo formale e si espongono poco ad altre fonti informative.Questo gruppo presenta una fortissima concentrazione in Sicilia, regione nella quale si conta ben il54% degli individui di questo gruppo, con Calabria, Sardegna ed Emilia Romagna molto distanti,avendo peso percentuale inferiore al 9%. Per macro aree geografiche, si conferma. la predominanzadelle Isole e quindi del Sud (18%), mentre il Centro é quasi assente. Sono molto pochi gliimprenditori con esperienza di FPA alle spalle, ma ben l'81% di questa categoria appartiene allacategoria dei VOLONTEROSI: pur non avendo mai frequentato corsi di formazione professionalesono cioè disposti a pagare una qualche tassa d'iscrizione, segno che avvertono il valore ancheeconomico dell'aggiornamento.

ARRETRATI: Tutte le variabili che sono state utilizzate presentano, per questo gruppo, valori ditipo negativo: trattasi quindi generalmente di individui anziani (sopra i 57 anni), con bassaeducazione formale e pochissima esposizione all'informazione, i quali gestiscono aziende di

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modesta dimensione fisica ed economica: sono mediamente nove gli ettari gestiti secondo il metodobiologico, i quali però non garantiscono un'occupazione a tempo pieno a neanche un familiareimpiegato nei lavori di campagna, anche a causa di un'assoluta mancanza di valorizzazioniaziendali. Probabilmente grazie o a causa dell'età e della scarsa esposizione all'informazione,presentano i valori delle variabili "soddisfazione del lavoro" e "giudizio sulla situazioneeconomica", sia pure bassi, ma migliori di quelli espressi dalla tipologia precedente. Essi siritrovano quasi tutti in Sicilia (79,6%), per cui l'aggregazione per macro-area é completamentespostata verso le Isole (86,6%) ed il Sud (10%). Nel Centro e nel Nord questa categoriapraticamente non esiste. L'unico aspetto contraddittorio di questa categoria é che il 91% degliintervistati in essa ricadenti é comunque disposto a contribuire al costo di un corso di FPA.

Un ulteriore passo verso la definizione delle tipologie imprenditoriali e dei profili professionali puòessere realizzato mediante l'uso combinato delle informazioni derivanti dalla elaborazione statisticacomplessa appena vista, delle informazioni semplici contenute nel rapporto di ricerca (risposte allesingole domande) delle informazioni qualitative in nostro possesso ed in quanto tali non riportatenelle tabelle descrittive finora presentate e discusse.

BIOLOGICI DI PUNTA OTTIMISTI E VOLENTEROSI: rappresentano il 24% della imprenditoriaagricola biologica italiana, distribuiti un po' ovunque, ma percentualmente più rilevanti nel Nord enel Centro. Le aziende da loro condotte si presentano con buona struttura e buoni risultati, per cuisoddisfatto del suo lavoro e del suo reddito. Hanno una buona educazione generale e sonosufficientemente informati, ma ne vuole sapere di più. Meno di un quarto ha frequentato un qualchecorso sulla agricoltura biologica. Chiedono informazioni tecniche e di mercato, sono disposti apagare, ma vogliono formazione breve e puntuale.

FELICI MALGRADO, MA OTTIMISTI E VOLENTEROSI: rappresentano quasi il 20% dellaimprenditoria biologica attuale e sono concentrati nelle Isole ed in Puglia. Non presentano grandiaziende, né eccelsi risultati, ma sono abbastanza contenti della propria situazione. Vanno aiutati permigliorare le tecniche produttive ed acquisire maggior valore aggiunto. Stanti le dimensioniaziendali, più trasformazioni aziendali, diversificazione e migliore commercializzazione appaionostrade obbligate.

STRUTTURATI INSODDISFATTI, MA VOLENTEROSI: rappresentano il 19% dellaimprenditoria biologica italiana, concentrata in Sicilia, ma con casi sparsi anche in altre Regioni.Trattasi di imprenditori con aziende grandi, attirati forse nel biologico dalla speranza di faciliguadagni, con pochi anni di esperienza, che si scontrano con problemi tecnici e di mercato forsesottovalutati. Non hanno del resto seguito corsi sulla agricoltura biologica ed hanno scarso accessoad altre informazioni. Da qui nasce l'insoddisfazione, controbilanciata però dal desiderio di sapernedi più, per cui sono anche disposti a pagare per seguire,a d esempio, un corso

ARRETRATO VOLENTEROSO: rappresenta il 19% della agricoltura biologica italiana. E'approdato al biologico perché probabilmente convinto dal tecnico di zona del suo sindacato, oppureda qualche amico o parente. Si tratta di agricoltori anziani, con piccole aziende, condotte con metoditradizionali, prevalentemente nel Sud e nelle Isole (Sicilia), con bassa scolarizzazione e pochissimaesposizione all'informazione. Sono però disposti ad imparare, purché il messaggio sia proposto inmaniera semplice, comprensibile e secondo modelli d'apprendimento adeguati alle loro esigenze.

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Occupazione e formazione nel settore della trasformazione

Una stima dell’occupazione nel settore agroindustriale

Analogamente a quanto fatto nel capitolo precedente anche per il settore della trasformazione si ètentata una stima dell’impatto occupazionale del biologico. La metodologia si è basata su quattropassaggi resi dalle tabelle 4, 5, 6, 7, qui di seguito riportate.

La tabella 4 riporta i dati già esposti nella tabella 9 della prima Parte dello studio. Sulla basedell’indagine AGER-INIPA sono state classificate le aziende di trasformazione che operano nelcomparto biologico in funzione della dimensione e dell’incidenza dei prodotti bio sul totale delleattività produttive.

Il passo successivo, basato ancora su informazioni campionarie, è stato il calcolo della forza lavoroimpiegata in tali aziende. Il risultato è di 2.350 unità, che risulterebbero impiegate nelle aziendecampionate dall’indagine AGER-INIPA Anche in questo caso il totale di queste unità è statosuddiviso in funzione delle tipologie aziendali prima individuate.

Tabella 4. Numero di imprese per tipologia (campione AGER-INIPA)GRADO DI SPECIALIZZAZIONE

Classi per addetti Basso Medio Alto Assoluto TOTALEA (0-9) 7 9 13 37 66B (10-29) 5 2 11 5 23C (30-99) 0 1 8 1 10D (oltre 100) 2 0 3 0 5TOTALE 14 12 35 43 104

Tabella 5. Numero di occupati calcolato sulla media della classe - (campione AGER-INIPA)GRADO DI SPECIALIZZAZIONE

Classi per addetti Basso Medio Alto Assoluto TOTALEA (0-9) 35 45 65 185 330B (10-29) 75 30 165 75 345C (30-99) - 50 400 50 500D (oltre 100) 200 - 300 - 1.175TOTALE 310 125 930 310 2.350

La successiva tabella 6 riporta i risultati della classificazione delle aziende all’universo. In altreparole gli oltre 4.000 operatori – trasformatori che risultano certificati nel 2001 dagli Organismi diControllo sono stati distribuiti, secondo il medesimo schema risultante dall’indagine, nelle diversetipologie aziendali.

Tabella 6. Numero di imprese per tipologia (riporto all'universo)GRADO DI SPECIALIZZAZIONE

Classi per addetti Basso Medio Alto Assoluto TOTALEA (0-9) 289 372 537 1.527 2.724B (10-29) 206 83 454 206 949C (30-99) - 41 330 41 413D (oltre 100) 83 - 124 - 206TOTALE 578 495 1.445 1.775 4.293

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Infine la tabella 7 combinando tra loro i dati sinora analizzati stima le unità lavorative impiegatepresso gli oltre 4.000 operatori – trasformatori italiani. E’ da rilevare che il dato assoluto chederiverebbe dall’incrocio tra la tabella 5 e la Tabella 6 è stato corretto in base al grado dispecializzazione nel biologico. In altre parole se un’azienda ha 10 addetti, ma presenta un grado dispecializzazione medio (ossia con una incidenza del fatturato bio sul totale del 50%) verrannocalcolati - sulla base del rapporto tra occupazione e fatturato - soltanto 5 addetti come bio.

Tabella 7. Numero di occupati calcolato sull’universo (corretto con la specializzazione BIO)GRADO DI SPECIALIZZAZIONE

Classi per addetti Basso Medio Alto Assoluto TOTALEA (0-9) 361 929 2.012 7.637 10.939B (10-29) 774 619 5.108 3.096 9.597C (30-99) - 1.032 12.384 2.064 15.480D (oltre 100) 2.064 - 9.288 - 11.352TOTALE 3.199 2.580 28.792 12.796 47.367

Anche in questo caso come nel capitolo precedente i risultati sono notevoli: più di 47.000 unitàrisulterebbero infatti occupate nella trasformazione dei prodotti biologici. La dimensione mediadelle aziende (11 addetti in media) rende l’idea di una attività di tipo artigianale, ma strutturata suun gran numero di imprese.

Fabbisogni di formazione

Anche in questo caso, come nel capitolo precedente sembra utile riproporre alcuni risultati dellaricerca AGER-INIPA, sui fabbisogni informative nel segmento della trasformazione, che risultanocomunque a tutt’oggi i più aggiornati.

Per poter meglio comprendere i differenti atteggiamenti imprenditoriali e le specifichecaratteristiche strutturali delle imprese oggetto d’indagine e per una maggiore esemplificazionedelle successive analisi, sono state individuate delle tipologie d’imprese, considerando comevariabili significative la classe di fatturato ed il grado di specializzazione.

Le tipologie risultanti sono quattro:

- grandi e specializzate,

- grandi e poco specializzate,

- piccole e specializzate,

- piccole e poco specializzate.

Il gruppo delle imprese di piccola dimensione con una forte specializzazione appare il più diffusoincludendo 64 imprese (pari al 59%) localizzate in maniera sufficientemente omogenea in tutte leregioni italiane. Seguono le 24 imprese piccole ma poco specializzate, (pari al 22%), senza grandidifferenze di localizzazione, 18 (pari al 17%) appartenenti alla classe di imprese di grandidimensioni e poco specializzate, presenti soprattutto nelle regioni della zona Nord Est che nepossiede la metà ed infine solo tre che rientrano nella tipologia di grandi imprese specializzate e cherisultano completamente assenti sia nel Sud che nelle Isole (tabella 8).

Tabella 8. Localizzazione delle tipologie aziendali per grandezza e specializzazione TIPOLOGIAREGIONI grande e poco spec. grande e specializzata piccola e poco spec. piccola e specializzata

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Nord Ovest 4 1 3 15Nord Est 9 1 7 15Centro 3 1 4 16Sud 1 0 8 15Isole 1 0 2 3% sul totale 17 3 22 59

Punto di partenza per un’attenta analisi delle esigenze di formazione espresse dalle imprese indagateè la focalizzazione delle fonti di informazione utilizzate nel passato e nel presente. (tabella 9).

Tabella 9. Fonti informative delle imprese nel passato e nel presenteInformazioni nel passato % sul tot. Aziende nel presente % sul tot. Aziende

Associazioni di categoria 45 41,2 37 33,9Associazioni di produttori 29 26,6 28 25,6

Consulenti privati 23 21,1 19 17,4Università e Istituti di ricerca 9 8,2 6 5,5

Altre imprese 22 20,1 17 15,5Agricoltori 19 17,4 15 13,7

Associazioni consumatori 8 7,3 2 1,8Riviste specializzate 32 29,3 24 22

Studi di mercato 13 11,9 11 10

Dal numero elevato di combinazioni tra le varie fonti a cui le imprese hanno fatto riferimento sonostate calcolate le frequenze di ognuna di esse nelle imprese. In ordine decrescente, le associazioni dicategoria, le riviste specializzate e le associazioni di produttori hanno rappresentato le fonti a cui gliimprenditori hanno fatto ricorso nel passato, mentre le associazioni dei consumatori, le università egli istituti di ricerca, sembrano non essere stati adeguatamente utili per le informazioni necessarieall’ingresso delle aziende nella produzione del biologico. Appare evidente un calo generale delricorso alle fonti informative esterne, mente al primo posto si ritrovano le associazioni di categoria,la cui importanza si evidenzia in tutte le tipologie aziendali, seguite dalle associazioni di produttorie dalle riviste specializzate. In genere, le informazioni possedute dalle imprese sono ritenutequantitativamente sufficienti in relazione alle attività svolte nell’ambito della produzione di prodottibiologici, anche se le aziende di piccole dimensioni e specializzate, contrariamente all’andamentogenerale delle altre, avvertono maggiormente l’insufficienza delle informazioni possedute in questoambito di attività.

Anche se risulta la presenza nella maggior parte delle imprese, 60% circa, di personalespecializzato, soprattutto nelle funzioni di dirigenti e operai, non è ritenuto comunque facile reperiretale risorsa sul mercato (tabella 10).

Tabella 10 Facilità di reperimento di personale qualificato per le tipologie aziendali Reperimento personale qualificato

Tipologie aziendali non agevole agevolegrande e poco spec. 14 3grande e specializzata 2piccola e poco spec. 15 7piccola e specializzata 38 12Totale 69 22% 75,8 24,2

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Delle 91 imprese rispondenti a tale quesito, 60 ritengono non agevole il reperimento di personalequalificato; non per capacità imprenditoriali o potenzialità economiche delle imprese stesse, inquanto il problema accomuna tutte le tipologie in esame, ma per la scarsa offerta di personalequalificato per le produzioni biologiche.

Le consulenze esterne sono frequenti nelle attività imprenditoriali (tabella 11) soprattutto per lefunzioni aziendali in ambito tecnico scientifico (29 imprese) e quella legali e fiscali.

Nell’analisi, sono state calcolate le frequenze delle scelte aziendali rispetto alle consulenze esterne,ma in realtà molte imprese utilizzano, contemporaneamente, tali servizi per più aree aziendali. Intermini assoluti, comunque, considerando le scelte uniche, la funzione tecnico scientifica risultaquella che più necessita di apporti professionali esterni all’impresa stessa.

Tabella.11 Servizi di consulenza esterna nelle diverse funzioni Consulenze esterne

Funzioni aziendali NO SI % sul totale aziende Unicafunzione % sul totale

Commerc. e mark. 17 15,6 6 5,5Amminis. e Finanza 13 11,9 0 0,0Produzione 16 14,7 3 2,8Relazioni col personale 5 4,6 0 0,0Consul. Legale e fiscale 28 25,7 6 5,5Consulenza tec.- scient. 29 26,6 10 9,2

Le relazioni col personale ed in genere le funzioni di tipo organizzativo, sono risolte all’internodell’impresa spesso, dalla figura dell’imprenditore per la caratterizzazione strutturale delle impresein oggetto, la cui piccola dimensione, presuppone la mancanza di un organico numeroso e diproblemi particolarmente critici, ma soprattutto per la presenza d’una forte componente personaledell’imprenditorialità che, in genere, accentra tali decisioni nella propria figura. Le imprese cheutilizzano maggiormente le consulenze esterne per le diverse funzioni aziendali, sono di grandidimensioni e con un totale di 14 aziende, tra specializzate o meno, in termini percentualirappresentano circa il 66%. Per quanto riguarda le piccole imprese, la situazione in percentualecambia, anche se non di molto; forse per i costi che tali consulenze implicano.

Passando alle considerazioni inerenti la formazione delle imprese oggetto della indagine (tabella12), le stesse si dividono tra quelle con personale che ha partecipato ad attività formative, 55 pari al50%, e quelle invece dove nessuno ha seguito formazione, 46. pari al 42%,

Tabella 12 Partecipazione a corsi di formazione delle aziende per localizzazione geografica

Attività di formazione

Regioni NO SI Mancanti

Nord Ovest 5 17 1Nord Est 16 14 2Centro 13 10 1Sud 9 11 4Isole 3 3 0% Sul totale 42 50 7

E’ possibile individuare diversi comportamenti rispetto alla localizzazione e alla tipologiaaziendale: le regioni che interessano il Nord Ovest si differenziano dalle altre, per una netta

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prevalenza di imprese (17) che partecipano ad attività formative nel biologico, le altre zone seguonol’andamento generale di parità, con il Nord Est e il Centro tendenti alla mancata frequenza e il Sudtendente alla partecipazione. Circa la dimensione aziendale, nelle aziende di grandi dimensioniesiste una maggiore abitudine a questo tipo di iniziative. Per le imprese di minori dimensioniinvece, si ripropone una situazione di parità (40 e 40), tra le imprese che abitualmente utilizzano laformazione come fonte di informazione per la propria attività e quelle che fino ad ora non lo hannofatto. Sembrano mediamente soddisfatte gli imprenditori che hanno frequentato corsi di formazioneo con dipendenti o coadiuvanti che hanno seguito attività di formazione; gli stessi hanno espressogiudizi per lo più positivi dalla sufficienza all’ottimo. Solo 12 rispondenti hanno ritenuto i corsifrequentati di scarso o mediocre valore. Rispetto ai soggetti che organizzano le attività formative,gli enti di formazione privati hanno riscontrato giudizi particolarmente positivi. Le esigenze diformazione appaiono ancora molto sentite dalla maggior parte dei rispondenti; 87 pari al %%avvertono la necessità di maggiore formazione, sia tra le grandi imprese che tra quelle di piccoledimensioni di cui solo 9 dichiarano non necessaria la formazione per la propria attività nel campodel biologico. Non solo rispetto alle tipologie, ma anche alla localizzazione delle imprese, sipropone una certa omogeneità tra le varie regioni. La con percentuali molto simili nel Nord e nelSud dell’Italia.

A tale punto dell’analisi dei dati risultanti dall’indagine presso le aziende di trasformazione ecommercializzazione che operano nel biologico, è stato possibile costruire la seguente matrice, cheha come variabili la frequenza passata di corsi di formazione e le attuali esigenze di formazione

Esigenze di formazioneSI NO

Frequenza dicorsinel

passato

SI GLI OTTIMISTI I DELUSI

NO LA DOMANDANON ESPRESSA

I REFRATTARI

Si individuano così nuove tipologie aziendali riferite alle attitudini imprenditoriali verso le attivitàformative:

Gli ottimisti, che hanno in passato frequentato corsi di formazione, ma ne avvertono ancoral’esigenza;

I delusi, che hanno partecipato ad attività di formazione, ma che non sentono la necessità diulteriore formazione;

La domanda non espressa, formata da imprese che sentono l’esigenza di formazione , ma che nonhanno mai partecipato a questo tipo di attività;

I refrattari che non sembrano considerare la formazione come un metodo importante dimiglioramento della propria attività.

E’ importante mettere in relazione le suddette figure imprenditoriali, con quelle tipologie giàampiamente discusse in precedenza.

Le imprese che rientrano nelle categorie denominate gli ottimisti e la domanda non espressa, sononumericamente superiori alle altre due, con una polarizzazione tra le due tipologie opposte. Laprima è formata da 47 imprese, in percentuale pari al 49%, la seconda da 35 imprese, pari al 36%del totale delle imprese oggetto di indagine.

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E’ possibile analizzare questi dati da due punti di vista: rispetto alle classiche tipologie aziendali(tabella 13); rispetto alle nuove tipologie riferite alle tematiche della formazione (tabella 14).

Nella prima tabella, prendendo in considerazione ogni singola colonna relativa alle tipologiedimensionali, si evince che le imprese grandi e poco specializzate sono formate per il 50% da gliottimisti, per il 22% da i refrattari, per il 16% da i delusi e per l’11% da la domanda non espressa.Nel caso delle imprese grandi e specializzate, vi è una forte polarizzazione tra gli ottimisti e ladomanda inespressa, mentre nelle piccole e più in particolare in quelle poco specializzate, si ottieneil 50% di ottimisti, il 45% di domanda non espressa e il 5% di imprese refrattarie, inesistenti idelusi.

Per quelle specializzate, più rappresentative, il 46% circa è formato dagli ottimisti, il 40% dalladomanda non espressa, mentre sono minime le percentuali de i refrattari (11%) e de i delusi (3%).

Analizzando gli stessi dati, seguendo la tabella successiva si nota come la categoria definita degliottimisti, si concentri per oltre il 55% solo nelle piccole imprese specializzate, per il 21% in quellenon specializzate per il 19% e il 4% in quelle poco specializzate e non. Pur rappresentando solo il6% delle imprese, i delusi appartengono per il 50% a grandi imprese non specializzate e per il 33%a piccole imprese specializzate.

La tipologia de I refrattari è caratterizzata per il 60% dalle piccole imprese specializzate e per il40% dalle grandi poco specializzate.

Infine, la domanda non espressa, è presente per il 66% nelle piccole imprese specializzate, e inpercentuale nettamente minore nelle grandi imprese, forse per il numero inferiore di queste ultime,ma forse anche per la maggiore facilità di accesso alle attività di formazione.

La generale polarizzazione tra le due opposte tipologie, si ritrova considerando la localizzazionedelle imprese. Unica eccezione risultano le regioni del Nord Ovest che presentano un numeronotevolmente superiore di ottimisti dato da 15 imprese rispetto alle 4 imprese di delusi e refrattari ealle 3 della domanda non espressa.

Tabella 13 Tipologie per esigenze di formazione rispetto alle tipologie aziendali (% per righe)

Tipologie aziendali

Tipol.per esig.di formazione grande e poco spec. grande e spec. piccola e poco spec. piccola e spec. Totale

Gli ottimisti 50,0 66,7 50,0 45,6 48,0I delusi 16,7 0,0 5,0 3,5 6,1I refrattari 22,2 0,0 0,0 10,5 10,2La domanda non espressa 11,1 33,3 45,0 40,4 35,7Totale complessivo 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Tabella 14. Tipologie per esigenze di formazione rispetto alle tipologie aziendali. (% per colonne)

Tipologie aziendali

Tipol.per esig.di formazione grande e poco spec. grande e spec. piccola e poco spec. piccola e spec. Totale

Gli ottimisti 19,1 4,3 21,3 55,3 100,0I delusi 50,0 0,0 16,7 33,3 100,0I refrattari 40,0 0,0 0,0 60,0 100,0La domanda non espressa 5,7 2,9 25,7 65,7 100,0Totale complessivo 18,4 3,1 20,4 58,2 100,0

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Sia per gli ottimisti che per gli imprenditori appartenenti alla tipologia della domanda non espressa,le aree di maggiore interesse per i corsi di formazione risultano essere quelle riguardanti laproduzione e le attività commerciali legate ai prodotti biologici (tabella 15), sono rappresentate da29 e 23 imprese tra gli ottimisti, 19 e 15 tra la domanda non espressa.

Tabella 15. Aree di formazione ritenute necessarie dalle tipologie per esigenze di formazione

Tipologie per esigenze di formazioneAree diformazione

Gliottimisti

%ottimisti

I delusi Irefrattari

La domandanon espressa

% La domandanon espressa

Totale % sul totaleaziende

Gestione 14 29,8 5 14,3 48,8 49,8Management 12 25,5 6 17,1 43,5 44,4Areacommerciale 23 48,9 15 42,9 86,9 88,7

Organizzazione 15 31,9 12 34,3 58,9 60,1Produzione 29 61,7 19 54,3 109,7 111,9Area legale 6 12,8 3 8,6 21,8 22,2Approvvigionamento 13 27,7 11 31,4 51,7 52,7

Relazioniesterne 15 31,9 3 8,6 49,9 50,9

Altro 1 2,1 1 2,9 4,1 4,2

Differenze si riscontrano nelle aree di gestione, management e relazioni esterne; sentite come utiliargomenti di formazione. La forma di svolgimento dei corsi di formazione ritenuta più utile da 39imprese (40% circa) è quella relativa all’organizzazione di brevi corsi scaglionati in un anno anchese le imprese che non hanno un idea precisa a riguardo. L’importanza della formazione si avverteanche nella disponibilità a contribuire alle attività ad essa connesse rappresentata da 41 imprese su21 che hanno risposto negativamente, e 37 che non sono ancora decise sulla propria posizione, conuna maggiore propensione al contributo nelle regioni centrali e meridionali. Il tema del contributo,si può confrontare sia con le tipologie riferite alla formazione, che a quelle dimensionalievidenziando una maggiore disponibilità tra gli ottimisti, che però sono i più indecisi, mentre tra leimprese definite domanda non espressa, si denota una maggiore decisione.

Le imprese avvertono delle carenze informative inerenti la loro attività nel biologico (tabella 16),dovute maggiormente alla mancanza di incontri di approfondimento come seminari, convegni a loroindirizzati (47 imprese), la mancanza di riviste tecniche di buon livello (45 imprese) e di manualitecnici specifici per i caso italiano.

Tabella 16. Le carenze informative delle tipologie aziendaliCarenze informative avvertite

Tipologie aziendali Manuali tecnici italiani Buone riviste tecniche Incontri di approfondimento. Altro

grande e poco spec. 3 4 9 1grande e specializzata 2 1 1 1piccola e poco spec. 9 12 8 3piccola e specializzata 27 28 29 9% sul totale aziende 37,6 41,3 43,1 12,8

Solo 14 imprese hanno espresso carenze informative determinate da altri fattori. Il tutto relazionatoalle tipologie aziendali che indicano la dimensione e la specializzazione, denota da parte delle

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grandi imprese poco specializzate una particolare attenzione rivolta agli incontri diapprofondimento, mentre le piccole imprese si distribuiscono quasi equamente tra le tre risposteprincipali, avvertendo maggiormente una mancanza di riviste specializzate. Anche se con dellecarenze espresse, le aspettative riposte nelle attività legate alla produzione biologica delle impreseoggetto di quest’ indagine sono state soddisfatte.

Conseguenza naturale della soddisfazione delle imprese, appare la generale prospettiva per il futurodi incrementare le attività legate al biologico, infatti, 81 imprese, su 91 rispondenti, hanno deciso diseguire una strategia di maggiore conversione al biologico.

La distribuzione

Struttura ed occupazione

In linea generale la Distribuzione Alimentare nel suo complesso è rappresentata da differentitipologie di strutture, caratterizzate dall'incrocio di diverse variabili riconducibili a due assiprincipali, e cioè livello della distribuzione (primaria o all'ingrosso e al consumo) e tipologia dicanale (specializzato e non specializzato). Sulla base dell'incrocio di tali variabili è possibileidentificare tipologie di aziende.

A livello di distribuzione primaria operano:

A 1.Mercati generali e Centri Agroalimentari (non specializzati) per la distribuzione dei prodottifreschi;

A 2.Aziende e consorzi di distribuzione (specializzati e non) per la distribuzione di tutti i prodotti;

a livello di distribuzione al consumo si riscontrano:

B 1. GDO e dettaglio alimentare (specializzati e non) con riferimento a consumi domestici;

B 2. Horeca e ristorazione collettiva (non specializzati) con riferimento a consumi fuori casa.

Gli operatori specializzati nel biologico sono presenti fra le tipologie A2 e B1. Quantificarel’occupazione del settore in questo segmento è alquanto difficile, visto che non sono disponibiliinformazioni sul numero di addetti per ogni tipologia di operatore. Il numero dei punti vendita,relativo ad alcune tipologie, è stato riportato nella Prima Parte dello studio. Di seguito si cercherà diindividuare le tipologie degli operatori e di stimare, ove possibile, l’occupazione.

Distributori all'ingrosso e consorzi di distribuzione specializzati biologici e non specializzatiLa distribuzione attraverso un grossista rappresenta attualmente il canale più diffuso per i prodottibiologici, viste soprattutto le caratteristiche dell’offerta (polverizzazione della produzione) e lastruttura al dettaglio.

Il distributore di prodotti biologici può rappresentare una delle seguenti tipologie :

· Produttore-Trasformatore e distributore di prodotti biologici con marchio proprio e non (es.Alce Nero, Bioitalia, …)

· Distributore puro specializzato in prodotti biologici con marchio proprio e non (es. BauleVolante, Ki Group, Mustiola, Brio, …)

· Distributore o grossista di prodotti convenzionali con linee di prodotti biologici con marchioproprio e non (es. Conerpo, Apofruit, Farine Ganaceto, ….)

Per questa categoria, di cui non si conosce il numero e la tipologia degli operatori, è di fattoimpossibile stimare gli occupati.

La Grande Distribuzione Organizzata (GDO)

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Fra i canali di distribuzione al consumo la GDO rappresenta senz'altro quello di riferimento per losviluppo a breve del mercato dei prodotti biologici. Le principali Catene della GDO presenti inItalia sono circa 20, associate in 10 "Supercentrali", e sviluppano un fatturato stimabile in oltre100.000 miliardi. Il mercato del biologico nella GDO era stimabile, nel 1999, in circa 700-750miliardi di cui poco meno di 50 miliardi (circa il 6-7%) di prodotti ortofrutticoli.

Ormai tutti i punti vendita (PDV) della GDO distribuiscono,o distribuiranno a breve, prodottibiologici; secondo il nostro rilievo il 78% dei PDV sopra i 200 mq. vende o venderà prodottibiologici entro 6 mesi, e quasi tutti i Responsabili di Catena dichiarano la prossima totale diffusionedei prodotti biologici nei PDV. La penetrazione del biologici all'interno della GDO è superiore allamedia al Nord e aumenta con l'aumentare della dimensione del PDV, fino ad arrivare al massimoall'interno degli Ipermercati.

Nel complesso si avrebbero in Italia quasi 1.500 PDV che commercializzano prodotti bio. Anche inquesto caso è di fatto impossibile stimare l’occupazione, anche per il fatto che, come rilevatodall’indagine AGER-INIPA , l’ingresso del bio nella GDO, non ha provocato l’ingresso di figureprofessionali specifiche.

I Punti di vendita SpecializzatiIl canale dei Punti di vendita specializzati fa riferimento ad un universo di negozi alimentari che percaratteristiche e tipologia sono suddivisibili in due distinte categorie :

· negozi alimentari di piccole dimensioni e non associati;

· negozi alimentari e piccoli supermercati associati, in consorzio o collegati.

Nell'universo dei punti di vendita specializzati (circa 1.000 nel 2000) la tipologia oggi prevalente èla prima: la maggioranza è a gestione autonoma con superficie inferiore ai 100 metri quadrati. Il65% dei negozi specializzati è concentrato al Nord.

Fra i PDV appartenenti ad organizzazioni o collegati fra di loro (circa il 20% del totale) da segnalarecome modalità organizzativa quella delle catene in franchising, che coinvolge 70-80 (circa l'8% deltotale) negozi affiliati a catene nazionali (NaturaSì, Bottega e Natura) e regionali (Bottega Verde, ElTamiso, Mustido, Dalla Terra al Cielo).

Il numero di referenze è generalmente elevato molto spesso superiore a 100 (68% dei PDV) e puòraggiungere in alcuni casi 3-4.000 referenze (molto di più che nella GDO dove non si va oltre le 3-400). La quasi totalità dei PDV biologici ha in assortimento prodotti freschi, in particolare latte ederivati (84% dei PDV) e ortofrutta (68% dei PDV).

In questo caso è possibile azzardare qualche ipotesi sull’occupazione. Infatti per ogni punto venditaspecializzato deve esserci almeno una unità lavorativa dedicata al biologico. Naturalmente è moltopiù probabile che vi siano un minimo di due lavoratori, cifra che può aumentare notevolmente indiversi casi. In definitiva può sembrare precauzionale una stima di tre unità in media per PDV, cheporterebbe ad un numero minimo di 3.200 unità lavorative.

Il giudizio sulla formazione e i fabbisogni espressi

Anche in questo paragrafo ci si rifà ai risultati dell’indagine AGER_INIPA.

Il livello di soddisfazione degli operatori intervistati riguardante le esperienze formative svolte inpassato varia in funzione del canale distributivo (Tabella 17), ed è maggiore per gli specializzati ovesi registra un 39% di utenti che si dichiarano soddisfatti, contro appena il 13% di operatori che sidichiarano per nulla soddisfatti, rispetto alle figure che operano all’ingrosso (21%), o nella GDO(18%). Tuttavia il significato di questo dato è ancora maggiore se si considera che gli specializzatisono i soggetti che hanno svolto maggiormente, e in maniera più sistematica, attività vere e propriedi formazione sul biologico e che attualmente hanno sviluppato le competenze maggiori di prodotto.

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L’affermazione sopra riportata può essere letta quindi come un’indicazione di atteggiamentopositivo verso la formazione nel biologico se svolta nei giusti tempi e modi.

Per il futuro i dati rilevati denotano che esiste un rilevante fabbisogno formativo, espressosoprattutto per i soggetti che meno hanno frequentato attività formative ed il cui giudizio disoddisfazione è stato meno positivo. In particolare tale fabbisogno si rileva fra i distributori nonspecializzati, appartengano alla GDO o siano grossisti, mentre gli specializzati sembrano esseresoddisfatti dell’attuale sistema, visto che il fabbisogno dichiarato è molto minore.

Per quanto concerne i soggetti, non si ritiene indispensabile che la formazione debba essereorganizzata da Enti formativi specializzati, anche se, soprattutto per grossisti e GDO, il ruolo di talienti, in potenza, non è da considerare trascurabile. Gli specializzati esprimono invece un bassoorientamento verso gli enti tradizionali, a conferma dell’esistenza di una filiera endogena del sapere,organizzata sul mondo del biologico. In realtà il ruolo assegnato agli enti di formazione nel fornituradi servizi formativi è più significativo di quanto indichino i dati. La percentuale di operatori cheritiene tali strutture come un soggetto valido è infatti nettamente superiore alla incidenza sinoraavuta nel contesto formativo, segno della volontà di superare i momenti di formazioneautoreferenziati, per passare verso strutture più tradizionali.

Per quanto concerne le fasi della distribuzione nelle quali agire le priorità vengono assegnate allecompetenze già indicate . Ad esempio nella GDO la maggior parte delle insegne ritiene che non sianecessario fare corsi di formazione per gli addetti all’interno del punto vendita, almeno fino aquando il prodotto non otterrà una buona risonanza presso il consumatore, mentre l’area ritenutaprioritaria è quella dell’approvvigionamento, della logistica e del controllo di qualità. Fra glispecializzati emergono invece i fabbisogni relativi all’area mercato. Nella ristorazione, comune gliintervistati hanno espresso il bisogno di proporre corsi di formazione “tecnici” per i cuochi, volti adevidenziare quali siano le caratteristiche nutrizionali dei prodotti biologici, come si preparano ecucinano o come si devono proporre e combinare gli ingredienti.

Per quanto riguarda le modalità formative la richiesta è di adottare modalità di formazione brevi e ilpiù possibile on-site. Questo è vero soprattutto per i grossisti e la GDO, mentre minore importanzaviene attribuita a questo fattore dagli specializzati.

Tabella 17. Alcuni giudizi degli operatori sulla formazioneSoddisfazione Fabbisogno Enti formazione Forme brevi

Distributori ingrosso 21% 47% 38% 74%GDO 18^% 52% 29% 84%Specializzati 39% 3% 13% 40%

In conclusione, nella tabella 18 si riporta la sintesi del livello delle competenze attuali ed attese per iprincipali canali distributivi, nonché del relativo fabbisogno formativo potenziale, relativamente allearee di competenza: prodotto, comunicazione – vendita, uso dei prodotti biologici, con l’indicazionedella tipologia di intervento formativo (di base od evoluto) necessario nel breve termine. Leprincipali indicazioni che emergono dalla ricerca effettuata si possono sintetizzare in:

· nel mondo della distribuzione esiste più che un sapere una consapevolezza diffusa riguardo allaspecificità dei prodotti biologici, alle loro particolari caratteristiche qualitative, alla cultura –intesa come fattore positivo ma al tempo stesso limitante – associata al consumo di tali prodotti;

· le attuali competenze sono differenziate in funzione dei canali distributivi, e sono certamentepiù forti per il dettaglio specializzato, per il quale, tuttavia, proprio in funzione di unaprogressiva uscita del biologico dalla nicchia del consumo consapevole, è necessario svilupparealtre aree di competenza, oltre a quella specifica sul prodotto;

· i saperi attuali sono sviluppati secondo sentieri abbastanza diversi: centralizzati nel caso dellaGDO, endogeni e integrati con il mondo della produzione nel caso dei grossisti e dei dettaglianti

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specializzati; in tale contesto, la formazione, ove presente, è stata giudicata in genere utile eproficua;

· ne consegue un vasto fabbisogno di formazione, soprattutto latente, per il quale è stato possibileindividuare specifiche aree di competenze per ognuno dei canali;

· oltre che in senso quantitativo – in tutte le aree di competenza per grossisti non specializzati eGDO, nelle aree di vendita e comunicazione del prodotto per gli specializzati – la formazionenecessita di un innalzamento qualitativo; in altre parole si deve uscire da una fase dispontaneismo ed autoreferenzialità per passare ad un sistema più efficace e condiviso.

Tabella 18 - Sintesi del livello delle competenze attuali, attese e del fabbisogno formativoArea di competenza Canale6 Livello attuale

competenzeLivello attesocompetenze

Tipologia propostaformativa presunta

Prodotto GrossistaGDO

RistorazioneSpecializzato

AltoMedio bassoMedio basso

Alto

AltoAltoAltoAlto

EvolutaDi baseDi baseEvoluta

Comunicazione-Vendita nel PDV(merchandising)

GrossistaGDO

RistorazioneSpecializzato

-Alto

-Medio basso

-Stabile

-Alto

-NessunaNessunaDi base

Uso del prodotto GrossistaGDO

RistorazioneSpecializzato

MedioBassoBassoMedio

StabileMedioAltoAlto

NessunaDi baseEvolutaEvoluta

Assistenza tecnica e certificazione

L’occupazione nel segmento dei servizi tecnici

Come si è visto nella premessa a questa Parte della ricerca, il segmento dei servizi tecnici perl’agricoltura biologica spesso viene identificato come possibile ambito per “nuove professioni” nelsettore agroalimentare. In effetti l’agricoltura biologica è una innovazione di processo e di prodottoche porta con se un fabbisogno di ricerca, sviluppo, assistenza tecnica, divulgazione. In più, inrelazione alla necessità di certificazione del processo con la conseguente possibilità di etichettare iprodotti ottenuti, il sistema dell’agricoltura biologica si regge su un sistema di servizi checomprende, la certificazione ed il controllo. Questo, oltre agli adempimenti di carattere obbligatoriointrodotte dalle norme europee, comprende tutto il sistema di assicurazione della qualità che leaziende possono adottare lungo la filiera. Non è raro, oramai, che imprese di distribuzione ecommercializzazione che vanno dai consorzi dei produttori bio sino alle centrali della GrandeDistribuzione prevedano un servizio di assicurazione della qualità per i consumatori tramite sistemidi tracciabilità.

In definitiva due sono gli ambiti occupazionali dei servizi per l’agricoltura biologica:

· quello tradizionale del sistema dei servizi tecnici (ricerca-formazione-divulgazione) nel qualetuttavia n on si crea nuova occupazione, ma si riqualifica quella esistente;

6 Per le competenze relative a trattamento e logistica non si sono riportate indicazioni particolari in quanto non emergeun fabbisogno formativo tecnico né di base né evoluto; tuttavia per le Funzioni aziendali dedicate a tali attività sisegnala eventualmente la necessità o l’opportunità di intervenire con una formazione di tipo culturale, disensibilizzazione e motivazione delle Risorse Umane coinvolte.

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· quello della assicurazione della qualità basato sul sistema della certificazione e controllo,obbligatorio e volontario che sia.

Naturalmente, come già visto per altri segmenti della filiera dell’agricoltura biologica, il primoambito è di difficile o impossibile identificazione quantitativa. Va fatta tuttavia una notazione dicarattere generale sul ritardo che secondo molti studi sembra caratterizzare tale ambito in Italia. Indefinitiva la ricerca per l’agricoltura biologica è stata sinora marginale ed anche la formazione dilivello universitario solo negli ultimi anni sembra avere dedicato uno spazio specifico al biologico.Di conseguenza i possibili sbocchi occupazionali identificati nel capitolo 1 di questa sezione dellaricerca, specialistici (es. Tecnico della lotta Biologica) o generalisti (es. Divulgatore) risultano nonsolo di difficile identificazione ma anche scarsamente praticati.

Diverso è il discorso per quanto riguarda la certificazione ed il controllo. La tabella 19 riporta unastima realizzata sulla base dei dati forniti da alcuni ODC che sono stati poi estesi all’universotramite il parametro della SAU per ogni tecnico. In base a tale stima i tecnici impiegati per i compitidi campo sarebbero 924. A questi andrebbe poi ad aggiunta una quota di personale amministrativodegli stessi ODC, per cui il numero nel suo complesso risulta sottostimato.

Tabella 19. Occupazione nel segmento della certificazione e del controllo

n° Tecnici Organismi indagati 469SAU certificata 702.840 SAU/UL (Media) 1.340 Estensione all'universo 924

Percorsi formativi e esigenze d’adeguamento

Per fornire un’idea dei fabbisogni formativi espressi da questo segmento della filieradell’agricoltura biologica si farà ancora riferimento all’indagine AGER—INIPA che, tramite unrilievo diretto, ha cercato di fornire un profilo dei tecnici e delle loro esigenze.

La maggior parte dei rispondenti, oltre i 4/5, é di sesso maschile e l’età media é di 35 anni. La classed’età più rappresentata (69,5% dei rispondenti) é quella tra i 31 ed i 40 anni. La giovinezza delcomparto é evidenziata proprio dal fatto che quasi nessun tecnico ispettore ha più di 50 anni. Perl’81% dei casi, l’attività alle dipendenze dell’Ente di Certificazione é comunque a tempo parziale,con un contratto che lega la retribuzione al numero ed al tipo di aziende controllate, per cui ilreddito viene integrato con altre attività: in primo luogo la consulenza tecnica su temi anche diversi(40% dei rispondenti), seguita poi dall’esercizio dell’attività agricola (12%), dall’insegnamento(12%), dalla libera professione in genere (12%), ecc.

Nella maggior parte dei casi, i rispondenti sono dei Laureati (82,2%), di cui quasi tutti in ScienzeAgrarie, cui si affiancano in genere anche dei diplomati dell’Istituto Tecnico Agrario o delle ScuoleProfessionali di Stato per l’Agricoltura. Notevole é comunque anche il curriculum educativo postdiploma o post laurea, visto che il 76,2% ha seguito altri corsi superiori di formazione. Questi 131rispondenti con formazione superiore hanno complessivamente frequentato 273 corsi, giudicatibuoni o ottimi quasi nell’80% dei casi ed anche utili e molto utili per l’attuale lavoro nell’87,5% diessi. L’incidenza percentuale della formazione post – titolo é analoga per entrambi i livelli dieducazione formale: hanno seguito corsi di specializzazione il 77,6% dei laureati ed il 77,8% deidiplomati. Detto altrimenti, la partecipazione ad un qualche corso di formazione supplementare e/ocomplementare al proprio curriculum tradizionale sembra che sia diventato la norma.

Altrettanto rilevanti, abbiamo le altre esperienze di lavoro che questi, complessivamente giovani,tecnici ispettori hanno già avuto, prima di esercitare l’attività ispettiva: il 77% dei rispondenti ha

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svolto vari altri lavori, per un complesso di 239 attività, giudicate utili o molto utili, perl’occupazione attuale, in oltre il 90% dei casi. In questo caso, sono i laureati a dichiarare qualcheesperienza lavorativa in meno: il 78% circa contro l’85% dei diplomati. Il dato potrebbe comunqueessere letto con il fatto che il diplomato medio, finendo I suoi studi verso i 19-20 anni, ha piùpossibilità di lavori, anche minori e/o precari, di un laureato che conclude il suo itinerario formativoverso i 25-26 anni.

Il livello di job satisfaction dei rispondenti é medio-elevato (6,94/10), con oltre il 42% su posizionidecisamente alte. Anche se questo dato può essere stato inficiato dal fatto che molti dei “nonrispondenti” sono forse “gli sfiduciati e gli stanchi”, che non hanno rinviato il questionario, larisposta non può che stimolare gli Enti di Certificazione affinché questa energia giovane e motivata,al momento soddisfatta del lavoro svolto, non vada persa (Kittrell e McCracken 1983). In effetti,sono proprio i possessori di una formazione universitaria ad essere i meno contenti del propriolavoro: oltre il 24% si dichiara insoddisfatto, contro il 7,4% dei diplomati.

Per il proprio aggiornamento i rispondenti fanno riferimento prevalentemente al proprio datore dilavoro, citato dall’82% delle persone, seguito dagli agricoltori biologici (67%), da altri tecnici(64%) e dalle associazioni del biologico (60%). A ulteriore rafforzamento delle prime posizioni, vanotata la frequenza d’uso, che é alta per il 60% di chi si rivolge al proprio Ente e per il 51% di chi sirivolge agli agricoltori come fonte informativa. Su posizione ben lontana appare l’Università, o glienti di ricerca pubblici, che sono sì citata dal 55% e dal 48% dei rispondenti, ma che vengono inrealtà consultata molto di rado, il che determina un posizionamento (lo score finale) medio.

Non stupisce quindi che il proprio Ente e gli agricoltori biologico, o gli altri tecnici e le associazionibiologiche, oltre ad essere citati spesso, sono reputati anche come erogatori di informazioni moltoutili dalla maggioranza dei rispondenti. Anche in questo caso, si conferma il posizionamentoprecedente: gli Enti di Certificazione forniscono informazioni utili, seguiti dagli agricoltori, da altritecnici e dalle associazioni di agricoltori biologiche. Circa l’accesso all’informazione, questo éfacile e frequente per le aree evidentemente più importanti nel lavoro del tecnico ispettore, e cioècertificazione (602 punti) fertilizzanti (548), mezzi di difesa (523 punti) fertilità e nutrizione (539),tecniche di coltivazione (535), controllo della qualità dei prodotti (517), controllo di processo (487),Gli argomenti per i quali l’accesso all’informazione é invece più difficile sono quelli relativi agliaspetti economico-gestionali (punteggi al di sotto dei 300 punti) ed alle tecnologie di trasformazione(287 punti) ed anche gli aspetti relativi agli allevamenti (322punti).

L’importanza di una informazione completa ed aggiornata é ben compresa dai rispondenti, per il79% dei quali l’informazione riveste un ruolo decisivo in agricoltura biologica, tant’é che quasi il60% di essi ritiene che essa concorra significativamente al valore finale della produzione. Lecarenze nella circolazione della informazione sono dovute, secondo la maggioranza relativa deirispondenti, alla mancanza di una buona rivista tecnica (40%), all’assenza di libri specifici perl’agricoltura italiana (30%), alla scarsa numerosità di incontri di approfondimento (28%).

La formazione in agricoltura biologica dei tecnici ed ispettori é realizzata, secondo i rispondenti, inprimo luogo dagli Enti di Certificazione stessi, citati dal 71,5%, seguiti da enti privati di formazione(39%), dalle associazioni di agricoltori biologici (38%), più o meno a pari livello con i Servizipubblici di consulenza (38%) e quindi dai servizi di consulenza gestiti dai sindacati agricoli. Ilgiudizio sulla qualità dei corsi é prevalentemente buono per i corsi gestiti dagli Enti diCertificazione, medio per le altre varie Agenzie, purtroppo basso per le poche iniziative delleUniversità, che hanno una prevalenza di opinioni negative. Le posizioni si modificano per quantoconcerne la formazione degli agricoltori, dove le associazioni stesse degli agricoltori biologicisalgono al primo posto (49%), seguite dagli Enti di Certificazione (45%) e dai Servizi pubblici(41%) e quindi dagli Enti privati (39%) e così di seguito. Come visto in precedenza, i primi duecitati ricevono anche giudizi prevalentemente positivi, mentre valutazioni prevalentemente negativesono formulate relativamente ai corsi realizzati dall’Università.

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E’ avvertita fortemente l’esigenze di formazione, con citazioni sempre intorno o superiori al 90%.L’unico argomento in cui l’esigenza di formazione é minore, ma comunque sempre dell’ordine del60%, é rappresentato dalle normative, dove quindi almeno un 40% si sente abbastanza sicuro di sé. Ipunteggi più elevati si hanno specialmente per quanto riguarda le tecnologie di trasformazione(1.077 punti), il controllo della qualità dei prodotti (score 1.056), seguito da argomenti come laqualità organolettica (1.029 punti) la qualità commerciale (1.021), la protezione delle colture(1.028) le tecniche di allevamento. Anche argomenti non strettamente legati alla certificazione delprodotto biologico, come l’analisi del territorio e le tecniche di comunicazione, ricevono punteggielevati. Ciò sta proprio a significare che siamo davanti a figure professionali complesse, comeabbiamo visto in apertura, in cui l’agronomo ispettore del biologico esercita (o vorrebbe esercitare)anche altre attività, prima fra tutte quella del consulente, dove la capacità di gestire i rapporti umanied il saper capire le potenzialità di un’area sono elementi fondamentali per una carriera di successo.

Per approfondire tali tematiche quasi la metà dei rispondenti propone dei corsi residenziali brevi, almassimo della durata di due o tre giorni, multi-disciplinari, seguiti da chi propone corsi multi-disciplinari di farming system, con un approccio zonale, di durata leggermente maggiore. Per lafutura formazione di nuovi tecnici, é netto il rifiuto dei corsi di lunga durata, mentre prevalgono(50% dei rispondenti) quanti optano per corsi brevi, di poche giornate, distribuiti su uno o più anni,con un 27% circa che invece propone un corso introduttivo di un mese, con poi incontri distribuitidurante almeno un anno.

L’indagine effettuata ha permesso di evidenziare, negli Enti di Certificazione, una forza lavorogiovane, decisamente istruita, abbastanza qualificata ed aggiornata, che però avverte la necessità dicontinuare a studiare, a leggere ed aggiornarsi, con strumenti e metodi agili, anche se di tipotradizionale: incontri tecnici di breve durata, interdisciplinari ed attivi, una rivista tecnica di buonlivello.

La crescita numerica delle aziende biologiche (agricole ed alimentari) domanderà un maggioreimpegno ai futuri tecnici e garantirà anche maggior reddito, sia ai consulenti che agli ispettori, maquesto basterà a ridurre il rischio di un elevato turn over? Tale interrogativo ci porta diconseguenza ad ipotizzare due sentieri di sviluppo percorribili, alternativi o complementari:

· selezionare, per il lavoro di ispettore, del personale con minori aspettative, quali diplomati discuola media superiore (Agrotecnici con biennio di specializzazione successiva, Periti agrari),oppure dei laureati in Scienze Agrarie e affini, ma con votazioni medio-basse. Per tutti, unaformazione pre-servizio di durata media, di circa 400 ore, sulle tematiche tecniche dellaagricoltura biologica, cui far seguire poi un continuo aggiornamento periodico, tecnico eburocratico-amministrativo;

· se invece si prosegue una politica del personale di alto livello, anche ai fini dell’accreditamentodegli Enti di Certificazione da parte del Sincert, occorre garantire una adeguata soddisfazioneprofessionale. Ciò può essere realizzato sia mediante strumenti diretti (maggiori retribuzioni),che indiretti (possibilità di progredire nell’organizzazione, uffici più accoglienti, educazionepermanente). L’analisi econometrica ha evidenziato proprio quest’ultimo aspetto: gliinsoddisfatti sono coloro che chiedono più formazione. Andrebbe quindi favorita, medianteappropriata allocazione di risorse, la partecipazione a seminari, workshops, brevi corsi,convegni.

E’ poi opportuno distinguere tra formazione pre lavoro (o d’inserimento) e formazione permanente,da garantire al tecnico quando egli già lavora presso un Ente di Certificazione.

E’ necessario prevedere una formazione pre lavoro, che offra al giovane diplomato o al giovaneappena laureato tutti quei contenuti che la formazione in agricoltura oggi ancora non fornisce:conoscenze specifiche sulla agricoltura, zootecnia e trasformazioni alimentari secondo il metodobiologico, metodologia della consulenza in agricoltura (tecniche di comunicazione), aspetti ed

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adempimenti burocratico amministrativi relativi alla certificazione (modulistica, ecc.). Trattandosidi giovani con recenti esperienze scolastiche, si suggeriscono corsi di un mese, con poi incontridistribuiti lungo almeno un anno.

Nel caso di tecnici per la consulenza, bisognerà sottolineare gli aspetti della metodologia dellaconsulenza, delle tecniche della comunicazione, della metodologia dei piani di sviluppo (zonali edaziendali), della progettazione, monitoraggio e valutazione, del budgeting, dell’analisi finanziaria,etc..

Nel caso di tecnici per la certificazione, andranno sottolineati gli aspetti relativi allaorganizzazione degli Enti, al ruolo dei vari Enti (ASL, NAS, Regioni, ecc..) della qualità deiprodotti, della modulistica, degli adempimenti tecnici ed amministrativi e così di seguito.

Circa la formazione permanente, il modello proposto é quello del corso intensivo di 2-4 giorni,con approccio aziendale o zonale, comunque olistico, sulle tematiche più varie, da quelle tecniche aquelle metodologiche ed economiche.

Una stima dell’occupazione complessiva

Nelle pagine precedenti si è cercato di metter in evidenza i possibili percorsi occupazionali che ladiffusione dell’agricoltura biologica ha determinato in Italia lungo tutta la filiera agroalimentare.Qui di seguito si riassumeranno i risultati di questo percorso.

La Figura 1 riassume le stime ed i calcoli effettuati nelle pagine precedenti.

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Figura 1. Una stima dell'occupazione nel settore agroalimentare biologico in Italia

1.016

3.841

4.857

47.367

102.766

produzione trasformaz. commercializ. controllo

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In totale gli occupati nella filiera agroalimentare del biologico in Italia sarebbero quasi 155.000unità, delle quali oltre il 66% attribuibili ala produzione, più del 3% alla fase della trasformazione eil 3% ai servizi in senso esteso, tra cui il 2,5% a quelli commerciali e un residuo 0,7% a quelli delsegmento certificazione e controllo. Per la componente dei servizi, rispetto ai numeri forniti inprecedenza, è stato compiuto un aggiustamento. Per quelli commerciali è stata stimata una quotaaggiuntiva che tenesse conto della tipologia di operatori definita come “grossisti specializzati”. Ilnumero dei tecnici è stato invece aumentato forfettariamente per tenere conto degli occupati inmansioni amministrative e dirigenziali.

Anche con questi aggiustamenti, tuttavia, si ritiene che la cifra alla quale si è arrivati sia ancora unasottostima dell’occupazione indotta dalla diffusione del metodo biologico nell’agroalimentarenazionale. Andrebbero infatti inserite altre tipologie e figure. Ad esempio esiste una ricerca, perquanto minoritaria, in agricoltura biologica cui corrispondono alcune Unità lavorative. Andrebberopoi inserite le associazioni dei produttori bio e le associazioni “culturali” che derivano dallascissione tra attività di promozione e assistenza ed attività di controllo previste dalla normativa. Sitratta, tuttavia, di quote molto variabili la cui stima è difficile ed aleatoria e che non inficia l’impattoche l’agricoltura biologica ha avuto sul nostro sistema agroalimentare, che dimostra, peraltro,l’esigenza di una maggiore attenzione in termini di politiche dei servizi e di supporto alla’offerta.

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TERZA PARTE. ALCUNI CASI STUDIO

Il caso “Mustiola”

Nell’autunno del 1984, nell’entroterra di Cesenatico, nel podere che porta lo stesso nome è iniziatal’avventura di Mustiola.

Fresco di studi universitari in Agraria e reduce dai primi anni di vita in una grande città, mi ponevoil quesito che fosse possibile lavorare in agricoltura in modo ecocompatibile.

Non riuscivo a capacitarmi che per produrre le derrate alimentari si dovessero usare dei prodotti deiquali avevo studiato le nefaste conseguenze per l’ambiente e per l’uomo sia esso agricoltore checonsumatore.

Il sogno dei miei genitori dopo una vita di lavoro a Milano era stato quello di poter comprare unapiccola azienda agricola e di andarci a vivere; il mio era stato quello di poterla coltivare “a modomio”; la volontà di non usare assolutamente alcun prodotto chimico aveva creato una qualcheperplessità in famiglia, ma solo inizialmente, così appunto arrivarono le prime semine di grano e,nella primavera dopo, quella del granoturco.

Immagino le risate dei vicini vedendomi zappare il grano, certo usare il diserbante era molto piùfacile, ma la sfida era iniziata ….

Alla fine i raccolti furono egualmente soddisfacenti, finita la parte produttiva iniziò poi la fase della trasformazione, che consisteva nel caricare in auto, in sacchi da 50 kg., il grano o granoturco per poifarli macinare a Sogliano, nel nostro appennino, in un vecchio mulino con le macine in pietra,ottenendo così una farina di ottima qualità, che confezionavo poi manualmente in sacchettini da Kg.e che poi vendevo.

Il successo fu pieno; il pane, la polenta e gli altri prodotti da forno ottenuti da quella farina eranoottimi,

La notizia su questa esperienza iniziò a circolare e le richieste di prodotto aumentarono da parte siadi privati consumatori che di forni, alberghi al mare, negozi.

Un commerciante al dettaglio di Cesena mi chiese se ero disposto a coltivargli anche degli ortaggi ecosì decisi nell’annata successiva di attivare anche questo tipo di coltivazione e con gioia vidi cheanche questi prodotti che richiedevano più impegno e con maggiori problematiche agronomiche efitopatologiche, venivano piuttosto bene.

Contemporaneamente oltre alla coltivazione mi occupavo di lavoro professionale come agronomo eper conto di una compagnia assicurativa svolgevo perizie per i danni causati dalla grandine nellecampagne italiane.

Ebbi modo così di poter conoscere un po’ ovunque, dalla Sicilia al Trentino, altri agricoltori che,come me, lavoravano in sintonia con l’ambiente.

Incominciai quindi ad acquistare piccole partite di prodotto: arance, mele, patate, ecc.; quindiall’attività agricola si aggiunse quella commerciale.

Nel frattempo era arrivato in città, come responsabile per l’Unità Sanitaria Locale del SettoreMaterno Infettivo, il dottor Maurizio Iaia, che animato, sia dalla giovane età che da molte buoneintenzioni, avviò l’iter per sperimentare in alcuni asili nido di Cesena la Dieta Mediterranea;avendo poi sentito parlare della mia piccola attività decise di venirmi a conoscere e di affiancare allaDieta Mediterranea l’ortofrutta da agricoltura biologica.

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Mi fu così affidata la fornitura di ortofrutta e partì così nell’autunno del 1986 la sperimentazione in5 asili nido cesenati.

Si trattava di una fornitura molto impegnativa, sia per le consegne frazionate in posti diversi che perl’assiduità delle richieste in oltre 10 mesi l’anno.

Il fatto di aver bisogno di prodotto anche durante l’inverno fu molto utile perché ci permise di crearefin da subito una rete di fornitori nel Sud Italia.

L’esperienza con gli asili fu molto importante perché ci permise di far conoscere e diffondere gliideali nei quali credevamo e crediamo tuttora, infatti la titubanza e la diffidenza era molta, ma moltostimolante era per noi, andare alle riunioni periodiche con gli insegnanti ed i genitori dei bambinifrequentanti i nidi da noi riforniti e spiegare loro il metodo agronomico che proponevamo e che eraquindi possibile lavorare in modo ecocompatibile.

Ci eravamo resi disponibili anche a fare della didattica nelle varie scuole in cui ci invitavano el’interesse dei bambini verso la natura e la sua salvaguardia era un vero stimolo nell’impegnoquotidiano.

Gli asili da rifornire ben presto da 5 divennero oltre 30, si affiancarono poi negozi e non solo inRomagna.

Ormai l’aspetto dilettantistico stava finendo, gli impegni erano enormi e gravosi, la sfidaproseguiva, era un vero e proprio lavoro, Mustiola era definitivamente decollata!

Se prima facevamo di tutto: i lavori agricoli, la raccolta del prodotto, la consegna, la fatturazione, laricerca di ciò che non riuscivamo a produrre, man mano si iniziò ad assumere, nell’87 finalmentepotemmo avere un magazzino vero di 145 mq ed il primo furgone (usatissimo) sostituì le nostreauto per i trasporti.

Da ditta individuale si passò così alla prima S.N.C. Il lavoro aumentava, arrivò anche la primaspedizione all’estero, un bancale di fragole diretto in Germania, fu per noi un vero e proprioavvenimento e, per fortuna, il primo di una lunga lista.

Nel frattempo oltre che a raccogliere la simpatia e l’interesse dei consumatori si stava anchedelineando finalmente la prima legislazione in materia, uscì il regolamento CEE 2092/91.

Dapprima la mancanza di una normativa chiara ci aveva procurato non pochi problemi, da alcuniPretori e Tutori della legge, il termine biologico veniva interpretato come pubblicità ingannevole neiriguardi del consumatore con le relative tensioni e problemi ed a volte il dover ricorrere ancheall’ausilio di avvocati.

Oltre alle lacune legislative un altro problema era costituito dalle organizzazioni ufficiali degliagricoltori che ci tacciava di voler accusare i loro iscritti per avvelenatori …, secondo noi invece gliagricoltori erano vittime molte volte ignare, dei micidiali prodotti che maneggiavano.

Nel frattempo i soci di Mustiola da 2 passarono a 6 e da S.N.C. si passò nel 90 a S.A.S., venneaperto il primo negozio Mustiola in Cesena; così come aumentavano anche le aziende agricolecoinvolte.

La gamma dei prodotti comprendeva ormai anche i latticini, i derivati della soia e tutta una serie dialimenti confezionati: pasta , riso, marmellata, succhi, biscotti, ecc.

Iniziò così il lungo dibattito interno per trasformare il tutto in Cooperativa con l’intento dicoinvolgere maggiormente gli agricoltori e perché no, di poter riuscire a racimolare qualchefinanziamento pubblico (in realtà mai arrivato).

Nell’autunno del 92 si arrivò alla Costituzione della Cooperativa Agrobiologica, Mustiola S.A.S. sifece da parte cedendo in affitto il proprio marchio, le attrezzature e naturalmente la propria clientela.

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Il cammino della Cooperativa fin da subito non fu agevole perché creò fin dall’inizio una spaccaturatra le due componenti: soci agricoltori e soci sovventori (soci Mustiola S.A.S.) con sospettisoprattutto tra i primi nei riguardi dei secondi, polemiche che unite alla difficoltà di prenderedecisioni rapide, hanno decretato alla fine del 94 lo scorporo tra le due attività.

Mustiola S.A.S. dal 01/01/95 riprese in mano la commercializzazione e Cooperativa Agrobiologicaproseguì nell’impegno di produrre, di assistenza tecnica, divulgazione e nella lavorazione delprodotto per conto di Mustiola S.A.S..

Senza volerlo avevamo creato il GRUPPO MUSTIOLA, anche se impropriamente, che avendoelevate specializzazioni era in grado di poter affrontare il mercato in modo molto dinamico edelastico.

Nel frattempo siamo di fronte ad una forte espansione dei consumi e della produzione, si comincia asentire la concorrenza, molti colleghi pionieri come noi sono costretti a chiudere.

Il fatturato sale anche notevolmente e la liquidità scarsa si fa sentire.

La Grande Distribuzione incomincia a farsi avanti ed a interessarsi a noi, incominciano i primicontatti con COOP Italia ed ESSELUNGA, le prime forniture ed anche i grossi investimenti da fare.

Nel 97 disponiamo di una delle poche catene di franchising del settore, siamo tra le uniche 2aziende in grado non solo di fare il mercato estero in modo ed in quantità adeguata, ma anche dirifornire la G.D.O., la sfida, gli stimoli continuano …… continuano anche le trasformazionisocietarie, nel 97 diventiamo S.R.L..

In quel periodo avviene anche l’adesione al Consorzio “Solo Natura” insieme ad altri esportatoriortofrutticoli cesenati; dove rappresentiamo la parte biologica.

Si sono gettate le basi per importanti accordi di forniture e collaborazioni produttive in Egitto eArgentina.

Nel 1999 è stato ottenuto un fatturato di oltre 19 miliardi, circa il 50% in più rispetto all’annoprecedente e con 23 dipendenti, 4 in più rispetto a 12 prima; in un mercato che ha un trend dicrescita del 25% annuo nel mercato italiano. Sono stati lavorati circa 100.000 quintali di ortofrutta,su due turni di lavoro con circa 20 persone fisse ed oltre 180 stagionali complessivamente.

E’ la confortante conferma che lavorando in modo ecompatibile è possibile creare posti di lavoro esviluppo.

La Cooperativa è cresciuta e svolge il suo incarico di “fornitore di materie prime” certificate inmaniera sempre più adeguata ed efficace.

I circa 250 soci sono sparsi in tutta Italia, con una buona concentrazione oltre che in EmiliaRomagna, anche in Sicilia, con produzione di assoluto pregio ed in quantità.

Appartenendo al Gruppo dei Pionieri Storici del settore non è difficile trovare nuove adesioni ed ilnostro Ufficio Tecnico riesce a seguire ed indirizzare gli agricoltori in modo coerente ed efficace.

Le attrezzature sono al completo per rispondere alle esigenze di mercato, ma purtroppo gli spazisono ristretti ed angusti; con l’acquisto di un appezzamento di terreno, sempre in zona, si spera dirisolvere il problema.

Per l’estero i principali mercati sono: Germania, Scandinavia, Gran Bretagna, Danimarca e Benelux.

Sono regolarmente riforniti anche, tre volte la settimana, circa 130 negozi specializzati in: EmiliaRomagna, Umbria, Marche, Roma, Milano e provincia, Lecco, Como e sta iniziando la penetrazionenel triveneto e nel proprio negozio di Cesena e nei franchising di Forlì e Santarcangelo di Romagna.

La fornitura alla scuole di infanzia del comune di Cesena, che è in essere dal 1986, ha procuratonotevole fama anche a Noi, essendo l’iniziativa la prima del genere in Italia, culminata oltre a

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interviste varie (persino il settimanale Epoca ci ha dedicato una foto di copertina ) e in una giornatadi approfondimento nel febbraio del 98 alla Camera dei deputati a Roma.

Evoluzione del fatturato

ANNO FATTURATO in Lit.1986 13.400.0001987 52.500.0001991 1.987.000.0001992 2.643.000.0001994 4.097.000.0001996 6.574.000.0001998 12.300.000.0001999 22.366.000.000

Dettaglio ed evoluzione delle aree di attività:

1994Fatturato globale (in Lit.) 4.097.000.000Ortofrutta 62% di cui: 40% export

60% mercato italianoNon ortofrutta 38% di cui: 1,5% export

1999Fatturato globale (in Lit.) 22.366.000.000Ortofrutta 89% di cui: 21% export

79% mercato italianoNon ortofrutta 11% di cui: 100% Italia

Quote di mercato dei produttori ortofrutticoli bio nella G.D.O. italiana nel 1999

Azienda Sede Milioni di lire Quota in %APOFRUIT Cesena 9.500 20

BRIO Zevio (VR) 18.000 37CONERPO Bologna 2.000 4,5MUSTIOLA Cesena 10.150 22

PIZZI O. Milano 4.500 9Altri 3.500 7,5

Totale 47.650

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Il caso “NaturaSì”

NaturaSì è una società italiana operante nella vendita al dettaglio di prodotti biologici e naturaliattraverso catene di supermercati.

NaturaSì è stata fondata nel 1992 e ha aperto il suo primo punto vendita nel 1993 a Verona, doveattualmente si trova la sede della società.

Sin dalle origini per NaturaSì ha significato operare nella vendita biologica al dettaglio attraversouna insolita forma di commercio: il supermercato, che è un punto vendita molto differente daglialtri.

Nel 1994 lo sviluppo della catena fu affidato ad un programma di franchising, in altre parole unapartnership commerciale con imprenditori indipendenti regolata da un contratto legale.

Nel 1995 ha aperto pure il suo primo supermercato affiliato a Brescia, non lontano da Verona.

Nel 1998 è partita una nuova linea di business con la realizzazione del primo macello biologicoitaliano, come risposta alla crisi del bestiame di due anni prima.

Oggi la catena commerciale è formata da 24 supermercati bio il cui spazio di vendita è compreso trai 200 e gli 800 metri quadrati e da 3 macelli bio, ognuno dei quali è partner nel franchising diNaturaSì.

Nell’anno 2001 sono stati aperti per lo meno più di 10 supermercati e il primo ristorante solo bio.

NaturaSì è ancora localizzata nel Centro-Nord Italia anche se intende espandersi presto in tutto ilPaese.

All’interno della catena commerciale ci sono diversi tipi di società ma ognuna di esse è legata aNaturaSì attraverso un contratto in franchising.

Vediamo ora le principali caratteristiche dei supermercati NaturaSì.

La formula in franchising di NaturaSì consente ai franchisees di trarre vantaggio dal fatto di potersipresentare ai consumatori come NaturaSì sotto tutti i punti di vista.

Questa affermazione sta a significare che Naturasì è in grado di fornire ai propri franchisees unservizio di assistenza al loro negozio conforme alle migliori condizioni del mercato.

Grazie al potere di acquisto del Gruppo, NaturaSì ha stipulato favorevoli contratti di fornitura conselezionati fornitori.

Si tratta di un legame contrattuale per il franchisee per comprare da questi fornitori per lo menol’80% del loro assortimento.

Questi fornitori si aspettano anche buone consegne e buone fatturazioni per il franchisee.

Vengono inoltre forniti diversi mezzi di comunicazione : così come biglietti, posters, vogliono direcomunicazione visiva, i volantini vogliono dire commercializzazione diretta.

Ogni punto vendita è collegato alla sede di NaturaSì attraverso la rete.

La catena commerciale è molto sostenuta: si analizzano i trend economici di ogni supermercato esi trasmettendo ogni giorno dati e informazioni al fine di aiutare il pdv a conseguire gli obiettivi diprofitto previsti da budget;

Anche la formazione è molto importante, infatti è necessario istruire i franchisees e i loro staffperché quasi tutti non hanno esperienza commerciale precedente, oppure specifiche conoscenze suiprodotti biologici.

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NaturaSì è sempre pronta a partecipare come inventore ai progetti di franchisee mettendosi inaffari con le società associate e lasciando la gestione ai propri partners.

Dopo sette anni di esperienza nel franchising sono stati capiti i punti di forza e di debolezza diquesta formula commerciale.

A tale proposito si può focalizzare una prima attenzione sul seguente punto: NaturaSì parte da “ilpiù basso livello di controllo di rete”.In altre parole, per NatuaSì il franchisee non è un impiegato a sua disposizione ma un proprietario,con il suo modo di pensare e le sue idee, e a volte è molto difficile costringerlo a fare cosa siameglio per lui.

Il franchisee per NaturaSì è un cliente, ed ha il diritto di pretendere una incondizionata attenzione ecura, se si vuole che fornisca un buon servizio ai clienti finali.

La seconda affermazione da focalizzare è la seguente: “minimo dovere contrattuale”.Essa vuole ricordare che i contratti in franchising possono essere rescissi oppure non rinnovati allaloro scadenza; in questo modo si corre il rischio di veder un giorno scomparsa la catena!

Ciò nonostante, NaturaSì considera ancora il franchising come una buona opportunità, e sa che nonè come ‘bere una tazza di the’ quando investe tanto tempo e denaro nello sviluppo e nella gestionedella sua catena, oppure nell’aprire nuove filiali.

Così, se ci chiediamo quale sia il miglior concetto di negozio di catena, dovendo scegliere fra laformula franchise e la formula negozio affiliato, non si può evitare di rispondere che le due formulehanno lo stesso valore: in entrambi i casi è necessario investire e lavorare duramente!

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Il caso “Terra e Sole”

Terra e Sole nasce nel 1992 su iniziativa di Antonella Baldazzi e Renzo Agostini.

Il negozio è stato il punto di arrivo di una serie di esperienze nel campo dell’ecologia, iniziate circaquindici anni prima. In particolare l’organizzazione dei corsi dell’Università Verde di Rimini, dicui Antonella Baldazzi è stata Presidente per diversi anni.

Dal Gruppo promotore delle attività dell’Università hanno avuto origine tre diversi negozi dialimentazione biologica, un distributore di libri sui temi del naturale e altri due componenti hannoricevuto l’incarico di Assessore Comunale all’Ambiente; segno che questa esperienza avevacostituito un momento di crescita importante, che aveva stimolato la voglia di costruire, anche nelconcreto, le alternative possibili di cui si discuteva nei corsi.

Questa premessa è importante, perché molto del successo di Terra e Sole dipende da questaesperienza, sia per le conoscenze acquisite, che per le motivazioni ideali che lo hanno sostenuto, cheper la fiducia conquistata.

Terra e Sole è nato in un periodo in cui ancora la gran parte dei negozi era gestito in modo spessoideologico, un po’ settario, molto politicizzato, alternativo, dove dare a uno del “negoziante”equivaleva ad un insulto.

L’anomalia positiva di Terra e Sole è stata quella di mettere insieme le motivazioni ideali ( chetuttora lo sostengono) con una attenzione alle politiche commerciali, alla professionalità, alla qualitàdel lavoro, al rigore sulla certificazione, ad un grande rispetto verso il proprio cliente.

L’idea è sempre stata quella che non si poteva far pagare ai clienti un prezzo più alto per pareggiarele inefficienze, o dare del prodotto di scarsa qualità perché incapaci di gestirlo o senza leattrezzature giuste per gestirlo.

Non è giusto penalizzare chi è uscito dal gregge ed ha scelto consapevolmente di alimentarsi inmodo biologico. Bisogna dare il massimo, affinché sempre più persone siano incoraggiate ad usciredal gregge, questa è la politica di Terra e Sole, ciò che lo differenzia sia dai negozi della primagenerazione, che dai tanti che oggi si sono presentati o si stanno presentando sul mercato, più attential business del biologico che alla tutela della natura e della vita sul Pianeta.

Noi siamo convinti che questi due aspetti vadano sempre tenuti ben presente, perché è dall’insiemedi questi che ne deriva la credibilità, la fiducia, la simpatia del cliente, il quale quando sceglie ilbiologico cerca gratificazioni, incoraggiamenti, informazioni, ma anche servizi, promozioni, prezziconvenienti, ed è pronto ad apprezzare, a riconoscere gli sforzi che vengono fatti in questadirezione.

I numeri di Terra e Sole parlano di un grande successo. Il negozio è passato in sei anni dai 50 mqiniziali, attraverso due ampliamenti, ai 350 mq attuali ( compresi uffici e magazzino).

Oggi impiega 15 persone oltre ai titolari, con un fatturato annuo che supera i 4 miliardi, con unamedia di 380 scontrini al giorno.

Circa 6000 referenze a coprire tutti i settori del naturale: alimentazione (con grande attenzione alreparto dei freschi, frutta e verdura, latticini, gastronomia, pasticceria, panetteria), prodotti perl’infanzia, profumeria e cosmesi, erboristeria, igiene della casa e prodotti per la bio-edilizia el’arredamento ecologico.

Terra e sole è stato il primo negozio in Italia, e ancora oggi uno dei pochi, ad ottenere lacertificazione biologica per la vendita sfusa di frutta e verdura. Effettua un servizio di consegna adomicilio con due turni di consegna giornalieri, per cui il cliente riceve la merce entro un massimodi quattro ore dall’ordine.

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Stampa un notiziario che viene spedito a casa ogni trimestre con le promozioni in programma e leinformazioni sulle attività previste ( corsi, seminari, convegni, fiere) e più in generale sul settore delbiologico.

Offre una Carta Servizi con uno sconto personalizzato reparto per reparto, scelto dal cliente, che ciconsente di sviluppare un efficacissimo one-to-one marketing.

Ha un rapporto coi fornitori a volte conflittuale, ma spesso anche di forte collaborazione per passareda politiche di puro sell-in a più efficaci politiche di sell-out, dove anche i fornitori si mettono ingioco per aiutare lo sviluppo delle vendite, utilizzando promoter per l’assaggio dei prodotti o ladistribuzione dei campioncini, oppure progettando insieme campagne di promozione del prodotto( mailing, cartelli, vetrine, depliant, display, ecc.).

Un concetto questo difficile da fare digerire ai fornitori, l’anello più debole di tutta la filiera delbiologico. La logistica resta comunque il loro problema principale, specialmente per quantoriguarda il trasporto delle merci refrigerate, e le rotture di stock sono all’ordine del giorno.

Questi sono vincoli grossi allo sviluppo del settore in generale, ed in particolare anche per quantoriguarda Terra e Sole, sia per le mancate vendite che per la difficoltà a razionalizzare l’assortimentoe gli ordini, non potendo mai contare ciecamente su un fornitore. Per molti articoli di alta rotazionesi è costretti a tenere in scaffale doppioni, per evitare il rischio di rimanere completamente senza.

Terra e Sole è certamente un negozio interessante, visitato spesso da chi vuole aprire un negozio ouna catena di negozi, in quanto fonte di idee, suggerimenti, soluzioni.

Proprio per questo potremmo trasformarlo a sua volta in una catena di negozi in franchising.

Ma c’è un aspetto che ci ha sempre frenati, il timore di non trovare le persone giuste per andare acostruirli, perché alla voce “esperienza” non potremmo mai scrivere non necessaria; non si puògovernare una barca come Terra e Sole senza essere anche bravi imprenditori, entusiasti, disponibilia rischiare, a mettersi in gioco, al servizio dei clienti e con l’obiettivo fisso di lavorare anche per unfine ‘istituzionale’, che travalica l’interesse del negozio: lo sviluppo del biologico.

E’ proprio questo in prospettiva il ruolo dei negozi specializzati, che solo se sapranno conciliareideali e capacità commerciali, potranno reggere il confronto con le catene della grandedistribuzione, sempre più interessate al biologico sia dal punto di vista commerciale che diimmagine.Infatti, a differenza della GDO, i pdv specializzati non devono gestire le difficilicontraddizioni fra uno scaffale e l’altro, biologico uno e l’altro?…chimico?, e quindi hanno ilvantaggio di avere una credibilità decisamente migliore, che può consentire di superare il gap fra lapotente macchina commerciale della GDO e quella dei negozi, ma solo a patto che nei negozi ci siagente sana, pulita, convinta, non riciclati, non “un lavoro vale l’altro”, non affaristi.

Terra e Sole è un invito a crederci, una prova reale, non un concetto astratto.

Sentinella di un esercito ancora in gran parte addormentato, ma dal sonno sempre più disturbato,“mucca pazza”, “polli alla diossina”, gli incubi della società del benessere.

Ma non si potrà restare sentinelle a vita, prima o poi bisognerà suonare l’adunata e giocare fino infondo la propria parte.

Terra e Sole ha provato un paio di anni fa, insieme ad un’altra decina di negozi a fare nascere unConsorzio che riunisse i negozi specializzati, per dargli una organizzazione, una maggiore capacitàdi acquisto, un organo di rappresentanza, ecc. ecc..Ma non è andata bene: non siamo statiabbastanza bravi da una parte, e dall’altra abbiamo cozzato contro il muro dell’egoismo e la cecitàdel “tira a campà”.

L’idea del Consorzio resta comunque valida e presto tornerà d’attualità, e questa volta, ne siamocerti, ce la faremo.

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BIOFOODTR@DING: Come fare incontrare DOMANDA ed OFFERTA di prodotti da agricolturabiologica

Il mercato dei prodotti biologici, seppur in notevole crescita (+25% annuo in Italia) é e rimarrà unmercato di proporzioni contenute. (approssimativamente il 5/10 % di quello dei prodotti alimentariconvenzionali). Per questo la domanda e l'offerta faticano ad incontrarsi nei tradizionali luoghi discambio di prodotti agricoli.

E' necessario un mercato più vasto, nazionale, internazionale, globale.

BIOFOODTR@DING‚ vuole assolvere a questa funzione utilizzando uno strumento moderno(Internet) integrato con strumenti di normale utilizzo (fax e telefono).

BIOFOODTR@DING‚ é una banca dati associata ad una "lavagna" visibile in Internet.

Se un produttore agricolo ha bisogno di sementi, fertilizzanti, mangimi per animali, ecc. o vuolevendere la sua produzione (a lotti o ad annata, anche in anticipo sulla reale disponibilità), se unacantina, un frantoio, un salumificio, un’industria di trasformazione hanno bisogno di materie primeo vogliono trovare sbocchi commerciali per i loro prodotti, se la distribuzione (specializzata omoderna) vuole nuove referenze da proporre ai suoi clienti possono trovare risposte (nominativi) inBIOFOODTR@DING. Nella banca dati vengono inserite le aziende di produzione, trasformazione ecommercializzazione di prodotti biologici catalogate in base ai prodotti venduti ed acquistati (peres. una stalla produce carne o latte ed acquista foraggio; uníazienda orticola produce ortaggi edacquista sementi e prodotti fitosanitari;)

Attraverso la registrazione della propria azienda tutti possono evidenziare sulla "lavagna" le loroofferte o richieste di prodotti in modo dettagliato segnando o trovando le caratteristiche necessariead una corretta transazione commerciale (categoria prodotto, tipo prodotto, caratteristiche prodotto,quantità disponibile, periodo di disponibility', confezione, trasporto, prezzo indicativo).

BIOFOODTR@DING‚ é un servizio attivo e non passivo: il personale dedicato contatta le azienderegistrate a mezzo fax o telefono per stimolare líincontro della domanda e dellíofferta e restituisceagli inserzionisti un elenco di aziende "interessate". Per tutti i nominativi di aziende registrate equindi comunicate a mezzo elenchi, BIOFOODTR@DING‚ procede periodicamente al controllodellíassenza di fatti pregiudizievoli (protesti, fallimenti, decreti ingiuntivi, pignoramenti. ecc.)consentendo una successiva più serena trattativa.

BIOFOODTR@DING‚ può svolgere un valido servizio solo se la banca dati raggiunge dimensioniragguardevoli ed internazionali; abbiamo pertanto ritenuto opportuno limitare i costi del servizioonde facilitarne líaccesso al maggior numero possibile di aziende.

BIOFOODTR@DING‚ può inoltre, a vostra richiesta, assistervi nella concreta trattativa sianazionale che internazionale con personale in grado di parlare le più comuni lingue straniere(Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo, Russo), specializzato negli aspetti alimentari, agronomici edigienici (con la disponibilità di un moderno laboratorio analisi), nonchè legali, commerciali efinanziari.

I SERVIZI

I servizi di BioFoodTr@ding si dividono sostanzialmente in tre aree di intervento:

Assistenza al trading (business to business) in supporto alle aziende produttrici e agli uffici acquistie vendite delle aziende commerciali; è stato cuore e motivo di nascita di BioFoodTr@ding che offreuna completa gestione in outsorcing.

Servizi per il trade a supporto delle imprese dotate di una struttura commerciale e acquisti giàarticolata.

Network di Servizi di consulenza e supporto alle aziende.

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BioFoodTr@ding, grazie alla collaborazione con numerosi professionisti e società di consulenza eservizi si propone come interlocutore per tutte le necessità dei clienti, con questi principali servizi:

* AGRALIMENTARE * RIFIUTI * SICUREZZA * FORMAZIONE * EFFICIENZA FINANZIARIA * MARKETING * ORGANIZZAZIONE * SERVIZI WEB * INTERMEDIAZIONE E SERVIZI ASSICURATIVI * ASSISTENZA ON-LINE * I COLLABORATORI

• AGROALIMENTARE:1.1.1. Piani aziendali: pianificazione delle campagne produttive sulla base delle richieste dimercato, orientamento della produzione, piani di sviluppo1.1.2. HACCP: realizzazione di Sistemi di Autocontrollo igienico-sanitario1.1.3. ISO9000: realizzazione di Sistemi Qualità1.1.4. IGP, DOP: realizzazione di disciplinari di produzione1.1.5. Realizzazione di Sistemi di tracciabilità per i prodotti1.1.6. Selezione e controllo dei fornitori1.1.7. Supporto all'ufficio acquisti: realizzazione di capitolati di fornitura1.1.8. Supporto all'ufficio acquisti: gestione delle verifiche ispettive di seconda parte presso glistabilimenti e le aziende dei fornitori (in sostanza i tecnici di BioFoodTr@ding "funzionano" comefigura interna all'azienda cliente evitandole la necessità di costituire una struttura propria ad hoc)1.1.9. Campionamento e analisi dei prodotti1.1.10. Analisi bromatologiche di laboratorio (con laboratorio riconosciuto dal Ministero dellaSanità)1.1.11. Ricerca e sviluppo di nuovi prodotti1.1.12. Panel-Test1.1.13. Verifica conformità alla normativa delle etichette1.1.14. Assistenza normativa all'importazione ed esportazione di prodotti da agricoltura biologica1.1.15. Aggiornamento normativo

• RIFIUTI:1.2.1. Adempimenti normativi1.2.2. Gestione registri1.2.3. Aggiornamento normativo

• SICUREZZA:1.3.1. 6261.3.2. adeguamento degli impianti elettrici1.3.3. adeguamento degli impianti termoidraulici1.3.4. adeguamento degli impianti antincendio1.3.5. direttiva macchine1.3.6. marchio CE1.3.7. Aggiornamento normativo

• FORMAZIONE:1.4.1. HACCP

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1.4.2. Qualità1.4.3. Primo soccorso1.4.4. Antincendio1.4.5. Tematiche aziendali1.4.6. Gestione dei terreni1.4.7. Gestione aziendale1.4.8. Marketing1.4.9. Comunicazione.

• EFFICIENZA FINANZIARIA:1.5.1. Budget economico-finanziari1.5.2. Flussi di cassa1.5.3. Strategie finanziarie1.5.4. Contributi e finanziamenti agevolati1.5.5. Problematiche legate all'introduzione dell'Euro1.5.6. Gestione rischio clienti1.5.7. Valutazione dell'affidabilità di clienti/fornitori1.5.8. Accesso banca dati eventi pregiudizievoli1.5.9. Accesso sistema informatico Camere di Commercio

• MARKETING:1.6.1. Analisi situazione interna1.6.2. Segmentazione1.6.3. Ricerca e sviluppo nuovi mercati1.6.4. Promozione e cura della partecipazione a fiere di settore1.6.5. Consulenza per la comunicazione commerciale1.6.6. Assistenza commerciale per Italia e estero1.6.7. Organizzazione eventi1.6.8. Servizio di ufficio stampa1.6.9. Mailing e predisposizione elnchi ed etichette per mailing1.6.10. Telemarketing Italia/Estero

• ORGANIZZAZIONE:1.7.1. check-up organizzativo1.7.2. analisi e ottimizzazione processi aziendali1.7.3. controllo di gestione per processi

• SERVIZI WEB:2.1.1. Pianificazione Web-Advertising (Green Planet Natural Network)2.1.2. Realizzazione e manutenzione siti Web2.1.3. Soluzioni E-commerce2.1.4. Servizi di Hosting

• INTERMEDIAZIONE E SERVIZI ASSICURATIVI:3.1.1. Responsabilità civile prodotto3.1.2. Responsabilità professionale di Amministratori, sindaci e dirigenti.3.1.3. Assicurazione dei crediti commerciali3.1.4. Risk management

• ASSISTENZA ON-LINE:Tutti i servizi che non prevedono sopralluoghi sono accessibili via Internet e/o fax.

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Parte quarta. Le tendenze in atto: occupazione e aree di formazione per l’agricoltura biologica

Premessa

Nel Capitolo precedente è stato presentato un quadro della situazione occupazionale della filieraagroalimentare del biologico, nonché dei relativi fabbisogni formativi espressi da ogni fase dellafiliera. In questo capitolo si cercherà di fornire alcuni flash sulle tendenze in atto, operazione quantomai utile in un comparto, come quello del biologico, del quale uno dei tratti salienti è senza dubbiola rapidissima evoluzione strutturale.

Tale aggiornamento del quadro occupazionale e dei fabbisogni formativi è dedicato in particolare alsegmento della produzione primaria e deriva da una indagine diretta condotta nel periodo di giugno2003. La fonte delle informazioni qui riportate è, infatti, quella già ricordata nell’introduzione allaricerca, ossia il rilievo del giudizio di esperti del settore agricolo, rilevato tramite un questionarioappositamente realizzato, articolato su risposte chiuse e multiple. Gli esperti interpellati sonorappresentati da quadri della Coldiretti che operano sul territorio, suddiviso su base provinciale. Afronte di 110 questionari spediti, i rispondenti sono stati 57, con un elevato tasso di ritorno, quindi,che rende particolarmente significative le indicazioni che sono possibili trarre dall’indagine.

L’impatto occupazionale dell’agricoltura biologica

Uno dei quesiti ai quali si è voluto rispondere è quello posto nel Capitolo 3 relativamenteall’impatto occupazionale dovuto alla diffusione dell’agricoltura biologica in Italia. Come siricorderà, accanto alle stime della manodopera aziendale occupata nelle circa 60.000 aziendebiologiche italiane, è stata prospettata la possibilità che l’agricoltura biologica abbia, in questi ultimi20 anni, influito positivamente sul turn-over delle imprese agricole, con un saldo positivo nel saldotra nuovi ingressi e cessazioni.

Su tale questione agli intervistati sono stati sottoposte alcune opzioni relativamente ai “canali”tramite i quali potrebbe avere agito l’agricoltura biologica sul saldo tra ingressi e uscite nel settore.Per ogni opzione era possibile rispondere con tre gradi (ALTO – MEDIO – BASSO) di effetto.Soltanto il 15% circa degli intervistati crede che il contributo dell’agricoltura biologica nel crearenuova occupazione sia stato altamente positivo (Figura 1), mentre più del 42% ritiene che talecontributo sia stato scarso e la stessa percentuale crede che l’impatto sia stato apprezzabile. Ilquadro che si ricostruisce quindi non èdel tutto favorevole e si desume che, adetta degli intervistati, l’agricolturabiologica – attraverso il doppio canale dinuove imprese e maggiore fabbisognolavorativo in azienda – abbia avuto unimpatto tutto sommato modesto.

Più evidente l’efficacia nella creazionedi nuove figure professionali (Figura 2).Infatti, più del 56% degli esperticontattati ha risposto che l’influssodell’agricoltura biologica in tal senso è stato apprezzabile, ed un ulteriore 15% ritiene che sia statoconsiderevole. Si avrebbe quindi una conferma di alcuni studi condotti negli ultimi anni che hannoevidenziato come uno dei modi in cui l’agricoltura biologica impatta sul lavoro aziendale èattraverso la diversificazione delle operazioni a carico dell’imprenditore agricolo.

La tendenza da parte degli intervistati a non attribuire una influenza particolarmente favorevole alrapporto tra agricoltura biologica e occupazione emerge con forza attraverso il giudizio sullacapacità di tale metodo di produzione nel contrastare l’abbandono delle attività produttive (Figura

85

Figura n. 1 - Contributo del l'agricoltura biologica nella creazione di nuova occupazione

15%

43%

42% Alto

Medio

Basso

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3). Meno del 10%, infatti, pensa chetale contributo sia stato considerevole,mentre il 58% ritiene scarso talerapporto. E’ chiaro che gli espertisottoposti al questionario ritengano chele aziende biologiche siano, in grandemaggioranza, condotte da imprenditoriche avrebbero comunque continuato laloro attività. Per molti aspetti talegiudizio è un giudizio diprofessionalità se si pensa chesarebbero state le aziende più

professionali, pronte a coglierel’innovazione, a riconvertire la propriaproduzione.

Più positivo, invece, sempre secondo ilparere degli intervistati, l’impattodell’agricoltura biologica in termini dioccupazione negli altri segmenti dellafiliera (Figura 4). Infatti, più del 42%ritiene che l’impatto occupazionale fuoridal settore primario sia stato apprezzabile,ed a questo deve sommarsi un ulteriore

terzo del campione che pensa che tale impatto sia stato considerevole.

In definitiva il quadro che sembra emergere dal rilievo effettuato si può riassumere in:

· Un impatto modesto, ma nontrascurabile, in termini di nuovaoccupazione;

· Risultato che è influenzato anche dalladiversificazione ed estensione dellefunzioni aziendali, che portanaturalmente con sé il fabbisogno diformazione

· Decisamente meno rilevante l’influenzanel contrastare l’abbandono delle aree edelle attività agricole;

· Sicuramente positivo l’impatto suisegmenti a valle della produzioneagricola e in particolare dei servizi.

Fabbisogni ed offerta formativa

Esigenze formative

Il quadro in materia di esigenze formative degli imprenditori agricoli e della relativa offerta è statofornito nel capitolo precedente. Tuttavia a distanza di alcuni anni dalla indagine AGER-INIPA quisi vuole contribuire ad aggiornare le informazioni fornite attraverso il rilievo effettuato degli espertidel settore.

86

Figura n. 2 - Contributo dell'agricoltura biologica nella creazione di figure professionali nell 'impresa agricola

15%

56%

29%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 3 - Contributo de ll'agricoltura biologica nel contrastare l 'abbandono delle attività

produttive

9%

33%58%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 4 - Contributo dell'agricoltura biologica nella creazione di nuova occupaz ione al di fuori dell'azienda (serviz i, commercializzazione, ecc.)

25%

42%

33%Alto

Medio

Basso

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Dopo avere preliminarmente individuato alcune aree aziendali – sia tecniche che gestionali – perognuna è stato chiesto agli esperti di individuare il fabbisogno formativo degli imprenditori agricolidelle aree in cui essi operano. I risultati possono essere quindi analizzati per ognuna delle aree sullequali è stato richiesto il parere degli intervistati.

L’area aziendale per la quale si è avuta la maggiore incidenza di risposte positive riguardo ad unalto fabbisogno formativo è quella della commercializzazione, per la quale il numero di intervistatiche ritiene sia alta l’esigenza formativa degli imprenditori agricoli raggiunge quasi l’80%,impressione che viene rafforzata dal fatto che nessuno ritiene che l’esigenza formativa in tale areasia bassa (Figura 5). Il problema dellacommercializzazione in agricoltura èsenza dubbio diffuso, visto che,nonostante il progressivo cambiamentodelle politiche, le imprese sono piùvotate alla produzione che non allacommercializzazione. Lo è tuttaviaparticolarmente in agricoltura biologicain cui il mercato è ancora pocostrutturato, e le difficoltà per gliimprenditori, nel raggiungere ilconsumatore finale, sono notevoli.

L’area della commercializzazione è seguita come punteggio di risposte positive nell’individuareun’alta esigenza di formazione da due aree. Per una tuttavia – ossia quella della difesa delle colture– oltre ad una incidenza del 56% di intervistati che individuano un alto fabbisogno formativo, sirinviene anche un numero vicino allo zero di risposte che individuano un basso fabbisognoformativo (Figura 6). La difesa delle colture si pone quindi come seconda area formativa per la

quale gli imprenditori avrebberoesigenze di formazione. Il dato nonsorprende vista la specificità del metodoproduttivo qui considerato, ma anche lastruttura dell’agricoltura biologicaitaliana imperniata su colture estensive.Uno degli ostacoli per estendere laproduzione verso le colture (orticole,frutticole, vite) più redditizie, sinorapoco diffuse, potrebbe essere proprio lacapacità d’intervenire per la difesa.

La terza area individuata secondo icriteri sinora adottati di ripartizione delle risposte tra le tre opzioni relative alle esigenze diformazione degli imprenditori (ALTO – MEDIO – BASSO), è quella della Qualità e certificazione(Figura 7). Anche in questo caso si registraun 58% che individua un alto fabbisognoformativo, ma anche un 14% che pensa chetale esigenza sia modesta.

In effetti il processo di certificazione e diassicurazione della qualità è centrale pertutta l’agricoltura, ma lo è in particolare perquella biologica, dove la certificazioneriguarda il processo produttivo e nullaassicura riguardo al prodotto finale. Ilconsumatore invece chiede prodotti

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Figura n. 5 - Fabbisogno formativo riguardante i l marketing e la commercializzazione

79%

21% 0%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 6 - Fabbisogno formativo riguardante la difesa delle colture

56%

42%

2%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 7 - Fabbisogno formativo riguardante la qualità e la certificaz ione

58%28%

14%

Alto

Medio

Basso

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biologici proprio per alcuni attributi qualitativi. E’ ovvio che il risultato di tale processo siasoprattutto in chiave commerciale.

L’ultima area in cui viene superato il 50% (più del 56%)di risposte che identificano un alto fabbisogno formativoè quella – analoga per certi versi a quella della difesadelle colture – veterinaria. Anche in questo caso èpiuttosto basso (12%) di risposte che indicano unfabbisogno formativo modesto (Figura 8). E’ da notareche quest’area è seguita (Figura 9) da quella relativa

all’alimentazione degli animali (47% di risposte cheidentificano un alto fabbisogno formativo, contro 11% dibasso fabbisogno formativo). E’ evidente come nelcomplesso – probabilmente a causa della recentenormazione e sviluppo – la zootecnia biologica porta consé notevoli fabbisogni formativi in prima battuta dicarattere tecnico.

Le aree finora identificate sono sicuramente quelle in cui– secondo il campione intervistato – maggiori sono leesigenze di formazione. Queste sono seguite da alcunearee in cui il giudizio degli esperti è meno netto. Infatti, sia per aree tecniche – in particolare lafertilizzazione – che gestionali – informatica e telematica, ma anche normativa – si individua circaun terzo di risposte che individuano un fabbisogno formativo più alto (Figure 10, 11, 12), ed ingenere l’incidenza di chi ritiene che – al contrario – i fabbisogni formativi siano bassi, non supera il15%. L’unica area in cui sembra unanime il riscontro degli esperti nell’indicare un basso fabbisogno

formativo è quella dell’uso delle macchine(figura 13).

Nel complesso i fabbisogni formativi sembranomolto estesi, sia per la notevole incidenza dirisposte che identificano una esigenza formativadi rilievo (nella media di tutte le aree si superail 46% delle risposte), sia per la gamma degliargomenti, che vanno da vaste aree tecniche(difesa delle colture, allevamento), a quelle dicarattere gestionale ed economico (qualità,

commercializzazione), configurando, nel complesso, un’agricoltura biologica con vaste aree dipotenziale miglioramento imprenditoriale.

88

Figura n. 8 - Fabbisogno formativo riguardante gli aspetti veterinari

56%32%

12%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 9 - Fabbisogno formativo riguardante l 'alimentazione degli animali

47%

42%

11%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 10 - Fabbisogno formativo riguardante la fertilizzaz ione

37%

47%

16%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 11 - Fabbisogno formativo riguardante l 'informatica e la te lematica

37%

45%

18%Alto

Medio

Basso

Figura n. 12 - Fabbisogno formativo riguardante la normativa e finanziamenti

37%

52%

11%

Alto

Medio

Basso

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L’offerta di formazione in agricoltura biologica

Una delle indicazioni più consuete sull’agricoltura biologica – intesa quale innovazione nelprocesso produttivo e nella gestione aziendale – èquella di un sistema endogeno al mondoproduttivo agricolo, in qualche modoautoorganizzato e non eterodiretto dall’esterno –ossia dal mondo industriale e commerciale – comel’agricoltura convenzionale. Questa visione cheaccompagna da sempre le analisi economiche esociali dell’agricoltura biologica viene – con i suoirisvolti positivi e negativi – confermata dallanostra indagine. I canali attraverso cui gliagricoltori apprendono le tecniche e le tematichedell’agricoltura biologica indicati dagli intervistati

sono analoghe a quelli messi in luce da altre indagini similari (Figura 14). Se, infatti, si sommano itre canaliche, inqualchemodo sonointerni alsettore, sivede comequesti sianocitati da piùdel 50%degliintervistati.Inparticolare il22% citacome canale di apprendimento le “associazioni di agricoltori biologici” e una incidenza leggermentepiù bassa (19%) si registra per gli “altri agricoltori” A questi due canali va sommato poi quellototalmente autonomo (“da soli”) che viene citato dal 12% degli intervistati. Il mondo delladivulgazione – pubblico o privato – rappresenta il secondo asse di apprendimento, anche se nelcomplesso viene citato da meno di un terzo degli intervistati (31% del totale). Infine la formazione èstata citata soltanto dal 15% del totale dei contatti.

Il quesito posto nell’indagine consentiva risposte multiple, dando quindi la possibilità agliintervistati di citare più di uncanale. Prendendo, tuttavia, inconsiderazione l’incidenza dellerisposte sul totale degliintervistati, il quadro cambiapoco (figura 15). Infatti, i duecanali più citati sono leassociazioni di agricoltoribiologici e gli altri agricoltori(rispettivamente dal 59% e dal55% degli intervistati). A questicanali va sommato ancoral’apprendimento autonomo che

89

Figura n. 13 - Fabbisogno formativo riguardante l'uso de lle macchine

13%

34%53%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 14 - Canali di apprendimento del l'agricoltura biologica

Da soli, autonomamente

12%Da altri agricoltori

19%

Da associazioni di agricoltori bio

22%Da tecnici pubblici

di consulenza tecnica

14%

Dai divulgatori del sindacato

17%

Seguendo dei corsi15%

Altro (Uffici tecnici del sindacato, riviste

e convegni)1%

Da soli, autonomamente

Da altri agricoltori

Da associazioni di agricoltori bio

Da tecnici pubblici di consulenzatecnicaDai divulgatori del sindacato

Seguendo dei corsi

Altro (Uffici tecnici delsindacato, riviste e convegni)

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

( %)

Associazioniagr . bio

Divulgat orisindacat o

Tecnicipubblici

Alt ro

Figura 15 - Incidenza dei canali di apprendimento AB

Page 90: L’analisi dei fabbisogni nella filiera della agricoltura ... biologica.pdf · Progetto “Analisi dei fabbisogni formativi in agricoltura” II^ annualità – Rif. DD 40/I/200

viene citato da più del 35% dei contatti. Tra gli altri canali assume consistenza la divulgazionesindacale (50%) e la formazione (43%), mentre quella pubblica viene citata da un numero minore dicontatti (40%).

Anche l’indagine riguardo ai soggetti organizzatori di iniziative di formazione sull’agricolturabiologica sembra confermare un quadro più volte emerso. Anche in questo caso – trattandosi dirisposte multiple – è stato possibile calcolare sia il peso dei singoli soggetti sul totale delle risposte,sia prendere in considerazione l’incidenza di ognuno sul totale degli intervistati. Nel primo caso(figura 16) sidesume che isoggetti più attivinel panoramaformativodell’agricolturabiologica sonointerni al sistemastesso: leassociazioni degliagricoltoribiologici incidonosul 32% del totaleed un ulteriore21% è rappresentato dagli Organismi Certificatori. La seconda tipologia per incidenza (il 23%) èrappresentata da enti di formazione privati, mentre il “polo pubblico” –ossia i servizi pubblici diassistenza e le Università – non raggiunge nel complesso il 20% delle risposte. Il quadro che sidelinea viene reso ancora più chiaro considerando l’incidenza di ogni soggetto sul totale degliintervistati (Fig. 17). Emerge, infatti, come quasi il 67% abbia citato le associazioni degli agricoltoribiologici, ed un ulteriore 43% gli Organismi Certificatori. Anche in questo caso il secondo soggetto(50%) è rappresentato dagli enti privati di formazione. Inoltre viene ulteriormente messa in luce ladebolezza del sistema pubblico: meno del 30% degli intervistati ha citato i servizi pubblici diassistenza e appena il 4% le Università.

90

Figura n. 16 - Soggetti organizzatori di iniziative di formazione in agricoltura biologica

Università4%

Organismi certificatori

21%

Associazioni di agricoltori bio

32%

Servizi pubblici di consulenza tecnica

15%

Enti privati di formazione

25%

Altro (IRIPA)3%

Università

Organismi certificatori

Associazioni di agricoltori bio

Servizi pubblici di consulenzatecnica

Enti privati di formazione

Altro (IRIPA)

0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

50,00

60,00

70,00

( %)

Associazioniagr . bio

Enti pr ivati Or ganismicer ti f icator i

Ser vizipubbl ici

Univer si tà Al tr o

Figura 17. Incidenza soggetti fornitori di formazione

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L’efficacia della formazione attraverso l’incontro tra domanda e offerta

Analizzati i fabbisogni formativi e la strutturaintorno alla quale si articola l’offerta,passiamo adesso a capire quale sia il giudiziosul livello dell’offerta stessa, individuandogli eventuali gap con la domanda.

Riguardo al primo punto è possibile lavorarerispetto al giudizio (come in precedenzaarticolato su una scala ALTO – MEDIO –BASSO) che il nostro campione ha espressoriguardo alle diverse tematiche formative.Preliminarmente è utile osservare la mediadei giudizi per le diverse tematiche proposte.Il quadro è abbastanza netto: soltantonell’11% dei casi il livello dell’offertaformativa è stato giudicato alto, mentre nel51% il giudizio di tale livello è basso. Ciòsignifica che mediamente (ossia filtrando igiudizi di tutti gli intervistati, rispetto a tuttele tematiche) il 51% del campione giudical’offerta formativa di basso livello. Il picconegativo (figura 18) viene raggiunto nel casodegli aspetti veterinari (quasi il 70% digiudizi negativi), ma anche nel caso delmarketing viene sfiorato il 58% di giudizi dibasso livello (figura 19) e il 56% vieneraggiunto e superato per l’alimentazione(figura 20),il 53% per l’informatica (figura21), il 51% per la qualità (figura 22), e l’usodelle macchine (figura 23). Si ripropongonoquindi, seppure a parti invertite, le stesseindicazioni fornite riguardo alle esigenzeformative. Infatti, le tematiche per le qualil’incidenza del giudizio di bassa qualità èminore sono quelle che riguardano ilprocesso produttivo vegetale quali lafertilizzazione (figura 24) e la difesa dellecolture (Figura 25).

Se di contro si vanno a d analizzare le percentuali di risposte positive – ossia in cui il giudiziosull’offerta formativa è stato positivo – si osserva come in molti casi non superi o si attesti intornoal 10%. Soltanto nel settore delle normative viene raggiunto un 21% di giudizi positivi (Figura 26).In definitiva sembra delinearsi un quadro in cui il giudizio sull’offerta formativa è molto severo etranne poche eccezioni l’offerta sembra presentare gravissime carenze.

91

Figura n. 18 - O fferta formativa riguardante gli aspetti veterinari

9%

21%

70%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 19 - O fferta formativa riguardante il marketing e la commercializzazione

5%

37%

58%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 20 - Alimentazione degli animali

9%

35%56%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 21 - O fferta formativa riguardante l'informatica e la te lematica

11%

36%53%

Alto

Medio

Basso

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Una conferma di tale situazione si ha comparando il fabbisogno formativo – analizzato nelparagrafo precedente – con la qualità dell’offerta delineata sinora. Se infatti si va a calcolare, per

ogni singola tematica, il Delta tra il fabbisogno formativo giudicato ALTO e il livello dell’offertagiudicato ALTO, si ottiene una mappa delle carenze (Figura 27). Ad esempio il Delta maggiore –valore negativo di 42 – si ottiene per la tematica del marketing, ed il risultato della differenza traquanti ritengono che il fabbisogno formativo sia alto (45 intervistati) rispetto a quanti pensano che illivello dell’offerta sia alto (3 intervistati). In tal modo si può avere un giudizio di efficacia sul

sistema formativo, ossia di rispondenza tra fabbisogno ed offerta. Valori elevati del delta sonomessi in luce anche per altre aree tematiche a partire da quelle zootecniche, la qualità, l’informatica,ma anche più di natura tecnica come la difesa delle colture.

Il quadro che fino a questo punto è stato tratteggiato si può utilmente ricollegare alle conclusionidell’indagine AGER-INIPA nelle quali si era operato un confronto fra la domanda, sia espressa chelatente, e l’offerta di formazione rilevate ed analizzate nella ricerca. L’analisi era perseguitaconsiderando i diversi segmenti della filiera: l’area della produzione primaria, quella dellatrasformazione industriale dei prodotti e quella dei servizi di assistenza tecnica e di certificazione.

Dalla lettura dei risultati emersi nella ricerca viene messo in luce come la domanda, seppure inmisura variabile in funzione di tipologie imprenditoriali e di aree geografiche, è presente un po’ intutte le aree tematiche. Inoltre alle tradizionali aree (produzione – trasformazione – servizi), ne èstata aggiunta una quarta definibile come di“sistema”. Riguarda figure che operano acontorno della filiera produttiva che vienedescritta dalle tre aree delle quali la ricerca siè fin qui occupata, ma che rientrano in un piùgenerale contesto di diffusione e consumo deiprodotti biologici. Ne fanno parte ladistribuzione, la scuola, la ristorazionecollettiva. I risultati del confronto sonosintetizzati nel Prospetto 1.

92

Figura n. 22 - Offerta formativa riguardante la qualità e la certificaz ione

14%

35%51%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 23 - O fferta formativa riguardante l 'uso delle macchine

7%

41%52%

Alto

Medio

Basso

Figura n. 24 - O fferta formativa riguardante la fertilizzazione

11%

54%

35% Alto

Medio

Basso

Figura n. 25 - Offerta formativa riguardante la difesa delle colture

14%

51%

35% Alto

Medio

Basso

Figura n. 26 - O fferta formativa riguardante la normativa e i finanziamenti

21%

32%

47% Alto

Medio

Basso

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Prospetto 1. Stato dell’offerta formativa per segmento della filiera, figure professionali e areetematiche.Fase o segmento dellafiliera produttiva o delsistema

Figura professionale Area Tematica Stato dell’offerta

Area della produzione Imprenditore agricolo B 3. Tecniche diproduzione

Migliorare la qualitàdell’offerta formativaIncrementare la quantità

B 4. Area normativa SufficienteB 5. Gestione aziendale SufficienteB 6. Trasformazione dei

prodottiOfferta carente

B 7. Qualità Offerta carenteB 8. MarketingB 9. Comunicazione

Offerta carenteOfferta carente

Coadiuvanti ed operaiagricolo

B 10. Tecniche diproduzione

Migliorare la qualitàdell’offerta

B 11. Normativa SufficienteB 12. Qualità Offerta carente

Area della trasformazione Imprenditore agroindustriale B 13. Normativa Offerta carenteB 14. Tecniche

produttiveOfferta carente

B 15. Qualità Offerta carenteB 16. Marketing Offerta carente

Quadri tecnici ed operai B 17. Normativa Carenza nell’offertaB 18. Qualità Carenza nell’offertaB 19. Processi produttivi Carenza nell’offerta

Area dei servizi Certificatori B 20. Normativa SufficienteB 21. Tecnologie per

l’analisi ed ilcontrollo

Migliorare la qualitàdell’offerta

Assistenza tecnica B 22. Processi produttivi Migliorare la qualitàdell’offerta

B 23. Normativa SufficienteB 24. Qualità Migliorare la qualità

dell’offertaB 25. Gestione e mercato Migliorare la qualità

dell’offertaSistema “allargato” Operatori pubblici B 26. Normativa Incrementare la quantità

B 27. Qualità ecertificazione

Carenza nell’offerta

Distribuzione B 28. NormativaB 29. Qualità e

certificazioneB 30. Mercato

Carenza nell’offertaCarenza nell’offertaCarenza nell’offerta

Insegnanti e formatori B 31. Tutte Carenza nell’offerta

Ristorazione collettiva B 32. NormativaB 33. Qualità

Carenza nell’offertaCarenza nell’offerta

B 34. Processi produttiviagricoli edagroindustriali

Carenza nell’offerta

Il Prospetto riporta per ogni figura professionale operante nelle diverse fasi della filiera produttiva, oin altri segmenti del sistema, le aree tematiche che possono rappresentare oggetto di formazione e lostato dell’offerta per come lo stesso è stato evidenziato in questa indagine. Prima di commentare irisultati più in dettaglio si vuole porre l’attenzione sulla definizione sintetica con la quale è statoespresso il giudizio sullo stato dell’offerta formativa. Sono possibili quattro situazioni:

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· Carenza nell’offerta, quando i corsi dedicati all’area tematica in questione sono nulli oirrilevanti; gli interventi di adeguamento dovranno essere quindi rivolti a stimolare questaspecifica area;

· Incremento della quantità; i corsi esistono ma il loro numero, specialmente in funzione delladistribuzione geografica, è inadeguato rispetto alla domanda espressa o potenziale;

· Migliorare la qualità; in questo caso l’offerta formativa esiste ma è possibile rilevare carenze neicontenuti dei corsi che non rispondono alle esigenze di qualificazione degli operatori;

· Sufficiente; l’area tematica si caratterizza per una presenza formativa adeguata sotto il profiloquantitativo e qualitativo.

Una prima, immediata, notazione riguarda la distribuzione delle quattro categorie di giudiziosull’offerta formativa. Passando dall’area della produzione primaria verso le fasi più a valle dellafiliera, o verso altri segmenti del sistema, si nota un robusto aumento delle carenze qualitative, masoprattutto della presenza di una vera e propria offerta formativa. Questo può essere dovuto anchealle già accennate caratteristiche del rilievo, indirizzate soprattutto verso la filiera produttiva, ma inogni caso l’attenzione rivolta, nel corso del rilievo, non soltanto ai tradizionali Enti che operano nelmondo della formazione professionale in agricoltura – testimoniato peraltro dal notevole numero dienti diversi e di associazioni temporanee, di soggetti differenti – ha, quanto meno in parte,consentito di indagare anche queste aree.

Procedendo per fase della filiera o per segmento del sistema è abbastanza naturale che nell’areadella produzione le carenze minori siano avvertite nella fase produttiva e soprattutto normativa.Infatti, per la produzione è possibile affermare che lo sforzo maggiore, come è possibile desumereanche dalla lettura dei percorsi formativi, sia stato compiuto verso la “riconversione” dellaproduzione aziendale. Tuttavia questo indirizzo si è probabilmente risolto nella necessità di“rispettare” il disciplinare di produzione senza incidere realmente sulla trasformazionedell’agroecosistema. Il risultato è una carenza nella qualità dei percorsi formativi, allo stesso tempopoco olistici e poco innovativi sotto il profilo strettamente tecnico. Risultano così in gran partefrustrate le aspirazioni degli agricoltori, espresse nel capitolo 5, verso approfondimenti tematicidedicati all’allevamento, alla gestione della fertilità del suolo, ecc.

Forti carenze si registrano poi in tutta l’area della qualità e del mercato. Per quanto riguarda il primoaspetto va sottolineato come viene sentita l’esigenza di una integrazione fra la produzione biologicaed altre aree che riguardano la qualità dei prodotti, dei processi o aziendale (HACCP, norme ISO,produzioni tipiche).

Per quanto riguarda tutte le altre aree identificate, il problema è la carenza nell’offerta tra i percorsiformativi desumibili dalla nostra indagine, poichè tali tematiche sono quasi sempre assenti; suquesto tema c’è quindi poco da dire, se non rilevare un forte fabbisogno di adeguamento, le cuipossibili soluzioni, sono esaminate nella sezione successiva del volume.

Il quadro complessivo che risulta dalle analisi condotte si presenta, in definitiva, assai variegato. Seda un lato è vero che la risposta del sistema formativo, alla rapidissima conversione di un segmentosempre più ampio del sistema agroalimentare alle produzioni biologiche, è stata rapida, è vero ancheche ciò è avvenuto in assenza di una qualsiasi strategia, e al di fuori di una auspicabile integrazionetra istituzioni scientifiche, educative e mondo della formazione. Ciò sta causando due tipi principalidi problemi: la forte difformità a livello territoriale con scarsa efficienza ed efficacia dell’offerta, èil primo. Il secondo è la presenza di molti “buchi” nell’offerta stessa, quando non vengano prese inesame figure professionali e tematiche di per sé molto limitate. A ciò si potrebbe aggiungere unaconsiderazione più di tipo qualitativo. L’offerta infatti è, molto spesso, endogena al mondo dellaproduzione biologica, o deriva da una rapida “conversione” degli enti formatori. Questo datopoteva, fino ad oggi, considerarsi, per un certo verso, positivo, in quanto ha permesso di fare frontead una domanda crescente di formazione; ma, dal momento in cui l’agricoltura biologica sta

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uscendo dalla fase di “pionierismo”, occorre una maggiore capacità da parte delle istituzioni e delsistema formativo allargato, di fornire una risposta che dia maggiori garanzie di qualità ecompletezza della formazione.

Analisi territoriale

E’ possibile cogliere quattro situazioni differenti, sintetizzate nello schema seguente, ciascuna dellequali presenta ulteriori distinzioni. E’ di rilievo notare come gran parte dell’agricoltura biologicaitaliana ricada nella tipologia delle regioni in ritardo, nel quale, insieme ad altre, si trovano laSicilia, la Sardegna, la Puglia, che rappresentano certamente il nucleo quantitativamente piùrilevante in termini di superfici. Uno sviluppo più equilibrato si nota soltanto in alcune regioni delcentro (Lazio e Umbria) e del nord (Lombardia, Veneto). Di particolare rilievo anche il fatto chesoltanto in un caso, quello dell’Emilia-Romagna, si riscontri uno sviluppo avanzato sia del sistemaproduttivo che dell’offerta formativa. Vi è poi un quinto gruppo di regioni che può essereconsiderato un sottogruppo di quelle con sviluppo equilibrato, dalle quali si differenziano per unameno accentuata diffusione dell’agricoltura biologica, pur in presenza di una buona offertaformativa. Queste che potrebbero essere definite “piccole e belle” sono la Val d’Aosta, il FriuliV.G., la Liguria, la Basilicata.

Regioni in Ritardo Regioni con sviluppo equilibratoagricoltura biologica sviluppata, sensibile ritardo

nell’offertaagricoltura biologica mediamente sviluppata, offerta

formativa sufficiente

PugliaSicilia

SardegnaCalabria

CampaniaPiemonteMarche

LazioUmbriaVeneto

Lombardia(Toscana)

Regioni avanzate Regioni a scarso impattoagricoltura biologica sviluppata, offerta di rilievo agricoltura biologica poco diffusa, debole offerta

formativa

Emilia - Romagna Trentino A.A.Molise

Abruzzo

Le tendenze in atto

I risultati dell’indagine condotta, letti unitamente agli studi svolti in questi anni, e, in particolare, aquelli dell’indagine AGER-INIPA, consentono di mettere in luce diversi aspetti particolarmentepreziosi per mettere in atto politiche dedicate al sostegno ed allo sviluppo del settore, attraverso lostrumento dell’innovazione e della formazione.

Innanzitutto, oltre agli altri molti positivi effetti in termini ambientali, di sicurezza alimentare estrettamente economici, questa indagine ha permesso di confermare il ruolo positivo che lo sviluppodell’agricoltura biologica ha avuto e potrà ancora avere nella filiera agroalimentare in termini dioccupazione. I risultati dell’indagine tramite esperti ha messo in luce che l’impatto positivo si ha intermini di nuova occupazione a livello primario, soprattutto per la differenziazione e l’estensionedei ruoli a livello aziendale. Più ampio l’effetto a livello di filiera.

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Naturalmente questo dato mette in evidenza sopra ogni cosa il fabbisogno di formazione degliimprenditori agricoli e dei loro coadiuvanti. Fabbisogni che i dati presentati in questo capitolo siconfermano molto articolati, in termini di numero e varietà di tematiche, e accentuati per laprofondità delle esigenze espresse.

A questo quadro di domanda di innovazione e formazione non corrisponde purtroppo un sistemavalido ed efficace di ricerca e divulgazione. La nostra indagine ha confermato come l’agricolturabiologica quale sistema innovativo sia ancora fortemente sviluppato all’interno del mondoproduttivo. In particolare, emerge il ruolo degli agricoltori biologici stessi e delle loroorganizzazioni e servizi, mentre l’impatto del settore pubblico è marginale. Naturalmente bendiversa è la capacità di investimento tra i due poli e questo quindi si riflette in una mancanza di unapolitica di servizi e di innovazione a sostegno del settore. Emerge altresì il ruolo di enti e societàprivate che, evidentemente, tendono ad occupare una fetta di mercato, ma senza potere forniregaranzie qualitative sulla loro offerta formativa (Fig. 27).

Le indicazioni sinora fornite vanno lette anche alla luce degli elementi che ancora scaturiscono dallanostra indagine riguardo alle tendenze in atto. Infatti, più di 3/4 degli esperti intervistati ritiene chenei prossimi cinque anni il biologico in Italia continuerà a svilupparsi (Figura 28), anche seprevalgono nettamente (64%) coloro che ritengono che tale sviluppo sarà moderato, rispetto a chiritiene che lo sviluppo possa essere accentuato (circa l’11%). Meno dell’11% ritiene che di contro cipossa essere una inversione di tendenza. Il restante 15% pensa che la situazione si manterrà statica.

Due sono gli scenari che possono tratteggiarsi da questi ultimi dati. Da un lato se il compartocontinuerà a svilupparsi aumenteranno parallelamente le esigenze di servizi reali alle imprese:innovazione, divulgazione, formazione divengono fondamentali per incrementare gli effetti di talesviluppo positivo in termini economici ed occupazionali. Se, al contrario, la crescita fosse modestao addirittura ci si trovasse – ad esempio per effetto di una meno efficace politica di sostegno – difronte ad una stasi, a maggior ragione diverrebbe strategico un sostegno “esterno” alle imprese,mettendole in condizione – ancora attraverso un efficace sistema di servizi reali – di produrre inmodo sempre più efficiente, intervenire sul mercato, assicurare la qualità dei propri prodotti,utilizzare i più moderni strumenti informatici e telematici.

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Figura 27. Delta tra fabbisogni ed offerta formativa

-42,00

-27,00

-25,00

-24,00

-22,00

-15,00

-15,00

-8,00

-3,00

Marketing e commercializzazione

Aspetti veterinari

Qualità e certif icazione

Difesa delle colture

Alimentazione degli animali

Informatica e telematica

Fertilizzazione

Normativa e f inanziamenti

Uso delle macchine

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Figura n. 28 - Previsioni per i prossimi cinque anni

Una diminuzione

11%

Una situazione statica14%

Uno sviluppo moderato

64%

Uno sviluppo accentuato

11% Una diminuzione

Una situazione statica

Uno sviluppo moderato

Uno sviluppo accentuato

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PARTE QUINTA. SCHEDE FIGURE PROFESSIONALI

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Scheda n° 1- Imprenditore Agricolo Biologico

Denominazione IMPRENDITORE AGRICOLO BIOLOGICO

Definizione Imprenditore agricolo che converte e/o conduce la propria azienda secondo lenorme tecniche dell’agricoltura e della zootecnia biologica

Attività Come molti studi mettono in evidenza l’agricoltura biologica è una forma diagricoltura che si differenzia nettamente da quella convenzionale sia sotto ilprofilo tecnico che organizzativo e nei rapporti di mercato. Gli imprenditoriagricoli “convenzionali” in molti casi devono quindi apprendere nuove tecnichespesso avanzate sotto il profilo tecnologico e delle conoscenze di ecologiaagraria. Particolarmente critica è la fase di conversione, ossia il periodo (dinorma 3 anni) nel quale l’imprenditore deve modificare l’assetto tecnico edorganizzativo della propria azienda, introducendo nuove tecniche e nuovi mezzi,nuove colture e rotazioni, nuovi rapporti tra produzioni vegetali ed animali.

Contesto DiLavoro

Normalmente si tratta di imprenditori già attivi nel settore che riconvertono lapropria azienda, ma in alcuni casi si può trattare anche di figure provenienti dasettori diversi ed anche da ambienti non rurali.

Competenze Le competenze riguardano i diversi processi produttivi, sia vegetali che animali,aziendali e possono estendersi anche alla fase di trasformazione ecommercializzazione del prodotto. Date le peculiarità del metodo biologicol’imprenditore non si limita ad eseguire una serie di operazioni colturaliassemblate in pacchetti tecnologici come nell’agricoltura convenzionale madeve possedere conoscenze scientifiche nel campo delle scienze biologiche edagrarie tali da consentirgli la gestione degli equilibri ecologico-produttividell’azienda. Inoltre curando anche la fase commerciale sono necessariecompetenze relative agli aspetti di mercato, per le quali sono utili conoscenzerelative alle nuove tecnologie di comunicazione.

Area Produzione agricola

Segmento dellaFiliera

Produzione di prodotti vegetali ed animali che possono essere commercializzatital quali, o trasformati in azienda (specie per olio, vino, formaggio e miele), oancora ceduti ad imprese di trasformazione.

Grado ImpattoTecnologia

Può essere elevato, in quanto spesso vengono introdotti nuovi mezzi tecnici,specie per la lavorazione del terreno, la fertilizzazione e soprattutto la difesa.Inoltre in molti casi nelle aziende biologiche la valorizzazione dei prodotti èmaggiore attraverso la trasformazione, con l’introduzione di nuovi macchinari efunzioni.

Requisiti Possono non essere necessari requisiti particolari, anche se spesso gliimprenditori biologici possiedono titoli di studio più avanzati rispetto a quelliconvenzionali. Sembra tuttavia indispensabile una formazione di base all’iniziodel periodo di conversione e vista la rapida evoluzione delle tecniche e delmercato, periodici aggiornamenti.

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Scheda n° 2 – Divulgatore

Denominazione DIVULGATORE

Definizione Il divulgatore agricolo presta assistenza tecnica alle imprese agricole curando ladiffusione di innovazioni che riguardano tutto il processo produttivo.

Attività L’attività di assistenza tecnica e gestionale prevede una presenza costante lungoil ciclo produttivo aziendale. Per ogni fase il Divulgatore può suggerire agliimprenditori innovazioni atte a migliorare l’efficienza dei processi produttivi osoluzioni per risolvere specifici problemi di ordine tecnico (nutrizione dellepiante, problemi fitosanitari, alimentazione del bestiame, ecc.). Il divulgatoreagricolo può intervenire anche nella fase economica e gestionale aiutandol’imprenditore ad individuare i margini per incrementare l’efficienza aziendale. Tutte le attività descritte vanno poi interpretate alla luce delle specifichenecessità delle aziende biologiche, specialmente nella fase di conversione,quando l’imprenditore deve adottare un nuovo modello produttivo.

Contesto DiLavoro

Può trovare occupazione in enti pubblici (regione, agenzie ed enti di sviluppo) eprivati (organizzazioni professionali agricole, cooperative) che operano asupporto delle imprese agricole. Rappresenta il canale privilegiato tra l’impresaagricola e l’ambiente operativo esterno.

Competenze Sono necessarie competenze tecniche su tutto il ciclo di produzione vegetale edanimale e potenzialmente anche conoscenze di Tecnologia alimentare.Indispensabili le competenze di carattere economico e di mercato. Non è unavera e propria “nuova” figura professionale ma va reimpostata alla luce delbinomio agricoltura-ambiente.

Area Produzione agricola

Segmento dellaFiliera

È quella della produzione; tuttavia va considerato che in molti casi ci si spingesino alla fase della commercializzazione, specie se il Divulgatore operaall’interno di strutture private cooperative. Inoltre in diversi casi

Grado ImpattoTecnologia

Contrariamente a quanto si ritiene comunemente l’agricoltura biologica è unaforma di produzione efficiente e moderna, che richiede l’adozione diinnovazioni basate su avanzate conoscenze di ecologia agraria. Il grado ditecnologia richiesto può essere molto elevato sia per l’adozione di mezzi tecniciparticolari, sia per mettere a sistema molti elementi conoscitivi (come adesempio quelli agrometereologici).

Requisiti E’ necessaria la laurea in Scienze Agrarie come preparazione di base. Questa vapoi integrata da una preparazione specialistica che può essere fornita dalle stesseFacoltà (sono oramai numerosi i Master di I livello in Agricoltura Biologicaofferti dalle stesse Facoltà di Agraria) o da Enti di formazione privati e pubblici.In tale contesto è indispensabile la formazione sul campo.

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Scheda n° 3 – Esperto di Lotta Biologica

Denominazione ESPERTO DI LOTTA BIOLOGICA

Definizione È un tecnico specializzato nel controllo dei problemi di ordine fitosanitario chesi manifestano nelle aziende agrarie biologiche.

Attività È consulente di più aziende agricole su base territoriale. Interviene in tutte lafasi del ciclo produttivo con l’obiettivo di prevenire l’insorgenza di problemifitosanitari, porli sotto controllo nel caso di patologie e di intervenire per la fasedi cura. La lotta biologica riguarda sia le patologie virali e fungine, sia gli insettidannosi, ma anche le malerbe e le fisiopatologie. La sua attività va dunque dallascelta della migliore combinazione tra ambiente e coltura (varietà e cultivar), almonitoraggio epidemiologico, sino all’intervento di cura mediante mezzibiologici (insetti ed organismi utili).

Contesto diLavoro

Come nel caso precedente può trovare occupazione in enti pubblici e/o privati,nell’ambito dei servizi tecnici specialistici. Un’area supplementare è data dalleimprese di mezzi tecnici che desiderano informare ed assistere le impreseagricole nell’uso dei propri prodotti.

Competenze Le competenze di base riguardano l’ecologia agraria e l’interazione tra pianta edecosistema. Sono altresì necessarie competenze specifiche sulla biologia degliorganismi patogeni. Indispensabili per gli sbocchi occupazionali conoscenze dilaboratorio e informatiche.

Area Produzione agricola

Segmento dellaFiliera

Produzione vegetale

Grado ImpattoTecnologia

Nella produzione biologica è una figura centrale per ottenere prodotti di qualità,intesi come prodotti sani e di alta qualità merceologica. L’impatto dellatecnologia è alto, poiché sono necessari supporti informatici per la modellistica,necessaria a sua volta per prevedere l’evoluzione delle infestazioni. E’necessario inoltre l’utilizzo di strumenti di controllo e monitoraggio in campo edi strumentazioni di laboratorio.

Requisiti La preparazione di base dovrebbe essere curata nell’ambito delle facoltà diScienze Agrarie, ma anche di Biologia, Chimica, Veterinaria. È poi necessariauna laurea o un Master (organizzati ancora dalle Facoltà citate) di caratterespecialistico sulla Lotta Biologica.

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Scheda n° 4 - Consulente alla Commercializzazione

Denominazione CONSULENTE ALLA COMMMERCIALIZZAZIONE

Definizione Il consulente commerciale è un professionista che ha il compito di creare oselezionare i canali commerciali più convenienti per i prodotti biologicidell’azienda agraria e delle sue forme associate.

Attività Le produzioni biologiche sono interessate da una notevole espansione delladomanda. I canali commerciali possono essere assai diversificati e vanno daldettaglio specializzato alla grande distribuzione. Assumono rilevanza anche leforme che mirano a creare un contatto diretto tra imprese (e loro formeassociative) e consumatori. Il consulente commerciale agisce nella sfera delmercato determinando per i diversi prodotti aziendali la strategia commerciale, equindi il canale commerciale da utilizzare, i contratti, le modalità di fissazionedei prezzi, gli attributi commerciali (confezione, ecc.) del prodotto. Inprospettiva può elaborare veri e propri piani di marketing, di specifiche linee diproduzione o più in generale a livello di area produttiva.

Contesto diLavoro

E’ essenzialmente un professionista privato, spesso con esperienza nel settorecommerciale agricolo e alimentare; a volte può avere una propria agenzia. Siinterfaccia tra il mondo della distribuzione (sia alla produzione che al consumo)e la fase agricolo-industriale. Agisce per conto di grandi imprese agricole, formeassociative (cooperative, gruppi di vendita), piccole e medie impreseagroalimentari.

Competenze Le competenze sono eterogenee. E’ necessaria la conoscenza merceologica deiprodotti agroalimentari e biologici in particolare. Ma naturalmente il nocciolodelle competenze riguarda gli aspetti economici del settore e quelli commerciali.Deve conoscere la struttura ed il funzionamento dei diversi canali commerciali ele tendenze dei consumi finali.

Area Merceologica, commerciale, economica.

Segmento dellaFiliera

A valle della produzione

Grado ImpattoTecnologia

La tecnologia può avere rilevanza sia nella fase della trasformazione e delcondizionamento dei prodotti (per ottenere un prodotto finale con caratteristichequalitative e merceologiche rispondenti alle attese di consumatori), masoprattutto nel settore delle comunicazioni per gestire gli ordini e i clientisecondo la programmazione commerciale perseguita.

Requisiti Il titolo di studio di base è la laurea in Economia, che và poi integrato connozioni di tecnologia alimentare, processi di qualità e certificazione dei prodotti.Va conseguita anche una specializzazione specifica nel comparto agroalimentaree nel segmento del biologico. In questo caso eventuali esperienze formativedovranno privilegiare attività di campo.

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Scheda n° 5 – Certificatore

Denominazione CERTIFICATORE

Definizione E’ un professionista che può agire nella diverse fasi della certificazione:certificazione aziendale o relativa ai metodi di produzione (in base alREG/2092/91 e succ. modifiche), ma anche certificazione di prodottorelativamente alle diverse categorie qualitative di prodotti agroalimentari.

Attività Si pone come elemento terzo, e indipendente tra l’azienda di produzione (maanche di trasformazione e commercializzazione) e i consumatori. Attraversoun’attività di verifica, ispezione e auditing certifica che il processo produttivo edil prodotto siano conformi alle norme di produzione e di qualità che si voglionoassicurare al consumatore finale. Il suo operato viene richiesto dalle aziende edopo la verifica della conformità ai disciplinari di produzione, rilascia lacertificazione, che trasmette ai competenti Organismi di Controllo che,successivamente la trasmettono alle autorità (regionali e nazionali) competenti.Sono possibili anche attività ispettive e controlli sui prodotti.

Contesto diLavoro

Solitamente trova impiego presso gli Organismi di Controllo autorizzati dalMipaf per la certificazione delle aziende biologiche. Tuttavia, considerando cheoperando nel campo della certificazione la sua attività potrebbe riguardare anchealtri tipi di certificazione (aziendale e di qualità, ambientale, di prodotto),potrebbe lavorare anche per Consorzi di produzione e tutela di prodotti tipici ecome professionista privato.

Competenze Sono essenzialmente tecniche e normative. Deve conoscere le metodologie diproduzione agricola e alimentare e le tecnologie di trasformazione econdizionamento dei prodotti. Ciò comporta la necessità di analizzare i diversiprocessi produttivi determinando per ogni fase le tecnologie ed i mezziproduttivi ammessi. Le aree riguardano: gestione del terreno, produzionevegetale e animale, difesa delle colture, tecnologie di trasformazione. Per leattività ispettive è necessario possedere conoscenze di analisi e laboratorio.

Area Servizi

Segmento dellaFiliera

Produzione e post produzione

Grado ImpattoTecnologia

Attualmente non è elevato. In futuro, con l’avanzamento delle tecnologie e lanecessità di incrementare la qualità dei controlli, potranno essere necessarieadeguate strumentazioni per operare controlli in campo (kit diagnostici).Diverso il discorso in laboratorio dove sono necessarie attrezzature di diagnosichimica e fisica di alto livello per determinare caratteristiche qualitative deiprodotti o presenza di alcuni inquinanti o sostanze non ammesse.

Requisiti Di base è necessaria la laurea in Scienze Agrarie e/o in Tecnologia alimentare.Questa va poi integrata da una preparazione specialistica (Master di I livello inAgricoltura Biologica) e da ulteriori competenze per le procedure e le fasi dellacertificazione, comprese le nozioni giuridiche. Queste in genere sono fornite daEnti di formazione privati e pubblici a loro volta accreditati e certificati.

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Scheda n° 6 – Imprenditore Agrituristico

Denominazione IMPRENDITORE AGRITURISTICO

Definizione È un imprenditore agricolo che, al fine di diversificare le attività aziendali e divalorizzare le produzioni alimentari produce servizi turistici che possono riguardare laristorazione, l’ospitalità o entrambi.

Attività Accanto alle consuete attività agricole trovano spazio quelle turistiche. Sel’agriturismo è un fenomeno oramai ampiamente diffuso sia come offerta che comedomanda, negli ultimi anni un segmento particolare del mercato (testimoniato dalleguide e dalle offerte specifiche sul mercato) è rappresentato dai cosiddetti “agriturismobiologici”. Si tratta di una estensione dei principi dell’agricoltura biologica ai servizituristici, che vengono forniti in chiave ecologica. Si parte dall’architettura, allagestione dell’energia e delle materie prime (acqua, detersivi, ecc.) sino, naturalmente aipasti, le cui materie prime sono rigorosamente biologiche. L’imprenditore agrituristicobiologico quindi segue la produzione di beni e servizi secondo le norme ecologiche e aquesto fine certifica sia la produzione agricola, ma anche l’intera azienda (norme ISO14000).

Contesto diLavoro

Naturalmente è l’azienda agricola e agrituristica, ma in molti casi la fornitura diservizi, fa si che l’ambiente lavorativo divenga il territorio nel suo insieme che deveessere fruito dal turista grazie alle attività extraaziendali promosse dall’azienda(escursioni a cavallo, trekking, ecc.)

Competenze Oltre alle competenze dell’agricoltore biologico, con particolare riferimento ai processiproduttivi peculiari del metodo biologico (v. scheda 1), l’imprenditore agrituristicodeve possedere competenze specifiche nella trasformazione dei prodotti alimentari,nella ristorazione e nella fornitura di servizi turistici generici e specifici dell’ambienterurale (ospitalità, allevamento di cavalli, maneggio, ecc.)

Area Servizi

Segmento dellaFiliera

Visto che la principale finalizzazione della produzione alimentare è la fornitura dipasti, per quanto riguarda la filiera agricola, il segmento interessato è quello dellatrasformazione dei prodotti e la loro commercializzazione attraverso la vendita diretta(oltre la ristorazione).

Grado ImpattoTecnologia

Molto elevato per quanto riguarda la componente architettonica, dovendo introdurretecnologie ecologiche ma spesso avanzate come nel caso delle energie alternative, deimobili e dei materiali costruttivi ecologici. Per la produzione di alimenti e lacommercializzazione è necessaria la competenza nella trasformazione e nelconfezionamento, oltre agli aspetti di mercato che, per quanto riguarda i servizituristici, vengono spesso trattati direttamente tra clienti ed operatori tramite tecnologiedi comunicazione innovative.

Requisiti Sono molto ampi. Oltre a quelli che concernono l’attività agricola, è necessarioacquisire formazione sia sulla gestione delle tecnologie ecologiche nei servizi turistici,sia riguardo alla fase di mercato.

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