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1 Un Inno per il Veneto Edera Rossa Non ne vedo alcuna necessità , ma la regione Veneto sembra intenzionata ad avere il suo inno e sembra anche che voglia indire un apposito concorso. E qui la cosa si fa preoccupante visti,anche certi accenni a quello che ci si aspetta dall’Inno come momento identitario. Vi è stato chi ha suggerito canti già esistenti e non è mancato chi ha suggerito quel famoso Inno a Venezia ( Salve Venezia mia patria diletta..) che, quando ero ragazzo, era quasi inevitabile che qualcuno cominciasse ad intonare quando, in una cena appena un po’ numerosa, il numero delle bottiglie vuote era nettamente vincente su quelle piene che ancora , ma non per tanto, osavano proditoriamente resistere. Tra le voci piuttosto “stonate” ha portato un po’ di sollievo quella del maestro Scimone che ha detto che non serve fare alcun concorso perché , volendo, il più bel inno che il Veneto possa avere esiste già ed è la Primavera del Vivaldi Toghe marròn MisterB Chi si ricorda della cosiddetta, dai media unici, guerra tra le Procure di Salerno e Catanzaro? Chi si ricorda del libro scritto dal giornalista del Corriere della Sera, poi licenziato, Carlo Vulpio (Roba nostra – il Saggiatore 2008) che ripercorre la vicenda delle indagini del Dott. De Magistris e che venne tirato dentro quella vicenda per via dei suoi articoli ed accusato di un reato .Paleoconservatoris mo e pseudoconservatoris mo Perchè i conservatori non sono più gli stessi Florian Quando si parla di "conservatorismo" bisognerebbe prima intendersi sul significato che si dà al termine in questione. In Italia si è tornati a parlare di conservatori con la nascita di Alleanza Nazionale, dopo che per molti anni l'interesse per la destra politica riguardava quasi esclusivamente le correnti più radicali del neofascismo. Uno dei pochi libri conservatori scritti in lingua italiana, "Il manifesto dei conservatori" di Giuseppe Prezzolini, venne in quegli anni ripubblicato da Mondadori, con un'interessante prefazione di Sergio Romano volta a riattualizzarne il messaggio (scorrettissimo per i palati contemporanei). Israele-Palestina. Il rischio egiziano. Erci Draven Leggiamo dal Giornale di oggi: "È sempre più difficile vedere il presidente egiziano Hosni Mubarak in pubblico. L’anziano faraone, dicono i giornali indipendenti egiziani, sarebbe infatti gravemente malato. Anche per questo Washington ha fretta di portare palestinesi e israeliani alla pace. Da anni, Mubarak è mediatore importante tra i due attori del conflitto e tra fazioni palestinesi rivali. L’Amministrazione americana predilige una soluzione regionale, non soltanto locale, e il coinvolgimento di Mubarak è dunque fondamentale. La sua scomparsa creerebbe nell’area una pericolosa instabilità. E forse il vecchio rais ha voluto dare un segnale sulla sua successione portando a Washington nella sua delegazione anche il figlio Jamal." Continua a pag. 9 ue Il settimanale libero di www.iltuoforum.net Continua a pag. 3 Continua a pag. 5 Numero 4 - Lunedì, 13 Settembre2010

L'argonauta n 16

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1

Un Inno per il Veneto

Edera Rossa

Non ne vedo alcuna necessità , ma la

regione Veneto sembra intenzionata ad

avere il suo inno e sembra anche che

voglia indire un apposito concorso. E qui

la cosa si fa preoccupante visti,anche

certi accenni a quello che ci si aspetta

dall’Inno come momento identitario. Vi è

stato chi ha suggerito canti già esistenti

e non è mancato chi ha suggerito quel

famoso Inno a Venezia ( Salve Venezia

mia patria diletta..) che, quando ero

ragazzo, era quasi inevitabile che

qualcuno cominciasse ad intonare

quando, in una cena appena un po’

numerosa, il numero delle bottiglie vuote

era nettamente vincente su quelle piene

che ancora , ma non per tanto, osavano

proditoriamente resistere. Tra le voci

piuttosto “stonate” ha portato un po’ di

sollievo quella del maestro Scimone che

ha detto che non serve fare alcun

concorso perché , volendo, il più bel

inno che il Veneto possa avere esiste

già ed è la Primavera del Vivaldi

A pagina 11

La rinascita musicale del Prete Rosso

Frescobaldi

A pagina 4

Retorica, lacrime e senso.

Assurbanipal

A

Toghe marròn

MisterB

Chi si ricorda della cosiddetta, dai media unici, guerra tra le Procure

di Salerno e Catanzaro?

Chi si ricorda del libro scritto dal giornalista del Corriere della Sera,

poi licenziato, Carlo Vulpio (Roba nostra – il Saggiatore 2008) che

ripercorre la vicenda delle indagini del Dott. De Magistris e che

venne tirato dentro quella vicenda per via dei suoi articoli ed

accusato di un reato mai contestato prima: associazione per

delinquere finalizzata alla calunnia?

Continua a pag. 2

.Paleoconservatorismo e pseudoconservatorismo

Perchè i conservatori non sono più gli stessi

Florian

Quando si parla di "conservatorismo"

bisognerebbe prima intendersi sul

significato che si dà al termine in

questione. In Italia si è tornati a parlare

di conservatori con la nascita di

Alleanza Nazionale, dopo che per molti

anni l'interesse per la destra politica

riguardava quasi esclusivamente le

correnti più radicali del neofascismo.

Uno dei pochi libri conservatori scritti in

lingua italiana, "Il manifesto dei

conservatori" di Giuseppe Prezzolini,

venne in quegli anni ripubblicato da

Mondadori, con un'interessante

prefazione di Sergio Romano volta a

riattualizzarne il messaggio

(scorrettissimo per i palati

contemporanei).

A pagina 4

La libertà religiosa come scudo alle guerre sante

Alexeievic

A pagina 6

La riserva di caccia del beduino

Matrix80A pagina 7

Sul cd. "Processo Breve"

Israele-Palestina. Il rischio egiziano.Erci Draven

Leggiamo dal Giornale di oggi:

"È sempre più difficile vedere il presidente egiziano Hosni

Mubarak in pubblico. L’anziano faraone, dicono i giornali

indipendenti egiziani, sarebbe infatti gravemente malato. Anche

per questo Washington ha fretta di portare palestinesi e israeliani

alla pace.

Da anni, Mubarak è mediatore importante tra i due attori del

conflitto e tra fazioni palestinesi rivali. L’Amministrazione

americana predilige una soluzione regionale, non soltanto locale,

e il coinvolgimento di Mubarak è dunque fondamentale. La sua

scomparsa creerebbe nell’area una pericolosa instabilità. E forse il

vecchio rais ha voluto dare un segnale sulla sua successione

portando a Washington nella sua delegazione anche il figlio

Jamal."

Continua a pag. 9

A pagina 10

Sakineh Mohammadi Ashtiani Fulvia

ue

Il settimanale libero di www.iltuoforum.net

Continua a pag. 3

Continua a pag. 5

Numero 4 - Lunedì, 13 Settembre2010

1

Chi si ricorda della cosiddetta, dai media unici,

guerra tra le Procure di Salerno e Catanzaro?

Chi si ricorda del libro scritto dal giornalista

del Corriere della Sera, poi licenziato, Carlo

Vulpio (Roba nostra – il Saggiatore 2008) che

ripercorre la vicenda delle indagini del Dott.

De Magistris e che venne tirato dentro quella

vicenda per via dei suoi articoli ed accusato di

un reato mai contestato prima: associazione

per delinquere finalizzata alla calunnia?

Chi si ricorda dei magistrati integerrimi (De

Magistris, Apicella, Nuzzi, Verasani) le cui

carriere sono state stroncate o danneggiate

irreparabilmente?

Il libro di Vulpio è una rassegna da brivido di

fatti, commistioni, intrecci tra personaggi della

politica, della pubblica burocrazia, magistrati e

potentati economici tutti affratellati come

comitato d'affari; quello che già allora De

Magistris definì una nuova P2.

E' una lettura che andrebbe resa obbligatoria

perfino nelle scuole; emblematica del livello di

arbitrio, di commistioni di caste e comitati

d'affari che con l'avallo istituzionale

perseguivano già da allora e stanno oggi

terminando la devastazione del paese e la

sua riduzione al livello dello Zimbabwe; con

rispetto parlando del sovrano di questo regno,

famoso per selezionare vergini per la sua

alcova.

Oggi andiamo scoprendo che quel comitato

d'affari era la P3, gli ambienti coincidono: oggi

abbiamo la prova certa che non si trattava di

guerra tra procure ma di guerra scatenata da

servitori infedeli dello Stato contro loro

integerrimi colleghi; il tutto sotto la direzione

nemmeno tanto occulta di politici allora potenti

e di un Csm politicamente sottomesso.

Allora, questo Csm prono ed intimidito azzittì

De Magistris in maniera infame, lasciando

indenni tutti coloro su cui De Magistris stava

indagando a Catanzaro: oggi, quel Csm viene

definitivamente smentito.

Scrive oggi, 2 settembre 2010, nel suo blog

Luigi De Magistris: "La procura di Salerno

conferma ancora una volta che le inchieste

Why Not e Poseidone che stavo conducendo

a Catanzaro mi furono sottratte illegalmente,

in seguito ad un accordo corruttivo tra i vertici

degli uffici di Procura e alcuni indagati".

La notizia che commenta è il rinvio a

giudizio dei magistrati che all'epoca

eseguirono il killeraggio per conto non si sa

bene ancora di chi; ma che non si fa gran

fatica ad immaginare.

Sono il procuratore della Repubblica

Mariano Lombardi, il procuratore aggiunto

Salvatore Murone, il procuratore generale

facente funzioni Dolcino Favi.

Assieme a loro, parimenti rinviati a giudizio

i loro complici "laici": l'imprenditore Antonio

Saladino, l'avvocato e senatore Giancarlo

Pittelli, l'ex sottosegretario alle Attività

produttive Pino Galati, la moglie di

Lombardi Maria Grazia Muzzi, e il figlio di

lei, l'avvocato Pierpaolo Greco.

Tra i reati contestati, anche ad alcuni

magistrati, la corruzione, il falso e la

corruzione in atti giudiziari.

Continua De Magistris: "Nonostante il Csm

fosse informato da tempo sulle gravi

commistioni e le illegalità che

interessavano i vertici degli uffici giudiziari

di Catanzaro non ha mai ritenuto di dovere

intervenire. Oggi alcuni di quei magistrati

sono saldamente al proprio posto, anche

titolari di inchieste delicate, come quella

assegnata all'aggiunto Murone sugli

attentati al procuratore generale di Reggio

Calabria. Quello stesso Csm ha invece

dimostrato una solerzia straordinaria

quando, al termine di processi disciplinari

farsa, ha proceduto all'esecuzione

professionale mia, e dei valorosi colleghi di

Salerno Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi e

Dionigio Verasani".

Questi magistrati, finalmente rinviati a

giudizio, sono stati mantenuti nelle loro

funzioni fino ad oggi, se non addirittura

promossi.

De Magistris, oltre un anno fa, ebbe a

dichiarare: "Sono in grado di provare che

una parte della magistratura calabrese non

è estranea a logiche occulte. Temo che con

il passare del tempo possa andare sempre

peggio: il Csm conosce da anni problemi

calabresi, ma nel mio caso ha preferito

trasferirmi.

Di questo passo le incrostazioni saranno

sempre più facili: il magistrato non può

essere radicato, ma ci sono magistrati che

operano nelle medesime sedi da troppi anni, è

necessaria una rotazione perché, quando nel

circuito affaristico penetrano coloro i quali

dovrebbero mettere in atto il controllo è la fine.

I magistrati devono comprendere la società,

ma devono stare fuori dai circuiti di potere:

solo così si potrà costruire una magistratura

credibile e indipendente, ma non corporativa".

Aveva ragione in tutto.

Ora, tutte quelle istituzioni che hanno finto di

non vedere quel che è accaduto, e ancora

accade nella fogna di Catanzaro, nel mentre

eliminavano e imbavagliavano chiunque

osasse metterci il naso (oltre ai pm già citati,

quella cloaca ha risucchiato Clementina

Forleo, Carlo Vulpio, Gioacchino Genchi e altri

galantuomini) continueranno a tacere?

Nessuno intende confondere un rinvio a

giudizio con una sentenza di condanna; ma se

l'attuale Procura di Salerno giunge alle stesse

conclusioni di quella guidata da Apicella, vuol

dire che le indagini che costarono la carriera

ai quattro pm erano tutt’altro che sballate.

Ed anche coloro che questi galantuomini

hanno linciato mediaticamente a reti ed

edicole unificate, ora dovrebbero scovare

almeno un atomo di pudore e vergognarsi, e

pubblicamente riconoscere che si sono

sbagliati.

E chiedere scusa.

Al momento ancora nessuna risposta ma; alla

luce delle ultime notizie che arrivano da

Salerno, nemmeno il capo dello Stato nonché

presidente del Csm ha nulla da dichiarare?

Se in questo paese esistono ancora dei

cittadini degni di considerarsi tali, per una

vicenda siffatta dovrebbero scendere in

piazza: e non solo allo scopo di garantirsi

contro manovre di insabbiamento o di

copertura; ma per dare la massima visibilità a

vicende che sono lo specchio della

degenerazione dell'intero paese.

MisterB

Politica Toghe marrònMisterB

1

(segue dalla prima)

Ma tutto lascia supporre che non sarà la

Primavera a svolgere questo ruolo di inno

veneto; ed allora, visto che siamo in

barchetta piccola e che è lecito celiare un

po’, mi permetto anch’io di suggerire un

inno e credo non sarebbe inferiore a quelli

che stiamo rischiando di ritrovarci.

Parlo di una delle più belle canzoni

veneziane per barca del periodo a cavallo

tra sette ed ottocento : La biondina in

gondoleta, un’opera figlia di due degnissimi

autori il poeta Antonio Lamberti ( il più

famoso poeta in dialetto veneziano del suo

periodo, nonché appassionato lettore e

traduttore del Meli) e del musicista

Giovanni Simone Mayr che fu maestro di

Gaetano Donizetti. Ma soprattutto vi è lei la

Marina Querini Benzon , questa bellissima,

seducente e , secondo i detrattori e non

solo loro, saggiamente disinvolta donna

che seppe tenere salotto con personaggi

come Foscolo, Byron e Pindemonte. E tra i

suoi spasimanti lo stesso Lamberti del

quale ( vero o meno che fosse la loro

storia) non apprezzò di essere stata

oggetto di versi sufficientemente trasparenti

e la cui leggerezza di tono, che

personalmente trovo li rendano ancor

piacevolmente leggibili , non giudicò

sufficiente a farle perdonare l’autore e le

rispose, altrettanto in rima, facendogli fre l

parte del millantatore. E questo anche

perché ella era stata da non molto oggetto

di versi che giravano per la città e che

erano certamente meno aulici di quelli del

Lamberti, versi popolari che dicevano :

“Lucieta la bela, la sorda so sorela, la

Trona , la Benzona, e qualche altra

busarona” La Benzona era per l’appunto la

Marina Querini Benzon. Ma a Venezia le

rime anonime contro le donne non erano

una novità ; meno anonima risultò quella

che contro la moglie del doge Falier ( “ el

doge Falier gà na bea muger, altri la gode e

lu la mantien”) che costo l’esilio al suo

autore e, dopo varie vicende, la testa al

Ma la Querini non sparì dl cuore del

Lamberti che non molto dopo , in un delle

sue poesie più fresche Il sogno de Nina,

così la descrive: “ Con un fioreto in testa

– La gera e coi caveli - Che sparsi in

biondi aneli – Ghe zogolava in sen “.

Ma , comunque sia, l’arrivo degli austriaci

mise tutti d’accordo perché finirono col

proibire questa lieve canzone per barca

trovandola troppo oseé ( non ne riporto il

testo per non allungare inutilmente lo

scritto visto che è facilmente rintracciabile

in internet ). Ma la Venezia che viene alla

memoria nel sentire questa canzone non

si ferma qui e senza andare troppo oltre

basti ricordare come Angelo Querini

( l’innovatore e massone che fu

incarcerato per le sue idee democratiche

per l’epoca e che cercò inutilmente di

svecchiare, una Venezia destinata alla

fine come stato sovrano ) fosse solito

presentarsi a casa della Querini Benzon a

conclusione della sua serata , come

avrebbe fatto anche quella sera in cui

mori vicino al tetro di S, Moisè. Ed Angelo

Querini volle essere seppellito, ultima

offesa ad un perbenismo che stava

portando la città alla sua fine, con una

sua ex amante persona nota non solo a

Venezia per la sua vita piuttosto

turbolenta.

E la vita della colta, lieve, bella e libera “

biondina in gondoleta” , si accompagnò

anche nella tristezza della sua vecchia

alla tristezza della fine della Serenissima

e del grigiore degli anni della

dominazione austriaca. E la bella donna,

a cui vennero attribuiti gli amori di Byron e

di Foscolo, la bella donna che nelle sue

simpatie giacobine fu forse troppo

impetuosa (come lo fu quando in un ballo

in onore dei francesi finì col rovesciarsi e

col mostrare, data la mancanza di

biancheria intima, ciò che solitamente in

pubblico non si mostra neanche come

cotillon di danza) , finì come non avrebbe

meritato. E nell’invecchiare , lei che era

stata snella e slanciata nella sua

giovinezza,finì con essere presa

dall’ingordigia per il cibo e , con volgare

richiamo al suo passato piuttosto

chiacchierato, piuttosto chiacchierato,

venne da qualcuno definita uno “stramasso

desposà “.

Ed ella era diventata così prigioniera del

cibo che usava nascondere fette di polenta

calda tra gli abiti in prossimità del seno in

modo da poterla mangiare anche quando

era per la strada od in gondola. Ma quella

del mangiar polenta nascosta tra gli abiti

era usanza diffusa tra i nobili

“barnabotti” ,come erano definiti i nobili

decaduti , ed origine di celie d parte dei

gondolieri. E quando, mentre il fumo le

usciva dal seno, un gondoliere le chiese

ironicamente , con evidente allusione ad

altro che alla polenta , se fumava , ella

ritrovò lo spirito dei suoi vent’anni e rispose

con quella ironia di cui era ancora capace.

Ma” la biondina in gondoleta “ non sarà mai

l’inno del Veneto e non solo perché il

cognome dei Querini ricorda come la storia

di Venezia sia figlia della storia di Roma,

ma perché si vogliono inni di battaglia e

non le dolci ed eterne parole di un

innamorato.

Edera Rossa

Un Inno per il VenetoEdera Rossa

1

Sono passati 240 anni dal disegno di legge

di Thomas Jefferson, autore della

Dichiarazione di Indipendenza Americana,

sulla libertà religiosa (1779), eppure il tema è

sempre di estrema attualità. Dopo i tragici

accadimenti dell’11 settembre a New York,

ha addirittura assunto dimensioni che

iniziano a lanciare segnali preoccupanti.

Il mondo sembra stia precipitando di nuovo

nel medioevo: crociati e arabi, papi (nel

senso di plurale di Pontefice… questa volta

Silvio non c’entra) e mullah, monarchi

timorati di Dio (si.. del Dio denaro) e sultani.

Personaggi che si pensava sepolti dal tempo

e condannati dalla storia, stanno

riemergendo: personaggi dagli inquietanti

baffi ottocenteschi che minacciano di

bruciare il Corano, altri che lavando

abilmente i cervelli delle persone creano

bombe umane con la promessa,

vannamarchiana, di paradisi celestiali dove

potranno ricomporre i brandelli delle loro

carni saltate in aria insieme ad altri innocenti

in nome di chissà quale entità astratta, figlia

di credenze e di superstizioni mai superate.

Ma cosa deve fare uno Stato, un Governo

Liberale? Alimentare le tensioni? Negare la

libertà religiosa di chi crede in un Dio diverso

dal proprio? Cercare lo scontro? Non

tollerare? Oppure integrare, permettere, dare

spazio, al fine di non creare occasioni di

rivolte o di odio piu’ o meno strisciante?

Jefferson, citato all’inizio, ben 240 anni fa,

fondando le basi della democrazia

americana, si pose il problema e, nonostante

il notevole lasso di tempo trascorso, i suoi

scritti risultano ancora utili per riflettere e,

perché no, emulare la sua visione delle

cose.

Per esempio, quando dice “costringere un

uomo a finanziare la diffusione di idee alle

quali non crede e che detesta è cosa

malvagia e tirannica”, non sembra parlare

del concordato e dell’8 per mille prelevato da

tutti i contribuenti, atei, buddisti, mussulmani,

cattolica? Egli aggiunge: “Noi, Assemblea

generale della Virginia, stabiliamo che

nessun uomo può essere costretto a

frequentare o finanziare qualsiasi culto,

luogo o ministro religioso…”.

Sempre nello stesso documento ho trovato

questo interessante passo: “le opinioni

degli uomini non sono materia del governo

civile, né sono sotto la sua giurisdizione.

Permettere che l’uomo politico estenda i

suoi poteri fino al campo delle opinioni…

omissis…. è un errore pericoloso”.

Insomma, Corano, Moschee da costruire,

immigrazione, cittadinanza, terrorismo,

sicurezza, globalizzazione, e tante altre

parole che sentiamo ogni giorno, nei

confronti delle quali talvolta si danno giudizi

o impressioni superficiali e di chiusura.

Fermiamoci, riflettiamo, rileggiamo

qualcosa di ciò che grandi personaggi della

storia, come Jefferson appunto, ci hanno

lasciato e vediamo se, prima di prendere

decisioni o posizioni troppo facili, non sia

invece il caso di rifletterci, affinchè il

mondo, non torni indietro.

Aleveievic

11 Settembre 2010

Coccodrilli piangono e le redazioni sono

navigabili solo col gommone.

L’altro, quello di cui non mi sfugge il nome

perché ho rifiutato di memorizzarlo, medita

fuochi di carte .

Il sol dell’avvenire riscalda con i suoi tiepidi

raggi quest’umanità dolente e recitante, e

forse nulla si chiede circa il senso del suo

dono.

Scialo insensato, involontario, casuale.

Darsi senso è la fatica più estenuante e

spesso il suo frutto non soddisfa il

cercatore più esigente.

Il senso collettivo, quello proposto dai

dai grandi sistemi, vacilla e suggerisce più

nausea che sollievo.

Commemoriamo l’attacco alle Torri.

Senza retorica per favore.

Noi facciamo così, ogni tanto uno

sterminio per affermare una posizione con

la forza, e non ci curiamo neppure di

renderlo leggibile, nelle intenzioni, questo

sterminio.

Uno sterminio per tutti i gusti, per ogni

lettore di stermini, uno sterminio equivoco

che serva al caso ed al bisogno.

Qualcosa di flessibile, retorico, utile,

manovrabile, eccitante.

Un silenzio per uno sterminio?

Non basterebbe.

Equivoco anche questo.

Vorresti forse che l’oblio ti soccorresse

nella superflua ricerca del motivo?

Tarallucci e vino e pazienza che qualcuno

abbia preferito il volo alle fiamme.

Chissà cosa attraversava il cervello del

suicida durante l’interminabile volo giù

dalla Torre: che senso ha imparare a

volare un attimo prima dello schianto?

Giù verso il termine che non è il nostro

termine, soltanto il capriccio di un caso che

non è il nostro caso.

Il nostro volo dalla torre è un dettaglio

senza relazione col senso.

Dunque se ci fosse qualcosa da

commemorare, questa sarebbe la

sparizione del senso.

Chi l’ha visto mentre fuggiva?

Qualcuno l’ha interrogato prima che

sparisse?

Abbiamo fatto in tempo a rimproverargli

l’intenzione dell’abbandono?

Pare che qualcuno l’abbia udito

mormorare disgustato: con questi interpreti

meglio partire , spazzato il pattume forse

ripasserò.

Urgente – cercasi commediografo e

capocomico.

Quello che si sobbarca, non vale niente.

Ma non s’era detto, senza retorica?

Tu l’hai detto smemorato.

Oggi sono di buonumore.

Assurbanipal

La libertà religiosa come scudo alle guerre santeAlexeievic

Retorica, lacrime e senso.Assurbanipal

1

Quando si parla di "conservatorismo"

bisognerebbe prima intendersi sul

significato che si dà al termine in questione.

In Italia si è tornati a parlare di conservatori

con la nascita di Alleanza Nazionale, dopo

che per molti anni l'interesse per la destra

politica riguardava quasi esclusivamente le

correnti più radicali del neofascismo. Uno

dei pochi libri conservatori scritti in lingua

italiana, "Il manifesto dei conservatori" di

Giuseppe Prezzolini, venne in quegli anni

ripubblicato da Mondadori, con

un'interessante prefazione di Sergio

Romano volta a riattualizzarne il messaggio

(scorrettissimo per i palati contemporanei).

Detta in poche parole, Romano spiegava ai

lettori che i conservatori italiani in un paese

in cui non c'era nulla da conservare,

dovevano farsi rivoluzionari come lo fu a

suo tempo la destra storica. E che

avrebbero dovuto metter mano alle riforme

economiche realizzate in Occidente da

Ronald Reagan e Margaret Thatcher.

Quelle riforme liberiste che, secondo

Romano, avrebbero riaffermato il principio

conservatore dell'ineguaglianza e decretato

il prevalere dei migliori sui peggiori seppur

su basi economiche.

Questo scivolare del conservatorismo nel

liberismo non è avvenimento degli ultimi

anni, ma è databile già dai primi del

Novecento, quando i tories inglesi furono

costretti a far lega con i liberali nel partito

"unionista" per fronteggiare l'arrembante

laburismo. Da allora i partiti conservatori

hanno progressivamente abbandonato la

visione anticapitalistica che li caratterizzava

nell'Ottocento, diventando dal "partito della

reazione" il "partito dello status quo

(liberale)". Pur essendovi una bella differenza tra

l'identificarsi in un'aristocrazia rurale e poi

passare a difendere quella bancaria, per

molti versi negazione della prima, nel

secolo scorso i partiti conservatori sono

stati costretti a barcamenarsi tra due spinte

diverse e contraddittorie: da un lato favorire

il mercato e assicurare il rigore economico,

dall'altro mantenere in essere gerarchie e

tradizioni consolidate. La contraddizione

stava nel fatto, che si farà evidente sempre più

col passare dei decenni, che il mercato favoriva

l'abbattimento di quei valori tradizionali e di

quelle gerarchie sociali che gli stessi

conservatori si preoccupavano di difendere

dall'arrembante individualismo. Ad ogni modo,

un Churchill, un De Gaulle e un Eisenhower, un

Franco, hanno in via assai diversa

rappresentato questo genere di

conservatorismo. Fino al Sessantotto.

Il Sessantotto ha comportato per l'Occidente

una rivoluzione sociale e culturale che ha posto

i conservatori prima sulla difensiva (Goldwater)

e poi dinanzi ad un bivio: accettare il fatto

compiuto limitandosi ad un approccio

economicistico, oppure farsi carico della

scomoda etichetta di "reazionari" per

riaffermare ciò che la rivoluzione sessantottina

aveva definitivamente messo fuori gioco.

Questa divaricazione in ambito conservatore la

si può riscontrare pienamente negli USA

durante la presidenza Reagan. Nel reaganismo,

frutto maturo del goldwaterismo, erano presenti

due posizioni assai diverse: quella economica

libertaria, che ebbe in Europa un contraltare

nella Thatcher, decisa a mettere in soffitta il

socialismo, e quella culturale-religiosa,

antisessantottina, che nel Vecchio Continente

non riuscì mai ad affermarsi per via

dell'avanzata secolarizzazione dei nostri paesi.

Tutto ciò, è bene rimarcarlo, non impedì alle

"nuove destre" di mantenere ottimi rapporti con

le destre vecchie, autoritarie e/o razziste

(Pinochet, Contras, segregazionisti sudafricani),

nell'ambito della lotta al comunismo.

Dopo l'89, invece, con l'avvento negli USA di un

presidente tecnocratico quale George Bush, il

conservatorismo mutò pelle ergendosi a

difensore del Nuovo Ordine Mondiale che

decretava la fine della storia con la vittoria delle

democrazie liberali. La tesi di Fukuyama,

all'epoca erroneamente giudicata

"conservatrice",di fatto fece da battistrada al

neo-liberalismo progressista dei Clinton e Blair,

i quali furono piuttosto conservatori sul piano

economico, mantenendo però l'approccio

radicale delle nuove sinistre,

istituzionalizzandolo. Per cui, se sul piano

economico gli anni novanta hanno

rappresentato la normale prosecuzione del

reaganismo, su quello sociale hanno

spazzato via del tutto quelle forme di

opposizione alla nuova cultura radicale di cui

gli stessireaganiani erano stati fieri

oppositori. Ciò ha portato in ambito

conservatore ad uno scisma tra i

neoconservatori, culturalmente liberali, e i

paleoconservatori, spinti loro malgrado sul

fronte reazionario.

L'esempio più tipico di questo spostamento a

sinistra del conservatorismo americano lo si

ebbe con la glorificazione di Martin Luther

King e di Nelson Mandela, icone della

sinistra radicale, e contemporanamente con

il silenzio mortificato nei confronti della

destra anticomunista degli anni sessanta,

dalla John Birch Society a Goldwater a

Wallace agli stessi tradizionalisti alla Kirk.

Questa è la ragione per cui, mentre i

neoconservatori si daranno da fare, durante

Clinton e anche dopo, per affermare i valori

del capitalismo democratico attraverso le

guerre "giuste" contro nazicomunisti serbi e

islamo-fascisti (da notare come i neocons

abbiano adottato consapevolmente un

linguaggio mutuato dalle sinistre più o meno

radicali), i paleoconservatori rivolgeranno le

loro attenzioni unicamente alla politica

interna lanciandosi in battaglie culturali

contro un establishment di sinistra e di

destra, data la comune formazione "radicale"

delle forze politiche di governo (in America,

Democratici e Repubblicani).

Anche se numericamente assai minoritaria la

guerra culturale paleoconservatrice ha

mantenuto uno sbocco più moderato nel

conservatorismo americano mainstream

(mentre resta totalmente assente in Europa),

in quei settori eredi del reaganismo, vale a

dire i conservatori libertari e la destra

religiosa, che la stampa di sinistra bolla

sdegnosamente come "ultradestra" essendo

ormai la destra istituzionale rappresentata

dalla vecchia sinistra liberal che nel Nuovo

Ordine Mondiale intende "conservare" le sue

vittorie conseguite ai danni della vecchia

destra: pluralismo liberale ed egualitarismo

democratico su tutti.

Florian

PoliticaPoliticaPaleoconservatorismo e pseudo conservatorismoPerchè i conservatori non sono più gli stessi

Florian

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Ci sono giorni in cui certe cose ti fanno

male: come accade al solito in queste

occasioni non si tratta mai di osservazioni

chiare e lampanti a tutti, ma di piccoli

particolari, sovente sfuggite ai più, che ti

fanno aprire gli occhi su come è ridotto il

nostro paese....e allora veniamo al mio, di

particolare: stamattina stavo guardando il

servizio del TG1 sulla visita di Gheddafi a

Roma: solita leccata di culo al nano e di

rimando elogi al presidente libico e alla sua

politica, ma questo me lo aspettavo, ciò che

non mi aspettavo, o perlomeno non mi era

chiaro fino in fondo, è che effetto mi

avrebbe fatto il servizio sulle hostess. Il

giornalista, uno dei soliti servi di cui

neanche ricordo il nome, intervista una di

loro: una bella ragazzotta bruna con un

vestitino che mette in risalto la scollatura

pronunciata, non avrà neanche 20 anni.

Tiene sotobraccio il famosissimo "glorioso

Corano", che probabilmente non sa

neanche cos'è, regalo del Leader in

persona. Domanda del giornalista: "ma che

tipo è Gheddafi?". La ragazza, con l'aria

della classica t..... svampita tiratissima a

lucido risponde "mmmm, è un uomo

mooooolto carismaticoooooooo!!!".

Pare che questa ragazza faccia parte di un

ristretto gruppo di hostess italiane (quelle

che si "sono maggiormente messe in

mostra con il Leader","come afferma

sornione Repubblica, del genere non ho

detto nulla ma si è capito tutto) che

visiteranno ben presto Tripoli (Gheddafi ne

ha preso personalmente i nomi) e che

incontreranno di nuovo il presidente

libico.....a fare cosa, vi chiederete? Beh,

non so voi ma io, dopo gli scandali sessuali

che hanno coinvolto il nostro caro

presidente, in cui sono coinvolte le stesse

tipologie di ragazze, ho pochi dubbi.

Sinceramente tutto mi aspettavo, ma non

che fossimo scesi così in basso: l'Italia,

paese con millenni di storia, grazie a

Berlusconi e al suo malgoverno è diventata

una riserva di caccia per ricchi

puttanieri...ma cosa ne è rimasto della

dignità della donna? Possibile che nessuna

donna dica niente, che non si scandalizzi di

fronte a questo orrendo spettacolo? La

Carfagna, ministra della pari opportunità

non protesta di fronte ad un paese

trasformato in un harem per il ricco

sultano? Vabbè, ma che vuole dire...

Il mondo ride di noi, l'Europa grazie a

queste pagliacciate che risuonano nei

media di tutto il mondo ci considera alla

stregua della Romania e dell'Ucraina: un

paese di puttane, dove vai per inzuppare il

biscotto e basta....l'unica differenza fra il

nostro paese e i due che precedentemente

ho citato è il prezzo: lì le puttane costano di

meno, qua di più. Ma, cari puttanieri di tutto

il mondo, non disperate: con la crisi

economica che c'è il prezzo ben presto

scenderà, e finalmente potrete permettervi

una puttana italiana anche voi.

Sapete? Alcuni pensano che questo

governo sia fascista: beh, io non la penso

così. Il fascismo almeno aveva l'amor di

patria, e non avrebbe mai consentito che

un beduino effettuasse una compravendita

di donne italiane come fossero cammelli.

No, questo governo non è fascista, nè

comunista, nè niente: è solo un governo di

delinquenti che venderebbero anche la

mamma per fare soldi....è questa l'unica

categoria che mi sento di affibbiare a

Berlusconi e ai suoi, ogni altra categoria

politica è sprecata.

.

Matrix80

La riserva di caccia del beduinoMatrix80

1

La necessità di intervenire legislativamente per

contenere il tempo del processo è antica, ma

ha assunto, negli ultimi anni i connotati di una

tragedia che, allo Stato Italiano costa in termini

di penalità (richiami e multe ad opera della

UE).

Per risolvere il problema dei tempi del processo

penale, il Governo decise di intervenire

riordinando la materia stabilendo certezza nei

termini della varie fasi processuali. Va

precisato però che, un tentativo di risoluzione

venne anche dal precedente governo Prodi. La

senatrice Finocchiaro presentò nel 2006 un

DDL dai contenuti analoghi a quello riproposto

dal Governo Berlusconi.

Il problema si affronta per gradi.

Innanzitutto l'obbiettivo è quello di soddisfare la

domanda di giustizia dei cittadini Italiani in

tempi ragionevolmente brevi. Sei anni sono

ancora troppi secondo il mio punto di vista.

A tale proposito vale la pena di ricordare agli

smemorati che a causa dei tempi eterni della

giustizia molti processi per reati che hanno

visto e vedono imputati personaggi legati alle

grosse organizzazioni criminali (mafia,

camorra, 'ndrangheta, sacra corona unita etc...)

sono stati e continuano ad essere oggetto di

prescrizioni dovute proprio alla inerzia della

magistratura. Il lungo elenco è pubblicato su

internet. Alcuni di questi, gli ultimissimi casi, li

abbiamo divulgati anche nel forum.

Esito fatale di quei processi: estinzione del

procedimento e liberazione dei pericolosi

detenuti.

Il bilancio tra i procedimenti che inevitabilmente

finiscono nel cestino dei rifiuti oggi, rispetto a

quelli soggetti a prescrizione secondo il DDL

presentato alla camera pende a favore del

DDL, ovvero i procedimenti che si estinguono

con il Disegno di Legge presentato sono di

gran lunga inferiori a quelli estinti a causa dei

tempi lunghi. Solo che la gran cassa degli

oppositori fa più rumore in quanto il DDL

invece che diluirli nel corso del tempo li

concentra in una tornata.

L'impatto fa rumore solo apparentemente.

Molto più rumore cagiona (e non certo

apparente) il danno provocato alla società dalle

responsabile e delle prove del crimine in

tempi rapidi, nel processo penale, è

imposta dalla esperienza.

L'esperienza è codificata. La dottrina (ma

su questo anche la giurisprudenza è

concorde) ritiene che il decorso del tempo

attenui l'interesse dello Stato ad accertare

il reato e persino ad eseguire la pena.

Questo interesse "diminuito" è determinato

dallo svanire del ricordo del fatto. Quando

poi l'istruttoria non abbia avuto luogo

oppure non si sia giunti alla sentenza

definitiva di condanna, sorgono, con il

trascorrere del tempo, gravi difficoltà per la

raccolta del materiale probatorio, per

scomparsa dei testimoni, delle tracce del

reato etc...

Questi sono i motivi in cui risiede il

fondamento dell'istituto della prescrizione.

Sebbene le norme che regolano i tempi

esistono già nel codice di procedura

penale, si tratta di disciplinare

armonicamente le nuove norme del DDL

con quelle esistenti.

Qualora si riscontri una "difformità" che

possa in qualche modo compromettere il

termine dei due anni, si renderà

necessaria una indicazione del legislatore

che restringa, sempre rispettando i principi

di garanzia costituzionalmente previsti, le

possibilità del rinvio, oppure, viceversa,

laddove questa strada non sia percorribile,

si dovrà prevedere eccezionalmente una

sospensione dei termini onde impedire che

il decorrere del tempo esponga inutilmente

al rischio prescrizione il procedimento in

corso.

Attenzione però l'eccezionalità dovrà

essere reale e dovrà essere dimostrata

perche venga resa operante una simile

deroga al principio generale sancito dal

DDL.

A fondamento delle ragioni del DDL c'è il

diritto degli Italiani ad avere una risposta in

“terminis” alla domanda di giustizia. Nel

senso anzidetto, andrebbero imposti

vincoli al pm in ordine alla iscrizione nel

registro delle notizie di reato. Siamo nella

prescrizioni dovute alla incapacità, inerzia o

ad altro, dei funzionari della giustizia che,

adottando tempistiche bilbiche provocano la

prescrizione dei reati, soprattutto quelli più

gravi (che invece nel DDL sono avulsi dal

provvedimento).

La necessità del legislatore di occuparsi

della risposta di giustizia in tempi brevi è

divenuta ineludibile. I tempi che viviamo ci

consegnano tutta la tecnologia di cui

abbiamo bisogno per adeguare i tempi della

giustizia al civile vivere moderno del terzo

millennio. La giustizia attuale, è quella del

primo millennio.Esiste poi il limite della

tipologia dei procedimenti soggetti alla

prescrizione prevista nel DDL. Quel limite è

contrassegnato dalla pena edittale ma anche

dalla gravità di reato.

Per addivenire ad un chiarimento sulla

necessità della prescrizione formale,

dobbiamo analizzare, in via generale, i

passaggi centrali di un procedimento penale

tipico.

Il reato viene commesso e portato a

conoscenza della AG. L'AG inizia le indagini.

L'AG individua il responsabile. L'AG conduce

il responsabile davanti al giudicante che lo

assolve o lo condanna con sentenza entro

due anni. L'Autorità Giudiziaria Inquirente, il

PM con l'ausilio della PG, deve reperire le

prove nell'imminenza del fatto-reato. Questo

significa che la sua indagine deve realizzarsi

a 360°. L'imminenza del fatto, e questa è

una regola che la magistratura requirente

conosce benissimo (a meno che non sia

uscita dai concorsi truccati e quindi non sia

"praticona") è determinante per rintracciare e

conservare le prove.

Il procedimento penale è fondato sull'onere

della prova che il PM deve recuperare nei

tempi prossimi al "commissi delicti". Sulla

base dei riscontri probatori e della

individuazione del presunto responsabile il

PM chiede il rinvio a giudizio. Il dibattimento

che seguirà condurrà alla soluzione del

giudizio: colpevole o innocente.

La necessità di effettuare la ricerca del

responsabile e delle prove del crimine in

Sul cd. "Processo Breve"Edmond Dantes

1

Lo chiedono i cittadini Italiani, lo chiede

l’Unione Europea, lo chiede la ragione del

diritto ed in questo senso lo invoca l’auspicato

allineamento garantista dell’ordinamento

istituzionale repubblicano a quello che

normalmente viene chiamato “giusto

processo”.

Edmond Dantes

. Lo scopo è chiaro. Eludere il termine riferito

alla chiusura delle indagini per investigare sul

cittadino “ad libitum” Non v’è da aggiungere

altro.

In conclusione possiamo senz’altro auspicare

che il DDL che disciplina il cd. “processo

breve” possa riprendere il proprio cammino

legislativo e possa trovare la luce entro l’anno.

nel registro delle notizie di reato. Siamo nella

fase delle indagini preliminari.

E' invalso l'uso da parte di moltissimi pm, di

non indicare il nominativo dell'indagato in quel

registro e ciò al fine di evitare il decorrere del

termine (di regola sei mesi) entro il quale lo

stesso pm deve decidere se esercitare

l'azione penale, chiedere l'archiviazione o

chiedere la proroga delle indagini

Sul cd. "Processo Breve"Edmond Dantes

1

(segue dalla prima)

Leggiamo dal Giornale di oggi:

"È sempre più difficile vedere il presidente

egiziano Hosni Mubarak in pubblico”.

L’anziano faraone, dicono i giornali

indipendenti egiziani, sarebbe infatti

gravemente malato. Anche per questo

Washington ha fretta di portare palestinesi

e israeliani alla pace. Da anni, Mubarak è

mediatore importante tra i due attori del

conflitto e tra fazioni palestinesi rivali.

L’Amministrazione americana predilige una

soluzione regionale, non soltanto locale, e il

coinvolgimento di Mubarak è dunque

fondamentale. La sua scomparsa

creerebbe nell’area una pericolosa

instabilità. E forse il vecchio rais ha voluto

dare un segnale sulla sua successione

portando a Washington nella sua

delegazione anche il figlio Jabal.

Se la notizia fosse fondata (e il dubbio che

lo sia è alto, anche tenendo conto che

Mubarak è assai anziano, avendo compiuto

già ottantadue anni), si potrebbe

aggiungere un altro elemento di instabilità

nell'area vicino orientale.

Mubarak è a capo del governo egiziano da

quasi 30 anni e ha saputo, sebbene con

tutti i limiti e le ombre che una satrapia di

così lunga durata inevitabilmente si porta

(corruzione, nepotismo, etc...), tenere un

paese considerato fondamentale per la

stabilità in Medio Oriente.

E nel tempo, come dice anche l'articolo, si

è ritagliato un posto di rilievo nei rapporti

con e tra le fazioni palestinesi che operano

nei territori, soprattutto a Gaza.

Gaza, infatti, ha un varco, semi ufficiale,

con l'Egitto da cui passano generi di

conforto e medicinali (Israele da tempo

sospetta che da lì passino anche le armi,

almeno quelle leggere,x Hamas).

E sempre Gaza è oggi la polveriera che

potrebbe far naufragare i colloqui ora in

corso.

Giungere a una pace credibile e duratura

significa isolare e soffocare dal punto di vista

popolare e diplomatico Hamas e ogni altra

milizia che predichi la distruzione di Israele.

Il cerchio potrà essere stretto solo da

personalità in grado di farsi ubbidire dalle

popolazioni, specie quelle confinanti con i

territori palestinesi.

Di Hosni Mubarak (forse) ci possiamo fidare.

Di altri, non si sa. Speriamo quindi che la

sua salute sia meno cagionevole di come ce

la riporta l'articolo.

Eric Draven

Solo una netta presa di posizione della

Lega Araba potrebbe indurre i palestinesi a

più miti consigli e soprattutto ad accettare

le decisioni che (si spera) saranno prese

nei vertici tra Abu Mazen e Netanyahu.

E qui tornerebbe in gioco il ruolo dell'Egitto,

poiché la Lega Araba ha sede al Cairo.

Il prestigio di Mubarak all'interno della Lega

Araba è sempre stato altalenante: fu lui a

far riammettere l'Egitto alla Lega nel 1989,

dopo che il trattato di pace firmato anni

prima da Sadat era costato alla nazione

delle piramidi una sospensione (atto mai

preso prima e mai più preso in seguito

avverso un paese membro della Lega), ma

si sa come negli anni '90 la sua presa

carismatica subì un certo declino a causa

della sua politica non ostile agli USA.

Sicuramente ancora oggi l'Egitto è

considerato un paese molto impegnato nel

trovare una soluzione alla questione

palestinese e gli stessi USA considerano

Mubarak un interlocutore rispettabile e

affidabile, quindi non facilmente sostituibile.

Anche se Mubarak riuscisse a farsi

succedere dal figlio Jamal, così come

lascia intendere l'articolo, non è detto che il

figlio abbia l'ascendente necessario sui

vertici palestinesi e della Lega Araba per

far accettare alla parte musulmana un

eventuale accordo di pace, che

inevitabilmente dovrà passare da un

esplicito impegno da parte musulmana a

riconoscere l'esistenza dello stato

israeliano.

Qui è la chiave, almeno per quel che

riguarda, la posizione musulmana. Le

odierne minacce di Hamas fanno capire

come nell'ala oltranzista del mondo

musulmano l'idea di accettare Israele non

piaccia per nulla.

Israele-Palestina. Il rischio egiziano.Eric Draven

Esteri

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Nel momento in cui mi accingo a scrivere queste poche righe Sakineh Mohammadi Ashtiani è ancora viva. Classe 1967, due anni meno di me,

potremmo essere facilmente sorelle.

Non oso pensare al suo personalissimo inferno, non posso non pensare alle torture che sicuramente ha subito, siano 99 a 198 frustate, so che è una

delle tante e troppe donne che sarà assassinata in modo barbaro. A colpi di pietra, soffrendo.

Forse la mobilitazione internazionale fermerà le pietre. Ma per una donna che viene salvata altre vengono brutalmente uccise senza clamore,

In Somalia il 27 Ottobre 2009 Aisha Ibrahim Duhulow è stata lapidata a morte da un gruppo di 50 uomini. L'esecuzione è avvenuta presso lo stadio

della città di Chisimaio di fronte a circa mille spettatori. Aisha proveniva da un campo profughi Keniota, e al suo arrivo a Chisimaio era stata stuprata

da tre uomini, Rivoltasi per avere giustizia ai miliziani, era stata arrestata, accusata di adulterio e lapidata. I suoi stupratori vivono. Aisha aveva

confessato e fornito le prove dei suoi crimini ed ha ovviamente accettato felicemente la pena che le era stata inflitta secondo la legge islamica.

All’esecuzione erano presenti osservatori che hanno rilasciato ad Amnesty International il racconto di una bambina trascinata a forza nel luogo di

esecuzione e colpita dopo essere stata seppellita, La lapidazione si è interrotta brevemente per essere ripresa, dopo avere accertato che la bambina

fosse viva.; fatto ciò, la lapidazione è ripresa fino alla sua morte.

Fermiamo le pietre in qualsiasi modo. Anche firmando la petizione online per Sakineh.

http://www.petizionionline.it/petizione/salviamo-la-vita-di-sakineh-la-giovane-condannata-alla-lapidazione-per-adulterio/2023

Fulvia

Sakineh Mohammadi AshtianiFulvia

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Chi non conosce Antonio Vivaldi? Chi non si

è mai imbattuto almeno una volta in vita sua

anche solo in uno dei movimenti che

costituiscono quei quattro concerti

universalmente conosciuti come “Le quattro

stagioni”, tratti dalla raccolta intitolata “Il

cimento dell’armonia e dell’invenzione”?

Oggi il nome di Vivaldi risulta quantomeno

familiare a chiunque, così come la sua

musica. Eppure molti non sanno che la

riscoperta della sua vasta produzione, la

quale ancora oggi pare non sia stata

totalmente recuperata, è cosa abbastanza

recente, come la sua ritrovata celebrità.

Dopo la sua morte infatti, avvenuta a Vienna

in circostanze misteriose e della quale

nessuno, in quel 1741, fece caso, la musica

(e il nome) del compositore e sacerdote

veneziano Antonio Vivaldi rimase per più di

un secolo sepolta sotto la polvere delle

biblioteche, al contrario di quanto accadde

negli anni in cui la sua attività di

compositore, violinista, direttore d’orchestra

ed insegnante fu apprezzata in tutta Europa.

Già durante gli ultimi anni di vita il suo nome

venne scalzato da quelli dei più giovani e

“moderni” Tartini, Locatelli e Pergolesi.

Il merito di questa riscoperta si deve

indirettamente al celebre compositore

tedesco Felix Mendelssohn (1809-1847), il

quale, dopo aver trovato quasi per caso in

una biblioteca l’ormai dimenticata partitura

della “Passione secondo Matteo” di

J.S.Bach, diede inizio a quella che viene

definita la “Bach-Renaissance”.

Ed è proprio grazie a quest’ultima che gli

addetti ai lavori si imbatterono nel nome di

Vivaldi, in quanto dopo il recupero delle

partiture del maestro di Eisenach, fu subito

evidente, soprattutto dopo il rinvenimento di

numerose trascrizioni di diversi concerti

vivaldiani, l’influenza esercitata dal “prete

rosso” sul sommo compositore e organista

tedesco.

All’inizio si credette che le partiture delle

opere di Vivaldi fossero andate perdute. Poi

alcuni studiosi curarono le prime edizioni

pratiche di alcune opere vivaldiane basate

Nell’autunno di quell’anno il rettore del

collegio salesiano di San Carlo di San

Martino Monferrato si rivolse alla biblioteca

torinese affinché quest’ultima valutasse

l’ipotesi di acquistare una collezione

musicale che i salesiani volevano vendere

per poter così recuperare i fondi per i lavori

di restauro dello stesso collegio. I salesiani

ricevettero in dono tale collezione dagli

eredi di un certo marchese Marcello

Durazzo. La famiglia Durazzo, genovese, è

rinomata in ambito musicale grazie al

marchese Giacomo, il quale fu non solo un

eccellente organizzatore musicale, ma

anche colui che permise a Gluck e al suo

librettista Calzabigi, di far rappresentare per

la prima volta l’“Orfeo” nel 1762. Tuttavia il

marchese cadde in disgrazia, a causa di

una sua irrefrenabile abitudine ad

intrattenere frequenti rapporti “galanti” con

cantanti e ballerine che gli costavano un

occhio della testa. Ciononostante riuscì a

cadere in piedi. Nel 1765 venne inviato a

Venezia in qualità di ambasciatore

austriaco ben stipendiato. Nella città

lagunare egli si dedicò all’attività di

collezionista, rifornendosi all’Ospedale della

Pietà dove Vivaldi, come sappiamo, aveva

prestato servizio per circa quarant’anni.

Gentili intuì subito l’importanza di ciò che gli

capitò tra le mani e si mise subito alla

ricerca di un mecenate disposto ad

acquistare la collezione per farne poi dono

alla biblioteca. Si fece avanti il banchiere

torinese Roberto Foà, il quale effettuò le

operazioni di acquisto e donazione il 23

marzo del 1927 in memoria del figlio

Mauro, morto in tenera età.

Studiando meglio le partiture, Gentili si

accorse che esse erano incomplete,

mancavano cioè diverse pagine. Con Torri

decise allora di intraprendere una ulteriore

ricerca, probabilmente molto più laboriosa

della prima. Si misero così a ricostruire

l’albero genealogico della famiglia Durazzo,

un lavoro certosino che li portò ad

imbattersi in un vecchio misantropo, tale

Giuseppe Maria, nipote di quel Durazzo da

cui provenivano i manoscritti del collegio

salesiano.

Antonio Vivakdi

però su trascrizioni piene zeppe di aggiunte

e errori. Ma almeno queste edizioni ebbero

il merito di aver reso noto, a molti violinisti

dilettanti, la musica e un primo accenno

dello stile del maestro veneziano.

La vera svolta si ebbe negli anni 1926-

1930, quando si riuscì a mettere le mani su

una imponente collezione di musiche prima

di allora sconosciute. La storia di questo

rinvenimento è quasi un piccolo romanzo

che cercheremo qui, brevemente, di

riassumere.

I due studiosi che materialmente misero le

mani su questa collezione furono il direttore

della Biblioteca Nazionale di Torino, Luigi

Torri, e il titolare di Storia della Musica,

Alberto Gentili. La collezione comprendeva

300 Concerti, 8 Sonate, 14 opere complete,

5 volumi di composizioni vocali sacre e 2 di

composizioni vocali profane. La strada che

percorse questa collezione prima di

giungere nelle mani dei due studiosi fu

abbastanza tortuosa. Durante le guerre

napoleoniche l’orchestra di corte di Torino

fu costretta a lasciare la città piemontese.

Essa si trasferì, insieme alla corte, in

Sardegna. Non poterono però portarsi

appresso il loro imponente archivio

musicale che venne quindi nascosto. Lo

nascosero così bene che quando

ritornarono non riuscirono più a trovarlo.

Gentili ricercò questo archivio per decenni

e nel 1926 credette di aver finalmente

concluso questa estenuante ricerca.

Cultura

Le rinascita musicale del Prete Rosso- segue

Frescobaldi

1

Foà e a Renzo Giordano, e i volumi siglati

da un medaglione con l’effige dei due

bimbi. Tuttavia passarono ancora diversi

anni prima che la raccolta venisse

pubblicata, in quanto il vecchio marchese

Durazzo, nel suo testamento, ne dispose

l’assoluto divieto di pubblicazione e furono

dunque necessarie lunghe e laboriose

procedure statali e anche canoniche

affinché la clausola venisse rimossa.

Nel 1939 si poterono finalmente udire a

Siena le opere tratte dall’intera collezione

Durazzo durante la “Settimana Vivaldi”

organizzata dall’Accademia Chigiana

senese. Nei programmi di sala il

compositore veneziano veniva descritto

Nella sua disordinatissima biblioteca si

trovavano le partiture mancanti. Il marchese

Giuseppe Maria era tuttavia furioso nei

confronti dei salesiani che, secondo lui, non

avrebbero dovuto vendere quei manoscritti.

Alla fine, dopo pazienti trattative, il marchese

acconsentì alla vendita. Gentili intraprese

così, per la seconda volta, la ricerca di un

mecenate, ed anche questa volta ebbe

successo. Il fabbricante di tessuti Filippo

Giordano si dichiarò disposto a versare la

somma richiesta per onorare, scherzi del

destino, la memoria di suo figlio Renzo,

morto anch’egli, come il figlio di Foà, in

tenera età. Le due parti delle raccolte sono

da allora riunite a Torino, intestate a Mauro

come uno dei più grandi ma anche dei meno

conosciuti fra i musicisti del Settecento”. Da

allora il nome di Vivaldi iniziò ad essere

collocato accanto a quelli dei più grandi

compositori di sempre. Questa collocazione

non fu tuttavia unanimemente condivisa. Il

grande compositore russo Igor Stravinsky

infatti, definì Vivaldi un compositore che

scrisse centinaia di volte lo stesso concerto,

preferendogli di gran lunga Pergolesi. Non ci

sentiamo di condividere questo giudizio,

seppur espresso da una delle voci più

autorevoli della composizione musicale del

XX secolo, preferiamo modestamente

definire Vivaldi un antesignano del

minimalismo.

Frescobaldi

come “…uno dei

La rinascita musicale del Prete Rosso

Frescobaldi