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LE ARTI -------------------------------------------- 287 ------ L'autore fu molto applaudito insieme col direttore Angelo Questa. Nella stessa sede s'è ascoltato per la prima volta dal valente violinista Max Strub e dal direttore Alberto Erede il Concerto per violino e orchestra in si minore che Hans Pfitzner compose nel 1924 e che nella recente produ- zione concertistica è stimato uno dei migliori. La notorietà dello Pfitzner in Germania è dive- nuta in questi ultimi anni assai vasta. Per ri- flesso, si ha in Italia qualche saggio di lui, ora che ha passato i settant'anni .. (Perchè finora nessun direttore d'orchestra, nessun concerti- sta, nessun teatro s'è occupato delle sue sonate, dei suoi Lieder, del suo Palestrina? La risposta è la stessa, ancora una volta: la gran pigrizia degli esecutori e degli impresari nell'uscire dal proprio repertorio). In questo Concerto lo Pfitz- ner annuncia il proposito di conciliare ciò che del concerto solistico può oggi sopravvivere con l'andamento proprio delle variazioni e con l'am- piezza di svolgimento necessario a una sonata, anzi a una sinfonia. Il solista reca quattro temi ben distinti, il primo e il quarto segnatamente ritmici, uno vivace e l'altro brioso, il secondo e il terzo invece melodici, l'uno grave, su un agitato basso, l'altro lento, cromatico, doloroso. L'orchestra ora nel suo complesso, ora con gruppi isolati, partecipa allo svolgimento sinfo- nico e raggiunge sovente notevoli espressioni drammatiche. Nella composizione, elaboratissi- ma, si sente la corrente della generazione di Reger, di Bruckner, di Mahler , complessità, pienezza, polifonia, ridondanza, e, come in , Strauss, volubilità fra il patetico, il tragico, e il faceto, lo scherzoso. Ma Strauss è geniale e ha una s ua impronta. In questo Concerto c'è la maniera regeriana, mentre la discontinuità del carattere è tale da escludere il riconosci- mento d'uno stile proprio. A. DELLA CORTE. MUSICHE NUOVE A FIRENZE. La stagione sinfonica del Teatro Comunale non ha solo importanza per la successione di dir ettori acclamati, ma per la presentazione in ?gni concerto di lavori nuovi, alcuni dei quali esecuzione assoluta. Primo degli ita- lIam ad inaugurare la serie delle novità è stato Ettore Desderi, direttore del Liceo musicale di Alessandria, autore di una bella cantata biblica Job per soli, coro e orchestra, eseguita con successo a Francoforte, Dusseldorf , Milano, di una Fantasia- Variazioni su tema di Beethoven, trasmessa più volte per Radio, di un Salmo 87 per baritono e orchestra, applaudito alla Fiera Internazionale di Venezia nel 1938 e della Missa dona pacem, apparsa nei programmi di Aqui- sgrana, Vienna e altre città della Germania. Il lavoro eseguito a Firenze era costituito da Tre intermezzi all' « Antigone» di Sofocle. Essi han- no la intenzione di tradurre musicalmente lo svolgersi dei vari stati d'animo dell'Antigone sofoclea: il martirio e la morte del padre (IO in- termezzo)' il dolore e la rinuncia al sogno amo- roso (2 0 intermezzo), la lotta fratricida fra Eteo- cle e Polinice (3 0 intermezzo). La musica di Desderi si ferma in nuclei tematici chiusi in se stessi, Senza abbandonarsi a svolgimenti discor- sivi, ne intensifica il valore espressivo a mezzo di colori e di impasti strumentali, e, se non ricerca novità assolute di timbri e di amalgame, si raccoglie per altro in un ordine architettonico ben definito. In altro concerto è apparso il Ditirambo di Gabriele Bianchi, tolto dal Balletto delle Stagio- ni che fu ammesso al Concorso internazionale di Vienna del 1936. Bianchi - che è titolare di composizione nel R. Conservatorio di Vene- zia - proviene dalla scuola di Malipiero, dal quale ha appreso il gusto dell'istrumentale fon- dato sulla purezza dei timbri dissociati, e la libertà dello svolgimento tematico, non chiuso in formali progressioni, care al sinfonismo ro- mantico. Una sua personalità si palesa nella della dialettica sonora, e nella finezza della selezione ritmica ed armonica. Questo Di- tirambo si parte e si chiude in una vivacità quasi orgiastica di ritmo vario e concitato, e solo si placa nel mezzo in una canora linearità . Lavoro nobile, non sempre originale, ma con- dotto con sicura padronanza. [ r.',('( Pietro Ferro, direttore del Liceo musicale « Luisa d'Annunzio» di Pescara, si è presentato con la prima parte di un suo balletto Persefone tratto dai Fasti di Ovidio. Esso è indirizzato al momento in cui Persefone, la bellissima figlia di Cerere, aspira alla conoscenza dell'amore, mentre Ninfe e Amorini intrecciano, nella eb- brezza dei profumi salienti dalla terra sicula, la folle danza della « Sicinnite l). Ferro segue l'azione con intima aderenza alla poesia della favola ora con ferme atmosfere armoniche, or con motivi di danza leggera, or con cantabilità vibrante di sensuale abbandono. Qualche fram- mentarismo di elementi successivi, qualche so- norità di chiara derivazione, non infirmano sen- sibilmente il lavoro, volto ad una rapsodica ma- niera di comporre, che gli viene dall'esempio di ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

Le Arti 1940-41 - Ministero per i Beni e le Attività

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L'autore fu molto applaudito insieme col direttore Angelo Questa.

Nella stessa sede s'è ascoltato per la prima volta dal valente violinista Max Strub e dal direttore Alberto Erede il Concerto per violino e orchestra in si minore che Hans Pfitzner compose nel 1924 e che nella recente produ­zione concertistica è stimato uno dei migliori. La notorietà dello Pfitzner in Germania è dive­nuta in questi ultimi anni assai vasta. Per ri­flesso, si ha in Italia qualche saggio di lui, ora che ha passato i settant'anni . . (Perchè finora nessun direttore d'orchestra, nessun concerti­sta, nessun teatro s'è occupato delle sue sonate, dei suoi Lieder, del suo Palestrina? La risposta è la stessa, ancora una volta: la gran pigrizia degli esecutori e degli impresari nell'uscire dal proprio repertorio). In questo Concerto lo Pfitz­ner annuncia il proposito di conciliare ciò che del concerto solistico può oggi sopravvivere con l'andamento proprio delle variazioni e con l'am­piezza di svolgimento necessario a una sonata, anzi a una sinfonia. Il solista reca quattro temi ben distinti, il primo e il quarto segnatamente ritmici, uno vivace e l'altro brioso, il secondo e il terzo invece melodici, l'uno grave, su un agitato basso, l'altro lento, cromatico, doloroso. L'orchestra ora nel suo complesso, ora con gruppi isolati, partecipa allo svolgimento sinfo­nico e raggiunge sovente notevoli espressioni drammatiche. Nella composizione, elaboratissi­ma, si sente la corrente della generazione di Reger, di Bruckner, di Mahler, complessità, pienezza, polifonia, ridondanza, e, come in

, Strauss, volubilità fra il patetico, il tragico, e il faceto, lo scherzoso. Ma Strauss è geniale e ha una sua impronta. In questo Concerto c'è la maniera regeriana, mentre la discontinuità del carattere è tale da escludere il riconosci­mento d'uno stile proprio.

A. DELLA CORTE.

MUSICHE NUOVE A FIRENZE.

La stagione sinfonica del Teatro Comunale non ha solo importanza per la successione di direttori acclamati, ma per la presentazione in ?gni concerto di lavori nuovi, alcuni dei quali l~ ~rima esecuzione assoluta. Primo degli ita­lIam ad inaugurare la serie delle novità è stato Ettore Desderi, direttore del Liceo musicale di Alessandria, autore di una bella cantata biblica Job per soli, coro e orchestra, eseguita con successo a Francoforte, Dusseldorf, Milano, di

una Fantasia- Variazioni su tema di Beethoven, trasmessa più volte per Radio, di un Salmo 87 per baritono e orchestra, applaudito alla Fiera Internazionale di Venezia nel 1938 e della Missa dona pacem, apparsa nei programmi di Aqui­sgrana, Vienna e altre città della Germania. Il lavoro eseguito a Firenze era costituito da Tre intermezzi all' « Antigone» di Sofocle. Essi han­no la intenzione di tradurre musicalmente lo svolgersi dei vari stati d'animo dell'Antigone sofoclea: il martirio e la morte del padre (IO in­termezzo)' il dolore e la rinuncia al sogno amo­roso (20 intermezzo), la lotta fratricida fra Eteo­cle e Polinice (30 intermezzo). La musica di Desderi si ferma in nuclei tematici chiusi in se stessi, Senza abbandonarsi a svolgimenti discor­sivi, ne intensifica il valore espressivo a mezzo di colori e di impasti strumentali, e, se non ricerca novità assolute di timbri e di amalgame, si raccoglie per altro in un ordine architettonico ben definito.

In altro concerto è apparso il Ditirambo di Gabriele Bianchi, tolto dal Balletto delle Stagio­ni che fu ammesso al Concorso internazionale di Vienna del 1936. Bianchi - che è titolare di composizione nel R. Conservatorio di Vene­zia - proviene dalla scuola di Malipiero, dal quale ha appreso il gusto dell'istrumentale fon­dato sulla purezza dei timbri dissociati, e la libertà dello svolgimento tematico, non chiuso in formali progressioni, care al sinfonismo ro­mantico. Una sua personalità si palesa nella sobriet~ della dialettica sonora, e nella finezza della selezione ritmica ed armonica. Questo Di­tirambo si parte e si chiude in una vivacità quasi orgiastica di ritmo vario e concitato, e solo si placa nel mezzo in una canora linearità. Lavoro nobile, non sempre originale, ma con­dotto con sicura padronanza. [r.',('( Pietro Ferro, direttore del Liceo musicale « Luisa d'Annunzio» di Pescara, si è presentato con la prima parte di un suo balletto Persefone tratto dai Fasti di Ovidio. Esso è indirizzato al momento in cui Persefone, la bellissima figlia di Cerere, aspira alla conoscenza dell'amore, mentre Ninfe e Amorini intrecciano, nella eb­brezza dei profumi salienti dalla terra sicula, la folle danza della « Sicinnite l). Ferro segue l'azione con intima aderenza alla poesia della favola ora con ferme atmosfere armoniche, or con motivi di danza leggera, or con cantabilità vibrante di sensuale abbandono. Qualche fram­mentarismo di elementi successivi, qualche so­norità di chiara derivazione, non infirmano sen­sibilmente il lavoro, volto ad una rapsodica ma­niera di comporre, che gli viene dall'esempio di

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Giuseppe Mulè, e che si palesa specialmente nei melismi della voce cantante sulla fine del brano.

Nell'ultimo concerto di questo primo periodo concertistico abbiamo ascoltato la recentissima composizione di Guido Guerrini, scritta da lui dietro invito di Fabien Servitzky direttore del­l'orchestra sinfonica di Indianapolis per celebra­re il cinquantenario di quel celebre organismo. Si tratta di Sette Variazioni sopra una Sara­banda di Corelli (Sonata 8a, Op. V) . È un la­voro di particolare importanza, per l'impegno con cui è stato concepito e per la originale realizzazione in orchestra d'archi, con piano­forte, trattata a modo di Concerto grosso. Spe­cialmente nella terza e nella sesta variazione Guerrini è giunto alla conquista più piena e personale del mondo suggerito dal tema corel­liano, trasportandolo nel mondo del proprio spi­rito senza più alcun residuo estraneo. Nella ter­za, infatti, sulla linea tematica sostenuta « a co­rale» dal violino e dal violoncello soli, si di­stende un movimento delicatissimo degli altri archi che ne compie la trasfigurazione in un processo di intensità lirica fino al suo esauri­mento. N ella sesta, che più che variazione è una amplificazione tematica, il centro della con­quista trova il suo completo sfogo mercè una libertà lineare più lontana dalla lettera corel­liana, sebbene sempre illuminata dallo spirito, e

una complessità contrappuntistica nel gioco del « concertino » e del « ripieno ». Il brano, dopo una breve ma fantasiosa cadenza del violino solo, si chiude con un ricordo più determinato del tema, sposato con gli altri elementi già svolti in principio.

Uno straniero, ma che vive ormai da tempo in Italia, e che ha scelto a sua dimora fissa Firenze, è il russo Igor Markevitch, che in un concerto, da lui diretto, ha presentato una sua nuovissima Sinfonia concertante per voce e or­chestra ispirata ad alcune canzoni amorose di Lorenzo il Magnifico . Siamo grati a questo gio­vane e già celebre musicista dell'omaggio che gli ha voluto offrire alla nostra terra e alla no­stra civiltà toscana. Artista coltivato, musicista agguerrito, egli è uno dei più convinti della ne­necessità di indirizzare la musica verso una sua vita superpersonale ed oggettiva, di contro ad una concezione di essa rivolta a sopravalutare l'individuo e la sua espressione intima e per­sonale. Vecchia ' quistione che ci sembra abbia da tempo esaurito la sua funzione re attiva alle infatuazioni e superfetazioni romanticheggianti di cinquant'anni fa. Giustificata posizione, an­cor oggi, a patto di giungere, come talora vi giunge Markevitch, alla creazione di bellezza, che trovi eco nell'anima contemporanea.

ADELMO DAMERINI.

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