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E’ vero che l’invecchiamento cerebrale è irreversibile? E che la degenerazione delle facoltà mentali dovuta all’età impedisce di apprendere in modo efficace e stimolante? L’articolo tenta di rispondere a queste domande sulla base delle nuove scoperte delle neuroscienze sulla natura plastica del cervello. Un affascinante viaggio in un mondo di confine tra le scienze biologiche e la didattica.
Citation preview
APPRENDERE NELLA TERZA ETÀ
Nel summit di Lisbona del 2000 gli Stati
membri dell’Unione Europea hanno stabilito
un ambizioso obiettivo da raggiungere nei
prossimi anni: rendere l’Europa la società più
competitiva del mondo, realizzando
pienamente un’economia basata sulla
conoscenza e sull’apprendimento durante
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20081
LE BASI NEUROFISIOLOGICHE
DELL’APPRENDIMENTO PERMANENTE
Eleonora Guglielman
ABSTRACT
Il ruolo dell’educazione degli adulti sta acquisendo un’importanza crescente nel quadro delle politiche e delle
strategie operate a livello europeo e internazionale per la promozione dell’apprendimento permanente. La
partecipazione degli adulti alle attività formative è però ancora piuttosto bassa, nonostante gli incentivi e le
iniziative mirate a consentire a tutti i cittadini l’accesso ai percorsi di istruzione e formazione in tutte le età
della loro vita. La partecipazione tende a decrescere in concomitanza con l’aumentare delle età: la maggiore
difficoltà che i discenti anziani incontrano nell’intraprendere un processo di formazione è dovuta al
decadimento delle funzioni cerebrali, che provoca un indebolimento generale delle capacità di
concentrazione, della memoria e della flessibilità mentale.
Fino a pochi decenni fa si riteneva che l’invecchiamento cerebrale e le sue conseguenze fossero inevitabili;
tale credenza si basava su un concetto statico del cervello, che a partire dalla maturità subiva un processo
degenerativo irreversibile provocato dalla morte dei neuroni e dall’impossibilità di una loro rigenerazione.
Oggi i progressi delle neuroscienze dimostrano che l’invecchiamento intellettuale può essere reversibile: il
cervello è plastico in tutte le età della vita. Ciò consente una ristrutturazione delle mappe cerebrali e un
miglioramento delle funzionalità mentali attraverso esperienze di apprendimento. Un allenamento mentale
specifico può migliorare le rappresentazioni nella corteccia motoria e sensoriale, migliorare la trasmissione di
segnali e restituire efficienza alle connessioni neuronali. L’apprendimento modifica il cervello attraverso la
neuroplasticità: l’anziano può recuperare gran parte delle sue capacità mentali dedicandosi ad attività cognitive
e motorie stimolanti, svolgendo esercizi appositamente studiati per stimolare la ristrutturazione corticale
neuroplastica.
Il neuroscienziato Michael Merzenich attraverso i suoi studi è giunto alla conclusione che un programma
specifico di attività in grado di stimolare nuove connessioni neuronali e di riorganizzare le mappe corticali
può far sì che anche nella terza età l’apprendimento divenga un’esperienza efficace e gratificante. L’incontro
tra la ricerca svolta in campo neuroscientifico sulla plasticità del cervello e la ricerca nel campo
dell’educazione degli adulti potrebbe offrire un contributo notevole per lo sviluppo di nuove metodologie e
strategie di insegnamento e apprendimento per la promozione del Lifelong Learning.
l’intero arco della vita. Nel quadro delle
strategie e delle politiche per il Lifelong
Learning tutti i cittadini devono avere
l’opportunità di acquisire conoscenze e
competenze, e gli adulti devono poter usufruire
di occasioni di apprendimento anche nelle fasi
più avanzate della loro vita, sia che esse si
svolgano all’interno di istituzioni formative
formali sia che avvengano in una dimensione
di tipo non formale o informale1.
In un’Europa in cui la percentuale di persone
anziane rispetto all’età media della
popolazione è in costante crescita, emerge la
necessità di incrementare la partecipazione
degli adulti alle attività di apprendimento
permanente per contribuire al raggiungimento
degli obiettivi di Lisbona, resi operativi dal
Programma strategico2 Istruzione e formazione
2010.
Tra i mutamenti demografici che l’Europa si
trova ad affrontare, infatti, appare rilevante
quello dell’invecchiamento della popolazione3:
si calcola che nei prossimi trenta anni il
numero di europei di età inferiore ai 24 anni si
ridurrà del 15%; un europeo su tre avrà più di
60 anni, mentre uno su dieci supererà gli 80.
La Comunicazione della Commissione
Europea Educazione degli adulti: non è mai
troppo tardi per apprendere sottolinea come in
tale situazione migliorare le opportunità,
l’accesso e la qualità dell’educazione degli
adulti acquisti un significato decisivo per lo
sviluppo personale e l’inclusione sociale: “Un
incremento del livello generale delle
competenze della popolazione adulta, ottenuto
offrendo maggiori e migliori opportunità di
apprendimento lungo tutto l’arco della vita
adulta è importante sia per motivi di efficienza
che per motivi di equità, tenuto conto delle
sf ide identif icate precedentemente.
L’educazione degli adulti ha come risultato non
solo di renderli lavoratori più efficienti e
cittadini più attivi e meglio informati, ma
contribuisce anche al loro benessere
personale”4.
Il documento prosegue elencando una serie di
vantaggi derivanti da un’azione strategica di
sistema per l’educazione degli adulti, a
cominciare da quelli che hanno un’immediata
ricaduta a livello economico e produttivo -
maggiore possibilità di impiego, aumento della
competitività, minori spese per i contributi
sociali e per le pensioni anticipate - per arrivare
alle conseguenze sul benessere individuale:
autorealizzazione, invecchiamento attivo,
migliore stato di salute nelle persone adulte.
L’educazione degl i adul t i r ives te
un’importanza cruciale nel contesto delle
politiche per l’invecchiamento attivo ed
emerge la necessità di un suo riconoscimento
in termini di visibilità, priorità e risorse5.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità rileva
come bassi livelli culturali e di scolarizzazione
siano correlati a un aumento del rischio di
disabilità e morte negli anziani; l’educazione
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20082
permanente può supportare queste persone
nell’acquisizione di nuove capacità,
sviluppando in esse il senso di sicurezza
necessario a vivere in maniera autonoma e
indipendente. In altre parole l’apprendimento
contribuisce a conservare l’individuo attivo e
flessibile6.
Sussiste però un ostacolo per un
apprendimento che possa prolungarsi anche in
tarda età: il declino mentale correlato al
deterioramento delle funzioni cerebrali, che si
determina nella fase più avanzata della vita.
Con il progredire dell’età diminuisce la
capacità di generare nuove sinapsi tra i neuroni
in risposta a stimoli esterni, capacità che è alla
base di funzioni fondamentali e complesse
come memor ia e apprend imento .
L’invecchiamento del cervello causa una serie
di cambiamenti: riduzione del volume del
cervello e in particolare della materia grigia,
atrofia progressiva dei neuroni e delle loro
interconnessioni, degenerazione delle regioni
corticali che presiedono alle funzioni di
sensazione, cognizione, memoria e controllo
motorio, declino metabolico dei neuroni chiave
e perdita di funzionalità connessa a
deterioramenti di ordine fisico e chimico7.
Acquisire nuove conoscenze e apprendere
nuove abilità diviene così più difficile, e
l’esecuzione di compiti richiede uno sforzo
maggiore rispetto a quello che devono
affrontare i discenti più giovani.
Il problema è stato affrontato sotto il duplice
aspetto neurologico ed educativo dall’OECD,
che nel 2001 ha organizzato a Tokio il Forum
per il progetto Learning Science and Brain
Research, nel quale si sono dibattute le
t e m a t i c h e r e l a t i v e a l l a n a t u r a
dell’invecchiamento cerebrale e la funzionalità
cognitiva nella terza età. I dati raccolti
dall’OECD mostrano un declino generale di
molte capacità cognitive tra i 20 e gli 80 anni,
che si riflette soprattutto su compiti quali la
lettura, il riconoscimento di lettere e parole e in
generale sulla memoria. Il decadimento inizia
attorno ai 30 anni e si accelera dopo i 50; è
caratterizzato da vuoti di memoria,
rallentamenti nel ragionamento, difficoltà
comunicative, lapsus8.
La peculiarità dell’adulto e la sua specificità in
quanto soggetto che apprende richiede la messa
a punto di strategie e approcci di tipo
andragogico che rispondano espressamente al
suo fabbisogno, individuando i fattori e le
variabili da tenere sotto controllo affinché
l’azione formativa sia efficace. I più recenti
studi nel campo dell’educazione degli adulti e
della geragogia pongono in rilievo come
l’apprendimento in età adulta si caratterizzi per
il suo essere olistico, centrato cui problemi,
contes tual izzato e personal izzato9 .
L’apprendimento nella terza età è quello che
appare essere più problematico: l’involuzione
senile legata all’invecchiamento dei tessuti
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20083
cerebrali provoca una perdita di efficienza
della mente che progredisce con l’avanzare
dell’età e che rende ancora più complessa la
progettazione e realizzazione di interventi
formativi adeguati alle caratteristiche dei
discenti anziani. Questi ultimi, infatti,
incontrano difficoltà sempre maggiori
nell’esecuzione dei compiti man mano che la
loro età progredisce.
Oggi le ricerche compiute nel campo delle
neuroscienze dimostrano che è possibile
scongiurare il decadimento delle facoltà
intellettuali, e che è possibile mantenere attive
le funzionalità del cervello per apprendere in
modo efficace e soddisfacente anche in tarda
età; che, insomma, l’apprendimento può
davvero essere permanente. La parola chiave è
neuroplasticità.
I L M O D E L L O S TAT I C O D E L
LOCALIZZAZIONISMO
Quando parliamo di neuroplasticità facciamo
riferimento al cambiamento che si verifica nel
cervello come conseguenza di un’esperienza e
che implica il trasferimento di determinate
funzioni ad aree cerebrali diverse da quelle
originariamente ad esse destinate. Per spiegare
meglio il significato del termine dobbiamo fare
un passo indietro e illustrare qual era la visione
del cervello comunemente accettata fino a
pochi decenni fa.
In passato gli scienziati ritenevano che le
diverse aree del cervello umano fossero
predefinite e immutabili e che la produzione di
neuroni cessasse dopo l’età dello sviluppo, ad
eccezione delle strutture dedicate alla memoria,
le quali seguitano a produrre neuroni anche in
età adulta. Ciò faceva del cervello un
organismo che, una volta raggiunto il suo pieno
sviluppo, diveniva statico e incapace di
crescere ulteriormente ed era perciò
condannato a un lento e inesorabile declino.
La nozione di plasticità era limitata al così
detto periodo critico, ossia il periodo
dell’infanzia corrispondente alla fase pre-
puberale, in cui il cervello è particolarmente ad
apprendere con uno sforzo minimo nuove
abilità come, ad esempio, imparare una
seconda lingua oltre a quella madre10. Il primo
a individuare la caratteristica della plasticità a
livello linguistico è stato da Eric Lenneberg
(1921-1975), linguista e neurologo tedesco;
questo concetto di plasticità negli ultimi
vent’anni è stato esteso a tutte le funzioni
cerebrali e a tutte le età dell’individuo. Oggi le
ricerche dimostrano che nelle aree corticali
avvengono dei cambiamenti sostanziali e che
l’apprendimento, il pensiero e l’azione
trasformano profondamente le strutture
funzionali anatomiche del cervello.
Il modello dominante è stato rappresentato per
decenni dal localizzazionismo, secondo il quale
la corteccia cerebrale è composta da regioni
distinte, destinata a funzioni specifiche:
linguaggio, visione, udito, ecc. Il precursore di
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20084
questa idea fu il neuroanatomista tedesco Franz
Joseph Gall (1758-1828), fondatore della
frenologia, che ipotizzò che la corteccia
cerebrale fosse suddivisa in zone
corrispondenti alle 27 facoltà mentali
riconosciute dalla psicologia dell’epoca.
L’elenco delle “facoltà” era piuttosto
eterogeneo e comprendeva, accanto alla
memoria, la speranza, la fede, l’amore
romantico e concetti simili. Gall arrivava a
correlare il maggiore o minore sviluppo di tali
facoltà nell’individuo con la prominenza della
parte corrispondente del cranio: a un maggiore
sviluppo fisico di una zona craniale
corrispondeva un maggiore sviluppo della
facoltà che “risiedeva” in quella zona.
Malgrado la sua teoria appaia oggi piuttosto
ingenua, nell’epoca in cui fu formulata suscitò
un grande scalpore. Per la prima volta, infatti,
uno scienziato azzardava l’idea che i processi
mentali hanno una matrice biologica e si
originano nel cervello, in contrasto con la
concezione dominante dell’epoca, basata sul
dualismo cartesiano, che distingueva res
cogitans e res extensa operando una scissione
tra corpo e mente. Quest’ultima era considerata
un’entità spirituale, e come tale non
conoscibile né investigabile.
La teoria di Gall, oltre a suscitare scandalo nel
mondo cattolico, che aveva abbracciato l’idea
del dualismo cartesiano e che non accettava
che la mente avesse una realtà fisiologica,
innescò una serie di polemiche tra gli
scienziati. Il fisiologo francese Pierre-Jean-
Marie Flourens (1794-1867) fu uno dei
principali fautori della posizione opposta, che
vedeva nel cervello un organo indifferenziato,
giungendo alla conclusione che, poiché nella
corteccia cerebrale tutte le regioni sono in
grado di svolgere qualsiasi funzione, tutte le
nostre percezioni sono riconducibili a un’unica
facoltà.
Fig. 1 - Cranio umano annotato dal pastore Oberlin
secondo il sistema di Franz Joseph Gall (Museo Jean-Frédéric Oberlin di Waldersbach).
Il dibattito giunse a una svolta con gli studi di
Broca e Wernicke, due medici che ebbero
modo di esaminare i danni cerebrali subiti da
individui colpiti da forme di afasia e che per
primi ipotizzarono la diversa specializzazione
dei due emisferi cerebrali. I loro studi hanno
dato luogo al modello attuale, che assegna
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20085
differenti funzioni a differenti aree cerebrali
corrispondono: i lobi frontali sono i centri
neuronali che presiedono alle attività di
giudizio e programmazione, all’elaborazione di
concetti, l’organizzazione e il controllo dei
movimenti; i lobi parietali sono i centri di
elaborazione delle informazioni somatiche e
sensoriali primarie, ossia quelle provenienti da
cute, muscoli, articolazioni e organi interni; i
lobi temporali raccolgono ed elaborano le
informazioni uditive; i lobi occipitali elaborano
le informazioni visive primarie.
Paul Broca (1824-1880), chirurgo francese, nel
1861 individuò per primo l’area cerebrale in
cui risiede la produzione del linguaggio. Gli
studi di Broca si basavano sull’esame di
pazienti che presentavano un tipo di afasia che
li rendeva incapaci di esprimersi attraverso il
linguaggio, e che tuttavia erano ancora in grado
di comprenderlo. Le autopsie effettuate da
Broca dopo la morte dei pazienti
evidenziavano lesioni localizzate nel lobo
frontale dell’emisfero sinistro, cosa che
convinse lo scienziato di aver individuato la
sede della funzione del linguaggio.
Gli studi successivamente compiuti dal medico
Carl Wernicke (1848-1905) permisero di
localizzare un’altra area che sembrava
responsabile, in una diversa maniera, della
funzione linguistica. Wernicke si occupò di
pazienti colpiti da un altro tipo di afasia, che
provocava in loro l’incapacità di comprendere
Fig. 2 - Localizzazione delle aree di Broca e di Wernicke (da NIH publication 97-4257, http://www.nidcd.nih.gov/
health/voice/aphasia.asp).
il significato di parole e frasi, e riscontrò che le
lesioni erano sempre situate nell’emisfero
sinistro, ma stavolta nel lobo temporale.
Gli studi di Broca e Wernicke hanno permesso
di corroborare e sviluppare ulteriormente
l’ipotesi localizzazionista di Gall e, attraverso
le successive sperimentazioni, di individuare le
principali funzioni svolte nei due emisferi
cerebrali. Secondo questo modello del cervello
l’emisfero destro ha il compito di elaborare le
informazioni in modo globale e percettivo-
spaziale, mentre l’emisfero sinistro presiede
alle capacità logico-matematiche e al
ragionamento simbolico, oltre a contentere i
centri di produzione e comprensione del
linguaggio.
Negli anni seguenti la rappresentazione del
cervello è stata arricchita sulla base di
osservazioni che hanno dimostrato che le
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20086
lesioni che interessano determinate parti del
cervello portano alla perdita di specifiche
funzioni; questi studi hanno consentito di
ricostruire una mappa della corteccia cerebrale,
della quale è stata proposta anche una
raffigurazione grafica (il così detto
homunculus).
La visione localizzazionista si è spinta a
ipotizzare un modello neuropsicologico nel
quale ciascuna regione cerebrale regola una
determinata funzione in modo autonomo e
senza interagire con le altre regioni, e che
presuppone che la struttura del cervello sia
fissa e immutabile: un modello che paragona il
cervello a una macchina, in cui ciascun
componente svolge una funzione stabilita e
geneticamente predeterminata. Una delle
conseguenze è che se uno di questi componenti
è danneggiato, non è possibile sostituirlo.
L’obsolescenza del cervello è perciò
considerata un processo irreversibile.
ANATOMIA DI UN CERVELLO
PLASTICO
Nella seconda metà del Novecento ha iniziato a
diffondersi, suffragata da dati sperimentali,
l’idea che il cervello è sufficientemente
plastico da potersi riorganizzare in caso di
bisogno anche in età adulta, e che i segnali
sensoriali possono essere elaborati in aree
diverse da quella ad essi destinata. Ad esempio,
chi ha subito danni che investono i centri del
linguaggio dell’emisfero sinistro ha la
possibilità di riacquistare la capacità di parlare
normalmente grazie alla ristrutturazione delle
aree cerebrali; i segnali tattili, a loro volta,
possono essere elaborati nella corteccia visiva
e convertiti in immagini, come dimostrano
alcuni esperimenti11. Comunemente si ritiene
che il cervello perda circa 100.000 neuroni
ogni giorno e che tale perdita sia irreversibile;
in realtà sono i neuroni di grandi dimensioni a
diminuire, mentre quelli di piccole dimensioni
aumentano di numero. Ciò provoca una
riduzione della plasticità, ma non significa che
si riducano le funzioni cognitive.
Il concetto di neuroplasticità è fondamentale
come approccio ai programmi terapeutici di
riabilitazione nel caso di traumi e danni
cerebrali. Il cervello umano non è “cablato”
con circuiti neurali fissi e immutabili; la rete
sinaptica cerebrale e le strutture correlate,
inclusa la corteccia cerebrale, si riorganizzano
attivamente grazie all’esperienza e alla pratica.
La neuroplasticità è correlata alla neurogenesi:
i neuroni danneggiati possono essere sostituiti
grazie alle cellule staminali (ossia le cellule
non specializzate capaci di trasformarsi in
qualunque tipo di cellula). Le cellule staminali
neuronali si riproducono dando origine a copie
esatte di se stesse, in maniera continua e senza
dare segni di invecchiamento; il processo di
neurogenesi si protrae in modo ininterrotto per
tutta la vita, fino alla morte dell’individuo. È
perciò evidente come la scoperta delle cellule
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20087
staminali neuronali sia stata determinante per
dimostrare che il cervello non smette mai di
produrre nuovi neuroni, neppure in età
avanzata; attualmente è allo studio la
possibilità di rimpiazzare i tessuti cerebrali
danneggiati degli individui adulti per
recuperarne le funzioni nel caso di malattie
degenerative e lesioni cerebrali.
Una delle teorie basate sul concetto di
plasticità è il darwinismo neuronale (o teoria
delle selezione dei gruppi neuronali), proposta
dallo scienziato Gerald Edelman alla fine degli
anni ’70 del secolo scorso. Si tratta di un
modello evoluzionistico secondo il quale le
mappe cerebrali non sono completamente
predeterminate a livello genetico ma
dipendono anche dall’esperienza individuale e
dall’interazione con l’ambiente. Le funzioni
cerebrali superiori sono il risultato di una
selezione che si attua in una duplice
dimensione: a livello della specie e a livello
funzionale e anatomico del singolo individuo. I
neuroni, presenti fin dalla nascita, si
organizzano e si aggregano, e a seconda del
loro effettivo utilizzo muoiono oppure
sopravvivono e si rafforzano; la selezione si
attua su gruppi di neuroni (reti neuronali).
Quella di Edelman si prospetta come una vera
e propria teoria evolutiva del cervello, il quale
ridefinisce la propria struttura attraverso
l’esperienza, secondo la plasticità sinaptica.
Il darwinismo neuronale si è sviluppato nello
stesso periodo in cui gli scienziati Michael
Merzenich e Jon Kaas dimostravano per via
sperimentale che se una mappa corticale non
riceve più stimoli sarà utilizzata per altre
funzioni, generalmente funzioni localizzate in
aree ad essa adiacenti, dando luogo a fenomeni
di riorganizzazione della corteccia cerebrale12.
IMPARA L’ARTE
La neuroplasticità è legata al concetto di
competitività: se smettiamo di esercitare le
nostre facoltà mentali non solo le
dimentichiamo, ma la mappa corrispondente è
automaticamente assegnata ad altre funzioni
che continuiamo a svolgere. In un certo senso
potremmo dire: impara l’arte e non metterla da
parte, anzi, continua a praticarla regolarmente.
La competitività spiega perché è così difficile
“disapprendere” qualcosa: se abbiamo
acquisito un comportamento che è divenuto
dominante occupando una mappa estesa, esso
offre resistenza ai tentativi di sostituirlo con un
comportamento diverso, impedendo che quella
stessa mappa sia occupata da altre funzioni.
Spiega anche la difficoltà di abbandonare le
cattive abitudini, e l’importanza di apprendere
un comportamento nell’infanzia, quando le
mappe cerebrali sono in via di strutturazione.
Secondo Merzenich la struttura del cervello e
le sue capacità cognitive possono essere
migliorate attraverso un esercizio appropriato.
Le mappe cerebrali si trasformano secondo ciò
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20088
che facciamo nel corso della nostra vita; cosa
più importante, esse sono in grado di
modificarsi a tutte le età, anche in quella
adulta. Partendo dall’idea che l’apprendimento
consiste nel creare nuovi legami tra i neuroni
attraverso la loro attivazione simultanea e
ripetuta, Merzenich ha elaborato una teoria
secondo cui la struttura neuronale può essere
modificata dall’esperienza: ciò significa che
anche le persone che presentano problemi
congeniti o lesioni in determinate aree cerebrali
possono sviluppare nuove connessioni
neuronali.
Sulla base di queste convinzioni nel 1996
Merzenich, assieme ad altri studiosi, ha dato
vita alla società Scientific Learning, che
propone programmi di esercizi indirizzati a
persone con problemi linguistici e di
apprendimento; gli esercizi sono progressivi e
seguiti da un rinforzo positivo ogni qualvolta si
raggiunge l’obiettivo, al fine di tenere costante
l’attenzione e consolidare il risultato ottenuto.
Il rinforzo, infatti, provoca il rilascio di
dopamina e acetilcolina, due neurotrasmettitori
che contribuiscono al rinforzo della memoria.
Il risultato è un rimodellamento delle mappe
cerebrali. I programmi della Scientific
Learning hanno fatto registrare progressi
notevoli nell’apprendimento da parte dei
discenti e hanno funzionato anche nel caso di
bambini autistici, migliorandone nel complesso
le capacità mentali.
L’idea di fondo di Merzenich è che sia
possibile riaprire il “periodo critico” di
plasticità del cervello facendo in modo che
anche da adulti le mappe cerebrali possano
essere “ricablate”; ciò permette, ad esempio, di
apprendere in età adulta una lingua straniera
con estrema facilità, come avviene nel caso dei
bambini in età prepuberale, che imparano le
lingue con naturalezza e senza accento.
Merzenich ha iniziato così a interessarsi anche
dell’apprendimento in età adulta e alcuni anni
dopo ha fondato la Posit Science, una società
che opera nel campo del prolungamento della
vita attiva proponendo un programma per
mantenere elastico ed efficace il loro cervello
anche in tarda età. Il suo sistema si basa su una
serie di esercizi mentali appositamente tarati e
mirati a migliorare memoria, ragionamento e
velocità di elaborazione nelle persone anziane.
Il presupposto è che il deterioramento mentale
negli anziani è legato alla perdita della
memoria, la quale a sua volta è causata dalla
difficoltà di registrare nuovi eventi a cagione di
una diminuita velocità di elaborazione delle
informazioni e di un peggioramento nella loro
nitidezza e accuratezza. Un fenomeno comune
negli anziani, la difficoltà nel trovare le parole,
è ricollegato da Merzenich a una forma di
atrofia che conduce a una rappresentazione
poco chiara dei suoni e delle parole, che
conseguentemente dà origine a tracce
mnemoniche confuse e disordinate.
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 20089
Fig. 3 - Sul portale della Posit Science è possibile acquistare pacchetti di esercizi appositamente ideati per
stimolare le facoltà cognitive nelle persone delle terza età (http://www.positscience.com).
Gli esercizi della Posit sono proposti in forma
ludica e consistono in una serie di attività
svolte al computer dai discenti, che devono
rispondere a determinati stimoli completando
livelli di difficoltà crescente. Gli esercizi sono
strutturati come veri e propri videogames: in
“Tell Us Apart” si chiede di distinguere tra
suoni simili per rinforzare l’interpretazione e
memorizzazione del parlato; in “Match It!” si
stimola la memoria migliorando la precisione e
la nitidezza della percezione dei suoni; “Listen
And Do” agisce sulla memoria a breve termine,
e così via13 . L’apparente semplicità degli
esercizi non deve trarre in inganno: essi sono
stati concepiti sulla base degli studi condotti
attraverso esperimenti e tecniche di
neuroimaging sulla riorganizzazione e
strutturazione delle funzioni corticali. Ecco
perché queste attività, e non altre, raggiungono
l’obiettivo di riattivare la funzionalità mentale
negli anziani.
APPRENDERE SEMPRE GRAZIE ALLA
NEUROPLASTICITÀ
L’invecchiamento cerebrale è reversibile,
poiché la neuroplasticità è bidirezionale: può
determinare il deterioramento del cervello o il
suo miglioramento14. All’origine del declino
fisico, chimico e funzionale del cervello vi
sono le modificazioni cerebrali che danno
luogo a un processo di plasticità negativa,
provocando una spirale viziosa di
deterioramento che comprende quattro
componenti:
Disuso. Le funzioni cerebrali rispondono alla
legge use or lose it (“se non lo usi, lo perdi”);
spesso gli anziani si limitano a svolgere attività
mentali familiari e ripetitive, di cui hanno
acquisito padronanza, in pratica delle routine
che non richiedono sforzi di applicazione o
acquisizione di nuove capacità. Esercitare
attività di questo tipo non è sufficiente a
mantenere il cervello nella sua piena
funzionalità: se smettiamo di apprendere cose
nuove siamo destinati a invecchiare
cerebralmente.
Processi “rumorosi”. Nel cervello degli
anziani il deterioramento sensoriale provoca
rumore; se, ad esempio, l’udito è peggiorato, i
segnali sonori inviati al cervello sono più
difficili e confusi da interpretare. Il cervello si
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 200810
trova così a rallentare la sua attività per
decifrare segnali confusi, e di conseguenza le
rappresentazioni mentali sono incomplete. Ciò
causa una memoria più povera e una capacità
di ragionamento meno elastica.
I n d e b o l i m e n t o d e l l a f u n z i o n e
neuromodulatoria. In tarda età il cervello
produce un minor numero di neuromodulatori,
delle sostanze chimiche, come dopamina e
acetilcolina, che rivestono un ruolo essenziale
nell’apprendimento e nella memoria.
Apprendimento negativo. Le persone che
iniziano a sentirsi mentalmente meno agili di
un tempo tendono ad attuare dei meccanismi di
compensazione. Se, ad esempio, il loro udito si
è indebolito, spengono il televisore o imparano
a leggere le parole sulle labbra15.
Merzenich ha individuato una serie di strategie
per ovviare a questi problemi:
• Per combattere il disuso: impegnare il
cervello in nuovi compiti che
costituiscono una sfida;
• Per aiutare il cervello a fare ordine tra i
segnali confusi: svolgere attività che
richiedono attenzione e concentrazione;
• Per regolare la produzione di
neuromodulatori: svolgere attività in
grado di attivarne la produzione;
• Per eliminare i comportamenti adattivi
compensativi: impegnarsi in attività che
sono divenute complicate da eseguire,
anziché evitarle.
Per scongiurare l’invecchiamento cerebrale
non occorre necessariamente svolgere di tipo
cognitivo, poiché anche l’esercizio delle
capacità motorie può rinforzare il cervello;
esso, infatti modifica le proprie capacità a tutti
i livelli, come un meccanismo complesso. Le
attività più efficaci sono quelle in cui si
richiede di distinguere tra ciò che si ode, si
vede e si percepisce e utilizzare queste
informazioni per raggiungere obiettivi sempre
più difficili. Merzenich sostiene che importante
che le attività siano nuove e sfidanti:
apprendere a suonare un nuovo strumento,
imparare una lingua straniera, imparare giochi
di destrezza, imparare un nuovo ballo,
completare un puzzle difficile, giocare a ping
pong.
CONCLUSIONI
I progressi compiuti negli ultimi anni dalle
neuroscienze dimostrano che l’apprendimento
non è riservato soltanto alle generazioni più
giovani e alle persone con una mente in piena
efficienza, ma che può essere attuato in tutte le
età della vita con uguale efficacia; e, cosa più
rilevante, che apprendere sempre contribuisce a
incrementare la rigenerazione neuronale e a
scongiurare gli effetti dell’invecchiamento16.
Un’attività mentale continua e costante nel
tempo costituisce infatti un fattore importante
nel ritardare l’insorgere di malattie
neurodegenerative come la malattia di
Alzheimer. In Giappone è stata sperimentata
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 200811
con successo la learning therapy, un metodo
basato sullo studio del funzionamento della
corteccia prefrontale per migliorarne le
funzioni: comunicazione, capacità di
autonomia e memoria a breve termine.
L’obiettivo è permettere alle persone colpite da
Alzheimer di partecipare ad attività
socializzanti; le tecniche di neuroimaging
hanno infatti dimostrato che in questi soggetti
la stimolazione della corteccia prefrontale
attraverso lo svolgimento di semplici attività di
lettura e di calcolo è in grado di stimolare la
funzionalità dell’intero cervello17.
Capire come funziona il cervello nell’individuo
adulto può aiutarci nell’elaborazione di
metodologie di insegnamento e apprendimento
più efficaci e adeguate alle diverse età e a
mantenere le persone attive durante l’intera
vita. Il modello statico del cervello basato
sull’idea del decadimento neuronale
irreversibile è stato per molto tempo alla base
del pregiudizio secondo cui gli anziani sono
incapaci di apprendere cose nuove. Il focus sul
Lifelong Learning che contempla in modo
sempre più consistente la priorità di
un’educazione per la terza età richiede uno
sforzo sistematico per incrementare la
partecipazione degli adulti alle attività
formative, la quale è tuttora bassa e tende a
precipitare negli over 50.
L’apprendimento non ha età, è un processo
cumulativo che continua per tutta la vita18; se
le modalità di come si apprende si modificano
e diversificano con l’età, la capacità di
apprendere permane. La formazione durante
l’intera vita non va più considerata come
un’opzione, bensì come un prerequisito per la
promozione del benessere personale e della
coesione sociale. L’applicazione delle teorie
delle neuroscienze sulla plasticità del cervello
al campo dell’educazione degli adulti appare
quindi indispensabile per promuovere
l’apprendimento permanente, attraverso la
creazione di ambienti di apprendimento basati
sulle competenze, l’apprendimento situato e la
costruzione attiva di conoscenze19; ambienti in
cui siano proposte strategie e attività che
sfruttano i principi della neuroplasticità per
migliorare le funzioni cognitive e far sì che
l’educazione nella terza età sia un’esperienza
piacevole, gratificante ed efficace.
Eleonora Guglielman
Settembre 2008
NOTE
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 200812
1 Commissione delle Comunità Europee, Memorandum sull'istruzione e la formazione permanente, Bruxelles, 2000.
2 Per maggiori dettagli v. il portale UE su Education and Training 2010: http://ec.europa.eu/education/policies/2010/et_2010_en.html
3 V. il portale della Commissione Europea sulle politiche per l’invecchiamento attivo, http://ec.europa.eu/employment_social/soc-prot/ageing/index_en.htm
4 Commissione delle Comunità Europee, Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere. Comunicazione della Commissione, Bruxelles, 2006, p. 5.
Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 200813
5 Commissione delle Comunità Europee, Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere, cit.
6 World Health Organization, Active Ageing: a Policy Framework, 2002.
7 OECD - Organisation for Economic Co-operation and Development, Understanding the Brain: the Birth of a learning Science, OCDE, 2007, pp. 217-218.
8 OECD - Organisation for Economic Co-operation and Development, Understanding the Brain. Towards a New Learning Science, OCDE, 2002.
9 Su queste tematiche e, in particolare, sulla personalizzazione nell’educazione degli adulti, cfr. Progetto Pilota “Peapeda”. Personalizzare l’apprendimento in ambito EdA, Roma, Anicia, 2005; v. anche, di Guglielman E., L’educazione degli adulti nello scenario comunitario, in “Servizio Informazione Anicia”, n. monografico La personalizzazione degli apprendimenti nell’educazione degli adulti. La stato dell’arte, a. IV, n. 1-3, 2004, pp. 16-17.
10 Nelle neuroscienze il periodo critico ha un’accezione più ampia e sta a indicare la fase dell’infanzia in cui è possibile apprendere il linguaggio anche se si sono verificate lesioni ai centri del linguaggio, grazie alla plasticità che consente di utilizzare altre aree del cervello per svolgere le funzioni cui tali centri sono dedicati.
11 Si vedano, ad esempio, gli interventi compiuti dal neuroscienziato Paul Bach-y-Rita (1934-2006) su persone non vedenti dalla nascita, che hanno permesso loro di recuperare la capacità visiva attivando una “sostituzione sensoriale”, in Doidge N., Il cervello infinito. Alle frontiere della neuroscienza: storie di persone che hanno cambiato il proprio cervello, Milano, Ponte alle Grazie, 2007.
12 Sulla base si queste osservazioni Merzenich ha messo a punto, tra lo scetticismo generale, un impianto cocleare che consente alle persone affette da sordità congenita di udire, sfruttando la capacità della corteccia uditiva di decodificare impulsi artificiali. In Doidge N., Il cervello infinito. Alle frontiere della neuroscienza: storie di persone che hanno cambiato il proprio cervello, cit.
13 Una panoramica dei diversi programmi è consultabile sul portale della Posit Science, all’indirizzo http://www.positscience.com/science/program_design/
14 Mahncke H.W., Bronstone A., Merzenich M.M., Brain Plasticity and Functional Losses in the Aged: Scientific Bases for a Novel Intervention, “Progress in Brain Research”, 157, 2006, p. 2.
15 Merzenich M.M., Change minds for the better, “The Journal of Active Aging”, november-december, 2005, pp. 23-24.
16 Luppi E., Pedagogia e terza età, Roma, Carocci, 2008, p. 50.
17 OECD - Organisation for Economic Co-operation and Development, Understanding the Brain: the Birth of a Learning Science, cit. p. 54.
18 Tyler John M., Geragogy. A Theory for Teaching the Elderly, N.Y., Haworth Press, 1988.
19 Daloisio M., Insegnare le lingue a studenti adulti. Riflessioni tratte dalla ricerca neurobiologica, 2006, http://w w w . p s i c o l a b . n e t / i n d e x . a s p ?pid=idart&cat=5&scat=132&arid=1328
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Commissione delle Comunità Europee, Memorandum sull'istruzione e la formazione permanente, Bruxelles, 2000.Daloisio M., Insegnare le lingue a studenti adulti. Riflessioni tratte dalla ricerca neurobiologica, 2006, http://
www.psicolab.net/index.asp?pid=idart&cat=5&scat=132&arid=1328 Doidge N., Il cervello infinito. Alle frontiere della neuroscienza: storie di persone che hanno cambiato il proprio
cervello, Milano, Ponte alle Grazie, 2007.Guglielman E. et al., La personalizzazione degli apprendimenti nell’educazione degli adulti: lo stato dell’arte, in
Progetto Pilota “Peapeda”. Personalizzare l’apprendimento in ambito EdA, Roma, Anicia, 2005, pp. 19-73.Guglielman E., L’educazione degli adulti nello scenario comunitario, in “Servizio Informazione Anicia”, n.
monografico La personalizzazione degli apprendimenti nell’educazione degli adulti. La stato dell’arte, a. IV, n. 1-3, 2004, pp. 16-17.
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for a Novel Intervention, “Progress in Brain Research”, 157, 2006, pp. 81-109.Merzenich M.M., Change minds for the better, “The Journal of Active Aging”, november-december, 2005, pp. 22-30.OECD - Organisation for Economic Co-operation and Development, Understanding the Brain. Towards a New
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http://ec.europa.eu/education/policies/2010/et_2010_en.htmlPortale UE su Education and Training 2010
http://www.scilearn.com/Sito della Scientific Learning
http://www.positscience.com/science/program_design/ Sito della Posit Science
http://merzenich.positscience.com/Blog di Mike Merzenich
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Le basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente
Eleonora Guglielman 200814