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CARMELO LUPINI
Le cosiddette “cacuminali” nei dialetti del Poro ed in Calabria:
indagine geolinguistica
Le consonanti cacuminali, note anche come cerebrali, retroflesse, invertite o, più precisamente,
come postalveolari, sono suoni il cui punto di articolazione è localizzato subito dietro gli alveoli
dove la lingua, retroflessa, tocca l’arcata palatale.
Troviamo questi suoni in varie lingue indoeuropee ed in particolare:
- nelle lingue scandinave nella particolare pronuncia nei gruppi consonantici rt e rd;
- in molti dialetti dell’Italia meridionale in dd (< latino LL) e nei gruppi tr e str;
- nelle lingue indiane in cui è presente una serie completa di questi suoni: t, d, th, dh, n.
Vi sono, poi, altre lingue che tendono allo sviluppo di suoni analoghi, soprattutto partendo da
suoni occlusivi dentali. Fenomeni simili allo sviluppo di -ll- in -dd-, infatti, si registrano anche nel
guascone (in area galloromanza), nel sardo, nel greco calabro e nel greco cretese. Torneremo più
avanti su questo punto; intanto è importante osservare che questi suoni si sono sviluppati in aree
precedentemente abitate da genti parlanti lingue non indoeuropee.
Le lingue arie dell’India vennero a contatto con lingue non arie. Queste, note come lingue
dravidiche, sono state parlate già nel nord dell’India e si sono si spostate a sud spinte dagli invasori
indo-europei intorno al 1500 a.C.; dal punto di vista storico, infatti, le retroflesse sono entrate
relativamente tardi nel sistema fonetico indo-ario. Un rappresentante moderno di tali lingue è il
tamil che presenta ancora una serie completa di consonanti cacuminali. Riguardo al luogo di
articolazione è presente una difficoltà di traduzione dei termini tecnici utilizzati dai grammatici
indiani: il termine mūrdhan in senso non tecnico significa “testa”, “cranio”, “cima”, “inizio”,
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mentre nel significato fonetico indica evidentemente quella zona anteriore dell’arcata palatale,
immediatamente seguente agli alveoli, in cui c’è un innalzamento della volta. Il sostantivo “tetto” e
l’aggettivo “tettale” utilizzato per tradurre il termine sembra troppo impressionistico. Sarebbe
meglio optare per una traduzione interpretativa meno letterale, ma articolatoriamente motivata, e
rendere questa classe di suoni (mūrdhanya) con “post-alveolare”. Con la parola mūrdhan si intende
la parte (bhāga) superiore (upari) della cavità (vivara) della bocca (vaktra). La descrizione di
questa articolazione data dal Taittirīya-Prātiśākhya1 (II 37), parallelamente alle altre, è: jihvāgrēna
prativēstya mūrdhani ta-vargē “nella serie-t [è creato un contatto (sparśayati)] dall’apice della
lingua retroflesso nel post-alveolo (mūrdhan)”.
Per quanto riguarda Creta, dal punto di vista linguistico dobbiamo ricordare il cosiddetto
sostrato mediterraneo che ha lasciato un’importante testimonianza in quella lingua che fu scritta
mediante la famosa scrittura lineare A.
Sappiamo che l’Europa continentale, in pieno dominio linguistico celtico, fu abitata fin da epoca
anchissima da genti pre-indoeuropee. Quell’area che si trova a cavallo del confine settentrionale tra
Spagna e Francia, in coincidenza del golfo di Biscaglia, è la sola regione d’Europa in cui si
conserva, non solo allo stato di semplici relitti toponomastici, ma come lingua tuttora vivente e
parlata, una lingua pre-romana e sicuramente pre-indoeuropea: il basco o euskara, una lingua che
mostra diverse affinità con le lingue caucasiche cartveliane come il georgiano e, addirittura, con
l’antica lingua sumerica. Si pensi a certe somiglianze fonetiche e, soprattutto, alla presenza in tutte
queste lingue, nella loro declinazione del nome, del cosiddetto caso “ergativo” accanto al
nominativo. Gli altri popoli non indoeuropei d’Europa (Ungheresi, Finnici, etc.) rappresentano
stanziamenti seriori, avvenuti in epoca storica, e nelle loro lingue sono assenti quelle caratteristiche
di cui ci stiamo occupando.
Sul suolo sardo – prima dell’arrivo dei fenici intorno al 1000 a.C. e della conquista romana nel
238 a.C. – si incontrarono, scontrarono, ma anche si fusero diverse genti di lingua non indoeuropea
dando origine alle prime culture sarde. Nacque così la civiltà nuragica, civiltà di architetti
megalitici, di pastori-guerrieri, di raffinati metallurghi ma anche di abili navigatori. I Nuragici non
conoscevano la scrittura ma il sardo mantiene numerose tracce di quelle antiche lingue e
innumerevoli sono i nomi di piante, animali e i toponimi riferibili alle lingue nuragiche.
In Sicilia tracce dell’antico popolo pre-indoeuropeo dei Sicani (Sikano…) si possono riscontrare
nella toponomastica. G. MILLARDET, nelle sue Études siciliennes2 aveva studiato le cacuminali
1 Trattato sulla combinazione eufonica e sulla pronuncia che prevale nelle differenti scuole vediche. 2 G. MILLARDET, Études siciliennes. Recherches expérimentales et historiques sur les articulations linguales en Sicilien in “Homenaje ofrecido a Menédez Pidal. Miscelánea de estudios lingüísticos, literarios e históricos”, Madrid, 1925, vol. I, pp. 713-757..
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siciliane e in una sua comunicazione3 al III Congresso di Linguistica Romanza di Roma nel 1932
ammise la presenza di un antico sostrato comune alla Sardegna, alla Corsica e alla Sicilia e a tale
sostrato attribuì la presenza delle cacuminali e la tendenza al passaggio -ll- > -dd- e parallelo a -ll- >
-t- in guascone. Si confronti siciliano beddu, guascone bet < BELLU; siciliano jaddu, guascone gat <
GALLU; etc. Non possiamo, poi, non dire che anche in Spagna, nelle Asturie e, in particolare, in una
località nota come parroquia de la Sisterna, ritroviamo un suono analogo alla cacuminale siciliana
dd che nel panorama fonetico spagnolo è veramente straordinario; esempi: duna < LUNA), gadinas <
GALLINAS, dumi (‘fuego’) < LUMINE, deiti < LACTE.
Altri fenomeni paralleli li ritroviamo in alcune zone della Lunigiana e della Garfagnana
superiore. Preme notare che questa caratteristica dialettale, ancora viva nelle Apuane, è ancora una
reazione del sostrato mediterraneo alla lingua di Roma. È l’area delle cacuminali Apuane. Se
colleghiamo le aree dialettali dotate di caratteristiche particolarmente arcaiche veniamo a tracciare
dei limiti di un territorio, quello più intensamente influenzato dai Liguri mediterranei, dai
paleoliguri, che sembra reliquia di una più vasta area circostante, che fu alterno campo di una
vicenda etnico-culturale, dove si scontrarono e si fusero le varie componenti esterne, di diversa
provenienza. Accanto a questi indizi di carattere linguistico ve ne sono anche altri di carattere
antropologico che confermano i dati a disposizione. nel gruppo apuano, che coincide con gran parte
della Garfagnana e della Lunigiana orientale, sono state riscontrate, nelle zone montane più
relegate, caratteristiche fisiche indicative di una popolazione sostanzialmente diversa, per alcuni
aspetti, da quelle vicine; si può quindi intravedere una situazione demologica molto antica che
dobbiamo ascrivere alla componente mediterranea dell’ethnos ligure.
Il fenomeno è presente anche in Calabria, non solo nel romanzo, ma anche nel romaico. A
questo punto sorge spontanea una domanda: il passaggio -ll- > -dd- in romaico si verifica per
influsso del romanzo oppure è un fenomeno parallelo ed indipendente? La risposta può soddisfare
entrambe le domande. Prima è stato detto che nel dialetto cretese c’è una simile tendenza; molto
probabilmente il romaico aveva una tendenza simile che è stata ulteriormente rafforzata dalla
vicinanza al romanzo in cui il fenomeno è costante, e così abbiamo addo < ¥lloj, vaddo < b£llw,
vúddoma < boÚllwma, maddí < *mall…on, steddo < stšllw, etc.
In questa sede ci interessa particolarmente la Calabria, e lo stadio più antico dello sviluppo di ll
in suoni cacuminali si trova proprio in questa regione, in alcune località in Provincia di Reggio
(Ardore, Casignana, Caraffa, Samo, Ferruzzano) dove ll è passata a ll cacuminale, ad esempio:
bellu, cavallu, gallu, etc. Sulla cartina riportata di seguito possiamo indicare approssimativamente
le aree evidenziate:
3 G. MILLARDET, Sur un ancien substrat commun à la Sicile, la Corse et la Sardigne in RlingR, IX (1933), pp. 346-369.
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Nelle aree circostanti è tuttavia molto più diffuso lo sviluppo in dd, suono che sembra originarsi
dal fatto che la lingua, ammassata in posizione retroflessa contro l’arcata palatale, forma
un’occlusione più completa rispetto a ll.
La tendenza allo sviluppo di tale suono cacuminale viene generalmente ricondotto a fatti di
sostrato, ma può essere stato anche rafforzato dall’influsso di lingue giunte successivamente come
l’arabo che possiede una serie di suoni simili: le cosiddette consonanti enfatiche s, d, t e z che hanno
un suono cupo e smorzato che si ottiene appoggiando la punta della lingua contro gli alveoli dei
denti superiori e sollevando verso il palato la parte centrale della lingua stessa.
Questa particolare abitudine nella pronuncia, pur riconducibile al sostrato, può rientrare in una
semplice logica di economia fonetica che mira al minimo sforzo articolatorio. Il minimo sforzo
potrebbere consistere in una pronuncia meno impegnativa di ll che porterà a dd, ma attraverso quale
processo? La pronuncia della liquida l si realizza mediante la posizione della lingua sugli alveoli e il
passaggio dell’aria ai lati della lingua:
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In una seconda fase, quella della l cacuminale, la lingua retroflessa andrà a poggiarsi subito
dietro gli alveoli e l’aria continuerà a passare ai lati della lingua:
In una terza fase la realizzazione del suono si semplifica evitando il passaggio continuo di aria
attraverso i lati della lingua e sfruttando l’occlusione a livello dei postalveoli per generare un
semplice suono “esplosivo” di più facile realizzazione:
Esso non ha dappertutto il medesimo timbro, in quanto la caratteristica cacuminale è ora più
forte, ora più leggera. Il suono stesso è articolato talvolta più energicamente, talvolta meno (dd / d).
La grafia dialettale regionale si serve di segni rudimentali e convenzionali per esprimere questo
suono, sono molto usati trigrammi come ddr o ddh.
Le indagini compiute permettono di delimitare, nella Calabria meridionale, tre aree nella
distribuzione degli esiti di -ll-:
a) area tirrenica e pre-appenninica dove distinguiamo i seguenti esiti:
1) -r- (kavaru, garu, kiru) a Laureana di Borrello, Feroleto, Galatro, Anoia, Melicucco,
Cinquefrondi, Cittanova, Rizziconi, Terranova, Taurianova;
2) -d- (kavadu, gadu, kidu) a Delianova, Cosoleto, Seminara, Laganadi, S. Alessio. A
Seminara si sente anche -I-;
3) -d- (kavadu, gadu, kidu) a Polistena e Maropati;
4) -dd- (kavaddu, gaddu, kiddu) a Gioia Tauro, Palmi, S. Eufemia;
5) -I- (kavaIu, gaIu, kiIu) a San Giorgio Morgeto, Molochio, Oppido Mamertina,
Varapodio, S. Cristina, Melicuccà, Sinopoli, S. Procopio, Bagnara;
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esiti che, considerando che un confine linguistico non è mai netto, ma molto sfumato, possiamo
approssimativamente collocare nella mappa come segue:
b) area ionico-tirrenica e pre-aspromontana dove registriamo un esito prevalente: -dd- a
Brancaleone, Palizzi, Bova, Roghudi, Roccaforte, S. Stefano, S. Eufemia, Scilla:
c) area ionica e pre-appenninica dove distinguiamo i seguenti esiti:
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1) -ll- (kavallu, gallu, killu) a Bovalino, S. Luca, Bianco, Bruzzano, Africo;
2) -ll- (kavallu, gallu, killu) a Locri, Moschetta, S. Ilario, Condoianni, Portigliola,
Ardore, Ciminà, Benestare, Careri, Casignana, S. Agata, Samo, Ferruzzano, Staiti;
3) -I- (kavaIu, gaIu, kiIu) a Roccella Jonica, Gioiosa Jonica, Martone, S. Giovanni di
Gerace, Grotteria, Mammola, Canolo;
4) -d- (kavadu, gadu, kidu) a Bivongi, Pazzano, Stilo, Monasterace, Camini, Riace,
Stignano, Motta Placanica, Caulonia;
5) -z- (kavazu, gazu, kizu) a Giffone
esiti che possiamo approssimativamente collocare nella mappa come segue:
La sezione centrale della Calabria, che comprende Maierato, Monterosso Calabro, S. Vito,
Chiaravalle, Cardinale, S. Andrea Apostolo, Lamezia, Maida, Marcellinara, Tiriolo e Catanzaro,
presenta in maniera omogenea l’esito -dd- che, specie nel catanzarese meridionale, si alterna a -d- e
a -r-. A Satriano si ha esito -g-, mentre a Nicotera si ha esito -z-.
Sono presenti, inoltre, due sub-aree:
1) un’area compatta ad esito -I- che comprende Acquaro, Arena, Briatico, Cessaniti, Filandari,
Fràncica, Mileto, Pizzo, Rombiolo, S. Gregorio, S. Onofrio, Soriano, Stefanaconi, Tropea,
Vazzano e Vibo Valentia;
2) un’area conservativa ad esito -ll- che comprende Gimigliano, Feroleto, Cicala, Serrastretta,
Gizzeria, Carlòpoli, Decollatura e Motta S. Lucia:
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Osservando più da vicino l’area del Poro e quelle aree immediatamente prossime, si rileva una
prevalenza dell’esito -I- e in particolare nella zona di Tropea, Dràpia, Briatico, Cessaniti, Vibo
Valentia, S. Gregorio d’Ippona, Brancica, Mileto, Filandari, Rombiolo. A Nicotera, come già detto,
abbiamo esito -z-, mentre a Limbadi rileviamo l’esito -r-:
Infine, nella sezione settentrionale della Calabria osserviamo due aree ben distinte:
1) un’area conservativa di -ll- che comprende vaste zone ad est e a sud di Cosenza;
2) un’area con esito -dd- che comprende vaste zone a ovest e a nord di Cosenza;
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queste zone, come mostra la mappa, sembrano compenetrarsi:
L’esito g che si ha a Satriano può essere giustificato col fatto che ha avuto sopravvento e
rafforzamento quel vago contenuto palatale del suono cacuminale postalveolare attraverso una fase
ll. Questo esito, eccezionale in Calabria, lo è meno altrove; è attestato per alcuni dialetti campani,
lucani e toscani.
L’esito z, abbiamo detto, in Calabria lo incontriamo a Nicotera e a Giffone. La via più probabile
di formazione potrebbe essere ll > d > g > z, in cui si ha abbandono di retroflessione in favore di
una articolazione sempre occlusiva, ma alveopalatale per poi giungere alla corrispondente fricativa.
C’è, però, da aggiungere che questa fricativa sonora è decisamente estranea alle abitudini
articolatorie calabresi
L’esito d si può spiegare col progressivo indebolimento di dd che in una prima fase si scempia
in d per poi perdere l’elemento occlusivo e retroflesso in favore di uno fricativo.
L’esito r può benissimo essersi sviluppato in maniera analoga a d, ma con la sola differenza che
la lingua si è mantenuta in posizione retroflessa.
L’esito ll può essere giustificato col sopravvento di quel vago elemento palatale di ll.
L’esito I, infine, può essere spiegato partendo da ll dove si ha la perdita dell’elemento liquido in
favore dello sviluppo approssimante del solo elemento palatale.
Si deve anche ricordare che si sta facendo strada anche l’uso innovativo di dd non cacuminale.
Si può con cautela affermare che la pronuncia innovativa sia quella maschile soprattutto tra i
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giovani, mentre quella femminile si presenta spesso più conservativa. Il conservatorismo linguistico
delle donne, come fenomeno generale, si spiega perché esse, vivendo (specialmente nelle società
più patriarcali) distanti dalla vita pubblica e dai contatti esterni, accolgono più tardi le innovazioni
che vengono dall’esterno4.
La possibile dipendenza tra loro degli esiti di ll può essere riassunta nel seguente schema:
Nei dialetti calabresi sono passibili di retroflessione anche i nessi tr e str. Nel nesso tr
l’articolazione cacuminale di r intacca la dentale sorda, col risultato d’unìinversione dell’intero
gruppo in tr; in str la cacuminalità del gruppo tr comporta, per un fatto di parziale assimilazione,
una palatalizzazione di s, col risultato di str. Prevalendo nella pronuncia l’elemento continuo, il
gruppo può semplificarsi in sr da cui, sporadicamente, si può giungere addirittura a ss.
In conclusione, quello che mi preme far notare è che nel gruppo tr o str, quello che a volte
erroneamente viene considerato l’elemento monovibrante (r) è in realtà un suono fricativo diverso
da quella che è la cacuminale monovibrante postalveolare, comune nelle lingue indiane, che invece
si produce curvando velocemente indietro la punta della lingua oltre il punto di articolazione
postalveolare, senza toccarlo, e riportandola avanti di scatto fino ad avvicinarla ai denti inferiori,
producendo un “battito” caratteristico. La differenza è mostrata negli schemi che seguono; ognuno
dei due suoni ha un segno IPA specifico, mentre nelle trascrizioni comuni si utilizza indistintamente
il segno r.
4 C. TAGLIAVINI, Modificazioni del linguaggio nella parlata delle donne, in T. BOLELLI, Linguistica generale, strutturalismo, linguistica storica, Pisa, 1971, pp. 145-152.