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TEMPUS LE FORME DELLA MEMORIA

LE FORME DELLA MEMORIA - Aracne editrice · 23 Capitolo I Morte e resurrezione della Legazione d’Italia a Budapest 1.1. Introduzione alla crisi, 23 – 1.2. ... 12 Introduzione

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TEMPUS

LE FORME DELLA MEMORIA

A: “Per quanto tempo è per sempre?”

B: “A volte, solo un secondo”.

Lewis C, Alice in Wonderland

Il racconto della memoria è al tempo stesso riflesso di sé e dell’altroda sé, punto di incontro tra la storia (singolare, particolare, contin-gente) e la Storia (plurale, universale, trascendente). Le storie divita, da ascoltare, scrivere, leggere e custodire rappresentano il puntod’incontro tra epoche, culture e individui. Tempus si propone di rac-cogliere le memorie e raccontare la Memoria, disegnando una lineatra passato e presente.

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Il presente volume è stato curato da Fabrizia de Ferrariis SalzanoPratesi; note a cura di Andrea Giannotti.

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Carlo de Ferrariis Salzano

Dall’Ambasciata allo Stalag XVII

Storia di una missione straordinaria

Prefazione diLuigi Vittorio Ferraris

Introduzione diElena Dundovich

Postfazione diSergio Romano

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Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: gennaio

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Ad Attilio Perrone Capano che fece dono della suagiovane vita in difesa dell’integrità morale del Paese

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Indice

Introduzionedi Elena Dundovich

Prefazionedi Luigi Vittorio Ferraris

Premessa dell’Autore

Capitolo IMorte e resurrezione della Legazione d’Italia a Budapest

.. Introduzione alla crisi, – .. Botta, cavazione e a fondo, .

Capitolo IISei mesi di diplomazia armata. Ottobre–dicembre

.. Difesa degli interessi economici, – .. Protezione ed assisten-za ai militari italiani rifugiati, – .. Difesa degli interessi cultura-li, – .. Colloquio col Ministro Grazzi, – .. Offerte e minaccefasciste, .

Capitolo IIISei mesi di diplomazia armata. Gennaio–marzo

.. Squadrismo neofascista all’Istituto di Cultura, – .. Sviluppi del-l’opera di assistenza ai militari internati, – .. Sabotaggio e servizioinformativo, – .. L’Ungheria e noi alla vigilia dell’invasione, .

Capitolo IVIn carcere con le S.S. e prigionieri di guerra con la Wehrmacht

.. Ospiti delle S.S., – .. Ospiti della Wehrmacht, .

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Indice

Capitolo VCinque mesi con la polizia neofascista

.. Lumezzane: attesa ed ambientamento, – .. Cesano Boscone:organizzazione ed evasione, .

Capitolo VIDa Bologna a Roma: fughe, carceri e traversata dell’Appennino

.. Bologna: primi affanni e prime sorprese, – .. Tre mesi diassedio esterno ed interno, – .. Traversata di una linea, traversatadi una vita, – .. Epilogo, .

Appendice

Ricordi

Album di famiglia

Postfazionedi Sergio Romano

Nota biografica dell’Autore

Bibliografia

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Introduzione

di E D∗

Le memorie di Carlo de Ferrariis Salzano, scritte quando ormai laSeconda Guerra mondiale si era conclusa, ci riportano a uno deiperiodi più tormentati della storia italiana del Novecento: la fine delfascismo, l’uscita dell’Italia dalla guerra e la costituzione, il settem-bre del , della “Repubblica Sociale Italiana”. L’iniziativa del Duceaveva più scopi: punire i colpevoli di tradimento (Ciano in primoluogo), nazionalizzare le industrie per ottenere nuovo consenso dallemasse lavoratrici, formare un governo con personalità di secondopiano del regime e, non ultimo, ricostituire un esercito.

Per quasi due mesi, dopo la defenestrazione di Mussolini e la forma-zione del governo Badoglio, la Legazione italiana a Budapest, di cui deFerrariis era Primo Segretario e Filippo Anfuso Ministro, era rimastasospesa in una sorta di limbo. Il governo italiano e il nuovo Ministrodegli Esteri, Raffaele Guariglia, si comportavano come se niente fosseaccaduto. Ma le cose mutarono rapidamente dopo che, il settembre,i tedeschi liberarono Mussolini imprigionato sul Gran Sasso. Anfusoe de Ferrariis, che sino a quel momento erano stati legati da un rap-porto di stima e amicizia, presero strade diverse e proprio in seguitoalla nascita della Repubblica Sociale Italiana, il settembre , lacomunità italiana a Budapest si spaccò: la Legazione si divise tra coloroche, una piccola minoranza, decisero di schierarsi con Anfuso (oltre alui aderirono al governo repubblicano solo il segretario di LegazionePini, figlio dell’ammiraglio cognato di Costanzo Ciano, il colonnellodell’aeronautica Nannini, trasvolatore oceanico, alcuni impiegati localie la metà degli insegnanti della scuola italiana, influenzati dal presideMaffei, noto fascista modenese) e quelli che invece, seguendo l’esempiodi de Ferrariis, confermarono il proprio giuramento di fedeltà al re eal governo del sud. Ne nacque dunque un dramma all’italiana con duelegazioni, una monarchica e l’altra repubblicana, che rappresentarono

∗ Docente di Storia delle relazioni internazionali e Storia dell’Europa orientaleall’Università degli Studi di Pisa.

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Introduzione

l’Italia a Budapest fra il settembre e il marzo per il quale deFerrariis usa la felice espressione di “diplomazia armata”.

Poiché a distanza di quasi sessanta anni i documenti dell’archiviodel Ministero degli Affari Esteri sono pochi e frammentari e ancora ingran parte tacciono sul ruolo di molti diplomatici italiani in missionenegli ultimi due anni di guerra, le pagine di de Ferrariis rappresen-tano, attraverso la narrazione della sua storia personale, una vividatestimonianza di quel difficile momento di transizione della storiaitaliana. Nessuna rappresentanza fu preavvertita di quanto stava nelfrattempo accadendo in Italia tra il luglio e il settembre del elarga parte del mondo diplomatico italiano seppe solo d’improvvisodel rapido rovesciamento di alleanze voluto dal re e da Badoglio. Daun lato, non pochi diplomatici scelsero a quel punto di operare innome della Repubblica Sociale Italiana, una storia su cui il Ministerodegli Esteri si è sempre mostrato reticente a fare troppa luce e nona caso la documentazione sul periodo tra l’ settembre e il primodopoguerra continua a essere lacunosa. Dall’altro, il fatto che in mol-ti decidessero di giurare fedeltà al re e al suo governo, confermaun dato più che noto e cioè la tradizionale fedeltà al re del corpodiplomatico e dell’esercito. La diplomazia italiana era stata fino allagestione di Ciano la meno politicizzata e nei quadri intermedi eraradicato il sentimento di legittimità dello stato.

De Ferrariis era giunto a Budapest il marzo del a conflittogià avviato insieme a Filippo Anfuso. Tra il e il la guerranon ebbe conseguenze significative sulla vita della comunità italiananella capitale ungherese. I due paesi avevano sempre intrattenutobuoni rapporti, migliorati ancor di più dopo che Mussolini avevadeciso di giocare la carta del revisionismo trovando quindi un validoalleato in quello austriaco, bulgaro e ungherese.

A conferma della consolidata amicizia italo–ungherese, anchenegli anni della guerra continuarono le attività culturali e prosegui-rono intensi i rapporti economici. Fu proprio nel giugno del ,che, a riprova di ciò, fu inaugurata, con una solenne cerimonia allaquale presenziò il Reggente d’Ungheria Nicola Horty, la nuova se-de dell’Istituto italiano di Cultura, nel palazzo che dal al aveva ospitato la Camera dei deputati ungherese, donato all’Italia dalcomune di Budapest.

L’Ungheria era allora alleata delle potenze dell’Asse, aveva firmatoil Patto Tripartito, combatteva in Urss e nei Balcani a fianco dellaGermania. Ma proprio nei primi mesi di quel gli ungheresi

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iniziarono a temere di aver scelto il campo sbagliato. Il marzo del Horthy congedò il Primo ministro conservatore e filotedescoLadislas Bardossy e lo sostituì con Miklós Kállay nella speranza da unlato di sganciare l’Ungheria dalla guerra, ma nello stesso tempo diconservare una qualche forma di amicizia con la Germania di Hitlerin funzione antisovietica. Un’operazione tanto complessa e ambiguada essere destinata al fallimento.

Quando, nel settembre del , la Legazione italiana si spaccò, ilgoverno ungherese riuscì a trattare le due rappresentanze con un’a-stuta correttezza che ben rifletteva quella linea di equidistanza cheBudapest cercava in tutti i modi di tenere: in effetti, se gli ungheresiavessero rifiutato di intrattenere relazioni con la Legazione di Anfuso,sostituito dopo la sua partenza per Berlino da Raffaele Casertano epoi dal console Graziani, i tedeschi si sarebbero sicuramente insospet-titi. Nello stesso tempo, molto pericoloso sarebbe stato non trattarecon il dovuto rispetto la Legazione di de Ferrariis dando prova agliAlleati che i tentativi di avvicinamento nei loro confronti non eranosinceri.

Per ben sei mesi dunque, sino al marzo , due Legazioni,nemiche, rappresentarono in terra ungherese la situazione divisae drammatica di due Italie anch’esse nemiche. Cacciata dalla sedeufficiale della Legazione, la rappresentanza regia si ricostituì nell’abi-tazione del generale Emilio Voli, addetto militare. I rapporti furonospesso tesi, animati da incomprensioni, minacce, screzi personali.Ma, nonostante le difficoltà oggettive, il gruppo di de Ferrariis operòalacremente in quei mesi per tutelare gli interessi economici e cul-turali italiani ma soprattutto per offrire assistenza e protezione allemolte centinaia di militari italiani bloccati in Ungheria al momentodell’armistizio o fuggiti dalle tradotte tedesche che, spesso prove-nienti dalla Grecia ma anche da altre zone del fronte di guerra, listavano deportando in Polonia o in Germania. Ufficiali, sottufficiali esoldati cercavano rifugio nelle campagne ungheresi privi di documen-ti, mezzi, persino indumenti adeguati. Catturati dalla gendarmeriaungherese, essi correvano il rischio di essere riconsegnati alle autoritàtedesche con il pieno avvallo della Legazione fascista. Di grande in-teresse sono le pagine in cui viene ricordato l’impegno profuso dallaLegazione di de Ferrariis e l’indispensabile aiuto prestato dal governoungherese nel riconoscere il diritto di asilo a tutti quei militari italianiche si fossero posti spontaneamente sotto la loro protezione e nelsostenere l’impegno per la creazione dei campi di internamento.

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Introduzione

La scelta operata in quel settembre del fu dunque coraggiosasoprattutto alla luce del fatto che alcuni reparti militari tedeschi eranogià presenti sul territorio e l’indipendenza dell’Ungheria a tutti glieffetti era quindi discutibile. Né questa decisione, assunta in circo-stanze di tempo e di luogo straordinarie e che non potevano lasciaresui gravissimi rischi ai quali de Ferrariis e i suoi si sarebbero esposti,venne mai più messa in discussione nei mesi seguenti.

In effetti, quando Budapest fu occupata dai nazisti il marzo ,tutti i membri della regia Legazione, insieme ad alcuni dirigenti delleprincipali imprese italiane, furono arrestati per essere poi consegnati,dopo un periodo di prigionia, alle autorità fasciste e ricondotti inItalia o essere trasferiti nel campo di concentramento di Mauthau-sen. La rappresentanza della RSI continuò invece a operare sotto laprotezione tedesca.

Dopo l’arresto, molti membri della Legazione si ritrovarono in-sieme, prigionieri delle SS, nel sotterraneo della Società Danubianadi Navigazione, poi nelle celle della questura di Budapest e infine,quattro giorni dopo, sul treno che li trasportò verso il campo di con-centramento di Kaisersteinbruch, in Austria. Alcuni di loro, tra cuide Ferrariis, vennero poi trasportati nel campo di concentramento diLumezzane, vicino a Brescia, e poi in un istituto religioso di CesanoBoscone, in Lombardia, da dove, con un gruppo di compagni tracui Attilio Perrone Capano e Giorgio Ciraolo, riuscì a fuggire e anascondersi a Bologna, dove tedeschi e fascisti gli dettero la caccia pertre mesi. Braccati e temendo di infine essere catturati, nel gennaio del Ferrariis e i suoi compagni decisero di passare le linee tedescheper ritornare nell’Italia liberata ma non tutti giunsero a destinazio-ne. Morì il più giovane di loro, Attilio Perrone Capano. Partito dasolo con un altro gruppo di fuggiaschi, egli perse la vita nella nevedurante la traversata della Linea Gotica.

Carlo de Ferrariis giunse infine a Roma il febbraio del , permettersi alla ricerca di sua moglie Isabella e delle sue due bambine,Fabrizia e Beatrice, per lunghi mesi rimaste intrappolate a Budapest,senza alcun mezzo per rientrare.

Le pagine di questa “missione straordinaria”, come la definiscel’autore, furono scritte quando gli eventi narrati si erano ormai con-clusi da tempo ma non la loro eco del resto sempre così vivida ancoraoggi nel nostro paese come tante polemiche politiche e storiografi-che dimostrano. Sono pagine che non parlano di eroi, ma di uominisicuramente di valore e persino coraggiosi che, nonostante la loro

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scelta iniziale a favore dello stato fascista, seppero, giunto il momento,operare un cambiamento netto anche a rischio di mettere diretta-mente in pericolo la propria vita e quella delle proprie famiglie. Unrischio non virtuale, una vita che alcuni di loro persero veramente. Vifurono altri che in quei due anni terribili optarono per ipotesi diverse,macchiandosi di viltà e servilismo, ancorati alle illusioni di un regimeasservito, violento e senza speranza come fu quello della RepubblicaSociale Italiana.

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Prefazione

di L V F∗

Scorre rapida, d’un fiato, la lettura delle memorie di due anni di vitadi Carlo de Ferrariis Salzano, diplomatico italiano, messo a confrontocon eventi improvvisi e non previsti. Le circostanze lo chiamanoa fare delle scelte: con convinzione e con impeto, ma altrettantocon responsabilità e consapevolezza. Nel suo racconto, calmo e nelcontempo appassionato e ricco di emozioni, le decisioni assai difficiliche prende ci vengono presentate come ovvie: sono quelle di unservitore dello Stato che risponde ad un obbligo morale di coerenzainteriore.

Da uno squarcio di storia personale emerge vivido il quadro diun momento di transizione della storia italiana, tra il e il ,in cui vi è in tutti la speranza che dallo sfacelo di un sistema politicoavvenga la rinascita. Nei brevi giorni tra fine luglio e metà settembre’, una sola è la strada da percorrere per Carlo de Ferrariis: quelladella lealtà verso lo Stato Italiano, nella figura del Re, cui ha prestatogiuramento. La decisione presa, univoca e senza ritorno, è dettatada responsabilità e senso del dovere, mai da opportunismo. Per luie per i suoi collaboratori, civili e militari, coinvolge le famiglie ditutti, esempio anch’esse di grande forza d’animo e dirittura morale;a cominciare da Isabella Morra di S. Massimo, sua moglie, con le suebambine.

Del resto la via maestra non può essere altra: come scrive deFerrariis, subito dopo la caduta del regime fascista, « la storia avevapronunciato il verdetto inappellabile contro un regime, che era mor-to nelle coscienze prima ancora che nelle istituzioni ». Un sentimentoben diverso anima tuttavia, nella stessa legazione, il ministro suo ca-pomissione, travolto dall’insensatezza, insieme al proprio successoreed a pochi altri funzionari. Ciò determina per sei mesi l’esistenza, deltutto inedita, di due legazioni italiane a Budapest, una legittima e l’al-tra dipendente dalla nuova Repubblica Sociale, molto attiva, l’ultima

∗ Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.

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Prefazione

delle due, nelle angherie e violenze nei confronti della prima. Mala Regia Legazione (come la chiama puntigliosamente de Ferrariis)non cede alle minacce ne’ alle lusinghe di alcuni colleghi opportunistio cinici.

In questa storia narrata da Carlo de Ferrariis — già riassunta nelvolume “Il Ministero degli Affari Esteri al servizio del popolo italia-no” curato nel dall’allora Sottosegretario agli Esteri, GiuseppeBrusasca — traspare la volontà del Governo e della diplomazia un-gheresi di interpretare con nobiltà gli interessi del loro paese e dellasua indipendenza dal Terzo Reich. Questa condotta, per la quale deFerrariis esprime ammirazione e che spesso fu pagata anche con ilsacrificio della vita, deve essere oggi ricordata, insieme alla rivolu-zionedi Budapest del . In quest’ultima occasione, gli ungheresitentarono ancora una volta di ribellarsi ad una ideologia e ad unregime e si trovarono di fronte allo stesso linguaggio della violenzasubìto nel – dai tedeschi, che invadevano brutalmente il loroPaese, e dai fascisti italiani di Budapest che tenevano loro bordone.

Come autorevolmente illustrato da de Felice, il fascismo, che finoal ’ aveva trovato adesione in tutti i gruppi sociali, incluso il mondodella cultura, rivelò quasi d’incanto la sua fragilità nel momento delsuo “licenziamento” da parte del Re. Come dice de Ferrariis, « eramorto nelle coscienze prima che nelle istituzioni ». Numerose fu-rono le decisioni analoghe a quella di de Ferrariis, spesso anch’essemolto coraggiose, prese di slancio da altri diplomatici ed intellettuali,e persone di ogni gruppo sociale: da soldati e ufficiali dispersi, dagiovani che animeranno la resistenza e da tanti semplici e corag-giosi cittadini. Coloro che, come Carlo de Ferrariis, compresero ifatti e ritennero che le sorti dell’Italia non potessero essere affidatealla caducità di un’alleanza errata, incautamente sottoscritta con laGermania di Hitler, si trovarono sul fronte opposto di coloro che— stravolgendo il significato di termini come onore e fedeltà peresprimere la cieca adesione al fascismo e la sottomissione al TerzoReich — mostrarono una sorprendente incapacità di divinare in chedirezione si stesse muovendo la storia.

Il diario di de Ferrariis descrive efficacemente il clima di Budapestdi quei mesi, con i risvolti psicologici degli attori, italiani e ungheresi,che popolano la scena. Di lui stesso si osservano due caratteristichepersonali: il servizio dello Stato e il senso del dovere. Nel dissidio conil suo capomissione, del settembre , emerge proprio la differenzafra chi, servitore dello Stato, è fedele alla continuità costituzionale

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Prefazione

e chi, come il ministro d’Italia a Budapest — che telegrafa a Mus-solini “con te sino alla morte” — antepone un’ideologia cieca edirrazionale al compimento del dovere. Senza mezzi termini, de Fer-rariis fustiga la modestia di carattere di alcuni, la pusillanimità di altri,il comportamento irriguardoso e rozzo, cui si contrappongono lalinearità di condotta di coloro che avevano fatto, intuitivamente egenerosamente, la scelta giusta.

È vero — e recenti studi lo confermano — che la saggezza e forseun certo benevolo cinismo della classe politica italiana ha preferito,nell’immediato dopoguerra, evitare di fare i conti con il passato e dipronunciare condanne inappellabili contro quelli che non avevanocompreso, nel , quale fosse la via da seguire: È inevitabile, anchese ingiusto, non tracciare distinzioni fra buoni e cattivi. Tuttavianon va scordato che se una responsabilità collettiva di quanto eraavvenuto è stata sanata, dopo il settembre , lo si deve proprio achi, come de Ferrariis, ha saputo scegliere il cammino del vero sensodi patria.

Del resto per l’uomo de Ferrariis, nella fedeltà al governo legitti-mo non vi è una ricerca dell’atto di eroismo, ma piuttosto la difesae tutela dei cittadini. Nei sei mesi di attività, la Regia Legazione diBudapest agisce con impegno e tenacia a favore degli italiani, speciemilitari, investiti dagli eventi, svolgendo il proprio compito e dovereprofessionale. Non vi è invece la volontà di assolvere tale compitoper altri diplomatici italiani, come si osserva nella lettura di questodiario.

Una tale dirittura di comportamento non può sorprendere chi,come me, ha avuto il piacere — anzi l’onore — di militare sotto laguida di Carlo de Ferrariis, negli Stati Uniti, in tempi allora assai vici-ni — appena una dozzina d’anni — agli eventi del , che avevanosegnato anche la mia adolescenza, partecipe degli stessi sentimenti.Tuttavia durante il nostro rapporto personale, di cui gli sono tut-tora grato e riconoscente, non vi fu mai da parte sua un cenno aquesta esperienza di tanto significato, mai un intento di vantarsene.Modestia e ritrosia di chi, convinto di aver agito nello svolgere ilsuo dovere, riteneva di non avere merito, poiché altro cammino nonsarebbe stato per lui immaginabile.

Alla risolutezza e alla capacità di accettare arresti e carcere che hadimostrato il personale della Regia Legazione a Budapest va da noireso merito. Va reso merito a Carlo de Ferrariis Salzano ed ai suoicollaboratori civili e militari — alcuni dei quali hanno sacrificato la

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Prefazione

vita — per la via imboccata nel settembre del ; una via dettatadalla semplice convinzione che occorresse attenersi ai dettami deldovere nei confronti dello Stato e dei suoi cittadini, ignorando altruierrori e pusillanimità.

Le decisioni in circostanze difficili, in cui non si ha tempo di sof-fermarsi nei distinguo, devono essere frutto della propria coscienza,ma ancor più dell’attaccamento ad ogni costo a taluni principi (perun pubblico funzionario: al suo dovere). Per de Ferrariis lo furono,e lo furono anche per i suoi collaboratori.Tutti hanno contribuitoa salvare la dignità dell’Italia, nelle tragiche circostanze in cui si ètrovato il paese, assumendosi con coraggio le proprie responsabilità.Per questo vada a loro il nostro rispetto e a Carlo de Ferrariis vadaun grazie per averlo raccontato con semplicità, con oggettività, consignorilità, in una bella storia italiana.