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1. Le interazioni tra le macchi‐
ne e l’ambiente Dispense del Corso di
Interazione Macchine e Ambiente
P. Venturini A.A. 2015‐2016
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Sommario 1 L’interazione tra macchine e ambiente ........................................................................ 5 1.1 Definizioni ..................................................................................................................... 5 1.1.1 Le macchine .......................................................................................................... 5 1.1.2 L’ambiente ............................................................................................................ 5 1.1.3 Le interazioni tra macchine e ambiente ............................................................... 6
1.2 Classificazioni delle interazioni tra macchine e ambiente ........................................... 6 1.3 Tipologie di emissioni inquinanti ................................................................................. 7 1.3.1 Emissioni gassose: inquinamento atmosferico .................................................... 8 1.3.2 Emissioni liquide ................................................................................................... 9 1.3.3 Emissioni solide .................................................................................................... 9 1.3.4 Emissioni termiche ............................................................................................. 10 1.3.5 Principali punti di emissione di sostanze inquinanti in impianti a vapore e turbogas ........................................................................................................................... 11
1.4 Calcolo delle emissioni inquinanti da combustione ................................................... 13 1.4.1 La combustione .................................................................................................. 13 1.4.2 Calcolo delle emissioni da combustione ............................................................ 14
1.5 Principali inquinanti gassosi derivanti dalla combustione ......................................... 19 1.5.1 Monossido di carbonio CO ................................................................................. 20 1.5.2 Ossidi di zolfo SOx ............................................................................................... 22 1.5.3 Ossidi di azoto NOx ............................................................................................. 24 1.5.4 Protossido di azoto e ozono ............................................................................... 25 1.5.5 Composti organici volatili COV ........................................................................... 25 1.5.6 Metano CH4 ........................................................................................................ 26 1.5.7 Idrocarburi policiclici aromatici IPA ................................................................... 26 1.5.8 Diossine .............................................................................................................. 27 1.5.9 Particolato .......................................................................................................... 27
1.6 La normativa ambientale italiana per gli impianti di combustione ........................... 28
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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1 L’interazione tra macchine e ambiente Per comprendere cosa si intende, nell’ambito di questo corso, con interazione tra macchine e ambiente, è utile dare alcune definizioni in modo da chiarire e delimitare l’ambito di stu‐dio.
1.1 Definizioni
1.1.1 Le macchine Con il termine macchina si intende qualsiasi convertitore di energia, cioè qualsiasi dispositivo in cui entra energia in una data forma e ne esce in una forma diversa. Il tutto avviene con un certo rendimento globale (Fig. 1) o, in altre parole, con una certa perdita energetica dipen‐dente dal tipo di dispositivo considerato, dalle forme di energia coinvolte, dalle condizioni operative del dispositivo, ecc. Si ricorda che, indicando con EIN l’energia in ingresso nella macchina, EU l’energia utile in uscita dalla macchina, e EP l’energia persa nel processo di tra‐sformazione, il rendimento complessivo η di una qualsiasi macchina si può esprimere
1U IN P PIN IN IN
E E E EE E E
(1.1)
Fig. 1 – Rappresentazione grafica del concetto di rendimento di una macchina.
Tra tutte le macchine quelle a fluido sono le più diffuse per la produzione di energia; queste sono macchine che, per effettuare la conversione di energia, hanno bisogno di un fluido (li‐quido o gas). Rientrano in questa categoria, per esempio, le turbomacchine (turbine, com‐pressori, ventilatori, ecc.), le pompe, i motori a combustione interna. In questo corso si intenderà per macchina qualsiasi sistema di conversione di energia, in qualsiasi forma essa si presenti.
1.1.2 L’ambiente L’ambiente è, in generale, un complesso attivo di elementi che si muovono in un contesto comune e si influenzano reciprocamente. Dal punto di vista antropico, l’ambiente è “l’insieme degli elementi che, nella complessità delle loro relazioni, costituiscono il quadro, l’habitat e le condizioni di vita dell’uomo, quali sono in realtà o quali sono percepiti” (defini‐zione secondo l’Unione Europea, 1973). Introducendo il punto di vista antropico dunque, l’ambiente viene identificato come fonte delle risorse necessarie alla vita dell’uomo e
ηEIN EU EP
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l’habitat in cui esso vive. In quest’ottica, anche se riduttiva, verrà identificato l’ambiente in questo corso.
1.1.3 Le interazioni tra macchine e ambiente Tutti i processi di produzione dell’energia incidono sulla qualità dell’ambiente sia a livello lo‐cale sia a livello globale. Esistono continue interazioni tra macchine e ambiente, l’entità e la qualità delle quali dipendono dalla tipologia di macchina, dalla taglia (potenza installata), dal suo rendimento, e da una serie di altri fattori specifici del particolare sistema analizzato. L’ambiente quindi rappresenta sia una risorsa (aria, acqua, combustibili, ecc.) sia un ricetto‐re/assimilatore (emissioni, scarti, scarichi, ecc.). Il concetto di interazione tra macchine e ambiente porta con se i concetti di impatto ambien‐tale e di inquinamento ambientale che spesso vengono confusi e utilizzati in maniera total‐mente interscambiabile. In realtà per Impatto ambientale si intende l’insieme degli effetti sull’ambiente determinati da un evento, un’azione o da un dato comportamento. L’impatto ambientale quindi non è specifico degli impianti di produzione di energia, ma è associato ad un’ampia gamma di attività, e soprattutto non è implicitamente negativo. Ad esempio, an‐che la decontaminazione di un sito precedentemente contaminato ha un impatto ambienta‐le, ma in questo caso è positivo. L’inquinamento ambientale è invece definito come l’alterazione (temporanea o permanente) dell’ambiente (in una qualsiasi delle sue compo‐nenti: ad es. aria, acqua, suolo, fauna, ecc.); in questo caso l’interazione assume sempre connotati negativi. L’interazione tra le macchine e l’ambiente comporta inoltre una serie di implicazioni sia di natura politica (per tutto ciò che riguarda la tutela dell’ambiente, l’approvvigionamento del‐le fonti energetiche, ecc.), che tecnica (miglioramento delle qualità delle fonti energetiche utilizzate, miglioramento dei rendimenti delle macchine, controllo e pulizia delle emissioni inquinanti delle macchine, risparmio energetico, ecc.). L’argomento delle interazioni tra macchine e ambiente sarebbe dunque piuttosto ampio. Nell’ambito di questo corso lo studio è limitato agli aspetti puramente tecnici, lasciando ad altre discipline, e all’interesse e alla sensibilità dei singoli l’approfondimento di tutti gli altri aspetti, non meno importanti.
1.2 Classificazioni delle interazioni tra macchine e ambiente La causa principale dell’impatto ambientale dei sistemi energetici deriva dall’utilizzo di com‐bustibili fossili in processi di combustione, anche se non è l’unica. Anche gli impianti che uti‐lizzano altre fonti energetiche (idraulica, solare, eolica, biomassa, ecc.) determinano un im‐patto ambientale, ma in genere caratterizzato da interazioni ed effetti diversi. Di sicuro i si‐stemi di combustione dei combustibili fossili sono quelli che presentano praticamente tutte le tipologie di interazioni con l’ambiente, quindi spesso in questo corso si farà riferimento a questi sistemi. Esistono diversi approcci applicabili per classificare le interazioni tra macchine e ambiente, ciascuno basato su un particolare criterio. Dal punto di vista delle cause, ad esempio, si pos‐sono suddividere le interazioni in due grandi classi: quelle legate ad eventi naturali (terremo‐ti, eruzioni vulcaniche, decomposizione delle sostanze, ecc.), e quelle legate alle attività an‐tropiche. In quest’ultimo caso le interazioni possono poi essere suddivise in sorgenti diffuse (fisse: edifici residenziali, servizi, agricoltura; mobili: trasporti), e concentrate (industrie, in‐frastrutture civili, impianti di produzione dell’energia). In ogni caso l’interazione con
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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l’ambiente può essere legata alla fase di costruzione, all’esercizio normale, allo smaltimento, o a malfunzionamenti. Altri possibili criteri di classificazione sono quelli basati sulla componente ambientale coin‐volta (acqua, aria, suolo, flora e fauna, paesaggio, ecc.), oppure sul tipo di interazione (emis‐sioni gassose, liquide, solide, acustiche, termiche, visive, ecc., Fig. 2). Quest’ultima classifica‐zione si avvicina di più al punto di vista ingegneristico, a quello cioè del progettista che deve far rientrare le emissioni di un sistema entro i limiti previsti dalla normativa, adottando le so‐luzioni più adatte dal punto di vista tecnico‐economico, e quindi è quella che di solito viene utilizzata in ambito ingegneristico.
Fig. 2 – Rappresentazione schematica delle principali interazioni tra i sistemi energetici e l’ambiente.
1.3 Tipologie di emissioni inquinanti Come già detto, le interazioni tra sistemi energetici e l’ambiente variano a seconda della fon‐te utilizzata: negli impianti termici a fonti convenzionali, che sfruttano cioè la combustione di combustibili fossili, le interazioni ambientali sono essenzialmente costituite da scambi di massa e/o energia (gas combusti, particolato, ecc.); nei sistemi a fonti rinnovabili (almeno in quelli in cui non c’è combustione) invece sono più importanti le modifiche dell’ecosistema, l’occupazione del suolo, gli effetti su flora e fauna, l’impatto visivo, ecc.. Le emissioni di massa di un sistema di produzione di energia possono essere solide, liquide e gassose. Le emissioni solide derivano essenzialmente dai processi di pre‐ o post‐trattamento dei combustibili (ceneri di combustione, residui derivanti dai processi di desolforazione dei gas, particolato, ecc.); le emissioni liquide invece, derivano fondamentalmente da processi di
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lavaggio dei vari dispositivi, dagli spurghi, dalle condense, dalle dispersioni, ecc.. Infine per quanto riguarda le emissioni gassose, che rappresentano sicuramente il contributo maggiore all’interazione di una macchina con l’ambiente, si tratta essenzialmente di gas combusti, o di dispersioni di gas di processo. Le emissioni di energia sono rappresentate soprattutto da emissioni termiche (gas combusti ad elevata temperatura, fluidi di refrigerazione, perdite per irraggiamento, ecc.) e acustiche (essenzialmente rumore di funzionamento dei vari dispositivi che costituiscono il sistema).
1.3.1 Emissioni gassose: inquinamento atmosferico Quando si parla di inquinamento atmosferico si fa di solito riferimento all’alterazione della composizione chimica dell’aria presente nell’atmosfera (Tab. 1). L’alterazione può avvenire in due modi: alterando la concentrazione di composti naturalmente già presenti nell’aria (ad esempio anidride carbonica, metano, ecc.), o introducendo composti naturalmente non pre‐senti (ad esempio i cloro‐fluoro‐carburi). In entrambi i casi si registra una variazione della composizione chimica dell’aria, che può avere effetti più o meno gravi a seconda della natu‐ra dei composti coinvolti e della scala del fenomeno.
Tab. 1 – Composti normali dell’aria.
Tab. 2 – Dati delle emissioni inquinanti in atmosfera negli anni 2006‐2013 (fonte: Italian emissions inventory 1990‐2013, ISPRA 2015).
Dal punto di vista della scala (spazio‐temporale) dei fenomeni di inquinamento atmosferico si possono individuare due tipologie di fenomeni, quelli di piccola scala e quelli di grande sca‐la. I fenomeni di piccola scala comportano conseguenze localizzate sia nello spazio (media‐mente inferiore ai 100 km) che nel tempo (da poche ore a pochi giorni). Questo è il caso ad esempio dello smog delle città, delle polveri sottili, o di una fuoriuscita di una qualsiasi so‐stanza chimica, non particolarmente dannosa, per un incidente o malfunzionamento. I fe‐nomeni di grande scala invece, hanno conseguenze che sono diffuse su porzioni di territorio molto ampie (stati, aree, o l’intero pianeta) e/o di lunga durata. Esempi classici di inquina‐mento atmosferico su grande scala, sono l’effetto serra, il buco dell’ozono, le piogge acide, ecc.. Tutti questi fenomeni, spesso legati anche a piccole variazioni della composizione chi‐mica dell’atmosfera, possono provocare effetti piuttosto importanti, in alcuni casi devastan‐ti. Gli inquinanti responsabili dell’inquinamento atmosferico vengono classificati in due catego‐rie: gli inquinanti primari indicano tutte quelle sostanze nocive che vengono direttamente immesse nell’atmosfera da un qualsiasi sistema (ad esempio CO, SOx, NOx, particolato, ecc.);
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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gli inquinanti secondari invece comprendono quelle sostanze nocive che non vengono diret‐tamente immesse in atmosfera ma derivano dalla reazione di inquinanti primari tra loro o con altri composti già presenti in atmosfera. Sono un esempio l’ozono, i perossidi, una certa porzione degli NO2, ecc.. In Tab. 2 sono riportate a titolo di esempio le emissioni atmosferi‐che dell’Italia negli anni 2006‐2007. Dal punto di vista delle fonti di emissione, sicuramente il settore energetico rappresenta la fonte principale degli inquinanti atmosferici, rappresentando da solo oltre il 90 % di tutte le emissioni nocive (i 2/3 circa delle emissioni globali di SOx, e circa 1/3 di quelle di CO2, deriva‐no dal settore energetico). L’altra fonte molto importante è il settore dei trasporti, soprat‐tutto per quanto riguarda l’anidride carbonica, e il particolato. La riduzione dell’emissione di inquinanti gassosi può seguire diverse strade: la prima è quella dell’utilizzo di combustibili sempre più ‘puliti’, come è avvenuto ad esempio negli anni ’80 e ’90 con il passaggio al gas naturale per i sistemi di riscaldamento, o l’utilizzo di gasolio a bas‐so tenore di zolfo nei trasporti. Un’alternativa è rappresentata dal pre‐trattamento dei com‐bustibili (lavaggio, desolforazione, trasformazione in un diverso combustibile, ecc.). L’ottimizzazione e il controllo della combustione possono sicuramente dare buoni risultati, soprattutto in termini di emissioni di composti quali il CO, o gli NOx, che dipendono forte‐mente dalla condizioni operative del dispositivo considerato. Infine l’utilizzo di dispositivi che permettono di ridurre la quantità di alcuni composti inquinanti dal flusso di gas combusti prodotti durante la combustione, chiude le possibilità attuali di intervento per la riduzione delle emissioni inquinanti.
1.3.2 Emissioni liquide Le emissioni liquide derivanti dai sistemi di conversione dell’energia, sono essenzialmente dovute ai dispositivi di lavaggio degli effluenti gassosi che catturano gli inquinanti, quindi so‐no di nuovo legate alla combustione. Gli impianti che producono le maggiori quantità di emissioni liquide sono le centrali a vapore convenzionali; gli impianti turbogas invece, richie‐dendo combustibili più puliti producono minori emissioni inquinanti, quindi la quantità di emissioni liquide in genere sono inferiori a quelle degli impianti a vapore. Per quanto riguarda gli impianti a vapore, una delle principali fonti di produzione di liquidi è il condensatore: si consideri che un impianto da 320 MW richiede mediamente 30000‐40000 m3/h di liquido refrigerante. Nei condensatori a ciclo aperto il liquido refrigerante (acqua) viene continuamente prelevato e rilasciato nell’ambiente (fiumi, laghi, mare), il che ovvia‐mente comporta un’elevata quantità di emissioni liquide (e/o termiche). Nei condensatori a ciclo chiuso invece, bisogna reintegrare solamente le perdite che si hanno nelle torri evapo‐rative o lungo le tubazioni di alimentazione. In questo caso la portata da reintegrare è me‐diamente pari a circa il 4‐5% della portata di vapore prodotto (in un impianto da 320 MW si parla di circa 200‐300 m3/h). Altre emissioni liquide sono legate al lavaggio periodico (uno due volte l’anno) dei dispositivi attraversati dai fumi (generatore di vapore, preriscaldatori, dispositivi di rimozione degli in‐quinanti, ecc.) e ai sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti. I grandi impianti hanno di solito un’unità di trattamento acque, che ne riduce il contenuto inquinante o la temperatura.
1.3.3 Emissioni solide I solidi emessi da un impianto di conversione dell’energia sono costituiti essenzialmente da ceneri derivanti dalla combustione di combustibili solidi o idrocarburi pesanti. Si può avere
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emissione di solidi anche da alcuni dispositivi di rimozione degli inquinanti dal flusso dei gas combusti (desolforatori). La quantità di ceneri prodotte durante la combustione dipende dal tipo e qualità del combustibile utilizzato: il carbone ha un contenuto di cenere che varia tra il 4 e il 30 %; le biomasse legnose hanno contenuti più bassi (1‐2 %). Per avere un’idea della quantità di solidi che bisogna smaltire si consideri che un impianto a vapore da 320 MW ali‐mentato a polverino di carbone bituminoso (PCI1 25‐27 MJ/kg, 10‐12 % di cenere) produce circa 10‐12 t/h di cenere (circa 60000‐70000 t/anno), di cui circa 20‐40 % sono ceneri pesanti (bottom ash) e la restante parte ceneri leggere (fly ash) che vengono catturate tramite op‐portuni sistemi di rimozione. Le ceneri derivanti da combustione di carbone trovano impiego nell’edilizia costituendo un additivo del cemento. Le ceneri non impiegate nell’edilizia, vanno invece smaltite in discarica oppure inertizzate e utilizzate come sottofondi stradali o per ma‐nufatti nel settore edile.
1.3.4 Emissioni termiche Le emissioni termiche interessano fondamentalmente gli impianti di combustione. L’inquinamento termico derivante da un sistema di conversione dell’energia può essere sud‐diviso in due categorie: inquinamento diretto, derivante dal rilascio di fluidi caldi nell’ambiente (provoca effetti soprattutto su scala locale); inquinamento indiretto, derivante dal rilascio in atmosfera di sostanze, non necessariamente ad elevata temperatura, che in‐terferiscono con lo scambio termico tra superficie terrestre e atmosfera (questo provoca ef‐fetti soprattutto su scala globale). L’inquinamento termico diretto come già detto, produce un effetto trascurabile su scala glo‐bale. In effetti la quantità di energia solare sunQ che, nell’unità di tempo, raggiunge la Terra è pari circa a 1.71E+17 W; il consumo mondiale annuo lordo di energia primaria è attualmente pari a circa 10000 Mtep (1 Tep = 41.868 GJ) che, diviso per 365 giorni/anno per 24 h/giorno per 3600 s/h, corrisponde a una potenza antQ di circa 1.33E+13 W. Ne deriva che il rapporto tra il flusso di energia solare che arriva sulla Terra e l’energia consumata dall’uomo (ipotiz‐zando che venga tutta trasformata in energia termica) è pari circa a 13000, dunque effetti‐vamente il contributo antropico è trascurabile rispetto a quello solare. Le emissioni termiche però possono avere effetti locali sul microclima, potendo provocare un innalzamento della temperatura locale anche di 3‐4 °C. L’energia termica emessa da un impianto, cioè la quota non sfruttata all’interno dell’impianto stesso, può essere stimata semplicemente conoscendo il rendimento globale ηG dell’impianto considerato. Riarrangiando infatti la (1.1), si ha:
1 1P G P G ININ
E E EE
(1.2)
cioè l’energia persa (la maggior parte della quale in un impianto di combustione è termica) diminuisce all’aumentare del rendimento globale dell’impianto (Fig. 3).
1 PCI: Potere Calorifico Inferiore
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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Fig. 3 – Rapporto tra calore dissipato e lavoro utile in funzione del rendimento medio di diverse tipologie di impianti di produzione dell’energia.
1.3.5 Principali punti di emissione di sostanze inquinanti in impianti a vapore e turbogas
Nelle Fig. 4 e Fig. 5 sono riportati due schemi di massima di impianti di produzione di energia con turbine a vapore e turbogas, con i relativi punti principali di emissione di sostanze inqui‐nanti. Con riferimento alla Fig. 4, per descrivere i vari punti di emissione si parte dalla cal‐daia. In questo dispositivo entrano combustibile, aria e acqua per la produzione di vapore. Il combustibile proviene da un serbatoio di stoccaggio, dal quale si possono avere diversi tipi di perdite, e quindi emissioni (solide, liquide o gassose), a seconda del tipo di combustibile uti‐lizzato. L’aria viene prelevata dall’ambiente e quindi sarà soggetta a filtraggio; dal sistema di filtraggio ci sarà quindi emissione di particolato solido. L’acqua di alimento può provenire da un sistema di trattamento da dove si avranno delle emissioni inquinanti (di solito fanghi). Aria e combustibile si mescolano e bruciano, producendo fumi che vengono mandati al si‐stema di trattamento. Sul fondo della caldaia si possono raccogliere ceneri pesanti (bottom ash) se il combustibile è solido; le ceneri pesanti devono essere smaltite, quindi anche dalla caldaia si hanno emissioni inquinanti. Sempre dalla caldaia si possono avere emissioni liquide dovute allo spurgo della caldaia stessa e alla raccolta della condensa. Nel sistema di trattamento fumi entrano anche un liquido di lavaggio (spesso acqua, ma non solo) e additivi a seconda del composto che si vuole eliminare. Anche questo dispositivo dunque, si ha un punto di emissione degli inquinanti costituiti fondamentalmente da ceneri leggere (fly ash), altri solidi e fanghi. Infine i fumi attraverso il camino vengono immessi in atmosfera. L’ultimo punto di emissione di inquinanti è il condensatore, dove esce refrigeran‐te (di solito acqua) che può essere rimandato in ambiente. In maniera del tutto analoga si possono ricavare (in Fig. 5) i punti di emissione di sostanze inquinanti in un impianto turbogas.
12
Fig. 4 – Principali punti di emissione in un impianto motore a vapore.
Fig. 5 – Principali punti di emissione in un impianto motore a gas.
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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1.4 Calcolo delle emissioni inquinanti da combustione
1.4.1 La combustione Come detto precedentemente la combustione di combustibili fossili è tra le principali cause dell’inquinamento atmosferico. La combustione è una reazione di ossidoriduzione esotermi‐ca in cui il combustibile (benzina, carbone, gas naturale, ecc.) si ossida e il comburente (l’ossigeno contenuto nell’aria) si riduce. Perché avvenga la combustione occorrono tre in‐gredienti fondamentali: il combustibile: che può essere solido (ad esempio carbone, biomassa, coke, ecc.), liquido
(idrocarburi, biocombustibili, ecc.), o gassoso (gas naturale, metano, biogas, ecc.) il comburente: è la sostanza che fornisce l’ossigeno necessario alla reazione; di solito si
utilizza aria, ma in alcuni casi può essere utilizzato ossigeno puro, o altre sostanze il calore: una volta innescata, la combustione si auto sostiene, ma per avviarla occorre
fornire calore (calore diretto, scintilla, fiamma, ecc.), poiché le prime fasi sono endoter‐miche.
Il processo di combustione, che comunemente viene associato allo sviluppo di fiamme, in realtà è più complesso, e comprende tutta una serie di reazioni di pre‐combustione necessa‐rie affinché le fiamme si possano sviluppare. La combustione di un solido è la più complessa perché coinvolge una serie di reazioni che non sono presenti nella combustione di sostanze gassose o liquide. Facendo dunque riferimento alla combustione di un solido, si possono in‐dividuare le seguenti fasi (Fig. 6): Riscaldamento ed essiccazione – Nelle prime fasi della combustione il calore, fornito
dall’innesco o dalla fiamma del combustibile che sta già bruciando, viene utilizzato per ri‐scaldare il combustibile stesso e rilasciare l’eventuale umidità residua. In questa fase la temperatura aumenta molto lentamente perché la maggior parte del calore viene assor‐bita dal rilascio dell’umidità, e va avanti fino a temperature di circa 120 °C.
Devolatilizzazione – Successivamente, la temperatura inizia a crescere in maniera più ra‐pida, fino ad arrivare a circa 200‐250 °C. A queste temperature alcune delle sostanze che compongono il combustibile rompono i propri legami con la matrice solida e si trasfor‐mano in composti gassosi. Tali sostanze vengono per questo definite volatili e la fase è detta devolatilizzazione. Le sostanze che vengono emesse sono CO, CO2, CH4, idrocarburi, H2, vapori, sostanze catramose (tar), ecc.. Contemporaneamente il solido si deidrogeniz‐za, diventa molto poroso e composto principalmente da carbonio; tale matrice è detta char.
Combustione delle sostanze volatili e del char – La temperatura all’interno del combusti‐bile continua ad aumentare fino al raggiungimento del valore di inizio combustione delle varie sostanze volatili emesse durante la precedente fase di devolatilizzazione. Tale tem‐peratura è definita di ignizione. Raggiunta la temperatura di ignizione le sostanze volatili bruciano: è solo a questo punto del processo di combustione che si formano le fiamme. Le sostanze volatili bruciano molto rapidamente quindi producono un’elevata quantità di calore in un breve intervallo di tempo, portando la temperatura all’interno della matrice solida a raggiungere un picco che può arrivare anche a 1200‐1300 °C (e più) a seconda del combustibile utilizzato. Contemporaneamente brucia anche il char ma molto più len‐tamente delle sostanze volatili. Esaurite le sostanze volatili, la temperatura si abbassa fi‐no ad un valore circa costante che è quello garantito dalla lenta combustione del char.
14
Fig. 6 – Andamento della temperatura in funzione del tempo all’interno di un combustibile solido durante la combustione, e identificazione delle varie fasi del processo.
1.4.2 Calcolo delle emissioni da combustione Un generico combustibile, sia esso in forma solida, liquida o gassosa, può essere espresso con una formula bruta del tipo CxHySzOw. La combustione, come già detto, è una reazione di ossidoriduzione, e con riferimento alla formula bruta appena introdotta, gli elementi che si ossidano sono C, H2 e S. Il calcolo delle emissioni dunque, viene fatto partendo dalle reazioni che coinvolgono questi composti:
2 2C O CO (1.3)
2 2 212
H O H O (1.4)
2 2S O SO (1.5) Inoltre bisogna considerare la reazione di evaporazione dell’umidità del combustibile:
2 2liq vapH O H O (1.6) Partendo da queste reazioni è possibile effettuare una stima con precisione accettabile delle quantità di gas in gioco nel processo di un qualsiasi combustibile. Calcolo dell’aria di combustione
La prima cosa da calcolare è la quantità di aria di combustione necessaria affinché la reazione di ossido‐riduzione avvenga. Sulla base della stechiometria delle reazioni (1.3)‐(1.5) è possibile calcolare la quantità di aria che, da un punto di vista teorico, sarebbe necessaria e sufficiente perché la combustione avvenga in maniera completa. Tale quan‐tità è detta aria stechiometrica (o teorica) di combustione. Si procede analizzando le sin‐gole reazioni. Ossidazione del C
2 2C O CO (1.7)
T
t ambT
100°C
maxT
charT
Essiccazione
Devolatilizzazione (200‐500°C)
Combustione sostanze volatili
Combustione char (600‐800°C)
1000‐1300°C
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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In base alla reazione si ha che 1 kmole di O2 ossida 1 kmole di C. Ricordando che i pesi molecolari degli elementi in gioco sono 32 kg/kmole per l’O2, e 12 kg/kmole per il C, si può anche dire che 32 kg di O2 ossidano 12 kg di C, cioè occorrono
22.67 OC
kgkg (1.8)
Poiché 1 kmole di O2 occupa un volume2 pari a 22.4 Nm3, da quanto detto sopra si ha che occorrono 22.4 Nm3 di O2 per ossidare 12 kg di C. Considerando poi che l’aria è composta per circa il 79% in volume da N, e per il 21% da O2, si ha che ogni Nm3 di aria contiene circa 0.21 Nm3 di O2. Ne deriva che per fornire l’ossigeno necessario all’ossidazione di 12 kgC occorrono circa 106.7 Nm3 di aria, cioè
3
8.89 airC
Nmkg (1.9)
Ossidazione dell’H2
2 2 212
H O H O (1.10)
In maniera del tutto analoga a quanto fatto sopra, si può dire che 1/2 kmole di O2 ossida 1 kmole di H2, cioè 16 kgO2 ossidano 2 kgH2 (peso molecolare dell’H2 = 2 kg/kmole). Oc‐corrono pertanto
2
28.0 O
H
kgkg (1.11)
Ricordando ancora che 1 kmole di un qualsiasi gas perfetto occupa 22.4 Nm3, si ha che mezza kilomole di O2, cioè 11.2 Nm3 di O2, ossida 2 kgH2, cioè 5.6 Nm3O2 per 1 kgH2. Passando di nuovo per la composizione volumetrica dell’aria, quanto calcolato sopra si traduce in
3
226.67 air
H
Nmkg (1.12)
Ossidazione dello S 2 2S O SO (1.13)
Il peso molecolare dello zolfo è 32 kg/kmole, così come quello dell’O2. Occorrono per‐tanto 32 kgO2 per ossidare 32 kgS. Ripetendo i ragionamenti già visti nei casi precedenti, si ha:
22.4 Nm3O2 per 32 kgS 3 320.7 3.33O air
S S
Nm Nmkg kg (1.14)
Riassunto I valori appena calcolati sono riassunti in Tab. 3. Portata volumetrica specifica di aria (stechiometrica e effettiva) Sulla base dei calcoli effettuati si può valutare la portata volumetrica specifica di aria VAS, cioè la portata di aria necessaria per ogni kg di combustibile. Si ha:
8.89 26.67 3.33ASV C H S (1.15)dove, si ricorda, C, H e S indicano le frazioni in massa dei rispettivi elementi che com‐pongono il combustibile dato.
2 Dalla legge dei gas perfetti, pV nRT (con R costante universale dei gas, e n numero di moli del gas conside‐rato), si ha che una kmole di un qualsiasi gas perfetto occupa, a parità di temperatura e pressione, lo stesso vo‐lume. In condizioni normali (0 °C e 1 atm) si ottiene appunto il valore di 22.4 Nm3 per kmole.
16
VAS è la quantità di aria teorica (stechiometrica) necessaria, in base ai calcoli mostrati sopra, affinché 1 kg di combustibile bruci completamente. In realtà il volume di aria così calcolato non tiene conto del fatto che il combustibile può contenere una certa quantità di ossigeno, quantità che quindi non deve essere prelevata dall’aria. La (1.15) pertanto, così com’è, sovrastima l’aria stechiometrica di combustione. Per calcolare il valore cor‐retto bisogna eliminare la quantità di aria corrispondente all’ossigeno contenuto nel combustibile. 1 kg di O2 contiene 1/32 kmoli, cioè 0.03125 kmoli di O2/kgO2. Ricordando ancora che 1 kmole di un qualsiasi gas perfetto occupa un volume di 22.4 Nm3, 0.03125 kmoli di O2 (cioè 1 kg di O2) occupano 0.7 Nm3. La stessa quantità di ossigeno, ricordan‐do la composizione volumetrica dell’aria, è contenuta in
30.7 3.330.21 air
Nm (1.16)
La (1.15) corretta, assume dunque la seguente espressione: 8.89 26.67 3.33 3.33ASV C H S O (1.17)
dove O indica la frazione in massa di ossigeno presente nel combustibile.
Elementi Reazione kmoliO2 kgO2 Nm3O2 Nm3air C 2 2C O CO 1.0∙kmoleC 2.67∙C 1.87∙C 8.89∙C
H 2 2 212
H O H O 0.5∙kmoleH2 8.0∙H 5.6∙H 26.67∙H
S 2 2S O SO 1.0∙kmoleS 1.0∙S 0.7∙S 3.33∙S Tab. 3 – Tabella riassuntiva delle reazioni di ossidazione di un combustibile (i simboli C, H e S, indicano le frazioni in massa dei rispettivi elementi).
La (1.17) rappresenta dunque la portata volumetrica specifica (cioè per unità di massa di combustibile) di aria teoricamente necessaria per far bruciare completamente il combu‐stibile dato, normalmente espressa in Nm3air/kgfuel. Nella realtà la quantità di aria immessa durante la combustione di un qualsiasi combu‐stibile, non è mai esattamente pari al valore teorico. Spesso si lavora in eccesso d’aria (quantità di aria superiore a quella teorica) o in difetto (quantità inferiore a quella teori‐ca) per motivi di potenza richiesta, efficienza di combustione, limiti alle emissioni inqui‐nanti, ecc.. L’indice d’aria Iair rappresenta il rapporto tra la quantità di aria effettivamen‐te utilizzata per la combustione, e quella stechiometrica. Se l’indice d’aria è minore di 1 si sta lavorando in difetto d’aria, se è superiore a 1 in eccesso; se l’indice è pari a 1 si sta lavorando con aria in rapporto stechiometrico. Il valore dell’indice d’aria varia a seconda del tipo si combustibile e del dispositivo in cui avviene la combustione. Noto l’indice d’aria, la portata volumetrica specifica effettiva di aria, VAE, si calcola facilmente:
8.89 26.67 3.33 3.33AE AS air airV V I C H S O I (1.18) Produzione specifica di fumi
Per il calcolo della quantità di fumi prodotti durante la combustione si utilizzano ancora le reazioni di ossidazione (1.3)‐(1.5), stimando la quantità dei vari prodotti che si forma‐no (CO2, SO2 e H2O). A questi va poi sommata l’eventuale umidità contenuta nel combu‐stibile e rilasciata durante la combustione, e l’azoto presente nell’aria. Quest’ultimo è un composto inerte, nel senso che non brucia, anche se durante la combustione può legarsi con l’ossigeno (in piccole quantità) dando luogo agli ossidi di azoto NOx. La concentra‐zione dei vari NOx dipende dalla temperatura di combustione e da altri fattori che non
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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possono essere previsti in fase di calcolo. Pertanto l’azoto comparirà nel calcolo come azoto molecolare N2. Produzione di CO2
2 2C O CO (1.19)Il peso molecolare della CO2 è 44 kg/kmole. Dalla (1.19) si ha che 1 kmole di C produce 1 kmole di CO2, cioè 12 kgC producono 44 kgCO2, o ancora: 3.67 kgCO2/kgC. In termini di vo‐lume, ricordando che 1 kmole di un gas perfetto occupa 22.4 Nm3, si hanno 1.87 Nm3CO2/kgC. Produzione di H2O dall’ossidazione dell’H2
2 2 212
H O H O (1.20)
Il peso molecolare dell’acqua è 18 kg/kmole. Dalla (1.20) si ha che 1 kmole di H2 produce 1 kmole di H2O, che corrisponde a 9.0 kgH2O/kgH, oppure 11.2 Nm3H2O/kgH. Produzione di SO2
2 2S O SO (1.21)Il peso molecolare dell’SO2 è 64 kg/kmole. Dalla (1.21) si ha che 1 kmole di S produce 1 kmole di SO2, che corrisponde a 2.0 kgSO2/kgS, oppure 0.7 Nm3SO2/kgS. Evaporazione dell’umidità del combustibile
2 2liq vapH O H O (1.22)Il rapporto in questo caso è ovviamente 1:1, cioè viene prodotta 1 kmole di vapore per ciascuna kmole di acqua. Assumendo che il vapore si comporti come un gas perfetto, si ha che 22.4 Nm3 di vapore vengono prodotti da 18 kg di acqua liquida, cioè 1.24 Nm3H2Ovap/kgH2Oliq. Azoto molecolare contenuto nell’aria stechiometrica Detta a la frazione di volume di azoto presente nell’aria, si ha a = 0.79 Nm3N2/Nm3air, quindi:
22
8.89 26.67 3.33 3.337.03 21.01 2.64 2.64ASN aV a C H S O
N C H S O
(1.23)
espresso in Nm3N/kgfuel. Riassunto I valori appena calcolati sono riassunti in Tab. 4.
Elementi Reazione CO2 kg Nm3 H2O
kg Nm3 SO2
kg Nm3 N2
kg Nm3 C 2 2C O CO 3.67∙C ; 1.87∙C ‐ ‐ 7.03∙C
H 2 2 212
H O H O ‐ 9.0∙H ; 11.2∙H ‐ 21.01∙H
S 2 2S O SO ‐ ‐ 2.0∙S ; 0.7∙S 2.6∙S umidità 2 2liq vapH O H O ‐ 1.0∙u ; 1.24∙u ‐ ‐
Tab. 4 – Tabella riassuntiva dei fattori di produzione dei vari prodotti derivanti dalle reazioni di ossodazione (i simboli C, H e S, indicano le frazioni in massa dei rispettivi elementi, e u l’umidità).
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Portata volumetrica specifica dei fumi (stechiometrica e effettiva) Dalle relazioni precedenti e dai valori riassunti in Tab. 4 si calcola la portata volumetrica specifica dei fumi prodotti in condizioni stechiometriche VFS (espressa in Nm3/kgfuel):
8.90 32.21 3.30 1.24 2.60FSV C H S u O (1.24)Per calcolare la portata volumetrica specifica effettiva, VFE, occorre aggiungere alla VFS l’aria in eccesso che, essendo in eccesso, non partecipa alla combustione. Pertanto si ha:
1FE FS air ASV V I V (1.25)anch’essa espressa in Nm3/kgfuel. Nel caso in cui si lavori in difetto d’aria, occorre ripete‐re i calcoli tenendo conto della quantità effettiva di ossigeno disponibile per le reazioni. Portata volumetrica specifica reale dei fumi La portata volumetrica specifica effettiva, così come calcolata dalla (1.25), rappresenta la portata specifica in condizioni normali, cioè alla temperatura di 0 °C e alla pressione di 1 atm. In condizioni reali però i fumi vengono emessi a temperatura e pressione diverse da quelle normali. In particolare la pressione può continuare a essere considerata pari a 1 atm, visto che i fumi vengono emessi in atmosfera, ma la temperatura sicuramente è superiore a 0 °C. Supponendo dunque di mantenere costante la pressione ma variare la temperatura, dalla legge dei gas perfetti, e indicando con i pedici 0 e 1 rispettivamente le condizioni normale e reale, si ha:
01 1 11 0 0
0 0 0 0
T TV T TV V VV T T T
(1.26)
Essendo T0 = 273.15 K, T rappresenta la temperatura dei fumi espressa in °C. In con‐clusione la portata volumetrica specifica reale dei fumi si può calcolare come segue:
273.15273.15
CFE
EE FETV V
(1.27)
Indice d’aria ed eccesso d’aria Nelle sezioni precedenti è stato definito l’indice d’aria come rapporto tra la portata di aria effettiva e quella stechiometrica. Molto spesso si utilizza la grandezza eccesso d’aria per definire la quantità di aria effettivamente utilizzata durante il processo di combu‐stione. L’eccesso d’aria è definito come il rapporto, espresso in %, tra la differenza tra aria effettiva e stechiometrica, e l’aria stechiometrica. In formule:
100AE ASAS
V Ve
V
(1.28)
Ovviamente le due grandezze, indice d’aria ed eccesso d’aria sono collegate: 1 100aire I (1.29)
Come riferimento si riportano nella Tab. 5 i valori medi tipici di Iair, e e VFE per diverse ti‐pologie di combustibile.
Consumo di combustibile Come visto per calcolare le portate volumetriche totali dei fumi prodotti da un impianto di combustione, occorre moltiplicare le portate specifiche per la portata di combustibile. Per stimare questa grandezza occorre conoscere la potenza dell’impianto e il PCI del combustibile utilizzato. Di solito di un impianto di combustione si conosce la potenza prodotta Wp, sia essa termica o elettrica; sui dati della caldaia dovrebbe essere riportata anche la potenza bruciata, ossia la potenza al focolare, cioè quella immessa tramite il combustibile Wb. Ipotizzando di partire dalla potenza prodotta e dal rendimento globale
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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di impianto G , che può essere stimato sulla base del tipo di impianto considerato, si ri‐sale semplicemente alla potenza al focolare:
b p GW W (1.30)Da qui è facile passare alla portata di combustibile:
kJ skg s bfuel kJ kg
WmPCI
(1.31)
Combustibile airI E (%) VFE (Nm3) Carbone 1.2‐1.3 20‐30 8.0‐9.0
Olio combustibile 1.1‐1.2 10‐20 11.0‐12.0 Gasolio 1.1‐1.2 10‐20 11.5‐12.5 Metano 1.1 10 14.0 RSU 1.8‐2.2 80‐120 4.0‐8.0
Tab. 5 – Valori tipici dell’indice d’aria, eccesso d’aria, e portata volumetrica specifica reale dei fumi, per diversi combustibili.
Produzione totale di fumi
A questo punto è semplice calcolare la produzione totale di fumi in condizioni normali, GFE, e reali, GEE:
FE FE fuel
EE EE fuel
G V mG V m
(1.32)
Produzione di ceneri
Note le caratteristiche del combustibile, e la portata necessaria al funzionamento dell’impianto considerato, è semplice calcolare la portata di solidi (ceneri) che occorrerà smaltire adeguatamente. Detta fash la frazione in massa di cenere presente nel combu‐stibile, basta moltiplicare questo valore per la portata calcolata dalla (1.31), ottenendo la portata di cenere complessivamente prodotta:
kg s kg sash ash fuelm f m (1.33)La quantità esatta di solidi emessi durante la combustione deve tenere conto anche di eventuali incombusti e materiale inerte eventualmente presente nell’impianto (caldaie a letto fluido).
Utilizzando le formule ricavate in questa sezione è dunque possibile stimare la quantità di fumi prodotti da un determinato impianto, alcuni dei loro composti fondamentali, e la quan‐tità di ceneri, e quindi effettuare un dimensionamento di primo tentativo di eventuali sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti e smaltimento.
1.5 Principali inquinanti gassosi derivanti dalla combustione Una combustione si dice completa quando tutti gli elementi ossidabili (C, H, S) presenti nel combustibile vengono ossidati rispettivamente in CO2, H2O e SO2. Nella realtà tuttavia, le combustioni non sono mai complete e nei fumi sono presenti altre sostanze, la maggior par‐te delle quali inquinanti. Nelle sezioni seguenti vengono descritte le caratteristiche dei prin‐cipali inquinanti presenti nei fumi di combustione.
20
Tab. 6 – Emissioni di inquinanti in atmosfera per macrosettori in Italia nel 2013 (elaborazione su dati ISPRA 2015, Italian emissions inventory 1990‐2013).
1.5.1 Monossido di carbonio CO Il monossido di carbonio è un gas piuttosto pericoloso perché è tossico, inodore e incolore, dunque non individuabile senza strumenti opportuni. Questo gas provoca effetti negativi sull’uomo e sulle piante, ma non sui materiali. Effetti sulle piante – A elevate concentrazioni (>100 ppm) e lunghe esposizioni, è stata ri‐scontrata una riduzione della capacità di alcuni batteri di fissare l’azoto nelle piante, e dun‐que della crescita delle piante stesse. Effetti sull’uomo – Gli effetti sull’uomo possono essere estremamente gravi. L’inalazione di elevate concentrazioni di CO può portare alla morte. L’esposizione di circa 1 h ad aria con concentrazione di CO pari a 0.1 % può produrre convulsioni, insufficienza respiratoria, coma, morte. La gravità degli effetti è anche legata al livello di attività fisica del soggetto esposto. Infatti il CO è circa 200‐300 volte più affine all’emoglobina dell’O2. Quando esposti a CO per‐tanto, nel sangue si forma molto più facilmente carbossiemoglobina (COHb) che emoglobina (O2Hb), e questo comporta il dimezzamento della capacità di trasporto di ossigeno da parte del sangue, con conseguenze su tutto il corpo. È chiaro dunque che tanto maggiore è l’attività fisica del soggetto esposto tanto più gravi saranno gli effetti da inalazione di CO. Cause – Le cause di produzione di CO sono essenzialmente tre: 1. Combustione incompleta del C presente nel combustibile. La formazione di CO2 passa
per la produzione di CO, secondo le seguenti reazioni:
2
2 2
2 22 2C O CO veloce
CO O CO lenta (1.34)
la prima delle quali è molto più veloce, specie a basse temperature, della seconda. Di‐venta dunque fondamentale il tempo di residenza dei gas all’interno della camera di
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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combustione, e la temperatura di combustione. Altro parametro importante è la dispo‐nibilità di ossigeno. Infatti in carenza di ossigeno la prima reazione (quella di produzione del CO) essendo più veloce assorbe la maggior parte dell’ossigeno disponibile, e la se‐conda, anche nel caso di un elevato tempo di residenza e di elevate temperature, non può avvenire.
2. Reazione tra anidride carbonica e C ad alta temperatura Ad elevate temperature l’anidride carbonica reagisce con il carbonio del combustibile a formare CO secondo la seguente reazione:
2 2CO C CO (1.35)3. Dissociazione della CO2 ad alta temperatura
Quando si raggiungono temperature elevate, dell’ordine di 1800‐2000 °C, l’anidride car‐bonica si dissocia in CO e ossigeno:
2CO CO O (1.36)Tuttavia la quota di CO che si forma per reazione e dissociazione della CO2 è trascurabile ri‐spetto a quella che si forma per combustione incompleta. Fonti – In Tab. 6 sono riportate le emissioni dei principali inquinanti in atmosfera emessi in Italia nel 2008, suddivisi per macrosettori. Come si vede la fonte principale di emissioni di CO è il trasporto (in particolare quello su strada) che complessivamente rappresenta oltre il 52% del totale delle emissioni di CO. Questo è legato alle caratteristiche intrinseche dei motori utilizzati nei sistemi di trasporto. I motori a combustione interna infatti, sono molto veloci, e di conseguenza anche la combustione lo è. Questo fa si che tra le due reazioni (1.34) la prima è sicuramente favorita. Inoltre quando il pistone scende verso il basso, subito dopo la fase di combustione, nel cilindro avviene un’espansione dei gas, con conseguente riduzione della temperatura e ulteriore rallentamento della seconda delle reazioni (1.34). Oltre alla velocità dei motori, anche il rapporto aria/combustibile influisce sulla formazione di CO, poiché in‐terviene direttamente sulla quantità di ossigeno disponibile. Nei motori a benzina di solito si lavora con rapporti molto prossimi a quello stechiometrico (14,7) mentre nel caso dei motori Diesel tale rapporto (valore stechiometrico pari a 14,5) può arrivare anche a 20 e oltre; ne deriva che i motori Diesel producono quantità minori di CO rispetto a quelli a benzina. Altri fattori che influiscono sono la velocità di rotazione del motore, e la temperatura. L’altro settore che produce maggiori emissioni di CO è il riscaldamento, nelle sue varie appli‐cazioni, con oltre il 22 %, seguito dall’industria con circa il 14.4 %. Si può dire che il CO è un inquinante tipicamente urbano, più concentrato nei grossi centri urbani caratterizzati da elevato traffico. In Fig. 7 è riportato l’andamento storico delle emis‐sioni di CO in Italia per macrosettori, dal 1980 al 1997. Come si vede le emissioni sono rima‐ste circa costanti fino ai primi anni ’90, quando lo sviluppo tecnologico e le norme sempre più stringenti in materia di emissioni inquinanti hanno cominciato a produrre i primi effetti. Tecniche di riduzione – Per abbattere le emissioni di monossido di carbonio bisogna promuo‐vere la seconda delle due reazioni (1.34), cioè occorre ossidarlo. L’ossidazione può essere sia termica che catalitica. L’ossidazione termica è una post‐combustione, che avviene a tempe‐rature di circa 500‐600 °C, tramite l’iniezione di ulteriore O2 nella camera di combustione o in una camera successiva. Questo comporta il fatto che il sistema di combustione abbia delle dimensioni superiori a quelle normali senza post combustore. L’ossidazione catalitica invece, utilizza dei dispositivi (i catalizzatori) che lavorano a temperature più basse (circa 200 °C). A queste temperature avviene una reazione tra il CO e i composti contenuti nel catalizzatore. Lo svantaggio dell’utilizzo del catalizzatore è che questo va sostituito periodicamente.
22
Fig. 7 – Emissioni di CO in Italia per macrosettore (tonnellate), dal 1980 al 1997.
1.5.2 Ossidi di zolfo SOx Gli ossidi di zolfo si trovano in atmosfera sotto forma di anidride solforosa (SO2) e solforica (SO3), ma la prima viene emessa in quantità nettamente superiori rispetto alla seconda. L’anidride solforosa è un gas incolore ma dall’odore pungente, irritante, non infiammabile e molto solubile in acqua. La sua densità è superiore a quella dell’aria quindi quando viene emesso tende a stratificarsi nelle fasce più basse dell’atmosfera, quindi può essere piuttosto dannoso. Produce effetti sui materiali, sulle piante e sull’uomo. Effetti sui materiali – Se entrano in contatto con le vernici ne aumentano il tempo di essicca‐zione e indurimento, e inoltre le rende più fragili. Sui metalli quali ferro, acciaio e zinco inve‐ce, fa aumentare la velocità di corrosione. I materiali da costruzione possono essere forte‐mente danneggiati dalla lunga esposizione a SOx. Infatti nei materiali come l’ardesia, il calca‐re, il marmo, ecc., i composti carbonati si convertono in solfati che risultano solubili in acqua, mettendo così a rischio la resistenza dei materiali e delle strutture con essi realizzate. Infine nelle fibre, quali carta e cuoio, si può avere scoloramento e polverizzazione. Effetti sulle piante – Nel caso delle piante, l’esposizione a SOx può provocare la necrosi delle foglie, e il loro ingiallimento. Inoltre può portare ad un rallentamento dello sviluppo della pianta e una riduzione della sua produttività. Effetti sull’uomo – Dato il suo odore pungente, l’anidride solforosa viene avvertita dall’uomo a concentrazioni relativamente basse. Essendo molto solubili in acqua, gli ossidi di zolfo ten‐dono a fissarsi nelle parti umide esposte del corpo, cioè nel naso, nella gola e sugli occhi, provocando irritazione e bruciore. Se combinati con il particolato possono arrivare agli al‐veoli polmonari dando origine a patologie più serie quali asma, bronchite e tracheite. Se si viene esposti ad alte concentrazioni anche per pochi minuti le conseguenze possono essere ancora più estreme. 10 minuti di esposizione a una concentrazione di 3 mg/m3 inducono un aumento del ritmo respiratorio e del battito cardiaco; a 25 mg/m3 si hanno irritazioni a occhi,
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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naso, gola, e ulteriore aumento del battito cardiaco. A concentrazioni di 5 g/m3 si ha asfissia tossica, collasso cardiocircolatorio e quindi la morte. Cause – La causa degli ossidi di zolfo è la combustione di combustibili contenenti zolfo. Le reazioni coinvolte sono due:
2 2
2 2 32 2S O SO veloce
SO O SO lenta
(1.37)
La prima reazione delle (1.37) è molto veloce tanto che oltre il 95 % degli ossidi di zolfo pro‐dotti durante la combustione sono SO2; l’anidride solforica invece, di solito rappresenta solo lo 0.2‐2.0 % del totale. La restante parte di zolfo si ritrova nelle ceneri. L’anidride solforica reagisce con l’acqua formando acido solforico
3 2 2 4SO H O H SO (1.38)composto altamente corrosivo e principale responsabile del fenomeno delle piogge acide.
Fig. 8 – Emissioni di SOx in Italia per macrosettore dal 1990 al 2013 (fonte: ISPRA 2015, Italian emissions in‐ventory 1990‐2013).
Fonti – Le fonti degli ossidi di zolfo possono essere sia naturali (attività vulcanica o geotermi‐ca) sia antropiche. Le emissioni annue da fonte naturale sono pari a circa 20 Mt, mentre quelle da fonte antropica sono oltre 150 Mt. È chiaro dunque che la causa principale è l’utilizzo di combustibili solidi e liquidi (carbone, petrolio, olio combustibile, gasolio) conte‐nenti zolfo. Il carbone ha normalmente un contenuto di zolfo pari a 0.1‐6.0 %, mentre il pe‐trolio 0.05‐4.5 %. Dalla Tab. 6 si vede che nel caso degli ossidi di zolfo il settore maggiormente inquinante non è quello dei trasporti su strada, dove la presenza di zolfo può compromettere la resistenza dei dispositivi, ma quello dell’industria e dell’energia (oltre il 75 %), dove ancora il carbone e i combustibili pesanti rappresentano una fetta importante. Solo poco più del 16 % è dovuto ai trasporti diversi da quelli stradali (marini e aerei). In Fig. 8 è riportata l’evoluzione storica
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delle emissioni di SOx in Italia per macrosettore, dal 1980 al 1997. Come si vede il trend è in continua discesa anche se attualmente le emissioni sono ancora abbastanza elevate (oltre 1 Mt/anno). Tecniche di riduzione – Le tecniche attualmente disponibili per la riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo sono essenzialmente due: la rimozione dello zolfo dal combustibile (lavaggio), o la rimozione degli ossidi di zolfo dalla corrente gassosa tramite dei desolforatori.
1.5.3 Ossidi di azoto NOx In atmosfera sono normalmente presenti diversi tipi di ossidi di azoto. Quelli inquinanti sono essenzialmente il monossido di azoto NO, e il biossido di azoto NO2, normalmente identifica‐ti con NOx. Il monossido di azoto rappresenta tuttavia circa il 90 % degli ossidi di azoto pro‐dotti durante la combustione. Esso è un gas incolore, inodore e insapore, tossico ma in misu‐ra minore rispetto al biossido di azoto, anch’esso tossico che però ha un odore molto forte, un colore giallo‐rossiccio (si vede spesso mentre ci si avvicina alle grandi città sotto forma di una cappa di nebbia giallognola), e inoltre è molto irritante e corrosivo. Gli ossidi di azoto hanno effetti negativi sui materiali, sulle piante e sull’uomo. Effetti sui materiali – La formazione di acido nitrico3 (HNO3) porta allo sbiadimento di tessu‐to, alla riduzione di resistenza meccanica e alla corrosione delle leghe a base di nichel e dell’ottone. Effetti sulle piante – L’esposizione prolungata (alcuni giorni) ad elevate concentrazioni può avere effetti negativi. A 1 ppm si possono verificare macchie sulle foglie e necrosi; a concen‐trazioni ancora più elevate (10 ppm) si riscontra la riduzione del processo di fotosintesi e quindi il rallentamento dello sviluppo della pianta. Effetti sull’uomo – Anche gli ossidi di azoto si legano con l’emoglobina formando nitriti e ni‐trati che ossidano il ferro dell’emoglobina, rendendolo quindi inutile. Gli effetti sono irrita‐zione e asfissia. L’esposizione continua a 0.006‐0.01 ppm può provocare malattie respirato‐rie; pochi minuti a 150‐200 ppm possono creare danni irreversibili agli alveoli polmonari; ol‐tre i 500 ppm si possono avere edemi polmonari, effetti sul sistema nervoso, convulsioni, e in alcuni casi la morte. Fonti – Gli ossidi di azoto possono derivare da fonti naturali (decomposizione di sostanze or‐ganiche, fulmini, incendi, vulcani) o antropiche (attività legate alla combustione). Cause – Gli ossidi di azoto hanno tre meccanismi principali di formazione, denominati ther‐mal‐, prompt‐ e fuel‐NOx. Thermal NOx (NOx termici).
Gli NOx termici sono, come dice il nome stesso, legati alla temperatura, e quindi rappre‐sentano il meccanismo principale di formazione nel caso di combustibili in grado di pro‐durre temperature elevate (di solito liquidi e gassosi). Le reazioni che intervengono in questo meccanismo sono:
2
2
N O NO NN O NO ON OH NO H
(1.39)
Questo meccanismo, ipotizzato per primo da Zeldovich nel 1947, prevede l’ossidazione dell’azoto molecolare presente nell’aria, ed è fortemente sensibile alla temperatura. Il suo contributo al totale dell’NO emesso durante la combustione è trascurabile a tempe‐rature inferiori ai circa 1200‐1300 °C, ma diventa molto importante al disopra di tale limi‐
3 L’acido nitrico è un inquinante secondario che si forma in atmosfera dalla reazione tra NO2 e radicale OH.
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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te. Per questo motivo la temperatura di picco della fiamma o la temperatura di combu‐stione vengono spesso prese come indici di misura del contributo degli ossidi di azoto di origine termica. Altri fattori che influenzano questo meccanismo sono il processo di mescolamento aria/combustibile, l’intensità di combustione e il pre‐riscaldamento dell’aria di combu‐stione. Inoltre si è visto che la quantità di NO emesso per via termica, aumenta presso‐ché linearmente con il tempo di residenza nella zona di combustione.
Prompt‐NOx (NOx rapidi) In questo meccanismo si ha formazione di ossidi di azoto molto rapida per le reazioni che avvengono tra N2 dell’aria e i radicali idrocarburici (‐HC) presenti nel fronte di fiam‐ma. Le reazioni in gioco sono:
2
2
2
CH N HCN NN O NO OHCN O NO HCO
(1.40)
Questo meccanismo non è particolarmente sensibile alla temperatura, ma comunque gli NOx prodotti in questo modo rappresentano una percentuale piuttosto bassa del totale (circa il 5‐6 %).
Fuel‐ NOx (NOx dal combustibile) Questo meccanismo coinvolge l’azoto presente nel combustibile, e rigarda quindi i com‐bustibili liquidi (che in genere hanno una concentrazione di azoto ≤ 0.5 %) e soprattutto quelli solidi (concentrazione 0.5‐2.0 %). Nella fase di devolatilizzazione del combustibile anche l’azoto viene rilasciato sotto forma di composti (HCN e NH3) i quali possono a loro volta reagire per formare monossido di azoto. Gli NOx prodotti da questo meccanismo possono essere molto importanti nel caso del carbone, potendo rappresentarne il anche l’80 % del totale emesso.
La principale fonte antropica degli NOx sono ancora i sistemi di trasporto (circa il 70 %, Tab. 6), ma anche l’industria dà un contributo rilevante (circa il 21 %). L’evoluzione temporale delle emissioni in Italia è riportata in Fig. 9. Il monossido di diazoto (comunemente chiamato protossido di azoto, N2O) è un gas ad effet‐to serra circa 300 volte più pericoloso dell’anidride carbonica, ma fortunatamente la sua concentrazione in atmosfera è molto limitata. I meccanismi di formazione durante la combu‐stione non sono ancora del tutto chiari, ma è stata rilevata una possibile sorgente dovuta ai prodotti intermedi (HCN, NH3) che si formano durante il processo di formazione dei prompt NOx. Altre fonti antropiche di protossido di azoto sono i fertilizzanti azotati utilizzati in agri‐coltura, e alcuni processi industriali.
1.5.4 Protossido di azoto e ozono Il protossido di azoto (N2O) e l’ozono (O3) verranno affrontati nel capitolo 7.
1.5.5 Composti organici volatili COV Sono composti organici che rimangono in atmosfera in fase gassosa, e possono contenere carbonio, idrogeno, ossigeno, cloro, fluoro, fosforo, zolfo, metalli, ecc.. Sono prodotti da fonti naturali (attività biologica del suolo e della vegetazione) e antropica (processi industriali, combustione, produzione e movimentazione dei combustibili). I COV più diffusi sono gli idrocarburi (alcheni, composti aromatici), e i clorofluorocarburi. Tutti i COV
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sono irritanti, a diversi gradi, e alcuni di loro sono classificati come cancerogeni (benzene, formaldeide).
Fig. 9 – Emissioni di NOx in Italia per macrosettore dal 1990 al 2013 (fonte: ISPRA 2015, Italian emissions in‐ventory 1990‐2013).
1.5.6 Metano CH4 Il metano che si trova in atmosfera deriva per il 40 % da fonte naturale (processi di fermen‐tazione), e il restante da fonte antropica, legata essenzialmente al settore agricolo e zootec‐nico, e alle perdite dei sistemi di distribuzione del metano. La sua pericolosità non è tanto legata al livello di tossicità, ma al fatto di esser un gas climalterante con un potenziale di ef‐fetto serra pari a 25 volte quello della CO2. Fortunatamente la concentrazione di metano nell’atmosfera non è altrettanto importante.
1.5.7 Idrocarburi policiclici aromatici IPA Gli idrocarburi policiclici aromatici, indicati con la sigla IPA, possono essere prodotti anche con contributi piuttosto importanti, sia da fonti naturali (eruzioni vulcaniche, incendi boschi‐vi, prodotti da alcune specie di batteri e funghi), che antropiche (in questo caso derivanti da tutti i processi di combustione non completa). In linea indicativa si può affermare che tanto maggiore è la quantità di fumo prodotto durante la combustione, tanti più IPA vengono libe‐rati nell’aria. Anche l’utilizzo dei vari combustibili produce una notevole quantità di inqui‐nanti. Le principali fonti di emissioni sono i sistemi di riscaldamento e produzione di calore, e l’industria, come mostrato in Tab. 6. L’effetto più pericoloso provocato dall’esposizione agli IPA è il cancro. L’andamento nel tempo delle emissioni di IPA in Italia è riportata in Fig. 10.
Cap. 1 – L’interazione tra le macchine e l’ambiente
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1.5.8 Diossine Con il termine diossine si intendono in realtà due insiemi di sostanze con diverse caratteristi‐che chimiche ma proprietà simili: le policlorodibenzodiossine (PCDD) e i policlorodibenzofu‐rani (PCDF). Sono estremamente tossiche anche a basse concentrazioni, per questo tutti i Paesi hanno fissato dei limiti di emissione molto stringenti. Anche a basse esposizioni posso‐no portare cancro e deformazioni genetiche. La formazione di diossine è legata alla presenza di Cl nel combustibile, e a temperature di combustione relativamente basse (oltre 500 °C le diossine si decompongono in altri compo‐sti non dannosi). Oltre a queste, altre condizioni devono essere verificate perché si formino diossine durante la combustione: presenza di sostanze clorurate, di tipo prevalentemente organico presenza di metalli di transizione (Fe, Cu..) presenza di sostanze che forniscono idrogeno (materiali organici) temperature comprese tra 200 e 500 °C combustione in difetto di ossigeno assenza di zolfo Combustibili che possono portare alla produzione di diossine sono i rifiuti solidi urbani, spe‐cie se bruciati all’aria aperta, contenenti plastiche e PVC, legname trattato chimicamente (traversine dei binari) o verniciato (legname derivante dalla demolizione di appartamenti), sostanze chimiche (vernici, solventi, ecc.). L’andamento nel tempo delle emissioni di diossina in Italia è riportata in Fig. 10.
Fig. 10 – Emissioni di IPA e Diossine in Italia dal 1990 al 2013 (fonte: ISPRA 2015, Italian emissions inventory 1990‐2013).
1.5.9 Particolato Il particolato atmosferico può essere di origine naturale (tempeste di sabbia, vulcani, incendi boschivi) e antropiche (industria, motori a combustione interna, rifiuti solidi urbani, ecc., Tab. 6) in rapporto circa uguale. Le cause antropiche sono essenzialmente la combustione, che produce ceneri leggere che vengono trasportate dal flusso dei gas combusti. Le dimen‐
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sioni possono andare dalle frazioni dei µm ad alcuni mm, ma quelle più interessanti dal pun‐to di vista del loro effetto sull’uomo e sul pianeta sono quelle più fini (0.1‐150 µm). Le parti‐celle di dimensioni inferiori ai 10 µm sono particolarmente pericolose perché se inalate pos‐sono raggiungere facilmente gli alveoli polmonari provocando problemi respiratori, enfisemi, cancri, a seconda della loro composizione. In Fig. 11 è riportato l’andamento nel tempo delle emissioni di particolato PM10 in Italia suddiviso per macrosettori. I meccanismi di formazione del particolato sono descritti nel capitolo 2.
Fig. 11 – Emissioni di PM10 in Italia per macrosettore, dal 1990 al 2013 (fonte: ISPRA 2015, Italian emissions inventory 1990‐2013).
1.6 La normativa ambientale italiana per gli impianti di combustione La normativa che regola le emissioni in atmosfera delle centrali di produzione di energia che utilizzano la combustione, ha avuto una rapida evoluzione, soprattutto a partire dalla metà degli anni ‘80. Prima di quel periodo le leggi vigenti erano basate sul controllo delle immis‐sioni, ovvero delle concentrazioni al suolo delle sostanze inquinanti. Tale sistema (ancora non abbandonato ma parte di sistemi di controllo più completi) si è rilevato però poco effi‐cace visto che, per rispettare i valori ammessi, era sufficiente utilizzare adeguati sistemi di dispersione (in pratica, costruendo ciminiere molto alte). Negli anni 1984‐86 si è andata consolidando, a livello comunitario, una nuova filosofia di contenimento e prevenzione dell’inquinamento atmosferico basata non solo sul controllo delle immissioni ma anche delle emissioni, ovvero delle concentrazioni degli inquinanti nel punto di scarico in atmosfera. Sono stati dunque stabiliti dei valori massimi di concentrazio‐ne di alcune sostanze ed è emersa una nuova esigenza di compatibilità ambientale al di là del controllo locale degli inquinanti. Infatti occorre controllare le emissioni totali in relazione
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ai problemi ecologici di carattere sovranazionale e giungere così alla stipula di protocolli a li‐vello internazionale. I protocolli internazionali finora sottoscritti riguardano4: ‐ la riduzione delle emissioni globali di ossidi di zolfo (protocollo firmato a Helsinki nel
1985 e reso più stringente a Oslo nel 1994); ‐ la riduzione degli ossidi di azoto (protocollo firmato a Sofia nel 1988); ‐ la riduzione dei gas serra (il principale è l’anidride carbonica): questo problema è stato
discusso nel dicembre 1997 alla conferenza intergovernativa di Kyoto, dove sono stati fissati obiettivi vincolanti sulle emissioni di CO2. Per rispettare gli impegni assunti, l’Unione Europea si è impegnata nel periodo 2008‐2012 a ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra dell’8% rispetto al livello riscontrato nel 1990.
‐ la riduzione autonoma dei gas serra del 20% entro il 2020 da parte dell’Europa (direttiva 2009/28/CE ). Gli obiettivi fondamentali enunciati nella direttiva sono: consumi di fonti primarie ridotti del 20% rispetto alle previsioni tendenziali, mediante aumento dell’efficienza; emissioni di gas climalteranti, ridotte del 20%, secondo impegni già presi in precedenza, protocollo di Kyoto, ETS (Emission Trading System); aumento al 20% della quota di fonti rinnovabili nella copertura dei consumi finali (usi elettrici, termici e per il trasporto).
La legislazione italiana, recependo le nuove esigenze, si sta adeguando al contesto interna‐zionale ed europeo. Nelle Tab. 7 ‐ Tab. 10 sono riportati, a titolo di esempio, i limiti di emissione di alcune tipolo‐gie di impianti di combustione secondo quanto riportato nel DLGS n. 152, del 03 aprile 2006 (Testo unico Ambientale).
Tab. 7 – Limiti di emissione per impianti a combustibili solidi di potenza nominale inferiore a 50 MW. 4 Da: C. Belli, P. Chizzolini, Conversione dell’energia, Università di Pavia.
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Tab. 8 – Limiti di emissione per impianti a combustibili liquidi di potenza nominale inferiore a 50 MW.
Tab. 9 – Limiti di emissione per impianti a combustibili gassosi (diversi dal biogas) di potenza nominale infe‐riore a 50 MW.
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Tab. 10 – Limiti di emissione per impianti costituiti da motori a combustione interna alimentati a biogas di potenza nominale inferiore a 50 MW.
Tab. 11 – Limiti di emissione di SO2 per impianti a combustibili solidi, con potenza nominale superiore a 50 MW (il monitoraggio va fatto in continuo).
Tab. 12 – Limiti di emissione di SO2 per impianti a combustibili liquidi, con potenza nominale superiore a 50 MW (il monitoraggio va fatto in continuo).
Tab. 13 – Limiti di emissione di SO2 per impianti a combustibili gassosi, con potenza nominale superiore a 50 MW (il monitoraggio va fatto in continuo).
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Tab. 14 – Limiti di emissione di NOx per impianti con potenza nominale superiore a 50 MW (il monitoraggio va fatto in continuo).
Tab. 15 – Limiti di emissione di particolato per impianti con potenza nominale superiore a 50 MW (il moni‐toraggio va fatto in continuo).
2. Meccanismi di formazione
del particolato
Dispense del Corso di Interazione Macchine e Ambiente
D. Lentini
A.A. 2017‐2018
Capitolo 2Meccanismi di formazione del particolato
2.1 Terminologia
Riportiamo innanzitutto la terminologia adottata per indicare i diversi tipi di particolato. Osserviamo
che il termine ‘particolato’ si riferisce tanto a particelle solide che a goccioline. Aerosol è il termine
più generale, che denota un liquido od un solido dispersi nell’atmosfera. Si indicano come polveri
particelle solide prodotte da macinazione o frantumazione, per esempio polveri di carbone prodotte
negli impianti di macinazione che alimentano caldaie che utilizzano carbone polverizzato. Per fumo
si intendono particelle solide prodotte nella condensazione di vapori; se in particolare si tratta di
particelle di carbonio, si parla di soot. Si chiamano invece nebbie particelle liquide sospese in atmo-
sfera. Con smog si intendono quelle particelle o goccioline il cui diametro è prossimo alle lunghezze
d’onda della luce (0,4 – 0,7 µm), per cui esse risultano particolarmente efficaci nel disperderla.
2.2 Effetti del particolato
Gli effetti del particolato dipendono sensibilmente dalle sue dimensioni. Le particelle di piccolo
diametro (cosidette particelle fini) possono essere respirate in profondità nei polmoni. A Londra, nel
1952, si verificò una particolare situazione meteorologica per cui si ebbe una forte concentrazione
di particolato per diversi giorni, alla quale fece seguito un forte incremento nel numero di decessi
giornalieri, per un totale di circa 4000 morti, come illustrato dalla fig. 2.1 (tipico esempio di studio
epidemiologico). Si può dire che orientativamente un aumento della concentrazione di particolato di
100 µg/m3 causi un incremento della mortalità del 6% circa. Si ha anche un effetto sulla visibilità,
in particolare per effetto del particolato con diametro comparabile alla lunghezza d’onda della luce
visibile. Il particolato ha anche un importante effetto sul riscaldamento globale: quello secondario –
vedi par. 2.4 (composto essenzialmente da solfato e nitrato d’ammonio e simili) riduce la frazione di
luce solare recepita a terra, contrastando in tal modo l’effetto serra, mentre quello primario (composto
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2 Interazione Macchine Ambiente 2017/18, D. Lentini, Sapienza Università di Roma
Figure 2.1: Tasso di mortalità giornaliera e concentrazione di particolato ed anidride solforosa perl’episodio di inquinamento del dicembre 1952 a Londra, da [1].
essenzialmente da particelle di carbone e ceneri) assorbe la radiazione solare, aggravando pertanto il
riscaldamento globale, vedi 2.8.
2.3 Generazione del particolato
I meccanismi di formazione del particolato sono di varia natura:
1. naturali;
2. meccanici;
3. combustivi.
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I meccanismi naturali includono per esempio la formazione di nebbie, e di sprays per l’impatto delle
onde marine sulle coste. Ancora, il trasporto di polvere e sabbia da parte del vento. Le dimensioni
di questi fenomeni naturali sono tali che non vi è possibilità di intervento umano globale su di essi,
per quanto a livello locale si hanno senz’altro effetti dovuti ad attività antropiche.
I meccanismi meccanici includono i processi di frantumazione e macinazione sopra accennati, l’aratura
dei campi, come pure altri fenomeni minori come l’usura dei pneumatici dei veicoli.
Il più grande contributo alla formazione di particolato da parte dell’uomo viene tuttavia da parte
della combustione, sia per effetto di processi di generazione di energia che di altro tipo.
Prima di affrontare il più importante contributo dei primi, dedichiamo un cenno a questi ultimi,
tra i quali annoveriamo la pratica di bruciare i residui agricoli dopo il raccolto, l’uso di cucine
alimentate con materiale organico (legna, etc.) e di barbecue. In particolare, la combustione di residui
agricoli produce importanti quantità di particolato, e l’uso dei barbecue durante i fine settimana è
un’importante fonte di particolato in alcune città statunitensi durante i weekends. L’uso di barbecue
e cucine alimentate con materiale organico in ambienti chiusi in particolare implica un rischio per la
salute anche per altre cause (ad es., inalazione di fumo di grassi acidi); le ceneri prodotte possono
provocare cecità (fenomeno che assume dimensioni drammatiche nel terzo mondo; si stimano circa
1 600 000 casi l’anno).
Nel seguito consideriamo la formazione di particolato dovuta a processi di conversione dell’energia.
2.4 Particolato primario e secondario
Introduciamo un’importante distinzione tra particolato primario (prodotto direttamente nella com-
bustione, quindi soot nella combustione di idrocarburi e, nella combustione del carbone, le ceneri,
che constano principalmente di ossidi di silicio, calcio, alluminio, con tracce di altri minerali), e par-
ticolato secondario (prodotto successivamente nell’atmosfera da reazioni che coinvolgono inquinanti
primari, con formazione di smog).
Le particelle primarie, cioè generate direttamente nel processo di combustione, includono carbone
polverizzato (il carbone utilizzato p. es. nelle centrali elettriche è macinato mediante cosidetti
mulini per ridurlo alla consistenza di una cipria, con diametri delle particelle tipicamente compresi
nel campo 50 – 150 µm), poi soot, di diametro tipicamente compreso tra 1 nm ed 1 µm (al massimo),
che è prodotto nella combustione di tutti gli idrocarburi (si distingue tra particolato, derivante dalla
condensazione di vapori, pieno, e cenosfere, residui della combustione di gocce, sulla cui superficie
vengono a galleggiare le specie a più alto numero di atomi di carbonio, solide; mentre la goccia brucia
4 Interazione Macchine Ambiente 2017/18, D. Lentini, Sapienza Università di Roma
e si consuma, rimane quindi una crosta solida, vuota), e ceneri, sostanze non combustibili presenti
in tutti i carboni (quelle di diametro più piccolo vengono trascinate dai fumi, sono perciò dette
volanti, mentre quelle più grandi si depositano sul fondo della caldaia, dette quindi di fondo). Le
particelle secondarie si formano nell’atmosfera per reazioni che interessano inquinanti primari come
NOx, SOx, COV (Composti Organici Volatili1, vedi cap. 6), ed ammoniaca NH3, la quale ultima è
invece presente nell’atmosfera a causa di processi biologici, vedi par. 2.6.
La fig. 2.2 (detta carta di Lapple) riporta diverse caratteristiche del particolato in funzione del
diametro (riportato in ascissa). Queste comprendono in particolare la designazione della radiazione
di lunghezza d’onda corrispondente al diametro (che quindi viene più efficacemente diffusa), le desi-
gnazioni adottate per il particolato a seconda del diametro, ed alcune tipi rappresentativi di particelle.
L’ultima fascia riporta poi la velocità terminale di sedimentazione, ossia la velocità di caduta delle
particelle alla quale le forze di gravità e di resistenza aerodinamica (dovuta al moto di caduta) si
equilibrano (vedi cap. 3); osserviamo che tale velocità è funzione crescente del diametro, quindi per
particelle piccole risulta molto bassa.
Le particelle di piccolo diametro, cosidette particelle fini, sono quelle più pericolose per la salute.
Inizialmente (1987) si era fissato come indice del contenuto nell’aria di queste particelle la concen-
trazione (in µg/m3) di particelle con diametro inferiore ai 10 µm, rilevata attraverso opportuni filtri.
Successivamente si è riusciti ad ottenere misure accurate della concentrazione di particelle di diametri
più fini (che sono quelle più pericolose) e si è quindi fissato un nuovo standard, più rappresentativo,
relativo a particelle con diametro inferiore ai 2,5 µm. Le particelle più grosse, di diametro maggiore