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Le malattie del legno della vite di origine fungina A cura di: Salvatorica Serra Dipartimento di Protezione delle Piante - Università di Sassari Renzo Peretto Dipartimento Produzioni Vegetali - Agenzia Laore Sardegna Università degli Studi di Sassari

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Le malattie del legnodella

vite di origine funginaA cura di:

Salvatorica SerraDipartimento di Protezione delle Piante - Università di Sassari

Renzo PerettoDipartimento Produzioni Vegetali - Agenzia Laore Sardegna

Università degli Studi di Sassari

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Introduzione pag. 5

La sintomatologia » 7

Mal dell’esca: sintomi sulla chioma » 7

Mal dell’esca: sintomi sul legno » 14

Deperimento da Botryosphaeria » 16

Eutipiosi » 19

Problematiche legate alla manifestazione dei sintomi » 20

Gli agenti patogeni e le sindrome correlate » 23

La diffusione » 25

Infezioni attraverso ferite » 25

Infezioni attraverso il materiale di propagazione » 25

I fattori predisponenti » 28

La prevenzione » 31

Mezzi agronomici » 31

Mezzi chimici, fisici e biologici » 33

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Indice

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Esistono malattie e parassiti delle colture agrarie, e nelcaso specifico della vite, che generano un allarmeimmediato tra gli operatori agricoli: esse sono benconosciute sotto il profilo biologico e fitoiatrico, neiloro riguardi l’attenzione è sempre elevata, contro diesse vengono adottate costanti ed efficaci contromi-sure sul piano della prevenzione e della difesa attiva.Nel contenimento di questi parassiti l’assistenza tec-nica, quando competente e tempestiva, sortiscegeneralmente risultati soddisfacenti.Esistono però altre fitopatie che potremmo definire più“subdole”, che si diffondono nei vigneti in maniera quasisilente e di cui la scienza della patologia vegetale nonsempre ha chiarito eziologia, modalità di trasmissione,strumenti di difesa. Il mal dell’esca è uno di questi “mali” che quasi tutti iviticoltori conoscono, almeno nella sua manifestazio-ne più eclatante: la sporadica moria di qualche pian-ta nell’ambito del vigneto. Questa malattia vienequasi sempre annoverata fra quelle “minori” dellavite. Niente di più sbagliato. La sua diffusione a livel-lo mondiale, l’eziologia complessa (finora sono statiindividuati almeno tre funghi responsabili di questa

fitopatia, praticamente ubiquitari), la capacità deipatogeni di penetrare nei tessuti legnosi anche attra-verso ferite di modesta entità, insieme ad altri fattorihanno attirato, negli ultimi anni, l’attenzione dei tec-nici viticoli su questa alterazione.Un altro fattore che ci deve spingere a non sottovalu-tare il problema consiste nella particolare predilezio-ne di questi patogeni nei riguardi dei vigneti chehanno subìto opere di riconversione nella forma diallevamento, reinnesti e in generale drastiche pota-ture che notoriamente aumentano molto la suscetti-bilità della pianta. In Sardegna, grazie anche agliinterventi di riconversione incoraggiati dalla politicacomunitaria e regionale, queste situazioni sonodiventate piuttosto frequenti e ancor più potrannodiventarlo in futuro. Di qui la necessità di realizzare un’opera divulgativacome questa, che vuole fare il punto sulle più recenticonoscenze nello studio della patologia e suggerireai viticoltori i comportamenti più idonei per prevenir-ne la diffusione, nella speranza che la ricerca possanel frattempo identificare una cura reale ed efficace.

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Prefazione

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Le principali malattie del legno della vite comprendonoil mal dell’esca, causato da diversi agenti fungini, l’euti-piosi, causata da Eutypa lata, e il deperimento da Botryo-sphaeria spp. Talvolta tra le malattie del legno si includeanche l’escoriosi. Quest’ultima, però, interessa i tralci diuno o due anni, mentre le malattie del legno vere e pro-prie colpiscono il fusto ed i cordoni e perciò hanno carat-teristiche sostanzialmente diverse. Le malattie del legno della vite si inquadrano perfetta-mente nella sindrome del deperimento. In termini gene-rali, per deperimento s’intende la perdita di vigore dellapianta, più o meno rapida, che può essere determinatada molteplici fattori di natura biotica (infezioni parassita-rie o virali, infestazioni di artropodi) ed abiotica (stressidrici, nutrizionali, gelate, condizioni pedologiche sfavo-revoli, ecc.); tali fattori possono portare alla morte dellapianta stessa. Non di rado il deperimento è dovuto allaconcomitanza di diverse cause. Infatti, i vari fattori distress, abiotici e biotici, aumentano la suscettibilità dellapianta ad altri patogeni, anche secondari. Ciò provoca lasovrapposizione di sintomatologie diverse che ostacola-no l’individuazione delle cause primarie e di conseguen-za l’applicazione di adeguati mezzi fitoiatrici.Questo opuscolo è dedicato principalmente al mal del-l’esca.Il mal dell’esca della vite è una sindrome complessadeterminata da funghi invasori del legno in grado dicompromettere la vita stessadella pianta. È una micosi notada moltissimo tempo comemalattia endemica circoscritta aivigneti vecchi. Tuttavia, negliultimi 10-15 anni la malattia si èmanifestata anche in vigneti gio-vani con una diffusione ed un’in-tensità crescenti, tali da farlaconsiderare la più grave altera-zione fungina della vite. Leragioni di questa escalationsono molteplici. Oltre alla man-cata adozione di adeguatenorme profilattiche di difesa,all’ampia distribuzione e inter-scambio di materiale vivaistico,alla diffusione della meccanizza-zione, bisogna considerare l’evo-luzione delle tecniche colturaliche ha consentito un maggiore

Introduzione

Fig. 1. Chiazze decolorate su Cannonau in diverse fasi di sviluppo

Fig. 2. Tigrature su Cannonau

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sfruttamento dei vigneti. Questi iniziano la lorocarriera produttiva più precocemente e sono ingrado di fornire produzioni assai elevate. Si assi-ste così ad un invecchiamento precoce e, spes-so, a situazioni di stress che aumentano lasuscettibilità delle viti agli attacchi dei funghiinvasori del legno.

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Fig. 3. Tigrature su Cannonau

Fig. 4. Tigrature su Cabernet sauvignon

Fig. 5.Tigrature su Merlot

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Mal dell’esca: sintomi sulla chioma

Il mal dell’esca può avere due tipi didecorso: cronico, cioè un deperimen-to lento e progressivo che può duraremolti anni, oppure acuto, cioè lamorte improvvisa della pianta. Nellasua forma cronica è caratterizzatodalla presenza sulle foglie delle cosid-dette “tigrature”. Queste derivano dachiazze decolorate (gialle o rosse inbase al vitigno) che si ingrandisconoe si uniscono fino a formare dellearee continue tra le nervature. Nellefasi più avanzate il tessuto decoloratonecrotizza mantenendo però unalone giallo o rosso vivo (Fig. 1-8).

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La sintomatologia

Fig. 6. Tigrature su Sauvignon blanc

Fig. 7. Tigrature su Vermentino

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Fig. 8.Tigrature su Sangiovese

Fig. 9.Tigrature prive di alone vivace su

Sauvignon blanc

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Tuttavia, in alcuni casi la necro-si è priva di aloni vivaci, maappare bordata da linee scure(Fig. 9-11). Sempre sulle foglie,si manifestano anche sintomiaspecifici di vario genere. I piùcomuni consistono in clorosi enecrosi marginali e/o dellembo, più o meno estese, checompaiono sulla stessa piantainsieme alle tigrature o indi-pendentemente da esse (Fig.12-20). Tuttavia, non si puòescludere che tali sintomi aspe-cifici possano essere causati daaltre malattie da deperimento,presenti sulle stesse pianteinsieme al mal dell’esca, o dauno stato fisiologico alterato acausa di fattori ambientali. Col progredire della stagione lefoglie più colpite possono cadere lasciando i tralcidefogliati (Fig. 21). Questi ultimi, se non dissecano,possono cacciare femminelle stentate, spesso cloro-tiche o con sintomi evidenti (Fig. 22). I sintomi cronici del mal dell’esca possono comparireanche sugli acini, soprattutto sulle uve da tavolabianche, sotto forma di necrosi superficiali di variaforma (puntiforme, a meridiani, a chiazze, ecc. - Fig.23). Più comunemente i grappoli si disidratano equindi disseccano (Fig. 24). Tutti i sintomi cronici possono essere accompagnatida disseccamenti più o meno estesi di foglie, grappo-li o interi tralci e manifestarsi su tutta la pianta o suparte di essa (Fig. 25-26). Su viti allevate a cordonebilaterale non di rado uno solo dei due manifesta isintomi. Nella sindrome acuta del mal dell’esca si ha la mani-festazione del colpo apoplettico, cioè l’avvizzimentoimprovviso dell’intera vegetazione cui può seguire la

morte della pianta (Fig. 27-30). Nelle viti allevate acordone bilaterale il colpo apoplettico può interessa-re solo uno dei due cordoni. In ogni caso, prima del-l’avvizzimento, la vegetazione non manifesta sintomi

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Fig. 11. Tigrature prive di alone vivace sovrapposte a sintomi di virosi su Cabernet sauvignon

Fig. 10. Tigrature prive di alone vivace su Vermentino (sopra) e Cabernetsauvignon (sotto).

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Fig. 12. Necrosi del margine fogliare accompagnata da clorosiinternervale su Sauvignon blanc

Fig. 13. Necrosi del margine fogliare (accompagnata da clorosi puntifor-me a sinistra) su Sauvignon blanc

Fig. 14.Necrosi del margine fogliare bordata di rosso scuro su Merlot

Fig. 15. Necrosi del lembo fogliare su Cannonau

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Fig. 16. Necrosi del lembo fogliare su Merlot

Fig. 17. Clorosi e necrosi del lembo fogliare su Sauvignon blanc

Fig. 18.Necrosi del marginee del lembo insieme

a tigraturasu Sauvignon blanc

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di tipo cronico. Al contrario, sono le viti più vigorose,con foglie sane, a subire questo fenomeno. Perciò, ilcolpo apoplettico si manifesta di solito nella fase dimaggior sviluppo vegetativo o quando inizia lamaturazione dei grappoli. Tuttavia, soprattutto se illegno del capo a frutto non ha avuto modo di matu-rare bene nell’annata precedente, il disseccamento

della vegetazione può essere molto più precoce, apartire dal germogliamento. È importante sottolinea-re che il mancato accumulo di sostanze di riserva nelcapo a frutto può avere anche altre cause. Anzi,soprattutto su piante giovani, può derivare da altrifattori di stress sopraggiunti l’anno prima della mani-festazione dell’apoplessia, per esempio un’eccessivaproduzione.Nelle viti soggette a colpo apoplettico la vegetazionedisseccata rimane più a lungo sui tralci, mentre inquelle colpite gravemente da sintomi cronici i tralciappaiono spesso defogliati.Le viti colpite da mal dell’esca possono perdere vita-lità nel corso degli anni e morire. Nella valutazionedei sintomi è perciò importante osservare la presen-za di fallanze, piante o cordoni morti o sottoposti adrastici interventi cesori come la capitozzatura.Come vedremo in seguito, la manifestazione dei sin-tomi è variabile da un anno all’altro; a volte, l’unicaevidenza del deperimento è una vegetazione ridottao stentata (Fig. 31).Le prime piante con sintomi fogliari possono compa-

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Fig. 19. Necrosi del margine e del lembo insieme a tigratura su Cannonau

Fig. 20. Necrosi del lembo insieme a tigratura su Merlot

Fig. 21. Tralci defogliati in seguito alla caduta di foglie sintomatiche su Cannonau (a sinistra) e Sauvignon blanc (a destra).

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Fig. 22. Femminelle sui tralci defogliati di Cannonau (a sinistra) e Merlot (a destra)

Fig. 23.Necrosi a chiazze su uva da tavola

Fig. 24. Grappoli disidratati e secchi su Sauvignon blanc

Fig. 25. Disseccamenti della vegetazione su viti di Cannonau con sintomi fogliari

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rire già a maggio. La loro percentuale incre-menta nel corso dell’estate e raggiunge ilmassimo tra luglio e agosto. Al contrario,invece, l’intensità del sintomo sulla stessapianta non subisce sempre una progressio-ne nel corso della stagione. A volte i sintomicompaiono così rapidamente da manife-starsi in toto fin dall’inizio. Altre volte, lepoche foglie presenti a inizio stagionecadono e la pianta appare sana; oppure ilricaccio di femminelle prive di sintomi rico-stituisce parte della vegetazione facendoapparire il sintomo meno intenso.

Mal dell’esca: sintomi nel legno

I sintomi sulla chioma sono espressione dialterazioni del legno osservabili entro il cor-done e/o il fusto. Per rilevarle è necessariosacrificare la pianta estirpandola dalla radi-ce. Infatti, tali alterazioni possono essereconfinate in qualsiasi punto lungo il ceppo,anche nel portinnesto, soprattutto se lapianta è giovane. Solo su viti di una certaetà le alterazioni del legno possono esten-dersi per tutta la lunghezza del fusto, por-tinnesto compreso, e del cordone. Fino aglianni ’80 si pensava che il mal dell’esca dellavite fosse legato alla carie del legno. Inseguito alla recrudescenza della malattianegli anni ’90, studi più approfonditi hannomesso in evidenza alterazioni di diversotipo, in particolare tessuti imbruniti, spessolegate tra loro o sovrapposte. La carie rap-presenta lo stadio più avanzato di deterio-ramento. Nelle fasi iniziali si possono osservare stria-ture necrotiche o venature brune in corri-spondenza dei vasi legnosi, che appaionocome punteggiature in sezione trasversale(a) (Fig. 32). Tali punteggiature possonoessere sparse o concentrate attorno almidollo a formare una specie di alonenecrotico. Non sempre queste striature sonodi origine infettiva. Spesso si tratta di reazio-ni di cicatrizzazione stimolate da tagli (Fig33). Se però il sintomo ha cause patologiche,in una fase successiva l’alone si ispessisceformando una necrosi circolare di colorebruno - rosato (b) collegata alle punteggia-ture da “fiammate” dello stesso colore (Fig.34-35). Si ritiene che la necrosi circolare siaun’evoluzione delle punteggiature. Oltre aciò si possono osservare necrosi a forma disettore di colore bruno – marrone più omeno chiaro (c) (Fig. 35-36).

Fig. 26. Disseccamenti fogliari su Merlot

Fig. 27. Apoplessia su Cannonau sopraggiunta nella fase di fine maturazione;i grappoli sono ancora turgidi

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Fig. 28.Apoplessia su Cannonau sopraggiunta prima della fioritura

Fig. 29. Vite di Vermentino colpita da apoplessia in pieno sviluppo vegetativo

Fig. 30. Viti di Cannonau (a sinistra) e di Sauvignon blanc (a destra) colpite da apoplessia in pieno sviluppo vegetativo

Fig. 31. Esempi di scarso sviluppo vegetativo su Sauvignon blanc: tralci corti (a sinistra); vegeta-zione stentata su un cordone (in alto a destra); foglie piccole e clorotiche a fronte di grappoli nor-mali (in basso a destra);

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All’interno di questi tessuti necrotizzati si forma la cariebianca (d) che rende il tessuto legnoso spugnoso, friabile,di colore giallo chiaro (Fig. 35). La carie può arrivare adinteressare tutta l’area necrotica, di cui rimane solo uncontorno dello stesso colore (Fig. 36). In sezione trasversa-le si osservano, a volte, anche necrosi sottocorticali (e)(Fig. 36). Sia le necrosi settoriali che quelle sottocorticali,come vedremo nei successivi paragrafi, sembrerebberocollegate ad altre malattie del legno.Nelle piante giovani possono comparire tutti i sintomi, cariecompresa, ma di solito non tutti insieme e limitati a zone cir-coscritte (Fig. 37). Sulle piante adulte, invece, può essereosservabile l’intera gamma di sintomi (come nelle figuredella pagina successiva) e, in quelle ormai vecchie, possonooccupare l’intera sezione longitudinale di tronco e cordoni(Fig. 38).

Deperimento da Botryosphaeria

Le specie del genere Botryosphaeria sono state associatesu vite ad una ampia gamma di sintomi di deperimento:mortalità delle gemme e dei germogli, escoriosi, cancri,disseccamenti del fusto o dei cordoni, clorosi e necrosifogliari, marciumi del grappolo. Non è raro che la stessasindrome, cioè un insieme di sintomi, sia indicata connomi diversi in Paesi diversi. In Italia, negli anni ’70 e ’80sono stati segnalati deperimenti causati da B. obtusa chesono stati assimilati alla sindrome del “black dead arm”(BDA), letteralmente “braccio nero morto”, già descritta inUngheria. Sia in quest’ultimo Paese che in altri, il BDA èstato associato anche ad altre specie di Botryosphaeria. Isintomi fogliari del BDA sono simili a quelli del mal del-l’esca. Alcune segnalazioni riferiscono di arrossamenti edingiallimenti del lembo fogliare, cui segue l’avvizzimentoed il disseccamento della vegetazione. Altre segnalazioniriferiscono la presenza di tigrature sulle foglie, del tuttosimili a quelle del mal dell’esca, necrosi del lembo e delmargine, seccumi di foglie tralci e grappoli. I tentativi didistinguere le due malattie da questo punto di vista nonforniscono indicazioni pratiche utili all’operatore. Peresempio, alcuni ricercatori francesi hanno suggerito che le

tigrature ascrivibili a BDA: com-paiano prima dell’esca (finemaggio contro fine giugno);non mostrino mai chiazze gial-le; la pigmentazione rossa siapiù scura sulle varietà ad uvanera. Il sintomo somiglia moltoalla necrosi internervale priva dialone vivace già descritta a pro-posito dell’esca (Fig. 9-11). Tut-tavia, le differenze sono minimee la variabilità dell’espressionesintomatologica le rende estre-mamente difficili da rilevare. Lasituazione è complicata dal

Fig. 32. Punteggiature necrotiche (a)

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Fig. 33. Striature originate da fenomeni di cicatrizzazione (a)

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Fig. 34. Punteggiature (a) e necrosi circolari bruno-rosato (b) attorno al midollo

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Fig. 35. Punteggiature necrotiche (a),necrosi circolare bruno rosato (b), necrosisettoriale bruno marrone (c) e infiltrazio-ni di carie entro i tessuti necrotici (d).

Fig. 37. Sintomi di carie localizzati alpunto d’innesto. La parte superiore deltronco appare priva di alterazioni

Fig. 36. Carie (d) estesa ad occupare tutti i tessuti necrotici di cui rimane solo il contorno.Sono evidenti inoltre alcune punteggiature (a), necrosi settoriali (c) e sottocorticali (e).

Fig. 38. Sintomidi necrosi ecarie estesi pertutta la lunghez-za del tronco

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fatto che spesso il BDA ed il mal del-l’esca coesistono sulla stessa pianta percui è difficile attribuire un certo sinto-mo ad una o all’altra malattia. Nell’uni-co caso da noi osservato in cui il depe-rimento fosse dovuto esclusivamentea Botryosphaeria sp., le viti mostravanodisseccamenti estesi della lamina eseccumi di grappoli, foglie e tralci (Fig.39-40). Raramente comparivano chiaz-ze internervali bordate da un alonescuro, ma non vere e proprie tigrature.Anche per il BDA si conosce una formaacuta uguale a quella descritta perl’esca. Più chiaro appare il sintomo sul legno:scortecciando la pianta appaionodelle strisce più o meno spesse checorrono longitudinalmente lungo ilfusto (Fig. 41-42). In sezione trasversa-le (Fig. 41 e 43) queste strisce possonocorrispondere a settori imbruniti bendefiniti (c) o a necrosi sottocorticali (e).

Fig. 39. Necrosi del lemboe seccumi fogliari su viti diMonica affette da deperi-mento da Botryosphaeria

Fig. 40. Disseccamenti della vegetazione su viti di Monica affette da deperimento da Botryosphaeria

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Fig. 41. Necrosi sottocorticale vista in senso longitudinale (in seguito a scortecciamento) e tra-sversale (tra le due frecce in alto)

Figura 43. Necrosi settoriali (c) e sottocorticali (e).

Fig. 42. Strisce necrotiche sottocorticali

Eutipiosi

I sintomi fogliari dell’eutipiosi sono invece piuttostocaratteristici, molto diversi dalle altre due malattie. Lepiante colpite emettono germogli deboli che origina-no tralci con internodi corti, foglie piccole, deformi,clorotiche, a volte con necrosi marginali (Fig. 44-45). Igrappoli subiscono l’appassimento durante la fioritu-ra o, successivamente, sono soggetti a forte colatura edisseccamento. I sintomi di eutipiosi compaionomolto precocemente, subito dopo il germogliamen-to. Quindi, se l’alterazione è limitata a pochi tralci ed ilrilievo viene eseguito durante l’estate, può sfuggireall’osservazione perché risulta mascherata della vege-tazione normale. Col passare degli anni però, lamalattia si estende a più tralci fino a conferire all’inte-ra vegetazione un aspetto cespuglioso (Fig. 46). Lamalattia può portare a morte la pianta in un periodopiù o meno lungo. Anche per questa fitopatia il sinto-mo sulla vegetazione è legato alla presenza di altera-zioni nel legno. Quella tipica è costituita da un setto-re di tessuto necrotizzato di colore marrone più omeno chiaro (c), molto simile a quello descritto in pre-cedenza (Fig. 47).

Fig. 44. Tralci rachitici con internodi corti e foglie deformate su Sauvignonblanc (in alto) e Riesling (in basso)

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Problematiche legate alla manifestazione dei sintomi

L’espressione dei sintomi presenta ancora dei puntioscuri ed in particolare non è chiara l’estrema variabi-lità della loro manifestazione sulla chioma. Questofenomeno è conosciuto soprattutto per il mal del-l’esca.I dati riportati in tabella 1 si riferiscono ad un monito-raggio sul mal dell’esca condotto nel corso di 6 annisu un vigneto della cv Merlot di circa 25 anni (anno

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Fig. 45. Tralci rachitici con internodi corti e foglie deformate su Merlot

Fig. 46. Vegetazione cespugliosa su Sauvignon (a sinistra) e Merlot (inbasso)

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d’impianto 1968). La manifestazione di piante consintomi nell’anno del rilievo (seconda colonna) nonsubisce una progressione con il procedere del tempo,ma oscilla da un anno all’altro. Infatti, molte dellepiante che mostrano sintomi anche molto intensi inun anno, non ne mostrano l’anno successivo. Solouna vite su 2440 ha manifestato sintomi di esca intutti e sei gli anni di osservazione e solo due in 5 anni(nell’anno mancante hanno manifestato sintomi dieutipiosi). Lo 0,8% ha manifestato sintomi almeno in4 anni e il 2,8% in tre. Altrettanto altalenante è statal’intensità del sintomo. Non è stato così raro il caso diviti soggette ad apoplessia che hanno recuperato unavegetazione più o meno normale l’anno successivo. Se però consideriamo malata ogni vite risultata sinto-matica anche in un solo anno, allora si assiste ad unnotevole innalzamento dell’incidenza della malattiacon andamento progressivo (terza colonna). Questonon significa che la malattia sta peggiorando, macompiendo le osservazioni per più anni abbiamomaggiori probabilità di vedere i sintomi manifestarsisu un numero maggiore di piante.Nel 1996, a seguito dell’ultimo rilievo, il vigneto èstato spiantato. Le viti rimaste sono state capitozzatenel punto d’inserzione dei due cordoni ed alla basedel ceppo per rilevare la presenza di tessuti legnosialterati. Solo due viti non hanno mostrato alterazioninei punti esaminati. Si trattava però di piante sotto-poste a capitozzatura e ricostruite che non avevanomanifestato sintomi fogliari. Come illustrato nel grafi-co 1, la quasi totalità delle piante ha mostrato, inmaniera più o meno estesa, tessuti legnosi con necro-si bruna in entrambi i punti di taglio. Più ridotta lapresenza di carie. Se poi si considerano le 1201 piante con tessuti caria-ti solo il 46% di esse aveva evidenziato sintomi di maldell’esca nei sei anni di osservazione (Graf. 2). Il 52%non aveva mai mostrato sintomi ed il 2% solo sintomidi eutipiosi. Quindi, piante con legno alterato nonmostrano sintomi sulla chioma anche per più anniconsecutivi.Tutto ciò porta ad alcune considerazioni:• è impossibile valutare l’incidenza della malattia con

un solo anno di osservazione;• è evidente la grande sproporzione tra alterazione

del legno e sintomo fogliare, in pratica si riesce avedere solo la punta dell’iceberg.

È indubbio che l’espressione sintomatologica siastrettamente influenzata da molti fattori ed in parti-colare dalle condizioni pedoclimatiche, che possonoessere più o meno favorevoli alla pianta o ai miceti, oda altre condizioni di stress. Inoltre, non è stato anco-ra completamente chiarito il meccanismo con cui ipatogeni presenti nel legno provochino sintomi sullachioma. Nel caso del mal dell’esca e del deperimento

Fig. 47. Settore necrotico marrone chiaro (c)

Graf. 1. Percentuale di viti con alterazione dei tessuti legnosi (calcolata su2350 ceppi presenti al momento dell’espianto)

Graf. 2. Percentuale di viti con tessuti legnosi cariati con o senza sintomifogliari nei sei anni di osservazione (calcolata su 1201 ceppi)

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da Botryosphaeria i sintomi compaiono durante iperiodi caldi, quando la grande richiesta d’acquadegli organi traspiranti non può essere soddisfatta acausa dell’alterazione del legno. Quindi possiamodedurre che ciò sia dovuto alla profonda disfunzionedell’apparato vascolare. Di solito, più la vite è vigoro-sa e più facilmente compare la sindrome acuta, pro-prio perché maggiore è la richiesta d’acqua. Tuttavia,un indagine compiuta su piante giovani (5-6 anni)con sintomi fogliari tipici di esca ha messo in eviden-za che l’alterazione del legno era molto circoscritta,

tale da non compromettere il trasporto idrico e diminerali. Quindi, il sintomo potrebbe essere dovutoalla messa in circolo di sostanze fitossiche prodottedai funghi o magari prodotte dalla pianta stessa inrisposta all’infezione. Con molta probabilità la manifestazione dei sintomie la loro fluttuazione nel tempo sono dovute ad unainterazione complessa tra stress idrico, produzione disostanze fitotossiche e squilibrio fisiologico dellapianta.

Tab. 1. Percentuale di viti manifestanti sintomi di maldell’esca in sei anni di rilievi (anno impianto 1968)

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Le malattie da deperimento della vite appenadescritte sono causate da agenti patogeni fungini.Tali patogeni sono presenti nei tessuti legnosi ed inparticolare:• Phaeomoniella chlamydospora, ma anche alcune

specie di Phaeoacremonium, sono presenti nellevenature brune;

• Phaeomoniella chlamydospora e Phaeoacremoniumaleophilum sono presenti nelle necrosi circolari dicolore bruno – rosato;

• Eutypa lata e diverse specie di Botryosphaeria sonopresenti nelle necrosi settoriali di colore marronechiaro;

• Botryosphaeria spp. sono presenti nelle necrosi sot-tocorticali;

• Fomitiporia mediterranea è presente nella carie. Phaeomoniella chlamydospora e Phaeoacremoniumaleophilum corrispondono alla più attuale classifica-zione di due funghi da tempo conosciuti sotto altrinomi. La prima segnalazione su vite fu di LionelloPetri che nel 1912 isolò dalle venature brune duespecie non identificate di Cephalosporium. In seguito,negli anni ’80 e ‘90, i due funghi isolati costantemen-te dalle venature brune e dalle necrosi circolari dipiante colpite da esca sono stati classificati comePhialophora sp. e Phialophora parasitica; quindi a fineanni ’90 sono stati inseriti nel nuovo genere Phaeoa-cremonium come Pm. aleophilum e Pm. chlamydospo-rium rispettivamente. Infine, anche in base a tecnichedi biologia molecolare, Pm. chlamydosporium èdiventato Phaeomoniella chlamydospora. Quest’ulti-mo è un fungo mitosporico, cioè per esso non siconosce la forma sessuata. Alcuni anni fa, invece, èstata individuata in natura la forma sessuata collega-ta a Pm. aleophilum: si tratta di un ascomicete, Togni-nia minima.Fomitiporia mediterranea, l’agente della carie, è la piùattuale classificazione del basidiomicete un tempoattribuito alla specie Phellinus igniarius. Il rinveni-mento dei corpi fruttiferi di tali funghi sulle viti caria-te è raro, ed in assenza di questi è difficile effettuareuna classificazione accurata. Le tecniche di biologiamolecolare hanno permesso di stabilire che sulla vitela carie è causata principalmente da funghi del gene-re Fomitiporia e nel sud dell’Europa da F. mediterra-nea. Questo non esclude che in rari casi la carie possaessere causata da altri basidiomiceti tra cui anche Ps.igniarius e Stereum hirsutum.

Come già detto, sezionando il fusto di una vite adul-ta o vecchia con sintomi fogliari di mal dell’esca sipossono osservare tutti i tipi di tessuti alterati descrit-ti e da questi isolare i funghi ad essi collegati. Tutta-via, è ormai accettato che le alterazioni coinvolte nelmal dell’esca siano le venature brune e le necrosi cir-colari bruno rosato, da cui si isolano Pa. chlamydospo-ra e Pm. aleophilum, e la carie da cui si isola F. mediter-ranea. I primi due sono considerati funghi tracheifili,in grado cioè di invadere i vasi legnosi ed esserequindi trasportati all’interno della pianta con la cor-rente linfatica. Il terzo è invece un tipico colonizzato-re del legno in grado di degradare la lignina e deter-minare il disfacimento dei tessuti. NonostanteBotryosphaeria spp. ed E. lata (entrambi ascomiceti)vengano isolati con una buona frequenza dallenecrosi settoriali di piante con sintomi tipici di esca econ presenza di carie bianca, essi vengono conside-rati agenti del BDA, o di sindromi correlate, e dell’eu-tipiosi rispettivamente. Tali malattie possono sovrap-porsi sulla stessa pianta al mal dell’esca stesso.Di recente è stata formulata l’ipotesi che il mal del-l’esca comprenda un complesso di malattie causateda funghi diversi, ma collegate le une alle altre:1) Malattia di Petri, riferita a viti giovani con fenome-

ni di deperimento (scarso sviluppo, clorosi gene-ralizzata) ed avvizzimento, caratterizzata dallapresenza di venature brune causate da Pa. chla-mydospora e Phaeoacremonium spp., in particola-re Pm. aleophilum, presenti probabilmente nelmateriale di propagazione. Questo tipo si sindro-me (detta anche black goo, grapevine decline) ècomune in vigneti californiani, sudafricani eaustraliani, ma compare sporadicamente in Italia,nonostante Pa. chlamydospora sia stato ripetuta-mente isolato da barbatelle pronte per la vendita.

2) Esca giovane, in cui le viti più adulte vengonoinfettate attraverso ferite di vario genere daglistessi funghi citati al punto 1, che danno origine avenature brune e necrosi circolari, con o senza sin-tomi sulla chioma.

3) Carie bianca, nel caso in cui le infezioni attraversole ferite siano dovute a F. mediterranea che causamarciume del legno, con o senza sintomi fogliari.

4) Mal dell’esca vero e proprio, quando la sindrome supiante adulte o vecchie è connessa all’instaurarsidella carie bianca contemporaneamente o suc-cessivamente alle infezioni da Pa. chlamydospora

Gli agenti patogeni e le sindromi correlate

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o Phaeoacremonium spp., con manifestazione nellegno di tutti quei sintomi che tradizionalmentevengono associati al mal dell’esca. Anche in que-sto caso i sintomi sulla chioma possono non com-parire.

Il rinvenimento di “esca giovane” in viti con sintomifogliari tipici (tigrature), quindi in assenza di carie, staportando i ricercatori ad ipotizzare che il mal del-l’esca sia in realtà una malattia vascolare causata daPa. chlamydospora e Pm. aleophilum. I sintomi tipicinel legno sarebbero le venature brune, che altro nonsono se non gruppi di vasi necrotizzati privi di funzio-nalità, accompagnate o meno da necrosi circolari. Lacarie sarebbe un elemento aggiuntivo e indipenden-te, che tuttavia aggraverebbe la situazione sanitariadella pianta aumentando le probabilità che si possaverificare un colpo apoplettico. Si tratta in ogni caso di ipotesi basate su osservazioniin vigneto e su riscontri sperimentali in laboratorio,che tuttavia richiedono ulteriori conferme. Infatti,tramite infezioni artificiali di barbatelle apparente-mente sane, è stata dimostrata l’associazione tra que-sti funghi e la sintomatologia sul legno, mentre è tut-tora molto difficile riuscire a riprodurre i sintomi sullachioma. Al momento, solo due gruppi di ricerca sonoriusciti nell’intento inoculando viti adulte in vigneto,ma manca la certezza che tali piante non possedes-sero già al loro interno i funghi in esame, in particola-re quelli tracheifili, o che non si siano infettate suc-cessivamente. Infatti, dal momento dell’inoculazione

a quello della manifestazione dei sintomi possonopassare diversi anni.Nonostante le specie del genere Botryosphaeriasiano note come agenti di cancri e deperimenti indiversi ospiti legnosi, la loro importanza come agen-ti di malattie nella vite è stata a lungo sottovalutata oaddirittura ignorata. Come già detto, tali funghi sonostati associati a diverse alterazioni ma, con maggiorfrequenza, sono stati isolati da piante con sintomato-logie ascrivibili a malattie del legno ben note: maldell’esca ed eutipiosi. Non sempre la loro segnalazio-ne su vite è stata accompagnata da prove atte adimostrarne la patogenicità. In ogni caso, come giàsottolineato a proposito dell’esca, le prove di inocula-zione artificiale nella maggior parte dei casi riesconoa riprodurre i sintomi sul legno (necrosi, cancri), manon quelli sulla chioma. L’unica malattia del legno ad eziologia certa è l’euti-piosi. La patogenicità di E. lata su vite è stata dimo-strata nel 1978, ma anche in questo caso la riprodu-zione dei sintomi fogliari risulta difficile ed avvienedopo diversi anni. Tali sintomi sono dovuti all’azionedi sostanze tossiche prodotte dal fungo nel legno etrasportate sulla chioma tramite il sistema vascolare.Tutte le malattie citate sono presenti in Sardegna.Delle tre, il mal dell’esca è sicuramente la più rilevan-te per diffusione e gravità, mentre l’importanza deldeperimento da Botryosphaeria spp. deve essereancora attentamente valutata. L’eutipiosi è presentein alcune zone ma non determina danni consistenti.

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Pur trattandosi di specie diverse, in grado di causaremalattie diverse, i funghi del legno hanno caratteri-stiche molto simili per quanto riguarda la loro diffu-sione nel vigneto. Fondamentalmente le infezionipossono avvenire attraverso ferite che mettano anudo il legno o col materiale di propagazione.

Infezioni attraverso ferite

È la modalità d’infezione più conosciuta. I funghi dellegno si riproducono formando spore e conidi, spessoracchiusi entro corpi fruttiferi (Fig. 48 e 49). Tali ele-menti si possono trovare su diverse piante legnose,vite compresa, e costituiscono la sorgente di inoculoin natura. Di solito i corpi fruttiferi vengono prodottisu legno ormai necrotizzato come vecchie ferite dipotatura, cordoni morti, ecc. È stata dimostrata anchela sopravvivenza epifitica, sotto forma di micelio econidi, di Pa. chlamydospora e Pm. aleophilum su spe-roni, cordoni e persino sui viticci lignificati che riman-gono sui fili metallici.

Basidiospore e ascospore vengono diffuse dalle cor-renti d’aria, i conidi soprattutto dall’acqua piovana, diirrigazione o da rugiada. È stato dimostrato che la pro-duzione di ascospore di E. lata e di conidi di Pa. chla-mydospora è strettamente associata ad eventi piovo-si. Anche la contaminazione delle ferite avviene inperiodi piovosi e con temperature miti. Infatti, in cor-rispondenza della ferita si devono creare le giustecondizioni di temperatura e umidità che consentanola germinazione di conidi o spore e l’accrescimentodel micelio entro il legno esposto dalla ferita. Una spe-rimentazione compiuta in Sardegna ha dimostratoche la penetrazione di Pa. chlamydospora e Pm. aleo-philum attraverso il taglio effettuato per la formazionedegli speroni, comincia quando le temperature mediesi assestano intorno ai 10°C (in tre anni di prove il rag-giungimento di tale soglia è variato dalla prima deca-de di febbraio alla prima di marzo). Piogge regolarinello stesso periodo, o in quelli immediatamente suc-cessivi, favoriscono un numero maggiore di infezioni.Le infezioni di Botryosphaeria obtusa, invece, avven-gono anche con temperature medie inferiori, da gen-naio in poi, ma il loro numero aumenta negli inverniparticolarmente miti e piovosi. Solitamente la carieparte da ferite traumatiche di potatura o di spollona-tura, meglio se situate in modo da favorire il ristagnodi acqua (Fig. 50).La contaminazione delle ferite di potatura e la suc-cessiva infezione, avvengono fondamentalmente tra-mite inoculo aereo. La possibilità che ciò possa avve-nire attraverso gli attrezzi da taglio, precedentemen-te utilizzati su piante infette, è stata posta in discus-sione. Gli studi sul DNA di F. mediterranea, Pa. chlamy-dospora e Pm. aleophilum isolati da piante attigue diuno stesso vigneto sembrerebbero escludere questapossibilità. In pratica, l’elevata diversità genetica tragli isolati deporrebbe a favore di una diffusione attra-verso l’atmosfera di spore provenienti dallo stessovigneto o da altre aree.

Infezioni attraverso il materiale di propagazione

L’aspetto più inquietante e pericoloso della naturavascolare dei funghi dell’esca, ed in particolare di Pa.chlamydospora e Pm. aleophilum, è che possono con-taminare i tralci delle piante madri utilizzati per lapropagazione della vite. La maggior parte degli studiriguarda Pa. chlamydospora.È ormai assodato che le barbatelle pronte per la ven-

La diffusione

Fig. 48. Corpo fruttifero di Fomitiporia sp. su legno morto

Fig. 49. Corpo fruttifero di Diplodia corticicola, anamorfo di Botryosphae-ria corticicola (Foto B. Linaldeddu)

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dita contengano Pa. chlamydospora, talvolta anchePm. aleophilum, in percentuali variabili, spesso nontrascurabili, associati a striature brune, più raramentea gommosi. Si discute ancora su come possano avve-nire queste contaminazioni, se attraverso talee egemme prelevate da piante madri infette o durantele operazioni vivaistiche. Infatti, i tentativi di isolare questi funghi da tralci pre-levati da piante madri sintomatiche non sono statisempre coronati da successo. Anche utilizzandometodi molecolari di diagnosi (molto più sensibili diquelli tradizionali) Pa. chlamydospora viene isolatocon basse frequenze. Quindi, per spiegare la conta-minazione delle barbatelle si ipotizza che essa possaavvenire durante le operazioni vivaistiche. D’altrondela presenza di ferite è quasi costante – le estremitàdelle talee, la ferita d’innesto, quelle effettuatedurante la cimatura e la sbarbettatura – e l’inoculopuò essere presente a vari livelli. Studi condotti invivai di varie parti del mondo, Italia compresa, hannodimostrato la presenza di Pa. chlamydospora sugliattrezzi da taglio, nell’acqua d’idratazione delle talee,nel materiale di forzatura e nel terreno dei barbatel-lai. In uno studio condotto nel corso di tre anni in unvivaio della Sardegna, Pa. chlamydospora è stata tro-vata nel legno di talee ed innesti in varie fasi dellafiliera di produzione delle barbatelle. Tuttavia, le

basse ed irregolari frequenze di isolamento nonhanno consentito di stabilire quale sia la fase del pro-cesso vivaistico più a rischio di contaminazione. È importante sottolineare che nella quasi totalità deicasi le barbatelle contaminate con Pa. chlamydospo-ra appaiono in ottime condizioni vegetative. Inoltre,in una sperimentazione compiuta in Veneto, barba-telle prelevate da lotti contaminati e messe a dimorahanno dato origine a viti perfettamente sviluppateche, dopo diversi anni, non hanno mai manifestatoalcun fenomeno di deperimento. Anche la presenzadi striature brune all’interno delle barbatelle non ènecessariamente legata a quella di Pa. chlamydospo-ra o Pm. aleophilum. Spesso queste striature partonoda ferite (base della talea, punto d’innesto, gemmeaccecate) e sono la conseguenza di normali fenome-ni di cicatrizzazione (Fig. 51): ossidazione e degrada-zione del legno con relativo imbrunimento del tessu-to, necrosi cellulari, gommosi, formazione di tille(cioè estroflessioni delle cellule perivasali all’internodei vasi xilematici con lo scopo di occluderli).La diffusione attraverso il materiale di propagazioneè stata segnalata anche per Botryosphaeria spp.

In base a quando descritto è probabile che la conta-minazione del materiale vivaistico possa giocare unruolo nella diffusione di queste malattie (Fig. 52), manon sembrerebbe un ruolo fondamentale. Anche

Fig. 50. Ingresso della carie attraverso ferite che consentonoil ristagno di acqua: punto d’innesto a “S” (a1, a2); spollonatu-ra sul fusto (b1, b2); cordone ripiegato (c1, c2). Nella figura c2si può notare anche un settore di legno necrotizzato

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mettendo a dimora materiale sicuramente sano, lasua infezione è solo questione di tempo. L’inoculoaereo, infatti, può penetrare non solo attraverso legrosse ferite sul legno di due o più anni (che potreb-bero essere più agevolmente protette con mastice),ma anche attraverso le ferite effettuate sui tralci di unanno per costituire i capi a frutto. La sperimentazionegià citata, compiuta in un vigneto del Nord Sardegna,ha messo in evidenza che queste ferite rimangonorecettive alle infezioni di Pa. chlamydospora e Pm.aleophilum (la sperimentazione con B. obtusa necessi-ta di ulteriori conferme) per almeno due mesi dopo lapotatura. Altre prove, condotte sempre in Italia ma supiante in vaso, hanno dimostrato che tali funghi pos-sono invadere il legno anche attraverso le ferite effet-tuate sui tralci erbacei, quindi, almeno teoricamente,attraverso le ferite effettuate con la cimatura.

Fig. 51. Striature necrotiche in una barbatella priva di agenti patogeni

Fig. 52. Le operazioni compiute in vivaio possono consentire la contami-nazione del materiale di propagazione

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I principali fattori che predispongono la vite alle infe-zioni da parte dei funghi invasori del legno sono:• l’abbondanza di inoculo ed in particolare la presen-

za o l’accumulo di legno morto in vigneto dove sipossono differenziare i corpi fruttiferi dei funghi(Fig. 53 e 54);

• la presenza di numerose ferite che consentono lapenetrazione dei funghi nel legno (Fig. 55 e 56);

• la presenza di piante debilitate da fattori di stressbiotici ed abiotici.

Quest’ultimo punto appare complesso e articolato,ma di fondamentale importanza per lo sviluppo dellamalattia. I funghi agenti di malattie del legno della vite sonoconsiderati patogeni di debolezza. Il decadimentodel legno da parte di F. mediterranea si estende moltolentamente, spesso solo all’interno di tessuti legnosi

I fattori predisponenti

Fig. 53. Cordoni morti capitozzati e abbandonati nell’interfilare

Fig. 54. Corpo fruttifero di Fomitiporia spp. su un cordone morto rimastoin sito

Fig. 55. Ferita realizzata con la vendemmiatrice meccanica

Fig. 56. Potatura mutilante

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necrotizzati a causa di fattori traumatici o dell’azionedi altri funghi del legno. D’altro canto, Pa. chlamydo-spora e Pm. aleophilum si muovono entro i vasi legno-si più rapidamente. Tuttavia, essi si comportanocome endofiti, cioè microrganismi capaci di coloniz-zare il legno senza danneggiare in modo grave l’ospi-te, che non mostra sintomi. Se però quest’ultimo èsottoposto a particolari condizioni di stress, essi sonoin grado di causare una tipica sindrome tracheomico-tica. Anche le specie di Botryosphaeria hanno unafase di crescita endofitica dopo la quale può suben-trare sia una fase patogena che saprofitaria. Secondoalcuni ricercatori questi ultimi funghi si trovanocomunemente sul legno e sulla corteccia della vite esono capaci di invadere i tessuti vascolari compro-messi da fenomeni di tipo meccanico (ferite, piegatu-ra eccessiva dei tralci, ecc.) e non più funzionanti.In definitiva, è probabile che i sistemi di attacco diquesti funghi non siano molto efficaci, oppure è lapianta che riesce a contrastare il processo infettivomettendo in atto meccanismi di difesa chimici (pro-duzione di resveratrolo e viniferine) e meccanici (bar-riere istologiche, ostruzioni dei vasi). Quindi, comeper quasi tutte le malattie da deperimento di origineparassitaria, la progressione delle infezioni, e quindidel danno, è in qualche modo legata alla concomi-tante azione debilitante di numerosi fattori biotici eabiotici che impediscono alla pianta di reagire e farfronte all’attacco.I fattori di stress sono vari e numerosi ed interagisco-no tra loro, spesso in modo sinergico.Attacchi parassitari di vario tipo ed in particolare divirus e fitoplasmi, che causano malattie sistemiche, odi funghi e batteri che colpiscono le radici (Armillariamellea ed Agrobacterium tumefaciens rispettivamen-te), oltre a causare danni di per sé, influiscono nega-tivamente sullo sviluppo della pianta predisponen-dola ad attacchi di ulteriori patogeni o aggravandogli effetti di altri fattori di stress. È stato osservato chein vigneti affetti dal complesso dell’accartocciamen-to fogliare o da flavescenza dorata aumenta anche lapercentuale di viti che manifestano sintomi di maldell’esca.Una riduzione delle normali attività fisiologiche èinsita nell’invecchiamento naturale ma può esserecausata anche da un eccessivo sfruttamento dellapianta. Viti che iniziano la carriera produttiva moltoprecocemente, già nei primissimi anni dopo l’impian-to, invecchiano altrettanto precocemente. Non devemeravigliare, quindi, se vigneti di 10-15 anni, untempo considerati in piena produttività, necessitanodi essere spiantati a causa di un’elevata percentualedi fallanze e di viti scarsamente produttive o malate.La scelta varietale può influire in modo più o menomarcato sullo sviluppo delle malattie del legno. Tutte

le specie di Vitis e tutte le cultivar di Vitis vinifera,quindi portinnesti e varietà produttive, sono suscet-tibili alla malattia. La maggiore o minore predisposi-zione a contrarla sembra legata più alla vigoria dellavarietà che a caratteristiche genetiche specifiche. Inparticolare, le varietà produttive più vigorose sonomaggiormente soggette all’attacco dei funghi dellegno, ma anche quelle meno vigorose se in combi-nazioni con particolari portinnesti. Infatti, l’eccessivosviluppo vegetativo o produttivo distoglie energiedai processi di maturazione e indurimento dei tessu-ti che conferiscono resistenza alla pianta. Interferen-ze nell’accumulo di sostanze di riserva nel legno ren-dono la pianta più suscettibile a condizioni ambien-tali avverse come le gelate invernali, anche di mode-sta entità, e possono ostacolare o rallentare la ripresavegetativa in primavera. Infine, piante eccessivamen-te sviluppate hanno bisogno di potature più spinteche determinano la formazione di grossi tagli e quin-di facilitano l’ingresso dei parassiti.L’eccessivo vigore vegetativo può essere indottoanche dalle pratiche colturali e in particolare dallaforzatura delle piante con concimazioni azotate edirrigazioni eccessive o da forme di allevamentoespanse. La tendenza a forzare le piante può avereeffetti deleteri soprattutto su quelle giovani. L’otteni-mento di produzioni molto elevate fin dai primi annidi vita determina uno sviluppo disarmonico dellapianta. Nel corso degli anni questa si ritroverà conuna chioma spropositata rispetto alle dimensionidell’apparato radicale e del fusto che si sviluppanopiù lentamente, soprattutto in queste condizioni (Fig.57). Infatti, le sostanze nutritive vengono dirottate eutilizzate preferenzialmente per la maturazione deigrappoli. Questo aspetto risulta strettamente legatoad una delle condizioni ambientali più debilitanti: lostress idrico.Una pianta in pieno turgore non riesce a modificarerapidamente l’apertura stomatica per cui il soprag-giungere improvviso di ondate di calore, soprattuttose accompagnate da vento secco e se seguenti aperiodi piovosi o irrigui, causa una traspirazionerapida e consistente. Questa traspirazione può esse-re talmente intensa da non poter essere bilanciataadeguatamente dall’assorbimento radicale, o perl’insufficienza di acqua nel terreno o per lo scarsosviluppo delle radici e del fusto. Come conseguenzasi verifica l’appassimento della vegetazione che, senon è troppo spinto, può essere reversibile una voltaripristinata l’acqua perduta. Tuttavia, durante questoprocesso avvengono nel legno dei cambiamentiirreversibili. La forte traspirazione causa una depres-sione all’interno dei vasi legnosi, tanto più fortequanto più lento è l’assorbimento radicale, fino adarrivare alla rottura della colonna d’acqua con for-

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mazione di bolle d’aria. In corrispondenza di questebolle i tessuti si disidratano e necrotizzano compro-mettendo la funzionalità del vaso. La pianta reagisceformando tille, che a loro volta causano nuove ten-sioni nei vasi vicini. Ne deriva che la formazione dibolle d’aria e tille è più abbondante nelle piantevigorose che esercitano una forza traspirante mag-

giore, ancor più se non sono sostenute da un appa-rato radicale adeguatamente sviluppato. Quindi,non solo il legno debilitato costituisce un substratoideale per lo sviluppo di patogeni di debolezza, manelle condizioni più estreme si può arrivare allamorte della pianta, anche senza l’intervento diparassiti.

Fig. 57. Vite apoplettica di 4 anni. Si noti lo squilibriotra lo sviluppo vegetativo e produttivo da una parte elo spessore del fusto dall’altra

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In base a quanto descritto, il quadro delle malattiedel legno della vite risulta alquanto confuso ed incer-to. L’intensificarsi delle ricerche negli ultimi 15 anniha messo in luce che si tratta di malattie complesse,difficili da studiare ed interpretare. Nonostante ciò sistanno compiendo ulteriori sforzi per capire megliola loro eziologia, cioè quali sono le cause parassitariee/o ambientali che le determinano, approfondire leconoscenze sui vari aspetti della patogenesi (in parti-colare a cosa è dovuta la manifestazione dei sintomi)e dell’epidemiologia (in particolare la diffusioneattraverso ferite e materiale di propagazione). Infatti,una strategia di lotta razionale ed efficace prevedeuna buona conoscenza della malattia e del suo agen-te patogeno, quindi delle modalità di moltiplicazionee diffusione, del processo infettivo e dell’influenzache le condizioni ambientali esercitano su entrambi.Appare chiaro che le conoscenze ancora scarse eframmentarie sulle malattie del legno, in particolaresu mal dell’esca e deperimento da Botryosphaeria,rendono difficile il compito del fitoiatra. L’aspetto piùsubdolo delle fitopatie del legno è, però, il loro lentosviluppo e la manifestazione irregolare dei sintomi.Infatti, quando compaiono le prime piante sintoma-tiche un numero molto più grande di individui è già

stato contaminato. Perciò, quando si decide di inter-venire di solito è ormai troppo tardi.Di conseguenza, l’arma più efficace contro questemalattie non può essere altro che la prevenzione.Poiché le infezioni possono avvenire in qualsiasimomento, anzi possono essere già presenti nel mate-riale di propagazione, la prevenzione deve operarefin dall’impianto del vigneto.

Mezzi agronomici

Anche se non possono assicurare il completo conte-nimento di queste malattie, le pratiche agronomichesono fondamentali per mantenere quanto più alungo possibile la produttività del vigneto, ovvero lasua longevità.È necessario effettuare i nuovi impianti in ambienti eterreni favorevoli ad una crescita regolare delle pian-te (Fig. 58), crescita che deve essere assistita da ope-razioni colturali volte a consentire lo sviluppo armo-nico delle viti evitando gli eccessi. In particolare, sideve evitare di forzare la pianta nei primi anni di vita,ma lasciare che essa sfrutti la maggior parte delle suerisorse per sviluppare un adeguato apparato radicalee un fusto con un sistema vascolare privo di alterazio-ni (Fig. 59).

La prevenzione

Fig. 58. I vigneti devono essere impiantati in ambienti e terreni favorevoli al regolare sviluppo delle piante

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Il materiale da trapianto deve essere in buone condi-zioni vegetative ed è meglio ricorrere a quello certifi-cato. Anche se la certificazione non esclude la pre-senza di patogeni fungini del legno (che però, comegià detto, non sembrerebbe determinante), materia-le di propagazione privo di virus e fitoplasmi risulte-rà in migliori condizioni vegetative rispetto a quellonon classificato e potrà dare origine a piante piùrobuste, in grado di reagire ad infezioni di qualsiasitipo. Poiché le operazioni di potatura facilitano l’ingressodei parassiti è opportuno seguire alcune regole.Prima di procedere bisognerebbe eliminare le fontid’inoculo presenti in vigneto, cioè le piante morte ofortemente colpite o parti di esse (cordoni morti), edistruggerle immediatamente col fuoco. Si otterran-no risultati migliori se l’operazione di bonifica è col-lettiva e generalizzata a tutti i vigneti della zona.Un’altra precauzione importante, anche se difficil-mente realizzabile, è quella di potare con tempoasciutto e senza vento. L’aspetto più importante èl’assenza di pioggia, che favorisce non solo la diffu-sione dei conidi ma anche il rilascio delle spore dai

corpi fruttiferi. Queste precauzioni non impedisconoche possano verificarsi infezioni, ma possono ridurnedrasticamente il numero. Sembra meno importante,invece, la potatura separata delle viti che mostranosintomi, vista la scarsa probabilità di trasferire inocu-lo con gli attrezzi da taglio. La potatura tardiva viene di solito consigliata inquanto le ferite fatte prima della ripresa vegetativacicatrizzano più rapidamente. Tuttavia, in questoperiodo le condizioni ambientali sono più favorevolialla riproduzione dei funghi e alle infezioni. Lo studiosulla recettività delle ferite di potatura compiuto inSardegna dimostra che in alcuni casi le ferite effet-tuate sui tralci di un anno subito prima o in corri-spondenza del pianto si infettano in percentualemaggiore rispetto a quelle fatte in pieno riposoinvernale. Sembrerebbe, quindi, che la potatura tar-diva non sia uno strumento di prevenzione così utilecome si credeva, almeno per quanto riguarda il maldell’esca ed i deperimenti da Botryosphaeria. Al con-trario, sembra che sia una precauzione molto impor-tante per ridurre le infezioni da parte di E. lata. Se leferite sui capi a frutto non possono essere evitate, è

Fig. 59. Le giovani viti devono avere il tempo di sviluppare un fusto robusto ed un buon apparato radicale in assenza di produzione

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importante ridurre per quanto possibile i tagli ampisu legno di due o più anni, utilizzando forme di alle-vamento che non li richiedano. Se comunque ènecessario farli, questi devono essere protetti conmastice. I mezzi agronomici possono essere utilizzati ancheper interventi di risanamento da effettuare su piantegià sintomatiche. Il procedimento è il seguente:• capitozzare la pianta fino ad eliminare ogni traccia

di necrosi nel legno;• recuperare un germoglio robusto per ricostruire la

chioma;• eliminare il vecchio tronco quanto prima e proteg-

gere col mastice il moncone rimasto.Se le piante da riceppare sono tante, l’intervento èpiuttosto oneroso e si può avere uno sbilanciamentonella qualità del prodotto, almeno finché le viti capi-tozzate non abbiano recuperato la produttività dellealtre. In ogni caso, attualmente è l’unico intervento dirisanamento in grado di dare risultati positivi, sempreche venga applicato tempestivamente, prima che lealterazioni del legno interessino tutto il fusto. Nonbisogna sottovalutare, inoltre, l’effetto di ripulituradel vigneto dal materiale infetto, con un conseguen-te abbattimento del potenziale d’inoculo che rallen-ta l’ulteriore diffusione della malattia.

Mezzi chimici, fisici e biologici

È verosimile che ogni tentativo di curare una piantacolpita dal mal dell’esca sia destinato a fallire, a causadelle caratteristiche della malattia e della sua com-plessità. Ciò vale anche per le altre malattie del legno. La lotta chimica effettuata su piante sintomatiche peril loro risanamento ha sempre dato risultati aleatori,spesso negativi, talvolta parzialmente efficaci, macomunque poco ripetibili o praticabili. Gli arseniticonsentivano una remissione dei sintomi che peròritornavano non appena si sospendeva il trattamen-to; il DNOC probabilmente non aveva alcuna effica-cia; tra i principi attivi attualmente in commercio, itriazoli potrebbero svolgere una certa azione se riu-scissero a raggiungere il fungo nel legno e se il dannosul legno fosse ancora limitato. Le difficoltà applicati-ve sono tante, prima fra tutte l’impossibilità di indivi-duare per tempo le piante con alterazioni del legnopoco estese a causa dell’irregolarità nella comparsadei sintomi sulla chioma. Infatti, il trattamento deveessere individuale, eseguito pianta per pianta con unpalo iniettore in corrispondenza dell’apparato radica-le o con apposite siringhe sul fusto. Fare un tratta-mento fogliare di tipo preventivo su tutto il vignetonon servirebbe, perché in questo modo il principioattivo, anche se sistemico, andrebbe verso l’apice deigermogli e non verso il cordone o il fusto dove si tro-vano i funghi patogeni.

Quindi, anche la lotta chimica deve essere mirata allaprevenzione che, in base alle conoscenze sulle moda-lità di diffusione della malattia, può riguardare la pro-tezione del materiale di propagazione e delle ferite dipotatura. Per quanto riguarda il materiale di propagazione, indiversi vivai extraeuropei, soprattutto australiani,viene praticato diffusamente il trattamento perimmersione in acqua calda (circa 50°C per 30-40minuti) di talee e barbatelle, sia per il risanamento daAgrobaterium tumefaciens e fitoplasmi sia per l’elimi-nazione di nematodi e fillossera. Questo tipo di trat-tamento non ha mai incontrato il favore dei vivaistiitaliani che lo ritengono troppo dannoso anche per ilmateriale di propagazione. Gli studi effettuati in pro-posito hanno messo in evidenza che l’effetto negati-vo del calore sul vigore vegetativo delle barbatelle èmolto variabile a seconda della cv, delle caratteristi-che del materiale di partenza (spessore e grado dimaturazione del legno) e delle condizioni ambientalidurante la permanenza in barbatellaio, che spessosono più dannose del trattamento stesso. Ma ciò chepiù interessa è che tale trattamento sembra avere uneffetto fungistatico e non eradicante sui funghi chevivono nei vasi legnosi. Dopo una stagione vegetati-va, il livello di Pa. chlamydospora nel materiale tratta-to ritorna più o meno a quello di partenza. Nella spe-rimentazione compiuta in Sardegna sulla cv 1103P, èstata ottenuta una maggiore efficacia facendo prece-dere il trattamento termico dall’immersione delletalee in una sospensione di cyproconazolo per alme-no 12 ore. Si tratta di risultati preliminari che richie-dono ulteriore conferma.È possibile trattate il materiale legnoso anche conprodotti biologici a base di Trichoderma spp. È emer-so che il trattamento con Trichoderma in diverse fasidella produzione di barbatelle determina condizionifavorevoli nella pianta soprattutto attraverso l’incre-mento quali-quantitativo dell’apparato radicale. Ciòlascerebbe supporre una migliore capacità della vitedi reagire a malattie correlate a situazioni di stress equindi anche al mal dell’esca. Inoltre sembra che l’at-tività biologica dell’antagonista sia associata anche ameccanismi d’induzione di resistenza nella piantatrattata.Per quanto riguarda la protezione delle ferite di pota-tura, oltre ai soliti mastici eventualmente addizionaticon fungicidi per la protezione dei tagli di ritorno, ènecessario trovare un sistema per proteggere le feri-te sui capi a frutto. Poiché non è sostenibile trattarleuna per una, sarà opportuno sperimentare principiattivi da distribuire con un normale atomizzatore sututto il vigneto. Il problema principale in questo casoè la durata della protezione che, dagli studi compiutiin Sardegna ed in altre parti del mondo, deve essere

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superiore ad uno – due mesi. Tale periodo difficil-mente potrà essere coperto da un solo trattamentocon un prodotto chimico, mentre è più probabile checiò possa essere realizzato con un prodotto biologi-co, e quindi con un antagonista che sia in grado dicolonizzare attivamente le superfici di taglio impe-dendo l’ingresso dei funghi parassiti. La sperimenta-zione sul trattamento delle ferite di potatura conagenti di lotta biologica è in fase di sviluppo. Risulta-ti incoraggianti sono stati ottenuti operando su vitigiovani non ancora infette in ambiente controllato.Anche i primi risultati in pieno campo lasciano bensperare soprattutto se si considera che questi anta-gonisti sono in grado di colonizzare attivamente itagli di potatura e di persistervi fino a 8 mesi.Tutti i metodi di profilassi esposti sono indirizzati aridurre quanto più possibile il numero delle infezionida parte dei funghi del legno, ma non possono esclu-dere a priori che una vite possa infettarsi. Se da unaparte la presenza di spore e conidi nell’aria è assicu-rata dall’estrema polifagia di tali agenti patogeni(possono infettare e produrre inoculo su una granquantità di specie legnose fruttifere, forestali e orna-mentali), dall’altra le normali pratiche colturali assicu-rano una costante disponibilità di vie d’ingresso. Perquesti motivi, non si sta trascurando la ricerca dimetodi che possano minimizzare gli effetti dellamalattia quando la pianta si infetta. Infatti, le piantecolpite dall’esca possono avere una produzionequantitativamente e qualitativamente normale negli

anni in cui non manifestano sintomi. Questo obietti-vo può essere raggiunto ricorrendo a sostanze chepossano aiutare le piante a difendersi da sole. Il fose-til alluminio è un fungicida in grado di agire in duemodi: stimolando le reazioni di difesa della pianta eagendo direttamente sui patogeni. Trattamenti conquesto principio attivo hanno determinato una sen-sibile riduzione delle aree necrotiche nei tessutilegnosi in seguito ad inoculazione con Pa. chlamydo-spora, mentre iniezioni nel legno di piante capitozza-te e poi ricostruite hanno ridotto in modo significati-vo la gravità dei sintomi fogliari di mal dell’esca. Però,non si è avuta nessuna azione curativa. Trattamentipluriennali con biostimolanti (sostanze che influen-zano la fisiologia della pianta migliorandone la cre-scita e la resistenza agli stress) su vigneti di 15 – 20anni hanno ridotto la percentuale di mortalità, mahanno apparentemente aumentato l’incidenza di viticon sintomi cronici di esca. In prove su piante in vasoinoculate artificialmente con Pa. chlamydospora,invece, le stesse sostanze hanno ridotto l’estensionedella necrosi. Si ribadisce, quindi, la necessità di inter-venire preventivamente su piante sane o in fasi ini-ziali della malattia.In conclusione, le malattie del legno non possonoessere evitate ma contenute a livelli accettabili. Ciò èpossibile con una gestione oculata del vigneto findal suo impianto e ricorrendo all’integrazione di tuttii mezzi a disposizione, soprattutto di quelli agrono-mici.

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