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LA MUSICA ARABA In tutto il mondo islamico la musica è strettamente legata alla vita religiosa, specie per quanto ri- guarda la recitazione dei versi del Corano. Naturalmente la musica si collega anche a varie occasioni della vita familiare e sociale: matrimoni, nascite, feste per il raccolto, ecc. In generale, l’aspetto della musica islamica che più colpisce l’ascoltatore occidentale è il carattere “ondulante e vago” della melodia. Ciò è dovuto al fatto che il sistema musicale arabo utilizza scale e in- tervalli diversi dalla musica occidentale. Gli strumenti musicali Gli strumenti principali della musica araba sono: lo ‘ud, o liuto arabo, il quanum, una cetra trape- zoidale a pizzico, il kamam, un violino di tipo occidentale, la darabuka, specie di tamburo con una sola membrana, il nay, un flauto diritto, e il req, un tamburino a cornice con cinque ordini di sonagli. La musica colta e tradizionale araba, con le sue regole non scritte, tramandate oralmente, fin dai lontani tempi delle Mille e una notte, è l'equivalente della nostra “classica”, e da quei tempi leggendari non è mutata. Sacra, profana o popolare, essa viene elaborata a partire dai maquam (letteralmente modi), che sono dei modelli, delle successioni prestabilite di suoni. Su queste scale l’esecutore-compositore in- venta continue variazioni della melodia; questa, nel suo lungo percorso viene ripetuta frequentemente e arricchita da una miriade di suoni vicini a quelli della scala di partenza. È comprensibile quindi che l’abilità dei musicisti si misuri proprio sulla loro capacità di elaborare, di ricamare, per così dire, in modo più vario possibile, la melodia di partenza. Ogni maqàm ha poi un contenuto emotivo diverso: può esprimere orgoglio e potenza; può evocare il senso delle lontananze de- sertiche o un forte sentimento di tristezza e così via (pensate che gli ascoltatori arabi sono in grado di ri- conoscere il maqàm di un brano dopo pochi secondi di ascolto). Ciò dipende dalla differente successione degli intervalli all'interno di ciascun modo e dalla loro grande varietà. Diversamente dal nostro sistema musicale infatti, che si basa esclusivamente su intervalli di tono e semitono, quello arabo comprende altri intervalli, più piccoli o più grandi dei nostri (frequente è il quar- to di tono o il tono e mezzo): ed è a queste distanze tra i suoni, così insolite per il nostro udito, che si deve quel senso di sinuosità, di incertezza e a volte anche di "stonatura" che per noi fa tanto Oriente. Ancora oggi la musica araba conserva questi tratti così tipici, anche se ovunque nel mondo islamico essi si fondono in un linguaggio nuovo, particolare, nato dall’incontro tra i suoni dell’antico Oriente con quelli dell’Occidente, con il linguaggio del pop e del rock, del jazz e della musica africana. ‘UD QUANUM DARABUKA NAY DUFF ZAGAT REQ ZURNA BENDIR RABAB

Le Musica Nelle Altre Culture

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LA MUSICA ARABA

In tutto il mondo islamico la musica è strettamente legata alla vita religiosa, specie per quanto ri-guarda la recitazione dei versi del Corano. Naturalmente la musica si collega anche a varie occasioni della vita familiare e sociale: matrimoni, nascite, feste per il raccolto, ecc. In generale, l’aspetto della musica islamica che più colpisce l’ascoltatore occidentale è il carattere “ondulante e vago” della melodia. Ciò è dovuto al fatto che il sistema musicale arabo utilizza scale e in-tervalli diversi dalla musica occidentale.

Gli strumenti musicali

Gli strumenti principali della musica araba sono: lo ‘ud , o liuto arabo, il quanum, una cetra trape-zoidale a pizzico, il kamam, un violino di tipo occidentale, la darabuka, specie di tamburo con una sola membrana, il nay, un flauto diritto, e il req, un tamburino a cornice con cinque ordini di sonagli. La musica colta e tradizionale araba, con le sue regole non scritte, tramandate oralmente, fin dai lontani tempi delle Mille e una notte, è l'equivalente della nostra “classica”, e da quei tempi leggendari non è mutata. Sacra, profana o popolare, essa viene elaborata a partire dai maquam (letteralmente modi), che sono dei modelli, delle successioni prestabilite di suoni. Su queste scale l’esecutore-compositore in-venta continue variazioni della melodia; questa, nel suo lungo percorso viene ripetuta frequentemente e arricchita da una miriade di suoni vicini a quelli della scala di partenza. È comprensibile quindi che l’abilità dei musicisti si misuri proprio sulla loro capacità di elaborare, di ricamare, per così dire, in modo più vario possibile, la melodia di partenza. Ogni maqàm ha poi un contenuto emotivo diverso: può esprimere orgoglio e potenza; può evocare il senso delle lontananze de-sertiche o un forte sentimento di tristezza e così via (pensate che gli ascoltatori arabi sono in grado di ri-conoscere il maqàm di un brano dopo pochi secondi di ascolto). Ciò dipende dalla differente successione degli intervalli all'interno di ciascun modo e dalla loro grande varietà. Diversamente dal nostro sistema musicale infatti, che si basa esclusivamente su intervalli di tono e semitono, quello arabo comprende altri intervalli, più piccoli o più grandi dei nostri (frequente è il quar-to di tono o il tono e mezzo): ed è a queste distanze tra i suoni, così insolite per il nostro udito, che si deve quel senso di sinuosità, di incertezza e a volte anche di "stonatura" che per noi fa tanto Oriente. Ancora oggi la musica araba conserva questi tratti così tipici, anche se ovunque nel mondo islamico essi si fondono in un linguaggio nuovo, particolare, nato dall’incontro tra i suoni dell’antico Oriente con quelli dell’Occidente, con il linguaggio del pop e del rock, del jazz e della musica africana.

‘UD QUANUM DARABUKA NAY DUFF

ZAGAT REQ ZURNA BENDIR RABAB

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LA MUSICA AFRICANA SUBSAHARIANA

I territori dell’Africa a sud del deserto del Sahara presentano popolazioni con lingue e culture eterogenee che non hanno radici storiche comuni ma, pur nella sua varietà, presentano numerosi tratti comuni: la musica e la danza sono quasi sempre elementi centrali e fondamentali della cultura dei popoli, e sono dotati di grande valore sociale e religioso. Vi è una grande varietà di musiche: ninne-nanne, musiche da lavoro, per il raccolto, per il gio-co, per danze, per matrimoni, nascite, per cerimonie rituali e così via. Le musiche africane sono quasi tutte creazioni anonime, popolari e collettive. Non esiste alcun tipo di no-tazione, la loro trasmissione è esclusivamente basata sulla memorizzazione e di conseguenza a ogni esecuzione i brani musicali si trasformano, rinnovandosi e sviluppandosi costantemente. La musica africana assume spesso un carattere dialogico: le voci, gli strumenti, perfino le mani del singo-lo esecutore, intervengono a turno come i diversi interlocutori in un dialogo. Uno degli stili più diffusi è quello detto "a chiamata e risposta", in cui il coro ripete un ritornello fisso in risposta al solista che fa da guida, e che gode di una maggior libertà d'improvvisazione. Un'altra importante caratteristica comune è la polifonia, ossia la combinazione di diverse parti che si presentano simultaneamente. Il ritmo è l’anima della musica africana e riveste un’importanza paragonabile a quella dell’armonia nella musica europea, o della melodia in quella islamica. Tutta la musica africana è animata da una irrinunciabile vitali-tà ritmica. I ritmi africani hanno una pulsazione di base, regolare e costante che viene eseguita dal battito delle mani o da un idiofono (legnetti, campana, sonagli). A questo battito si sovrappone l’esecuzione di varie formule ritmi-che che danno luogo a elaborazioni assai complesse e di grande efficacia sonora (poliritmia ). L’improvvisazione e la variazione sono quindi elementi fondamentali all’interno del processo compositivo e qui si misurano le capa-cità del musicista, la creatività oltre che l’abilità tecnica. I sistemi delle scale variano da zona a zona ma generalmente il più diffuso è quello di tipo pentatonico (5 note) mentre gli intervalli sono spesso diversi da quelli usati nella musica europea.

Gli strumenti musicali

La musica africana utilizza una grande varietà di strumenti preferendo sonorità complesse e ricche di riso-nanze, anziché suoni semplici e puri come nella tradizione occidentale. Numerosi sono gli strumenti a percussione: bacchette, campane, nacchere, gong, zucche e vasi di creta, tubi e xilofoni. Il lamellofono o sanza – strumento esclusivamente africano diffuso in tutto il continente sotto vari nomi – è costituito da una serie di strisce di metallo o di bambù fissate a una piccola cassa di risonanza. Tenuto in mano o in grembo, lo strumento viene suonato facendo vibrare con i pollici o gli indici le estremità libere delle lamelle. Il tamburo, diffusissimo, compare in diverse forme e dimensioni. Importanti sono i tamburi a frizione, in cui il suono viene prodotto sfregandone la membrana, e quelli a clessidra dell'Africa occidentale, chiamati anche tamburi parlanti perché possono imitare l'andamento sonoro della voce umana. Gli strumenti a corda comprendono gli archi musicali, i liuti, le arpe e le cetre. La kora è un'arpa-liuto a ventuno corde, alcune delle quali vengono pizzicate mentre altre risuonano per simpatia. Flauti, pifferi, oboi e trombe sono i principali strumenti a fiato. I flauti, traversi e diritti, di bambù, legno, creta, osso e altri materiali, sono presenti in tutta la regione subsahariana. Molto diffuse sono anche le trombe rica-vate dalle corna degli animali. Il clarinetto delle savane dell'Africa occidentale ha il corpo e l'ancia fabbricati con lo stelo del sorgo. Gli strumenti ad ancia doppia, come l'algaita degli hausa, sono originari del Nord Africa

BALAFON KORA DJEMBE M’BIRA

FLAUTI SHEKERE TAMBURO ALGAITA

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LA MUSICA DELL’INDIA

In India, la musica ha subito poche influenze ad opera della cultura occidentale ed è ancora considerata un mezzo religioso di purificazione e una delle vie più dirette per giungere alla divinità. Il musicista, attra-verso la musica, aiuta chi lo ascolta a distaccarsi dai problemi quotidiani, diventando una cosa sola con la natura e il mondo divino.

Gli strumenti musicali

Tra gli strumenti utilizzati dalla musica indiana occupano un posto di rilievo gli strumenti a corda come la vina, il tampura, il sarangi e il sitar; tra gli strumenti a percussione, fondamentali per mantenere i cicli dei tala, sono le tabla. � tabla è il termine che indica una coppia di piccoli tamburi, diversi per forma, dimensione e sonorità,

che si suonano con le mani; � Il sitar (simile alla vina e al tampura) è un cordofono simile al liuto sul cui manico è applicata, come

cassa di risonanza, una zucca svuotata. E’ dotato di 6 o 7 corde principali, di cui 4 vengono utilizzate per produrre la melodia, mentre le altre fungono da bordone (producono un sono base).

� il sarangi è uno strumento ad arco, di forma tozza e quadrata, munito di 4 corde principali e altre se-condarie.

� il bansuri è il nome del flauto traverso di canna di bambù, dal suono caldo e pastoso. In Occidente, il rappresentante più noto della musica indiana è il compositore e sitarista Ravi Shankar.

Raga, rasa e tala

La musica indiana è fondamentalmente monodica: a uno strumento melodico (voce o bansuri) è affidato il canto che viene accompagnato da tampura e tabla. L'organizzazione della melodia, così come di ogni altro aspetto della musica indiana, è regolato da leggi precise che rispecchiano l'ordine del cosmo; a ogni raga, ovvero le strutture melodiche fondamentali della musica indiana, è associata una particolare si-tuazione espressiva, un clima emotivo, che prende il nome di rasa. Ogni raga si svolge quindi nel clima di un preciso rasa che l'artista cerca di creare, vivere e intensificare, evocandolo negli ascoltatori. E poi-ché le emozioni (energia, calma, agitazione, desiderio...) sono in stretta relazione con il movimento degli astri e con l'andamento della giornata, ogni raga è anche collegato a un preciso momento del giorno o del-la notte: esistono raga per il mattino, raga per la sera e raga per la notte. Raga e rasa sono dunque concetti inseparabili della musica indiana. Il tala è il ritmo costituito da impulsi organizzati secondo una gerarchia di accenti. Il raga individua le note che potranno essere utilizzate dal solista nelle sue improvvisazioni. In India una esecuzione non è mai uguale a un’altra perché nella loro concezione musicale una melodia non può essere suonata senza ornamentazioni. La musica dell’India è basata su una grande varietà di scale musicali a 5 o a sette suoni con una suddivisione dell’ottava in 22 intervalli microtonali. Le 7 note indiane che compongono la scala diatonica sono chiamate Sa, Re, Ga, Ma, Pa, Dha, Ni.

SITAR TAMPURA BANSURI SARANGI TABLA

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LA MUSICA DEL GIAPPONE

Insieme alle altre arti, la musica ha avuto un grande sviluppo, in Giappone, sia a livello popolare che nelle corti degli Shogun (carica civile e militare) e degli Imperatori. Per tutti era un valido mezzo di elevazione spirituale e di intrattenimento; in ambito popolare era poi legata alle attività quotidiane, mentre a corte svolgeva anche una funzione di tipo celebrativo-militare. Un grande cambiamento nella storia della musica giapponese fu l’apertura al mondo esterno, dopo quasi mille anni di chiusura, nel 1879 con la caduta del governo Edo. Il nuovo governo aprì le porte agli stranieri e, con-seguentemente, cominciò anche una politica culturale che favorì lo studio della musica occidentale. Nella musica tradizionale giapponese la musica vocale è di gran lunga preponderante sulla musica pu-ramente strumentale; è basata principalmente sulla monodia e manca completamente di dimensione armonica. La polifonia è rara e le strutture ritmiche sono molto varie. Le scale musicali sono origine cinese e possono essere a cinque suoni (pentafoniche) o a sette suoni come le scale occidentali.

Gli strumenti musicali

Lo strumento nazionale giapponese è il koto: si tratta di una cetra formata da una cassa allungata e bombata su cui sono tese da 13 a 17 corde di seta. Ogni corda poggia su un ponticello mobile d'avorio che serve a variarne l'intonazione. L'esecutore sta seduto sulle ginocchia e tiene lo strumento appoggiato a terra: una mano ha le dita fornite di un plettro simile a un'unghia, per pizzicare le corde; l'altra mano sposta i ponticelli per modificare l'altezza. Il koto esige una grande abilità che si matura solo attraverso un lungo addestramento; nel secolo scorso, ogni famiglia no-bile ne possedeva uno, che veniva sistemato nella stanza più importante della casa. Lo shamisen è lo strumento tradizionale del teatro kabuki. È una sorta di liuto giapponese dalla cassa ar-monica piatta e dal manico sottile. Ha tre corde e si suona con un plettro di osso. Lo shakuhachi (flauto di bambù) in origine era utilizzato nella musica gagaku a corte (VIII secolo). Secoli più tardi il delicato strumento divenne appannaggio esclusivo di monaci e samurai. I monaci buddhisti credevano che rappresentasse il soffio della vita che conduce alla via dell'illuminazione. Esistono vari strumenti a percussione come tamburi (taiko), campanelli e gong. L'antica musica di corte giapponese (gagaku), le cui origini risalgono all'VIII secolo, deriva principalmente dalla Cina e dalla Corea. Le orchestre del gagaku comprendono strumenti a fiato, a corde pizzicate e a percussione. Una tipica forma musicale colta è il “No”: si tratta di un singolare connubio tra musica, parola e danza che dà luogo a spettacoli lenti e solenni, la cui maestosità ricorda quella delle antiche cerimonie sacre. La forma di teatro tradizionale più popolare in Giappone è il kabuki , che ebbe inizio alla fine del XVI se-colo. La musica per il kabuki impiega strumentisti e cantanti: alcuni di essi siedono in fondo alla scena, altri restano dietro le quinte e forniscono gli effetti sonori e le musiche di commento all'azione. Naturalmente, oggi, in Giappone la musica comprende anche altri generi, che anzi stanno affermandosi su quelli tradizionali. Anche qui la cultura occidentale ha imposto i suoi modelli, validamente aiutata dalla diffusione dei sistemi HI-FI, di cui il Giappone è diventato il maggiore produttore mondiale.

KOTO KIN E TAICHOGOTO BINZASARA SHAMISEN

HICHIRIKI SHAKUHACHI MOKUGYO TAIKO

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LA REGIONE ANDINA

Nell’America del Sud, in seguito alla colonizzazione spagnola e portoghese, l’influsso della civiltà europea è ancora assai forte. Ciò non toglie che i popoli di quel continente abbiano dato vita ad una musi-ca assai caratteristica, nella quale, ad esempio nell’uso di particolari strumenti, è ancora possibile rinveni-re tracce delle civiltà precolombiane. Durante il periodo incaico la musica era strettamente connessa con la vita religiosa, ma si collega-va anche ad occasioni familiari, sociali e militari. A quest'ultimo riguardo, in particolare, ricordiamo la grande importanza assunta dalle trombe (per le adunate) e dai tamburi (durante le azioni di guerra). Oggi la musica ha perduto il collegamento con la vita religiosa e militare, mentre ha assunto un ruolo importante per quanto riguarda la tutela del patrimonio culturale tradizionale e la difesa dei valori della libertà e dell'indipendenza. Comunque, anche come semplice divertimento, la musica è tuttora molto praticata durante feste, fiere, mercati, ecc. Le scale musicali utilizzate sono molto antiche: pentatoniche (a 5 suoni), ma si possono trovare anche esempi di scala tetratonica (a 4 suoni).

Gli strumenti musicali

La musica indigena latinoamericana nei territori inca è caratterizzata dall’impiego della scala pen-tatonica e da strumenti musicali come la quena e la siringa che sono di origine molto antica, addirittura anteriore alla formazione dell'impero incaico: lo dimostrano alcuni reperti archeologici, perfettamente conservati. La quena e la siringa sono flauti di canna. Precisamente, la quena è un flauto diritto con una imboccatura aperta che orienta il fiato verso una tacca interna a forma di V, producendo suoni molto "sof-fiati": la siringa è un flauto "multiplo", costituito da canne di lunghezza decrescente chiuse in fondo e or-dinate su una o più file: ogni canna produce un suono di altezza diversa. Il charango invece è uno strumento a corde simile ad una piccola chitarra con la cassa realizzata con la corazza di un armadillo. Altri strumenti attuali, ma molto antichi, sono i sonagli e i campanelli, da portare ai polsi e alle caviglie durante la danza. L'arpa europea fu assimilata nella musica popolare messicana e peruviana, la marimba africana nella musica centroamericana. L'America latina ha largamente contribuito allo sviluppo del repertorio della musica leggera: ad esempio il tango argentino fu introdotto nelle sale da ballo americane ed europee nel secondo decennio del Novecento, mentre negli anni Trenta acquistarono popolarità la rumba e la conga cubane, il samba brasiliano e, più di recente, la bossa nova, i cui ritmi hanno influenzato in maniera non trascurabile le ri-cerche di molti jazzisti. Altre danze popolari comprendono il calypso delle Antille, il mambo e il cha-cha-cha cubani, e il merengue di Haiti e della Repubblica Dominicana.

CHARANGO QUENA SIRINGHE / F. DI PAN ANDINI ARPA

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LA MUSICA CINESE

Nell’antica Cina la musica era considerata arte destinata a perfezionare l’educazione dei giovani. La musica non solo aveva funzione didattica ma veniva investita di significati metafisici; era infatti consi-derata parte di un complesso sistema cosmologico e dalla sua perfetta esecuzione si faceva derivare il de-licato equilibrio fra il Cielo e la Terra, e quindi, per estensione, la stabilità dell’Impero. Un noto proverbio cinese dice: "Se vuoi sapere se un Paese è ben governato, ascolta la musica".

Nel "Memoriale dei riti", il sistema musicale cinese viene spiegato in base a 5 gradi fondamentali denominati gong (palazzo), shang (deliberazione), jiao (corno), zhi (prova), yu (ali) e viene fatto corri-spondere ad altri "gruppi di cinque", fattori costitutivi e caratterizzanti la vita cosmica e umana. Così, per esempio, secondo tale sistema filosofico-musicale, la nota fondamentale gong (fa) corrisponde all’elemento terra, al punto cardinale centro, al colore giallo, al sapore dolce, al viscere cuore, al numero cinque, alla funzione imperatore ecc. Analogamente la nota shang (sol) rappresenta i ministri; la nota jiao (la) rappresenta il popolo; la nota zhi (do) e yu (re) rappresentano rispettivamente i servizi pubblici e l’insieme dei prodotti; oltre, naturalmente, a ulteriori parallelismi tra ciascuna nota e un elemento, un pun-to cardinale ecc. La lentezza della musica cinese mette in evidenza la valenza dei suoni musicali, che ac-quistano un effetto magico.

Il sistema musicale cinese è basato su un suono fondamentale prodotto da una specie di flauto, ri-cavato da una canna di bambù. Da esso hanno origine, per progressione delle quinte, gli altri suoni (lü) che sono complessivamente 12, con nomi anch’essi avocanti per lo più un parallelismo con il mondo na-turale. Dalla scala dei lü ha origine la scala pentatonica, base del sistema musicale cinese.

Sotto la dinastia Tang il patrimonio strumentale e musicale cinese si arricchisce in modo notevole. Tuttavia solo con le dinastie Song del Nord e del Sud, la musica classica cinese raggiunge il suo apogeo. Nel periodo Ming (1368-1644), la musica strumentale, soprattutto nelle esecuzioni del Qin, raggiunge vir-tuosismi difficilmente superabili. Dopo le tristi vicende della seconda guerra mondiale e la costituzione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 ad opera di Mao, l’interesse per la musica tradizionale è rinato.

Gli strumenti musicali Gli strumenti musicali cinesi si ritrovano, con piccole o grandi modifiche, in quasi tutti i Paesi

dell’Asia meridionale e del Giappone.

PIPA KIN - QIN BAN SHENG

XIAO XIAOGU DAGU