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Claudio Ballicu
Le serrature meccaniche
e le loro vulnerabilità
Tecniche di effrazione
e ricerca delle tracce forensi
nell’attività peritale
Progetto grafico, copertina, ricerche iconografiche, disegni e foto di Claudio Ballicu
È vietato riprodurre, memorizzare in un sistema di archiviazione o trasmettere, in qualsiasi
forma o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, fotocopie, registrazioni o in altro
modo, testi, disegni e, più in generale, qualunque parte di questo libro, anche se per uso
interno o didattico, senza previo permesso scritto del proprietario del copyright.
Le richieste in tal senso potranno essere indirizzate a: [email protected]
© Copyright Claudio Ballicu 2018
Nota dell’autore
I “lockpickers”, sono persone appassionate di meccanica di precisione con la curiosità di
conoscere l’intimo funzionamento delle serrature o semplicemente soggetti che sfidano i segreti
delle serrature con spirito sportivo, affrontandone la manipolazione tramite grimaldelli.
Tuttavia, la maggior parte delle persone accomuna la figura dei lockpickers ai ladri e agli
scassinatori, dimenticando l’esistenza di professionisti in grado di intervenire, in maniera del tutto
lecita, per una serratura bloccata o della quale si siano smarrite le chiavi.
Altri tecnici serraturieri (pochissimi, in verità), sono in grado di aprire una cassaforte della
quale sia andata perduta la combinazione, senza ricorrere a mezzi distruttivi, consentendone il
recupero al legittimo proprietario, senza che per questo debbano essere assimilati a chi vive fuori
dai confini della legalità.
Non dimentichiamo, inoltre, l’esistenza di internet, che mette facilmente a disposizione di
chiunque sia interessato, le più dettagliate informazioni sulle serrature e sulle tecniche per
prevaricare questi mezzi di difesa della proprietà.
Troppe persone, infatti, non vogliono pensare fuori da schemi precostituiti, abituate come sono
a omologarsi agli stereotipi livellanti della massa, evitando di sottoporsi a particolari sforzi mentali
o contrastando la morale comune; pensare in modo anticonformista richiede uno sforzo di
valutazione obiettiva della realtà e, perché no, un minimo di cultura e di desiderio di informarsi.
Queste pagine vogliono mostrare le vulnerabilità delle serrature attraverso la descrizione
delle principali tecniche di manipolazione, descrivendo le tecniche di indagine sulle aperture
illecite e la relativa raccolta della documentazione delle tracce, di valore forense,
frequentemente posta alla base della risoluzione delle controversie fra le compagnie di
assicurazione e i loro clienti, vittime di furto.
L’attività peritale del “forensic locksmith” è anche richiesta dagli organi inquirenti, per
contribuire alla formazione del libero convincimento del Giudice.
L’autore del libro, declina sin da ora ogni responsabilità sull’eventuale uso illecito delle
informazioni fornite o dei dispositivi illustrati che non sono pertanto da intendersi come un
invito o un incoraggiamento a mettere in pratica in modi illegali quanto descritto.
Il semplice fatto di proseguire nella lettura, implica l’accettazione di quanto sopra.
Eventuali marchi di fabbrica o di servizio, nomi di prodotti o di aziende che compaiano nel
presente volume, sono utilizzati a solo scopo informativo. L’autore non rivendica alcun diritto in
relazione ad essi, né il loro utilizzo indica legami societari tra i proprietari dei marchi e l’autore del
volume o appoggio dei prodotti da parte dello stesso.
La serratura sicura non esiste!
Esistono solo persone incapaci di aprirla senza possederne la chiave
Avviare la catena di produzione di un nuovo modello di serratura ha un costo industriale non
indifferente. La progettazione ingegneristica, il disegno meccanico, la ricerca ed il collaudo dei
materiali, la preparazione di una catena di montaggio, la trafila delle omologazioni ecc. hanno un
costo industriale elevatissimo che può essere riassorbito solo con la commercializzazione di un
elevato numero di esemplari del manufatto stesso.
Dunque, perché investire ingenti capitali per la realizzazione di un nuovo modello di serratura
se quello precedente andava benissimo e, soprattutto, risultava inattaccabile?
Certo non si debbono soddisfare ragioni estetiche o seguire la moda; questo genere di oggetti è
molto poco sensibile alle tendenze del momento! Se così non fosse, sarebbe sufficiente un restyling
di facciata, un po’ come avviene in campo automobilistico, per esempio, dove spesso un nuovo
modello differisce dal precedente per un semplice aggiornamento estetico della carrozzeria o degli
interni o per l’aggiunta di qualche “gadget” tecnologico, oggi tanto in voga.
Nel caso di una serratura, l’unica ragione plausibile è la scoperta, da parte della malavita o da
parte degli specialisti dell’assistenza tecnica, di un punto debole nel manufatto, su cui far leva per
superarne le difese tramite manipolazione o tramite altre tecniche distruttive.
Quando, a seguito di qualche “colpo” dei “soliti ignoti” andato a segno viene palesato un
“tallone d’Achille” nella serratura, o quando le risultanze delle prove, che le case costruttrici
effettuano per seguire l’evoluzione continua delle tecnologie legate alla meccanica di precisione,
evidenziano l’obsolescenza non tanto di un modello, quanto del principio di funzionamento di una
famiglia di serrature, ecco sorgere la necessità di progettarne un nuovo modello anche a costo di
importanti investimenti economici.
Queste pagine nascono nell’ambito degli studi sulla vulnerabilità delle serrature e sulle
tecnologie di difesa contro attacchi con mezzi non distruttivi (manipolazione, lockpicking) e
distruttivi (trapanazione, attacco con leve metalliche ecc.).
Nessuna serratura, infatti, è inattaccabile o, quantomeno, la sua inviolabilità è direttamente
correlata con il tempo di attacco. La robustezza di tali dispositivi di chiusura, infatti, non è di per sé
sufficiente se si prescinde da una profonda conoscenza metodologica dell’azione criminale.
Spesso le soluzioni trovate dalla malavita equivalgono, senza mezzi termini, a vere opere
dell’ingegno tese alla realizzazione di strumenti specifici volti alla manipolazione o alla
prevaricazione, altamente rifiniti e frutto di lunghi studi e prove.
Solo una sinergia di conoscenze e mezzi di difesa, anche elettronici, migliorabili in base alle
esperienze sulle tipologie di attacco, porteranno al contrasto sempre più efficace di una criminalità
tecnologica, agguerrita e dotata di elevati mezzi economici di finanziamento, il cui “stato dell’arte”
è ben più avanzato di quanto comunemente si possa immaginare.
Il punto di vista dell’autore di questo libro si può, quindi, sintetizzare così: nel campo
serraturiero è in vigore la nozione del “security through obscurity”; mantenere segrete le
informazioni al fine di non dare vantaggi agli attaccanti.
Il suo opposto, diffuso soprattutto in campo informatico, è la “full disclosure”; rendere pubblici
i dettagli allo scopo di permettere agli esperti di analizzarli ed evidenziarne i difetti e i limiti.
Indubbiamente l’età enormemente più giovane della scienza informatica, rispetto alla
meccanica serraturiera, gioca a favore di una maggiore apertura mentale della prima.
La “full disclosure” deriva dalla "legge di Kerckhoffs": "un sistema crittografico dovrebbe
essere sicuro anche se ogni cosa che riguarda il sistema, ad eccezione della chiave, è di pubblico
dominio".
Per quel che riguarda le serrature, è fin troppo facile acquistare un modello da studiare per
trovarne le vulnerabilità, pertanto la sicurezza attraverso "l’oscuramento" delle informazioni, verrà
meno. Inevitabilmente.
Ma forse le ragioni che sottendono a tale ostinazione nel voler mantenere riservato ciò che, alla
cruda luce della realtà, non può essere ragionevolmente segretato, sono altre.
Lascio volentieri ai lettori trarre le conclusioni.
Profilo biografico dell’autore
Sorprendentemente, l’autore di questo libro non è un serraturiere professionista né un
commerciante in questo ambito. Il suo interesse è rivolto principalmente all’aspetto forense della
meccanica serraturiera e delle casseforti, nonché allo studio delle tecniche atte a prevaricare questi
mezzi di difesa della proprietà e dei beni.
Appassionato di meccanica di precisione, da sempre interessato a conoscere il funzionamento
delle cose, proprio il tipo che, nell’infanzia, ricevendo un nuovo giocattolo, per prima cosa lo
smontava per scoprire come fosse fatto “dentro”.
Oggi, smontati tutti i giocattoli possibili, rimane inguaribilmente curioso di conoscere i segreti
delle serrature, i loro limiti per quanto concerne la resistenza ai tentativi di manipolazione e, in
definitiva, la loro sicurezza.
Claudio Ballicu è nato a Roma nel 1949, dove vive e lavora. E’ perito in elettronica industriale
e telecomunicazioni e laureato in Scienze dell’Investigazione all’Università di l’Aquila
Ex Vigile del Fuoco, si è interessato “da sempre” allo studio delle serrature e dei dispositivi
anticrimine in generale. Durante gli anni di servizio nei V.V.F. sempre operativo sui mezzi
antincendio, si è dedicato, in qualità di istruttore professionale, ad insegnare le tecniche di apertura
delle serrature negli interventi di urgenza.
È autore di libri nel campo della meccanica serraturiera, del misterioso settore dello spionaggio
elettronico, dell’indagine sulle cause di incendio e sull’analisi dei tabulati nella telefonia cellulare,
oltre a monografie sugli stessi temi nella rivista del settore “Force-Security”.
È stato invitato a tenere seminari sulla ricerca di tracce forensi nelle serrature e nelle casseforti
manipolate con grimaldelli, nonché seminari sulla sicurezza nel campo
dell’elettronica/telecomunicazioni, presso le università di l’Aquila e di Camerino (Facoltà di
Informatica e facoltà di giurisprudenza) e presso l’Università di Macerata (facoltà di Scienze della
Formazione), oltre che in vari congressi privati.
Nel settore della meccanica serraturiera, ha pubblicato, in collaborazione con C. A. Clerici,
medico specialista in psicologia clinica e ricercatore universitario presso la facoltà di medicina e
chirurgia dell’Università degli Studi di Milano, l’unico volume in italiano sul misterioso mondo
delle casseforti, dal titolo “Casseforti a combinazione meccanica, storia, tecniche e segreti”.
Oggi, effettua perizie forensi e consulenze nel campo serraturiero e casseforti e dei dispositivi
elettronici anticrimine per il Tribunale Civile di Roma, dove è iscritto dal 2005 nei ruoli dei
Consulenti Tecnici di Ufficio (CTU) e, per il Tribunale Penale, in qualità di Perito del P.M. o del
Giudice.
Effettua inoltre perizie e indagini difensive su incarico di studi legali o di agenzie investigative,
su richiesta di privati e di compagnie di assicurazione.
Anteprima di alcune pagine del libro:
Le serrature meccaniche e le loro vulnerabilità
Nella lingua inglese/statunitense, il lemma “lockpicking” indica l’arte di aprire una serratura
senza possederne la chiave, tramite l’uso di grimaldelli. Dal sostantivo “lock” serratura e dal verbo
transitivo “to pick” prendere qualcosa, ma anche tirare su/giù cogliere, selezionare con cura,
usare uno strumento appuntito per togliere/rimuovere.
Nella lingua italiana non troviamo un lemma specifico per indicare questa azione. Il verbo più
appropriato potrebbe essere “manipolare” una serratura, poiché “scassinare” “forzare” sembrano più
adatti ad un’azione prevaricatrice violenta, portata con mezzi forti, quali leve metalliche, giraviti,
trapani ecc. tuttavia, considerare solo l’aspetto prevaricatore delle tecniche esaminate in questo
volume, è indubbiamente limitativo. Non esiste solo l’attacco portato alla proprietà da delinquenti
senza scrupoli, ma anche il lavoro, onesto e svolto alla luce del sole, di tecnici serraturieri in grado
di risolvere il malfunzionamento della vostra serratura, permettendovi di rientrare in casa, o dei
pochi specialisti capaci di aprire una cassaforte senza procurare danni tali da renderla inutilizzabile.
Questi tecnici, ormai sempre più rari, sono ricercatissimi da istituti bancari, gioiellieri e
chiunque, più in generale, abbia necessità di rientrare in possesso dei propri valori chiusi in un
mezzo di custodia, bloccato per una avaria della serratura o a causa di un errato uso da parte del
proprietario.
La curiosità è la molla che ha da sempre spinto il progresso umano a superare sempre nuove
sfide, verso nuove conoscenze, ma è anche la molla che spinge il lockpicker a confrontarsi con le
serrature e con i loro limiti.
Se l’Homo erectus, dopo aver trasferito la sua residenza da un albero frondoso (e scomodo) ad
una vicina caverna, perdendoci riguardo alla vista panoramica ma guadagnandoci in quanto a riparo
dalle intemperie, non si fosse chiesto “cos’è quella cosa?” luminosa e rovente, sputata da un
vulcano o nata dalla caduta di un fulmine, che incendia gli alberi e il sottobosco, non avrebbe
scoperto il fuoco, non si sarebbe potuto riscaldare e tenere lontani i feroci predatori, non avrebbe
potuto espandere le proprie attività nelle ore notturne né avrebbe potuto cuocere i cibi migliorando
così l’assorbimento delle proteine e dei carboidrati.
Certamente il controllo del fuoco da parte dell’ Homo erectus determinò uno dei punti cruciali
di svolta nell'evoluzione culturale umana, consentendo l’incremento della proliferazione e la
sopravvivenza di quello che si avviava a diventare, attraverso il lento scorrere dei millenni, Homo
sapiens. Detto anche… “Homo curiosus”.
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Esiste un sorprendente parallelismo tra le sfide del lockpicking e quelle dell’hacking; mentre
l’appassionato studioso della sicurezza serraturiera si confronta con i limiti di questi mezzi di
custodia, l’hacker si confronta con la sicurezza dei sistemi informatici,
cercando di violarne l’impenetrabilità attraverso lo studio e la ricerca sistematica dei punti
deboli nei programmi che “girano” nei computer, i cosiddetti “bug”.
Insomma, una sorta di sfida intellettuale all’aspetto enigmatico del problema, alla ricerca della
soluzione di un rebus, iniziata, per gli hackers, intorno agli anni ottanta, con i primi rudimentali
personal computer (Commodore 64, Amiga 600, Vic 20 e, prima ancora, Sinclair ZX80 e Spectrum)
e con la nascita di ARPAnet, la “nonna” della moderna rete internet, realizzata nel 1969 dal
Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, per uso militare, durante la guerra fredda e divenuta, nel
tempo, uno dei più grandi progetti civili.
Per i lockpickers, la medesima sfida intellettuale all’aspetto enigmatico del problema, la
medesima ricerca della soluzione di un rebus, inizia ben prima degli anni ottanta; la serratura,
infatti, era già anzianotta, avendo spento tremilaseicento candeline su una gigantesca torta di
compleanno.
Non saprei dire chi fossero i lockpickers contemporanei dei faraoni egizi o quelli che operavano
durante l’Impero Romano, le mie modeste conoscenze non vanno oltre il periodo della Rivoluzione
Industriale quando, nelle varie “Esposizioni Universali” che si tenevano annualmente a Londra o a
Parigi, erano presentate le nuove invenzioni e scoperte industriali, le nuove macchine a vapore e,
per rimanere nell’argomento del libro, le nuove serrature di alta sicurezza.
Proprio durante la Great Exhibition di Londra, al Cristal Palace, Joseph Bramah, figlio di un
agricoltore dello Yorkshire e geniale inventore nel campo dell'idraulica e della meccanica,
trasferitosi a Londra in cerca di fortuna, presentò una serratura semplice e sicura nella quale i
meccanismi interni si allineavano all’atto dell’inserimento della chiave, consentendo la rotazione
del meccanismo di scorrimento del chiavistello. Questo sistema è tutt’ora alla base di vari tipi di
serrature di sicurezza.
Bramah dichiarò che la sua serratura, di forma cilindrica, consentiva 494 milioni di possibili
combinazioni diverse, nella profondità e localizzazione degli intagli di codifica. Era così sicuro
dell’inviolabilità della sua invenzione da offrire un premio di 200 ghinee, una somma notevole per
l'epoca, a chi fosse riuscito ad aprirla con una chiave falsa o con un grimaldello.
La discreta somma di denaro rimase ben custodita nelle tasche del proprietario fino a quando un
serraturiere americano, Charles Alfred Hobbs, figlio di un falegname di Boston, con mano di
velluto e tanta pazienza, dopo un paio di settimane di preparazione, in 51 ore di tentativi ne venne a
capo, dando una memorabile lezione ai fabbri inglesi che si cullavano da troppo tempo nella
convinzione di una loro presunta superiorità nella meccanica serraturiera.
Continuando l’esame delle similitudini tra le sfide del lockpicking e quelle dell’hacking,
esistono persone che manipolano le serrature allo scopo di introdursi nelle altrui proprietà per
commettere reati e hackers “malevoli” (più precisamente definiti “black hat hackers”) che si
introducono dolosamente nei computer per sottrarre dati sensibili, come numeri di carte di credito
con i quali fare acquisti a vostre spese, o password per l’home banking con le quali svuotare il
vostro conto corrente. Ciò avviene in special modo ai nostri giorni, quando il computer è oramai
entrato in tutte le case e moltissime persone effettuano acquisti via internet o gestiscono le proprie
operazioni bancarie senza muoversi fisicamente dalla propria scrivania. Periodicamente, le notizie
di qualche eclatante intrusione, in qualche computer o attraverso qualche porta blindata o
cassaforte, ci raggiungono attraverso le pagine di cronaca nera dei quotidiani o attraverso altri mass-
media, ma raramente la preparazione del giornalista sull’argomento è tanto accurata da fornirci
notizie completamente veritiere e libere da interpretazioni di fantasia.
La regola fondamentale di autodifesa è, comunque, non fornire ad estranei nessuna
informazione, neanche la più insignificante, che possa esporci ad un eventuale attacco.
Ad esempio; chi potrebbe pensare che il semplice fatto di lasciare in vista la chiave a doppia
mappa della nostra porta blindata, magari tenendola in un portachiavi appeso alla cintura dei
pantaloni, possa essere sufficiente a farne una copia fraudolenta. Eppure, può bastare una semplice
fotografia, magari scattata con il cellulare, per risalire ai codici della chiave e fabbricarne una falsa,
ma perfettamente funzionante, come vedremo nel capitolo dedicato a questo diffusissimo modello
di serratura.
Esaurita questa lunga premessa, possiamo entrare nel vivo della questione: iniziamo con il
notare l’esistenza di un principio comune alla base dei metodi di manipolazione delle serrature, a
prescindere dal modello specifico con il quale ci confrontiamo: lo sfruttamento delle tolleranze
meccaniche.
Un mio maestro serraturiere affermava: “In matematica, uno nell’uno ci sta una volta. In
meccanica non ci sta affatto”.
Inutile tentare di inserire un perno con un diametro, per esempio, di dieci millimetri in un foro
di identico diametro. Non è possibile. Fra i due elementi ci deve essere una differenza nel calibro,
anche solo di una frazione di millimetro. Infatti, se un dispositivo meccanico che abbia parti in
movimento non si rispetta questa regola basilare, andrà sicuramente incontro al grippaggio.
Le serrature non fanno certo eccezione a questa regola aurea anzi, poiché sono spesso soggette
all’azione degli agenti atmosferici e all’infiltrazione di polvere, devono essere costruite con
tolleranze meccaniche piuttosto “generose” al fine di garantire un funzionamento sicuro e
scorrevole per moltissimi anni. Tuttavia, ripeto, proprio queste inevitabili tolleranze favoriscono,
indirettamente, le tecniche di effrazione tramite manipolazione.
Passiamo ora dalla teoria alla pratica: per prima cosa dobbiamo capire a fondo come funziona il
cilindro di una serratura.
Cominciamo con qualcosa di semplice; il classico cilindro a pistoncini inventato dal
newyorkese Linus Yale nel lontano 1848 (il nome esatto, a voler essere precisi, è “cilindro a chiave
paracentrica” ma di seguito sarà definito semplicemente “cilindro a pistoncini”).
Si tratta di un cilindro i cui pistoncini (detti anche “perni” o “spine”) di riferma si allineano solo
con l’inserimento della chiave giusta, consentendo il movimento del rotore che a sua volta muove il
meccanismo di chiusura. E’ importante capirne il funzionamento interno, osservando con attenzione
le immagini seguenti, poiché la manipolazione di qualsiasi modello di serratura si fonda su principi
di base simili, fatte le dovute distinzioni tecniche, ma soprattutto su una perfetta conoscenza, tanto
profonda da consentirci di visualizzarne mentalmente i meccanismi che la compongono e i relativi
movimenti, durante la manipolazione stessa.
Le seguenti figg. 3.1 e 3.2 mostrano un “mezzo cilindro” del tipo a pistoncini, mentre il
successivo esploso (fig.3.3) ne mostra gli elementi interni con le rispettive terminologie.
Fig.3.1
Fig.3.2
Fig.3.3
Osserviamo ora un cilindro dopo averlo sezionato (fig.3.4).
Come si può osservare, il rotore (detto anche “nucleo”), ossia quella parte che trascina il
movimento dei meccanismi della serratura e, in definitiva, i chiavistelli, è bloccato dalla presenza
dei pistoncini “passivi” che, in assenza della chiave, si frappongono, lungo la “linea di
separazione”, fra il rotore e lo statore, ossia la parte statica del sistema che costituisce anche il corpo
stesso del cilindro a pistoncini.
Se ora inseriamo la chiave nel cilindro, possiamo vedere i pistoncini “passivi” che si allineano
con la “linea di separazione” ovvero il punto di contatto fra la parte rotante e la parte fissa (fig.3.5).
In queste condizioni la chiave è finalmente libera di girare.
In realtà, ancora non possiamo vedere, all’interno del rotore, la serie di pistoncini che,
accomodandosi nelle incisioni della chiave, (fig.3.6) spingono i corrispondenti pistoncini “passivi”
fino al corretto posizionamento, ma basta girare il rotore di pochi gradi per vederli apparire
(fig.3.7).
Salve a tutti! Permettete che mi presenti: io sono Simon Mago, una specie di
“alter ego” dell’autore di questo libro. Il mio compito è aggiungere brevi note di
chiarimento, consigli sul fai-da-te, pillole di storia ecc. ogni volta che LUI,
essendo avanti con gli anni… dimentica di farlo.
Pertanto, inizio subito con questa prima… Nota:
Sono definiti pistoncini “attivi” quelli che, nel rotore, sono a diretto contatto con
le gole della chiave, mentre sono “passivi” tutti gli altri.
Fig.3.4
Fig.3.7
Fai-da-te Esistono delle ottime “serrature da esercizio” fresate in maniera da
portare “a vista” le parti interne, reperibili su e-bay o presso alcuni fornitori
per tecnici serraturieri.
La loro funzione è evidente; si possono manipolare osservando, in tempo
reale, i movimenti dei pistoncini o degli altri meccanismi, in modo da
correggere i propri errori affinando la tecnica e la sensibilità necessarie
nell’arte del lockpicking.
Per quanto riguarda il famoso sito di aste, è sufficiente digitare parole chiave come “cutaway
lock” per trovarne a volontà, ma il loro prezzo non è certo modesto. Se invece preferirete
l’autocostruzione, potrete entrare in grande confidenza con la serratura, imparando a conoscerla
nei minimi dettagli, migliorando nel contempo la vostra abilità manuale, che è necessaria al
tecnico serraturiere come l’acqua lo è per i pesci.
Pertanto, nel capitolo che segue, vedremo come realizzare un “cilindro da esercizio” fai-da-te in
modo semplice e senza la necessità di particolari attrezzature.
Buon lavoro, dunque!
Pillole di storia: Il cilindro a pistoncini per serrature fu la rivoluzionaria
invenzione dell’ ingegnere meccanico Linus Yale Jr.
Figlio di un abile serraturiere che produceva costosi sistemi di chiusura
bancari, in modo totalmente artigianale, nella sua officina di Newport, un
sobborgo di New York, dopo aver sperimentato un meccanismo impiegato dagli
egizi tremilaseicento anni prima, brevettò nel 1851 la prima serratura da
montare all’interno del corpo della porta, quella che tutti conosciamo, della
quale sono stati venduti milioni di esemplari. Si trattava di un cilindretto i cui perni di riferma si
allineavano solo con l’inserimento della chiave giusta, consentendo la rotazione del rocchetto che,
a sua volta, muoveva il meccanismo di chiusura. Lo straordinario successo della serratura Yale,
oltre alla sua notevole sicurezza (per l’epoca), fu dovuto al fatto che i meccanismi che la
componevano si potevano realizzare industrialmente a basso costo. Non per niente è ancora oggi il
modello di serratura più diffuso nel mondo, dal quale sono derivate almeno 150 varianti, tutte
regolarmente brevettate.
Nel 1868, Yale Jr. conobbe un giovane ingegnere di Philadelphia, l’ingegnere Henry Towne,
insieme al quale fondò, a Stamford, nel Connecticut, la società Yale & Towne Manufacturing Co.
impiegando 35 persone, un numero inaudito per l’epoca.
Nei primi anni del ventesimo secolo, la compagnia aprì filiali in tutto il mondo arrivando a oltre
12.000 dipendenti. Successivamente la Yale & Towne effettuò acquisizioni e joint ventures con
marchi quali Guli, Chubb Locks, Parkes, Marshall, facendo di Yale il marchio di serrature più
conosciuto al mondo. Nel 2000 la società Yale fu acquistata dal gruppo svedese Assa Abloy, a
tutt’oggi leader mondiale nella sicurezza.
Nell’esoterico mondo delle serrature, alcune aziende hanno lasciato tracce indelebili. Yale ha
avuto il raro privilegio di scriverne di proprio pugno l’emozionante storia, insieme alle tante
geniali invenzioni che ne hanno caratterizzato l’evoluzione della meccanica, nel corso dei secoli.
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Prima di passare alla fresatura del cilindro, con lo scopo di portare in vista il
movimento dei pistoncini attivi e passivi, apriamo una breve parentesi per descrivere lo
smontaggio di un cilindro classico.
A differenza del mezzo cilindro, trattato sinora, lo smontaggio di un cilindro normale,
del tipo cioè che può essere manovrato tanto dall’interno della porta, quanto dall’esterno,
presenta qualche difficoltà in più. Tuttavia non è impossibile superare tali difficoltà
osservando le immagini che seguono e seguendo la descrizione che, come al solito, vi
guiderà passo dopo passo:
La prima operazione, dopo aver fissato il cilindro in una morsa, consiste nello
smontaggio del solito anello elastico “seger” (In effetti in questo cilindro gli anelli elastici
sono due, ai lati della “camma” o “nottolino” l’elemento che, trascinato dal rotore, muove i
meccanismi della serratura).
La rimozione di questi due “seger” richiede un minimo di forza in più e l’uso di due
giraviti, come si può vedere nella foto seguente (fig.4.6), con i quali spingere nella
direzione delle frecce.
Il passo successivo consiste nella rimozione della camma e del perno di
accoppiamento, allo scopo di avere o spazio necessario all’introduzione di una pinzetta da
orologiaio con la quale togliere i pistoncini passivi e le relative molle. Ricordo, infatti, che
in questo cilindro, a causa della sua specifica forma, non possiamo introdurre subito il
tondino metallico per spingere fuori il rotore senza far saltare via i pistoncini.
Infiliamo quindi due chiavi nei due rotori (suppongo, infatti, che il cilindro che avete
comperato disponga di almeno due chiavi) allineando in tal modo i pistoncini e liberando i
due nuclei (ricordate le figg.3.5 e 3.7 ?).
Fig.4.6
Fig.4.7
Ora sfiliamo leggermente i due rotori, appena quel tanto che basta a liberare la
camma, estraendola insieme al perno di accoppiamento contenuto al suo interno (fig.4.7).
Abbiamo così ottenuto un piccolo spazio fra i due nuclei, in modo da poter insinuare
una pinzetta con cui afferrare i pistoncini, uno alla volta, mentre uno dei due rotori viene
gradualmente estratto (fig.4.8).
Per finire non resta che conservare i pistoncini passivi e le relative molle sul solito
nastro adesivo, in attesa di fresare il corpo del cilindro per poi rimontare il tutto (fig.4.9).
Fig.4.8
Fig.4.9
Nota: La camma è l’elemento che, spinto dal rotore, trasmette il movimento al
chiavistello della serratura. Il perno di accoppiamento, che viene spinto in avanti
dalla punta della chiave, serve a collegare, una alla volta, le due metà del cilindro
con la camma. Più precisamente; se inserite la chiave dall’interno della porta,
accoppierà solo il mezzo cilindro interno, impedendo che un estraneo possa girare
la metà esterna approfittando del fatto che la chiave è inserita all’interno.
Fissiamo ora lo statore su una morsa e iniziamo il lavoro di fresatura. Dobbiamo
praticare delle incisioni verticali in corrispondenza dei canali che ospitano i pistoncini
passivi. La giusta posizione di questi ultimi corrisponde esattamente ai tappi di chiusura
dei canali (fig.4.10).
Il fatto di aver smontato il cilindro, estraendo molle e pistoncini dallo statore, pur se ci
ha fatto penare un po’, ci permette ora di lavorare in tutta tranquillità, senza pericolo di
danneggiare questi delicati elementi.
Ovviamente esistono vari sistemi per estrarre i pistoncini interni. Io preferisco
smontare completamente il cilindro, come descritto finora, altri preferiscono trapanare con
una punta sottile i tappi dei canali per poi sfilare le molle e i cilindretti senza smontare il
complesso rotore/statore.
A mio sommesso parere, questa procedura oltre a mettere a repentaglio l’incolumità
delle molle, costringe, in seguito, a ripristinare i tappi dei canali con incerti risultati. Si
possono usare dei segmenti di ottone di diametro adatto o dell’adesivo bicomponente ma
certamente verrà alterata la pressione originale delle molle e, in seguito a ciò, i pistoncini
risponderanno in maniera anomala alla manipolazione. Inutile sottolineare che, essendo
questo un “cilindro da esercizio” il cui scopo è allenare la sensibilità alla manipolazione, è
fondamentale evitare, nei limiti del possibile, alterazioni di qualunque genere.
Finalmente, terminato il lavoro di fresatura, possiamo rimontare le varie parti del
cilindro, semplicemente ripetendo in senso inverso le operazioni di smontaggio.
Rimettiamo al loro posto le molle e i pistoncini passivi, uno alla volta, partendo dal n°5,
usando la solita pinzetta e infilando gradualmente il tondino metallico di cui ho parlato
prima, senza fretta e con la necessaria pazienza.
Completata questa prima fase possiamo rimettere al suo posto anche il rotore,
infilandolo in sede e spingendo fuori il tondino metallico.
Al termine, rimontiamo l’anello “seger” che fissa il rotore all’interno del corpo del
cilindro ed eccoci pronti a iniziare l’allenamento alla manipolazione (la fig.4.11 mostra il
cilindro fresato e rimontato).
Fig.4.10
Il corpo del cilindro, o statore, smontato, durante la fase di fresatura
Fig.4.11
Il cilindro fresato e rimontato
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Prima di addentrarci nelle tecniche di manipolazione, è necessario fare una importante
premessa riguardante l’allineamento dei canali dei pistoncini. Anche questi, infatti, sono
influenzati dalle tolleranze meccaniche che, è bene ricordare, possono essere contenute
ma in pratica sono inevitabili.
Osservando dall’alto il cilindro mostrato in fig.5.1, ossia dalla parte dei tappi che
chiudono i canali dei pistoncini, potremo notare i lievi disallineamenti dei canali di cui
sopra. La linea rossa fa da riferimento per sottolineare questo difetto meccanico. Il
successivo disegno (fig.5.2) ripropone lo stesso cilindro, con falsi colori, esagerando
volutamente il disallineamento per evidenziare nel modo più chiaro possibile il concetto.
Fig.5.1
Fig.5.2
Questa particolare tolleranza meccanica comporta che, applicando una forza rotatoria
al nucleo tramite un grimaldello tensore, uno dei pistoncini passivi andrà a toccare per
primo lo statore, bloccando il movimento del rotore. Questo fatto è essenziale per capire
una tecnica basilare della manipolazione! teniamolo bene a mente, perché ne parleremo
ancora.
Oltre al disallineamento dei canali dei pistoncini lungo l’asse dello statore si deve
considerare anche la tolleranza meccanica sulla verticalità dei canali medesimi, che è
causa di difetti di parallelismo. Ovviamente queste tolleranze possono sommarsi tra loro o
annullarsi a vicenda in modo imprevedibile. E’ per questa ragione che due serrature, in
apparenza identiche, possono reagire in modo differente alla manipolazione; una può
essere aperta più facilmente, mentre un’altra può farci penare a lungo. Solo l’allenamento
costante e paziente permette di raggiungere quella sensibilità manuale specifica che ci
consentirà di aprire un gran numero di serrature in tempi contenuti.
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Iniziamo quindi il nostro primo allenamento: abbiamo bisogno di due grimaldelli, che
lavoreranno in coppia (fig.5.3): con il primo, chiamato ”tensore”, applicheremo una forza
rotatoria e contemporaneamente, con il secondo, chiamato “palpatore” spingeremo sui
pistoncini attivi tentando di allinearli con la “linea di separazione” per ottenere lo sblocco
del rotore.
Fig.5.3
Per prima cosa osserviamo ancora il comportamento dei pistoncini, aiutandoci con la
foto di un cilindro sezionato e con il corrispondente disegno schematico (fig.5.4).
I pistoncini passivi, spinti dalle molle, scendono nel loro canale abbassando i pistoncini
attivi e frapponendosi fra rotore e statore. In tal modo il cilindro è bloccato e la forza
applicata con il tensore fa girare il rotore di appena un “nientesimo” corrispondente,
guarda caso, alla tolleranza meccanica del cilindro. Il diametro dei pistoncini, infatti, è
leggermente inferiore al diametro dei canali che li ospitano (ricordate? la tolleranza
meccanica è inevitabile e favorisce, involontariamente, la manipolazione delle serrature).
Adesso, spingendo con il grimaldello palpaltore sui pistoncini attivi e sollevandoli uno
alla volta insieme ai passivi, potremo apprezzare l’elasticità delle molle che li respingono
verso il basso.
Tutti meno uno; il pistoncino passivo che sta toccando lo statore per primo (che
supponiamo essere il n°2). Questo infatti farà attrito su due punti: sullo spigolo del rotore e
sullo spigolo dello statore (fig.5.5 e particolare ingrandito in fig. 5.6).
Il suo sollevamento trasmetterà al grimaldello la sensazione di sforzo necessario a
muoverlo, nettamente differente dalla sensazione di “elasticità” trasmessa dagli altri
pistoncini, liberi di muoversi perché non toccano né il nucleo né il corpo del cilindro.
Adesso solleviamo ancora di pochissimo questo pistoncino. Allentando poi la forza, ci
renderemo conto dell’assenza della spinta di ritorno della molla. Il pistoncino che tocca
tenderà a rimanere bloccato a seguito della spinta rotatoria che stiamo applicando con il
tensore. Solo il pistoncino passivo ricadrà liberamente nel suo canale.
Fig.5.4
Aumentando ancora leggermente la spinta verso l’alto, troveremo un punto nel quale
sentiremo un “click” che ci segnala l’uscita del pistoncino passivo dal canale del rotore ed
il suo ingresso nello statore. Contemporaneamente il rotore girerà ancora di una frazione
di grado impedendo al pistoncino di ridiscendere. Infatti il bordo del canale dei pistoncini
nel rotore si sarà spostato lievemente ed il pistoncino passivo vi si appoggerà sopra (fig.
5.7 dove supponiamo essere il n° 2 il pistoncino già posizionato e il n°3 il pistoncino che
tocca lo statore).
La fig. 5.8 rappresenta graficamente questo momento, mentre la successiva fig.5.9
ripropone la stessa immagine ingrandita in modo da evidenziare il particolare.
Fig.5.5
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Fig.5.10
Adesso, se con il palpatore solleviamo altri pistoncini attivi, gradualmente e uno alla
volta, mantenendo inalterata la forza rotatoria applicata con il tensore, troveremo un punto
nel quale il rotore girerà ancora di un “nientesimo” e, contemporaneamente, sentiremo un
nuovo “click”.
Cosa succede? Un altro dei pistoncini passivi si è allineato con la linea di separazione,
uscendo dal rotore, mentre il precedente pistoncino è rimasto sollevato e allineato, anche
dopo aver tolto il palpatore. (fig. 5.10 dove supponiamo essere il n°3 il pistoncino rimasto
sollevato e allineato ed il n° 4 quello che si sta allineando).
Ripetendo ancora i passi precedenti, troveremo altri pistoncini che vanno allineandosi,
iniziando dal pistoncino che tocca per primo lo statore e a seguire gli altri, nell’esatto
ordine con cui entrano in contatto.
Ovviamente, poiché ciascuna serratura, anche se della stessa marca e modello, ha
tolleranze meccaniche differenti, l’ordine di allineamento dei canali dei pistoncini sarà
diverso sia sul piano longitudinale che per quanto riguarda la verticalità rispetto al corpo
del cilindro. Pertanto anche l’ordine con il quale i pistoncini si allineeranno, sarà diverso
per ciascun cilindro che manipoleremo.
Inoltre, aumentando la forza di rotazione applicata con il grimaldello tensore, aumenta
la forza necessaria a muovere i pistoncini la cui resistenza sale enormemente e
bruscamente, nel momento in cui entrano in contatto con lo statore.
Per concludere questo capitolo, vi comunico ufficialmente che la tecnica di
manipolazione descritta finora va sotto il nome di “pin-to-pin”, letteralmente: un pistoncino
alla volta. Elementare, Watson!
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In questi primi esperimenti potremo notare un particolare molto importante che è poi la
ragione prima della redazione di questo libro: i grimaldelli per le serrature a pistoncini,
dovendo essere molto sottili, per introdursi facilmente nelle strette imboccature delle chiavi
e nello stesso tempo dovendo essere robusti ed elastici per non deformarsi al minimo
sforzo, devono essere costruiti in ottimo acciaio armonico.
I pistoncini delle serrature finora descritte, così come i loro rotori/statori sono invece
realizzati in ottone, una lega di rame e zinco, scelta per la sua buona resistenza alla
corrosione, per la sua ottima lavorabilità al tornio e alla fresatrice, ma soprattutto per il
basso coefficiente di attrito che consente la scorrevolezza dei meccanismi della serratura
anche in assenza di lubrificazione.
Bene: il contatto ripetuto fra l’acciaio del grimaldello e il tenero metallo dei pistoncini e
del corpo del cilindro, produce quei sottili graffi, quelle tracce, che possono rivelare
l’azione aggressiva di questi strumenti di prevaricazione.
È importante ricordare che queste indagini sono lo scopo finale della redazione di questo
libro e verranno dettagliatamente descritte nell’apposito capitolo.
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Osservando una normale chiave per cilindri a pistoncini, noteremo come il profilo sia
caratterizzato da una serie di denti e di gole (vedi fig.5.15, disegno in alto). Sono le gole, o
meglio, la profondità delle stesse, a determinare la codifica e, quindi, l’unicità della chiave.
I pistoncini attivi devono avere la giusta lunghezza per posizionarsi nelle gole e
allinearsi alla linea di separazione, permettendo così alla serratura di aprirsi.
La tecnica di manipolazione “bumping” prevede la preparazione di una chiave
mediante limatura delle gole fino al punto più basso in cui i pistoncini possono trovarsi. Dal
punto di vista della meccanica serraturiera, stiamo realizzando una “chiave 9*”. Infatti, le
profondità con le quali si può codificare una chiave di questo tipo vanno da uno a nove e le
combinazioni teoricamente possibili sono 95 = 59049. Nello specifico, trattandosi di una
serratura a cinque pistoncini, si definisce “chiave 99999”.
Qualsiasi chiave va bene, a patto che il profilo della lama sia uguale al profilo della
bocca del cilindro dove andrà inserita, tuttavia è anche possibile procurarsi (facilmente)
queste speciali chiavi in internet, già pronte all’uso e in kit adatti alle serrature più diffuse.
Come si può vedere nella fig.5.15 una chiave vergine (disegno al centro), è stata
limata fino a trasformarla in una chiave “bumping” (disegno in basso). Si noti il piccolo
dettaglio, indicato come “modifica della battuta”. È di grande aiuto alla riuscita di questa
tecnica, limare una piccola porzione di battuta.
Il disegno della chiave originale (disegno in alto) è stato aggiunto per confrontare le
gole che cambiano solo per quel che riguarda le profondità ma non le posizioni.
La chiave “bumping” si inserisce nel cilindro, non fino in fondo, ma lasciandola
lievemente indietro di quel tanto che corrisponde alla porzione di battuta limata. In questo
modo le gole della chiave toccheranno solo con un fianco i pistoncini attivi che saranno
scesi alla profondità massima possibile (fig. 5.16).
Si applica quindi una leggera torsione (questa tecnica non prevede l’uso del
grimaldello tensore. La chiave stessa ne fa le veci) e la si colpisce con il manico di un
giravite o con un piccolo martello.
La chiave, avanzando lievemente, colpirà la base dei pistoncini attivi con i fianchi delle
gole. Esattamente con i fianchi opposti a quelli che toccavano in precedenza. È un
discorso un po’ complicato e certamente non intuitivo, ma osservando la fig. fig. 5.17, (che
è un ingrandimento della precedente fig. 5.16) tutto sarà più chiaro.
Per il principio fisico della conservazione dell’energia, che abbiamo già visto nel
capitolo 5.3, l’urto dei fianchi delle gole con le basi dei pistoncini attivi (che rimarranno
quasi immobili), trasferirà l’energia a quelli passivi che salteranno verso l’alto, vincendo
per un attimo il contrasto delle molle e allineandosi oltre la linea di separazione. In questo
brevissimo istante il rotore sarà libero di girare e la serratura di aprirsi.
Fig.5.17
Fig.5.18
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Il “cilindro a profilo europeo”, deve il proprio nome alla caratteristica sagoma della sua
sezione. Poiché tutti i cilindri europei hanno lo stesso profilo esterno e sono di dimensioni
standardizzate, si può facilmente sostituire un vecchio cilindro a pistoncini, come quelli
visti finora, con uno di nuova concezione. Ad esempio uno a “chiave punzonata”.
Parlare di cilindro a profilo europeo per identificare le moderne serrature a chiave
piatta è tecnicamente inesatto e non indica necessariamente una serratura ad alta
sicurezza ma si riferisce solo alla sua sagoma (fig.7.1), anche se è entrato nel linguaggio
comune per indicare una chiave codificata mediante punzonature (o crateri) sulle due
facce laterali dell’affusto (per questo è anche chiamata “chiave piatta”), anziché ricavando
dei denti sul lato stretto dell’affusto stesso (fig.7.2).
fig.7.1 fig.7.2
Un’altra caratteristica delle chiavi punzonate, che ne aumenta considerevolmente la
sicurezza antimanipolazione, è il numero di pistoncini (e quindi di chiavi diverse
realizzabili) che è possibile inserire nel cilindro. Infatti è evidente che il maggiore spazio
offerto dal lato piatto dell’affusto della chiave, consente la realizzazione di un maggior
numero di crateri, anche posti in doppia fila (fig.7.3), al contrario della chiave a pistoncini,
nella quale lo spazio a disposizione, sul lato stretto dell’affusto, è limitato dalle sue
dimensioni fisiche. Se a tutto questo aggiungiamo che, nel cilindro per chiavi punzonate, lo
spazio per inserire e muovere un grimaldello è drasticamente ridotto, possiamo renderci
conto delle caratteristiche di sicurezza che ne hanno determinato il successo.
La difesa antieffrazione è costituita, inoltre, dal nottolino antisfilamento (evidenziato in
fig.7.4) che, sporgendo fuori dalla sagoma del corpo quando la chiave non è inserita e
facendo battuta nel corpo della serratura, contrasta i tentativi di sfilare il cilindro colpendolo
violentemente con un martello. Vedremo dettagliatamente di cosa si tratta nel capitolo
dedicato alle tecniche di apertura “brute force”. Girando la chiave il rotore muove il
nottolino cui è collegato mettendo in movimento i meccanismi interni della serratura che
trascinano i catenacci e/o lo scrocco.
Nei cilindri più economici e non difesi dal nottolino antisfilamento l’unico elemento che
li trattiene al loro posto è una semplice vite da 6ma.
I cilindri a profilo europeo di migliore qualità, incorporano anche delle protezioni contro
la trapanazione del nucleo o dello statore, costituiti da barrette o da sferette di acciaio al
cobalto. Anche la frattura del cilindro è contrastata da appositi rinforzi in acciaio (fig.7.5) o
tramite linee a frattura predeterminata che lasciano parte del meccanismo all’interno della
serratura in modo che non possa essere afferrata e sfilata.
Anche questi particolari accessori antieffrazione, saranno oggetto di approfondita
descrizione nel capitolo “Tecniche di apertura “brute force”
Nota: I pistoncini inseriti nel corpo dei cilindri a chiave dentellata sono, in genere,
da un minimo di quattro a un massimo di sette. Nei cilindri per chiave punzonata
possono essere anche più numerosi. Ad esempio, nella chiave di fig.7.3, essendo
i crateri posti in doppia fila, possiamo contarne dieci. Sarà interessante sapere
che i pistoncini attivi hanno una lunghezza inversamente proporzionale a quella
dei denti della chiave o della profondità dei crateri; lunghi in corrispondenza di
una gola o di un cratere profondi e viceversa.
Tuttavia, poiché a chiave inserita devono allinearsi tutti alla linea di separazione fra rotore e
statore, all’interno di cilindri di dimensioni standard, la somma fra la lunghezza di ogni pistoncino
attivo e la profondità della relativa gola (o cratere) sulla chiave, deve essere costante, come
mostrato nella tabella a fianco:
I pistoncini passivi, invece, hanno sempre
tutti la stessa lunghezza e non c’è ragione
di farli di dimensioni diverse ad eccezione
di alcuni modelli di cilindri anti-bumping
(vedi cap.5.6) nei quali la lunghezza
differente di uno o due pistoncini, rispetto
agli altri, contrasta efficacemente questa
pericolosa tecnica di effrazione variando i
tempi di allineamento, anche se solo di
frazioni di secondo.
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Questa anteprima termina con l’indice degli argomenti, al fine di dare un’idea la più
precisa possibile circa i contenuti del libro. Ovviamente, essendo ancora in fase di
stesura, l’indice potrebbe subire aggiunte e/o modifiche dettate anche da esigenze
di impaginazione.
Lunghezza pistoncini Profondità gola somma
5,4 mm 4,5 mm 9,9 mm
5,0 mm 4,9 mm 9,9 mm
4,6 mm 5,3 mm 9,9 mm
4,2 mm 5,7 mm 9,9 mm
3,8 mm 6,1 mm 9,9 mm
3,4 mm 6,5 mm 9,9 mm
3,0 mm 6,9 mm 9,9 mm
INDICE Pag.
Nota dell’autore
La serratura sicura non esiste
Profilo biografico dell’autore
1.0 Breve storia della serratura 1
2.0 La madre di tutte le manipolazioni
2.1 La curiosità
2.2 Il pensiero “laterale” ovvero; pensare fuori dagli schemi
2.3 Le sfide del lockpicking e quelle dell’hacking
(LockHacking?)
3.0 Il cilindro a pistoncini
4.0 Realizzazione di un cilindro da esercizio (mezzo cilindro)
4.1 Realizzazione di un cilindro da esercizio (doppio cilindro)
4.2 La fresatura del corpo del cilindro
4.3 Modificare una pinzetta chirurgica
5.0 Le prime basi della manipolazione
5.1 Il pin-to-pin
5.2 Il raking
5.3 La pistola-grimaldello
5.4 Il grimaldello a vibrazione
5.5 Il Key bumping
5.6 I cilindri anti-bumping
5.7 I pistoncini antimanipolazione
6.0 Il cilindro a lamelle
7.0 Il cilindro a profilo europeo
7.1 La duplicazione controllata
8.0 Il cilindro Medeco
9.0 Il cilindro a pompa
10.0 Il cilindro a spillo
11.0 Il cilindro magnetico
12.0 La serratura “skeleton” per porte interne
13.0 La serratura a mappa e a “doppia mappa”
13.1 Una “doppia mappa” da esercizio
13.2 Il grimaldello a “gancio di Hobbs”
13.3 La chiave componibile
13.4 La chiave bulgara
13.5 La chiave nella toppa
13.6 Il salto di mandata
13.7 Costanza fissa o costanza variabile ?
14.0 Le serrature per casseforti ad uso “domestico”
La serratura “Chubb”
La copia fraudolenta della chiave o impressioning
La copia diretta tramite impronta
La copia tramite manipolazione
La copia mediante fotografia
La “pongata”
Contromisure alla manipolazione
Tecniche di apertura “brute force”
La trapanazione del cilindro a pistoncini
L’estrazione del nucleo
La frattura del cilindro
La frattura con il tubo “Innocenti”
La trapanazione del “defender”
La trapanazione del “mentonnet” nella “doppia mappa”
Realizzazione di una dima di foratura
Alcune contromisure alle tecniche “brute force”
Classi di omologazione delle serrature
La norma europea UNI EN
Regole particolari ICIM (Reg. 70R002)
Le normative ANIA
Uno sguardo al futuro
Le serrature a combinazione digitale
Le serrature a riconoscimento biometrico
Le serrature telecomandate
La ricerca delle tracce di manipolazione dal punto di vista
forense
A cosa serve il Perito o il Consulente tecnico
Alcuni attrezzi del mestiere
Bibliografia