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Le Terre lombarde
nei secoli di Roma
Immaginiamo di percorrere la nostre terre guardando con gli occhi degli
uomini antichi; conosceremo un territorio di insediamenti di origine
celtica, a poco a poco popolati da coloni romani, portatori delle tradizioni
e della cultura dell’urbe.
Non scopriremo un’identità “brianzola” quale si è costituita nel corso dei
secoli, fino a imprimersi nel cuore della nostro gente.
Esiste certo la terra, ma non esiste ancora una Brianza esattamente
definita; quando fu calcata dal piede romano, come tutte le terre di
quello che diverrà uno dei più vasti imperi del mondo antico, sarà parte
integrante di una complessa e articolata compagine cui immancabilmente
offrirà peculiari contributi. La Storia tuttavia porta in questi secoli un
unico grande nome; quello di Roma.
Dalla prima sconfitta dei Galli alla caduta dell'Impero romano
trascorsero più di sei secoli. Secoli nei quali nacque, si espanse e si
consumò l'avventura straordinaria di un popolo che dalle campagne del
Lazio a poco a poco si fece padrone della penisola italiana, poi del
Mediterraneo e quindi del mondo allora conosciuto. Al culmine della gloria
di Roma, Orazio poteva ben scrivere che "tu non vedrai nessuna cosa al
mondo maggior di Roma".
Anche la Brianza dunque come tutti i territori lombardi come tutto il
mondo antico, fu partecipe delle vicende politiche e sociali dell’età
romana, dalla gloria al lento declino, alla tragedia della caduta.
E nelle nostre terre, come dovunque, le popolazioni si sottomisero alla
lingua e ai costumi, ma soprattutto all'ordine e alla legge della potenza
egemone. Un ordine imposto all'inizio con le armi, perfezionato quindi con
il trasferimento di cittadini romani, militari e funzionari che creavano il
primo nucleo statale nelle nuove colonie, stabilizzato infine con la lingua,
l'obbedienza alle leggi e l'associazione mediante federazione e
cittadinanza.
Questo ovunque, dal sud al nord, da est a ovest. A poco a poco i popoli
soggetti diventavano cives, o cittadini romani, dopo essere stati federati
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e soci. A poco a poco perdevano la memoria di quando erano Osci,
Etruschi, Galli, Greci, o Iberici e tutti si sentivano parte di un comune
universo culturale e giuridico.
Quando la costruzione dell’Impero fu conclusa, iniziò l'inevitabile declino.
Troppo vasti i confini, perché un solo Stato potesse controllarli e
governarli, troppo acute le rivalità, troppo grandi gli interessi privati.
I Transpadani vogliono la cittadinanza di Roma L’acquisizione della cittadinanza romana fu per secoli l’obiettivo di molti
popoli assoggettatati o confederati, in particolare di quelli della
Traspadania, che, come sappiamo, non avevano ricevuto un trattamento
particolarmente favorevole da parte di Roma.
Gli autoctoni si sentivano discriminati, anche se dalle loro terre
provenivano ricchezze agricole che andavano a nutrire molti cittadini
romani, e anche se alcuni villaggi erano diventati città di residenza per
funzionari civili e militari, che per di più si erano accaparrati le terre
migliori.
Gli abitanti della Transpadana, peraltro, non stavano in una situazione
diversa da quella degli altri popoli italici assoggettati e legati dal
cosiddetto "patto sociale" che attribuiva loro la qualifica di "soci"
appunto, e li
obbligava a contri-
buti per le guerre e
il mantenimento
dell'esercito, sen-
za dar loro ade-
guati diritti ed
autonomia.
I comandanti
militari ed i
funzionari pubblici infatti erano sempre e solo romani.
Nel corso del tempo il malcontento andò crescendo sino a sfociare in una
vera guerra, la guerra sociale; gli alleati si ribellarono e combatterono
per tre anni, dal 91 all'89 a.C..
In quell'anno venne emanata la Lex Pompeia che concedeva ai
Transpadani lo Ius Latii cioè il diritto latino. Con questa legge, gli
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insediamenti maggiori della Transpadana diventavano così coloniae
latinae. Così riferisce lo storico Ascanio Pediano: "Gneo Pompeo
Strobone, padre di Gneo Pompeo Magno, dedusse colonie nella regione
transpadana, ma non le formò con nuovi coloni; conferì la cittadinanza di
diritto latino ai vecchi abitanti che vi rimanevano".
I Transpadani tuttavia non si accontentarono di questo compromesso e
continuarono a chiedere che venisse concessa loro la piena cittadinanza
romana. Le rivendicazioni transpadane trovarono ascolto a Roma presso
gli esponenti della fazione democratica, che
stavano riorganizzando le loro file dopo la
sconfitta subita da Mario a opera di Silla, e la
breve dittatura di quest'ultimo.
Così, nel 78 a.C. Lepido chiedeva nel suo
programma di riforme la cittadinanza romana
per i Transpadani e dieci anni dopo un
personaggio di ben altro rilevanza si sarebbe
interessato a queste popolazioni.
Parliamo di Gaio Giulio Cesare che, come
scrive Svetonio, nel 68 a.C, "partito innanzi
tempo, si recò nelle colonie latine che si agitavano per ottenere la
cittadinanza e le avrebbe incitate a osare qualche cosa se i consoli,
appunto per ciò, non avessero (ivi) trattenuto le legioni che erano state
arruolate per essere mandate in Cilicia".
Nel 65 a.C. un amico di Cesare, Licinio Crasso (che con Cesare e Pompeo
avrebbe formato il primo triunvirato, nel 60 a,C.), in quell'anno censore,
tentò di iscrivere i Transpadani nelle liste di cittadinanza romana, ma la
sua azione venne bloccata dal veto del collega,.
Nel 63 a.C., infine, Cesare accusò di abuso davanti al magistrato Curione il
console Pisone per aver inflitto un suppliciun iniustum a un transpadano.
Cesare favorisce i Transpadani Nel pieno della sua marcia verso il potere, Giulio Cesare sembrò aver
compreso che l'amicizia e la collaborazione dei transpadani erano
assolutamente necessarie e mostrò nei fatti quanto gli stessero a cuore.
Nel 59 a.C., anno del suo primo consolato, venne approvata la Lex Vatinia
che promuoveva la creazione dell’insediamento coloniale di Novum Comum
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(Como), sul sito di un più antico villaggio gallico nel quale Pompeo
Strabone aveva fatto insediare popolazioni retiche e un certo C.
Scipione aveva trasferito 3.000 coloni.
Cesare vi inviò 5.000 Coloni, fra i quali 500 Greci di nobili origini che
avevano ricevuto la cittadinanza ed erano stati iscritti fra i coloni. Lo
stesso Cesare, nel De bello gallico, riferisce in terza persona che
“l'arrivo di Cesare fu accolto da tutti i municipi con incredibili
manifestazioni di onore e di affetto".
Una decina di anni dopo, divenuto dittatore dopo la sconfitta di Pompeo,
egli concesse ai Transpadani la cittadinanza optimo iure, ovvero a pieno
diritto. La risoluzione venne sancita nella Lex Roscia del 49 a.C., che
attribuì a Milano lo status di municipium; nel 47 Bruto, figlio adottivo di
Cesare e suo futuro assassino, diventò propretore della regione
transpadana. Nel 42 a.C. infine, tutti i popoli italici entrarono
nell'organismo statale romano con la Lex Rubria; per quanto riguarda in
particolare la Transpadana Como da colonia diventò municipium.
La cittadinanza romana segnò senza
dubbio una conquista importante e di
grandi conseguenze per la storia italica.
Così con esaltata retorica, scrive il
Marimonti:"... chi liberolla dai proconsoli,
dai pretori, dai presidi, chi le concesse la
perfetta cittadinanza di Roma chi di
tutta l’Italia fece un corpo solo di
nazione, un sol popolo, una sola città, fu
Giulio Cesare il primo anno della sua
dittatura. Fu allora che tutti gli abitanti
della penisola dall'estremo Siculo al
montanaro dell’Alpi, dimentichi del
fraterno sangue versato, formarono una
sola famiglia, e tutti con gioia esclamarono: “Io son Romano!”.
Tuttavia, dopo la morte di Cesare - pugnalato com'è noto alle idi di
marzo del 44 a.C., in seguito a una congiura - sembrò stranamente che la
Transpadana parteggiasse per i cesaricidi soprattutto per Bruto.
Cicerone, del partito senatoriale e avversario di Cesare, chiama infatti la
Galia Transpadana "fiore dell’Italia sostegno del popolo romano" e
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Svetonio riferisce che a Milano restava una statua di Bruto anche dopo
l'uccisione di Cesare.
Dopo Cesare, e dopo la guerra fra Antonio e Ottaviano, che vide
quest'ultimo vincitore e primo imperatore con l'appellativo di Augusto, si
conobbe una lunga pace, la Pax Augustii. Negli anni di Augusto e degli
imperatori della sua dinastia, la Giulio-Claudia, la legge di Roma si estese
a tutti i popoli conquistati.
Anche la Transpadana, iscritta nella IX Regione, godette di pace e
prosperità; Milano e Como iniziarono allora a diventare centri rilevanti e
tutta la regione venne dotata di una fitta rete di comunicazioni poiché
apparve chiaro che lì, fra le due città. si trovava uno dei nodi principali
del traffico e del commercio verso l'Europa.
Le vie della Brianza In base alle testimonianze di Plinio ed epigrafiche, il territorio brianteo
ero compreso fra le colonie, poi municipi, di Como e Milano, secondo il
confine rettilineo tracciato dal Seveso e dal Lambro, e che dal Lambro
puntava poi verso nord dirigendosi alla volta dell’Adda.
In entrambe le zone i centri abitati erano numerosi, con elevata
popolazione e intense colture.
Quando Milano divenne città importante il territorio fu ricoperto da un
fitto reticolato di strade che ponevano in comunicazione i centri rurali a
nord della città fra loro e con le vie di grande traffico che si snodavano
ai suoi margini.
Le maggiori di tali vie erano la Mediolanu-Comun,
la Mediolanum-Bergomun e la via che nella parte
settentrionale della Brianza collegava Como e
Lecco con le città della Venetia.
L'arteria Mediolanun-Comun divenne molto
importante per i traffici che portavano a Chiavenna
e di qui, tramite lo Spluga, a Coira e quindi ai
mercati renani e danubiani. Era uno dei passaggi
transalpini obbligati, ma attualmente è quasi
impossibile ricostruirne esattamente il tracciato e
la lunghezza, anche se gli studiosi concordano nel
ritenere che passasse per Cantù e Galliano.
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Simile a quello attuale doveva essere invece il tracciato della
Mediolanun-Bergomum passava a sud del territorio brianteo e da esso si
dipartiva una strada che penetrava in Brianza attraverso Cologno
Monzese e Monza; tramite questa strada i centri briantei comunicavano
con Milano e potevano immettersi lungo la linea di traffico per la Venetia.
Sulla riva destra del Lambro si estendeva un'altra strada di collegamento
fra Milano e Monza dove il ponte de Arena collegava le rive del fiume.
Da Monza la strada confluiva da una parte a Olginate, immettendosi sulla
via che metteva in comunicazione i centri veneti con Lecco e Como;
dall'altra sfociava nell'alta Brianza più o meno presso Erba
Alle due arterie principali facevano capo senza dubbio strade secondarie
che collegavano i villaggi, “vici”, di campagna, lungo le quali si
raccoglievano e si convogliavano i prodotti agricoli e si svolgevano intensi
traffici locali.
Civitas, Pagus, Vicus Le campagne briantee, come tutta la terra lombarda, erano suddivise
amministrativamente per civitas, pagus e vicus, nomi latini che
definivano tuttavia strutture fondamentalmente celtiche.
La civitas infatti indicava non tanto la città quanto l'appartenenza
tribale. Il nome del clan maggiore; il pagus era il distretto territoriale
della civitas e il vicus una sottodivisione del pagus.
Questo dimostra come nel contado
sopravvivesse l'antica struttura per clan
e per fondi comunitari tipica della
cultura celtica, una cultura che non
conosceva il fenomeno urbano e si
fondava sui legami di sangue.
Milano e i centri briantei appartenevano
alla civitas degli lnsubri; il foedus equum
stipulato nel 191 a.C. permise la
sopravvivenza di tali strutture anche in
età imperiale. Una sopravvivenza documentata dalla persistenza di antichi
culti. come quello delle matronae, delle vicanae e delle adganae, divinità
femminili della terra, dei boschi e delle acque tipiche del druidismo, e
dalla scarsa presenza del latifondo, caratteristico invece della cultura
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romana, a favore della proprietà comunitaria attribuita ai “vicani” gli
abitanti dei vici.
Galliano: Centro di Culto ininterrotto Fra i centri rurali sicuramente strutturati per pagi e vici citiamo in primo
luogo Galliano dove sono venuti alla luce reperti dedicati ai Braecores
Gallianates, e Monza, dove è stata rinvenuta una dedica ai Juvenes
Modiciates.
Numerose sono le località che hanno fornito prove archeologiche degli
antichi insediamenti da Desio a Meda da Lentate a Cantù, da Agrate a
Concorezzo, Cernusco, Vimercate, Olginate, Agliate, Erba, Montorfano.
Ma il centro più importante dal punto di vista delle antichità romane e
preromane è senz'altro Galliano. Qui nel sito dell'attuale basilica di San
Vincenzo, furono ritrovate epigrafi dedicate alle Matronae Braecorium
Gallianatum a Mercurio, alle matronaee alle adganae, a Giove, a Minerva
e a Diana.
Come si vede, accanto a divinità del pantheon romano si veneravano anche
quelle di indubbia origine celtica come le matronaee le adganae, mentre
Mercurio è trasposizione latina del dio celtico Theutates.
Poiché sullo stesso suolo si sono succeduti nel tempo edifici votivi celtici,
romani e cristiani. fino alla
basilica attuale, capolavoro di
architettura e di pittura
romana, vien da pensare che
Galliano fosse un centro di
culto di grande rilevanza, cui
dovevano affluire fedeli
provenienti anche da lontano,
conferendo alla comunità
gallianate, abitata da quei
Braecores dei quali non
abbiamo altre attestazioni, una posizione assolutamente preminente nel
territorio.
Gli stessi Romani resero omaggio a Galiano, riconoscendone il ruolo di
santuario; qui infatti un vir clarissimus Flavius Valens sciolse un voto a
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Giove Massimo Conservatore ex prae missa fulguris potestate, vale a
dire sancito dal potere della folgore.
Il vicus Modiciatum Monza, che vanta origini risalenti all'epoca dei primi insediamenti gallici
al tempo della conquista romana e della piena fioritura imperiale conobbe
una fortuna sempre crescente.
Scrive lo storico Giuseppe Marimonti: “Da due lapidi che veggonsi
tuttavia sul muro della facciata della chiesa di S. Maurizio possiamo con
molta verosomiglianza congetturare essere stata Monza destinata da
Cesare Augusto per onorevol riposo di quei cittadini romani, che in
Magonza città della Germania militarono al servizio della loro repubblica.
forse fu stabilita a Monza questa colonia militare di veterani perché
servisse come da presidio alla vicina Milano...".
Secondo lo storico monzese, quindi, il nome di Monza verrebbe da
Magontia, Magonza, ma si tratta di un'ipotesi priva di ogni attendibilità
filologica.
In realtà, il nome latino di Monza, Modicia, non si trova
nelle fonti romane di età repubblicana e imperiale, ma
soltanto nell'alto Medioevo, in Paolo Diacono e in
Ennodio. Troviamo invece il termine etnico Modiciatum in
una dedica degli Juvenes Modiciates a Ercole.
Monza in età romana non era municipio autonomo e
dipendeva da Milano, tuttavia doveva essere un centro
importante, posto com'era allo snodo delle vie che da
Milano portavano verso l'alta Brianza, e collegato con
l'arteria Bergamo-Como.
Ricostruire la Monza romana è quasi impossibile; quel che resta sono
soprattutto iscrizioni, lapidi sepolcrali e dediche, per la maggior parte
concentrate nella zona del Duomo e della contrada Arena, che nel
Medioevo designava un'intera zona del Lambro. Qui confluivano le due
strade che si congiungevano al ponte de Arena
Quanto alle epigrafi, si tratta per lo più di iscrizioni funerarie o dediche
alle divinità, offerte soprattutto da militari, piccoli proprietari e
commercianti. In due iscrizioni del I secolo d.C. vengono menzionati C.
Sertorio Tertullo, veterano della legione XVI, curator civium
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Romanorum Mogontiaci e L. Sertorio, pure veterano. Quanto alle
iscrizioni dedicate da piccoli proprietari commercianti notiamo che si
tratta quasi sempre di nomi celtici romanizzati, quasi mai completi dei tre
nomi secondo l'uso latino, più spesso composti di due o addirittura di un
solo nome.
L'iscrizione monzese più interessante è quella che presenta l'etimo del
vicus Herculi Modiciates Joveni. Si tratta di una dedica da parte di un
"collegio" giovanile. ovvero di un tipo di organizzazione paramilitare a
scopo di leva assai diffusa in età severiana, cui affluivano rampolli della
piccola aristocrazia locale.
Sembra che tra le funzioni del "collegio" di
Monza, oltre a quella addestrativa, ci fosse
anche quella di culto e cura dei morti, e
questo collegherebbe l'istituzione a una
preesistente struttura sociale celtica. Inoltre
Ercole, cui l'epigrafe è dedicata. sarebbe la
romanizzazione di un dio celtico.
Per quanto riguarda il ruolo politico e
commerciale di Monza in età romana, la sua
importanza iniziò a crescere alla fine del III
secolo d.C., con l'ascesa di Milano. Nella zona
urbana e limitrofa cominciarono ad affluire
funzionari e militari, sorsero “villae” e si
crearono complessi di abitazione residenziale.
Questo tuttavia non mutò essenzialmente il carattere agricolo
comunitario delle campagne intorno; fondi di proprietà imperiale
compaiono nelle fonti molto più tardi.
Soltanto con il dominio longobardo Monza da virus agricolo, sarebbe
diventata centro urbano e commerciale di grande rilevanza.
Padania fertile Già Plinio e Strabone celebrarono le ricchezze agricole del territorio
lombardo, abbondante di miglio, di frutteti, di boschi di querce che
davano ghiande per allevare maiali in quantità. Varrone celebra il vino
come maggior prodotto locale e Plinio ricorda che le rape sono “dopo il
vino e il frumento il terzo frutto della Transpadana". Come si vede, non si
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fa distinzione fra Padania in generale e territorio brianteo, ma
probabilmente i boschi di quercia si trovavano lungo il Lambro, e anche gli
antichi Briantei dovevano coltivare ortaggi e granaglie. Non è da
escludere che anche in Brianza ci fossero estensioni di terreno a pascolo;
sembra anzi che l'unica attività manifatturiera diffusa allora fosse la
lavorazione della lana, che presuppone ovviamente l'allevamento di
pecore.
Plinio fu uno dei grandi proprietari terrieri della zona e a lui dobbiamo la
testimonianza di quanto allora produceva la terra briantea. Così infatti
scrive all'amico Calvisio: “Le terre sono fertili, grasse, acquose: sono
costituite da campi vigne, selve, che offrono prodotti e redditi modici ma
sicuri”.
Nella stessa lettera lo scrittore latino si
lamenta della cattiva conduzione del fondo da
parte dei fittavoli e suggerisce l'idea di
pagarli non in denaro ma con prodotti; così,
invece di lasciar marcire i frutti sul ramo, si
sarebbero dati da fare per raccoglierli.
Da Plinio deduciamo che i terreni erano dati
da coltivare a fittavoli che operavano una
sorta di divisione del lavoro, con un miglior sfruttamento delle capacità
produttive del suolo. Si consolidava così un ceto contadino attivo e capace
che avrebbe garantito per secoli la fertilità della terra lombarda.
Alla buona produzione agricola lombarda si accompagnava una efficace
rete commerciale, favorita dalle vie di comunicazione; la Padania divenne
così una tappa obbligata per il commercio da e per l'Europa centrale.
Anche la Brianza, tramite l’arteria Milano-Como, partecipò a questo
sviluppo, almeno fino all'epoca della decadenza.
Virginio Rufo
Un Brianzolo che non volle farsi imperatore Dopo la tragica morte di Nerone (68 d.C) si aprì in tutto l'impero un
periodo di disordini e instabilità. Capi militari si disputavano il potere, e
intanto le colonie si ribellavano e l'Oriente era in fiamme.
Nel 69 d.C., l'impero era conteso fra Vitelio Otone e Vespasiano e la
lotta si giocò su vari teatri di guerra, compresa la Transpadana. Qui,
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infatti, a Bedriacum, (Betriacum o Bedriacum è un antico vicus romano nei
pressi del comune di Calvatone CR) Vitellio scese in campo contro Otone,
sconfiggendolo. Alla vittoria seguì il saccheggio del territorio, e certo non
sarebbe stato l'ultimo...
In questo quadro difficile e confuso emerse la figura di un nobile soldato
delle nostre terre, Virginio Rufo. Originario di Valle Guidino, proveniente
da una famiglia del ceto equestre, aveva
acquisito grande fama come vincitore dei Galli
guidati dal capo ribelle Vindice. Al tempo della
contesa fra Vitellio, Otone e Vespasiano, i
soldati della legione germanica lo acclamarono
imperatore, ma Rufo rifiutò la porpora per ben
due volte, dicendo ai suoi soldati che si
sarebbe sottomesso soltanto alla volontà del
Senato e del popolo.
Fu però poi onorato con tre consolati l'ultimo
dei quali insieme al futuro imperatore Nerva,
che lo associò a sé nel 97 d.C., quando era
ormai vecchissimo. Fu il riconoscimento della
fedeltà di Rufo allo Stato e al Senato, del quale Nerva era il maggior
rappresentante politico. Dieci anni dopo la sua morte, Plinio deplorava
l'oblio nel quale ero lasciato il suo sepolcro: "Giacevano senza uno scritto,
senza un nome le reliquie e la cenere abbandonata di un uomo la cui
memoria era diffusa con gloria in tutto il mondo". Lo stesso Rufo aveva
dettato l'epigrafe per la propria tomba: "Qui giace Rufo il quale,
sconfitto Vindice, rivendicò l'impero non per sé ma per la patria".
La lotta per il potere venne vinta da Tito Flavio Vespasiano, imperatore
dal 70 al 79 d.C.
Onesto, capace e deciso, Vespasiano avviò il riassetto politico-
amministrativo del l'impero e condusse una politica difensiva ai confini.
Associò al regno il figlio Tito, risolvendo così il problema della
successione.
Dal punto di vista della politica economica, garantì i piccoli proprietari
mediante il protezionismo sui loro prodotti e questo assicurò una lunga
prosperità ai coltivatori lombardi. Sotto il suo regno Milano divenne città
di grande importanza anche culturale.
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La situazione politica, economica e sociale sembrò assestarsi; la pace
regnava all'interno dell'impero, il commercio era florido e tutto l'urbe
romano si riempiva di monumenti insigni, testimonianza della gloria di
Roma.
Inizia il declino In realtà la grandiosa costruzione romana era minata, sia all'interno sia
all'esterno. Ai confini infatti premevano popoli nuovi e ostili, spinti dalla
miseria a cercare di penetrare nelle terre ricche e civili dell'impero,
mentre all'interno cresceva a dismisura la corruzione, e l'avidità dei
grandi proprietari terrieri spogliava le campagne. Per il momento, però,
pochi sembravano presagire il crollo rovinoso che sarebbe avvenuto.
Nel 166 d.C. si fece avanti la minaccia dei Quadi e dei Marcomanni, feroci
tribù germaniche tacitati a fatica e con non pochi compromessi.
E fu proprio la minaccia germanica a rendere Milano e la Padania terra di
confine, avamposto italico contro i popoli transalpini via via più
incombenti. A sottolineare il ruolo strategico di Milano, fra il II e il III
secolo gli imperatori soggiornarono spesso nella città, tanto che sembra
che qui sia nato il secondogenito di Settimio Severo, Geta.
Nel 253 d.C. una pestilenza si abbatteva sull'Italia settentrionale e gli
Alamanni, un'altra bellicosa tribù germanica, si davano a rovinose
scorrerie nella valle padana; nel 270 infine si ripresentavano i
Marcomanni, con altre razzie e devastazioni.
Insomma, alla fine del III secolo l'impero scricchiolava paurosamente e
appariva ormai necessaria una radicale
trasformazione politica, militare e
amministrativa.
Fu questa l'opera di Diocleziano, che nel 292
divise l'impero in due parti, Oriente e
Occidente, sotto il governo di due Augusti
coadiuvati da due Cesari. Era il sistema detto
della Tetrarchia cioè governo dei quattro.
Sappiamo che tale sistemazione non resse a
lungo, anzi, incoraggiò le guerre fra Augusti e
Augusti, fra Cesari e Cesari per impadronirsi del potere assoluto.
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Quando fu instaurata la Tetrarchia Milano, sede dell’Augusto
d'Occidente Massimiano, divenne una delle città più importanti
dell'impero e centro degli avvenimenti politici.
L'alta Brianza, e il territorio circostante, però, continuarono a mantenere
caratteristiche tradizionali. Di fatto, le successive lotte fra i tetrarchi e
la promulgazione dell'Editto di Costantino nel 313 non dovettero
scuotere più di tanto i piccoli proprietari e i mercatores dell'agro
brianteo.
In questi secoli convulsi, fra guerre civili e invasioni barbariche, un nuovo,
grandioso fenomeno stava crescendo nelle terre dell'impero, anche se il
suo significato rivoluzionario sarebbe emerso chiaramente soltanto molto
tempo dopo. Parliamo del diffondersi del Cristianesimo che proprio agli
inizi del IV secolo, nel 313, veniva finalmente riconosciuto come culto
legittimo e legale da Costantino.
Il cristianesimo in Lombardia La nuova religione. inizialmente fede di poveri e di schiavi, a poco a poco
penetrò nelle classi più elevate, dal Mediterraneo sali fin nelle fredde
contrade del Nord, dalla Padania alla Gallia, fondando comunità di fedeli e
una rete di mutua solidarietà che si sarebbe rivelata preziosa quando il
grande impero crollò rovinosamente.
Una storia della Chiesa redatta nell'VIII-IX
secolo attribuisce a san Mona, vescovo di Milano
nel III secolo, la diffusione della nuova religione
nelle campagne del Milanese. Ma si tratta di una
pia leggenda. In realtà, qui perdurò a lungo la
tradizione pagana, a lungo vennero onorati gli dei
latino-celtici, anche quando dopo l'Editto di
Costantino del 313, nella grande Milano il culto di
Cristo aveva sopravanzato le altre religioni.
L'assoluta mancanza di vestigia cristiane anteriori
al V secolo conferma questo ritardo delle zone
rurali nei confronti della fede cristiana. La vera
edificazione della Chiesa lombarda si deve quindi a
una fra le maggiori figure di questo periodo
oscuro, il vescovo di Milano Ambrogio, vissuto nel IV secolo, al tempo di
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Teodosio. l'ultimo grande imperatore, colui che volle riunificare l'impero
diviso da Diocleziano.
Dal 379 al 395 Teodosio cercò in ogni modo di riunire le sparse membra
dei territori imperiali rafforzò l’esercito e si appoggiò alla Chiesa per
tentare di pacificare i popoli d'Oriente e d'Occidente che sempre più
numerosi sfuggivano al controllo romano.
Ma il suo impegno si rivelò tardivo e inefficace. La decomposizione era
andata ormai troppo oltre e tutto sembrò precipitare quando, alla sua
morte, il governo venne diviso fra i suoi due figli, Arcadio e Onorio.
Ad Arcadio andò l'Oriente, con sede a Costantinopoli, a Onorio
l'Occidente, con sede a Milano.
L'ultimo atto e l'inizio della barbarie Era la definitiva separazione dei due mondi un tempo uniti; da quel
momento Costantinopoli sarebbe stata la grande capitale imperiale
d'Oriente, destinata a durare ancoro per un millennio; Roma invece
cadeva nella prostrazione più angosciosa mentre Milano saliva
all'effimera gloria di capitale di un impero occidentale che nei fatti non
c'era più.
Effimera gloria, diciamo, perché ben presto Milano venne abbandonata
per un'altra sede. Nel 402 infatti la città ambrosiana e la Padania intera
subivano il saccheggio dei Goti di Alarico e nel 404 Onorio trasferiva la
sede imperiale a Ravenna, situata in posizione più favorevole dal punto di
vista difensivo.
Intanto la situazione precipitava e l'imbelle Onorio non era in grado di
farvi fronte. Nel 405, nuovamente, i Goti guidati da Radagaiso invadevano
l'Italia settentrionale.
Queste due incursioni vennero respinte dall'ultimo difensore dell'impero,
il generale “barbaro" di origine vandala Flavio Stilicone, magister militum
sotto Teodosio, tutore dei suoi figli Arcadio e Onorio e ora al servizio di
Onorio.
Integerrimo servitore dello stato, venne però accusato di usare una
politica troppo generosa nei confronti dei barbari e per questo fu
osteggiato dal Senato, pallida sopravvivenza dell’antica istituzione e
tuttavia ancora abbastanza potente da rendere il generale sospetto agli
occhi di Onorio.
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Così, nel 408, quando tutto crollava intorno a lui, Onorio non seppe far
altro che accusare il suo fedele tutore e generale, il quale cadde in una
rivolta militare abilmente orchestrata dallo stesso imperatore.
Morto Stilicone l'ultimo defensor
Romae, la fine dell'impero era ormai
prossima. Nel 410 i Visigoti di Alarico si
riaffacciarono in Italia dilagando fino a
Roma, dove compirono un atroce
saccheggio.
Nel 450 le orde mongole di Attila
espugnavano Aquileia e devastavano il
Veneto; Attila si ritirò poi senza
combattere, non sappiamo perché, anche
se una leggenda vuole che a convincerlo
sia stata la santa parola di papa Leone I.
Il dittico di Stilicone; conservato
nel tesoro di Monza
Nel 476 si compiva l'ultimo atto. Romolo Augustolo, imperatore fanciullo,
veniva deposto dal suo generale barbaro, Odoacre, della tribù degli Eruli
che si proclamò re d’Italia riconoscendo la supremazia dell'imperatore
d'Oriente.
Gli anni che seguirono la fine dell'impero furono tragici e oscuri. Dal 489
al 493 la terra padana fu contesa fra Odoacre e Teodorico, re degli
Ostrogoti. Vinse quest'ultimo, che si proclamò a sua volta re d’Italia e
fece di Verona una delle sue sedi preferite. ma, come vedremo, si
interessò molto anche a Monza.
Dal 535 al 553 tutta la penisola fu
devastata dalla cosiddetta guerra gotica,
causata dalla volontà di Costantinopoli di
riconquistare l’Italia muovendo guerra ai
vari principati goti che vi si erano
insediati. Fu una guerra atroce e
crudelissima durante la quale intere zone
del Paese, e in specie il Nord, caddero
nella miseria più nera. Nessuno più
coltivava i campi, nessuno più lavorava e commerciava: una crisi senza
speranza.
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La guerra fu vinta dalla superiorità militare e strategica dei Bizantini che
rioccuparono molte zone e fecero di Ravenna la splendida capitale del
loro regno.
Infine, il colpo di grazia. Nella penisola devastata da quasi trent'anni di
guerra, nel 568 giunse dal Nord un popolo guerriero e affamato, alla
ricerca di terre e ricchezze.
I Longobardi guidati dal feroce Alboino, dilagando dalle Alpi nella Padania
e in parte dell’Italia centrale, mettendo la parola fine alla storia
"antica" d’Italia.
Monza - Ponte dei Leoni