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KAREN MARIE MONING

IL MISTERODEL TALISMANO PERDUTO

romanzo

Traduzione dall’inglese di Andrea Bruno

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Della stessa autrice abbiamo già pubblicato:

Highlander. Amori nel tempoHighlander. Torna da meIl segreto del libro proibito

Di prossima pubblicazione:

Faefever

Prima edizione: febbraio 2012Titolo originale: Bloodfever© 2007 by Karen Marie Moning© 2012 by Sergio Fanucci Communications S.r.l.Il marchio Leggereditore è di proprietàdella Sergio Fanucci Communications S.r.l.via delle Fornaci, 66 – 00165 Romatel. 06.39366384 – email: [email protected] internet: www.leggereditore.itThis translation published by arrangement with Delacorte Press,an imprint of The Random House Publishing Group,a division of Random House, Inc.All rights reserved.Proprietà letteraria e artistica riservataStampato in Italia – Printed in ItalyTutti i diritti riservatiProgetto grafico: Grafica Effe

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KAREN MARIE MONING

IL MISTERODEL TALISMANO PERDUTO

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Questo è per Jessi, per aver, tra le altre cose,attraversato a piedi l’Irlanda sotto la pioggia e scattato

delle fotografie fantastiche. Sono fiera di te!

E per Leiha, che tiene la macchina oliatae gli ingranaggi in funzione, con un sorriso

che fa sembrare il gatto del Cheshire un musone.Grazie per aver percorso il Paese per me.

E per Neil, che comprende l’animadi un’artista perché ne ha una.

Grazie per la musica e i mesi a Key West.Era il paradiso.

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Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,E ho visto l’Eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,

E a farla breve, ne ho avuto paura.T.S. ELIOT, Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock

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Prologo

Tutti abbiamo i nostri piccoli problemi e insicurezze. Ionon faccio eccezione. Ai tempi delle superiori quando mi sen-tivo insicura per qualcosa, mi consolavo con due pensieri: so-no carina e i miei genitori mi amano. Grazie all’uno e all’altroero in grado di sopravvivere a qualsiasi cosa.

Poi ho capito quanto poco conti il primo, e quanto amara-mente il secondo possa essere messo alla prova. Che cosa cirimane dunque? Nulla riguardo al nostro aspetto o a chi ciama o odia. Nulla riguardo al potere della mente – il quale,come la bellezza, è un dono immeritato della genetica – enulla di ciò che diciamo.

Sono le nostre azioni a definirci. Cosa scegliamo. Cosa com-battiamo. Ciò per cui siamo pronti a morire.

Mi chiamo MacKayla Lane. Credo. Alcuni dicono che inrealtà il mio cognome è O’Connor. Questa è un’altra dellemie insicurezze attuali: chi sono? Anche se, al momento, nonho fretta di scoprirlo. Cosa sono mi turba già a sufficienza.

Vengo da Ashford, Georgia. Credo. Di recente mi sono re-sa conto di avere dei ricordi ingannevoli che non riesco a in-quadrare.

Mi trovo in Irlanda. Quando mia sorella Alina è stata tro-

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vata morta in un vicolo colmo di spazzatura nella parte norddi Dublino, la polizia del posto ha chiuso il caso in tempo re-cord, così sono volata qui per vedere cosa potevo fare per ot-tenere giustizia.

Okay, forse non sono così pura.La vendetta è ciò che mi ha spinto fin qui. E adesso, dopo

tutto quello che ho visto, la voglio doppia.Pensavo che io e mia sorella fossimo due semplici ragazze

del Sud che nel giro di qualche anno si sarebbero sposate, a-vrebbero avuto dei bambini e si sarebbero crogiolate in un’e-sistenza fatta di tè freddi sorbiti sul dondolo della veranda,all’ombra di magnolie dai fiori cerei, crescendo insieme i no-stri figli, accanto a mamma e papà.

Poi ho scoperto che io e Alina non discendiamo da un fortee sano ceppo sudista ma da un’antica linea di sangue celtica diveggenti sidhe, persone in grado di vedere gli Esseri Fatati, unaterribile razza di esseri ultraterreni che per migliaia di annihanno vissuto nascosti in mezzo a noi, sotto un manto di illu-sioni e menzogne. Retti blandamente da una Regina e ancorapiù blandamente da un Patto che pochi rispettano e molti i-gnorano, per millenni hanno sfruttato gli umani.

Aquanto pare sono una delle più formidabili veggenti si-dhe di tutti i tempi. Non solo riesco a vedere gli Esseri Fatati,ma sono in grado di captare le loro sacre Reliquie, che custo-discono gli aspetti più micidiali e potenti della loro magia.

Riesco a stanarli.Riesco a usarli.Ho già trovato la mitica Lancia di Luin, una delle due sole

armi capaci di uccidere un Essere Fatato immortale. Sonoanche una Null, una persona che per un tempo limitato puòcongelare un Essere Fatato e annullare i suoi poteri con ilsemplice tocco delle mani. Mi aiuta a spaccargli il culo quan-do ne ho bisogno e, negli ultimi tempi, ne ho bisogno ognivolta che mi muovo.

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Il mio mondo ha iniziato ad andare in pezzi con la mortedi mia sorella, e da allora non ha più smesso. E non è solo ilmio mondo a essere nei guai; anche il vostro lo è.

I muri tra Umano e Fatato stanno per cadere.Non so né perché né come. So solo che è così. Lo sento nel

mio sangue di veggente sidhe. Nel cupo vento Fatato sento ilsapore pungente e metallico di un guerra sanguinosa e terri-bile che si avvicina. Nell’aria lontana, odo il rimbombo dizoccoli affilati, mentre gli stalloni Fatati girano in tondo im-pazienti, pronti a scagliarsi contro di noi nell’antica, proibitaCaccia Selvaggia.

So chi ha ucciso mia sorella. Ho scrutato gli occhi da assas-sino di chi l’ha sedotta, usata e distrutta. Né Fatato, né uma-no, si fa chiamare Signore Domine, e sta aprendo svariatiportali tra i regni, portando gli Unseelie nel nostro mondo.

Il Popolo Fatato si divide in due corti nemiche, ognuna conla propria casata reale e le proprie caste: la Corte Luminosa odei Seelie e la Corte Oscura o degli Unseelie. Non fatevi in-gannare dalla faccenda della luce e dell’oscurità: entrambesono mortali. La cosa spaventosa è che i Seelie ritenevano i lo-ro fratelli più oscuri, gli Unseelie, così abominevoli che lorostessi li imprigionarono alcune centinaia di eoni fa. Quandoun Essere Fatato teme un altro Essere Fatato, state sicuri chec’è un problema.

Ora, il Signore Domine sta liberando i nostri nemici piùcupi e pericolosi, sguinzagliandoli per il mondo, insegnandoloro a infiltrarsi nella nostra società. Quando questi mostricamminano per le strade, voi vedete gli incantesimi che pro-iettano: l’illusione di una bella donna, di un uomo o di unbambino.

Io vedo cosa sono in realtà.Non ho dubbi sul fatto che, appena arrivata a Dublino, sa-

rei morta esattamente come mia sorella se per caso non mifossi imbattuta in una libreria di proprietà dell’enigmatico

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Gerico Barrons. Non ho idea di cosa o di chi sia, o che cosastia cercando, ma sa più cose lui riguardo a ciò che sono e aciò che sta succedendo là fuori di chiunque altro abbia maiconosciuto, e ho bisogno della sua conoscenza.

Quando mi sono trovata senza risorse, Gerico Barrons miha accolto, mi ha ammaestrato, mi ha aperto gli occhi e mi haaiutato a rimanere in vita. Di certo non lo ha fatto con le buo-ne maniere, ma ora non sono più tanto schizzinosa riguardoal modo di salvarmi la pelle: l’importante è vivere.

Considerato che era più sicura della mia stanzetta d’alber-go, mi sono trasferita nella sua libreria. È ben difesa contro lamaggior parte dei miei nemici da protezioni e insidiosi tra-nelli, e fa da bastione al limitare di quella che chiamo una Zo-na Oscura: un quartiere che è stato conquistato dalle Ombre,gli amorfi Unseelie che prosperano nelle tenebre e si nutro-no di umani.

Io e Barrons abbiamo concluso un’alleanza instabile basa-ta sul bisogno reciproco: entrambi vogliamo il Sinsar Dubh –un libro sulla magia più nera che si possa immaginare, pre-sumibilmente scritto dal Re degli Unseelie in persona un mi-lione di anni fa, che racchiude la chiave del potere sul Mon-do Fatato e su quello umano.

Lo voglio perché è stata Alina in punto di morte a chieder-mi di trovarlo, e sospetto che contenga la soluzione per sal-vare il nostro mondo.

Lui lo vuole perché dice di collezionare libri. Certo.Allo stesso modo, tutti coloro che ho incontrato lo stanno

cercando. La caccia è colossale, la posta in palio è enorme.Dato che il Sinsar Dubh è una Reliquia Fatata, riesco a per-

cepirlo quando è vicino. Barrons no. Ma sa dove cercarlo, iono. Così ora siamo due complici che non si fidano l’uno del-l’altra.

Niente della mia vita viziata mi aveva preparato alle ulti-me settimane. I miei lunghi capelli biondi sono andati; per

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restare anonima li ho accorciati e tinti di nero. Sono andati gliabiti pastello, sostituiti da colori tetri, senza carattere. Ho im-parato a bestemmiare, a rubare, a mentire e a uccidere. Sonostata aggredita da un Essere Fatato che uccide col sesso, ob-bligata a spogliarmi in pubblico, non una ma ben due volte.Ho scoperto di essere stata adottata. Sono quasi morta.

Con Barrons al mio fianco ho derubato un gangster e isuoi scagnozzi, sono stata la causa della loro morte. Ho com-battuto e ucciso decine di Unseelie. Ho lottato contro il vam-piro Mallucé in un sanguinario faccia a faccia con il SignoreDomine in persona.

Nel breve spazio di un mese sono riuscita a togliere di mez-zo praticamente ogni essere dotato di poteri magici in città.Metà di quelli che ho incontrato mi vuole morta; l’altra metàvuole usarmi per trovare il terribile, desiderato Sinsar Dubh.

Suppongo che potrei fuggire. Cercare di dimenticare. Cer-care di nascondermi.

Poi penso ad Alina e a come è morta.Il suo viso mi ritorna in mente – un viso che conosco bene

quanto il mio; Alina era più di una sorella, era la mia miglio-re amica – e riesco quasi a sentirla dire: ‘Va bene, Junior, e ri-schieresti di condurre ad Ashford un mostro come Mallucé,un Essere Fatato dispensatore di sesso mortale, o qualche al-tro Unseelie? Correresti il rischio di portare delle Ombre in-filtrate nel tuo bagaglio, pronte a distruggere le amene e idil-liache strade della nostra infanzia, a spegnere i lampioni unodopo l’altro? Come ti sentirai Mac quando vedrai la ZonaOscura dove una volta c’era casa nostra?’

Prima che la sua voce inizi anche solo sfumare, ho la cer-tezza che sarei rimasta lì finché non fosse del tutto svanita.

Fino a quando loro non saranno morti o non lo sarò io.La morte di Alina verrà vendicata.

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«Lei è una donna difficile da trovare, Ms Lane» disse l’ispet-tore O’Duffy quando aprii la porta d’ingresso dai pannelli divetro romboidali della libreria Da Barrons: libri e gingilli.

L’imponente e antica libreria, che mi piacesse o no, era lamia casa lontano da casa, e a dispetto dell’arredamento lus-suoso, dei tappetti preziosi, e della selezione infinita di lettu-re di prima qualità, non mi piaceva. La più confortevole del-le gabbie è pur sempre una gabbia.

Mi lanciò uno sguardo acuto quando feci la mia compar-sa sulla porta, notando il braccio e le dita steccate, i punti sullabbro, i lividi viola e gialli in via di guarigione che iniziava-no attorno all’occhio destro e si estendevano fino alla basedella mascella. Anche se alzò un sopracciglio, non fece alcuncommento.

Il tempo fuori era terribile, e sarei rimasta esposta fino a chenon avessi chiuso la porta: pioveva da giorni, un inarrestabi-le, deprimente diluvio che mi punzecchiava con gocciolinespinte dal vento anche se mi trovavo al riparo sotto il passag-gio ad arco dell’entrata principale della libreria. Alle undici diquella domenica mattina era così buio e nuvoloso che i lam-pioni erano ancora accesi. Nonostante il loro cupo bagliore

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giallo, a malapena riuscivo a intravedere i contorni dei nego-zi dall’altra parte della strada attraverso la nebbia densa.

Arretrai per lasciare entrare l’ispettore. Raffiche di aria ge-lida si insinuarono alle sue calcagna.

Chiusi la porta e ritornai alla zona salotto vicino al cami-no, dove prima mi ero messa a leggere sul divano, avvolta inuno scialle. La stanza da letto che avevo preso in prestito sitrovava all’ultimo piano, ma nei fine settimana, quando ilnegozio era chiuso, trasformavo il primo piano, con i suoi ac-coglienti angolini per la lettura e i camini decorati, nel miosalotto privato. I miei gusti in fatto di letture erano diventatiun po’ eccentrici negli ultimi tempi. Consapevole di avereO’Duffy alle spalle, spinsi furtivamente con la punta del pie-de alcuni dei titoli più bizzarri che avevo consultato sotto unpregevole mobiletto d’antiquariato. Il piccolo popolo: leggendao verità? e poi Vampiri per principianti e Potere Divino: una sto-ria delle sacre Reliquie.

«Tempo orribile» osservò l’ispettore, avanzando verso il ca-minetto a gas e scaldandosi le mani di fronte alle fiamme chesibilavano.

Concordai, con più entusiasmo di quanto giustificasse lasituazione, ma stavo iniziando a patire quel diluvio infinito,là fuori. Qualche altro giorno di quel tempaccio e avrei inizia-to a costruire un’arca. Avevo sentito dire che in Irlanda piove-va molto, ma a casa mia ‘di continuo’è un po’più di ‘molto’.Emigrata contro la mia volontà, turista con nostalgia di casa,quella mattina avevo fatto l’errore di controllare il che tempofacesse ad Ashford. C’erano trentacinque gradi in Georgia, ilcielo blu e un caldo umido, un altro giorno perfetto, assolatoe pregno del profumo di mille fiori nel profondo Sud. Nel gi-ro di qualche ora le mie amiche sarebbero andate al lago, unodei nostri ritrovi, si sarebbero godute il sole, avrebbero passa-to in rassegna i ragazzi con cui poter uscire e sfogliato le piùrecenti riviste di moda.

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ADublino c’erano dieci gradi, ed era così maledettamenteumido che sembrava ce ne fossero la metà.

Niente sole. Nessun ragazzo con cui uscire. E l’unica pre-occupazione relativa alla moda era assicurarmi di avere abi-ti abbastanza larghi da poterci nascondere le armi. Pur nellarelativa sicurezza della libreria, avevo con me due torce elet-triche, un paio di forbici e una letale punta di lancia lungatrenta centimetri con l’estremità ben inguainata in una palladi carta stagnola. Avevo sparso per tutti e quattro i piani del-la libreria decine di torce e oggetti che avrei potuto usare co-me armi. In diversi angoli avevo anche nascosto croci e bot-tiglie di acqua santa. Barrons avrebbe riso di me se l’avessesaputo.

Vi chiederete se tema l’arrivo di un esercito infernale.Sì.«Come ha fatto a trovarmi?» chiesi all’ispettore. L’ultima

volta che avevo parlato con la Garda, una settimana prima,O’Duffy aveva insistito perché gli lasciassi un recapito. Gliavevo dato il mio vecchio indirizzo alla Clarin House, doveavevo alloggiato appena arrivata. Non so perché. È solo chenon mi fido più di nessuno. Nemmeno della polizia. Qui ibuoni e i cattivi hanno tutti lo stesso aspetto. Provate a chie-derlo a mia sorella, Alina, vittima di uno degli uomini piùbelli che abbia mai visto – il Signore Domine – che si dà il ca-so sia anche uno dei più malvagi.

«Sono un detective, Ms Lane» rispose O’Duffy con un sorri-so secco, e mi resi conto che avrebbe fatto volentieri a meno didarmi quella informazione. Il sorriso svanì e gli occhi si strinse-ro in un monito penetrante: ‘Non mi mentire, lo scoprirei.’

Non ero preoccupata. Barrons mi aveva detto la stessa co-sa una volta e lui ha delle facoltà sensoriali davvero eccezio-nali. Se Barrons non era riuscito a vedere attraverso di me,nemmeno O’Duffy ce l’avrebbe fatta. Rimasi in attesa, chie-dendomi cosa l’avesse portato qui. Aveva messo in chiaro

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che considerava il caso di mia sorella chiuso e senza soluzio-ne. Per sempre.

Si allontanò dal fuoco e posò la borsa che portava a tracol-la sul tavolo che ci separava.

Sparse sul legno lucido delle cartine geografiche.Non battei ciglio, ma sentii la gelida lama di un brivido lun-

go la spina dorsale. Non riuscivo più a guardare una cartina co-me prima: innocenti guide per viaggiatori disorientati o turistidivertiti. Ora quando ne apro una mi aspetto di trovarci dei bu-chi bruciacchiati dove ci sono le Zone Oscure, quelle porzionidelle nostre città che sono state eliminate dalle mappe, conqui-state dalle letali Ombre. Non mi preoccupa più quello che lemappe mostrano, ma quello che non mostrano.

Una settimana prima avevo chiesto a O’Duffy di dirmitutto ciò che sapeva riguardo all’indizio che mia sorella ave-va lasciato sulla scena del delitto, parole che aveva inciso sul-l’acciottolato del vicolo, in punto di morte: 1247 LARUHE.

Mi aveva detto che non avevano trovato nessun indirizzosimile.

L’ho trovato io.Avevo dovuto pensare fuori dagli schemi, una cosa che sto

affinando ogni giorno di più, anche se in verità non possoprendermi molti meriti per questo miglioramento. È facilepensare fuori dagli schemi quando la vita ti ha buttato addos-so un elefante da due tonnellate. Cosa sono poi gli schemi senon le convinzioni riguardo al mondo a cui scegliamo di ag-grapparci e che ci fanno sentire sicuri? I miei schemi ora era-no inefficaci e utili più o meno quanto un ombrello di cartasotto quella pioggia.

O’Duffy si sedette sul divano accanto a me, in maniera de-licata per essere un uomo sovrappeso. «So cosa pensa di me.»

Quando stavo per protestare educatamente – le buone ma-niere sudiste sono dure a morire, se mai muoiono – mi fecequello che mia madre chiama il ‘gesto del silenzio’.

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«Faccio questo mestiere da ventidue anni, Ms Lane. So be-ne cosa provano i familiari delle vittime di omicidio quandoi casi vengono archiviati. Dolore. Rabbia.» Fece una risatasecca. «La convinzione che io sia un idiota che passa troppotempo al pub e non abbastanza al lavoro, altrimenti i loro ca-ri riposerebbero vendicati e in pace mentre l’assassino mar-cirebbe in galera.»

Morire in galera sarebbe stato un un destino troppo bene-volo per l’assassino di mia sorella. Inoltre, non credo ci sia unacella che possa contenerlo. Il capo degli Unseelie dalle vestiporpora potrebbe disegnare simboli sul pavimento, battere ilsuo bastone a terra, e scomparire attraverso un comodo por-tale. Anche se Barrons mi aveva messo in guardia contro lesupposizioni, non vedevo ragioni per dubitare che il SignoreDomine in persona fosse responsabile della morte di mia so-rella.

O’Duffy fece una pausa, dandomi la possibilità di ribattere.Non lo feci. Aveva ragione. Sentivo quello e molto altro, anchese a giudicare dalle macchie di gelatina sulla cravatta e dallapancia che sporgeva sopra la cintura, direi che la sua colpa fos-se oziare troppo a lungo in pasticcerie e caffè, non nei pub.

Prese dal tavolo due cartine di Dublino e me le allungò.Lo guardai perplessa.«La prima è dell’anno scorso. L’altra è stata stampata sette

anni prima.»Alzai le spalle. «E allora?» Poche settimane prima sarei

stata felice di ricevere un qualsiasi aiuto dalla Garda. Ora, chesapevo quello che sapevo riguardo la Zona Oscura vicino aDa Barrons: libri e gingilli – un quartiere terribile e desolatodove avevo trovato l’indirizzo lasciato da mia sorella, avevoavuto un violento scontro con il Signore Domine, ed ero qua-si rimasta uccisa – volevo tenere la polizia il più lontano pos-sibile dalla mia vita. E comunque la polizia non poteva farnulla per aiutarmi. Solo una veggente sidhe riusciva a vedere

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i mostri che avevano preso possesso del quartiere abbando-nato e lo avevano trasformato in una trappola mortale. Gliumani non avrebbero saputo di trovarsi in pericolo fino aquando non fossero ormai spacciati.

«Ho trovato il suo 1247 LaRuhe, Ms Lane. È sulla cartinastampata sette anni fa. Piuttosto curiosamente nonc’è su quel-la stampata l’anno scorso. Neanche Grand Walk, a un isolatoda questa libreria, è sulla nuova mappa. Nemmeno ConnellyStreet, un isolato dopo. Lo so. Sono andato da quelle parti pri-ma di venire qui.»

Mio dio, questa mattina ha camminato nella Zona Oscu-ra? La luce del giorno era a malapena sufficiente per tenerele Ombre nella tana in cui quegli esseri spregevoli si nascon-dono! Se il maltempo avesse portato un’altra densa nuvolacapace di oscurare il cielo, i più coraggiosi tra quei succhia-sangue avrebbero osato uscire di giorno in cerca di un Hap-py Meal umano. O’Duffy aveva appena ballato un valzercon la Morte, e neanche lo sapeva!

L’ispettore, che non sospettava nulla, fece un gesto con lamano verso la pila di cartine. Sembrava le avesse esaminatea fondo. Una era stata appallottolata, forse per lo shock o perincredula rabbia, e quindi di nuovo distesa. Non ero estra-nea a quelle emozioni. «In effetti, Ms Lane,» continuò O’Duf-fy «nessuna delle vie che ho appena menzionato si trova sul-le mappe stampate di recente.»

Lo guardai con la mia migliore aria inespressiva. «Cosa stadicendo ispettore? La città ha rinominato le strade in quella zo-na di Dublino? Per quello non sono più sulle cartine nuove?»

Il viso gli si irrigidì e distolse subito lo sguardo. «Nessunoha rinominato le vie» borbottò. «A meno che non lo abbianofatto senza avvertire le autorità.» Posò di nuovo lo sguardo sudi me, implacabile. «Pensavo che ci fosse dell’altro che voles-se dirmi, Ms Lane. Qualcosa che potrebbe suonare un po’...inusuale?»

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Vidi qualcosa nei suoi occhi. Di recente era accaduto qual-cosa all’ispettore che aveva drasticamente cambiato il suomodo di vedere le cose. Non avevo idea di cosa avesse scos-so il concreto e responsabile ispettore, dedito alla ricerca deifatti, dalla sua visione pragmatica del mondo, ma anche luiin quel momento stava pensando fuori dagli schemi.

Avevo bisogno dell’ispettore inquadrato, il prima possibi-le. In quella città era pericoloso rimanere fuori dagli schemi.

Pensai in fretta. Non avevo molte possibilità di cavarmela.«Ispettore,» dissi, ammorbidendo e addolcendo la mia ca-

denza strascicata della Georgia – ‘parlando alla sudista’, co-me diciamo a casa – una specie di miele verbale che masche-ra il gusto sgradevole di ciò su cui la spalmiamo «lo so chedeve credere che sia un’idiota completa per venire qua amettere in dubbio le sue tecniche investigative quando è pa-lese che è lei l’esperto in materia e che invece io non ho ungrammo di esperienza in tali questioni, e apprezzo la sua pa-zienza nei miei confronti, ma non ho più alcun interesse perla sua indagine sulla morte di mia sorella. Adesso so che hafatto tutto ciò che poteva per risolvere il caso. Avevo inten-zione di passare a parlarle prima di partire, ma... be’, la veri-tà è che ero un po’imbarazzata per i nostri incontri preceden-ti. L’altro giorno sono ritornata nel vicolo e ho cercato a fondonei paraggi, senza piangere, lasciando fuoriuscire le emozio-ni, e mi sono resa conto che mia sorella non mi aveva lascia-to alcun indizio. Erano stati il dolore, la rabbia e un caricoenorme di voglia di illudersi. Ma qualsiasi cosa sia incisa inquel vicolo, è stata fatta anni fa.»

«Qualsiasi cosa sia incisa in quel vicolo?» O’Duffy ripetécon cautela, e sapevo che stava ricordando quanto ero statainflessibile, la settimana prima, riguardo a cosa fosse esatta-mente inciso in quel vicolo.

«In verità, a malapena riuscivo a decifrare la scritta. Pote-va essere qualsiasi cosa.»

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«È davvero così, Ms Lane?»«Sì. E volevo anche dirle che la borsa dei cosmetici non era

di mia sorella. Mi sono confusa. Mamma ha detto di aver re-galato ad Alina quella color argento, che non aveva cuciture.Mamma voleva che potessimo distinguerle. Litigavamo sem-pre riguardo a di chi era cosa e a cosa era di chi. Mi stavo ag-grappando alle speranze più flebili e mi dispiace di averle fat-to perdere tempo. Aveva ragione quando mi ha detto cheavrei dovuto fare i bagagli, tornare a casa e aiutare la mia fami-glia a superare questo momento difficile.»

«Capisco» disse lentamente, e temevo lo facesse davvero,nel profondo.

I funzionari pubblici sovraccarichi di lavoro e sottopagatinon badano solo a chi strepita e urla? Non urlavo e non stre-pitavo più, e allora perché non capiva e non mollava il caso?L’indagine su Alina era stata chiusa prima che arrivassi lì, siera rifiutato di riaprirla e che sia maledetta se la riaprirà a-desso. Lo ucciderebbero!

Abbandonai la cadenza troppo dolce. «Vede ispettore, lesto dicendo che ho rinunciato. Non chiederò più né a lei néad altri di continuare le indagini. So che il suo reparto è so-vraccarico di lavoro, so che non c’è alcuna pista. Il caso di miasorella è irrisolto e accetto che venga chiuso.»

«Che... dimostrazione di maturità da parte sua, Ms Lane.»«La morte di una sorella può far crescere in fretta una ra-

gazza.» Quello era vero.«Immagino quindi che tornerà presto a casa.»«Domani» mentii.«Con quale compagnia volerà?»«Continental.»«Il volo?»«Non me lo ricordo mai. Ce l’ho scritto da qualche parte.

Di sopra.»«Ache ora?»

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«Undici e trentacinque.»«Chi l’ha picchiata, Ms Lane?»Sbattei le palpebre, annaspando alla ricerca di una rispo-

sta. Non potevo dire che avevo pugnalato un vampiro cheaveva tentato di uccidermi. «Sono caduta. Dalle scale.»

«Bisogna fare attenzione. Le scale possono essere perico-lose.» Diede uno sguardo alla stanza. «Quali scale?»

«Quelle sul retro.»«Come ha fatto a ridursi il viso in quel modo? Ha colpito

la ringhiera?»«Già.»«Chi è Barrons?»«Cosa?»«Il negozio si chiama Da Barrons: libri e gingilli. Non sono

stato in grado di trovare alcuna traccia nei documenti pubbli-ci riguardo al proprietario, le date di vendita dell’edificio enemmeno la licenza commerciale. Sebbene l’indirizzo sia pre-sente sulle mie cartine, a tutti gli effetti, l’edificio non esiste. Chiè Barrons?»

«Sono io, il proprietario di questa libreria. Perchè?»Sobbalzai, soffocando un rantolo. Che uomo furtivo. Sta-

va in piedi proprio dietro di noi, il ritratto dell’immobilità,una mano sullo schienale del divano, i capelli scuri tirati al-l’indietro, l’espressione fredda e arrogante. Niente di sor-prendente in questo. Barrons è arrogante e freddo. È anchericco, forte, brillante, è un enigma ambulante. Sembra che lamaggior parte delle donne lo trovi sexy da morire. Per fortu-na, non rientro nella maggior parte delle donne. Il pericolonon mi eccita. Mi eccita un uomo con una robusta fibra mo-rale, e Barrons si avvicina a una qualche fibra solo quandocammina lungo la corsia dei cereali al supermercato.

Mi domandai da quanto tempo fosse lì.L’ispettore si fermò, appariva un po’ scosso. Esaminò la

stazza di Barrons, i suoi stivali con la punta d’acciaio, il pavi-

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mento di legno duro. Gerico Barrons è un uomo alto e benpiantato. Sapevo che O’Duffy si stava chiedendo come mainon era riuscito a sentirlo mentre si avvicinava. Io non spre-co più tempo a domandarmi quel genere di cose. Infatti, finoa quando mi guarderà le spalle, continuerò a ignorare il fat-to che Barrons sembra non essere governato dalle leggi natu-rali della fisica.

«Vorrei vedere un documento» grugnì l’ispettore.Mi sarei aspettato che Barrons cacciasse O’Duffy dal ne-

gozio trascinandolo per le orecchie. Non c’era alcun vincololegale per sottostare a quella richiesta e Barrons poco sop-porta gli idioti. In effetti, non li sopporta per niente... a partela sottoscritta, e soltanto perché ha bisogno di me per trova-re il Sinsar Dubh. Non che io sia un’idiota. Se ho una colpa, èquella di avere il carattere solare e allegro di una che si è go-duta un’infanzia felice, l’amore dei genitori, le lunghe estaticon i ventilatori dalle pale pigre e i drammi di un cittadinadel profondo Sud, cose che, per quanto belle, non ti prepara-no alla vita.

Barrons fece all’ispettore un sorriso da lupo. «Certo.» Tiròfuori il portafoglio da una tasca interna del completo. Lo al-lungò ma non lo lasciò andare. «Anche io il suo, ispettore.»

O’Duffy strinse la mascella, ma acconsentì.Mentre gli uomini si scambiavano i documenti, scivolai

furtivamente verso O’Duffy, in modo da sbirciare nel porta-foglio di Barrons.

Le sorprese non finivano mai? Proprio come una personareale, aveva la patente. Capelli: neri. Occhi: castani. Altezza:190 cm. Peso: 110 kg. Era nato – si trattava di uno scherzo? – ilgiorno di Halloween. Aveva trentun anni e il suo secondo no-me iniziava per Z. Dubito che fosse un donatore di organi.

«Mr Barrons, come indirizzo ha una casella postale di Gal-way. È lì che è nato?»

Una volta avevo chiesto a Barrons le sue origini, e lui mi

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aveva detto che era pitto e basco. Galway era in Irlanda, po-che ore a ovest di Dublino.

«No.»«Dove allora?»«Scozia.»«Non sembra scozzese.»«Lei non sembra irlandese. E tuttavia eccola qui a sorve-

gliare l’Irlanda. Ma sono secoli che gli inglesi cercano di co-stringere i vicini a sottostare alle loro leggi, non è vero ispet-tore?»

O’Duffy aveva un tic all’occhio. Non l’avevo notato prima.«Da quanto tempo è a Dublino?»

«Qualche anno. E lei?»«Sono io a fare le domande.»«Soltanto perché glielo permetto.»«Posso portarla in centrale, se preferisce?»«Ci provi.» Quelle parole provocarono lo sbirro a dar se-

guito alle sua minaccia, con mezzi leciti o meno. Il sorrisosulla sua faccia era mi diceva che era destinato all’insucces-so. Mi chiesi cosa avrebbe fatto Barrons se l’ispettore ci aves-se provato. Il mio imperscrutabile ospite sembrava possede-re un’infinita selezione di trucchi.

O’Duffy sostenne lo sguardo di Barrons più a lungo diquanto mi aspettassi. Avrei voluto dirgli che non c’era nulladi cui vergognarsi se avesse abbassato gli occhi. Barrons haqualcosa che noi non abbiamo. Non so cosa sia, ma la sento,soprattutto quando siamo vicini. Sotto gli abiti costosi, l’ac-cento indefinibile e la patina di raffinatezza, c’era qualcosache non era mai del tutto strisciata fuori dal fango. Non vole-va. Stava bene dove si trovava.

In apparenza l’ispettore considerò più saggio, o forse sol-tanto più semplice, rispondere alla domanda. «Sono a Du-blino da quando ho dodici anni. Quando mio padre morì,mia madre si risposò con un irlandese. C’è un uomo a Che-

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ster che dice di conoscerla Mr Barrons. Il suo nome è Ryo-dan. Le dice niente?»

«Ms Lane, vada al piano di sopra» disse immediatamenteBarrons, a voce bassa.

«Sto benissimo qui.» Chi era Ryodan e cosa voleva nascon-dermi Barrons?

«Al piano di sopra. Adesso.»Aggrottai le sopracciglia. Non avevo bisogno di guardare

O’Duffy per sapere che mi stava esaminando con grande in-teresse, e pena. Sicuramente stava pensando che Barrons erail nome della rampa di scale dalla quale ero caduta. Odio su-scitare pena. La compassione invece non è così male. La com-passione ti fa dire: ‘So come ci si sente, è brutto vero?’La penaimplica che tutti pensino che tu sia sconfitto.

«Non mi picchia» dissi irritata. «Lo ucciderei se ci provasse.»«Lo farebbe. Ha un caratterino. È anche testarda. Ma stia-

mo migliorando, non è vero Ms Lane?» Barrons rivolse a meil suo sorriso da lupo e alzò la testa all’insù, verso il soffitto.

Prima o poi porterò Gerico Barrons al limite e vedrò cosasuccede. Ma devo aspettare ancora un po’, fino a quandonon sarò più in forze. Fino a quando non sarò abbastanza si-cura di avere un asso nella manica.

Può darsi che sia stata trascinata in questa guerra, ma stoimparando a scegliere le battaglie.

Non vidi Barrons per il resto della giornata.Da soldatino ubbidiente mi ritirai in trincea come mi era

stato ordinato e rimasi accovacciata lì. Ebbi un’epifania. Lagente ti tratta male se tu glielo permetti.

La concetto chiave è: permettere.Alcune persone fanno eccezione, perlopiù i genitori, i mi-

gliori amici e il coniuge, anche se nel mio lavoro di camerieraal Brickyard ho visto gente sposata farsi in pubblico ciò che inprivato non farei nemmeno a qualcuno che odio. La conclu-

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sione è che la maggior parte del mondo cercherà d’imporsi fi-no a quando glielo permetterai. Barrons mi ha spedito in ca-mera mia, ma sono io l’idiota lo ha fatto. Di cosa avevo pau-ra? Che mi facesse del male e mi uccidesse? No. Mi ha salvatola vita una settimana fa. Ha bisogno di me. Perché ho lasciatoche mi minacciasse?

Ero disgustata da me stessa. Mi stavo ancora comportan-do come MacKayla Lane, cameriera part time, fanatica dellatintarella part time, e ragazza alla moda full time. Di recenteavevo visto la morte da vicino e avevo capito che quella ra-gazza non sarebbe sopravvissuta qui, un’affermazione sot-tolineata con forza da dieci unghie rotte e sporche. Dopo l’e-pifania mi precipitai di nuovo giù, ma purtroppo Barrons el’ispettore erano scomparsi.

A peggiorare il mio umore già nero, era arrivata colei chegestisce il negozio e che in segreto ama Barrons: Fiona, unoschianto di donna, sensuale, sulla cinquantina, a cui non piac-cio per niente. Sospetto che le sarei piaciuta ancora meno seavesse scoperto che Barrons la settimana prima mi aveva ba-ciato. Ero quasi priva di sensi quando l’aveva fatto, ma me loricordo. È impossibile da dimenticare.

Quando alzò lo sguardo dai numeri che stava componen-do sul cellulare, giunsi alla conclusione che sapeva. I suoi oc-chi erano maligni, la bocca una smorfia messa in risalto dal-le rughe sottili. Aogni veloce e breve respiro, la camicetta dipizzo le palpitava sul seno procace, come se fosse appena ar-rivata di corsa, o fosse angosciata. «Che ci faceva oggi quiGerico?» chiese in tono piccato. «È domenica. Non dovrebbevenire di domenica. Non riesco a immaginare nessuna ra-gione per cui abbia dovuto farlo.» Mi esaminò dalla testa aipiedi, in cerca, suppongo, di tracce di un recente appunta-mento romantico: capelli scompigliati, un bottone mancantedella camicetta, mutandine dimenticate nella fretta del rive-stirsi che si appallottolano dentro la gamba dei jeans. Una

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volta mi era successo. Fu Alina a salvarmi prima che mia ma-dre se ne accorgesse.

Per poco non scoppiai a ridere. Un incontro amoroso conBarrons? Per piacere.

«Che cosa stai facendo tu qui?» ribattei. Basta soldatino ub-bidiente. La libreria era chiusa e nessuno di loro due avrebbedovuto essere lì, a piovere sul mio bagnato.

«Stavo andando dal macellaio quando ho visto uscire Ge-rico» disse rigida. «Da quanto tempo era lì? E tu dov’eri? Checosa stavate facendo voi due prima del mio arrivo?» La gelo-sia colorava in maniera così vivida le sue parole che mi a-spettavo di vederle il fiato uscire in piccoli sbuffi verdi. Co-me se fosse stata evocata dall’accusa non troppo velata diaver fatto gli sporcaccioni, mi balenò in mente la visione diGerico Barrons nudo. Deve essere un amante cupo, dispoti-co e probabilmente sadico, pensai.

Sorprendentemente, trovai l’immagine erotica. Turbata,feci un rapido calcolo mentale sul calendario. Ero in ovula-zione. Questo spiegava tutto. Durante l’ovulazione mi eccitoindiscriminatamente: in particolare il giorno prima, il giornostesso e il giorno dopo; immagino sia il metodo subdolo cheMadre Natura usa per assicurare la sopravvivenza della raz-za umana. Guardo ragazzi che di norma non considererei,soprattutto ragazzi con i jeans stretti. Mi sorprendo a cercaredi indovinare se gli pende a destra o a sinistra. Alina era so-lita ridere e dire: «Se non riesci a capirlo, piccola, significa chenon lo vuoi sapere.»

Alina. Dio, mi mancava.«Niente, Fiona» dissi. «Ero al piano di sopra.»Mi additò, gli occhi pericolosamente luminosi, e d’un trat-

to ebbi paura che si mettesse a piangere. Se avesse piantoavrei perso tutta la mia spina dorsale. Non riesco a reggere ledonne più vecchie di me che piangono. Vedo mia madre inognuna di loro.

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Fui sollevata quando invece mi ringhiò contro.«Pensi che abbia guarito le tue ferite perché gli interessi?

Pensi che gli importi qualcosa? Non significhi niente per lui!Non capiresti mai quell’uomo e i suoi stati d’animo. I suoi bi-sogni. I suoi desideri. Sei una bambina stupida, ingenua edegoista» sibilò. «Torna a casa!»

«Vorrei tornare a casa» replicai. «Purtroppo, non ho scelta.»Aprì la bocca ma non colsi ciò che stava dicendo perché mi

ero già voltata e stavo sbattendo le porte che portavano allaparte abitativa del negozio; non ero in vena di venir trascina-ta oltre nella discussione che Fiona moriva dalla voglia di fa-re. La lasciai gridare qualcosa riguardo al fatto che neanchelei aveva possibilità di scelta.

Salii al piano di sopra. Il giorno prima Barrons mi avevadetto di togliere la steccatura. Gli avevo risposto che le ossanon guariscono così in fretta, ma il braccio mi prudeva dinuovo da impazzire, così andai nel bagno di fianco alla miacamera e me la tolsi.

Con cautela mossi il polso, quindi piegai la mano. Il brac-cio non era rotto, forse c’era soltanto una distorsione. Mi sem-brava integro, più forte che mai. Mi tolsi pure le stecche dalledita, e scoprii che anch’esse erano migliorate. C’era una debo-le macchia rossa e nera sull’avambraccio, come uno sbaffod’inchiostro. Mentre la lavavo via, girai il viso verso lo spec-chio, esaminandolo da una parte all’altra, desiderando che ilividi guarissero altrettanto velocemente. La maggior partedella mia vita ero stata una bionda attraente. In quel momen-to, mi fissava una ragazza dai capelli neri e corti, conciata perle feste.

Mi voltai.Quand’ero in convalescenza, Barrons mi aveva procurato

uno di quei piccoli frigoriferi che gli studenti usano nei dor-mitori, e me l’aveva riempito di snack. Stappai una soda e mistravaccai sul letto. Per il resto della giornata lessi e navigai

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su internet, cercando di assorbire tutte quelle nozioni sul pa-ranormale che per i primi ventidue anni della mia vita avevoignorato.

Da una settimana ero in attesa dell’arrivo di un’armata in-fernale. Non ero così stupida da credere che quel momentodi stasi non fosse altro che la quiete prima della tempesta.

Mallucé era davvero morto? Sebbene durante la mia resadei conti – non definitiva – con il Signore Domine avessi colpi-to il vampiro dagli occhi gialli, e avessi visto Barrons sbatterlocontro un muro, prima che perdessi conoscenza per le feriteche era riuscito a infliggermi, non ero convinta della sua mor-te e non lo sarei stata fino a quando non avessi udito notiziedagli adoratori dagli occhi vuoti che popolavano all’inverosi-mile la dimora gotica del vampiro a sud di Dublino. Alle di-pendenze del Signore Domine – sebbene lo ingannasse, sot-traendo al capo degli Unseelie delle sacre Reliquie – Mallucéaveva provato a uccidermi per mettermi a tacere prima chepotessi rivelare i suoi turpi segreti. Se fosse stato ancora vivo,non dubitavo che prima o poi mi avrebbe di nuovo cercato.

Mallucé non era l’unica preoccupazione che avevo. Dav-vero il Signore Domine non era in grado di superare le anti-che protezioni in sangue e pietra attorno alla libreria, comeBarrons mi aveva garantito? Chi era alla guida della macchi-na che la settimana prima era passata davanti al negozio, condentro il diabolico e folle Sinsar Dubh? Dov’era stato portatoil libro? Perché? Cosa stavano facendo in quel momento tut-ti gli Unseelie che non molto tempo prima il Signore Domi-ne aveva liberato? E quanto ero responsabile di ciò? Essereuna delle poche persone che può far qualcosa riguardo a unproblema, ti obbliga a risolverlo?

Era mezzanotte quando mi addormentai, la porta dellacamera sbarrata, le finestre sigillate, le luci accese.

Nel momento in cui riaprii gli occhi, capii che c’era qualco-sa che non andava.

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