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Leopardi – dialogo della natura e di un islandese Questo dialogo viene scritto nel 1824 e compare nella prima edizione delle Operette morali nel 1827. Mentre nelle operette precedenti la causa della sofferenza è posta nell'uomo stesso, si evidenzia qui, per la prima volta, il passaggio di Leopard i da una concezione positiva e benefica della Natura a quella contraria di Natura matrigna, crudele e indifferente. Prendendo spunto da un'opera del filosofo illuminista francese Voltaire (Storia di Jenni o il saggio e l’ateo, 1775), in cui il filosofo parla delle minacce naturali, quali gelo e vulcani, a cui sono sottoposti gli islandesi, Leopardi sviluppa l'idea di un Islandese che viaggia, fuggendo la Natura. Ma giunto in Africa, in un luogo misterioso ed esotico, incontra proprio colei che stava evitando, con la forma di una donna gigantesca dall'aspetto "tra bello e terribile". La Natura interroga l'Islandese sulle ragioni della sua fuga. La spiegazione dell'uomo è unlungo monologo in cui egli ripercorre le sue concezioni sulla condizione umana: un'articolata riflessione che lo porta a comprendere l'ineliminabile infelicità dell'esistenza. Inizialmente ritiene che la sofferenza nasca dai rapporti umani, spesso violenti. Ma il dolore può nascere anche dall'esterno, quindi inizia a credere che l'individuo soffra perché valica i limiti assegnati dalla Natura. Infine comprende che la sofferenza è insita nell'uomo, caratterizzato da un piacere mai realizzabile del tutto, e non può essere eliminata. La vera causa dell'infelicità è la Natura, che crea e poi tormenta gli esseri viventi. Questa ha assegnato all'uomo il desiderio insaziabile di piacere che non solo è irraggiungibile nel corso di una vita intera, ma a volte è anche dannoso e debilitante: Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando che tu ci abbi infuso tanta e sì ferma e insaziabile avidità

Leopardi - Dialogo Della Natura e Di Un Islandese

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Leopardi dialogo della natura e di un islandese

Questodialogoviene scritto nel 1824 e compare nella prima edizione delleOperette moralinel 1827.Mentre nelle operette precedenti la causa della sofferenza posta nell'uomo stesso, si evidenzia qui, per la prima volta, ilpassaggiodiLeopardida una concezione positiva e benefica della Natura a quella contraria di Natura matrigna, crudele e indifferente.Prendendo spunto da un'opera del filosofo illuministafranceseVoltaire(Storia di Jenni o il saggio e lateo,1775),in cui il filosofo parla delle minacce naturali, quali gelo e vulcani, a cui sono sottoposti gli islandesi, Leopardi sviluppa l'idea di un Islandese che viaggia, fuggendo la Natura. Ma giunto in Africa, in un luogo misterioso ed esotico, incontra proprio colei che stava evitando, con la forma di unadonna gigantescadall'aspetto "tra bello e terribile". La Natura interroga l'Islandese sulle ragioni della sua fuga. La spiegazione dell'uomo unlungo monologoin cui egliripercorre le sue concezioni sulla condizione umana: un'articolata riflessione che lo porta a comprendere l'ineliminabile infelicit dell'esistenza.Inizialmente ritiene che la sofferenza nasca dairapporti umani, spesso violenti. Ma il dolore pu nascere anche dall'esterno, quindi inizia a credere che l'individuo soffra perch valica i limiti assegnati dalla Natura. Infine comprende che lasofferenza insita nell'uomo, caratterizzato da un piacere mai realizzabile del tutto, e non pu essere eliminata. La vera causa dell'infelicit la Natura, che crea e poi tormenta gli esseri viventi. Questa ha assegnato all'uomo ildesiderio insaziabiledi piacere che non solo irraggiungibile nel corso di una vita intera, ma a volte anche dannoso e debilitante:Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando che tu ci abbi infuso tanta e s ferma e insaziabile avidit del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ci che ella desidera naturalmente, cosa imperfetta: e da altra parte abbi ordinato che luso di esso piacere sia quasi di tutte le cose umane la pi nociva alle forze e alla sanit del corpo, la pi calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la pi contraria alla durabilit della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi quasi sempre e totalmente da ogni diletto, io non ho potuto fare di non incorrere in molte e diverse malattie: delle quali alcune mi hanno posto in pericolo della morte.E come afferma in un passo precedente a questo,l'esistenza sempre in pericolo e si vive costantemente nella paura. Conclude il discorso poi citando leNaturales Quaestionesdi Seneca: "tanto che un filosofo antico non trova contro al timore, altro rimedio pi valevole della considerazione che ogni cosa da temere".Dopo il lungo monologo dell'Islandese interviene la Natura, cheribaltala posizione dell'uomo: questa totalmente insensibileal destino degli esseri da lei creati, ma agisce meccanicisticamente secondo un processo dicreazioneedistruzione, che coinvolge direttamente tutte le creature. Quella dell'Islandese unavisione antropocentrica- e per tal motivo errata e parziale della realt. Con la conclusione di questo dialogo viene superata la concezione dell'uomo come elemento centrale dell'universo, ma rimanesenza rispostala domanda dell'Islandese: "a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?".Il dialogo come si detto in realt un monologo dell'Islandese, e solo all'inizio e alla fine interviene la Natura con poche e dure battute.Le parole dell'Islandese sono aspre ed accese, e ripercorrono le sue diverse riflessioni sulla sofferenza. Il protagonista accusa la Natura di esserecrudeleeingiusta. Ma questa appare del tutto insensibile alle critiche, le sue parole sono ancora pi dure: essa non agisce per assecondare l'uomo, ma del tutto indifferente e insensibile davanti agli esseri da lei creati. Ed qui che si evidenzia la volutacontraddittorietdella Natura leopardiana:Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me navveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.E nello stesso modoamaroetragicosi conclude loperetta con la notizia, riportata dal narratore, della probabile morte dellIslandese: fama che sopraggiungessero due leoni, cos rifiniti e maceri dallinedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quellIslandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che lIslandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edific un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale citt di Europa.