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lflÌM 4 ÌCU d i A tio U fr diletta da Jluigi Einaudi Direzione: Via lamarmora, 60 - Torino. Amministrazione: Giulio Einaudi editore, Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per l'Italia L. 40. Estero L. 50. Un numero L. 12. Anno III - Numero 2 - Giugno 1938 - XVI Attilio Cablati: Quel che è vivo e vero nella teoria quantitativa della moneta di Davide Ricardo. . . Pag. 93 Mario Lamberti: Un teorico e storico del capitalismo. » 116 Luigi Einaudi : Una disputa a torto dimenticata [ra autar- cisti e liberisti ............................................................ » 132 NOTE E RASSEGNE : Luigi Einaudi: Vecchi progetti e vecchie dispute su bonipche e mezzadria ......................................... » 164 — — I pazzi e i savi nella creazione della terra ita liana ......................................................................... > 168 » 174 » 177 Mario De Bernardi: Appunti . . . . G. Carano-Donvito e L. E.: Recensioni Antonio Fossati: Tra Riviste ed Archivi > 181

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lflÌM 4 ÌCU d i A tio U fr

diletta da Jluigi Einaudi

Direzione: Via lamarmora, 60 - Torino. Amministrazione: Giulio Einaudi editore, Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per l'Italia L. 40. Estero L. 50. Un numero L. 12.

Anno III - Numero 2 - Giugno 1938 - XVI

Attilio Cablati: Quel che è vivo e vero nella teoria

quantitativa della moneta di Davide Ricardo. . . Pag. 93

Mario Lamberti: Un teorico e storico del capitalismo. » 116

Luigi Einaudi : Una disputa a torto dimenticata [ra autar-

cisti e liberisti............................................................» 132

NOTE E RASSEGNE :

Luigi Einaudi: Vecchi progetti e vecchie dispute su

bonipche e mezzadria ......................................... » 164

— — I pazzi e i savi nella creazione della terra ita­

liana ......................................................................... > 168

» 174

» 177

Mario De Bernardi: Appunti . . . .

G. Carano-Donvito e L. E.: Recensioni

Antonio Fossati: Tra Riviste ed Archivi > 181

Z a storia pubblicata recentemente dal professore Charles Risi delle dot­trine relative al credito ed alla moneta da John Law ai nostri giorni

è libro destinato ad esercitare una influenza durevole sull’indirizzo degli studi intorno alla moneta. Non è storia oggettiva, la quale metta sullo stesso piano le idee dei grandi e quelle dei mediocri, quelle reputate vere e quelle che lo scrittore giudica erronee.

E storia critica, rivolta, quasi si direbbe, a trovare i limiti del pensiero dei maggiori teorici della moneta. Perciò, se noi assumiamo Ricardo a se­gnacolo in vessillo di un modo di guardare ai fatti economici, il libro è antiricardiano.

Frutto di lunga meditazione sulle pagine e sovratutto sul modo di pensare di Ricardo, il saggio che Attilio Cablati offre ai lettori della ri­vista, sottopone a precisa critica logica l’interpretazione che del « quanti- tativismo » di Ricardo è dato dal Risi. Nelle dispute tra economisti noi ci troviamo sempre dinnanzi, redivivi in nuova veste, loici come Ricardo e realisti come Tooke e Malthus; e, sempre, quando i Tooke ed i Malthus credono di avere abbattuto, dimostrando quanto sia lontano dalla realtà, il caso tipico, lo strong case di Ricardo, questo risorge dalle sue ceneri, di­mostrandosi atto a racchiudere la realtà degli avversari e forse più. Fa d’uopo di dire che i problemi monetari d’oggi sono gli stessi che erano di­scussi da Ricardo e da Tooke?

La doti. Marion Bowley, seguendo la tradizione insigne del padre, ha pubblicato un libro sul « Senior e gli economisti classici » che l’ha subito collocata in luogo segnalato tra i cultori della storia della nostra scienza. Mario Lamberti scrive un saggio che è, anche esso, meglio di una recensione critica del libro della Bowley; e lo può scrivere poiché, avendo a lungo svolto con amore le pagine del Senior, è in grado di aggiungere di suo a quel che aveva veduto la scrittrice inglese nell’autore studiato. Il quale gia­ceva un po’ troppo, nella opinione comune, sotto il peso delle male parole di Marx; e giova che la sua figura di elegantissimo tra gli economisti fra il 1820 ed il 1860 sia rimessa nella giusta cornice che gli spetta.

N el saggio che segue si ripubblicano e si commentano, con notizie ed illustrazioni tratte da scritti non correnti tra gli economisti, alcuni docu­menti relativi ad una polemica corsa nel 1751 tra un poveruomo, il quale rispondeva al nome del banchiere e marchese Girolamo Belloni, ed un ge-

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malìssimo membro di quella aristocrazia intellettuale ed illuminata francese la quale signorilmente buttava la sementa del rivolgimento che qua- rand anni dopo doveva travolgerne i figli. Nel 1751 il vecchio ordine cor­porativo paternalistico mercantilistico stava morendo; ma era ancora difeso dai Belloni i quali immaginavano di proporre novità laddove invocavano ombre morte di un colbertismo tramontato. Il nuovo ordine non sì intrav- vedeva ancora e sarebbe sorto solo nel secolo X IX dal conflitto e dal su­peramento dei due opposti ideali che per brevità possiamo dire smithiani o della libertà e sansimoniani o della organizzazione gerarchica. Allora si trattava di distruggere il vecchio ordinamento mortifero: contro Belloni si erge, mordente ed irridente, il marchese di Argenson; e la polemica è oggi, di nuovo, sebbene su un piano storico diverso, grandemente suggestiva.

Nelle rubriche permanenti di rassegne e recensioni si ha sovratutto l’intento di porre problemi e interrogativi: l’esperienza storica prova che l’I possa essere una quantità piti grande del 5? — Il giudizio del contadino su perdite e guadagni è formulato nella stessa maniera del giudizio del­l’uomo d’affari? — Come accade che un paio di buoi si riduca ad un paio di code? — In una antologia dei brani più illustri della scienza non dovreb­bero avere larga entratura pagine di Stendhal, di Balzac, di Alanzoni, di Dickens? — I testi inediti o rari a che scopo e con quale apparato devono essere stampati?

La rubrica informativa Tra riviste ed archivi questa volta dà notizia degli scritti apparsi recentemente sulla storia dei fatti economici a partire dal ’700.

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G I U L I O E I N A U D I , E D I T O R E

Quel che è vivo e vero nella teoria quantitativa della moneta di Davide Ricardo*

A proposito dell‘Histoire des doctriiies relatives au crédit et à la montiate definii John Laiv jusqtt’à nos jours del professore Charles Rist (').

1. — N e lla sua p refazione l ’a. prem ette troppo m odestam en te che non si tratta di u n libro di erud izione. La coltura larghissim a ch e caratterizza tutti i lavori di questo in sign e scrittore, d iventa qui form idab ile . N u lla d el tem a g li è s fu g g ito : ed eg li ci presenta una storia critica d el pensiero dei grandi ch e riedificarono le dottrine m onetarie dal '700 all' '800, in gu isa da m ostrarne il filo log ico , i fa tti che crearono le teorie, la d iscussione viva e a v o lte appassionata, r incontro , e m olte v o lte lo scontro fra g li uom in i di pensiero e q u e lli d e ll’azione, la laboriosa form azione di q uel corpo di d ottrine su cui si v ien e form ando, evo lven d o , perfezion and o e precisando la scienza econom ica in uno d ei suoi caposald i fond am entali.

Scernere fra la m assa in gen te di docum enti portati d a ll’autore le lin ee d irettive, coordinarle, m ostrarne con la viva parola d ei grandi i punti d e­b oli e q u e lli che invece son o rim asti ben sald i, seguire l ’evo lu z ion e d el p en ­siero econom ico in q uel quarantennio, ch e fu forse il p iù v ivace e fecond o n el m ovim ento d ella econom ia d ei p op o li, ha costitu ito il lavoro, p erfetta­m en te riuscito, d el p rof. R ist, il q uale si m uove in questa foresta con per­fetta padronanza e con q u ella e legan te sign orilità di lin g u a g g io e di eru­d izion e, ch e costitu isce una d e lle m aggiori attrazioni d ei suoi lavori.

(1) (Paris, Sirey, 1938). Un voi. di 4 c. s. n. - pp. 471. Prezzo 90 Fr.

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7. IH -

94 ATT1UO CAB1ATI

Riassumere un’opera come questa è impossibile, perchè nessun punto di essa appare meno importante di un altro. Bisogna quindi sforzarsi di darne le linee maestre, lasciando alla curiosità dello studioso di approfon­dire per proprio conto l’esame. L’a. stesso, nella sua breve prefazione, av­verte che « nulla è semplice in ,'queste materie.... Credere che si possano riassumere in pochi brevi aforismi tutte le esperienze relative al credito e applicare questi aforismi alla pratica od alla politica giornaliere, costitui­rebbe il più grave degli errori. L’uomo non può mai dispensarsi dal riflet­tere. Ma la riflessione senza l’appoggio dell’esperienza è cosa vana ».

Aggiungo per mio conto un’altra riflessione che mi viene suggerita dalla lunga esperienza in materia di politica commerciale, che io qualifiche­rei come la teoria dell’equilibrio economico non più su uno solo, ma su M mercati. Moltissimi studiosi — e non parliamo poi dell’« uomo della strada » — in materia economica, e sopratutto nel considerare quei casi in cui lo stato interviene, pensano normalmente in termini di « mercato chiuso ». Si ha un avvenimento monetario, o produttivo, ecc., oppure un intervento le­gislativo in materia creditizia, commerciale, ecc., sul mercato I. Quali ne sono le conseguenze su detto mercato? Questa è la domanda che ordina­riamente ed esclusivamente si pone il pubblico. Le conseguenze più deci­sive, invece, vengono determinate di solito non dalle reazioni dei cittadini del mercato I, ma bensì da quelle degli altri mercati M-I, coi quali esso è or­dinariamente in rapporto, e sui quali l’autorità politico-amministrativa dei dirigenti di I non esercita nessun impero.

Questo fattore così semplice e così negletto diventa poi di un’importan­za decisiva quando si tratta di interventi monetari, specie per il peso che essi esercitano sulla voce « movimenti dei capitali », così fluidi e impalpabili nelle loro complesse forme. Onde il tema trattato dal Rist, tenendo conto di questa considerazione, appare in tutta la sua grandezza, costituendo una vera storia, da John Law ad oggi, delle evoluzioni e delle involuzioni della vita economica mondiale, dal XVIII a questo secolo ventesimo.

2. — L’a. mette subito (a p. 12) in evidenza l’elemento « velocità », che costituisce l’essenza caratteristica del credito bancario, e che già il Can- tillon rilevava in quel suo celebre « Essai sur la nature du commerce », che l’Higgs ebbe il grande merito di riportare all’attenzione degli studiosi nella sua ottima edizione: e si serve di questi elementi per porre in luce il punto fondamentale della differenza fra « credito » e « moneta », la cui confu­sione domina tanta parte delle concezioni e delle dottrine della fine del ’700.

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 95

John Law è la figura più eminente di quel confusionarismo. Il Rist la pone in rilievo, con tutte le sue virtù e le sue ombre, in una guisa direi artistica. Law è ostile alla interdizione di esportare moneta e all’obbligo fatto a coloro che commerciano con l’estero .di introdurre le monete estere così guadagnate in paese. Così pure, egli è decisamente contrario alla in­flazione per deliberazione governativa, e la combatte altresì come mezzo per eccitare l’esportazione delle merci: egli preferisce a questo sistema l’altro, di un premio all’esportazione. £ descrive con precisione la portata della inflazione continua sulla « fuga » dei capitali all’estero. Viceversa sostiene la deflazione, o « rivalorizzazione », intendendo il Law con questa frase la riduzione del valore nominale delle monete per uno stesso peso metallico, sicché occorre un maggior peso metallico per avere lo stesso va­lore di moneta. Fu questa concezione, anzi, come il Rist dimostra, l’arma formidabile usata dal Law nel 1720 per espropriare i creditori dello stato: il che fece, screditando però la banca e gettando nel fallimento turbe di banchieri.

3. — Vale qui la pena di riportare, per la sua originalità assoluta, un passo del Rist.

« E pertanto, due secoli più tardi, una operazione identica, eseguita dal meno imaginoso e più popolare degli uomini di stato, doveva realizzarsi con un pieno esito. Certo, il sig. Poincaré non pensava, quando decideva di far comperare dalla Banca di Francia i pezzi d’oro e d’argento al prezzo di mercato, ossia ad un prezzo corrispon­dente al corso della sterlina (moneta-oro), che egli imitava nella guisa più perfetta la manovra tanto rimproverata a John Law. In quel momento (settembre 1926), il valore in oro del biglietto di banca libellato in franchi-carta si innalzava tutti i giorni, perchè il corso della sterlina in franchi sul mercato dei cambi si abbassava continua- mente. Da più di 200 frs., la sterlina era scesa a 170: per conseguenza un luigi d’oro si permutava, come la sterlina, contro un numero sempre più esiguo di franchi-carta.... Il signor Poincaré utilizzò questo fatto, per offrire al pubblico di comprargli in bi­glietti i suoi pezzi d’oro e d’argento al corso che risultava sul mercato dei cambi. E siccome la sua volontà di « rivalutare » il franco era nota, il pubblico si affrettò a portare i suoi luigi d’oro, per la paura di vederne il prezzo in biglietti diminuire di settimana in settimana. Il che effettivamente si verificò » (p. 33).

Il Rist rimprovera il sig. Poincaré di non aver evitato questa copia dei procedimenti di John Law; il che non sarebbe avvenuto se, come consi­gliava il comitato degli esperti, egli avesse fissato sin dall’inizio il nuovo valore del franco, prima di procedere agli acquisti d’oro (p. 34).

% ATTILIO CABIATI

A dir vero, a me sembra che il sig. Poincaré abbia avuto ragione. Una dichiarazione iniziale avrebbe scatenato una tale speculazione internazio­nale da rendere il governo incapace di mantenere la sua parola: e, per di più, era il sig. Poincaré in grado di determinare con esatta misura le altre reazioni dell'estero?

Assai interessante altresì è il rilievo del Rist, che il Law ha prevenuto la teoria di questi giorni, del « commercio bilaterale », e ha indovinato che « l'assenza di una moneta comune condanna gli stati alla economia manovrata » (dirigée) (p. 36). È quanto si verifica oggi, con una vastità di prove quali ai tempi di Law nessuna fantasia avrebbe osato supporre.

4. — La dotta documentatissima dimostrazione condotta dalla., che la « teoria quantitativa », o, più esattamente, la teoria dell'azione dei me­talli preziosi sul livello dei prezzi, era divenuta completa sino dal '700, e che sino dagli inizi dell’ '800 il Thornton aveva limpidamente esposto l’altra dottrina delle leggi che determinano la ripartizione dei metalli pre­ziosi nel mondo — è data dall’a. con una ricca documentazione, fondata sulle fonti dirette. Ed è altresì agli scrittori del '700 che si deve la chiari­ficazione dei rapporti fra abbondanza dei metalli preziosi e saggio dell’in­teresse.

5. — La dottrina ricardtana della moneta: A proposito però della teo­ria quantitativa, entriamo in un labirinto, dove io non riesco a ritrovarmi col prof. Rist.

Al cap. XXVII dei suoi celebri « Principi dell'economia politica » (2) Davide Ricardo imposta il problema della moneta e del suo valore in « mercato chiuso », dopo avere osservato che, come dato di fatto, il gram­mo d'oro vale 13 volte il grammo d’argento, sicché se l'oro fosse impie­gato da solo per la circolazione delle merci, ne occorrerebbe solo la quin­dicesima parte della quantità d'argento richiesta come mezzo degli scambi.

« Quando solo lo stato batte moneta, non possono esservi dei limiti al diritto di monetaggio : perchè, restringendo la quantità di numerario, esso ne può elevare indefinitamente il valore » (Oeuvres, p. 290).

(2) Oeuvres complètes de D avid Ricardo, traduites par M. M. Constancio et Ale. Fon. teyraud, avec notes de J. B. Say, Malthus, Sismondi, Rossi, Blanqui etc. et préface de M. Block. (Paris, Guillaumin, 1882). Le citazioni che seguono nel testo di brani di Ricardo, coll'indi­cazione Oeuvres sono tratte da questa edizione; e particolarmente, oltreché dai Principes, dai celebri opuscoli, ivi contenuti, su Le haut prix des lingots (pp. 359-419), Propositions tendant à l'établissement d'une circulation monétaire économique et sûre (pp. 531-596).

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 97

Non si poteva in guisa migliore indicare la teoria del valore dei beni stromentali. E Ricardo prosegue:

« E in virtù di questo principio, che circola la carta-moneta. Tutto il suo valore può essere considerato come rappresentante un diritto di signoraggio. Benché questa carta non abbia valore intrinseco, ciò malgrado, ove se ne limiti la quantità, il suo valore di scambio può uguagliare quello di una moneta metallica della stessa deno­minazione, o delle verghe auree.... Ecco perchè, nella storia delle monete inglesi, noi troviamo che il nostro numerario non è mai stato deprezzato cosi fortemente, come era stato alterato fisicamente. La ragione ne è che esso non venne mai moltiplicato così fortemente come era stato alterato » ( Oenvres, p. 290).

D ’altra parte, per impedire che, riducendo eccessivamente la circola­zione cartacea, il prezzo di questa si elevasse al disopra delle verghe d’oro, la banca dovrebbe essere costretta a permutare la sua carta contro oro, al prezzo di 3 Lst. 17 s. l’oncia. Nel contempo, la legge dovrebbe lasciare li­bera l’importazione e l'esportazione delle verghe d’oro.

« Sotto l’impero di un tale sistema e con una circolazione cosi amministrata, la banca si libererebbe da ogni impaccio, da ogni crisi. Le sole eventualità che potreb­bero colpirla sono quegli avvenimenti straordinari che gettano il panico su tutto un paese e fanno si che ogni individuo ricerchi i metalli preziosi come il metodo più comodo per realizzare o per occultare la sua proprietà. Non esiste nessun sistema (a) che possa garantire le banche contro tale eventualità. La loro natura stessa le condanna, perchè, in nessuna epoca, possono esistere in una banca o in un paese tante monete o verghe da soddisfare i giusti reclami dei capitalisti che si affollano. Se ciascuno vo­lesse realizzare nello stesso giorno la bilancia del suo conto presso il banchiere, avverrebbe che la massa dei biglietti di banca in circolazione non basterebbe per fare fronte a tutte le richieste.... (Oeuvres, p. 295).

D ’altra parte, la funzione che Ricardo assegna alla moneta è ben de­terminata. Essa non è un bene diretto, ma un bene stromentale: e, come tale, la quantità di essa resta segnata dalla massa moltiplicata per la velo­cità di circolazione. Dato un determinato stato di tecnica bancaria, in un periodo statico, come diremmo oggi, Ricardo rileva che:

« La somma totale degli affari commerciali che la comunità può compiere, di­pende dalla quantità del suo capitale, ossia dalle materie prime, dalle macchine, dalle sussistenze, dal naviglio ecc.; impiegati alla produzione. Stabilendo una carta-moneta saggiamente regolata, le operazioni delle banche non possono nè aumentare nè dimi­nuire la somma di questo capitale. Se il governo emettesse una carta-moneta nazio­nale.... non si avrebbe alterazione nel movimento del commercio; perchè si avrebbe la stessa quantità di materie prime, di sussistenze, di navi, ecc;... (Oeuvres, pp. 304-5).

(a) Il corsivo è dell'autore.

98 ATTILIO CABIATI

Ricardo anticipava qui nella forma più elegante la teoria del valore « derivato » dei beni sgomentali, nella più pura elaborazione marshal- liana. L'oro, come vedremo più tardi, serviva, nel di lui concetto, solo per controllare, a mezzo dei cambi esteri, l’equilibrio internazionale.

£ interessante il caso di « arbitraggio » contemplato dal Ricardo :

« Se i pagamenti possono effettuarsi in argento o oro e ogni debitore è libero di saldare un suo debito di 21 Lst. pagando 420 sh., o 20 ghinee, pagherà in oro od in argento, secondo che potrà avere l’uno o l’altro a più buon mercato. Se può, con cinque « quarters » di fromento, comperare tanto oro in verghe quanti la zecca ne mette in venti ghinee; e se, con la stessa quantità di frumento, può comperare tanto argento in verghe, quanto ne impiega la zecca per coniare 430 scellini, preferirà pagare il suo debito in argento, perchè in tal modo guadagnerà 10 scellini. Ma se, al contrario, egli potesse con questo frumento procurarsi tanto oro da far coniare 20 1 /2 ghinee, e se l’argento, ottenuto nella stessa guisa, non desse che 420 scellini, preferirebbe naturalmente saldare il suo debito in oro. Se la quantità di oro che egli potesse ottenere non rendesse, coniata, che 20 ghinee, se l’argento ricevuto nello stesso modo non desse che 420 scellini, gli sarebbe perfettamente indifferente pagare il suo debito in oro, oppure in argento » (Oeuvres, p. 306).

Da cui si vede che la introduzione di una terza merce, il grano, ob­bliga i prezzi dei due metalli preziosi ad « allinearsi » e l’allineamento si verifica in due forme diverse, a seconda che si opera in un mercato chiuso o su mercati aperti.

6. — L’opinione di Ricardo nei « Minor Paperi ». Prima di entrare in altri punti vivi della dottrina ricardiana della moneta, mi sembra utile ri­cordare due passi significativi, i quali aiutano ad illuminare meglio il suo pensiero in questa materia.

Il primo, che è anche il più diretto, si trova nell’opuscolo «Three letters on thè price of gold » (3), dove si esaminano gli effetti del corso forzoso non solo sul mercato interno, ma su gli scambi internazionali.

« Nessuno sforzo della banca può mantenere più di una data quantità di bi­glietti in circolazione ; e, se questa quantità venisse superata, gli effetti, riverberandosi sul prezzo dell’oro, farebbero si che il pubblico riporterebbe i biglietti alla banca per mutarli contro m etallo» (p. 11).

(3) Three Letters on the Price of Gold, contributed to « The Morning Chronicle » (London) in august-november 1809 by D avid R icardo, ripubblicate da Jacob H. Hollander

nella serie di « Reprints of Economic Tracts », The Johns Hopkins Press, Baltimore, 1903.

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 99

Quindi, niente principio quantitativo! Questo principio, nel pensiero del nostro a., opera solamente quando il biglietto non è convertibile in oro. E allora in tale caso, osserva l’a.:

« tutti gli ostacoli ad una sopra-emissione restano rimossi, tranne i vincoli che la banca volontariamente ponga a sè stessa, sapendo che, se non fosse guidata dalla moderazione, gli effetti che ne conseguirebbero sarebbero cosi evidentemente imputa­bili al suo monopolio, che il parlamento si vedrebbe costretto a rinnovare il « Re- striction Act » (p. 11).

Passando allora dal mercato chiuso al mercato aperto, Ricardo os­serva che, dopo una sospensione del « gold standard », un mercato non è più in grado di dire

« che possiede un sufficiente numero di oncie d'oro da mandare all'estero per pagare un debito; può dire soltanto che ha un numero di biglietti di banca, i quali, se si potessero vendere alla pari, gli darebbero abbastanza oro per pagare il suo de­bito » (p. 13).

E questo fatto, aggiunge Ricardo, costituisce un premio all’esporta­zione clandestina dell’oro. Altro colpo, come si vede, contro il « principio quantitativo ».

7. — Il concetto di Ricardo, che l’oro e la moneta vanno conside­rati — per la determinazione del loro valore e quindi altresì per la deter­minazione del costo e per la domanda-offerta — perfettamente alla stregua di qualsiasi altro bene, risulta con evidenza anche dal volume delle « Letters of Ricardo to Malthus » (4).

Ad esempio, nella lettera VI (p. 9) egli rileva:

« Non mi sembra che esista una differenza sostanziale fra moneta e qualsiasi altra merce, per quanto riguarda la determinazione del valore di essa e delle leggi che ne regolano l’esportazione e l’importazione (ossia « costi comparati »).... È vero che la moneta metallica (« bullion ») oltre ad essere una merce utile nelle arti, è stata adottata universalmente come misura del valore e mezzo di scambio; ma non per questo essa è stata esclusa dalla lista delle merci : essa è un prodotto partico­lare per cui si è trovato un nuovo uso : il che ne ha aumentato la domanda e quindi accresciuta la produzione (pp. 9-10)....

(4) Letters of D. R. to Th. R. Malthus, 1810-1823, edited by James Bonar, At thè Clarendon Press, Oxford, 1887.

100 ATTIUO CABIATI

La ridondanza relativa (della moneta) può essere prodotta sia da una diminu­zione nella quantità delle merci, sia da un aumento della massa monetaria, o, ciò che equivale, da un aumento nell’economia dell'uso di essa in un paese; oppure da un aumento nella quantità dei beni, o da una diminuzione nella massa della moneta in un altro paese. In ognuno di questi casi si è verificata una ridondanza di moneta, tale e quale come se le miniere fossero diventate più produttive.... 11 grano non sa­rebbe comperato, se la moneta non fosse relativamente ridondante. Un mercante non contrarrebbe un debito per comperare grano da un paese estero, se non fosse convinto che egli otterrà per quel grano più moneta di quella che paga; il che equivale a dire che il grano è « ridondante » in un paese, come la moneta è « ridondante » nell’al­tro » (p. 11).

« Ridondante », quindi, solo in senso relativo all’uso.Ma ciò non basta, aggiunge Ricardo. Questo fatto dimostra che in

quel momento « solo la moneta era ridondante ».

« Se difatti venisse esportato dello zucchero da un altro mercante, il debito del grano verrebbe pagato senza esportazione di moneta, e allora direi che la merce ri­dondante (redundanl commodity) era lo zucchero» (pp. 11-12).

Questo passo, mi sembra, è più che sufficiente ad indicare quale è il concetto del « principio quantitativo » nel pensiero del grande scrittore in­glese. Un concetto, cioè, caratteristicamente « relativo ».

Ma vi è ancora un punto controverso che serve a porre in luce il modo, a mio avviso errato, con cui Ricardo venne interpretato, ad esempio, dal Thornton in poi.

Riproduco letteralmente l’esposizione che ne fa il nostro a.:

Il Bullion Report « riconosce volontieri che talune fluttuazioni si sono verifi­cate senza corrispondenza rilevabile con l’aumento dei biglietti e devono venire con­nesse a. movimenti del commercio od agli avvenimenti politici. Il comitato non pen­sa, in linea generale, che un importante ribasso dei cambi debba venire forzatamente attribuito, per ciò che riguarda la grandezza e il grado di questo ribasso, ad un au­mento dei biglietti che gli corrisponda punto per punto. Esso ammette che le flut­tuazioni più ordinarie e insignificanti dei cambi sono dovute generalmente allo stato del nostro commercio; che gli avvenimenti politici, agendo sulla situazione commer­ciale, hanno potuto sovente contribuire sia al rialzo che al ribasso dei cambi » (pp. 142-43).

Con buona pace degli scrittori del « Report », mi permetto di essere e di restare di contrario avviso. La moneta era quantitativamente propor­zionata ad una produzione e ad un commercio cerealicolo di 100. Il cat­tivo raccolto, riducendo la produzione ed il commercio dei grani a 60, po-

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l a TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 101

niamo, riduce altresì il bisogno di mezzi di scambio, sicché, se la massa monetaria resta invece inalterata, il suo valore unitario diminuisce; op­pure si può dire che il grano residuo aumenta di prezzo; o ancora, come diceva Ricardo, che il prezzo dell’oro, espresso in grano, diminuisce.

Ricardo va sempre interpretato così.

8. — |L’opuscolo sull’alto prezzo delle verghe d’oro: Discutendo col Thornton, e più tardi col Malthus, il Ricardo osserva che in regime di mo­neta buona (cioè sempre permutabile a volontà in oro alla pari) una espor­tazione di oro non può provenire a causa di un mancato raccolto di grano, ma bensì essa è provocata dal fatto che in quel momento il grano venne sottoposto in Inghilterra ad una forte domanda; che questa domanda ne elevò il prezzo in tale stato, in confronto degli altri beni; e che, compara­tivamente a tutti questi beni, lo scarto massimo di valore fra l’Inghilterra e il paese X — esportatore di grano — si è rilevato in quel momento nel­l’oro; sicché conviene all’Inghilterra di esportare in pagamento l’oro, e al paese X conviene di riceverlo a saldo del grano esportato. Quindi uno sbi­lancio nei conti internazionali non può di per se stesso provocare una uscita di oro, se non per la ragione ed entro i limiti dei « costi comparati ». Da che, noto incidentalmente, deriva logicamente l’altro principio, pure esso ricardiano, che un paese a moneta buona non può mai normalmente venire spogliato « totalmente » della sua riserva aurea se non per cause antieco­nomiche.

Ma Ricardo va subito ancora più a fondo. Egli osserva che l’oro a sua volta, in un paese a moneta buona, esiste sotto la duplice forma di metallo e di oro monetato. Come metallo, rileva sempre l’a., in un determinato istante, in nessun paese un chilogramma di oro in moneta può valere più di un chilogramma di oro in verghe. Se quindi, accresciuto il valore del grano in Inghilterra, nessuna altra merce conserva un prezzo tale da po­tersi spedire più utilmente in pagamento del maggior grano importato, segno è che il cattivo raccolto, avendo fatto diminuire la massa di pro­dotti in paese, fa sì che quest’ultimo domanda adesso una minore somma di moneta per le sue transazioni, ossia che il numerario è relativamente sovrabbondante; sicché diventa utile spedirlo all’estero, in pagamento della merce che invece è diventata « comparativamente » rara, ossia il fromento. Ove lo scarto massimo fosse stato, invece, nei prezzi della birra, questa, e non più l’oro, si sarebbe spedita dall’Inghilterra in X, per saldare la dif­ferenza della bilancia dei pagamenti. Da cui la conclusione dell’a., che

102 ATTILIO C ABI ATI

uno sbilancio nei conti internazionali non può di per se stesso provocare una uscita di oro, se non per l’azione dei « costi comparati ».

Se i paesi poi si chiudono al commercio, l’oro non serve. Se un paese si chiude all’oro, nel senso che adotta una moneta cattiva, il commercio « a termine » si arresta.

È strano che questi punti, i quali formano un tutto unico nel pensiero di Ricardo, non siano stati rilevati da tanti insigni economisti posteriori.

9. — Ma la conseguenza che a questo punto possiamo trarre dal prin­cipio ricardiano è ancora più rilevante. Se, nei casi dianzi delineati, l’oro si esporta, questo metallo diventa raro non solo rispettivamente ai cereali, ma rispetto a tutti i prodotti del paese in questione: e la rarità non è solo in funzione della massa di oro che è uscita, ma bensì in funzione di tale massa moltiplicata per la sua velocità di circolazione. Se, date le condi­zioni economiche del paese, la banca centrale, di fronte a 100 di oro, emet­teva sino a 300 in biglietti, e le banche di credito ordinario, per ogni 100 di biglietti, potevano allargare per 300 il credito, restava molto semplice cal­colare di quanto la circolazione dei mezzi di pagamento venisse ridotta da quella esportazione di oro, rincarando di conseguenza lo sconto e l'in­teresse e quindi obbligando tutti i prezzi a discendere di qualche cosa, comparativamente ai due prezzi — sconto e interesse — i quali invece rincaravano. Ed era questa imponenza di effetti quella che riduceva l ’im­portanza e la durata dell’urto: perchè l’esportazione delle merci, cresciuta in tutte le direzioni, il rialzo dello sconto nel paese debitore, il ribasso dello sconto e il rialzo « comparativo » dell’interesse nel paese creditore — costituivano le forze che, a mercati aperti, riportavano l’equilibrio in breve tempo e con piccole oscillazioni fra i mercati aperti. E quanto più numerosi erano questi mercati aperti, tanto più breve in ordine di tempo, e tanto più lieve in ordine di quantità erano l’urto iniziale e la ricostruzione dell’equilibrio.

Nessuna oscillazione — dice Ricardo — può superare i piccoli « punti dell’oro ».

« Io sono pronto ad ammettere che il cambio con gli altri paesi si trova in uno stato di continua oscillazione. Ma esso non varia generalmente se non dentro i limiti oltre i quali diventa più vantaggioso fare una spedizione di verghe d’oro, an­ziché una di una cambiale » (Oeuvres, p. 405).

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 103

E Ricardo, facendo il caso che l’Inghilterra riceva più merci dalla Fran­cia e ne spedisca invece in Olanda di più di quanto ne importa, avverte che

« queste transazioni non esercitano nessuna influenza sulla circolazione mone­taria inglese, perchè noi pagheremo la Francia per mezzo di una tratta sull'Olanda... : la quale potrà trovarsi in una situazione da ritenere più conveniente pagare la tratta spedendo in Francia dei lingotti d’oro » (Oeuvres, p. 405).

Queste operazioni, moltiplicandosi per molti paesi, si compensano per vasta parte, sicché — conclude il nostro a.: —

« potrebbe darsi che milioni di scambi fra tutti i paesi d'Europa vengano sal­dati, alla fine, con un movimento di oro di sole 100.000 sterline » (Oeuvres, p. 406).

£ lo scorcio vigoroso di una completa teoria del « movimento dei ca­pitali ».

Ma, se ciò è esatto, come poteva l’a. di simili elaborazioni concepire una « teoria quantitativa » della moneta, nel senso ristretto e parziale rim­proveratogli dal Thornton, sino a Nogaro (5) e Rist?

9. — Tutta la discussione contro Ricardo, condotta dalla critica svol­tasi sul celebre opuscolo sull’alto prezzo delle verghe d’oro, e relativa « ap­pendice », mi sembra male interpretata dai critici illustri, ove si ponga quello scritto in rapporto con gli altri suoi lavori.

Innanzi tutto, lo scrittore inglese imposta bene il problema quando avverte che la banca può persistere ad emettere i suoi biglietti, e l'esporta­zione dell’oro può continuare ad essere vantaggiosa al paese, sino a quando i biglietti restano rimborsabili in oro alla pari in metallo; perchè essa non potrebbe mai creare in tali condizioni una massa di biglietti superiore al valore del numerario che avrebbe alimentato la circolazione, ove la banca non esistesse.

Questa frase è di precisione assoluta e si potrebbe tradurre con una formolazione matematica delle condizioni che esprimono l’equilibrio gene­rale fra mercati aperti. Lunghi decenni dovettero passare dalla morte di Ricardo, prima che alcuni scrittori inglesi, Hawtrey incluso, esponessero i limiti automatici dei poteri di un istituto di emissione in regime di mercati aperti (moneta buona).

(5) « La Mannaie et les phènomìnes monètaires conlemporains » (Paris, Pichon et Durand. 1935).

104 ATTILIO CAB1ATI

Ma vale la pena anche qui di riprodurre la forma originale del pen­siero ricardiano:

« Siccome Thornton ha ammesso, in numerosi passi del suo scritto, che il prez­zo dell’oro-verga è quotato in oro-moneta; siccome egli ha altresì riconosciuto che la legge contro la fusione e l'esportazione dell’oro monetato veniva facilmente elusa, ne risulta che nessuna domanda per le verghe d'oro, qualunque sia la causa da cui deriva, può elevare il prezzo in numerario di questa merce. L’errore di simile ragio­namento consiste nel non avere riconosciuto la differenza fra l’accrescimento del va­lore dell’oro e l’accrescimento del suo prezzo in numerario. Se il grano venisse sottopo­sto ad una grande domanda, il suo prezzo in moneta (b) si eleverebbe, perchè, con­frontando il grano col numerario, noi lo compariamo effettivamente ad un’altra merce; parimenti, quando esiste una forte domanda di oro, il suo prezzo in grano si eleva esso pure. Ma non si vedrà mai un sacco di grano valere di più di un altro sacco di grano, o un’oncia d’oro valere di più di un’altra oncia d’oro. Un’oncia d’oro-verga non potrà, qualunque sia la domanda, avere un valore superiore a un’oncia d'oro-moneta, ossia a 3 L. 17 s. 10 i d. (Oeuvre*, p. 369).... Se noi consentiamo a dare del numerario in cambio di grano, deve essere per scelta, non per necessità.... L’esportazione del nu­merario nasce dal suo basso prezzo: essa non è l'effetto, ma la causa di una bilancia sfavorevole. Noi non Io esporteremmo, se non lo trasportassimo su un mercato più van­taggioso, o se esistesse un’altra merce, la cui spedizione fosse più favorevole. Ciò costituisce un rimedio salutare per una circolazione esagerata (Oeuvres, p. 370).... persino nell’ipotesi più imperiosa in cui noi avessimo acconsentito di dare un sussi­dio ad una potenza estera, non si esporterebbe l’oro se non nel caso in cui non esi­stessero sul mercato dei prodotti atti ad effettuare i pagamenti a migliori condizioni; l’interesse individuale renderebbe del tutto inutile l’esportazione del numerario » (Oeuvres, p. 371).

E qui Ricardo aggiunge una « nota » di una finezza degna della sua mente. Egli osserva, cioè, che è scorretto affermare che, in qualunque caso, esportazione dell’oro in verghe o masselli è senz’altro sinonimo di bilancia sfavorevole del commercio. Se la circolazione cartacea si accresce sensibil­mente di quantità, aumentano i prezzi delle altre merci, verghe d’oro com­prese: sicché il prezzo comparato di esse verghe rispetto ai prezzi delle al­tre merci rimane invariato: quindi l’esportazione generale continua a ve­rificarsi secondo la teoria dei costi comparati.

E anche questa osservazione concorre a porre nel suo giusto valore il significato che per Ricardo ebbe sempre, a mio avviso, il concetto del prin­cipio quantitativo della moneta (6).

(b) Il corsivo è nei testo.(6) Le haut prix des lingots, in Oeuvres, nota a p. 372, dove risponde a uno studio

della " Edinburgh Review „.

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 105

« Quando la circolazione è composta intieramente di carta, ogni accrescimento della sua quantità tende ad elevare il prezzo in moneta delle verghe d oro, così come eleverebbe il prezzo delle altre merci. Questo accrescimento del prezzo in moneta dell'oro abbasserebbe altresì i cambi esteri. Ma il ribasso sarà soltanto nominale e non reale. Esso non determinerà la esportazione delle verghe, perchè la quantità di que­ste ultime sul mercato non essendo aumentata, il loro valore intrinseco non avrà subito nessuna diminuzione » (Oeuvres, p. 372).

E da questa constatazione l'a. fa seguire in brevi periodi la critica defi­nitiva di quel sistema bimetallico, su cui tanto si doveva discutere, pochi decenni successivi, nei paesi della lega latina, dove evidentemente le teorie dell'economista erano o ignorate, o non capite: come capitò del resto per non pochi punti, ad esempio, a Francesco Ferrara.

11. — In fondo, su taluni punti determinati, il Thornton vedeva le cose precisamente come il Ricardo.

Così, ad esempio, quando nel suo famoso « Report » bancario, il Thornton rilevava che, quando i cambi del paese diventano abbastanza sfa­vorevoli da dare al prezzo di mercato dell’oro una grande superiorità su quello della zecca, i gerenti della banca, riducendo la circolazione, mostra­vano di inchinarsi alla « teoria quantitativa ». Misura, — osservava il Ri­cardo — che invece non ebbe più nessun valore quando la banca venne autorizzata a sospendere il libero cambio dei biglietti contro oro. Ma na­turalmente allora Ricardo ha ancora ragione quando, di fronte ad una aspra critica mossa dal Thornton ad Adamo Smith e basata sul fatto che si eb­bero delle fluttuazioni considerevoli nei cambi, pur non essendosi variata sensibilmente la massa della circolazione cartacea — gli osservava che, « nel momento in cui lo Smith scriveva, i portatori di biglietti erano privi del diritto di farsi rimborsare alla banca in moneta metallica » (Oeuvres, p. 381).

Da cui si deduce — noto qui incidentalmente — che, quando la mo­neta diventa cattiva, torna difficile interpretare con esattezza il significato di un determinato stato della bilancia dei pagamenti; anche perchè il va­lore della moneta cattiva in quel momento viene determinato altresì in funzione della stima che gli operatori internazionali fanno del probabile valore futuro di quella, non più legata dentro i « punti dell’oro ».

12. — La «teorìa quantitativa e i costi comparati » : Mi sembra di avere sufficientemente dimostrato i limiti e la portata della così detta « teo-

106 ATTILIO CABIATI

ria quantitativa della moneta », quale si sviluppò nel pensiero del grande economista inglese.

Il Marshall, nella splendida sua « Nota sulla teoria del valore in Ri- cardo » — inserita nella di lui opera maggiore, — scrive :

« Per comprenderlo bene, bisogna interpretarlo generosamente, più generosa­mente di quello che egli stesso interpretò Adamo Smith. Quando le sue parole sono ambigue, dobbiamo dare loro l’interpretazione che altri passi dei suoi scritti indicano che egli avrebbe desiderato dare ad esse. Se faremo ciò col desiderio di accettare il senso reale delle sue parole, le sue dottrine, benché non complete, vanno esenti da molti degli errori che comunemente vi si attribuiscono» (Principies5, p. 813).

Questo ammonimento vale più che mai nel tema che qui ci interessa. Ricardo, che era un logico perfetto, non avrebbe neppur potuto concepire — nonché svolgere — la teoria dei « costi comparati », ove avesse inteso il « principio quantitativo » nel senso che gli attribuiscono i suoi critici. È chiaro difatti che egli nella pratica considera sempre tre beni: merci, oro-moneta, oro-merce. Gli arbitraggi mantengono quei tre mercati in equi­librio, ove viga la libertà del commercio, in grazia della quale — egli ri­leva — nessun paese può mai venire spogliato totalmente della sua riserva metallica.

Se i mercati sono aperti, lo stato non può mantenere un prezzo di­verso da quello del mercato internazionale per ognuna delle tre merci. Se esso vuole fissare uno dei prezzi, o una delle quantità, lo stato deve ostaco­lare la libertà del commercio, ossia lo scambio « quantitativo ». Allora però rientriamo, per la merce ostacolata, nel mercato «chiuso». E, in mercato chiuso, è chiaro che il valore di mercato della merce-moneta può essere reso indipendente dal prezzo di costo dei generi di cui è prodotta, ed il suo prezzo resta regolato dalla quantità messa sul mercato, in rapporto aila domanda e in funzione della tecnica bancaria. Cioè, rientriamo allora, e solo allora, nella « teoria quantitativa » della moneta, nel senso inteso dai critici.

13. — Però, anche parlando di tale teoria, Davide Ricardo si mostra perfettamente corretto. Nel noto opuscolo sulle « Proposte per stabilire una circolazione monetaria economica e sicura », dopo avere enunciato il suo parere nettamente contrario al sistema bimetallico, getta a terra in pochi periodi la tesi — sin dai suoi tempi sostenuta — che la moneta debba pro­porsi di mantenere immutato quello che oggi si chiamerebbe il « numero-

LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 107

indice generale dei prezzi ». Ed è strano che, nei troppo numerosi studi usciti da un ventennio a questa parte su tale inconcludente argomento, il nome del grande scrittore inglese non venga fatto.

« Coloro che emettono carta-moneta — egli conclude — devono regolare le loro emissioni esclusivamente sul prezzo delle verghe d'oro, e mai sulla massa di carta in circolazione. Tale quantità non potrà mai essere nè troppo grande, nè troppo piccola, finché conserverà lo stesso valore del « campione » (standard) (Oeuvres, pp. 543-44).

Che se poi la moneta cattiva (non convertibile) aumenta considere­volmente

« anche ammettendo che questa abbondanza possa elevare il prezzo nominale delle merci e distribuire il capitale produttivo in diverse proporzioni; anche ammet­tendo che la Panca, per l'aumento dei suoi biglietti, possa introdurre A nella fun­zione industriale precedentemente occupata da B e da C, nulla sarà aggiunto al red­dito e alla ricchezza reale del paese: B e C potranno vedersi frustrati; A e la Banca potranno guadagnare, ma questo guadagno rappresenterà esattamente la perdita su­bita da B e C. Vi sarà un trasferimento di carattere violento ed iniquo, ma nessun beneficio per la collettività » ( Oeuvres, p. 392).

È questo periodo che dobbiamo tenere presente, quando vogliamo in­terpretare l’altro passo (citato dal Risi a p. 130), contro il quale puntano i critici del nostro a.:

« Una circolazione di carta inconvertibile non differisce in nulla, nei suoi ef­fetti, da una circolazione metallica, la cui esportazione fosse interdetta, ove la legge si supponga efficiente ».

£ evidente che se la moneta è in mercato chiuso e vi resta obbligato­riamente, lo stato può « rogner » la moneta senza mutarne il prezzo, finché la sua massa — « caeteris paribus », non dimentichiamolo mai — resta im­mutata.

14. — £ curioso che, così interpretati, tutti all'incirca i passi di Ri­cardo ricordati dal Rist risultano evidentemente corretti.

Ad esempio [a pag. 133] il libro che qui recensisco riporta:« La circolazione non può mai essere troppo abbondante. Se si tratta di oro o

di argento, ogni aumento nella loro quantità sarà ripartito fra il mondo intero. Se si tratta di carta-moneta, essa si spargerà solo nei paesi in cui questa carta è stata emessa. La sua influenza sui prezzi non sarà che locale e nominale, poiché i compratori stranieri faranno una compensazione pel tramite dei cambi ».

108 ATT1UO CABIATl

Ove si collochi questo periodo là dove lo ha esposto lo scrittore inglese e tenendo conto dei giudizi severi che egli dà delle falsificazioni monetarie, il pensiero ricardiano appare assai netto (7). Bisogna per di più tenere conto del fatto che Ricardo osservava come anche l'oro, ove fosse divenuto troppo abbondante, o viceversa, si sarebbe ridotto o rialzato di valore, sicché anche in tal caso il valore delle obbligazioni a danaro, pattuite fra i contraenti, si sarebbe mutato a danno del compratore o del venditore. Sicché non questo fatto, di per sé stesso, poteva costituire un carattere differenziale, in teoria pura.

Così pure, non posso convenire con l’interpretazione che il Rist dà (a p. 143) di un passo del Ricardo. Nel caso specifico l’autore inglese ra­giona così. La moneta in circolazione si era proporzionata ad una produ­zione granaria, e relativo commercio, di 100. Il cattivo raccolto, riducendo la produzione e il commercio del grano a 70, riduceva altresì il bisogno di moneta in proporzione: sicché, se essa fosse rimasta nella stessa massa di prima, il suo valore unitario diminuiva di prezzo. Oppure si poteva dire che il grano rimasto aumentava di prezzo, ossia il prezzo dell’oro, espresso in grano, sarebbe diminuito.

Meno ancora posso convenire col Rist (p. 146) nel concetto che il Ri­cardo « vede nella sovrabbondanza dei metalli preziosi il motore iniziale ed esclusivo dei movimenti della moneta da un paese all’altro ». Questa interpretazione è incompatibile con la definizione stessa data dal Ricardo dei « costi comparati ». È sempre il concetto di « relatività » che l’a. inglese tiene davanti a sé.

15. — Ciò che prima ho scritto, mi permette di sorvolare sulla critica che l’illustre a. francese muove (p. 149) al celebre passo del Ricardo, dove pone il principio che l’oro e l’argento si redistribuiscono nelle varie nazioni del mondo nella proporzione in cui essi si adattano al commercio, quale

(7) Su questo punto il Fullarton, ad esempio, si esprime proprio come il Ricardo. Par­lando della moneta inconvertibile, egli scrive : « In primo luogo, il valore di una simile cir­colazione è regolato dalla sua quantità.... Per tutto quanto riguarda il commercio interno, tutte le funzioni monetarie che sono usualmente compiute dalle monete d'oro o d'argento, possono perfettamente venire sostituite da una circolazione di biglietti inconvertibili, i quali non posseggano altro valore oltre quello fittizio e convenzionale che deriva loro dalla legge. (On thè Regulation oj Currendes, p. 27 e seg. London, Murray, 1845). Lo ricordo qui pér aggiun­gere che il Fullarton, forse per primo, aggiunse a questo concetto, allora già acquisito dalla scienza economica inglese, l'esame succinto, ma definitivo, del difetto fondamentale di una si­mile « managed currency ». E, cioè, l'impossibilità di determinare tempestivamente e imme­diatamente il punto in cui tale circolazione diventa eccessiva, o, al contrario, insufficiente. De­terminazione che in regime aureo (mercati aperti) si rileva immediatamente e automaticamente, mediante la reazione degli altri mercati.

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avrebbe luogo ove tali metalli non esistessero e il commercio ira i paesi si riducesse semplicemente a delle permute.

Dato il concetto dei costi comparati; dato che l’oro e l'argento moneta — su cui si erigono le circolazioni del mondo — devono sempre avere sul mercato monetario lo stesso prezzo che hanno nel mercato come merci ; data la libertà degli scambi, la conclusione ricardiana è « a rime obbligate ». E chiunque esamini le equazioni paretiane dell’equilibrio degli scambi fra n mercati, con m merci, e s servizi produttori, fra i quali sono compresi i servizi monetari, vede espressa in formule la riprova dell’enunciato di Da­vide Ricardo. Dico il vero che sarei molto interessato a leggere una critica logica di questa conclusione: dico «logica», appunto per distinguerla da quella del sig. Wolowski, ad esempio, a cui l’a. rimanda i suoi lettori.

Tutta la « forma mentis » di Ricardo, del resto, ripugna al grande economista francese. Il Rist afferma, ad esempio, che l’uscita di oro da un paese non può — come, secondo lui, ritiene il Ricardo — lasciare indiffe­rente il paese da cui quel metallo si allontana.

Cosa significa «indifferente»? Se l’oro si allontana da A per recarsi in B, in condizioni normali, il mercato A ne è contentissimo, non indiffe­rente. Perchè, sempre in una situazione non « patologica », l’uscita dell’oro non può significare altro se non che in quel momento tale metallo è la merce « comparativamente » più a buon mercato per comperare altri beni utili da B. L’oro è divenuto « comparativamente » il bene meno costoso per saldare lo sbilancio provocato dagli acquisti che A ha fatto in B di altri generi più utili, in quelle condizioni di mercato.

Certo, l’oro può uscire anche per cause « anormali », di cui da qualche anno abbiamo esempi tipici in Europa: ma anche di queste cause l’a. in­glese si occupa, e magistralmente, in altri punti, troppo ben noti alla perfetta coltura di uno scienziato come il Rist, il quale anche su quest’ultima materia ha scritto pagine che resteranno.

16. — Ancora, il nostro autore muove al Ricardo un altro appunto:« La moneta metallica servendo da metro dei valori, non è interessante se non

perchè la sua quantità è limitata.... In nessun momento l’idea della conservazione della ricchezza, l’idea di un vincolo da stabilire fra il presente e l’avvenire, grazie ad un oggetto prezioso e inalterabile non interviene nel pensiero di Ricardo » (p. 160).

Da tutti i ragionamenti di Ricardo, mi sembra, esce netto il concetto che in mercato aperto (cioè a moneta buona) il prezzo di una moneta com-

LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 109

8 , III.

no ATTILIO CABIATl

posta di un grammo d'oro e il prezzo di un grammo d’oro stabilito sul mer­cato di questo metallo, devono sempre essere uguali (dedotto il piccolo scarto per la coniazione). E allora è evidente che egli non si soffermi a con­siderare l'oro « moneta » come oggetto di tesaurizzazione, dal momento che tale tesaurizzazione può compiersi più logicamente, se mai, facendo raccolta di oro in verghe, più commerciabili e senza il costo e il piccolo consumo derivanti dalia coniazione. Ed effettivamente, sotto l’aspetto sto­rico, la moneta metallica venne tesaurizzata solo in periodi di gravi per­turbamenti politici e sociali.

Ma ciò cosa ha a vedere con la teoria della «m oneta»? Che forse, quando noi parliamo in economia del grano, dell’olio, del vino, delle fa­rine, ecc., ci occupiamo del fatto che, in caso di assedio, queste merci ven­gano tesaurizzate? Tesaurizzare la moneta — dal punto di vista della dot­trina — equivale a compiere « normalmente » un’ operazione antiecono­mica: la quale, poi, ove venisse esercitata su larga scala, non durerebbe. Perchè se tutti, in un paese, vi si dedicassero, i prezzi delle merci scende­rebbero, ma con velocità diverse, sicché tutto l’equilibrio produttivo si rom­perebbe (8).

17. — Il ritorno della sterlina all’oro : Tutta la storia che il Rist con­duce sulla ripresa della sterlina agli inizi del secolo XIX mi sembra im­peccabile. Qui veramente ha ragione lui — come avevano avuto ragione Tooke e Fullarton; e Ricardo si era ingannato in pieno per ciò che riguarda i fatti. Non però perchè la sua teoria fosse errata, ma perchè gli eventi economici, a guerra finita e vinta, avevano ridato slancio alla vita econo­mica inglese e a quella del continente europeo: la banca — come ricono­sceva Tooke — era rimasta « neutrale », aveva riacquistato l’oro che il pubblico europeo le offriva, tenendo una condotta « passiva » di interme­diaria fra la domanda e l’offerta di moneta. Il che, però, non tocca la dot­trina ricardiana, anzi la conferma; egli si ingannò nelle previsioni di fatto, non sul principio. Egli presupponeva una stasi negli affari, mentre essi si erano in realtà ripresi e sviluppati.

E non so resistere alla tentazione di riprodurre un passo magistrale del Rist, dove egli sostiene una tesi, per la quale parecchi di noi lottammo in tempi vicini: che, cioè, i danni della inflazione non si aggiustano, ag­giungendovi semplicemente quelli della deflazione:

(8) Veggasi in proposito tutto ciò che scrive Ricardo nelle Propositions sopra citate ( Ocurres, pp. 535 e scgg.).

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«C iò che l'inflazione ha compiuto, la deflazione può disfarlo? Coloro i quali ragionano in tal guisa, dimenticano un fatto importante: che i fenomeni economici sono « irriversibili ». Dopo una inflazione che si è incorporata in un livello di prezzi di troppo superiori al livello iniziale, non è possibile ritornare al punto di partenza, se non distruggendo i redditi rappresentati dalla moneta che si ritira. J. B. Say lo aveva ben visto. Le esperienze successive degli Stati Uniti dopo la guerra di seces­sione, quelli deU'America del Sud, cosi bene descritte da M. Subercaseaux, della Fran­cia dopo il 1870-71, dell'Italia, dopo le difficoltà del corso forzoso, fra il 1883-1914, e infine di tutti i partecipanti della grande guerra mondiale, dovevano dimostrarlo una volta di più.... In tutti questi casi non si volle riconoscere che basta arrestare l'inflazione, senza per questo riassorbirla, per rimettere in moto tutti i fenomeni che riportano l'oro in un paese e permettono il ritorno alla convertibilità » (p. 184).

E il prof. Rist cita opportunamente un passo del Tooke, per dimo­strare come i problemi che agitarono il mondo dopo il 1918, fossero per­fettamente identici a quelli imposti alla fine delle guerre napoleoniche.

18. — Il biglietto di banca: Lo spazio mi manca per estendermi sul­l’altra discussione circa il valore giuridico del biglietto di banca. Il nostro a., assieme al Tooke, trova « straordinario » che ci si ostini a considerare il biglietto di banca come una moneta, mentre — egli sostiene — esso non è che uno « strumento di credito » : la carta-moneta inconvertibile, invece, è una moneta.

La disputa, mi sembra, non vale tutto l’inchiostro che vi si è sparso. Gregory — nella sua magnifica « Introduction to Tooke and Newmarch’s A History of Prices and of thè state of thè circulation from 1792 to 1856 » (London, 1928) non conviene nell’opinione del Tooke, sostenuta anche dal Fullarton (9). A me sembra che tutto dipenda dalla definizione del termine « moneta » e del termine « velocità di circolazione ».

Se esprimiamo matematicamente le condizioni dell’equilibrio econo­mico, quella discussione si riduce a una questione più di forma, che di so­stanza. Ma, in ogni modo, non riesco a comprendere poi come si possa — qualunque sia la definizione — affermare « l’identità fondamentale del bi­glietto di banca e del deposito utilizzabile per chèque » (p. 194). Il biglietto di banca non è il rappresentante di un versamento di risparmio fatto da un privato alla banca, ma il rappresentante dell’oro che la banca possiede in proprio e che sostituisce nella circolazione per ragioni di comodità e di economia. Lo chèque può aumentare indefinitamente, con l’aumento del ri-

LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO IH

(9) Nel libro On the Regulation of Currencies (London, Murray, 1845).

112 ATTIUO CABIATI

sparmio privato e della massa degli affari. La banca di emissione, anche se la copertura dei biglietti fosse al 100 % , non può accrescere ad arbitrio la circolazione in mercato aperto ; e, nella emissione dei biglietti, non può ispi­rarsi solo alla massa di oro che entra nelle sue casse. £ ciò che spiega, fra l'altro, l'odierno fenomeno della « sterilizzazione ».

19. — L'elaborazione che il Rist fa dei principi quantitativisti e anti- quantitativisti dal Tooke in poi, costituisce una delle parti più belle, ele­ganti e feconde di questa sua grande opera. Ed è molto utile per tutti noi che egli abbia ricordato e riesposto con la sua finezza critica, tesi, discus­sioni e punti controversi, che risorgono e si ripetono nel giudicare di avve­nimenti i quali, ogni volta, sembrano novità assolute ai contemporanei, mentre non sono che ripetizioni di avvenimenti storici, antiche come resi­stenza delle monete.

Questa storia è preziosa per quanti vorranno ricapitolare col pensiero gli avvenimenti economici mondiali, nella loro successione strettamente lo­gica, dal 1860 sino agli anni successivi alla guerra mondiale. E mi sia per­messo di provare un senso di soddisfazione personale, dopo ciò che scrissi in proposito dal 1922 in poi, nel riprodurre qui la ragionata conclusione del Rist:

« Se un rimprovero si può rivolgere agli economisti, è di non avere visto con sufficiente nettezza, dall’indomani della guerra, che il livello dei prezzi-oro americano era fuori di ogni proporzione col livello prebellico, e di non avere creduto con la necessaria fermezza che una simile anomalia doveva necessariamente correggersi da sè stessa, in mancanza della enorme ed improbabile produzione aurifera che avrebbe dovuto intervenire per sostenere questo livello » (p. 282).

Affermazione esattissima: a cui solo, per la verità totale, voglio ag­giungere che le difficoltà a cui siamo andati incontro sarebbero state mi­nori, se gli uomini politici di quell’epoca, quelli francesi alla testa, non si fossero messi in capo di pretendere dai vinti delle indennità di guerra iper­boliche, ripetendo e facendo propria la frase dell’ebreo di Shakespeare nel « Mercante di Venezia » :

« The pound of flesh, which 1 de in and of htm « Is dearly bonghi, is mine, and I tvill bave il.« / stand for judgment: atìswer: shall 1 bave i l? »

(Shakespeare : Mercant o f Venice, Act IV, Scene I).

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 113

In pochi economisti, con alla testa il Keynes, ci affannammo a ricor­dare ai vincitori le leggi che regolano e delimitano il movimento dei ca­pitali (10): ma non ci restò che la magra soddisfazione di trascrivere, a fatti compiuti, la riprova che le cifre diedero alla esattezza delle infran­gibili leggi economiche.

20. — Lo sconto e gli altri prezzi: La magnifica dottrina del Rist vi­vifica, attraverso alla storia che egli ci rivela, i fatti che portarono l’atten­zione e le discussioni degli economisti sulle relazioni fra il prezzo che si paga per l'uso della moneta, o sconto, e gli altri prezzi.

Il Cantillon, come sempre, in quella sua opera che il Rist ha tanto contribuito a far conoscere alle nuove generazioni di economisti, si mostra anche su questo punto lo scrittore più preciso ed originale.

« Se l'abbondanza del danaro nello stato ha luogo a mezzo delle persone che prestano, diminuirà senza dubbio l'interesse corrente, in quanto aumenta il numero dei mutuanti ; ma se viene attraverso alle persone che spendono, avrà l’effetto opposto e rialzerà l'interesse, aumentando il numero degli imprenditori che avranno da lavo­rare a causa di questo aumento di spese e che avranno bisogno di prendere a pre­stito, per le forniture richieste da tutte le classi degli interessati » (11).

Questa frase, osserva il nostro a., contiene tutta l'essenza di una so­luzione completa del problema delle relazioni fra saggio dello sconto e « afflusso di metalli preziosi ». Tanto vero che gli scrittori successivi non toccano più questo punto, e rivolgono invece la loro attenzione alle leggi che determinano la ridistribuzione dei metalli preziosi nei vari paesi del mondo. Ritorniamo fra i classici della fine dell’ '800 e i loro successori del '900: e l’a. ha reso qui pure un servizio agli studiosi, richiamando la loro memoria sulla celebre deposizione del Marshall davanti alla commissione di inchiesta per la circolazione monetaria (12).

Leggendo la limpida esposizione che il Rist fa dei concetti monetari di tanti scrittori vicini a noi — Wicksell, Cassel, Hawtrey e dello stesso Keynes, così pieno d’ingegno, non possiamo nascondere a noi stessi una certa impressione di vuoto, di fronte alla novità dei ragionamenti, e, sopra-

fio) Ne trattai allora sul « Giornale degli economisti » in due studi del 1918 e del 1920. E, poco più tardi, si ebbero i classici lavori del Bresciani-Turroni sul marco tedesco.

(11) R. Cantillon, Essai sur la nature du commerce en generai, ed. Higgs, London, 1931, p. 214.

(12) Officiai Papers by Alfred Marshall (Macmillan, Londra, 1926), specialmente i due primi temi.

114 ATTILIO CABIAT1

tutto, all’aderenza vigorosa di essi ai fatti, che rendono così pieno, vivo e solido il pensiero degli economisti dallo Smith sino agli iniziatori della economia matematica, e ai prosecutori della grande scuola classica, come è appunto il Rist. Eccellenti i più moderni quando raffinano le teorie degli antichi maestri, essi appaiono meno conclusivi quando si propongono di « fare delle scoperte ». Anche su questo punto il Rist convince al 100 % . E sottoscrivo in pieno al suo giudizio:

« Alla fine della guerra, poi, più tardi nel 1931, con la crisi, il problema della fissità del livello dei prezzi riprende acutezza novella. L'idea di utilizzare il saggio dello sconto come strumento di stabilizzazione riprende subito una nuova voga. Quelli che preconizzano questa politica, Cassel, Keynes, Hawtrey, tutti, da vicino o da lon­tano, si appoggiano sulle idee e sui suggerimenti dello Wicksell. Tutti accordano al saggio dello sconto un’influenza preponderante; gli uni vi vedono un mezzo per com­battere il ribasso dei prezzi, altri (Hawtrey) trovano la causa stessa della crisi nei rialzi inopportuni del saggio dello sconto, ai quali hanno proceduto le banche di emissione. Ma se si cerca la radice scientifica delle loro concezioni e il meccanismo preciso per mezzo del quale essi si rappresentano l’azione del saggio dello sconto sui prezzi, non si resta poco sorpresi di vedere che la descrizione di questo mecca­nismo, già così imperfetta nel Marshall, non ha fatto il più piccolo progresso, e che nemmeno uno degli autori che perseguono la stabilizzazione dei prezzi va d'accordo con gli altri sui mezzi di realizzarla » (p. 307).

Ho letto queste pagine del Rist con profonda soddisfazione. Faticando qualche tempo fa su un grosso volume inglese, le cui « nuove » teorie hanno « épaté un tas des bourgeois », mi venne in mente un famoso episodio del '700. L’Accademia del cimento, a quanto si racconta, bandì un gran con­corso con un grosso premio a danaro per la migliore memoria, la quale spiegasse perchè un pesce morto pesa di più che un pesce vivo. Le memorie presentate furono numerose come gli articoli scritti sulle riviste inglesi, allo scopo di tirare fuori il sugo dalle elucubrazioni stampate in quel volume. Solo un pescatore ebbe l’idea di prendere un pesce vivo, pesarlo, poi pe­sarlo ancora quando era morto. E constatò che il peso era perfettamente identico.

Qualcosa di consimile si potrebbe ripetere anche per quella invenzione « nuova » della « open market policy », della quale il Rist parla con la sua consueta precisione ed esattezza.

Essa è vecchia e usitatissima, quanto, presso a poco, le banche di emis­sione. E può divenire una operazione utile e valida, specialmente in quanto non serva a mascherare una inflazione. E, cioè, l’istituto di emissione può

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LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI DAVIDE RICARDO 115

comperare buoni del tesoro e altri titoli sul mercato, fornendolo così di biglietti, in quanto quei titoli vengano emessi per scopi produttivi e si man­tengano entro i limiti di durata non superiori a quelli suggeriti della lun­ghezza normale del ciclo produttivo in quel dato paese, quale viene deter­minato dai fattori dell’equilibrio economico in quel determinato periodo. Ed una nuova illustrazione di questa manovra può venire offerta dagli « Exchange Equalisation Accounts ».

Tutti i suggerimenti con cui i medici nuovi avvisano ai mezzi per ri­sanare un mondo che dal 1925 ad oggi passa per una serie continua di crisi, si condensano in questo consiglio del Rist: « Lasciare la produzione del­l'oro produrre i suoi effetti normali sulla economia internazionale ».

Il che è precisamente, sotto forma particolare, il consiglio e la tesi fondamentale di Davide Ricardo.

G iugno 1938.Attilio Cabiati.

Un teorico e storico del capitalismo

Marian Bowley. — Nassau Senior and Classical Economics. George Alien and Unwin, London, 40 Museum Street, 1937. Un voi. in 8° di pp. 358. Prezzo 15 scellini.

1. — In quella revisione di valori e di schemi, che si sta lentamente elaborando nella storia delle dottrine, con collaborazioni da campi diversi, e con una influenza reciproca, data dall’ambiente comune della teoria mo­derna, la figura di Senior sta prendendo una importanza e uno sviluppo, che contrastano con il quasi oblìo in cui era caduto questo già noto e discusso economista, che viene ora a riprendere quel posto notevole che gli spetta nella serie degli economisti inglesi tra Malthus e J. S. Mill.

Oblìo che trova le sue origini forse più nella moderata ironia di Bagehot, che non nei feroci sarcasmi della scuola socialista; e che era, no­nostante l’ammirazione di Jevons e il riconoscimento di Bohm-Bawerk, rotto solo per essere Senior menzionato tra i precursori della teoria dell’utilità, mentre il nome di Marshall e la teoria dell’attesa oscuravano quella stessa teoria dell’astinenza che li aveva preceduti, e che era il più celebre contri­buto di Senior alla scienza economica.

Il recente libro della Bowley su Senior si presenta così non solo come studio particolare di Senior, ma come riesanima dell’intera storia delle dot­trine per il periodo classico.

Chiunque si sia occupato, anche per poco, di storia delle dottrine e conosca le difficoltà che questa presenta, non può non rimanere ammirato

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yM. LAMBERTI - UN TEORICO E STORICO DEL CAPITALISMO 117

di questo libro, in cui la paziente ricerca si unisce ad una disciplinata im­maginazione. Risultato di lungo studio, in esso la erudizione e il controllo dei particolari, non oscurano la limpidezza della linea e la chiarezza del giudizio; e vi troveremo — conforme d’altronde al suo titolo — il tenta­tivo di inquadrare Senior in una rinnovata visione della teoria economica nel periodo classico, intendendo per economia classica quella che va da Adamo Smith a Jevons.

Non so quanto vi sia di vero nell’affermazione della Bowley che questo periodo è comunemente inteso come quello in cui si afferma e culmina l’eco­nomia ricardiana, mentre i non ricardiani sarebbero considerati solo come eretici di non fondamentale importanza. Questa non mi pare sia l’impres­sione che si ha dai libri di Cannan o dall’incisivo studio di Schumpeter, anche se i ricardiani paiano generalmente più numerosi di quanto in realtà non siano.

In ogni modo il libro della Bowley cerca di indagare più a fondo le varie correnti di pensiero che paiono discendere da Adamo Smith, e che sono raggruppate in due principalmente: quella che partendo dalla teoria dei prezzi naturali si sviluppa per mezzo di Say in una teoria della produt­tività dei vari fattori e che, ponendo l’utilità come fondamento del valore, originerebbe una vera scuola dell’utilità per cui « i valori dei fattori sono derivati dai valori dei loro prodotti » ( l) ; e quella che, partendo dalla teoria del valore di lavoro, abbandonata, dicesi, se pure con esitazione, nella sua formulazione più semplice dallo stesso Ricardo, culminerebbe in una più completa teoria del costo di produzione, applicabile ad una parte almeno dell’analisi economica, « giustificando così sino ad un certo punto l’impor­tanza data ai costi nella spiegazione dei prezzi naturali in Adamo Smith » (Bowley, p. 85).

Tra queste due scuole, quella « continentale » di Say e quella « in­glese » di Malthus e di Me 'Culloch, — non certo di Ricardo — starebbe Senior che, ricardiano per educazione, fatti suoi i principali risultati dell’in­dagine di Ricardo, sopratutto nella teoria della rendita e in quella dei costi comparati, si baserebbe decisamente, per quanto riguarda la teoria del va­lore, sull’utilità, abbandonando come « fondamentalmente equivoca se non totalmente errata » (Bowley, p. 37), la teoria del costo di produzione; mentre nella teoria della distribuzione progredirebbe sullo stesso Say, e con-

(1) Bowley, op. cit., p. 77. Le citazioni che seguono tra parentesi, precedute dal nome della Bowley, si riferiscono a questo volume.

118 MARIO LAMBERTI

nettendosi agli economisti tedeschi come ,v. Mangoldt e v. Thiinen, ver­rebbe ad anticipare, con l'estensione del concetto di rendita, la teoria della produttività marginale.

Più moderno di Say e di Cairnes nella concezione metodologica del­l'economia come scienza positiva, che nella compiutezza delle sue premesse, rende inutile l’astrazione dell'uomo economico, e precorre quella concezione marginale, in cui si riflettono le interferenze di tutto l'agire umano; più preciso dei suoi contemporanei nella limitazione degli scopi della teoria economica, distinta da un’arte economica, Senior rivelerebbe la sua origina­lità anche nella teoria della popolazione in cui il suo senso storico rifiuterà di accettare l’arbitrario pessimismo malthusiano.

Non sarebbe quindi Senior solamente il più illustre tra gli « eretici » della scuola inglese, e l'ideatore di quella concezione dell'astinenza in cui si possono trovare gli elementi di tutte le moderne teorie del capitale che stu­diano « la distribuzione delle risorse nel tempo a mezzo del concetto di una differente valutazione del presente e del futuro » (Bowley, p. 166); ma si ritroverebbero in lui elementi modernissimi che, con la concezione dell'uti­lità e con quella della produttività, lo riallaccerebbero alle teorie marginali; anche se nella sua solitudine, non avrà creato una nuova scuola.

Modernità di Senior che si rivelerebbe ancora più chiaramente nella teoria monetaria e in quella del commercio internazionale, che verrebbero da lui considerate per la prima volta come parte integrante della teoria ge­nerale del valore; cosicché, sviluppando accenni ricardiani, tratterà del com­mercio internazionale in termini monetari; mentre confutando la teoria quantitativa della moneta verrebbe a precorrere la formula marshalliana e la modernissima teoria della preferenza per gli investimenti liquidi.

Ho cercato di riassumere le linee fondamentali della ricostruzione del pensiero di Senior, che ci viene data da questo recentissimo libro; ma sarà chiaro quello che ne è forse il merito principale solo se avremo presente come il pensiero di Senior venga di volta in volta connesso con quello dei suoi predecessori e contemporanei, cosicché ogni capitolo: sul metodo, va­lore, popolazione, capitale, salari, moneta, è una vera monografia storica sull’argomento, trattato con padronanza e conoscenza approfondite e ori­ginali.

Particolarmente notevole vi è lo studio degli economisti tedeschi, di quella pleiade cioè di scrittori di prim’ordine che gravita attorno a v. Thu- nen, comunemente poco studiati, e non sufficientemente connessi con gli scrittori francesi ed inglesi; mentre le poche osservazioni su Pellegrino Rossi

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UN TEORICO E STORICO DEL CAPITALISMO 119

— meno originale di quanto è stato affermato, e seguace di Senior piuttosto che di Ricardo — e su Ferrara, rivelano da parte dell’autore una conoscenza sicura dei nostri scrittori del risorgimento.

Quanto allo studio di Senior stesso, è fatto largo uso non solo delle opere pubblicate, ma dei manoscritti tuttora inediti, soprattutto di quelli della seconda serie di lezioni ad Oxford; e questo con una cura e preci­sione che ci fanno rimpiangere come quei manoscritti siano andati prece­dentemente per le mani di un « editor » arbitrario e irregolare, che ci lascia il dubbio di non aver saputo salvaguardare alcuni tra i più importanti do­cumenti.

Completa il profilo di Senior una indagine sulla parte non stretta- mente teorica dei suoi scritti economici, in cui lo scrittore delle « Letters on thè Factory Act » e il relatore della « Poor Law Commission », che è passato alla storia del socialismo come « economista volgare » e « apolo­geta dello stato di fatto », viene visto come riformatore sociale piuttosto che come liberista ad oltranza; mentre la promessa di una biografia di Se­nior, preparata da Mrs Strachey, è conferma del rinnovato interesse per questo scrittore, i cui diari italiani sono stati egregiamente tradotti di re­cente da Elena Croce (2).

Sebbene le osservazioni, che andrò via via facendo, pongano forse Se­nior in una luce un po’ diversa da quella in cui appare nella esposizione della Bowley, esse non vogliono essere una critica al valore di un libro se­rio, meditato, il quale dà prova di una invidiabile padronanza dell’argo­mento.

Tutti gli studiosi di teoria economica e di storia delle dottrine (che è poi tutt’uno) devono essere grati alla Bowley, per un libro, il quale, ri­chiamandosi alla tradizione del Cannan, ci presenta il pensiero di una delle figure più caratteristiche ed interessanti, pur nelle sue limitazioni, nella storia delle dottrine economiche.

2. — Ammesso di averne riassunto con esattezza il pensiero, può es­sere accettato il nuovo schema della dottrina classica proposto dalla Bowley e la sua interpretazione di Senior, visto da un punto di vista cosi nuovo?

Tentando di rispondere a questo problema dovrò limitarmi a trattare brevemente i soli punti principali: la teoria del valore, e la teoria della distribuzione e della produttività; cercando infine di determinare, per quanto

(2) N. W. Senior, L'Italia dopo il 1842, ed. Laterza.

120 MARIO LAMBERTI

mi sarà possibile, quale sia il contributo di Senior alle dottrine economiche, attraverso elementi che forse superano i limiti posti da questi due problemi fondamentali.

3. — La divisione degli economisti del secolo scorso in due scuole:— quella dell’utilità e quella del costo di produzione (intendendo il la­voro come uno degli elementi di questo costo) — si trova già in Ferrara, e non è qui il caso di approfondirne lo studio e la critica. Mi limiterò ad accennare che raffermare l’utilità come causa del valore, e l’insistere sulla importanza dell’elemento utilità nell’ambito economico, non bastano a co­stituire una « scuola dell'utilità », se non si riesce a dimostrare come questa utilità determini la ragione di scambio delle varie merci. Quando Ricardo affermava che « l’utilità non è la misura del valore di cambio, benché ne formi un essenziale elemento » non intendeva negare l’importanza dell’ele­mento utilità, e infatti « se una merce non fosse utile in nessun modo — in altri termini se in nessun modo potesse contribuire ai nostri godimenti— essa sarebbe priva di valore di cambio, quantunque scarsa si fosse, o qualunque quantità di travaglio occorresse per procurarsela » (3), ma af­fermava che l’utilità non era atta a misurare il valore di scambio.

Ora Say, ancora preso nella considerazione dell’utilità totale, non diede, nè poteva dare, la dimostrazione richiesta — basta vedere a quali assurdità giunge nella sua corrispondenza con Ricardo — nè essa fu data da alcuno dei suoi seguaci, sino al giorno in cui il concetto di utilità marginale aperse nuove vie alla teoria economica, o almeno ad una parte di questa, e creò veramente una « scuola dell’utilità ».

Solo in Lloyd, tra gli economisti inglesi, si trovano, a mio parere, non semplici accenni, ma chiarissimi gli elementi della concezione marginale; il suo studio però — quell’unica luminosissima lezione — rimane isolato nell’opera stessa di Lloyd e probabilmente senza influenza.

Come già diceva Say « una verità non appartiene a colui che la trova, ma a colui che la dimostra e che sa vederne le conseguenze » (4).

A questa stregua mi pare che prima di Jevons non si abbiano in In­ghilterra che « precursori », anche se è merito di Say e dei suoi seguaci aver tenuto desto l ’interesse per la domanda e per una concezione del va­lore che non sarà senza influenza nello sviluppo del pensiero successivo, ed anche se può essere importante seguire lo sviluppo, interrotto e par­

t ì ) R icardo, Works, ed. Me Culloch, p. 9.(4) Say, Traiti cTEconomie Politi qu e, VI ed., p. 21.

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UN TEORICO E STORICO DEL CAPITALISMO 121

ziale, degli elementi da cui sorgerà appunto la teoria marginale, e indi­carne le origini.

Quale è, così, la posizione di Senior in riguardo alla teoria del valore? Appartiene egli veramente alla « scuola dell’utilità », e, continuatore in Inghilterra del metodo « continentale », potremo considerare abbia decisa­mente superato la così detta teoria del costo di produzione?

Jevons annovera Senior tra i suoi precursori ed è famoso il brano in cui Senior, mentre mette in luce il carattere essenzialmente relativo del­l’utilità, dimostra come l'utilità di un bene « diminuisca in una ragione ra­pidamente decrescente » (5) con l’ammontare della quantità. Così pure non manca in Senior l’accenno ad una correlazione tra l’utilità di una merce e la quantità posseduta e l’affermazione di come l’utilità di una merce « di­penda principalmente dagli ostacoli che ne circoscrivono la quantità of­ferta » (p. 17).

Ma bastano questi accenni, come lo studio dell’influenza che la do­manda, definita come esprimente « la forza delle cause che danno utilità ad una merce » (p. 14), ha nella determinazione del valore (sopratutto nella teoria del commercio internazionale e nella teoria dei monopoli), per far porre Senior tra i teorici di una dottrina dell’utilità che informi di sè organicamente tutto il suo pensiero economico?

Salvo quel paio di passi già citati da Jevons e l’aver posto Senior una particolare cura nella determinazione dei casi di monopolio, l’unica dimo­strazione ne sarebbe, a quanto scrive la Bowley, che « noi passiamo attra­verso una discussione generale sulla natura della ricchezza e del valore senza un’analisi del costo di produzione » (Bowley, p. 97).

Questo è vero, ma è altrettanto vero che tutta la dottrina dello scam­bio, da Senior espressamente considerata come una continuazione della teoria del valore, si basa in prima linea su una analisi del costo di produ­zione.

Come da un lato si è spesso confusa la teoria del valore di lavoro di Ricardo, per cui la quantità di lavoro è norma del valore, con la teoria del costo di produzione (nè importa qui indagare quanto sia già esplicita in Ricardo), nella quale il lavoro è uno degli elementi del costo, che, inteso infine più come salario effettivo che come quantità di lavoro, condurrà poiad una teoria delle spese di produzione, così è facile dall’altro esagerare

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(5) Senior, Politicai Economy, JI ed. p. ili. I numeri che seguono, senz'altra indica­zione, tra parentesi nel testo si riferiscono a questa edizione.

122 MARIO LAMBERTI

l'importanza del concetto utilità, quale si trova in Say e negli economisti che lo seguono prima di Jevons.

Nè veramente si può pensare che ai seguaci della teoria del costo di produzione fosse ignota ogni influenza della domanda, mentre già per Mal­thus, e persino Me Culloch, ma definitivamente per J. S. Mili si potrebbe piuttosto parlare di una teoria dell’offerta e della domanda.

Se pure in Senior ci sono elementi nuovi ed originarii, e se il concetto di utilità trova in lui uno sviluppo, che già preannuncia idee nuove, egli verrà a trovarsi non in contrasto, anzi nella linea maestra della tradizione inglese nella quale si muoverà J. S. Mili, e che condurrà infine a Marshall e a quella sua concezione dell’offerta e domanda, con l’esigenza in primo piano di una indagine del costo di produzione.

Nè solo il concetto di astinenza, che completerà la dottrina dei costi reali, ma tutto il modo di trattare l’economia, conducono in Senior ad una teoria del costo di produzione.

La limitazione di quantità è posta quale il più importante ele­mento costitutivo del valore, ma, come affermerà che « per gli intenti eco­nomici l’espressione limitazione di quantità sempre implica la considera­zione delle cause dalle quali la quantità esistente sia limitata » (p. 7), così Senior avrà cura di stabilire che « lo sforzo umano è l’unico mezzo per cui la quantità [delle merci] può essere accresciuta », e che le singole merci « possono accrescersi dallo sforzo umano ad una somma di cui noi non co­nosciamo il limite. Cosicché l’ostacolo da cui [ciascuna di esse] è limitata in quantità si riduce alla somma dello sforzo umano necessaria per il loro rispettivo aumento » (p. 7).

« Quando, perciò, noi applichiamo la parola ‘ limitato in quantità ’ come espressione comparativa, a quelle merci la cui quantità si può accre­scere, intendiamo alludere alla forza comparativa degli ostacoli che limi­tano le rispettive quantità degli oggetti paragonati » (p. 8); e ancora più chiaramente: « il valore reciproco di due merci dipende non dalla quan­tità di ciascuna che se ne porti al mercato, ma dalla forza comparativa degli ostacoli che in ogni caso si oppongano all’aumento della loro quantità » (p. 15).

Introdotto il concetto di astinenza si verrà ad una più precisa deter­minazione degli « ostacoli alla quantità disponibile di quelle merci che sono prodotte dal lavoro e dall’astinenza, con quell’aiuto soltanto della natura di cui ciascun uomo possa disporre» (p. 97); e sorge, accanto alla de­finizione del costo di produzione come « somma del lavoro e dell’astinenza

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US TEORICO E STORICO DEL CAPITALISMO 123

necessaria alla produzione » (p. 101), l’affermazione che « in altre parole, la quantità [delle merci] è limitata dal costo della loro produzione » (p. 97).

Se poi la regola chiaramente espressa che « il costo di produzione sia il regolatore del prezzo » (p. 102), vale solo nel caso della libera concor­renza ed è soggetta « a molte interruzioni accidentali » (p. 102), questo non ne pregiudica l'importanza, perchè il costo di produzione, dal Senior e da altri economisti, non è inteso « come un punto al quale il prezzo sia attaccato, ma come un centro di oscillazione a cui esso continuamente si sforza di avvicinarsi » (p. 102).

Non solo, ma la stessa indagine sulle condizioni di monopolio, da Senior enormemente estesa perchè vi include arbitrariamente tutte quelle merci « la cui quantità sia stata in qualche modo limitata dalla estensione della terra necessaria ed utile a qualche parte della loro produzione » (p. 105), si compie per mezzo della concezione del costo di produzione per il consumatore (il ferrariano costo di riproduzione) che determina, con il costo di produzione per il produttore, i limiti entro cui può oscillare il prezzo.

Ora se nel caso di monopolio questi due costi verrebbero a divergere, in libera concorrenza coincidono; mentre nel caso del «grande monopolio della terra » il prezzo sarà eguale « al costo di produzione della parte pro­dotta al maggior costo » (p. 107).

Giustamente Ferrara lamenterà, nello studio consacrato a Senior, che questo concetto di costo di riproduzione non sia sviluppato, e rileverà che « il lettore dopo aver appreso il principio, lo perde insensibilmente di vista e lo abbandona » (6). Per Senior il costo rimarrà semplice costo reale, som­ma di lavoro e astinenza, e non certo Senior penserà di sviluppare il costo di riproduzione economica in una concezione del costo come « rinuncia di utilità », concezione che porterà Ferrara a precorrere i risultati della scuola austriaca, mentre l’importanza di Senior starà più nell’acume e sot­tigliezza delle indagini particolari, che non in una rivoluzionaria novità della sua teoria del valore.

Piuttosto la sua concezione introspettiva del « sacrificio » di lavoro e di astinenza, e l’indagine delle varie qualità di questi sacrifici, apriranno la strada a quella teoria del costo di produzione inteso come disutilità che rimarrà ancora in Jevons, accanto alla sua concezione dell’utilità margi­nale, e che formerà una delle caratteristiche della scuola inglese.

(6) Ferrara, Esame storico-critico di economisti, Voi. I, p. 488.

124 ALARIO LAMBERTI

4. — Se è vero che la teoria del valore di Senior è da considerarsi come differenziamento e progresso, ma non opposizione, alla tradizione classica, ed ha espliciti o impliciti tutti gli elementi della teoria del costo di pro­duzione, così Senior affronterà il problema della distribuzione in modo non molto diverso dagli economisti inglesi dell’epoca — eccetto Ricardo — partendo appunto dai risultati della teoria del valore e contribuendo a quella trasformazione già notata da altri (7), e connessa con un cambia­mento nel modo stesso di impostare i problemi economici, della economia politica in una teoria della distribuzione.

Come in libera concorrenza il valore sarà determinato dalla somma di lavoro e astinenza necessaria alla produzione, così, in libera concorrenza, il prodotto si distribuisce in quei precisi termini tra lavoro e astinenza sotto forma di salari e di profitto.

Cosa che è, d'altronde, poco più di un truismo e conclusione a cui deve necessariamente giungere ogni teoria che si basi sulla considerazione dei vari fattori di produzione; e incorrerà in tutti i pericoli già visti da Can- nan impliciti nel tentativo di risolvere i problemi economici partendo da un'analisi degli elementi costituenti il valore di un bene.

Nè mi pare si possa negare l’essere il concetto di astinenza sorto in primo luogo come inteso a definire un terzo strumento di produzione, ac­canto al lavoro e agli agenti naturali, per mezzo del quale « le forze del la­voro e degli altri strumenti, che producono la ricchezza, possono indefini­tamente accrescersi, usando i loro prodotti, come mezzi di ulteriore pro­duzione » (p. 58), strumento di produzione che contribuisce alla creazione, ma che si distingue dal capitale, il quale invece non è inteso come « un semplice strumento produttivo », ma è « nella maggior parte dei casi il ri­sultato di tutti e tre gli strumenti produttivi, combinati insieme » (p. 59).

Non solo, ma è un concetto di un fattore di produzione che sorge portando implicita in sè la determinazione di una propria parte nel pro­cesso di distribuzione, come ricompensa senza la speranza della quale non verrebbe posto in esistenza, cosicché « quella condotta di cui il profitto è la ricompensa », « sta nella medesima relazione al profitto, in cui sta il la­voro alla mercede » (p. 53).

Così che mentre è valida l’obiezione di Cannan sulla impossibilità di sommare elementi così eterogenei come lavoro e astinenza, non del

(7) Patten , The interpretation of Ricardo, in «T he Quarterly Journal of Economics», Voi. VII. 1893, p. 333.

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UN TEORICO E STORICO DEL CAPITALISMO 125

tutto a torto Schumpeter (8) troverà la spiegazione dell’origine di questo concetto nella necessità in cui Senior e i suoi successori hanno creduto di trovarsi, di far corrispondere a un interesse che fluisce regolarmente una permanente sorgente d’origine, l’astinenza del capitalista in questo caso.

Inizialmente infatti nella concezione di Senior, accanto al lavoro che è impiego delle « forze del corpo e della mente, all'intento della produ­zione » (p. 89), e di cui il salario è la rimunerazione, e all’astinenza che « esprime tanto l’atto di astenersi dall'uso improduttivo del capitale, quanto la condotta dell’uomo che dedica il suo lavoro alla produzione di un risul­tato remoto, piuttosto che immediato » (p. 89), e di cui il profitto è la ri­compensa, stanno gli agenti naturali come terzo fattore di produzione, in cui al possesso corrisponde la rendita.

Noi abbiamo così completati gli elementi della distribuzione, con il pro­fitto quale rimunerazione dell’astinenza, con il lavoro che viene « pagato con la ragione media delle mercedi », mentre il di più « è un dono spon­taneo della natura» (p. 130), e giungiamo ad una delle più significative teorie di Senior: l’estensione del concetto «di rendita « a tutto ciò che si ottenga senza alcun sacrificio; o, ciò che vale lo stesso, al di là della rimu­nerazione dovuta ad un sacrificio » (p. 91).

Come ha già notato Cannan, a proposito di Stordì da cui forse per primo origina questa estensione del concetto di rendita, sta a base di questa teoria il desiderio « di rafforzare la dottrina che il valore dipende da pena e sacrificio » (9) e nel libro stesso della Bowley ne troviamo d’altronde esposta la connessione con la considerazione di costi reali in riguardo ai problemi del valore.

La teoria dello scambio tra merci — che è poi teoria del valore — viene così posta in relazione con la teoria della distribuzione tra i proprie­tari degli agenti di produzione; e mentre i termini salario e profitto sono riservati a quei redditi, o a quella parte dei vari redditi, a cui corrisponda un sacrificio reale di lavoro e di astinenza, il termine rendita sarà applicato non solo alla rendita della terra, ma a tutti quei redditi alla cui base stiano sia eccezionali talenti, forze straordinarie della mente o del corpo, o la buona fortuna nei traffici; e che sono chiaramente un sovrappiù in confronto alla « ragione media » dei profitti e delle mercedi.

(8) Sch u m peter , Das Wesen und der HatiplinhaJl der teoretischen Nalionalotonomie*

Leipzig, 1908, p. 408.(9) Cannan, A Revietv of Economie Theory, London, 1950, p. 314.

9, III.

126 MARIO LAMBERTI

Qualcosa insomma che come la teoria del monopolio riguardo al costo di produzione, possa rinchiudere tutte quelle eccezioni alla dottrina nor­male, che Senior era troppo acuto per non scoprire e troppo amante della precisione per non cercare di sistemare compiutamente.

Ma allo stesso modo che le considerazioni sul monopolio, sulla do­manda e sul costo di produzione per il consumatore, non venivano ad an­nullare la dottrina fondamentale del valore, così la dottrina della rendita, che non entra nel costo di produzione, non contrasta, anzi conferma l'in­dagine di quei costi reali per cui i profitti e i salari, a differenza della ren­dita, vengono ad essere limitati tra un minimo ed un massimo. E non ci sarà poi da meravigliarsi se in pratica Senior ha fatto ben poco uso di que­sta nuova divisione dei redditi, e ha finito per seguire le linee tradizionali, con il concetto di rendita applicato solo al reddito terriero.

Maggior luce forse, nei riguardi anche dello stesso Senior, portano quelle considerazioni che lo condurranno, nella seconda serie di lezioni ad Oxford, a trattare la terra non come un separato fattore di produzione, ma come una particolare specie di capitale, a rinnegare anzi l’opportunità di usare il termine stesso di rendita che prima aveva così grandemente esteso; contraddizione d’altronde che è prevalentemente formale.

Per chi non abbia avuto opportunità di leggere i manoscritti di Senior e debba basarsi solo su quanto di essi è stato pubblicato in un modo fram­mentario ed in tutto arbitrario, è difficile farsi chiara un’idea del progresso innegabile che la seconda serie di lezioni ha sulla prima serie, raccolta poi in parte nella « Politicai Economy ».

Pure sembra che in quella concezione per cui « la più gran parte di quanto chiamiamo rendita è semplice profitto sul capitale impiegato a porre in coltivazione la terra », mentre, « il rimanente è dono non della natura ma di tuono polio, non di abbondanza ma di scarsità; ed esiste ogni qual­volta uno strumento di produzione non accessibile universalmente è impie­gato, e si rivela nei profitti e nei salari ogni volta che gli uni o gli altri sal­gono sopra la media generale» (10), sia, nella apparente contraddizione, un approfondimento del primitivo concetto, che si avvicina già alla quasi- rendita marshalliana.

Rimane la concezione dei costi reali che spiegano la « media generale » dei profitti e dei salarii, ma si delinea un concetto, non ben chiaro ancora

(10) Senior, Industrial Efficiency and Social Economy, edited by S. L. Levy, New-York, 1928. Vol. I, p. 149.

/

L N TEORICO E STORICO DEL CAPITALISMO 127

all’autore, che unisce i redditi dei fattori alla loro produttività. Così come altrove vedremo poste nella durata dei beni, nella celerità e regolarità della loro produzione, e nella quantità di capitale fisso necessario alla produ­zione, le cause pei cui il valore di un bene non si conforma al suo costo di produzione.

£ quella concezione del tempo, per cui l’astinenza, sacrificio del pre­sente al futuro, è vista in ragione del suo impiego produttivo, in cui a un risultato immediato è preferito un risultato lontano, che sarà tanto più importante quanto più « le forze del lavoro e degli strumenti produttivi di ricchezza possono indefinitamente accrescersi, coll’uso dei loro prodotti come mezzo di ulteriore produzione » (p. 26). Affermazione che verrà posta da Senior come una delle proposizioni fondamentali della scienza, mentre potrà poi descrivere in modo quasi perfetto il processo stesso di produzione.

Nello stesso modo, la teoria dei salari, intesa come una teoria del fondo di sussistenza, avrà in sè elementi che metteranno in relazione i salari totali con la produttività del lavoro; e se siamo ancora distanti da una teoria della produttività marginale, qua e là affiora chiara, anche se poi è oscurata dal trattamento inadeguato e condotto secondo gli schemi tradizionali, l’idea che il valore dei fattori dipende dal valore del loro prodotto.

£ uno dei più grandi meriti, mi pare, del libro della Bowley l’aver po­sto la storia delle dottrine dei salari su basi nuove, mettendo in chiaro l’ele­mento di produttività che era implicito in quella teoria che sarà poi chia­mata di sfruttamento.

Ancora qui Senior non si stacca tuttavia fondamentalmente dalla teoria tradizionale, come appare dal suo considerare che il sacrificio di lavoro viene pagato « dai salari medii », mentre solo il di più è rendita, e dal suo insuccesso nel tentativo di spiegare le cause che determinano il rapporto tra il numero dei lavoratori impiegati a produrre « salari » ed il numero di quelli impiegati a produrre « profitti ».

Non se ne stacca, anche se poi, come dice Taussig, egli rivelerà « il fatto fondamentale che tutta ¡la produzione viene dal lavoro » e spazzerà via il concetto di una indipendente produttività della terra o del capi­tale (11); ed anche se non si possa negare l’importanza del concetto di produttività da cui contemporaneamente dipendono il fondo di sussistenza ed i salari, e del suo tentativo di inserire i salari nella totalità del pro­cesso di produzione.

( I l ) T aussig, Wages and Capital, London, p. 200.

123 MARIO LAMBERTI

5. — Siamo venuti così a caratterizzare quanto forse vi è di più tipico in Senior: quel suo rimanere nella linea tradizionale dell’economia del suo tempo, perfezionatore anzi della teoria del costo di produzione, e insieme l'essere tutto pieno di idee nuove, che non riesce, e neppure forse vuole, a coordinare in una nuova visione della teoria economica. Si capisce così come da un lato si sia tentati di considerare Senior solo quale il più acuto e brillante tra gli epigoni della scuola classica; laddove dall’altro lato Fer­rara notasse già come egli «senza esagerare pretese di originalità» (12) fosse originale di fatto, ed ora il nuovo libro apparso su di lui lo dichiari innovatore e capo scuola.

Se il libro della Bowley ha il merito grandissimo di portare alla luce quanto in Senior vi era di nascosto e di svelarci quanto fecondi siano stati i germi del suo pensiero, oserei dire che la grandezza di Senior rimane pur sempre nei rapidi saggi intorno a problemi particolari e nell’intuizione geniale e frammentaria, che egli non avrà poi la forza o la costanza di por­tare a compimento.

Così nella dottrina del commercio estero il tentativo di sviluppare le premesse ricardiane in uno studio del sistema internazionale dei prezzi ri­marrà incompleto, per quella stessa incapacità che gli aveva impedito di coordinare la teoria dei salari in una organica teoria della distribuzione, e gli aveva fatto lasciare incompleta la stessa teoria del valore.

La qualità migliore di Senior, quella che lo distingue da quasi tutti i suoi contemporanei e ne rende ancora oggi fruttifero lo studio, era forse quel senso realistico; quello storicismo attivo, che sempre accompagnava in lui lo studio della teoria, e non era mai fine a se stesso, bensì parte inte­grale della indagine teorica.

Le origini del capitalismo trovano in Senior un indagatore più pro­fondo che non quasi tutti gli pseudo storici di mestiere, e — sulle orme di Say — la figura dell’imprenditore è posta nella sua caratteristica impor­tanza storica, appunto perchè ne sono più salde, che non di solito negli eco­nomisti ortodossi, le basi teoriche connesse con l’elemento attivo implicito nell’astinenza, che non è semplice risparmio, e col concetto di produttività nel tempo.

Questo teorizzatore dell’economia come scienza non di precetti, che ha per oggetto non la felicità o il benessere, ma la ricchezza, nettamente sepa­rata da un’arte o dalle arti economiche, risolve così nell’unità della sua con­

t i 2) Ferrara, op. cit., p. 474.

•I/

UN TEORICO E STORICO DEL CAPITALISMO 129

cezione teorico realistica, l'apparente contraddizione di aver poi fatto della teoria economica una scienza che ha per scopo lo studio della « mente umana » nella sua determinatezza storica, avvicinandosi alla concezione della economia pura come scienza storiografica.

Il senso storico di Senior d’altronde apparirà chiarissimo nelle sue let­tere a Malthus e negli studi sulla popolazione in cui contro la dottrina del­l'epoca, ma in ossequio alla verità, potrà affermare che in circostanze nor­mali i mezzi di sussistenza tendono a crescere più rapidamente della popo­lazione.

Forse pochi economisti dell'epoca classica hanno contribuito allo studio del passato con pagine più limpide di quelle in cui Senior descrive il si­stema mercantile, gli effetti di una politica regolatrice, o le inflazioni mo­netarie. Pur nei limiti della sua concezione commerciale liberista, esse sono esempio della sua capacità di ritrarre gli avvenimenti e le situazioni alla luce di un'idea; convalidata, come si è già accennato, da una acuta indagine teorica sulla domanda e sul costo della moneta. Forse questa è la parte più caratteristica di Senior, anche se non può essere valutata completamente all’infuori delle precise teorie di volta in volta sostenute, e di cui ho ten­tato di dar conto precedentemente.

Un saggio anche breve su Senior sarebbe però incompleto se mancasse un accenno alla posizione teorica di Senior, riguardo al problema dell'in­tervento dello stato nell’economia e al pratico atteggiamento che egli ebbe di fronte ai più importanti problemi economici del suo tempo.

Nella paziente indagine sullo sviluppo del pensiero di Senior nelle di­verse tappe della sua vita, la Bowley pone chiaro come già alla fine del suo primo periodo di Oxford, Senior fosse giunto ad una differenziazione tra l’analisi economica della libera concorrenza e i problemi politico morali impliciti nel laissez faire\ e come nel suo secondo periodo porrà tra i do­veri del governo quello di intraprendere tutto quello che può condurre al benessere della comunità, cosicché la negligenza e la mancanza di inter­vento, dove necessario, possono essere colpa per il governo tanto quanto l’intervento fuori posto. Pensiero tipicamente espresso nella affermazione che : « l’unica saggia, l’unica morale condotta, in un individuo come in un governo, è di far tutto quello che è giusto, e di opporsi a tutto quello che è errato » (13); teoria che certo si differenzia dal prevalente benthamismo, anche se non può essere ignorato il momento intervenzionista implicito in

(13) Shnior, On National Property, p. 108.

130 MARIO LAMBERTI

Bentham, e se solo da superficiali critici si è potuto esagerare il rigidismo liberista degli economisti classici.

Ma queste posizioni teoriche non possono essere allargate, mi pare, a fare di Senior quasi il precursore di uno scettico riformismo post-keyne- siano. Non così, in luogo di giustificare o condannare sentimentalmente, potremo storicamente comprendere, la sua opposizione alla legislazione ope­raia, che lo condurrà all'assurda e superficialissima teoria dell'ultima ora di lavoro come sorgente del profitto, la sua attività notevolissima per la ri­forma della legge sui poveri che era sopratutto opposizione alla « Settle- ments Law », e il suo progetto di legge contro le organizzazioni operaie; ma insieme la sua richiesta di intervento statale in problemi di educazione, di lavori pubblici e di assistenza e la sua indipendente attitudine a difesa dei cattolici in Irlanda. Le « Letters on thè Factory Act », coi loro errori di fatto e di ragionamento, non fanno certo molto onore a Senior. Ma si è stati forse ingiusti con lui, pensando che fosse insensibile agli orrori del nascente industrialismo. Senior era contrario all’intervento dello stato, per­chè lo credeva inutile o di poco giovamento; egli pensava, con Franklin, che: « il miglior modo di far del bene ai poveri non è di render loro co­moda la povertà, ma di farli uscire, anzi liberarli dalla povertà» (14).

La posizione di Senior su questi argomenti era espressione di quel libe­rismo non esclusivamente economico che trovava la sua ultima base non in una concezione teorica, ma in un credo politico e in un convincimento mo­rale. La sua stessa incapacità di comprendere quello che era il travaglio di nascita di un nuovo movimento storico, il suo liberalismo conservatore che gli farà vedere nel proprietario terriero una specie di vicario della provvi­denza, erano le ombre e le limitazioni di un convincimento, che era stato come « religione dell’umanità » l’espressione e la forza di un intero secolo, e in cui vibrava, basato sul rispetto per l’individuo, il senso della dignità umana.

È una .visione della vita ¡a cui si connette la posizione pratica di Senior, e si capisce così come per Senior « il momento in cui i salari cessano di essere un contratto, in cui il lavoratore è pagato non secondo il suo valore, ma secondo i suoi bisogni, egli cessa di essere un uomo libero » ( 15), e come possa ripudiare la legge sui poveri quale « tentativo di unire gli inconcilia-

(14) Per una confutazione della teoria dell'ultima ora di lavoro di Senior, oltre a quanto citato nel libro qui recensito, vedi W icksell, Leclures on Politicai Economy. London 1935, voi. I, p. 194.

(15) Senior, Three lecturas on thè Rales of W'ages, p. X.

/A. f

//

UN TEORICO E STORICO DEL CAPITALISMO 131

bili vantaggi della libertà e della servitù» (16), mentre l’intervento dello stato, creatore di monopoli, nella sfera della produzione sarà da Senior visto come un tentativo di sacrificare i consumatori « agli interessi o pretesi in­teressi di una classe o di una sezione di una classe» (17).

Nello stesso modo quando dirà che sul mercato ognuno sa di ottenere « il valore dei propri servigi» (18), Senior non vorrà stabilire una teoria della produttività marginale dei vari fattori, ma semplicemente esprime la sua fede nella efficacia fondamentale della libera concorrenza a fare si che ciascuno ottenga quanto gli è dovuto ; anche se poi la sottintesa definizione di « quanto è dovuto a ciascuno » sarà semplicemente quanto ciascuno ot­tiene in libera concorrenza.

Se vedremo Senior — storicamente — in questa luce, ne comprende­remo meglio i motivi, e non ci sentiremo obbligati a moraleggiare sulle posizioni pratiche, più. o meno accettabili, che di volta in volta può aver preso; mentre gli stessi suoi problemi teorici d’altronde, se non il modo di risolverli, escono dal medesimo ambiente sociale e intellettuale, che non è qui il caso di indagare più a fondo, ma di cui era parte attiva questo teorico di prim’ordine, storico e uomo pratico, « portavoce della borghesia intel­lettuale », come lo chiamerà Marx (19), che forse non è stato senza in­fluenza sul realismo liberista di Cavour (20).

Mario Lamberti.

(16-18) Senior, Three lectures on thè Ratei of W'ages, p. X.(17) Senior, The Budget of 1842, p. 8.(19) M a r x , Dai Kapital. Voi. I. Vedi giudizio su Senior nel « Personen Registcr ».(20) Come indicazione della influenza che Senior ha avuto su Cavour, con cui era in

rapporti di amicizia, si possono vedere sopratutto il resoconto, scritto da Cavour, della prolu­sione di Ferrara (Sul discoro proemiale del corso di economia politica del Professore Ferrara, in « Ouvrages politiques economiques par le comte de Cavour », Coni, 1855, a p. 185) ed il riassunto compilato dal Cavour del rapporto della Commissione sulla legge dei poveri. ( Extrail du Rapport des Commissaires de S. Al. Britannique, etc., Turin, 1835). Senior, pro­fondamente liberale, era amico di molti patrioti italiani del risorgimento; fra gli altri fu in­timo del conte Giovanni Arrivabene, profugo e condannato a morte in contumacia, che riordinò, tradusse e per primo pubblicò nel '36 la Politicai Economy. Ad indicare il realismo dell'eco­nomista inglese può essere interessante rievocare un caratteristico episodio raccontato dall'Ar- rivabene : « Egli era uomo posato ; scandalizzò grandemente la marchesa Arconati, donna coltissima, dicendo che non dava molta importanza ai principii ». (G iovanni Arrivabene, Memorie della mia vita, Firenze, 1880, voi. I, p. 192).

Una disputa a torto dimenticata fra autarcisti e liberisti.

1. — La scrittura riprodotta nel paragrafo che segue era probabilmente destinata ad una delle riviste letterarie che verso la metà del secolo XVIII si pubblicavano in Italia, forse, per ragion di luogo, al « Giornale dei let­terati », che i fratelli Pagliarini, seguitando le « Notizie letterarie », pub­blicavano in Roma. Trattasi di una che ora si direbbe « recensione », ed allora « notizia », della seconda edizione della ai tempi suoi celebratissima dissertazione sul commercio di Girolamo Belloni. Perchè la notizia non abbia veduta la luce non è facile arguire. Forse gli editori del « Giornale » che erano quelli stessi della dissertazione belloniana non desideravano, no­nostante gli elogi di cui il recensente è largo, far conoscere in Italia le cri­tiche alle quali la tesi del Belloni era stata assoggettata in Francia.

La notizia parve a me curiosa, perchè ci mette sottocchio una disputa, che sembra d’oggi, tra autarcisti e corporativisti impersonati nel marchese Belloni e nel redattore del « Journal Oeconomique » di Parigi e liberisti ed individualisti rappresentati dall’anonimo autore della lettera al redattore del « Journal Oeconomique ». Le tesi allora sostenute ed i metodi tenuti nel difenderle non differiscono gran fatto dalle tesi e dai metodi logici ad ugual proposito oggi messe innanzi ed usati.

Riproduco il manoscritto con le sole varianti richieste dalla punteg­giatura e dalla ortografia insolite per noi e dalla opportunità di segnalare con virgolette i brani che il recensente, seguendo il costume d’allora, copiava dal suo autore senza distinguerli dalle proprie aggiunte. Poiché l’edizione del 1757 della dissertazione del Belloni non corre comunemente per le mani

132 / j )

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L. hiNAUDI - UNA DISPUTA FRA AUTARC1ST1 E LIBERISTI 133

degli studiosi, i miei rinvìi, eccettochè per la lettera dedicatoria al re Carlo Emanuele III non più ristampata, si riferiscono alla ristampa curata dal barone Custodi nel tomo II della parte moderna degli « Scrittori classici italiani di economia politica ». Le poche note sono mie.

2. — Del commercio, dissertazione del marchese G irolamo Belloni, in Roma, 1757, nella tipografia di Pallade, presso Nicolò e Marco Pagliarini. Un voi. di pp. XX-154. (1)

Dopo i tanto elogi che della dissertazione deH'Illustre marchese Belloni si les­sero stampati nelle più divulgate effemeridi letterarie europee parrebbe inutile altra notizia di essa. Gli industri stampatori hanno già dato in luce pochi anni or sono l ’estratto degli elogi medesimi; ed or nuovamente nella prefazione indirizzata all’in­genuo lettore ci offrono l’elenco delle replicate ristampe di Livorno e di Bologna c delle traduzioni di Avignone, di Parigi, di Londra e di Lipsia con le quali l'opera dell'insigne autore fu divulgata, con sommo plauso, nelle oltramontane contrade. Tra gli elogi basti menzionare quello del sublime e celebratissimo Pietro Metastasio, gran lume della letteratura e della poesia del nostro secolo, il quale diede sopra la dissertazione del marchese Belloni, sebbene cosa aliena dal poetico istituto, un giudi­zio che vogliamo, seguendo in ciò l’esempio degli stampatori, qui registrare, persuasi di fare grata cosa ai nostri leggitori :

« Ho, » — scrive egli al marchese — « regolarmente ricevuta, avidamente trascorsa e attentamente riletta l’utile quanto bella dissertazione di cui è piaciuto a V. S. di farmi dono. La semplicità e la solidità de' principi, la chiarezza dell’ordine e la necessaria catena delle idee che si producono con mirabil naturalezza l'una dall’altra, mi hanno reso in pochi mo­menti cittadino di un paese in cui ero affatto straniero; e me ne hanno delineata nella mente una carta topografica così esatta e distinta, che fidato alla sicura notizia delle vie principali nelle quali deono tutte le altre far capo, parmi già di essere in ¡stato di correre ardi­tamente per tutto senza timor di smarrirmi. Animato da questa lettura ho voluto intraprender quella d'alcun altro de' più accreditati libri su la stessa materia, ed ho trovato che tanto questi s'affaticano a rendere oscura la chiarezza quanto il suo riesce a render chiara l'oscu­rità. Me ne congratulo seco c con la mìa patria c desidero ch’ella non si stanchi, procurando l'utilità pubblica, di accrescere il meritato tributo della sua gloria privata ».

Se mirabile fu il conseguito risultato di aver fatto meditare financo l’eccelso poeta cesareo su quella scienza della moneta la quale è universalmente tenuta per aridissima, più larga messe di plauso incontrerà la nuova edizione della celebrata scrittura, arricchita come essa è, da una preziosa lettera intorno alla moneta imma­ginaria, difficilissima materia e degna di aver attratta l’attenzione di uno sperimen­tato banchiere quale è il signor marchese Belloni. In questa lettera egli si industria a distinguere accortamente fra la moneta effettiva la quale corre nel commercio in conii d’oro e d’argento — e questa egli chiama 'reale e giustamente la dice sottratta alla estimazione del principe, sì bene apprezzata dal commercio secondo l’intrinseco

(1) Il prezzo non era ricordato nel manoscritto, nè lo veggo sulla copertina muta della copia della seconda edizione del Belloni da me posseduta.

134 LUIGI EINAUDI

suo contenuto in metallo fino — ; e la moneta di banco, la quale gira per scritture in banco ed è dall'autore detta immaginaria perchè non coniata in effettivo metallo, ma fatta nelle scritture del banco uguale ad un contenuto fisso di oro e di argento quale fu stabilito in altri passati tempi e più non mutò, mentre mutava il contenuto della moneta reale. L’autore bellamente mostra il divario esistente fra la moneta immaginaria di cui il contenuto in fino rimase fisso e la moneta reale, il contenuto della quale è ora qua del 6 e là del 10 per cento od altrimenti più basso; e sapien­temente dichiara le ragioni del variare del divario medesimo. L’appetito del leggitore resta aguzzato da cosi ghiotta imbandigione; sicché vien fatto di rivolgere al prati­cissimo autore la domanda di volerci, ad occasione di una nuova edizione del libro, spiegare quale sia l'indole di un’altra qualità di moneta, nella quale in talun paese si traducono amendue le monete da lui illustrate: sia quella reale corrente in effettivo fuori di banco sia quella immaginaria girante nelle scritture di banco. Tenendosi i conti, a cagion d’esempio, qui nella capitale della cristianità, in scudi da 100 ba­iocchi, e gli zecchini d’oro essendo apprezzati, se reali, 2 scudi e 15 baiocchi, se immaginari del banco di Venezia 2 scudi e 30 baiocchi, facilissima cosa è definir gli scudi; chè questi sono una moneta d’argento reale, corrente in effettivo fuori banco. Ma vi son piazze, come Parigi, nelle quali i conti tengonsi, ad esempio, in lire da 20 soldi; ma si coniano i luigi d’oro, detti da 24 lire e gli scudi d’argento, che se nuovi valgono 6, se piccoli 3 lire; nè si fanno giro-conti in moneta immagi­naria. Che cosa sono le lire, nel sapiente consiglio del sullodato marchese? Non le diremo monete reali chè esse non sono coniate; non immaginarie, poiché non esiste banco-giro sul quale possano farsi pagamenti. Se questa è una terza specie di moneta come chiamarla? se no, la diremo reale od immaginaria?

Ecco un bel problema, degno oggetto di studio per l’insigne uomo, i cui me­riti di scrittore furono già riconosciuti dalla Santità di Nostro Signore Benedetto XIV, al quale la prima edizione della dissertazione era stata dedicata, col meritatissimo titolo di marchese e sarà nuovamente per fermo compensata con nuova distinzione da Carlo Emanuele felicemente ora regnante in Sardegna, alla cui Sacra Maestà l’autore dedica la nuova edizione. Par quasi invero che la Divina Provvidenza abbia voluto incarnare in quel saggio Re il modello di sovrano, ognora intento, come il nostro autore dice, « a procurare de’ suoi sudditi la pubblica felicità ».

« E qui non parlerò io già » — dice egli nella Epistola dedicatoria — « delle nobili, e magnifiche opere compiute, nè di quella ordita già ed intrapresa di un comodo porto per la facilitazione del commercio (2); non parlerò di tante nuove fabbriche erette, e fondate per sempre più animare, e promuovere le manifatture; tacerò altresì gli aiuti dati in ogni tempo ai sudditi suoi, sicché con più coraggio, e maggiori speranze ancora di privato loro vantaggio, facessero quello anche del pubblico; tacerò il saggio pensiere di mandare la gioventù de’ suoi Stati in ¡stranieri Paesi, per apprendervi quelle arti, si liberali che meccaniche, le quali in essi maggiormente fioriscono; e nulla dirò finalmente della cura parimente vigilantissima, che mantiene di perfezionare nel suo dominio le utili arti, e le scienze, che alle cognizioni del commercio, ed al regolamento della società mirabilmente conducono, mediante lo splendore

(2) Il recensente allude al porto di Nizza, detto di Limpia dalla chiarità delle acque, il quale dopo essere stato approfondito e perfezionato da Carlo Emanuele III, era stato con editto del 12 marzo 1749 dichiarato portofranco.

/

UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA FRA AUTARC1ST1 E LIBERISTI 135

d e l le A c c a d e m ie e d e l le U n iv e r s i t à , c h e f a n n o ta n to o n o r e a l l a n o s t r a I t a l i a ; m i f e rm e rò u n i ­

c a m e n te s u l la p r o v v id e n z a d i r i t e n e r e in b u o n o r d in e il s i s t e m a d e l tra f f ic o , e d o g n i a l t r a

c o s a , c h e p r o p r i a e d u t i l e s ia p e r l o v a n ta g g io d e l c o m m e rc io m e d e s im o ; p e r lo c h e il f e l ic e

s u o d o m in io s e m p r e p iù c re s c e rà in m a g g io r p ro g r e s s o , l u s t r o e d e c o r o a p p re s s o d e ' p o s te r i ,

e d e l m o n d o t u t t o » (3 ) .

Quali siano le provvidenze più atte a far fiorire i commerci, sarà manifesto senz’altro a chiunque legga la dissertazione del marchese Belloni. Muove egli da principi! certissimi, che nessun uomo sennato saprebbe negare: che Io stato di ugua­glianza, o sia di equilibrio di un regno con gli esteri paesi, si abbia quando il com­mercio attivo sia pari a quello passivo-, che un regno rendasi dovizioso quando pre­valga il commercio attivo il quale reca fuor del regno generi di cose per uso degli altri dominj ; e che per lo contrario si impoverisca quando prevalga lo sbilancio per eccesso di cose introdotte da altri dominj in uso del regno medesimo (pp. 38-39). Come scansar l’impoverimento e crescer le dovizie del regno? A diversi spedienti debbono a tal uopo ricorrere i principi, dei quali qui menzioneremo i principali.

In primo luogo « facilitare talmente la condizione del viver degli abitanti che il mantenimento di essi costasse quel meno che sia possibile » (p. 94).

In secondo luogo « somministrare denaro ai sudditi e deputare inspettori atti per le nuove manifatture che si volessero introdurre » (p. 95).

In terzo luogo quando le merci semplici, a cagion di esempio sete e lane, nate nel regno fossero ridotte a manifatture « si dovrebbe far sì che nella loro estra­zione (4) dal regno fossero franche da qualsivoglia diritto » (p. 96); ed in generale « alleggerire i diritti sopra l’estrazione, quando, se così facesse d'uopo, tali diritti si dovessero interamente sacrificare » (p. 93).

In quarto luogo « franche parimenti dovrebbero essere quelle merci semplici che entrassero per esser manifatturate dalle mani de’ sudditi, e quelle ancora che servissero per nuove mode per intrecciare coi lavori di sete e di lane, come le lane forestiere più fine delle proprie, castori, pelli di cammelli, bambage, e altre si fatte cose, le quali conferissero all’utile ed alla perfezione delle manifatture, con fare ancora che al consumo delle nuove manifatture in uso proprio de’ sudditi non vi fosse imposizione » (pp. 96-97).

In quinto luogo dovrebbe ripararsi al discapito che, per ottenere piccolo gua­dagno all’erario coi dazi di entrata, proviene al patrimonio dei sudditi e del sovrano medesimo dalla introduzione delle estere manifatture; discapito grande perchè « non solo per questa via si toglie a’ sudditi la maniera d’industriarsi, nè mai fioriscono quelle opere e lavori che alletterebbero gli esteri a provvedersi nel regno di nuove manifatture, ma.... i sudditi medesimi rimangono privi della comodità di quelle per proprio uso.... Laonde per quel regno il quale si vorrebbe.... prefiggere come per esemplare di un buon regolamento economico.... dovrebbero proibirsi assolutamente le manifatture forestiere non necessarie. Che se poi le proprie manifatture per uso

( 3 ) I n to r n o a l l e c o n d iz io n i e c o n o m ic h e d e l P ie m o n te n e l l ’e p o c a n o s t r a e d a l l e in iz ia t iv e s ta t a l i e p r iv a te a p r ò d e l l ’in d u s t r i a e d e l c o m m e rc io , c f r . s o p r a tu t to d i G iu s e p p e P r a to La vita economica a mezzo il secolo X V III, T o r i n o , 1 9 0 8 .

( 4 ) È n o to c h e s o lo i n t e m p i r e c e n t i la p a r o la « e s p o r ta z io n e » h a s o p p ia n t a to q u e l la d i « e s t r a z io n e » la q u a l e p r im a e ra d a t u t t i in s u o lu o g o u s a ta .

136 LUIGI EINAUDI

de' sudditi, non fossero sufficienti e necessità volesse che l'estere fossero tollerate, in questo caso qualora fisso stia nella mente il proposito di far sì che da se stessi i sudditi si movano all'industria, e per approfittare dell’innata avidità che hanno gli uomini d'arricchire, la quale giammai non si estingue ma vieppiù sempre si ac­cresce.... dovrebbe la loro introduzione essere gravata di un sì rigoroso diritto che a poco a poco i sudditi stessi, lo che succederebbe in breve, venissero da loro me­desimi a desiderare la totale proibizione di esse » (p. 99-100).

Sapientemente avverte però il marchese Belloni che le provvidenze da lui proposte male potrebbero condursi al fine desiderato se nella direzione del com­mercio e delle manifatture non si ordinassero le cose a simiglianza di quel che si vede sì nella politica che nella militare sfera, cosicché anche in essa si dovrebbero introdurre « i suoi gradi distinti di sopraintendenza e di cariche proprie a dare a ciascheduna cosa un proporzionato regolamento » (p. 109). Ed all'uopo parrebbe molto proprio ed opportuno :

1° « si creassero prudenti magistrati i quali secondo la loro portata aves­sero l'ispezione di determinate materie » ;

2“ si aggregassero nel numero di questi « nobili, patrizi, banchieri e consoli delle arti ed in questo ceto qualunque cosa si dovesse proporre o ascoltare venisse discussa di comun parere » ;

3“ si prescrivessero leggi « per le quali si prestasse una fedele ubbidienza agli statuti de' consoli, e così mantenere esattamente quel tanto che da essi fosse prescritto e così conservare nel suo vigore quella regola che conduce all’avanza­mento delle professioni » ;

4° si accordassero « a quelli che amministrassero le predette cariche.... privi­legi, prerogative ed anche premio annuo di congruo assegnamento per conciliar più di stima alla profession del commercio e per maggiormente nobilitarla » ;

5° si ammettessero tutti quelli « i quali avranno intrapreso commercio grande sul mare e cogli esteri, e quelli che si impegneranno ad introdurre le arti e le mani­fatture e sì fatte cose nel regno.... agli onori c alle cariche civili e militari ; e quando i medesimi siano dell'ordine de’ nobili non si considerino in alcun modo pregiu­dicati nel loro grado» (p. 109-115).

Desta meraviglia che ad un piano tanto sapiente proposto alla paterna sol­lecitudine dei sovrani per promuovere, col concorso dei soggetti e dei corpi più qualificati, l'incremento dei commerci e delle manifatture siano state mosse opposi­zioni. Nella prefazione degli stampatori si faceva invero cenno di una lettera ano­nima inviata nel mese di aprile 1751 al Giornale economico di Parigi per sostenere principi contrari a quelli del Belloni, del quale si affettava nel tempo stesso di tessere grandi lodi. Tratto dalla curiosità di sapere quali opposizioni mai potessero farsi a massime tanto sagge del chiaro nostro scrittore, volli procurarmi il qua­derno dell'effemeride parigina e qui trascrivo (5) la lettera, della quale, per essere essa stampata anonima, non mi è dato conoscere l’autore:

( 5) N e l m a n o s c r i t to la l e t t e r a è r i p r o d o t t a n e l l a l i n g u a o r i g i n a l e f r a n c e s e . P o ic h é d i e s s a s i le g g e a n c h e u n a f e d e le t r a d u z io n e i n a p p e n d ic e a l l 'e d i z io n e c h e d e l B e l lo n i c u rò i l C u s to d i ( v o i . c i t . p a g g . 1 3 2 -4 0 ) r ip r o d u c o q u e s ta , in s e r e n d o t r a p a r e n te s i n e l l a l in g u a o r i -

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UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA FRA AUTARCIST1 E LIBERISTI 137

Signore,

Nel vostro giornale di marzo 1751 avete riferita una dissertazione del marchese Belloni sopra il commercio. Io l'ho Ietta più volte come uno scritto eccellente; esso è un compendio di ciò che è stato detto di meglio dai nostri moderni politici su questa materia, e contiene dei consigli ai sovrani per dirigere il commercio, le mani­fatture e la circolazione del denaro.

Non sarebbe però utile di prima esaminare se convenga di dirigere tutte queste cose con tanta diligenza ed attenzione, anziché di lasciarle procedere da sé (de Ies laisser aller d’elles-mêmes), limitandosi a proteggerle? Non poche opere generali e particolari si riducono a compimento ed a perfezione col mezzo della libertà; ognuno travaglia a suo piacere; la guida di ciascun uomo è l'onore e il profitto, e da tutto ciò risulta un gran tutto (un grand tout) che non è mai attendibile da una direzione generale. All'opposto se soverchia è la sorveglianza e l’inquietudine che perciò si dà il governo, e se i particolari lavori sono turbati da troppo estese e minute leggi, è facile di spaventare col rigor delle pene spesso mal applicate, o ricompensando ¡in­méritamente di sostituire l'intrigo all’emulazione. Molte cose procedono ancora me­diocremente solo perchè l'azzardo le ha sottratte finora alla pretesa polizia legislativa, la quale invece di promuovere i progressi li ritarda.

fi osservabile come il commercio ha prosperato nelle repubbliche fino a tanto che diverse cause politiche e da quello non dipendenti, quali sono le guerre, i debiti nazionali e le oppressioni, sono sopraggiunte a turbarne la prosperità. Quello pro­viene perchè le repubbliche hanno un'anima sempre sana ed attiva, cioè la libertà (ont une âme toujours saine, toujours active, qui est la libellé), la quale invece di offendere la pubblica podestà ne costituisce la forza, questa col reprimere il male pro­muove la giustizia distributiva, donde il bene sorge e s’innalza; insomma l'allon­tanamento degli ostacoli è tutto ciò che abbisogna al commercio (le retranchement des obstacles est tout ce qu’il faut au commerce).

Esso non domanda all'autorità pubblica se non che buoni giudici, repressione del monopolio, protezione eguale a tutti i cittadini, moneta invariabile, strade e canali ; tutte le altre cure sono viziose e tanto nuociono allo stato, in quanto che deri­vano da uno zelo malinteso, il quale ha dei partigiani nelle persone in autorità, onde il disinganno è opera de' secoli.

II commercio è la scienza de' privati, ma la direzione generale del commercio non può essere una scienza, essendo ciò impossibile. Scienze di questa natura, cioè inarrivabili noi ne ricerchiamo sovente, per esempio, il sistema generale del mondo, l'infinito, l’unione dello spirito colla materia, e tutto finisce con una perdita di tempo;

g in a l e a lc u n e f r a s i o p a r o le p iù c a r a t t e r i s t i c h e p e r la d i s p u ta . C o s i p u r e d a l l a v e r s io n e d e l C u s to d i t r a g g o i b r a n i d e l l a r e p l ic a c h e a l l 'a n o n im o f u f a t t a s e g u i r e n e l m e d e s im o n u m e r o ( a p r i l e 1 7 5 0 ) d e l « J o u r n a l O e c o n o m iq u e » d a l r e d a t to r e d i q u e s to . C h i s ia n o i l r e d a t to r e e l 'a n o n im o s i d ic e p iù o l t r e n e l te s to .

138 LUIGI EINAUDI

ma questi errori in politica lasciano per lungo tratto una serie di rovine e di sciagure per i sudditi. È certo che per ben conoscere questa direzione del commercio non ba­sterebbe d’essere informati de’ vicendevoli interessi delle nazioni, delle provincie, delle comunità, ma si dovrebbero sapere tutti quelli ancora de’ particolari, e la quan­tità e il prezzo di ciascuna mercanzia. Chi s’ingannasse in un punto potrebbe anche errare nel resto, dirigerebbe male e farebbe cattive leggi. E chi potrà pretendere a questa intiera ed universale capacità? La scienza non è innata; con tutto ciò i diret­tori del commercio se l’arrogano; e se iq ciò s’ingannano o se consultano più i loro capricci che i loro lumi, è forza che risultino leggi vessatorie e ingiusti favori. Tal­volta il consiglio di commercio d'una nazione o d’una provincia non vede g l’in­teressi comuni che per l’organo di alcuni deputati ; e questi persuadono ciò che giova alle loro città e sovente a se medesimi, quantunque sia di detrimento agli altri citta­dini; e non è quindi raro che si abbia a temere d'innalzare chi è grande a danno dei deboli, e così di sbandire l'eguaglianza.

Si narra che il sig. Colbert avendo convocato molti delegati del commercio presso di sè affine di richiedere loro ciò che avrebbe potuto fare per incoraggire quest'industria, uno di essi più ragionevole e meno adulatore gli rispose questa sola parola lasciateci ¡are (par le seul mot : Laissez-nons faire). Non si è ancora fatta ba­stante riflessione al gran senso di questa risposta; un saggio di commentario di essa è la presente lettera.

Applicatela a tutto ciò che si fa per il commercio, e che principalmente nelle monarchie lo distrugge, ed esaminatene gli effetti : vi accorgerete tosto del poco frutto che si ricava dalle tante cure di vessazioni, d’ispezioni e di regolamenti; le repubbliche hanno avanzato il loro commercio quasi senza leggi e senza vincoli, più che altrove sotto i più grandi ministri; l’istinto dell’ape è in questa parte più utile che il genio de’ maggiori politici, e il capitale di un tale stato si accresce giornalmente col mezzo dell’economia, dell’agricoltura, dell’industria, del cambio, delle manifatture e di tutto ciò che s’intende per commercio.

Dal mediocre al meglio, e dal meglio al perfetto si sale successivamente per gradi, e la moltitudine vi si ¡porta da sè colla guida delle vicendevoli relazioni, del­l’esempio e delle emulazioni, nè mai s'inganna quando si lascia fare; ma quando si pretende d'insegnarlc il cammino e di dirigerla, guai a colui che ingannandosi è causa che si trascuri il necessario per passare al superfluo innanzi tempo! Senza no­minare alcuna nazione, quanti errori di tal sorta distruggono l'umanità! Quante co­lonie popolate a spese del continente! Quanta abbondanza in alcuni luoghi e deser- zione in altri! Quante arti ammirate mentre si trascurano altrove i doni della natura! Quanti palagi dorati, statue e moli superbe contigue a terreni incolti e villaggi ab­bandonati ! Ecco ciò che ha prodotto la gran scienza del commercio.

Il marchese Belloni vuole che si cavi profitto dalle dogane coll’aggravare più una merce che l’altra, escludendo per tal modo le mercanzie straniere e promovendo

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UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA ERA AUTARCISTl E LIBERISTI 139

le nostre col minor carico d’uscita. Questa pratica è pur troppo nota in Europa; ma la nazione che prima la segui ha necessariamente prescritto quest’esempio alle altre: quindi ciascuno ha voluto fare la stessa ingiuria al diritto delle genti per non esser solo a soffrirne: si proibiscono in un paese le manifatture de' suoi vicini affine di non divenir a quelli tributari, e per tal modo gli europei a forza di raffinar sul commercio lo rompono vicendevolmente, onde in piena pace soggiacciono a tutti gli effetti di una guerra universale. Ma questa condotta non è già consigliata dal bene del com­mercio, bensì dall’utile particolare che spesso pur troppo prevale sull’utile pubblico. Solo che si lasci fare la moltitudine, sarà pronto il disinganno con gran profitto della società; sarà allora provato che il passaggio delle mercanzie da uno stato ad un altro dovrebbe esse^ libero egualmente come quello dell'aria c dell'acqua (que le passage des marchandises d’un état à l’autre devrait être aussi libre que celui de l’air et de l ’eau). Tutta l'Europa dovrebbe essere una fiera generale e comune (toute l’Europe ne devrait être qu’une foire générale et commune) ; l’abitante o la nazione che meglio farebbe troverebbe meglio, e profitterebbe di più. La distanza e le spese di trasporto bastano a far preferire le derrate del proprio paese a quelle degli altri; e dove cessano questi ostacoli, lo straniero è preferibile al nostro compatriotta, altrimenti voi rovi­nate i vostri sudditi nel loro commercio in luogo di favorirlo. I carichi delle dogane lo regoleranno sempre male, e la finanza non dovrebbe esigere altre tasse se non quelle sulle consumazioni, giacché le altre sulle tratte comunque siano intralciano sem­pre il commercio.

Ma tali sono la presunzione e l’amor proprio negli uomini, che preferiscono un miglior profitto ottenuto con astuzia o con malizia a tuttociò che la natura e l’uma­nità offrono loro in maggiore abbondanza, ma schiettamente. La ragione però non fu loro data per dominare, bensì per regolare la libertà; e pur troppo una libertà retta ed illuminata sarà sempre più utile al commercio di una nazione che il più intelligente comando, mentre un sol uomo vede più chiaro negli interessi del suo commercio e me­glio li conduce, che non farebbero dieci associati i di cui interessi sono sempre divisi e spesso contradicenti. Se egli eccede, usurpa o nuoce agli altri, questi lo trattengono e lo reprimono col braccio della giustizia : ecco ciò che costituisce l'egualità, la po­lizia e la bilancia conveniente al commercio. I legislatori non possono che confusa- mente vedere tanti diversi interessi. Invece la libertà arricchirebbe i negozianti, che secondo i loro talenti divenuti più o meno ricchi promoverebbero la perfezione delle loro fabbriche. Tutti i regolamenti che si son fatti per le manifatture non dovrebbero essere altro che consigli per quelli che cercassero questa perfezione, per egual modo come i nostri libri di arti e di scienze. Fa d'uopo di ogni sorta di gradi di bontà alle manifatture, a misura del gusto e dei mezzi dei compratori; l ’imperfezione e la frode screditano il fabbricatore, mentre la diligenza e la buona fede lo mettono in voga e lo arricchiscono. Questo è ciò che reclama la libertà, invece delle leggi penali delle angherie e delle proibizioni, il di cui naturale effetto è sempre di scoraggire.

140 LUIGI EINAUDI

Il commercio non è in se stesso che un’idea astratta conosciuta da poco tempo, per egual modo che Ja circolazione e il credito. Sembra che noi ci figuriamo delle nuove divinità per adorarle come i greci ; ma i nostri padri meno idolatri, meno filo­sofi e più saggi erano più ricchi mediante la loro economia c il loro travaglio, di quelle che lo siamo noi con tutte le nostre scienzq del cambio, della sensaria e del­l'agio. Forse i nostri posteri disingannati dall'esperienza si moveranno a riso pensando alla malattia che spinge attualmente molte nazioni d’Europa a voler ridurre in sistema i principi del commercio (de vouloir rédiger en système Ics principes du commerce), e la metteranno nello stesso rango che noi ora assegniamo alle crociate, e che daremo fra poco alla follia dell’equilibrio politico d’ Europa.

Alla lettera critica fu data subito risposta nel quaderno medesimo dal redat­tore del Giornale economico, al quale dolse assai che all’autore di un piano di governo economico con tanta dottrina studiato si opponessero proposte non di ordi­namenti più perfetti, ma quasi di distruzione di quei qualunque regolamenti anche imperfettissimi che per avventura fossero stati nei diversi paesi introdotti. Ammo­nisce il redattore che la dissertazione del marchese Belloni è:

« ¡1 f r u t t o n o n d i u n a o z io s a s p e c u la z io n e m a d i u n p r o f o n d o s tu d io e d i u n a d o t ta

p r a t i c a ; i s u o i l u m i h a n n o in d a g a to le c a u s e d i c iò c h e la s u a e s p e r ie n z a g l i h a f a t t o c o n o ­

s c e re , e d e g l i n o n h a c o m in c ia to a s c r iv e r e se n o n d o p o d i a v e r e s c o p e r to il r a p p o r to d e '

p r in c ip i c o ' lo r o e f f e t t i , e c o m e g l i u n i d e r iv a s s e ro n a tu r a lm e n te d a g l i a l t r i » ( p p . 1 4 1 -4 2 ) .

Il redattore protesta contro la preferenza dimostrata dall’anonimo per le re­pubbliche ;

« B is o g n a c h e le v o s t r e r e p u b b l ic h e q u a s i s e n z a le g g i a b b ia n o u g u a lm e n te f a t t o p r o ­

s p e r a r e i l v o s t ro c o m m e rc io q u a s i s e n z a in te l l ig e n z a , g ia c c h é a s s e r i t e c h e q u e s ta è im p o s s ib i le .

V o i d i t e c h e il c o m m e rc io « è la s c ie n z a d e ’ p r iv a t i , m a c h e la d i r e z io n e g e n e r a l e d e l c o m m e rc io

n o n p u ò e s s e re u n a s c ie n z a , e s s e n d o c iò im p o s s ib i le » .

T a n t o v a r r e b b e d i r e :

« l a g u e r r a è la s c ie n z a d e ' s o ld a t i ; m a la c o n d o t ta d e l l a g u e r r a n o n p u ò e s s e re u n a

s c ie n z a e s s e n d o c iò im p o s s ib i le » .

S e C u n a s c ie n z a è im p o s s ib i le , a n c h e è im p o s s ib i le l 'a l t r a .

V o i d i t e : « e s s e r c e r to c h e p e r b e n c o n o s c e re q u e s ta d i r e z io n e n o n b a s te r e b b e e s s e re

in f o r m a t i d e ’ v ic e n d e v o l i in te r e s s i d e l l e n a z io n i , d e l l e p ro v in c ie , d e l l e c o m u n i tà , m a s i d o ­

v r e b b e ro s a p e re t u t t i q u e l l i d e ' p a r t i c o l a r i , la q u a l i t à e il p r e z z o d i c ia s c u n a m e rc a n z ia » .

S e la v o s t r a p ro p o s iz io n e fo s s e v e r a , s a r e b b e a n c h e v e r o :

« c h e p e r d i r i g g e r e u n a g u e r r a n o n b a s te r e b b e d i p a r a g o n a r e le r i s p e t t i v e fo r z e d e l le

n a z io n i , d e l l e a rm a te , d e l l e f r o n t ie r e , m a s i d o v re b b e c o n o s c e re a n c o r a il g r a d o d i f o r z a e la

d i s p o s iz io n e d e ' s o ld a t i d e l le d u e a rm a te , e g u a lm e n te c h e la q u a l i t à e la p o r t a t a d e l l e lo r o

a rm i » . ( p a g . 1 4 4 ).

Se è manifestamente vano dimostrare l’impossibilità di una scienza della con­dotta della guerra, è dunque infelice, bene esclama il redattore, il tentativo di pro­vare l’impossibilità della scienza di una direzione generale del commercio:

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USA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA ERA AUTARCISTI E LIBERISTI 141

« P o ic h é e s s i v o g l io n o d e n a r o c h e s o lo p u ò e s s e re s o m m in is t r a to d a l c o m m e rc io , è

im p o r ta n t i s s im o a ' p r in c ip i d i v e g l ia r e a f f in e c h e i l c o m m e rc io f io r is c a n e ' l o r o s ta t i , e d i f a r

in m o d o c h e l 'a t t i v o s u p e r i il p a s s iv o ; a l t r im e n t i i l p o p o lo p r iv o d i d e n a r o , q u a n tu n q u e d i

b u o n a v o lo n tà , n o n p o t r e b b e p a g a r e i t r i b u t i a l p r i n c i p e ; e q u e s t i e s a u s to d i f in a n z e n o n

p o t r e b b e d i f e n d e r e il p o p o lo d a l le v e s s a z io n i d e l l e p o te n z e v ic in e . £ d u n q u e e v id e n te c h e

i l s o v ra n o d e e p r o m u o v e r e il c o m m e rc io e s te rn o , e s te n d e r e l ' i n t e r n o , i n c o r a g g ia r e l 'u n o e

l ' a l t r o e d i r i g e r lo a l b e n e g e n e r a l e d e l lo s t a t o ; e t u t t o c iò n o n p u ò e s s e r e e s e g u i to s e n o n

d o p o a v e r n e p r e s o u n a g e n e r a l e in f o r m a z io n e cy l m e z z o d e l le c a m e r e d i c o m m e rc io , l e q u a l i

s o n o a p p u n to s t a b i l i t e c o m e in te r m e d ie c o l p o p o lo p e r i n f o r m a r e il s o v r a n o e d a v e r c u r a

d e l l 'e s e c u z io n e d e ’ d i l u i o r d in i » ( p a g . 1 4 3 ).

Solo il commercio e specialmente l'estero commercio è capace di animare la circolazione del denaro col mezzo della consumazione,

« e n o n è m e n o e v id e n te , c lic i l p r in c ip e h a u n g r a n d is s im o in te r e s s e d i f a c i l i t a r l a ,

c in c o n s e g u e n z a d i a v e r l 'o c c h io s u l c o m m e rc io , c iò c h e n o n p u ò f a r e s e n z a p r e n d e r e u n a

c o g n iz io n e g e n e r a l e c d i r i g e r lo , n o n p e rò in o g n i s u o d e t t a g l io c o m e v o i s u p p o n e te , m a n e l la

s u a u n iv e r s a l i t à c o m e p r e s c r iv e il m a rc h e s e B e l lo n i » ( p a g . 1 3 1 ) .

Se il redattore è persuaso del vantaggio della libertà del commercio nell’in- terno di ogni regno, tanto evidente gli appare il danno di una uguale libertà rap­porto alle nazioni estere, da fargli ritenere impossibile che esso non sia convenien­temente apprezzato :

« P e r m e t te te l 'e n t r a t a d i t u t t e le s to f f e s t r a n ie r e d i s e ta e d i la n a , q u e s te f a r a n n o

d e c a d e re q u e l le d e l l ' i n t e r n o ; n é s i d ic a c h e la s t im a c h e f a n n o g e n e r a l m e n te g l i u o m in i d i

t u t t o c iò c h e v ie n e d a p a e s i lo n ta n i i n d u r r à g l i e s te r i a r i l e v a r e l e v o s t r e m e rc a n z ie . I l p a e s e

d o v e le m a te r ie s a r a n n o p i ù b e l le a v r à s e m p r e la p r e f e r e n z a , e q u e s to s i r i e m p i r à d i d e n a r o

a s p e s e d e g l i a l t r i . . . . Q u a n d o lo s ta to è e s a u s to d i d c n a i o , d o v e t r o v e r à i l p r in c ip e i m e z z i d i

n u t r i r e l e s u e a r m a te , d i r ic o m p e n s a r e i s u o i u f f ic ia li , d i s o s te n e r e i l d e c o r o d e l l a c o r o n a e

d i s o m m in is t r a r e i s u s s id i n e c e s s a r i t a n to p e r il p r o g r e s s o d e l l e s c ie n z e , '.com e p e r i l b e n e

d e l c o m m e rc io s te s s o ? L 'e f f e t to d e l l e d o g a n e é d 'i m p e d i r e c h e l e s p e c ie s o r ta n o in t r o p p o

g r a n d e q u a n t i t à p e r c o se d e l l e q u a l i s i p o s s a f a r ‘s e n z a . L a p r o ib i z io n e a s s o lu ta d i a lc u n e

m e rc i s t r a n ie r e n o n é g i à u n a g u e r r a c h e s i fa c c ia a l c o m m e r c io ; è a n z i u n t r a t t o d i s a p ie n z a

d e ’ l e g i s l a to r i d i f a r e in m o d o c h e u n p o p o lo p r iv o d i u n s u p e r f lu o c h e n o n s e r v e c h e a

n u t r i r e i l lu s s o , im p a r i a d a c c o n te n ta r s i d i c iò c h e g l i s o m m in is t r a il p r o p r io p a e s e » ( p a ­

g i n e 1 4 7 -1 4 8 ) .

Il libero commercio con le estere nazioni origina da timidità:

« S e s i t r o v a s s e u n a n a z io n e a b b a s ta n z a s a g g ia c h e s i l im i t a s s e a i p r o d o t t i d e l s u o

p a e s e , s i r e s te r e b b e m e r a v ig l ia t i n e l v e d e r e d a l l e o p e r e c h e l a s u a i n d u s t r i a e s e g u i r e b b e c o l le

p r o p r i e m a te r ie , q u a n to la n a tu r a s ia r ic c a in t u t t i i l u o g h i . V o i d o v e te , s ig n o r e , o r i c o n d u r r e

l 'e t à d e l l 'o r o o r in u n c i a r e a l l 'i d e a d i f o r m a r e u n a s o la s o c ie tà d i t u t t i i p o p o l i d ’ E u r o p a .

L e n a z io n i s o n o d iv i s e p e r n o n p iù r i u n i r s i ; e s s e p o s s o n o c o n f o n d e r s i le u n e c o l le a l t r e p e r

d iv e r s i a v v e n im e n t i , m a f in t a n to c h e r e s te r a n n o d iv is e i l o r o in te r e s s i s a r a n n o s e m p r e s e p a r a t i ,

e q u e l l a c h e p o t r à p iù f a c i lm e n te f a r s e n z a d e l le a l t r e s a r à s e m p r e la p i ù s a g g ia e la p iù p o ­

te n te » ( p a g g . 1 4 8 -1 4 9 ) .

N on potevasi per fermo difendere in modo più compito il dotto libero del marchese Belloni dalle malfondate critiche a lui rivolte. In una sola cosa noi con­

io, III.

142 LUIGI EINAUDI

sentiamo con l'oppositore, e cioè nella repugnanza che noi sentiamo a rinunciare per sempre al ritorno dell'età dell'oro. Noi dobbiamo aver fede che un giorno tutti i popoli cristiani siano per ritornare all’ovile di San Pietro. In quel giorno essi po­tranno di nuovo, come vuole l'anonimo, fare un popolo solo per quel che attiene al commercio. Poiché tuttavia non cesserà la necessità di denaro per i principi, questi dovranno aver sempre somma cura della direzione del commercio rispetto ai paesi idolatri, affinchè l’oro e l’argento non si rifuggiscano interamente presso di questi, ma anzi siano persuasi ad accorrere tra noi, a sollievo e locupletazione dei principi e dei sudditi.

3. — Chi erano i campioni delle opposte tesi riassunte nella recensione che qui si pubblica con alquanto ritardo?

Autarcisti il marchese Belloni ed il redattore del « Journal Oecono- mique ». Chi fosse costui non è ben chiaro. Un Antoine Le Camus, profes­sore di medicina e di chirurgia, dottore-reggente della facoltà di medicina di Parigi, vissuto dal 1722 al 1772, è detto redattore della sezione medica del « Journal Oeconomique », nel quale tradusse in prosa francese il Prae- ditmi rusticum del P. Vanière (1775-1756). Un fratello suo Louis-Florent. negoziante in ferro a Parigi pubblicò tra il 1762 ed il 1763 un foglio pe­riodico commerciale « Le Négociant » e redasse dal 1759 al 1762 con l’abate Roubaud un « Journal de commerce ». Non è inverosimile che costui fosse il redattore che nel marzo 1750 recensì la dissertazione del Belloni e nel­l’aprile replicò all’anonimo. L’Oncken (a pag. 68 del libro citato sotto) attribuisce genericamente a un Le Camus l’ufficio di redattore del « Jour­nal ».

Del Belloni si sa suppergiù soltanto che, banchiere fortunato, egli per­severò nell’esercizio dell’arte sua, anche quando la fama europea procaccia­tagli dal libro ed il titolo di marchese largitogli da Benedetto XIV, a testi­moniare i meriti dello scrittore e forse più a compensare i servizi del ban­chiere, sembrarono consentirgli ozi dignitosi. Forse aveva consapevolezza dell’artificio col quale la fama, serbata poscia per tradizione di sentito dire, era stata conseguita. A leggere le recensioni compiacenti e le epistole elo­giative par di vedere un qualche accorto abate, suo segretario e forse tra­duttore per iscritto dei suoi pensamenti, sollecitare consensi di principi e let­tere dedicatorie, ed inviare esemplari in omaggio ad illustri uomini per averne risposte simili a quella ricevuta dal Metastasio. È verosimile che questi sul serio leggesse scritti sul commercio a scopo di confronto e di compiacimento per la chiarezza, la semplicità e la naturalezza della scrit­tura belloniana? Lodi immeritate ove appena si esca fuori dalla ripetizione

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delle idee più comunemente invalse al suo tempo. Collezionista di elogi, il Belloni li faceva ristampare in prefazioni ed opuscoli attribuiti agli stam­patori Fagliarmi; delle critiche riproduceva solo il consueto inizio di cor­tesia; le traduzioni probabilmente incoraggiava affinchè l'eco della sua fama tornasse, moltiplicata, in patria. Accade, per qualche autore assai di­vulgato, non di rado la stessa cosa oggi; ma forse non accadrà od almeno è augurabile non accada della fama a venire; la quale invece, grazia alla bontà d'animo del Custodi, il quale accolse la dissertazione nei cinquanta volumi della sua raccolta, ancora dura per il Belloni.

Quel che di buono v’è nel Belloni attiene alle nozioni proprie alla sua professione di banchiere. Simigliante in ciò a tanti altri « pratici », egli dice cose sensate quando discorre di problemi tecnici bancari. Nega, giusta­mente, a cagion d’esempio, doversi guardare ai vicini quando si vuole rego­lare il rapporto fra monete d’oro e quelle d'argento. Stabiliamo noi all’in­terno un rapporto giusto ossia uguale a quello corrente nel commercio. An­che se altrove il rapporto sia diverso, in che cosa potremo noi scapitare? In nulla, perchè il paese il quale avesse legalmente sottovalutato l'oro rispetto all’argento, se lo vedrebbe tutto fuggir di casa e venir tra noi, dove acqui­sterebbe a caro prezzo il nostro argento. Il che vuol dire che noi avremmo in solo oro una quantità monetaria maggiore di quel che prima possede­vamo tra oro ed argento.

Ma quando passa a discorrere di cose generali ripete nozioni correnti; al buon senso del banchiere fortunato sostituendo il senso comune del­l’uomo che passa per la strada ed è interrogato sulle faccende altrui. Non vi è nel Belloni, quando discorre di interessi pubblici e di promuovimento della prosperità del regno nulla che lo innalzi al di sopra del comune cor­rente credo mercantilistico. Eravamo nel 1750 alla vigilia del crollo di quel credo, ed egli imperturbato ripete la- risaputa ricetta di colui il quale ritiene sul serio vi sia pericolo in mora a dimenticare le provvidenze necessarie a far entrare oro ed argento nello stato. Urge:

— promuovere le esportazioni di manufatti, e specie di quelli tratti col lavoro nazionale da materie prime (da lui dette merci semplici) indi­gene;

— premiare la introduzione di nuove manifatture all'interno;— togliere ogni dazio ed ogni vincolo alla importazione delle materie

prime estere, affinchè con esse si dia incremento ulteriore alle manifatture nazionali;

— proibire assolutamente l’introduzione dei manufatti esteri e, quando

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siano indispensabili, colpirli con fortissimi dazi sicché i nazionali ottengano gran guadagno col produrli all’interno, ed alla fine, quando siano capaci di soddisfare a tutto il consumo nazionale, chiedano la totale proibizione delle merci concorrenti forestiere.

L’ideale del Belloni è quello, — comunemente detto nelle storie cor­renti colbertista ma in verità dovrebbesi dire del senso comune — dello stato chiuso, « d’ogni intorno al quale fosse tirata una barriera » di dazi c di proibizioni contro il commercio passivo (importazioni di manufatti) per impedire l’uscita dell’oro e dell’argento, che il commercio attivo (esporta­zione dei manufatti) in ogni modo promosso vi avesse fatto accorrere. Il Belloni si raffigura l’immagine di un regno provveduto nel centro di degna capitale e nelle provincie di « altre particolari città cospicue » ed ognuna di esse « fornita di moli, ornata di edifizi e ricca di molte ville e poderi » ; e finge a se stesso che quel regno, tuttoché privo di miniere, sia col com­mercio attivo riuscito ad « ammassare tanta quantità d’oro e d'argento quanto sia il prezzo di tanti beni e di tante fabbriche e di tanti poderi », e dinanzi a tanto cumulo, non balena in lui nemmeno per un istante il so­spetto della sua assurdità e futilità, ma è unicamente preoccupato dal ti­more: potremo davvero serbare il cumulo prezioso? o non ci sarà «invo­lato dal commercio passivo»? (pag. 42).

Anche il redattore, Le Camus od altfi che fosse, del « Journal Oeco- nomique » è ossessionato dalla paura che i popoli non posseggano il « de­naro » necessario a pagare ai principi le imposte ; e poiché i principi vo­gliono pagate le imposte in denaro sonante e non in frutti della terra e non in opere dell’arte, giuocoforza a lui pare che i principi regolino il com­mercio internazionale in guisa che le esportazioni superino le importazioni ed entri la moneta, unico mezzo di pagamento delle imposte.

L’autarcismo mercantilistico nel 1750 è moribondo; ed ahi! come suo­nano false le voci dei suoi ultimi fautori! Centoquarantasette anni prima, nel 1613, Antonio Serra non indugiava a dimostrare che il possesso di oro e di argento fosse benefico; ma supponendo questo un dato del problema, su cui non era mestieri perder tempo, studiava quali cause producessero quella abbondanza. Il silenzio sul fine da conseguire (abbondanza d’oro e d’argento) e il lungo ragionare delle cause (situazione opportuna dei regni, fertilità del territorio, industriosità degli abitanti, fervore di negozi, sag­gezza dei governanti) atte a produrre quel fine indicano dove batta il pen­siero del Serra: non lo interessano tanto il fine quanto i mezzi, sì che di essi unicamente si preoccupa; talché il lettore, il quale legga senza idee

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fatte e storte nella testa intorno a quel che 1 mercantilisti debbono dire e non dire, è forzato a concludere: Antonio Serra nel 1613 vuole che gli uomini del suo stato siano buoni agricoltori ed industriosi e commercianti e siano bene governati con veneta continuità da anziani sperimentati negli affari pubblici e perpetuamente rinnovati da fresche giovani forze. Questo è il suo ideale; e dell’oro e dell’argento non gli importa punto. Nel 1750, invece, Belloni e Le Camus, guardando al gran cumulo dell’oro e dell’ar­gento che dovrebbe servire a pagare i balzelli, impallidiscono al pensiero che qualcuno lo involi. Il loro incubo sono le Indie Orientali dove passa « somma indicibile d’argento in cambio di gemme, manufatture, liquori ed aromati, renduti preziosi dal lusso e dal fasto », pressoché tutta la somma che l’Europa ottiene dalle Indie Occidentali. Qui il mezzo, oro o argento, è divenuto un idolo; non è un mero risultato che c’è se gli uomini sono economicamente valorosi e non c’è se sono ignavi; è lo scopo per il quale gli uomini debbono essere forzati a lavorare, nel modo voluto dai gover­nanti, affinchè costoro riscuotano le imposte.

La costruzione dottrinale è, si sa, fallace. N è uomini nè governi vi­vono di moneta. Se è più comodo pagarei le imposte in moneta che in fru­mento, vero è anche che la moneta ricevuta dall’erario serve ad acquistar frumento e vestiti e cannoni e simili. Il gran cumulo d’oro e di argento a che servirebbe, se non fosse speso in parte in importazioni, ossia in quegli acquisti che sono deprecati dai Belloni e dai Le Camus? A far cre­scere, se il cumulo sia eccedente, i prezzi all’interno, che è cosa del cui danno — impoverimento dell'erario, diminuita capacità di acquisto dei redditi in merci — il Belloni è consapevole quando discorre di problemi tecnici di banca e di cambi (pagg. 82-83).

C’è, in questa tarda esaltazione di un ideale moribondo un solo tratto inspirato ed è quando il redattore del « Journal Oeconomique » eleva un inno alla virtù della bastevolezza : « se si trovasse una nazione abbastanza saggia che si limitasse ai prodotti del suo paese, si resterebbe meravigliati nel veder dalle opere che la sua industria eseguirebbe con le proprie materie quanto la natura sia ricca in tutti i luoghi ». L’inno all’autarcia vien fuori dal rimpianto per la età dell’oro, nella quale tutti i popoli erano riuniti in una sola società. Ma poiché all’età dell’oro non si può ritornare, perchè bisogna rassegnarsi all’idea che « le nazioni sono divise per non più riunirsi » siamo forzati a proclamare che « quella nazione la quale potrà più facilmente far senza delle altre sarà sempre la più saggia e la più po­tente » (pagg. 148-49). Qui c’è un’eco anticipata del linguaggio del List

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c degli autarcisti moderni. In una società di lupi, non bisogna sperare dagli altri la fornitura di agnelli da sbranare; fa d’uopo allevarceli da noi nelle nostre riserve e contentarcene anche se magri. Anzi, se saremo perseve­ranti c duri, anche la terra più magra darà opimi frutti e nutrirà pingui armenti.

L'auspicio di indipendenza economica a patto di vita dura c di Le Camus non di Bclloni; il quale è un autarcista benevolo c paterno. Chi va in cerca di precursori, troverà in lui il progettista di un Istituto nazio­nale delle esportazioni : se vi sia paese che superi il regno nelle esportazioni « converrebbe in quelli far diligente ed occulata osservazione » (p. 93) per scoprire il segreto del loro successo; — il fautore di una disciplinata gerar­chia economica: « lo stesso, con i suoi gradi distinti di sopraintcndcnza e di cariche proprie a dare a ciascheduna cosa un proporzionato regola­mento, far si dovrebbe in una repubblica ben condotta per la direzione del commercio e delle manifatture» (pag. 109); — il formulatore di un piano corporativo, nel quale la disciplina delle industrie dovrebbe spettare alle rappresentanze medesime delle classi interessate: «ai prudenti magi­strati » incaricati di sopraintcndere alle branche diverse dell’umana attività, « cosa molto propria sarebbe l’aggregare nobili, patrizi, banchieri e consoli delle arti, ed in questo ceto qualunque cosa si dovesse proporre o ascoltare venisse discussa di comun parere» (pag. 110); — il codificatore di norme le quali, approvate dagli organi corporativi e sindacali (consoli delle arti), dovrebbero essere obbligatorie anche per tutti gli appartamenti, iscritti o non iscritti, ai sindacati: «si dovrebbero prescrivere leggi per le quali si prestasse una fedele ubbidienza agli statuti de’ consoli, e così mantenere esattamente quel tanto che da essi fosse prescritto e così conservare nel suo vigore quella regola che conduce all’avanzamento delle professioni » (pag. 110).

Poiché la ricerca dei precursori mi sembra legittima, entro limiti ben ristretti, solo nel campo delle idee pure, laddove in quello delle proposte concrete giova invece mettere in luce le differenze, dirò che il progettismo del Belloni appare nettamente anacronistico in un tempo nel quale gli istituti paternalistici da lui invocati mostravano d’ogni lato grosse falle ed erano vittoriosamente battuti in breccia dalle forze nuove che d’ogni parte s'erge­vano a rovinare il mondo antico ed a crearne uno nuovo. Belloni, in so­stanza, proponeva quel che da troppo lungo tempo tutti i governi si indu­striavano ad ordinare: regolamento dei commerci e delle arti, creazione di consigli e tribunali di commercio, disciplina delle antiche libere corpo-

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razioni di arti e mestieri divenute istituti coattivi, longa manus del potere centrale. Belloni incarnava il senso comune, il quale se vegga gli inconve­nienti di una norma vigente, non pensa mai che essi siano la necessaria conseguenza dell’ordinamento medesimo, ma, ragionando secondo l'antico broccardo adducete inconveniens non est solvere legem, si industria a pro­porre nuovi regolamenti e nuovi vincoli i quali aggravano il male e costrin­gono ad altri nuovissimi ognora più fastidiosi vincoli. 1 regolamenti in­ceppavano le iniziative private; le corporazioni d'arti e mestieri da organi di rappresentanza e di difesa degli artigiani e dei commercianti erano de­generate in strumenti di privilegio per i soci antichi ed i loro discendenti e parenti, i quali, asserragliati entro esse, vietavano la concorrenza degli uomini nuovi invano pulsanti alla porta; e, per la difesa dei loro privilegi, erano divenute serve e nel tempo stesso padrone dello stato. Al quale for­nivano prestiti e tributi; ma chiedevano in compenso tutela contro la con­correnza delle manifatture estere, c quelle di una città tutela contro la con­correnza delle città consorelle e delle campagne. A Parigi, per decreto del parlamento, si bruciavano nel 1768 sulla pubblica piazza le copie di « Chinki, Histoire cochinchinoise, qui peut servir à d’autres pays », nella quale l'abate Coyer aveva, in forma di novella, descritto le conseguenze dei vincoli corporativi. No; su quella via non v’era nulla da fare: i regola­menti, i vincoli, i consigli, le corporazioni dovevano essere travolti dal vento della rivoluzione francese, affinchè nel secolo XIX risorgesse vivo e fresco e fecondo lo spirito associativo e creasse quella vasta e varia e can­giante fioritura di istituti associativi, cooperativi e corporativi che è una delle glorie degli ultimi cento anni.

Allora, nel 1750, i vecchi istituti morivano. L'atteggiamento del Bel­loni era antistorico, appunto perchè aderente alla realtà ordinaria, alle idee correnti ed accettate dalla grande massa che non pensa e, non pen­sando, crede di innovare, attaccandosi a quel che esiste e invocando per­fezionamenti che sono empiastri.

4. — Coloro che facevano storia vera erano altri; erano gli illuministi ed i razionalisti. Girolamo Belloni ebbe nella vita una grande ventura, di cui egli, nella sua limitatezza di banchiere inchinato al senso comune e perciò ossequente alle idee correnti, non ebbe neppure consapevolezza: ed è di avere, proprio lui con la sua grigia dissertazione, fornito occasione al primo grande manifesto del liberismo dei tempi moderni. La lettera in­viata dall’anonimo al « Journal Oeconomique » è quel manifesto. Quando

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essa fu pubblicata, nessuno seppe chi ne era l’autore; nè lo sapeva il ba­rone Custodi quando la inserì voltata in italiano nella sua classica raccolta. 11 inerito della scoperta del nome dell’autore spetta ad Augusto Oncken, il quale nel 1886 indagò le origini della massima Ltùssez fui re et laissez passer (6). Leggendo nel « Journal Oeconomique » la lettera dell’anonimo egli era ricorso con la mente a pensieri ed a frasi straordinariamente si- miglianti di cui erano ricchi i Mémoires et Journal inédit clu marqtiis d’Ar- genson. Un esame accurato degli scritti del d’Argenson tolse ogni dubbio. Al « Journal Oeconomique » l’Argenson aveva inviato ripetutamente re­censioni e brevi articoli anonimi, sole cose da lui pubblicate mentre vi­veva (7). Il Rathery, editore del diario (vedi la nota 7 al n. 3) afferma clic

(6) AUGUST ONCKBN, Die Maxime « Laissez faire et laissez parser » , ibr Ursprnng. ibr ÌX'erden, Ein Beilrag :ur Geschichte der Freihandelstheorie, B e r n , 1 8 8 6 , p a g g . 5 5 -8 0 .

( 7 ) R e n é L o u is d e V o y e r d e P a u lm y , m a r q u is d 'A r g e n s o n n a to il 18 o t to b r e 1 6 9 4 . m o r t o i l 2 6 g e n n a i o 1 7 5 7 , c o n d is c e p o lo , c o l f r a te l lo , d i V o l t a i r e n e l c o l le g io L o u is le G r a n d , c o n s ig l ie r e n e l P a r la m e n to d i P a r ig i n e l 1 7 1 6 , m a i t r e d e s r e q u ê te s n e l 1 7 1 8 , c o n s ig l ie r e d i s t a to n e l 1 7 2 0 , in te n d e n te d e l l ' H a in a u t e d e l C a m b ré s is s in o a l 1 7 2 3 , r i t i r a to a v i ta p r iv a ta a P a r ig i a l l a m o r t e d e l r e g g e n te , f r e q u e n ta to r e d e l « C lu b d e l 'c n t r e s o l » a p e r to n e l la c a sa d e l p r e s id e n t e H é n a u l t a l l a l ib e r a d is c u s s io n e d i p ro b le m i p o l i t i c i c s o c ia l i f in o a l l a c h iu s u r a a v v e n u ta n e l 173 1 p e r o r d in e d e l c a r d in a le d e F le u ry , n o m in a to n e l 1 7 4 4 c o n s ig l i e r e n e l c o n ­s ig l io r e a le d e l l e f in a n z e , to c c ò l 'a p i c e d e l l a c a r r i e r a q u a n d o , s o v r a tu t to p e r l ' in f lu e n z a d e l f r a t e l l o c a d e t to c o n te d 'A r g e n s o n p e r 14 a n n i m in i s t r o d e l la g u e r r a , f u m in i s t r o d e g l i a f fa r i e s te r i d i L u ig i X V d a l n o v e m b re 1 7 4 4 a l g e n n a io 1 7 4 7 . N e g l i u l t im i d ie c i a n n i d e l l a s u a v i t a a t t e s e a g l i s t u d i , a l l o s c r iv e r e , e a d u n a ra c c o l ta d i l ib r i s c e l t i , la q u a le , n o te v o lm e n te c r e ­s c iu ta d a l f ig l io e d a q u e s t i c e d u ta a l c o n te d 'A r to i s , d iv e n n e p o s c ia q u e l l a c h e o g g i è c o n o - s c iu ta s o t to i l n o m e d i B ib l io th è q u e d e l 'A r s e n a l . D is g r a z ia ta m e n te , i m a n o s c r i t t i n u m e ro s i d e l D 'A r g e n s o n f u r o n o , a l te m p o d e l la r iv o lu z io n e , v e r s a t i in v e c e n e l la b ib l io te c a d e l L o u v r e e q u i n e l 18 7 1 a n d a r o n o , c o n t a n t i a l t r i p re z io s i d o c u m e n t i , d i s t r u t t i n e l l 'i n c e n d io a p p ic c a to d a i c o m u n a rd i . O g g i , p e rc iò , p o s s e d ia m o d i lu i q u e l c h e f u p u b b l ic a to p r im a d e l d e l i t t o , e c i o è :

1) Considérations sur le gouvernement ancien et présent de la France, s c r i t to v e r s o il 1 7 3 4 , c i r c o la n te in m a n o s c r i t to n e l 1 7 3 9 , s t a m p a to la p r im a v o l ta n e l 1 7 6 4 in A m s te r d a m , r i ­f u s o n e l 1 7 8 4 d a l f ig l io m a rc h e s e d e P a u lm y ( A m s te r d a m - P a r ig i ) e d i n u o v o n e l 1 7 8 7 ( L ie g i ) p e r o r d i t e e a s p e s e d e l l 'a s s e m b le a d e i n o ta b i l i .

2 ) Mémoires et Journal inédit du Marquis d'Argenson m in i s t r e d e s a f fa i r e s é t r a n g è re s s o u s L o u is X V p u b l ié s e t a n n o té s p a r M . le m a r q u is d 'A r g e n s o n . P a r i s , 1 8 5 7 -5 8 . S o n o 5 v o lu m i d e l la B ib l io th è q u e e lz e v ir ie n n e d e l l 'e d i to r e P . J a n n e t . I n r e a l t à q u e s t i « M é m o i r e s e t J o u r n a l » r i p r o d u c o n o in g r a n p a r t e u n a p r e c e d e n te e d iz io n e in c lu s a n e l 1 8 2 4 n e l la « C o l l e c t i o n d e s M é m o ir e s s u r l a r é v o lu t io n f r a n ç a i s e » d e l B a u d o u i n ; la q u a l e a s u a v o l ta e r a c a lc a ta s u g l i Essais dans le goût de ceux de Montaigne c h e i l f ig l io a v e v a p u b b l ic a to n e l 1 7 8 5 e d i n u o v o n e l 1 7 8 7 ( c o l t i t o l o m u ta to d i Loisirs d ’un homme d'Etat). P u r a p p a r t e n e n d o n e l f o n d o a l d ’A r g e n s o n , g l i s c r i t t i c o n te n u t i n e i c in q u e v o lu m i r e c a n o l e t r a c c ie d i r i e la b o r a z io n i le t t e r a r ie , t r a s p o s iz io n i e r a g g iu s ta m e n t i f a t t i s e n z a r i s p e t to a l l e d a t e d a l f ig l io e d a l p r o n ip o te .

S e p e r i l « J o u r n a l » q u e s ta p u b b l ic a z io n e è s o s t i t u i t a d a q u e l l a in d ic a ta in s e g u i to , f a d 'u o p o t u t t a v i a r i c o r r e r e a n c o r a a d e s s a p e r q u e l c h e r ig u a r d a le l e t t e r e t r a t t e d a l l 'a r c h iv io f a m i ­g l i a r e , e g l i s c r i t t i d iv e r s i c o n te n u t i n e l q u in to v o lu m e . S p e c ia lm e n te im p o r t a n t i , d a l p u n t o d i v is ta e c o n o m ic o , le « P e n s é e s s u r la r é f o r m a t io n d e l 'É t a t » ( p a g g . 2 5 9 -3 9 1 ) .

3 ) Journal et Mémoires du Marquis d'Argenson, p u b l ié s p o u r la p r e m iè r e f o is d ’a p r è s le s m a n u s c r i t s a u to g r a p h e s d e l a B ib l io th è q u e d u L o u v r e p o u r la S o c ié té d e 1' H i s to i r e d e F ra n c e , p a r E . I . B . R a th e r y . P a r i s , R e n o u a r d , 1 8 5 9 -6 7 . S o n o n o v e v o lu m i i n 8 ° e c o n te n g o n o , i n e d iz io n e c r i t ic a , i l te s to c o m p le to d i u n d ia r io , f o n d a m e n ta le p e r la s to r ia f r a n c e s e e d e u r o p e a d a l 1 7 3 0 c i r c a a l 1 7 5 6 . P a r te d e i to m i I V e V c o n te n g o n o , in v e c e d e l d ia r io , i n t e r r o t to i l 18 n o v e m b re 1 7 4 4 a l m o m e n to d e l la n o m in a a m in i s t r o e r i p r e s o i l 2 6 f e b b r a io 1 7 4 7 q u a n d i

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la replica, inviata dal d’Argenson e non pubblicata, alla nota apposta dal redattore del « Journal » alle sue osservazioni intorno al Belloni sopravan­zava in pregio la lettera che conosciamo. Se è tanto più lamentabile perciò la perdita dovuta agli incendiarii della comune, consoliamoci riflettendo che la lettera rimastaci è per sè un piccolo capolavoro. Scritta con impeto, di getto, da chi fin dal 1736 rifletteva e scriveva intorno alla tesi: Pour m 'teux gouverner, il jauàraìt gouvertter tnoiiis, la lettera del 1750 è la espres­sione del pensiero maturo e dei saldi convincimenti acquistati da un uomo il quale, se era stato detto da Voltaire meglio atto ad essere segretario di stato della repubblica di Platone che membro del consiglio del re di Fran­cia, aveva pur pratica di alti affari, aveva governato in provincia e nella capitale, era grande proprietario e possedeva occhio limpido atto ad an­dare in fondo alle cose senza lasciarsi ingannare da vane parole e vuote sembianze di teorie.

5. — Può sembrare strano che si proclami primo grande manifesto del liberismo uno scritto nel quale taluno ha voluto vedere invece una tesi negatrice della scienza economica. Ed è vero; il d’Argenson nega addirit­tura, anzi schernisce, con grande scandalo del suo contradditore, la possibilità e quasi il concetto medesimo di una scienza delle cose commer­ciali. Ma di quale scienza? L’Oncken ha già osservato (Die Maxime, p. 79) che, nonostante l’apparente negazione della scienza, gli scritti del d’Argenson hanno carattere scientifico, tanto essi rispondono ad un pen-

¡1 D 'A r g c n s o n r i t o r n a v a a l l a v i t a p r iv a ta , i Mémoires de mon ministère, d e i q u a t t r o to m i m a ­n o s c r i t t i d e i q u a l i c i f u t r a m a n d a ta s o lo c ir c a u n a m e tà .

4 ) F u o r d i q u e s t i m a g g io r i , r im a n g o n o d e l d ’A r g e n s o n u n s a g g io ( Mémoires sur les hi­storiens français) in s e r i to n e i « M é m o i r e s d e l 'A c a d e m ie d e s in s c r ip t io n s » d e l la q u a l e i l d 'A r g e n s o n e r a s o c io a s s id u o , u n a Rélation sur la victoire de Fonteroy i n d i r i z z a ta a V o l t a i r e e , c o n la r i s p o s ta d i V o l t a n e , r ip u b b l ic a ta in . .p p c n d ic e ( p . 4 5 9 -6 4 ) a l to m o I V d e l « J o u r n a l » r i c o r d a to s o p r a a l n . 3 . I n a p p e n d ic e a l l o s te s s o to m o I V ( p p . 4 5 3 -4 5 9 ) s i le g g e a n c h e la p r im a s te s u r a d i u n Mémoire à composer pour délibérer par le pour et te contre, et décider que la France devrait laisser l'entrée et la sortie libres dans le royaume de toutes marchandi­ses nationales et étrangères, sans prendre aucuns droits royaux, mettant tous ces droits sur les consommations par voies sûres pour éviter ¡a fraude ( c i t a to n e l t e s to c o rn e Mémoire à composer). I m p o r t a n t i , f in a lm e n te , d a l p u n to d i v is ta e c o n o m ic o , g l i a r t i c o l i in v ia t i a l « J o u r ­n a l O e c o n o m iq u e » . P u r t r o p p o d o b b ia m o la m e n ta r e la p e r d i t a i r r e p a r a b i l e d e i m a n o s c r i t t i a n ­c o ra i n e d i t i n e l 1 8 7 1 , t r a i q u a l i d u e v o lu m i in 4 “ d i Pensées sur la reformation de l’Elal-, 3 v o lu m i in 4 ° d i Mémoires d'Etat ( 1 7 3 1 - 1 7 4 4 ) ; 1 v o i . i n f o l i o p ic c o lo d i Pensées depuis ma sortie du ministère; 1 v o lu m e d i Remarques en lisant, s p e c ie d i r i a s s u n t i d e l l e l e t t u r e f a t t e d a l m a g g io 1 7 4 2 a l d ic e m b re 1 7 5 6 , g i à a l lo r a m a n c a n t i d e g l i a p p u n t i d a 1 a 9 2 8 .

P a r t i c o la r m e n te la m e n te v o le è p e r l a s to r i a d e l l e id e e e c o n o m ic h e la p e r d i t a d i n u m e ­ro s i s a g g i r a c c o l t i g e n e r ic a m e n te s o t to i l t i t o l o d i Papiers d’Argenson, d i c u i i l R a th e ry r ic o r d a a l n . 6 0 u n o c h e s a r e b b e p r e z io s o p e r n o i . S a r e b b e s t a t o in v e ro s t r a n o c h e i l d 'A r ­g e n s o n d o p o a v e r e in v ia to a l « J o u r n a l O e c o n o m iq u e » l e Observations sur la dissertation d u marquis Belloni, c h e q u i s i r ip u b b l ic a n o , s i fo s s e a c q u e ta to d in n a n z i a l la r e p l ic a d e l

150 LUIGI EINAUDI

siero meditato che con logica serrata l'autore ripetutamente martella e per­feziona.

V’ha di più. 11 d’Argenson, negando « la scienza della direzione ge­nerale del commercio » afferma la scienza economica. Nella polemica Bel- loni-d’Argenson ricorre l'eterno contrasto fra il pratico ed il teorico; fra la pseudo-scienza dei consigli e dei comandi e la scienza delle uniformità e delle leggi. Ieri come oggi, al pratico, al commerciante, all'industriale, al banchiere, al politico, la scienza economica appare vuota di contenuto se non insegna i metodi di arricchire i singoli e il tutto, i popoli e il principe. Ieri come oggi vi sono studiosi scienzati scrittori i quali sono pronti a sod­disfare alle esigenze del pratico ed a ricercare e costruire e proporre me­todi espedienti ordinamenti norme atte, se fornite dell'attributo della coa­zione statale, ad assicurare profitti equi, salari giusti, occupazione costante, immunità da crisi. Ieri un ingenuo banchiere nomato Belloni proponeva il frusto piano mercantilistico del proibire la entrata dei manufatti esteri, del favorire le importazioni delle materie prime, del premiare la loro ela­borazione all’interno e la esportazione dei manufatti nazionali così fab­bricati; e la proposta arricchiva col contorno di alquanti consessi profes­sionali e di tribunali corporativi. Oggi l’apparato dottrinale è più impo­nente; chè gli studiosi consigliano e comandano in nome di formidabili statistiche, di elaboratissime curve della congiuntura e dei prezzi, di ana­lisi teoriche raffinate.

Preferisco il grossolano Belloni al raffinato membro del brain-trust rooseveltiano. Al primo non si poteva rimproverare nulla fuorché l’igno­ranza; al secondo si deve rinfacciare il tradimento del proprio dovere. Tutti ìbbiamc tradito più o meno; e tutti saremo perdonati solo nella mi­sura in cui avremo fatto penitenza del peccato di superbia. È superbia sa­tanica la nostra, quando ci persuadiamo di possedere una scienza capace di dar consigli a chi quei consigli può tradurre in norma obbligatoria di legge. Io non so se sia possibile dirigere dall'alto l’economia di un paese.

r e d a t to r e d e l « J o u r n a l » d i c u i n e l te s to s i d à p u r e il r ia s s u n to . E g l i in v iò in v e c e s u b i to u n a Rèfutcìlion de la riporne \aite aux précedeiiles observatìons, la q u a le p e rò n o n fu a c c e t ta ta d a l g io r n a l e e r im a s e in e d i ta . I I d 'A r g c n s o n s te s s o r i c o r d a i l f a t t o n e l l a c i t a ta r e c e n s io n o d e l- I '« E s s a i » d e l l ' H e r b e r t . I l « D ic t io n n a i r e d e l 'é c o n o m ie p o l i t i q u c » d i C o q u e l in e G u i l l a u m in a u s p ic a v a n e l 1 8 5 2 u n a e d iz io n e c r i t ic a d e l l e Considèrations sur le gouvernement, d i c u i a f f e rm a v a p r o n to i l m a te r i a l e ; c o m e p u r e la m e n ta v a c h e la m a g g io r p a r te d e g l i s c r i t t i e c o ­n o m ic i fo s s e i n e d i t a ( I v o i . p a g . 6 8 ) . L 'O n c k e n , t a n to b e n e m e r i to , n o n r i c o r d a l 'a u s p ic in e d a n z i a f f e rm a c u r io s a m e n te c h e il D ic t i o n n a i r e n o n r ic o rd a n e p p u r e u n a v o l ta il n o m e d e l d 'A r g e n s o n ; n è c o n o s c e l 'e d iz io n e c r i t ic a d e l d i a r io il q u a le g l i a v re b b e p o tu to f o r n i r e n o t iz ie p iù a m p ie i n to r n o a g l i s c r i t t i d e l l ’a u to r e .

/ / ;

/

!

USA DISPUTA A TORTO DIMESTICATA ERA AUTARCISTI E LIBERISTI 151

So soltanto che non è possibile dirigerla a nome della scienza. Era inno­cente il Belloni quando non capiva la verità della critica del d’Argenson, che il commercio, che l’industria, che l’agricoltura la fanno i commercianti, gli industriali, gli agricoltori, non i direttori governativi del commer­cio ecc. ecc. Era innocente il Belloni quando non capiva che l'errore di un direttore centrale è irreparabile e grande; laddove gli errori di taluni sin­goli sono piccoli c sono largamente compensati dal successo altrui. Ma gli economisti d’oggi, a quasi due secoli di distanza, sono inescusabili quando non osano dire che la loro scienza è lontanissima da quel grado di elabo­razione che sarebbe necessario per potere dar consigli su quel che gli uo­mini, singoli o insieme riuniti, debbono fare. Essa può, forse, dir qualcosa su quel che ai singoli non deve essere consentito di fare e sulle norme ge­nerali le quali debbono essere imposte affinchè quel che i singoli fanno non sia dannoso altrui. Essa può dir qualcosa su quei compiti i quali attraverso a faticose esperienze ed a ragionamenti vagliati dal tempo sono stati di­mostrati propri dello stato, in materia di governo della moneta, di regola­mento di monopoli, di osservanza delle obbligazioni, di legislazione so­ciale. Giova alla serietà degli uomini di studio andar più in là? e quando si possa e si debba azzardarsi su terreno controverso, di quali riserve de­vono essere muniti i loro consigli?

Scrittori i quali nei loro trattati fermano i limiti delle verità che in prima approssimazione si possono formulare ed insegnano quanto sia irta di difficoltà gravi e di condizioni ignorate la applicazione delle verità ge­nerali ai problemi concreti non commettono forse peccato di superbia quando, chiamati attorno ad un tappeto verde, «Elaborano, in qualità di periti, alla fabbricazione di regolamenti industriali, alla fissazione di prezzi, di profitti, di salari ecc.? Corre un brivido per le vene a sentir eco­nomisti chiamati a dar pareri per la lor perizia collaborare nel dettar norme destinate a fissare prezzi di derrate o merci in funzione di costi di produ­zione; ossia in funzione di quel che, sinché per un istante non si arresti il sole, e cioè non si fotografi l’impresa tipica in un istante tipico, in un sistema tipico di prezzi dei fattori produttivi, è l’inconoscibile pratico. Chia­mati a compiti normativi i periti della scienza dovrebbero confessare che non esiste una scienza perita di queste cose e che essi, se qualcosa si az­zardano a dire, parlano in ragione del loro fiuto pratico economico, com­mercianti industriali agricoltori, se lo sono davvero, in mezzo ad altri commercianti industriali agricoltori. In nessun luogo meglio che nelle pagine del d’Argenson si sente la irrimediabile impraticità di quelli che

152 LUIGI EINAUDI

vogliono .far della pratica fuor del proprio mestiere: degli economisti, i quali, dimentichi dell'abisso intercedente fra le leggi astratte di prima ap­prossimazione e l’azione concreta determinata, oltreché da quelle leggi, dagli imponderabili, intuiti e non conoscibili, accettano di fungere da pe­riti nelle cose economiche; o dei pratici di banca o di borsa, i quali, periti nelle cose ogni giorno trattate nei consessi in cui sono rappresentati tutti gli interessi, cadono vittima, nel campo altrui, dei colleghi i quali facil­mente li « persuadono ciò che giova.... soventi a se medesimi, quantunque sia di detrimento agli altri cittadini » ed, a loro volta, traggono l'acqua al proprio mulino quando si tratti di cose attinenti ai loro interessi; dei politici, i quali vogliono, per salvare i vignaioli, insegnare ad essi dove e come si debbano piantar viti. Se il marchese Belloni, banchiere del papa, è perdonabile quando vuole insegnare al papa a ben governare i suoi stati e naturalmente non gli insegna a far il suo mestiere che è quello di ben governare ma vuol fargli fare il mestiere altrui e cioè quello dei banchieri e degli agricoltori e degli industriali; ed è perdona­bile perchè non si può pretendere che un banchiere fortunato non pensi che, se il mondo fosse ben regolato, ci dovrebbero essere solo banchieri fortunati, ed a ciò dovrebbe pensare il papa impedendo ai banchieri di essere in troppi ed alle pecore rognose ed agli scemi di infiltrarsi nelle loro fila; non sono invece perdonabili i teorici se non hanno imparato la lezione di d'Argenson ministro degli esteri di Luigi XV : che i re fac­ciano il mestiere di re e non mettano in disgrazia i bravi ministri per sug­gerimento di una baldracca divenuta favorita regale; che i ministri degli esteri attendano alle cose estere e non dettino legge ai fabbricanti di chiodi i quali vogliono spedirli in Barberia senza temprarli, perchè quei di Bar­beria per qualche misteriosa ragione li rifiutano se temprati; che i ministri deH’interno mantengano l’ordine e non creino il disordine obbligando i contadini a recar latte e frumento a Parigi a prezzi inferiori al costo.

5. — Al marchese d'Argenson spetta il vanto di aver primo messa in pubblico, nella recensione del libretto del povero Belloni, metà della mas­sima liberista: laissez faire et laissez passer. Il laissez passer è dei fisio­crati; ma il laissez faire è suo, di d’Argenson. Non fu una improvvisazione di recensente irritato nel leggere banalità fruste; chè egli da anni medi­tava sul problema. In un suo pensiero redatto nel 1755 si legge:

« C ’e s t l a s e u le e t e n t iè r e l ib e r t i1 q u i p e u t b ie n r é g i r l e c o m m e rc e , l 'a g r i c u l t u r e e t le s

in o c u r s . C 'e s t s u r q u o i j e t r a v a i l l e m o i- m e m e d e p u is d ix - h u i t a n s , a y a n t "une f o i s r e m a r q u f

q u e : Pour mieux gouverner, il faudroit gouverner moins » (Mémoires e d . J a n n e t , V . 1 3 4 ) .

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US/I DISPUTA A TORTO DIMESTICATA FRA AUTARCISTI E LIBERISTI 153

Non affanniamoci come se gli uomini non potessero vivere senza il paterno aiuto dello stato:

« Dans un État bien gouverné, policé comme celui-ci [la Francia a mezzo del settecento], et abandonné à la liberté de ses habitants si industrieux, on ne doit jamais être embarassé de l'occupation des habitants. La moisson sera toujours plus abondante que les moissonneurs » (Mémoire à composer, p. 456).

E parlando dell’autore [Herbert] di un libro, il quale invocava la li­berazione del commercio interno dei grani dai vincoli che lo impacciavano, ma si rassegnava a conservare consigli e commissioni:

« J e b lâ m e ic i le s lo u a n g e s q u e l 'a u t e u r d o n n e à n o t r e c o n s e i l d e c o m m e rc e , e t la p r o ­

p o s i t io n d 'é t a b l i r u n e c o m m is s io n p o u r l ’a g r ic u l tu r e . C e s o n t là d e s r e s te s d u v ie i l h o m m e , e t

d e s id é e s rie ty r a n n ie g ê n a n te . E h m o rb le u , laissez faire! ( Mémoires, e d . J a n n e t , V , 1 3 4 ).

Ferveva in Francia la disputa se la nobiltà dovesse dedicarsi ai com­merci. D’Argenson era scettico, non perchè volesse tener lontana la nobiltà dal lavoro, ma perchè temeva che i grandi signori, col pretesto del com­mercio, accaparrassero privilegi.

« L es c o u r t i s a n s s 'a t t r i b u e r o i e n t d e s p r iv i l è g e s e x c lu s i f s , i n t e r d i r o i e n t to u t n é g o c e a u

p u b l i c ; i l n 'y a u r u i t d e p ro f i t q u e p o u r e u x , e t le r o tu r i e r , s e u l s o u t ie n d e s a r t s e t d e l 'a b o n ­

d a n c e , s e r o i t p lu s q u e ja m a is o p p r im é .

« O n e n p e u t d i r e a u t a n t d e n o s f a b r i q u e s : la v i a i e c a u s e d e s o n d é c l in , c 'e s t l a p r o ­

te c t io n o u t r é e q u 'o n l e u r a c c o rd e . L e r o i f o n d e u n e n o u v e l le m a n u f a c tu r e e t la p r o t è g e : le s

g e n s d e s a m a is o n s 'y i n t é r e s s e n t ; o n l a f a v o r is e a u x d é p e n s e s d u p u b l i c ; o n f a i t v e n d r e d e

p r é f é r e n c e c e q u i e n s o r t . D u m o in s l ’o p in io n g é n é r a l e e s t - e l le q u 'i l e n s e r a a in s i . L e s a u t r e s

f a b r ic a n s c r a ig n e n t q u e b i e n tô t o n n e l e u r in te r d i s e to u t d é b i t ; i ls s e d é c o u r a g e n t , i l s c e s s e n t

le u r s t r a v a u x . A in s i a i - je v u la v e r r e r ie ro y a le d e S è v re s f a i r e to m b e r q u a n t i t é d e v e r r e r ie s

d a n s le r o y a u m e » . ( i v i , 3 6 1 ) .

Oggi, nessuno si preoccuperebbe della concorrenza russa, se i produt­tori dovessero vendere a loro rischio. Si* sa che i russi lavorano a costi alti. La concorrenza può qua e là essere micidiale, perchè il venditore è un go­verno, al quale nulla importa vendere taluna merce all’estero a sottocosto. Qualcuno, laggiù, si stringerà la cintola. Una impresa, la quale pesca nel pozzo di San Patrizio del tesoro statale, è una formidabile seminatrice di rovine attorno a sè. D ’Argenson osservava i fatti, li registrava e così con­tribuiva a creare la vera scienza economica. Irrideva ai dottrinari, i quali pretendevano fabbricare un’altra scienza, intesa ad impartire alle imprese le quali pescano nel tesoro dello stato comandi di buona creanza, disto­gliendole dal mandare in rovina le imprese, le quali non pescano ecc. ecc.

154 LUIGI El ¡SAL DI

I regolamenti sono sempre chiesti a nome cleU'interesse generale; ma t sempre accaduto, osserva il d'Argenson, che

« p l u s le s d i s t r i c t s d e l 'a u to r i t é ro y a le [ l e b r a n c h e d 'a t t i v i t à r e g o la te d a l g o v e r n o ]

o n t é té m u l t i p l i é s , p lu s il e s t a d v e n u e n F r a n c e q u e l ' i n t é r ê t p a r t i c u l i e r l 'a e m p o r té s u r le

g é n é r a l ; e t a u j o u r d ’h u i c e t te m o d e u t e l le m e n t p r é v a lu q u 'i l s e m b le e x t r a v a g a n t e t p r e s q u e

r id i c u le d e p a r le r d u c o n t r a i r e , e t d e n o m m e r s e u le m e n t l ' i n t é r ê t p u b l ic , l ' i n t é r ê t d e la p a t r ie .

Q u a n d o n e n p r o n o n c e le n o m , il s e m b le q u 'i l s o it q u e s t i o n d e re v e n a n s , d u lo u p g a r o u , d u

j u i f e r r a n t » ( i v i , p . 3 6 5 ) .

« Laissez faire, t e l l e d e v r a i t ê t r e la d e v is e d e to u te p u is s a n c e p u b l iq u e , d e p u is q u e le

m o n d e e s t c iv i l is é . L es h o m m e s s o n t s o r t i s d e la b a r b a r i e ; i l s c u l t iv e n t t r è s -b ie n le s a r t s ; ils

o n t d e s lo is , d e s m o d è le s , d e s e s s a is e n to u s g e n r e p o u r c o n n o î t r e o ù s o n t le s b o n n e s p r a t iq u e s .

L a is se z -Ie s f a i r e , e t v o u s o b s e rv e r e z q u e là o ù l 'o n s u i t le m ie u x C ette m a x im e to u t s 'e n r e s ­

s e n t . . . . le s p a t r im o in e s p a r t i c u l ie r s e n g r a i s s e n t e t f l e u r i s s e n t ; c h a c u n y jo u i t d e s o n b i e n ;

o n y v o i t p r o s p é r e r le s a r t s u t i le s . . . . T o u t c e q u i é c h a p p e à l 'a u t o r i t é e t l a is s e l ’a c t io n d e

l 'h o m m e p lu s l ib r e p r e n d s o n e s s o r e t f r u c t i f ie » ( i v i , p a g . 3 6 4 ) .

Non si corre alcun rischio a lasciar entrare le merci forestiere. A meno di reputarci e di essere noi stessi inferiori agli altri, non trarremo altro che guadagno dalla libertà di commercio:

« Qu’on suppose les choses égales par cette liberté, que les nations soient libres et en equilibre de venir prendre chez nous, comme nous le sommes de prendre à tel ou tel marchand dans une foire, à quelle nation ira-t-on plus qu'à nous? Goût, abondance, industrie, fond de bonne foi et de générosité, nous sommes fournis de tout, nous inventons, nous perfectionnons tout. Que craignons-nous donc à ouvrir cette liberté entière si profitable? Quel bien, quelle richesse dans un pays font les ports francs comme Livourne, Marseille, Dunkerque! Cependant, derrière eux, bar­rières pour tout arrêter avec ces vilains droits et prohibitions. Qu'on juge ce que ce serait si tous étaient ports francs (Mémoire à composer, pp. 45-1-55).

Se egli sa che il commercio internazionale non consiste solo nel ven­dere ma anche nel comprare, che non si vende se non si compra e che si vende se si produce molto e a buon mercato:

« N e voit-on-pas qu'en excluant les marchandises étrangères on détourne les étrangers de prendre les nôtres?... [Il faut] avoir abondance, pour vendre beaucoup à l'étranger » (ivi, p. 459).

il d’Argenson sa anche che in certi casi importa incoraggiare le no­vità. L'argomentazione hamiltoniana o milliana a favore delle industrie giovani viene spontanea sotto la sua penna, quando egli pensa a « un pays qu’on veut sortir de la barbarie, comme la Moscovie sous le czar Pierre le Grand » :

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UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA ERA AUTARCISTI E LIBERISTI 155

« Pour encourager les premiers essais de manufactures, on a pu défendre l’en­trée de ce qui en est l'objet, et ce, pour un temps seulement, jusqu’à ce que ce pri­vilège exorbitant ait mis les choses en train » (ivi, p. 456).

A distanza di quasi due secoli, oggi si assevera che i primi liberisti fossero teorici libreschi lontani dalla realtà; ed il ritorno al mercantilismo è salutato come vittoria dell’esperienza sul dottrinarismo. A chi legga i vecchi testi quanto appar diversa la realtà! D ’Argenson non era un dottri­nario, ma un politico pratico; non aveva tratto le sue convinzioni dalla let­tura di libri, ma dalla esperienza e dalla lunga meditazione sui fatti. Non si lasciava imbrogliare dalle parole, ecco tutto. Non si lasciava cambiar le carte in tavola dai rappresentanti di interessi particolari, affaccendati a lo­cupletarsi in nome dell’interesse generale.

6. — Se l’interesse generale lo esige, lo stato deve anche intervenire. D ’Argenson, il quale osserva e scrive quel che gli detta la meditazione ri­schiarata dall’esperienza, non ha idoli. Nei casi opportuni invoca la legge. Fin d'allora, egli aveva scrutato l’indole dell’iniziativa privata conforme al­l’interesse pubblico. È iniziativa privata vantaggiosa quella che agisce in concorrenza con altre parimenti libere iniziative private; non è conforme, e deve essere repressa, l’iniziativa privata che chiede monopoli e privilegi.

« Admirez comme une ville est pourvue de tout, quand on la laisse se pourvoir, et qu'il n’y a point quelque obstacle étranger, comme serait le contagion; l’appât du gain remédie aux monopoles; l’ouverture du commerce à un chacun contre­balance le monopole » (Mémoire à corn poter, p. 456).

Le invettive, frequenti nella sua penna, contro le grandi compagnie e il grande commercio hanno origine nella sua chiara visione delle conseguenze del monopolio. Quel che deve essere fabbricato in grossi stabilimenti, per­chè così impongono la tecnica e la convenienza, sia l’appannaggio dei grossi; ma non si concentri artificialmente quel che può essere fabbricato dai piccoli.

« L es m a c h in e s q u i d o iv e n t ê t r e u n e s d o iv e n t s e f a i r e a in s i e n g r o s , c o m m e a é t é

é ta b l ie la p r e m iè r e e n t r e p r i s e d e la m a n u f a c tu r e d e g la c e s , b i a i s to u t c e q u i p e u t s e s é p a re r

d o i t l ’ê tr e . L es m a n u fa c tu r e s , u n e fo is b ie n e n t r a in d a n s le r o y a u m e , p e u v e n t s e s é p a r e r p a r

m a c h in e s c l p a r m o u l in s . T o u t d é b i t , to u t d é ta i l , to u t e t r a i t e m ê m e , t o u t a s s o r t im e n t e s t b ie n

m ie u x c o n fié à la m o l t i t u d e d e s m a rc h a n d s q u 'a u x r ic h e s m o n o p o le u r s , e t s o u v e n t b a n q u e r o u ­

t ie r s . C ro i t - o n , p a r e x e m p le , q u e le p r ix d 'u n e b o i te d 'a l i u m e t t e f û t ja m a is v e n u à u n H a rd ,

s i o n s e f û t r a p p o r t é à u n f a b r ic a n t e n g r o s e x c lu s iv e m e n t p r iv i l e g i é ? I l e û t e u d e s c o m m is ,

d e s r e g is t r e s , d e s m a g a s in s e tc . » (Mémoires, e d . J a n n e t , V , p . 18-1).

156 LUIGI EINAUDI

Se i fabbricanti odierni di piani economici riflettessero sugli insegna- menti di d’Argenson, i risultati ottenuti sarebbero più conformi alle oneste aspirazioni dei politici. Veggasi come Roosevelt si sia invischiato in una politica la quale conduce a mète contrarie in tutto a quelle da lui deside­rate! C’era una legislazione negli Stati Uniti la quale voleva combattere e limitare il monopolio delle grandi organizzazioni capitalistiche. Era im­perfetta, perchè venuta su dalle passioni politiche, dalle vociferazioni po­polari, perchè guasta dalle inframmettenze di partito, perchè informata a regole le quali lasciavano una gran parte all’arbitrio. Confondeva spesso la impresa grande per ragioni tecniche od economiche (les machines qui doivent être unes di d’Argenson) con le imprese grosse perché fornite di monopolio ma tecnicamente ed economicamente frantumatoli (qui peu­vent se séparer par machines et par moulins). Invece di elaborare e perfe­zionare la legislazione esistente, Roosevelt persuaso da consiglieri pseudo­economisti smaniosi di tutto regolare, estende a tutta l’industria ed a tutto il commercio il sistema dei monopoli. Ogni branca d’industria e di com­mercio formulerà il suo codice e sarà da questo codice regolata discipli­nata, s’intende nell’interesse generale. D ’Argenson aveva ammonito, cri­ticando Belloni, che i codici sarebbero stati compilati dagli interessati a vantaggio proprio. I sapientoni di Roosevelt dissero che lo scetticismo era teoria pura, lontana dalla realtà e che essi avrebbero sorvegliato ed im­pedito. Accadde quel che doveva accadere: che il generale Johnson, gene­rale dei codici, dovette lasciar fare ai competenti, ai periti, agli esperti; e che, competenti in ogni branca essendo gli interessati, i codici intesero a distruggere quel che rimaneva di concorrenza e ad instaurare il monopolio dei piazzati, dei collocati, ad esclusione dei nuovi. Se la suprema corte non avesse dichiarato nulli i codici, il risultato di una legge indirizzata contro gli abusi del capitalismo sarebbe stato quello di spingere quegli abusi al massimo. Oggi Roosevelt fa macchina indietro e in parte rimette in onore la legge Sherman contro i monopoli.

7. — Gran tempo si è perduto e grandi sforzi sono stati compiuti in­vano perchè non si sono seguite le vie indicate dai primi liberisti: lasciar fare a tutti quelli che di fatto instaurano concorrenza, non lasciar fare a quelli che tendono a crear monopoli. Le critiche le quali sono mosse al cosidetto capitalismo avrebbero invece dovuto essere rivolte contro il mo- nopolismo. Per difetto di analisi dei fatti economici, i legislatori hanno, sovratutto nell’ultimo terzo del secolo scorso e nel primo di questo, ope­

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UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA FRA AUTARC1STI E LIBERISTI 157

rato in modo da crescere la forza dei monopolisti; e, quando si sono ac­corti del danno che costoro recavano, invece di abbattere il lupo monopo­listico, hanno infierito contro l’agnello della concorrenza; hanno attribuito alla concorrenza quelli che sono i tipici inevitabili risultati dei privilegi di dazi, di concessioni, di limitazioni legali concessi ai monopolisti. All'atti­vità legislativa, amministrativa e giudiziaria degli stati è aperto un im­menso fecondissimo campo: la creazione dell’ambiente giuridico entro cui dovrebbe potersi svolgere la libera attività dei singoli. Dicesi ambiente giu­ridico per indicare che le norme stabilite dallo stato dovrebbero sovratutto avere le caratteristiche della certezza e della durata. Meglio mille volte non fare quanto si crede essere il bene, se quel fare è mutevole arbitrario ed imprevedibile. Gli uomini possono essere impunemente vincolati, quando il vincolo è espresso in una norma chiara certa durevole e soggetta unica­mente all'apprezzamento imparziale di un giudice indipendente. Ma il vin­colo arbitrario, anche se ottimamente inspirato, è distruttivo. Il vincolo imposto dal signor Roosevelt e dal suo segretario all’agricoltura Wallace distrugge ricchezza perchè muta a seconda delle cangianti momentanee contingenze ed è imprevedibile; laddove il vincolo imposto dalla legge e interpretato da un giudice inamovibile consente la previsione e quindi l’azione.

È errore storico e logico affermare che gli economisti, i quali, dopo avere postulato teoricamente l’ipotesi della piena concorrenza, segnalano la convenienza della verificazione in atto di quella ipotesi, siano contrari all’intervento dello stato nelle cose economiche. Essi consigliano — se con­siglio è affermare che da certe premesse derivano dati effetti — una specie particolare di intervento dello stato a preferenza di altre specie: ecco tutto. Essi consigliano quella specie d’intervento la quale consiste neH’eliminare privilegi e monopoli e nell’instaurare condizioni di piena concorrenza o condizioni a questa simili. Se si accetta il loro punto di partenza: che cioè in condizioni di piena concorrenza — il che vuol dire di gran numero di imprenditori-produttori e di consumatori, di assenza di imprese prepon­deranti le une sulle altre, di mercato aperto per i fattori produttivi ed i loro prodotti, di assenza di impedimenti al procacciamento dei fattori pro­duttivi, supposti tutti perfettamente mobili — il prezzo dei servizi pro­duttivi e dei prodotti tende ad adeguarsi al costo loro marginale ed il costo marginale tende verso il costo medio, è irrefutabile la conclusione che ogni uomo ottiene i beni ed i servizi da lui desiderati al prezzo per iui più fa­vorevole. Gli economisti non auspicano concorrenza piena perchè essi amino

i l . III.

158 LUIGI EINAUDI

la concorrenza in sè od il capitalismo o la proprietà privata o la vittoria dei forti sui deboli; tutti concetti e fatti estranei a quello di concorrenza piena; essi affermano soltanto che il verificarsi di quella ipotesi è strumento efficace, il più efficace che storicamente si conosca, per il raggiungimento del fine detto sopra. Sanno però che il verificarsi dell'ipotesi è fatto stori­camente non frequente e che il mondo reale è un mondo di monopoli e di pseudo monopoli. Ed essi invocano l’intervento dello stato.

Due vie e soltanto due si aprono al legislatore: la prima constata es­sere il mondo reale un mondo di monopoli e di pseudo monopoli ed, adat- tandovisi, registra, come se fosse avvenuta, la morte della concorrenza, e cerca di regolare, di codificare i monopoli per volgerne l'azione a fini d'in­teresse pubblico. E la via comunemente seguita, in passato ed oggi; ed è quella che si offre prima all’occhio dell’uomo di stato ansioso di bene. Esi­ste un male: il monopolio, la sopraffazione dei poveri da parte dei ricchi, del debole da parte dei prepotenti. Perchè non regolare il male?

L’altra via constata anch’essa la diversità del reale dall’astratto, db ciamo pure dall’ideale, nel senso di schema teorico dato il quale si conse­guono i fini desiderati e tenta di avvicinare il reale all'ideale. Poiché il reale se ne allontana a causa dei monopoli e delle limitazioni, l’intervento dello stato si esplica nel senso di eliminare monopoli e limitazioni. Con­stata che la realtà è a mezza via fra i due schemi teorici; ed, invece di adat­tarsi al peggio, che è il monopolio, cerca di spingerla verso il meglio, che è la concorrenza.

Si può dire che la seconda via è grandemente più ardua a percorrere della prima; che i vincoli legislativi imposta da essa sono più complicati, più sottili, più a lenta presa, meno appariscenti e meno popolari di quelli invalsi. Ma, pur astraendo dalla pretesa degli economisti che quei vincoli, appunto perciò, sieno i soli efficaci, non si può dire che i cosidetti liberisti non siano interventisti o pianisti. Essi antepongono ad altri un particolare tipo di intervento dello stato nelle cose economiche. Il contrasto non sta fra intervento ed assenza dello stato; sibbene tra l’una e l’altra specie di inter­vento dello stato. Riconoscendo nel codice civile il tipo classico dell’in­tervento dello stato nelle faccende private, gli economisti affermano che nessun altro tipo d’intervento il quale sia per universalità, per conctetezza, per certezza, per lunga faticosa millenaria elaborazione inferiore al tipo attuato nel codice civile — che altro mai è il codice fuorché un complesso di vincoli posti all’azione umana? — è destinato a durare. Come il codice civile non disciplina, riconoscendole, tutte le passioni e tutti gli istinti umani

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UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA ERA AUTARCISTI E LIBERISTI 159

quali sono; ma va al fondo degli istituti fondamentali della vita: famiglia eredità obbligazioni e detta norme atte a garantire la stabilità sociale dei popoli; così il codice economico non ha per iscopo, affermano gli econo­misti, di disciplinare i fatti quali sono. Il codice deve scegliere fra i due poli opposti del modo di agire degli uomini: piena concorrenza e mono­polio. Tutti sono d’accordo nel volere eliminare quelli che sono caratteri­stici effetti del monopolio. La contesa pratica o storica è: agire sui monopo­listi per farli operare nell’interesse comune (prima via, ordinariamente seguita) o eliminare quei monopoli i quali sono eliminabili e trasformare i rimanenti cosicché essi siano costretti ad operare nella stessa maniera in cui, se esistesse, opererebbe la piena concorrenza (seconda via, meno ovvia e più ardua).

8. — L’analisi moderna, come già quella esercitata da d’Argenson sui fatti ingenuamente osservati, scopre nel monopolio l’elemento il quale do­vrebbe essere oggetto di accertamento preciso e poi di regolamento a mezzo di norme atte ad eliminare gli effetti che l’analisi ha chiarito essere dannosi a gruppi più o meno grandi di uomini, a collettività più o meno identifi­cabili con la nazione intera. L’analisi è difficile ed ancor più ardua è la ricerca dei mezzi atti a ristabilire una condizione di cose simile alla piena concorrenza. C’è una gamma variopinta di limitazioni la quale va dalle qualità personali di taluni o molti uomini superiori al potere ipoteticamente diabolico dell’unico possessore di alimenti in una piazza assediata. La limi­tazione è il fatto dominante nella società umana. Sono limitati in numero gli uomini di genio e quelli d’ingegno, le terre fertili e quelle bene soleg­giate o vicine al mercato, le situazioni propizie al commercio od all’indu­stria, i fiumi navigabili, i porti. Eliminare tutte le limitazioni sarebbe pro­posito assurdo. Occorre classificarle, da quelle benefiche alle indifferenti ed alle dannose, definendo come benefiche quelle, la cui eliminazione dimi­nuirebbe il prodotto sociale totale: l’ingegno, l’intraprendenza, l’abilità, la capacità organizzatrice, la attitudine a prevedere il futuro; e come dan­nose quelle la cui eliminazione crescerebbe quel prodotto : il possesso esclu­sivo di un mezzo di comunicazione o il privilegio dell’esercizio di una industria, od anche, il possesso di ricchezze individuali reputate stragrandi e socialmente pericolose al requisito di una non eccessiva eguaglianza nei punti di partenza degli uomini tra di loro concorrenti. Operata la classifi­cazione, occorre calcolare i costi della eliminazione. La norma atta ad eli­minare il possesso esclusivo di un mezzo di comunicazione (ferrovia) è

160 LUIGI EINAUDI

costosa ed ha gradi diversi di efficacia. Fino a che punto conviene sottostare a tali e tali costi per ottenere tali e tali risultati? Per le ferrovie si seguitò a disputare a lungo finché l'ingegno umano scoperse i motori a scoppiò e l'autotrasporto distrusse o grandemente ridusse il monopolio della ferrovia. iMa quando il miracolo si verificò e si trattava di secondare con opportune norme il ritorno spontaneo alla piena concorrenza, ad uguali condizioni iniziali di gravami fiscali e di oneri richiesti dal servizio pubblico, fra i di­versi mezzi di trasporto, si videro i legislatori di tutto il mondo farsi pala­dini del monopolio ferroviario ed ostacolare in ogni modo l’uso del mezzo atto ad assicurare quello che a fior di labbro si afferma essere l’ideale, e cioè il rendere servigio agli uomini al minimo costo.

9. — Ogg'> come al tempo di d’Argenson, nella gerarchia delle limi­tazioni da eliminare il primissimo luogo è tenuto da quelle le quali dovreb­bero essere le più agevoli da togliere e cioè quelle create dal legislatore medesimo. Un gran passo, sulla via della eliminazione dei monopoli, sa­rebbe compiuto quando fossero aboliti i vincoli i quali, non per virtù della cosidetta natura, non in conseguenza della affermata indole propria del capitalismo, ma ad opera di precise disposizioni legislative creano privilegi e monopoli. Le duecento famiglie francesi, le sessanta americane traggono quasi tutte il loro potere, in quanto esista davvero e sia davvero contrario all’interesse generale, da norme giuridiche le quali sanciscono qualche pri­vilegio a loro favore contro la concorrenza estera od interna. Abolite quelle norme ed il favoleggiato supercapitalismo crolla come un colosso dai piedi d ’argilla palesando la sua vera indole di superstatalismo.

Non dovrebbe essere poscia impossibile a uomini prudenti e speri­mentati trovare i mezzi che, provando e riprovando, siano atti ad eliminare o ridurre le asperità dei monopoli che, dopo distrutti quelli creati dalla legge, ancora rimanessero vivi e potenti.

10. — Non sarà impossibile se si tengano da parte i periti, che per definizione son dottrinari privi di perizia, i quali, subornati dai cacciatori di posti, non vedono se non disciplinamento di tutto ciò che da sè procede benissimo, perchè disciplina vuol dire uffici, enti, passaggio di carte, visite, ispezioni, rapporti, ricorsi e conseguente ampliamento di uffici, enti, pas­saggi di carte, ispezioni e rapporti per decidere intorno ai ricorsi e così via in circolo vizioso all’infinito. D ’Argenson aveva scritto nel 1734 una pa­gina vivace a proposito dei disciplinatori :

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UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA FRA AUTARCIST1 E LIBERISTI 161

« J 'e n t e n d s r e t e n t i r c e s m o ts d e to u te s p a r t s : S i l ’o n n 'y p r e n d g a r d e , il n 'y a u r a b ie n tô t

p lu s d e b o is e n F r a n c e ; i l f a u t d e s r é g le m e n s s é v è re s , u n e p o l ic e , d e s p e in e s e f f r a y a n te s c o n tr e

c e u x q u i a b a t t r o n t n o s fo r ê ts .

C e n 'e s t p a s a in s i q u e j 'e n t e n d s c e t te q u e s t i o n .

I l f a u d r a i t s e d e m a n d e r s i la d e s t r u c t io n d e s b o is n 'e s t c o m p e n s é e p a r a u c u n b ie n q u i

e n p r o v ie n n e ; s i l 'o n n e p la n te p a s q u e lq u e a u t r e c h o s e à l e u r p la c e , c o m m e d u b lé , d e s

v ig n e s , e t s i le p a y s n e g a g n e p a s à c e r e m p la c e m e n t ; s i , le b o is d é f a i l l a n t e n F ra n c e , o n

n 'e n p o u r r a p a s f a i r e v e n i r d e l 'é t r a n g e r , c o rn e d e la R u s s ie , d e la N o r v è g e , e tc ? J e s a is q u 'à

la An ce s p a y s e u x -m ê m e s m a n q u e r o n t d e b o is , e n se p u i s a n t e t se d é f r i c h a n t c o m m e le s

n ô t r e s .

O n m e r é d u i r a d o n c à d i r e o u à d e v in e r , q u e , s i le s b o is m a n q u o ie n t p a r t o u t à la

f o is , o n p o u r r a i t b â t i r a u t r e m e n t , d i m in u e r la h a u te u r d e s la m b r is , v o û te r le s m a is o n s , f a i r e

d e s c lo is o n s e n p i e r r e , e tc .

M a is i l y e n a u r a t o u j o u r s ; c a r , a r r i v a n t q u e le b o is m a n q u â t à u n c e r ta in p o in t , il

e n c h é r i r a d a v a n ta g e , c o m m e c e la se v o i t d è s a u j o u r d 'h u i . A lo r s b e a u c o u p d e p a r t i c u l ie r s t r o u ­

v e r o n t p lu s d e p ro f i t à p l a n t e r d e s a r b r e s q u 'à s e m e r d e s lé g u m e s .

R e v e n o n s d o n c a u x v r a is p r in c ip e s ; le m e i l l e u r a r b i t r e d e l 'u t i l i t é , c 'e s t la m a s s e d u

p u b l ic , c 'e s t l 'u n i f o r m i t é d e s s u f f r a g e s in té re s s é s à c h a q u e c h o se . C h a c u n s e n t s o n in té r ê t ,

c h a c u n p r e n d le s m e s u r e s q u i lu i s o n t p r o f i t a b le s ; c 'e s t d a n s c e t a c c o rd g é n é r a l q u e n o u s

d é c o u v r o n s la v é r i té .

R ie n n 'e s t p lu s n é c e s s a i r e q u e l 'a i r . S 'c m b a r a s s c - t -o n q u 'i l e n m a n q u e d a n s le r o y a u m e ?

I l e n t r e , il s o r t p a r la f r o n t iè r e , c h a c u n s 'e n s e r t p o u r d e s s o u ffle ts , d e s b a l lo n s , e tc .

D e s o r t q u e la p a u v r e p o l ic e a u l iq u e s e d o n n e b ie n d u m a l in u t i l e m e n t à é d ic te r , à f a i r e

o b s e r v e r ses r é g le m e n s ; s e c o n s t i tu e e n f r a i s , e n c o m m is s a ire s , c o n s e i l le r s d 'é t a t q u i p e r d e n t

l e u r te m p s e t n 'e x e r c e n t q u 'a b u s e t v e x a t io n s , a t t i r e n t b ie n d e s m a lé d ic t io n s c o n t r e l 'a u t o r i t é

s a c ré e d u m o n a r q u e ; e t p o u r p e u q u 'o n y r é f lé c h is s e , o n s e n t i r a q u 'o n e s t d a n s le f a u x . A q u o i

b o n t a n t d e t r a v a i l ? A n a g e r d a n s l 'a b s u r d e p a r p r é ju g é , c o m m e il a r r i v e lo r s q u e o n f a i t

s o n n e r b ie n h a u t c e d i c t o n : G a r e ! g a r e ! le r o y a u m e v a p é r i r f a u te d e b o i s » ( i v i , p . 3 8 3 ) .

Non ho riprodotto questa pagina per criticare le provvidenze a favore del rimboschimento ed a tutela dei boschi. Da quarant'anni insegno che la tutela dei boschi, che vuol dire in Italia difesa del territorio nazionale con­tro l'ingiuria millenaria del tempo e degli uomini è compito fondamentale dello stato, inferiore solo a quelli sacri della difesa contro il nemico, della giustizia e della sicurezza. Appunto perchè importa difendere i boschi sacri al paese, è irrazionale difendere il bosco in genere. D'Argenson ha ragione, oggi come ieri, neH’irridere alla mancanza di buon senso dei dottrinari i quali suppongono di essere essi meglio in grado del contadino di sapere quando conviene abbattere alberi o boschi cedui o di alto fusto 5n tutti quei terreni, e sono la maggior parte, in cui l’abbattimento non fa correre peri­colo di erosione del suolo coltivabile. L’esperienza insegna a dettare norme vincolative per certe ben determinate zone di alta montagna, di collina dirupata, di lungo fiumi e torrenti; l’esperienza aggiunge che, data la man­canza di interesse privato alle imprese a compenso secolare, dove il rim­

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boschimento si operi con essenze forestali a ciclo superiore ai vent’anni, esso è di competenza dello stato, il quale ha vita indefettibile e ricava red­diti là dove i privati lavorerebbero in perdita. I dottrinari riducono la le­zione dell’esperienza a regole generali uniformi per tutto lo stato e di­struggono ii vantaggio deU’erario con il costo di ispezioni e di discipline nei luoghi dove esse sono inutili ed al danno dell’erario aggiungono la distruzione della ricchezza che il contadino avrebbe creato se un dottrinario non gli avesse a forza insegnato a conservare ciò che nelle sue condizioni era economico abbattere. L’esperienza insegna a proscrivere il pascolo sotto bosco là dove i boschi cedui sono di essenze dolci, e dove le piantagioni sono giovani; i dottrinari lo vorrebbero vietare dappertutto anche dove esso è il principale sostegno di povere popolazioni rurali e dove, trattan­dosi di boschi di alto fusto e di cedui già alti di essenze forti, sarebbe stru­mento gratuito e redditizio di distruzione del cespugliame che disputa alle piante i succhi del suolo e vieta ai contadini di utilizzare come pascolo il terreno sotto gli alberi d’alto fusto.

11. — Nel 1750 la disputa fra liberisti ed interventisti era disputa fra uomini di esperienza e di meditazione e dottrinari smaniosi di imporre altrui le proprie elucubrazioni ed i proprii interessi. Temo che oggi le cose non siano mutate. Con questo di peggio: che nel 1750 i liberisti comincia­vano a gloriarsi di essere tali apertamente e denunciavano gli interventisti come fautori di privilegi e di monopoli; laddove oggi nessuno più osa dirsi liberista, e tutti sono interventisti e pianisti; e da ciò nasce una con­fusione indicibile di lingue.

Poiché qui siamo in sede di pura ricerca scientifica e non si vuol dare torto o ragione a nessuno dei disputanti, si chiede solo che si adoperi una terminologia non equivoca. Tutti, oggi come nel 1750, siamo interventisti e pianisti; ma poiché c’è interventismo ed interventismo, pianismo e piani­smo, occorre definire bene ciò che si vuole e catalogare le idee fecondo il contenuto loro sostanziale, non secondo la loro denominazione verbale. Il quesito sostanziale è: si vuole che prezzi, salari, redditi siano fissati, sul mercato od altrimenti, secondo regole le quali si approssimino quanto più sia possibile al tipo astratto della piena concorrenza? Ed avremo la.corpo- razione aperta, l’imposta successoria non distruttrice delle tradizioni fami- gliari e stimolatrice alle fondazioni d’interesse pubblico, la legislazione sociale, 1 contratti collettivi di lavoro, i dazi doganali puramente fiscali e non protettivi, i cambi liberi con la banca d’emissione che, secondo il suo

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UNA DISPUTA A TORTO DIMENTICATA FRA AUTARCISTl E LIBERISTI 163

istituto, allenta o stringe i freni a difesa delle riserve metalliche ed a tutela contro le ondate di euforìa e di pessimismo, la disciplina e, se occorra, l’esercizio statale o delegato delle industrie monopolistiche o interessanti la difesa nazionale ecc. Vogliamo invece che prezzi, salari e redditi siano fissati secondo regole approssimate a quelle di monopolio? Chiuderemo la lista degli iscritti alle corporazioni, istituiremo barriere di dogane e di contingenti per quasi tutti i prodotti importati, diremo, come è di moda presso certi pianisti britannici ed americani, che il risparmio è non di rado o spesso vizio dannoso e perciò multeremo le società le quali mandino somme a riserva ed istraderemo quel tanto di risparmio, che ancora si ostinasse a nascere, esclusivamente verso le imprese dichiarate meritevoli dai periti e proibiremo persino a quelle a costoro antipatiche di for­marsi ecc. Poiché le parole di liberista e di interventista hanno creato la torre di babele, condannadole alla geenna. Importa esclusivamente sapere quel che si vuole e studiare al lume dell'esperienza i mezzi atti a raggiun­gere i fini voluti.

Luigi Einaudi.

N O T E E R A S S E G N E

VECCHI PROGETTI E VECCHIE DISPUTE SU BONIFICHEE MEZZADRIA

La mezzadria negli scritti dei geoigofili (1833-1872). Voi. I della « Biblioteca di cultura per i rurali ». G. Barbera, Firenze, 1934. 8" pp. VIII-306. Prezzo lire 20.

Luigi Bottini : La ’mezzadria nello stalo corporativo. 2“ ed. Poligrafica uni­versitaria, Firenze. 1934. 8° pp. 218. Prezzo, lire 25.

G. Francesco M. Cacherano: De" mezzi per introdurre ed assicurare stabil­mente la coltivazione e la popolazione nell’agro romano, con alcune note introdut­tive di Cesare Grinovero. F.Ui Lega, Faenza, 1936. 8° pp. 195. Prezzo, lire 20.

1. — Fioriscono in ordine sparso le ristampe di scritti economici dei secoli scorsi; ed è bene non siano coordinate chè*invece di rispondere ad esigenze sen­tite da studiosi o da pratici, diventerebbero cosa freddamente burocratica. Ecco il prof. Cesare Grinovero, il quale avendo collaborato tecnicamente all'opera di bo­nifica intrapresa nella Maremma toscana dalla « Società anonima aziende agricole maremmane » costituita da membri di nobili famiglie piemontesi e toscane, i baroni Andreis, i Cacherano di Bricherasio, i Mori Ubaldini, i Passerin d' Entrèves, e di industriali, i Danesino ed i Pellegatti; ed avendo avuto occasione perciò di leggere un vecchio volume scritto da Monsignor Cacherano nel ’700, lo ripubblica quasi fosse un libro d’attualità. Ed in verità quel libro, nonostante sia stato dapprima pubblicato in Roma nel 1785, tratta problemi attuali. C’è il rimpinzamento di cita­zioni latine comune agli scrittori del tempo; ci sono i soliti greci e romani; ma Giu­seppe Francesco Maria Cacherano dei conti di Bricherasio, figlio del vincitor del- l’Assietta, non era un mero erudito. Successivamente governatore di Todi, della Sa­bina, di Fano, di Jesi, di Marittima e Campagna, aveva osservato molto; e perciò

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L. EINAUDI - PROGETTI E DISPUTE SU BONIFICHE E MEZZADRIA 165

scrisse un libro di esperienza. Anche le sue citazioni latine, oggi cadute in disuso solo perchè politici e pubblicisti non leggono i classici, sono calzanti.

2. — Monsignor Cacherano espone un piano per la redenzione dell’agro ro­mano : il principe esproprii le tenute, obbligandosi a pagare ai proprietari un canone fisso uguale alla rendita effettiva attuale; le spezzi in poderi di circa 30 ettari, le doti di strade, di case, di centri forniti di chiesa, di casa per il chirurgo e per gli affari comuni, provveda al bestiame; e conceda i poderi a contadini enfiteuti perpetui obbligati al pagamento al principe di un terzo dei prodotti principali. Quando le vigne ,e gli oliveti saranno a frutto, la corrisposta potrà ridursi ed un quarto. Le concessioni siano inalienabili, trapassino ai soli figli effettivi coltivatori delle terre, con esclusione dei figli, anche maschi, emigrati; non siano cedibili a manimorte e patrimoni sacri. Il Cacherano non ha paura della malaria ; perchè più di essa, ucci­dono gli stenti, il pessimo vitto, le fatiche al solleone, il malo dormire all’aperto od in capanne su nuda terra. Preferisce le case sparse alle ville riunite.

H a n n o l 'u n o e l 'a l t r o m o d o i lo ro v a n ta g g i , e d in c o m o d i . S e s o n o p iù f a m ig l ie r i s t r e t t e

in s ie m e , p o s s o n o p iù f a c i lm e n te s o c c o r r e r s i . L ’u n io n e d i m o l t i li t e r r à p i ù a l l e g r i ; p iù fu o c h i

r i u n i t i p o s s o n o r e n d e r l 'a r i a p iù s a lu b r e . M a s a r a n n o a l t r e s ì p iù f a c i l i le g e lo s i e , le d is c o r d ie ,

le r is s e , le q u e r e l e d e l l e d o n n e , d e ' r a g a z z i . G l i u o m in i u n i t i f a c i lm e n te s i d a n n o a l g io c o , a l la

c r a p u la . S e i te r r e n i r im a n g o n o a d e s s i l o n ta n i , n o n s a r a n n o a s s id u i a l la v o ro , m e n o d i l ig e n t i :

l 'a p p a r e n z a , i l t im o r e d e l t e m p o c a t t iv o l i t r a t t e r r à n e l l e v i l l e ; q u a lc h e o r a d i t e m p o c o n t r a r io

f a r à l o r o p e r d e r e la g i o r n a t a in t i e r a . I l t e m p o d e l l 'a n d a r e a l p r e d io , d e l r i t o r n a r e s a r à s c e m a to

a l la v o ro d e l l a te r r a . S e s o n o a l l 'i n c o n t r o s p a r s i p e r la c a m p a g n a r im a n g o n o a b b a n d o n a t i a l l a

c u r a d e l l a s o la f a m ig l ia , p r iv i d i o g n i a l t r o s o c c o rs o . P o t r a n n o c o n t r a r r e d e l l a m a l in c o n ia ;

s a r a n n o p iù r o z z i ; a l l ' i n c o n t r o s a r a n n o p i ù c o s tu m a t i , p i ù la b o r io s i , p iù d i l i g e n t i . V e d o n o i l

l o r o t e r r e n o s e m p r e a v a n t i g l i o c c h i , m e t to n o a p ro f i t to o g n i o r a , o g n i m o m e n to . S e p io v e ,

p r e p a r a n o , v i s i t a n o g l i a t t r e z z i , c u s to d i s c o n o i l b e s t i a m e . N o n d i s s ip e r a n n o , s a r a n n o p iù a f f e ­

z io n a t i a l l e lo ro f a m ig l ie , p i ù s o b r i . N o n p a r m i p e r a l t r o im p o s s ib i le d i d a r e r i p a r o a g l 'i n c o n ­

v e n ie n t i , c u i p o s s o n o e s s e re s o g g e t t i i c o lo n i s p a r s i n e l l a c a m p a g n a , s e s i a v rà l 'a v v e r te n z a n e l

d iv id e r e , e d a s s e g n a r e le p o r z io n i d i te r r e n o , e n e l f is s a re i l s i to d e l l e c a s e , c h e s ia n o d i s p o s te

in m a n ie r a c h e u n n u m e r o d i q u a t t r o , o s e i , o a n c h e p iù s ia n o a ta le d i s ta n z a u n a d a l l 'a l t r a ,

c h e r ie s c a a g e v o le la c o m u n ic a z io n e , e g i u n g a l a v o c e d e g l i a b i ta n t i d a l l 'u n a a l l 'a l t r a .

Non è tenero della scuola, perchè teme che;

« ... . s e i l f ig l io d e l c o n ta d in o c o m in c ia a v v e z z a r s i a l l a s c u o la , p ro f i t ta o r d in a r i a m e n te p o c o

n e l l e s c ie n z e ; m a s ic u r a m e n te n o n s i a d a t ta p o i a l l 'a r a t r o , e d iv ie n e s o g g e t to a c a r ic o d e l l a

f a m ig l ia r u s t ic a , ta lv o l ta d e l l a s o c ie tà i n t i e r a » ( p p . 1 5 3 -4 ) .

Non chiede fiere e mercati per i centri rurali che egli vagheggia :

« L a m o l te p l i c i t à d e l l e f ie re d i s to g l i e d a l l a c o l t iv a z io n e e fa p e r d e r e le m ig l io r i g i o r n a t e

p e r i l la v o ro a i c o n ta d in i n e l l 'a n d a r e in g i r o a c o d e s te f ie re . L a f r e q u e n z a d e i c o n t r a t t i c o n

o g n i s o r ta d i p e r s o n e l i a d d e s t r a a l l a s o rp r e s a , a l l ' i n g a n n o , a l l a m a la f e d e . C o n t r a g g o n o d e ’

v iz i , f a n n o a l l e c r a p u le , a l l e o s te r ie , a l l 'u b r ia c h e z z a , e d a l d i s o r d i n e ; a b b a n d o n a n o o g n i a l t r a

c o s a p e r l 'a v id i t à d e l p o c o g u a d a g n o , c h e p o t r a n n o a v e r e s o p r a u n a b e s t i a , e s i f a r a n n o s i ­

s te m a , c h e s ia l e c i to o g n i m e z z o p e r c o n s e g u ir l a . M a tu r e a r e c t is in v i t i a , a v it i i« in p r a v a , a

p r a v is in p r a e c i p i t i a p e r v e n i tu r » ( p . 1 5 4 ).

166 LUIGI EINAUDI

3. — Codesto Cacherano, sebbene uscito dal Piemonte sui 25 anni, conosceva, si vede, a fondo il suo paese natio; ed avrebbe voluto che in campagna si imitasse il sistema, già allora invalso in Piemonte, dei contadini proprietari sparsi in case per la campagna, ed accaniti alla conquista, a punta di denari, delle terre dei nobili. Si illudeva di potere, con norme di inalienabilità, di bando alle fiere perditempo, com­battere vizi innati alla natura umana, sole cause, nel Piemonte ¿ ’allora e d'oggi, per cui i contadini non sono tutti, come potrebbero, proprietari di poderetti-giardino, produttivi .d’ogni ben di dio; vizi i quali hanno gli eterni nomi di furberia e di invidia, fanno preferire il guadagno di cento lire ottenuto con l'inganno a spese e beffe altrui all'onorato lucro di mille lire conseguito con fatica intelligente; e poi di gioco, di crapula e idi rissa dalle quali son dissipati i disonesti e talora anche i sudati guadagni.

4. — Il Grinovcro, il quale al libro del Cacherano, da lui amorevolmente cu­rato, ha premesso una istruttiva introduzione sulla attualità di esso, è autore anche di un libro : Aspetti tecnico-economici del lavoro manuale in alcune compartecipazioni collettive di Maccarese S. Giorgio (edito dalla Confederazione fascista dei lavora­tori dell’industria, Roma, 1937. 8° pp. 172) di cui qui ci si restringe a far menzione perchè estraneo alla materia della rivista. L’analisi accuratissima che egli fa di due com­partecipazioni (terreno, famiglie, unità lavorative, forze di lavoro, coefficenti di utilizzazione, distribuzione mensile del lavoro e grado di attività, numero di giorni festivi e di maltempo, assenze dal lavoro, coefficentc di prestazione di recupero e di operosità, divisione del lavoro, lavoro extra-aziendale; lavoro animale, suo coeffi- cente di servizio, intensità di impiego, destinazione; lavoro dei trattori) in Macca- rese, se sarà continuato fornirà agli storici futuri dell’economia un materiale di pri- m’ordine per la conoscenza dell’economia agraria italiana dai punti di vista tecnico, economico e sociale.

5. — Il marcnese Luigi Bottini, segretario agli atti dell’Accademia dei georgo- fili è benemerito della storia economica italiana. N el secondo dei volumi sopra elen­cati, oltre ad un’analisi della questione della mezzeria nel momento presente, si legge una preziosa bibliografia cronologica dei principali scritti comparsi in Italia dal 1758 al 1932 sul problema della mezzeria. Sono 62 pagine nelle quali si dà il titolo e un breve sunto dello scritto ; un po’ sul modello dei quattro volumi che il Re pub­blicò sul principio del secolo scorso (Venezia 1808-9) col titolo di Dizionario ra­gionato di libri d i agricoltura, veterinaria, e di altri rami dì economia campestre. Gli economisti agrari italiani sono più fortunati dei loro colleghi economisti generici. A ll’unico Cossa essi possono contrapporre il Lastri, il Re, il Niccoli ed ora il Bottini. Nessuno di essi forse perfetto come il Cossa, ma nel tutt’insieme largamente infor­mativi.

6. — Il Bottini ripubblica anche una silloge dei principali articoli, note, let­tere, relazioni e discorsi che gli accademici georgofili vennero, a parecchie riprese, scrivendo e pronunciando sulla mezzeria. Poiché l’accademia si occupò del problema

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VECCHI PROGETTI E VECCHIE DISPUTE SU BONIFICHE E MEZZADRIA 167

dal 1833 al 1842 e poi di inuovo dai 1851 al 1859 e dal 1871 al 1872 il Bottini raggruppa i contributi degli antichi colleghi in tre parti, premettendo ad ognuna un cenno storico illustrativo. Grandi nomi compaiono lungo i dibattiti : di Gino Capponi, Raffaello Lambruschini, Vincenzo Salvagnoli, Cosimo e Luigi Ridolfi, Pietro Cup- pari, Guglielmo Cambray-Digny.

7. — Leggendo, si ha la sensazione di un avanzamento oggi conseguito nel modo di ragionare, nella sobrietà del discorrere, nell’abbandono degli aggeggi reto­rici. Nessuno di quei vecchi, alcuni dei quali pur famosi nella storia delle lettere, giunge alla precisa eleganza scheletrica con la quale nell'ultimo quaderno (ottobre- dicembre 1937) degli atti dei georgofili Arrigo Serpieri illustra il problema, che aveva già affaticato i suoi predecessori, del calcolo dell’utile del bestiame nella mez­zadria toscana. £ noto che nei tempi di inflazione monetaria, quando il bestiame ap­partiene al proprietario e le perdite e gli utili sono divisi a metà esatta fra il proprie­tario ed il colono, i proprietari veggono i loro buoi ridursi, a poco a poco, a poco più della coda. Se nell’anno I, il paio di buoi passa dal valore 1000 a 2000, alla fine dell’anno salta fuori un 011116 di 1000 lire repartibili. Al principio dell’anno II il proprietario con 1500 lire compra tre quarti di paio di buoi; e se nell’anno il paio cresce da 2000 a 3000 lire, alla fine i tre quarti salgono da 1500 a 2250, con un utile repartibile di 750 lire. Al principio dell’anno III il proprietario con le 1875 lire residuategli acquista 7 7 /120 di un paio di buoi. Per po’ che duri Io scherzo, alla fine al proprietario, il quale ha guadagnato, sempre sulla carta, fior di quattrini, rimangono, se non proprio la sola coda, poco più delle quattro gambe. Il contrario accade in tempi di deflazione: i mezzadri si indebitano sui libri per perdite sulle vendite successive e tuttavia Ja stalla si popola di ruminanti. Essi si salvano, col non pagare i debiti. Lo sconcio dura, nota il Serpieri, perchè ambe le categorie giocano a volta a volta di furberia nel giovarsi del favore della sorte salvo a lamentarsi poi. Dei due metodi proposti dal Serpieri ambi razionali preferisco al primo, che è di rettificare le stime in modo da escludere le diminuzioni o gli aumenti di valore dovuti alle variazioni monetarie, il secondo, più semplice e perciò meglio accettabile al mezzadro: far partecipare questi alla comproprietà del bestiame, in esatta metà col proprietario. Alla lunga, non so se il metodo durerà. In certe zone del Piemonte, i mezzadri non l’hanno tollerato ed hanno voluto essere esclusivi pro­prietari del bestiame, pronti a pagare un fitto per i prati.

8. — N elle pagine dei vecchi georgofili il tema che più torna è quello della attitudine della mezzadria a seguire e favorire i perfezionamenti tecnici ed economici delle culture. Le due; tesi ¡in contrasto furono sostenute, meglio che da altri, da Co­simo Ridolfi e da Guglielmo Cambray-Digny; meglio perchè essi parlavano sulla base di esperienze vissute. Cosimo Ridolfi a Meleto preferì « sospendere » la mez­zadria durante l’opera di trasformazione. Pro tempore, i mezzadri, pur rimanendo nella casa, conservando l’orto, la bassa corte, la legna e simili vantaggi, divenivano braccianti ed erano impiegati dal proprietario nelle opere di trasformazione della tenuta; salvo a ritornar poi mezzadri sui poderi ricostruiti e migliorati. Il Cambray-

168 LUIGI EINAUDI

Digny preferiva metodo più lento, e compiva le migliorie a poco a poco, in guisa da non turbare l’economia generale del podere, e tuttavia crescere la produzione ed interessare il mezzadro alla collaborazione miglioratrice con fargliene toccar con mano i vantaggi. Ambi i metodi sono buoni, se i proprietari si occupano sul serio delle mi­gliorie con criterio tecnico studiato, adatto ai luoghi ed alle culture, ma il secondo è forse intollerabilmente lento; sicché una combinazione dei due metodi è forse la otti­ma: stralciare da ogni podere la superficie che, secondo un piano d’insieme, deve anno per anno essere migliorata e, per non ridurre anzi crescere, i guadagni della fa­miglia contadina, occupare questa di preferenza, nelle giornate libere, ai salari cor­renti, nei lavori di miglioria.

Leggendo le memorie e le discussioni dei georgofili d’un tempo vengono in mente quesiti ed ansie dell’oggi. Perciò i volumi curati dal Grinovero e dal Bottini sono contributi notabili, nonché alla storia economica del nostro paese, alla discus­sione di problemi vivi.

Luigi Einaudi.

I PAZZI ED I SAVI NELLA CREAZIONE DELLA TERRA ITALIANA

Federico Caproni. — Primi risultati d i tuta bonifica in brughiera. Milano, Berberi, 1938. Un voi. in 4°, pp. 284, s. i. p.

1. — La memoria, letta dinanzi alla Accademia dei georgofili in Firenze l ' l l aprile 1937, è qui ripubblicata con magnificenza di tipi, di carta e di illustra­zioni. I fratelli Federico e Gianni Caproni, andando alla cerca di ampio terreno piano e adatto ad esperienze aviatorie ed alla creazione della grande impresa la quale da essi ha acquistato nome e fama, capitarono nel 1909 alla Malpensa presso Milano. Erano terreni di brughiera, dove, alla Malpensa, Giambattista Tosi, com­merciante di Busto Arsizio, padre di quel dotto e pio Luigi Tosi che fu vescovo di Pavia ed amico di Alessandro Manzoni, aveva dato nel 1796 compimento ad una trasformazione agraria, che Pietro Verri aveva già potuto ammirare : il granoturco vi rendeva sino a dodici staia per pertica laddove nei terreni vicini, coltivati da tempo, dava al più otto staia; ma il Tosi traeva l ’acqua da un pozzo profondo 70 metri. Poi, nel 1832 e più nel 1886, la Malpensa fu destinata a campo di manovre militari ed a poco a poco ogni cultura venne meno. I Caproni acquistarono nel 1910 11 presso, in comune di Vizzola, i terreni di una « colonia agricola » fondata dalla « Società umanitaria » di Milano, ed il fondo di Vizzola, mettendo insieme circa 400 ettari, che prima e dopo la trasformazione agraria risultarono cosi distribuiti :

I PAZZI ED I SAVI NELLA CREAZIONE

1919

Campo d’aviazione ed officine .Ettari

25

Boschi cedui . * . . 80 J 100 /Pinete 20

Terreni coltivati : asciutti . 92,29 { 100irrigui . . . . . 7.71 1

Brughiere . . 175

DELLA TERRA ITALIANA 169

1937Ettari26.02.99

Boschi d’alto fusto . . . 130.88.73

Seminativi . . 159.55.08Prati irrigui :

semplici . . 19.04.95 ’ 34.27.12con meli . . 15.22.17 1

Culture specializzate:frutteti . 11.43.06 (vigneti . 7.84.00 ' 35.92.48gelseti . . 8.01.18 Icastagneti . 8.64.24 (

Recinti animali . . . . 10.20.00Fabbricati con cortili . . 4.38.75

401.25.15

Leggendo si ha l’impressione che la bonifica sia stata nel tempo stesso osta­colata ed aiutata dall’industria.

L’alto milanese e specie il gallaratese dove la bonifica ebbe luogo è una zona industrializzata, dalla quale il contadino genuino, agricoltore senza aggettivi, scom­pare. Dalla colonia agricola, passata dall'Umanitaria ai fratelli fiorletti, e destinata da questi alla educazione professionale agricola degli orfani dei contadini milanesi morti in guerra, non uscì neppure un agricoltore. I migliori sono pttratti dall’indu­stria, la quale paga salari più elevati. Il proprietario, il quale volesse coltivare in economia, fallirebbe certamente se dovesse pagare quei salari. Invece può affittare bene i proprii terreni in piccoli lotti agli operai dell’industria, i quali, figli della terra, vi impiegano le ore subsecivae ritraendo un prodotto complementare in na­tura, di gran sussidio alla famiglia.

« £ — o s s e rv a F e d e r ic o C a p r o n i — c h e v i s o n o d u e m o d i d i f a r e i c o n t i . I l p r o ­

p r i e t a r io d e v e m e t te r e f r a l e u s c i t e l e s p e s e d i m a n o d 'o p e r a , c h e i n a g r i c o l tu r a s o n o a l te ,

e i n e n t r a t a i d e n a r i o t t e n u t i v e n d e n d o i p r o d o t t i a p re z z o d i m e r c a to ; g l i a f f i t tu a r i , s e

o p e r a i d e l l 'i n d u s t r i a , n o n c o n ta n o le o r e im p ie g a te n e i c a m p i , m e n t r e g l i s t a b i l im e n t i s o n o

c h iu s i , e v a lu ta n o i p r o d o t t i c h e n e r ic a v a n o e c o n s u m a n o n e l l 'a m b i to f a m ig l ia r e , a l p re z z o

a l q u a l e l i a v r e b b e r o p a g a t i c o m p e r a n d o l i d a l l 'o r t o l a n o o d a l l a t t a io » ( p . 2 2 ) .

Non so se il Caproni abbia avuto tempo di meditare sulle pagine di Panta- leoni o di riflettere sulle manie dei dottrinari i quali vanno alla ricerca del reddito vero; egli qui fa certamente meditare sulle rivoluzioni economiche le quali se­guono al contrasto fra due concetti di reddito contemporanei e contrastanti ma egual­mente veri.

170 LUIGI EINAUDI

2. — 11 bonificatore, il quale deve forzatamente, durante il tempo della tra­sformazione, servirsi di salariati, lavora, in zone industrializzate, come quelle di brughiera, a costi più alti di quelli, già altissimi, delle bonifiche ordinarie in zone puramente agricole. Non solo i salarii sono alti, per la concorrenza dell’industria; ma gli elementi migliori gli sono portati via, rimanendo a lui solo gli scarti.

Quando ha inizio la conduzione del terreno oramai bonificato, sarebbe pazzia coltivare a quei salari : il bilancio si chiuderebbe in perdita permanente. La sola via d’uscita è la partecipazione sia pura, a forma di mezzadria, sia mista. Il Caproni illu­stra vividamente la complicazione del problema, facile solo per i cittadini, i quali della terra conoscono il verde dei prati, gli alberi fioriti, il lene fluire del ruscello, la festosità della trebbiatura, coi sacchi che si riempiono velocemente, le can­zoni delle vendemmiatrici e gli scherzi dei giovinotti i quali vengono a ritirare i cesti colmi di uve.

« N e l p r o g r a m m a a v e v o r is e rv a ta a i m e z z a d r i la c o n d u z io n e d e l l a p a r t e g i à c o l t iv a ta .

D o v e v a n o c o m p ie r e l a v o r i d i c o n c im a z io n e c d i s e m in a , e l 'a r a tu r a p r e c e d e n te i l r in n o v o ,

c h e v o le v o p r o f o n d a , c o l l 'a i u to d i m a c c h in e , in u n a s p e c ie d i f o r m a c o n s o r z ia ta .

C o n ta v o s u d i e s s i p e r l 'a l l e v a m e n to d e l b e s t i a m e , le s a r c h ia tu r e , le z a p p a tu r e e p e r

u n 'o r t i c o l tu r a g r o s s o l a n a , n e l l a p a r t e i r r ig u a , a b a s e d i f a g io l i e c a v o l i . L a v ig n a e i f r u t ­

t i f e r i s a r e b b e ro s ta t i d a t i p iù t a r d i , a q u e l l i c h e a v e s s e ro d im o s t r a to l a c o m p e te n z a n e c e s s a r ia .

P e r s u a s o o rm a i c h e n o n s i d iv e n ta b u o n i m e z z a d r i s e n o n s e n e h a la c o n s u e tu d in e , r in u n z ia i

a l l ' i d e a d i f o r m a r l i s u l p o s to . D e c i s i d i im p o r ta r e le n u o v e f a m ig l ie c o lo n ic h e d a u n a r e g io n e

n e l la q u a l e v ig e s s e la m e z z a d r ia .

I n v i s ta d i q u e s to p r o g r a m m a , n e l l a r i c o s t r u z io n e d e i f a b b r ic a t i te n n i p r e s e n te la

n e c e s s i tà d i a v e r e g r u p p i d i c a s e c h e s i p r e s ta s s e r o a g l i a p p o d e r a m e n t i p iù d iv e r s i s e g u e n d o

le p iù s v a r ia t e c o m p o s iz io n i d e l l e f a m ig l i e ; le c o m p o s iz io n i c io è , n e l l e q u a l i s i s a r e b b e ro

t r o v a te .

L a t r a s f o r m a z io n e d e l la p a r t e n u o v a d o v e v a e s s e re c o m p iu ta c o n s a l a r i a t i ; m a , in

q u a n to fo s s e s ta to c o m p a t ib i l e c o n le e s ig e n z e c o l tu r a l i d e l l a p a r te a c o lo n ia , s i s a r e b b e ro

im p ie g a t i c o m e s a la r i a t i a n c h e i c o lo n i . Q u e s to p e r d a r m o d o a i v o lo n te r o s i d i f o r m a r s i u n a

s c o r ta l iq u id a , m a s o p r a tu t to p e r n o n c o n t r a s t a r e t r o p p o i l c o s tu m e d e l l a p la g a la q u a le ,

in g r a n p a r te , v ie n e la v o ra ta , f u o r i o r a , d a a f f i t tu a r i c h e , d u r a n t e la g io r n a ta , s o n o s a la r i a t i

d a l l 'i n d u s t r i a . C o s ì f u f a t to .

S a p e n d o c h e l e r i f o r m e s o n o m e n o o s te g g ia te d a i g io v a n i h o c e r c a to f a m ig l ie c o n m o l t i

r a g a z z i . H o i m p o r t a to i n u o v i c o lo n i , in p iù r ip r e s e , d a u n a d ie c in a d i p a e s i d e l b e rg a m a s c o .

N e l c o m p le s s o u n c e n t in a io d i u n i t à la v o r a t iv e s u d d iv is e in 3 0 -4 0 f a m ig l ie , f o r m a n t i , t r a

g r a n d i c p ic c o l i , u n g r u p p o d i 2 3 0 -2 6 0 p e r s o n e .

T u t t i i m e z z a d r i h a n n o p r e s ta t o a lm e n o 2 0 0 g io r n a t e a l l 'a n n o c o m e s a l a r i a t i . I l b e ­

s t ia m e , l e s c o r te , g l i a t t r e z z i l i h o m e s s i io , s e n z a c h e i c o lo n i p a g a s s e r o u n q u a t t r i n o d i

in te r e s s e . H o f o r m a to f r a e s s i u n a c o o p e r a t iv a d i c o n s u m o .

S o n o a n d a t o a n c h e p iù in là . M i s o n o p r o v a to a d e d u c a re i n u o v i c o l la b o r a to r i c o n

l a p e r s u a s io n e , a r in v i g o r i r e in e s s i i l s e n s o d i d i g n i t à u m a n a , s e g u e n d o i m e to d i c h e s i u s a n o

n e l le b u o n e f a m ig l ie c o i r a g a z z i . H o a p e r to s c u o le e d i s t r i b u i i g io r n a l i , a c h i s a p e v a le g g e re .

L a m a g g io r a n z a e r a c o m p o s ta d a a n a l f a b e t i . V o le v o a u m e n ta r e n e i m ie i m e z z a d r i i l s e n s o

d i d ig n i t à p e r s o n a le p e r c h è s e n t i s s e r o c o m e u n d o v e re i l l a v o r o c h e e r a n o c h ia m a t i a c o m p ie re .

C o n fe s s o s u b i to c h e t u t t i i t e n t a t i v i d i p o te n z ia r e i l lo r o l a v o r o c o l l 'a p p l ic a z io n e d e g li

u l t im i d e t t a m i d e l p r o g r e s s o s c ie n t if ic o f u r o n o m a le a p p r e z z a t i d a l l a m a g g io r a n z a d e g l i i n t e ­

r e s s a t i . I p i ù d i e s s i in l u o g o d i a v v ic in a r m is i s i s o n o a l lo n ta n a t i .

/ A

//

/

I PAZZI ED 1 SAVI NELLA CREAZIONE DELLA TERRA ITALIANA 171

H a n n o d i c e r to la g r a n d e a t t e n u a n te c h e l 'e s p e r ie n z a fu c o m p iu ta in p e r io d o d i p re z z i

d e c r e s c e n t i i q u a l i to l s e r o a d e s s i l a s p in t a f o n d a m e n ta le a l l a v o r o : q u e l l a d e l g u a d a g n o .

M a h a n n o in f lu i to a l l 'in s u c c e s s o a n c h e i l c a r a t t e r e i n d u s t r i a l e d e l l a p la g a i n c u i s o n o g i u n t i ,

e , p r im a a n c o r a , i l m o d o in c u i s o n o s ta t i in g a g g ia t i .

H o g i à d e t to d e l p r im o . P e r l a s c e l ta m i s o n o a f f id a to a l l e a u to r i t à d e i p o s t i d i p r o v e ­

n ie n z a , a u to r i t à s in d a c a l i , c iv i l i e e c c le s ia s t ic h e , c h e t u t t e h a n f a t t o d e l lo r o m e g l io p e r

a iu t a r m i . M a , fo r s e , i c o n ta d in i p iù p r o n t i a d a b b a n d o n a r e i l l u o g o o v e s o n n a t i d im o s t r a n o

p e r q u e s to s o lo f a t t o d i e s s e re t e n d e n z ia lm e n te p o r ta t i a s ta c c a r s i a n c h e d a l l 'a g r i c o l tu r a .

£ f u o r i d u b b io c h e n e i p o s t i d 'o r i g i n e d e g l i e m ig r a n t i s i f a n n o su i m ig l io r i l e m a g g io r i

p r e s s io n i p e r t r a t t e n e r l i . N e s s u n o d e i m e z z a d r i c h e h a n la s c ia to l a m ia a z i e n d a è to r n a to

n i p a e s e d i o r ig i n e c n e s s u n o p iù fe c e s ta b i lm e n te l 'a g r ic o l to r e .

P e r la s o c ie tà la m o r a l i t à è p iù im p o r t a n t e d e l l 'i n t e l l i g e n z a . A n c h e la p r o d u z io n e

e c o n o m ic a è d e te r m in a t a d a m o l te c a u s e d i c u i q u e l l e t e c n ic h e n o n s o n o le p iù im p o r ta n t i .

I f a t t o r i d i o r ig i n e m o r a le s o n o fo n d a m e n ta l i .

N e l l a m e z z a d r ia i l c a r a t t e r e s i t r a d u c e in b e n e s t r u m e n ta le . N o n c 'è c o n f r o n to t r a

l o s p i r i t o d i i n iz ia t iv a e d i p r e v id e n z a d e i v e r i m e z z a d r i c q u e l lo d e i g io r n a l i e r i c h e n o n

r i s c h ia n o n u l l a . L a l o t t a c o n t r o l e e rb e in f e s ta n t i è c o n d o t ta d a i m e z z a d r i c o n b e n a l t r o s u c ­

c e s s o d e i g io r n a l i e r i .

M a s e i m e z z a d r i p r e te n d e s s e r o u n c o m p e n s o p e r i l l o r o la v o ro a n a l o g o a q u e l lo d i

c e r t i s a la r i a t i d i m ia c o n o s c e n z a , la m a g g io r p a r t e d e i p r o p r i e t a r i d e i f o n d i c o n d o t t i a m e z z a ­

d r i a f a l l i r e b b e » .

La mezzadria, come qualunque istituzione umana, non può essere creata da una legge, nè importata dal di fuori, nè mutata da quel che in ogni zona agraria essa è, se non per lentissima secolare sovrapposizione di esperienze. This damned constitu- tion, scrisse quel tale parlando della costituzione britannica, was never enucted; il simply did grotti. Questi dannata costituzione non fu stabilita da nessuno; venne fuori, a poco a poco, dio sa come. Un altro tale in quaranta anni di tentativi cercò di trasformare il mezzadro di una regione collinare piemontese, tradizionalmente par­tecipante alla metà dei prodotti della vigna e dei campi ed affittuario dei prati, che utilizza quindi con suo bestiame a suo rischio e vantaggio esclusivo, in mezzadro pieno, alla moda toscana. Era convinto ne avrebbero avuto vantaggio, per migliori pratiche di allevamento, proprietario e mezzadro. Non vi riuscì neppure quando, discendendo rovinosamente i prezzi, il mezzadro avrebbe avuto il vantaggio di sot­tostare a perdita dimezzata invece che intiera. I prezzi rovinavano in tutto il mondo ; ma il mezzadro era convinto che, se il bestiame fosse stato tutto suo, egli, invece di perdere denari, ne avrebbe guadagnato. Sebbene non sia scritto in nessun trat­tato di economia pura, è certo che il mezzadro toscano ed il mezzadro di quella tale regione collinare piemontese calcolano profitti e perdite del bestiame in ma­niere differentissime e vano sarebbe ogni tentativo di far combaciare i due calcoli.

3. — £ verità sacrosanta che « per la società la moralità è più importante dell’intelligenza ». Il giorno nel quale gli imprenditori saranno costretti ad assu­mere impiegati operai mezzadri affittuari fattori e consulenti secondo l'ordine di precedenza scritto in un libro imparzialissimamente tenuto dall'ufficio di colloca­mento, la società presente progressiva sarà finita. Purtroppo non avremo neppure

172 LUIGI EINAUDI

la stabilità caratteristica delle società tradizionali, contente della prosperità conse­guita. Se in una società non esiste un minimo di scelta libera, da parte dei clienti e dei direttori d’intrapresa, sulla base di imponderabili morali, non riducibili a nes­suna formula di punti di merito, d i atti esteriori, di esami, di iscrizioni a chiese partiti scuole organizzazioni, la decadenza di quella società è assai avanzata. Quando Caproni narra il suo insuccesso nella scelta del materiale umano atto all’agricoltura attraverso l'opera, pur disinteressata e zelante, delle autorità civili ed ecclesiastiche, espone una verità di valore universale. L’autorità è capace di scegliere certi uomini per certi fini; non li può scegliere tutti per tutti i fini. Gli uomini vanno al loro luogo migliore attraverso metodi svariati, di cui i più efficaci non sono riducibili a regola. Quelle che Caproni definisce « pressioni » per trattenere i « migliori » tra gli emigranti nei loro paesi d’origine vogliono dire relazioni di famiglia e di ami­cizia, autorità degli anziani, interesse dei datori di lavoro a conservare i migliori lavoratori ;ed orgogliosa istintiva consapevolezza di questi che, ad essere apprezzati da chi li conobbe da giovani e li vide venir su sotto l'occhio di padre e madre anche essi stimati per buoni, c’è da guadagnare più di quel che è sperabile dal correre la ventura del mondo. Invano si spera di creare mezzadria, affittanze e partecipazioni nei luoghi di immigrazione se prima non si ricreano, coll’aiuto del tempo e della selezione delle generazioni, quelle relazioni di famiglia di amicizia di patronato e di orgoglio le quali avevano serbato salda la compagine sociale dei luoghi d’origine per lungo tempo dopo che avevano cominciato ad isterilirsi le fonti della vita eco­nomica.

4. — Il successo tecnico alla lunga ha coronato gli sforzi dei fratelli Ca­proni. Convinti che « nel bestiame stava il perno della trasformazione agraria, perchè senza letame non si viene a capo di nulla » introdussero razze elette di bovini, di razza bruna alpina e frisona, portando il carico del bestiame nel fondo da 200 quintali nel 1927 a 1200 nel 1935; p da un quintale di carne viva per ettaro di seminativo nel 1927 a 2,70 nel 1930 ed a 6,10 nel 1935; crescendo la popolazione di maiali e di polli, con una schiusa di oltre 16.000 pulcini nel triennio 1934-936. Il bestiame è mantenuto quasi per intero dal fondo e la produzione granaria cresce.

« L e s e le z io n i p ro c e d o n o o r d in a te . I n o g n i s e z io n e d e l c a m p o z o o te c n ic o a b b ia m o d e i

s o g g e t t i p r o m e t te n t i . 1 d iv e r s i r e p a r t i d e l l ’im p r e s a i n d u s t r i a l i z z a ta f u n z io n a n o b e n e , c o n p o c a

g e n te e c o n s p e s e c h e s o n o v e n u te v ia v i a r id u c e n d o s i . L e m a c c h in e s o s t i t u is c o n o c o n v e n ie n ­

te m e n te il la v o ro m a n u a le v e n u to a m a n c a r e . C o lo ro c h e le m a n e g g ia n o s i s o n o d i s in s e lv a t ic h i t i .

M i s e n to c i r c o n d a to d a u n n u c le o d i p e r s o n e , c h e m i s o n o a f f e z io n a te e c r e d o n o , c o m e m e ,

r i s e r v a ta a i n u o v i i t a l i a n i u n a a g r ic o l tu r a m e n o fa t ic o s a » ( p . 1 0 9 ) .

Se la mèta, del lato tecnico, non è lontana, il successo economico sinora sta nel «dim inuire tutti gli anni le perdite». Federico Caproni se ne contenta, e rin­calza affermando : « le improvvisazioni sono decantate di solito più di quanto me­ritino ».

Auguro che egli possa, tra qualche anno, chiudere il bilancio in pareggio. In quel momento egli vorrà scrivere un altro libro, tratto dalla sua contabilità; e dire in esso quali siano state 4e sue spese per l’acquisto dei terreni e per la loro

/ ¡ )

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I PAZZI ED I SAVI NELLA CREAZIONE DELLA TERRA ITALIANA 173

trasformazione. A leggere le sue misurate parole ed a guardare le fotografie, ho l'impressione che, pure escludendo dal conto agricolo tutti gli investimenti i quali possano essere considerati attinenti aH'industria, i capitali investiti nella trasforma­zione siano un multiplo assai alto del prezzo originario del terreno. Faccio astrazione delle variazioni monetarie, materia controversa, intorno alla quale il bonificatore ci illuminerà nel miglior modo possibile, offrendoci i dati nelle lire di anno in anno spese ed incassate, senza alcuna arbitraria manipolazione statistica.

5. — Quando egli ricorda che le terre italiane « rappresentano l'accumulo di un immenso sforzo di sistemazione, il cui costo non ha nulla a che fare coi prezzi attuali di esse », c che « i terreni appoderati della parte agricola più progredita ven­gono pagati appena una piccolissima parte di quanto si dovrebbe spendere se si dovessero ripetere le opere di trasformazione a cui furono sottoposti » (p. 16), Federico Caproni coll'esperienza propria ribadisce la verità fondamentale della storia agricola italiana. Se in Italia non fossero sempre vissuti uomini sragionanti, la terra italiana non sarebbe quella che è. Ragionavano forse i mercanti fiorentini, senesi, pisani, lucchesi, i quali dal 1200 in poi seguitarono ad investire nella terra i gua­dagni tratti dai fondaci, costruendo ville, livellando terreni, piantando olivi, coro­nando le vette di cipressi ed ingentilendo con piante da frutta e da ornamento i poderi? Ragionavano i mercanti milanesi quando, tra il duecento ed il cinquecento e poi di nuovo nel settecento, spianavano terreni, colmavano bassifondi, derivavano canali e roggie, dotavano di caseggiati monumentali acquitrini e brughiere? Certo sragionavano, poiché investivano i risparmi all'uno e forse meno per cento, quando ad essi si offrivano investimenti, ritenuti allora ugualmente sicuri, al 4 od al 5 per cento. Alla stessa stregua sragionano oggi i Caproni e sragionano i tanti altri pazzi economici i quali vanno migliorando costruendo c bonificando dappertutto a saggi di frutto i quali, quando la mèta sia toccata, si aggirano forse fra lo zero ed il due per cento dei capitali investiti.

Se però non esistessero i pazzi economici :— la terra non sarebbe creata ed i milioni di formiche lavoratrici non

potrebbero poi trarre da quella terra, che essi pagheranno ad un prezzo uguale ad una piccola frazione del suo costo di produzione, frutto bastevole a remunerare capitale e lavoro;

— le formiche lavoratrici seguiterebbero a faticare osservando le regole antiche, senza essere in grado di salire, imitando i pazzi, a livelli più alti di benes­sere materiale e di elevazione intellettuale e morale ;

— i figli dei pazzi si troverebbero possessori di ricchezze mobiliari e di depositi monetari soggetti p ridursi a quantità ancor più invisibili di quanto non siano i valori correnti delle terre rispetto ai costi di investimento (cfr., nel qua­derno del marzo 1937 di questa rivista, i l tema da m e proposto : quale fu il saggio di frutto degli investimenti di capitale?).

Talché non oserei sottoscrivere al detto di coloro i quali dopo aver sapiente- mente affermato i progressi dell’agricoltura italiana essere dovuti al superfluo del­l'industria e del commercio, aggiungono che l’agricoltura deve tutto o molto al­l’arricchimento cittadino e quasi reputano la campagna parassita della città. La loro

12, III.

174 MARIO DE BERNARDI

tesi è inversa a quella degli agricoltori, persuasi di essere i soli produttori ed ali­mentatori della società. Ambe le tesi sono antieconomiche ed antistoriche. Forsechè industriali e commercianti lavorano per disperdere i frutti del loro lavoro? E come conserverebbero se non investissero nella terra? Alla lunga, oltre un certo limite, si conoscono forse investimenti atti a resistere alle guerre, alle rivoluzioni, alle variazioni monetarie meglio degli investimenti terrieri? Resistono male tutti; ma quale resiste meglio? L'oro, le gemme, i quadri d’autore, i libri preziosi, i sopra­mobili rari per il piccolo spazio tenuto e la facile invisibilità resisterebbero egre­giamente; ma il possesso di oro e di gemme diventa, a tratti di secoli, reato puni­bile con tratti di corda arbitraria e con rosolamento di carni a lento fuoco su grati­cole antisemite; ma le quadrerie, le biblioteche ed i ricordi di famiglia si disper­dono per noncuranza ed ignoranza. Se la terra, pur aperta alle grandini ed agli uccelli da preda, è dunque fornita di un grado di resistenza maggiore del valore mobiliare, dei depositi bancari, degli impianti industriali e dei fondi di commercio, non forse dobbiamo abituarci a considerare l'I % terriero uguale al 5 % mobi­liare; ed invece di guardare alla terra come alla parassita della città, non dobbiamo reputarla lo ¡scopo per il quale tanta gente conduce nelle città una vita la quale sarebbe altrimenti senza mèta e senza contenuto? L’istinto terriero che fa preferire lo zero o l’uno per cento è forse un inconsapevole .ragionamento ricevuto in ere­dità dalle generazioni passate, il quale tiene conto degli imponderabili ignorati dalla logica ordinaria? Chi sono i pazzi e chi i savi nelle cose economiche?

Luigi Einaudi.

A P P U N T I

Una definizione, e non soltanto un canone, è da Pasquale Jannaccone rac­chiusa, con la consueta densità e nitidezza di pensiero e di scrittura, nelle brevi pa­role di questo spunto incidentale della prefazione di Prezzi e mercati (Torino 1936, 24 n.) :

. . . . l 'a u to r e . . . . n o n f a q u i q u e s t i o n e d i a t t r i b u z io n i p e r s o n a l i m a d i c r o n o lo g ia , p e n s a n d o

c h e a l l a s to r ia d i u n a s c ie n z a im p o r t i m e n o a c c e r ta re , s e p u r e lo p o s s a , c h e u n a c e r ta d o t t r i n a

s ia p r o p r io d i A o d i B d i q u a n to le im p o r t i c o n o s c e re c h e q u e l l a d o t t r i n a s ia p a r t e d i u n a

c o r r e n te d i p e n s ie r o a f f e rm a ta s i a l t e m p o d i A o d i B e s e g u i r n e g l i s v i l u p p i n e l c o r s o d e l

te m p o .

Poiché è ovvio che, quando possibile, il modo migliore, ancorché il più difficile, di chiarire se un determinato episodio, nascita o altro che sia, della vita di una dot­trina risalga piuttosto al tempo di A che al tempo di B, consiste nel ricostruire se esso rappresenti appunto l ’opera di A o del suo contemporaneo A ' piuttosto che

APPUNTI 175

quella di B o del suo contemporaneo ¡B' — sembra superfluo aggiungere che tale definire non significa affatto decretare un’esclusione, ma semplicemente asserire una preminenza : significa distinguere l'essenziale dall'accessorio, e non contestare l’in­contestabile legittimità e serietà dello scrupolo àe\\un ì cui que suum tribuere, che è qui insieme espressione di dirittura morale e ideale di perfezione scientifica.

Ritratto di contadino. — Più che nelle trattazioni di teoria, volte, sì, al­l’interpretazione della realtà anche più modesta, ma intessute all’uopo di schemi astratti ; più che nelle opere di storia, intese, è vero, alla concreta conoscenza, ma conoscenza di grandi accadimenti •— c dato trovare rappresentazioni della quotidiana psicologia economica ricche di verità e vivezza, e per ciò istruttive altresì per teo­rici e storici, in talune pagine della letteratura narrativa. Come in queste, di Stendhal (Le rouge et le noir, capitoli iv e v), che meriterebbero in particolare di richiamare l ’attenzione degli studiosi del monopolio bilaterale:

M . d e R é n a l é t a i t u b s o r b é d a n s ce d o u te , l o r s q u ’il v i t d e lo in u n p a y s a n , h o m m e d e

p r è s d e s ix p ie d s , q u i , d è s le p e t i t j o u r , s e m b la i t f o r t o c c u p é à m e s u r e r d e s p iè c e s d e b o is

d é p o s é e s l e lo n g d u D o u b s , s u r l e c h e m in d e h a la g e . L e p a y s a n n 'e u t >pas l 'a i r f o r t s a t i s f a i t

d e v o i r a p p r o c h e r M . le m a i r e ; c a r ce s p iè c e s d e b o is o b s t r u a ie n t le c h e m in , e t é t a ie n t d é p o s é e s

là e n c o n tr a v e n t io n .

L e p è r e S o r c i , c a r c 'é t a i t lu i , f u t t r è s s u r p r i s e t e n c o r e p lu s c o n te n t d e l a s in g u l iè r e

p r o p o s i t io n q u e M . d e R é n a l l u i f a i s a i t p o u r s o n f i l s J u l i e n . I l n e l 'e n é c o u ta p a s m o in s a v ec

c e t a i r d e t r i s t e s s e m é c o n te n te e t d e d é s in t é r ê t d o n t s a i t s i b ie n s e r e v ê t i r la f in e s se d e s h a b i ta n t s

d e c e s m o n ta g n e s . E s c la v e s d u te m p s d e la d o m in a t io n e s p a g n o le , i l s c o n s e rv e n t e n c o r e c e t r a i t

d e la p h y s io n o m ie d u f e l l a h d e l 'E g y p te .

L a r é p o n s e d e S o r e l n e f u t d 'a b o r d q u e l a lo n g u e r é c i t a t io n d e to u te s le s f o r m u le s d e

r e s p e c t q u 'i l s a v a i t p a r c œ u r . P e n d a n t q u ’il r é p é t a i t c e s v a in e s p a r o le s , a v e c u n s o u r i r e g a u c h e

q u i a u g m e n ta i t l 'a i r d e f a u s s e té e t p r e s q u e ‘.de f r i p o n n e r i e n a tu r e l à s a p h y s io n o m ie , l 'e s p r i t

a c t i f d u v i e u x p a y s a n c h e r c h a i t à d é c o u v r i r q u e l l e r a i s o n p o u v a i t p o r t e r u n h o m m e a u s s i

c o n s id é r a b le à p r e n d r e c h e z l u i s o n v a u r ie n d e fils . I l é t a i t f o r t m é c o n te n t d e J u l i e n , e t c 'é t a i t

p o u r lu i q u e M . d e R é n a l l u i o f f r a i t l e g a g e in e s p é r é d e 3 0 0 f r a n c s p a r a n , a v e c l a n o u r r i t u r e

e t m ê m e l ’h a b i l l e m e n t . C e l te d e r n i è r e p r é te n t io n , q u e le p è r e S o r e l a v a i t e u le g é n ie d e m e t t r e

e n a v a n t s u b i te m e n t , a v a i t é t é a c c o rd é e d e m ê m e p a r M . d e R é n a l .

C e t te d e m a n d e f r a p p a l e m a i r e . P u i s q u e S o re l n 'e s t p a s r a v i e t c o m b lé d e m a p r o p o s i ­

t io n , c o m m e n a tu r e l l e m e n t i l d e v r a i t l 'ê t r e , i l e s t c la i r , s e d i t - i l , q u 'o n lu i a f a i t d e s o f f r e s

d 'u n a u t r e c ô t é ; e t d e q u i p e u v e n t - e l le s v e n i r , s i c e n 'e s t d u V a le n o d ? C e f u t e n v a in q u e

M . d e R é n a l p re s s a S o re l d e c o n c lu r e s u r - le - c h a m p : l 'a s tu c e d u v i e u x p a y s a n s 'y r e f u s a o p in iâ -

t r é m e n t ; i l v o u la i t , d i s a i t - i l , c o n s u l t e r s o n fils , c o m m e s i , e n p ro v in c e , u n p è r e r i c h e c o n s u l t a i t

u n fils q u i n 'a r i e n , a u t r e m e n t q u e - p o u r la f o r m e .

L e . l e n d e m a in d e b o n n e h e u r e , M . d e R é n a l f i t a p p e l e r le v i e u x S o r e l , q u i , a p r è s s 'ê t r e

f a i t a t t e n d r e u n e h e u r e o u d e u x , f in i t p a r a r r i v e r , e n f a i s a n t d è s l a p o r t e c e n t e x c u s e s , e n t r e ­

m ê lé e s d 'a u t a n t d e ré v é re n c e s . A fo r c e d e p a r c o u r i r to u te s s o r te s d ’o b je c t io n s , S o re l c o m p r i t

q u e s o n fils m a n g e r a i t a v e c le m a î t r e e t l a m a î t r e s s e d e l a m a is o n , e t le s j o u r s o ù i l y a u r a i t d u

m o n d e , s e u l d a n s u n e c h a m b r e à p a r t a v e c le s e n f a n t s . T o u j o u r s p lu s d i s p o s é & in c id e n te r à

m e s u r e q u ’i l d i s t i n g u a i t u n v é r i t a b l e e m p re s s e m e n t c h e z M . l e m a i r e , e t d ’a i l l e u r s r e m p l i d e

d é f ia n c e e t d 'é to n n e m e n t , S o r e l d e m a n d a à v o i r la c h a m b re o ù c o u c h e r a i t s o n f ils . C 'é t a i t u n e

176 MARIO DE BERNARDI ■ APPUNTI

g r a n d e p iè c e m e u b lé e f o r t p r o p r e m e n t , m a is d a n s la q u e l le o n é t a i t d é jà o c c u p é à t r a n s p o r te r

le s l i t s d e s t r o i s e n f a n t s .

C e t te c i r c o n s ta n c e f u t u n t r a i t d e l u m iè r e p o u r le v ie u x p a y s a n ; i l d e m a n d a a u s s i tô t

a v e c a s s u r a n c e à v o i r l 'h a b i t q u e l 'o n d o n n e r a i t à s o n fils . M . d e R é n a l o u v r i t s o n b u r e a u e t

p r i t c e n t f r a n c s .

— A v e c c e t a r g e n t , v o t r e fils i r a c h e z M . D u r a n d , le d r a p i e r , e t lè v e ra u n h a b i t n o i r

c o m p le t .

— E t q u a n d m ê m e je l e r e t i r e r a i s d e c h e z v o u s , d i t le p a y s a n , q u i a v a i t to u t à c o u p

o u b l ié se s f o r m e s ré v é r e n c ie u s e s , c e t h a b i t n o i r lu i r e s te r a ?

— S a n s d o u te .

— O h b ie n ! d i t S o re l d 'u n to n d e v o ix t r a î n a r d , il n e r e s te d o n c p lu s q u 'à n o u s m e t t r e

d 'a c c o r d s u r u n e s e u le c h o s e , l 'a r g e n t q u e v o u s l u i d o n n e re z .

— C o m m e n t ! s 'é c r ia M . d e R é n a l in d ig n é , n o u s s o m m e s d 'a c c o r d d e p u is h i e r : je d o n n e

t r o i s c e n t s f r a n c s ; je c ro is q u e c 'e s t b e a u c o u p , e t p e u t - ê t r e t r o p .

— C 'é t a i t v o t r e o f f re , j e n e le n ie p o in t , d i t le v ie u x S o r e l , p a r l a n t e n c o r e p lu s l e n t e ­

m e n t ; e t , p a r u n e f f o r t d e g é n ie q u i n 'é to n n e r a q u e c e u x q u i n e c o n n a i s s e n t p a s le s p a y s a n s

f r a n c s -c o m to is , il a jo u ta , e n r e g a r d a n t f ix e m e n t M . d e R é n a l : Nous trouvons mieux ailleurs.A ces m o ts l a f ig u r e d u m a i r e f u t b o u le v e r s é e . I l r e v in t c e p e n d a n t à l u i , e t , a p r è s u n e

c o n v e r s a t io n s a v a n te d e d e u x g r a n d e s h e u re s , o ù p a s u n m o t n e f u t d i t a u h a s a r d , la f in e s se

d u p a y s a n l 'e m p o r t a s u r la f in e s se d e l 'h o m m e r ic h e , q u i .n 'e n a p a s b e s o in p o u r v iv r e . T o u s

le s n o m b r e u x a r t ic le s q u i d e v a i e n t r é g le r la n o u v e l le e x is te n c e d e J u l i e n s e t r o u v è r e n t a r r ê t é s ;

n o n s e u le m e n t sc s a p p o in te m e n t s f u r e n t r é g lé s à q u a t r e c e n ts f r a n c s , m a is o n d u t le s p a y e r

d 'a v a n c e , le p r e m ie r d e c h a q u e m o is .

— E h b ie n ! je lu i r e m e t t r a i t r e n te - c in q f r a n c s , d i t M . d e R é n a l .

— P o u r f a i r e la s o m m e r o n d e , u n h o m m e r i c h e e t g é n é r e u x c o m m e m o n s ie u r n o t r e

m a i r e , d i t l e p a y s a n d 'u n e v o ix câline, i r a b ie n j u s q u 'à t r e n te - s ix f r a n c s .

— S o i t , d i t M . d e R é n a l , m a is f in is s o n s -e n .

P o u r le c o u p , la c o lè r e l u i d o n n a i t l e to n d e l a f e rm e té . L e p a y s a n v i t q u 'i l f a l l a i t

c e s s e r d e m a r c h e r e n a v a n t . A lo r s , à s o n to u r , M . d e R é n a l fit d e s p r o g r è s . J a m a is i l n e v o u lu t

r e m e t t r e le p r e m ie r m o is d e t r e n te - s ix f r a n c s a u v ie u x S o r e l , f o r t e m p re s s é d e le r e c e v o i r p o u r

s o n fils . M . d e R é n a l v i n t à p e n s e r q u 'i l s e r a i t o b l ig é d e r a c o n te r à s a f e m m e l e r ô le q u ’il a v a i t

jo u é d a n s t o u te c e t te n é g o c ia t io n .

— R e n d e z -m o i le s c e n t f r a n c s q u e j e v o u s a i r e m is , d i t - i l a v e c h u m e u r . M . D u r a n d m e

d o i t q u e lq u e c h o s e . J ' i r a i a v e c v o t r e f i ls f a i r e l a le v é e d u d r a p n o ir .

A p r è s c e t a c te d e v ig u e u r , S o r e l r e n t r a p r u d e m m e n t d a n s se s f o r m u le s r e s p e c tu e u s e s ;

e l le s p r i r e n t u n b o n q u a r t d 'h e u r e . A la f in , v o y a n t q u 'i l n 'y a v a i t d é c id é m e n t p lu s r i e n à

g a g n e r , i l s e r e t i r a . S a d e r n i è r e r é v é r e n c e f in i t p a r c e s m o t s :

— J e v a is e n v o y e r m o n fils a u c h â te a u .

C ’é t a i t a in s i q u e le s a d m in is t r é s d e M . le m a i r e a p p e l a i e n t s a m a is o n q u a n d i l s v o u la ie n t

l u i p la i r e .

Mario de Bernardi.

//>

//

R E C E N S I O N I

Raffaele Ciasca. — Storia coloniale dell’Italia contemporanea. (C o l le z io n e s to r ic a

V i l l a r i ) U . H o e p l i , M i la n o , 1 9 3 7 . U n v o i . in 8 ”', p p . 5 7 0 , c o n IX t a v o le g e o g ra f ic h e . L . 3 8 .

P r e v e d e v a m o g iu s to — o l t r e t r e n t ’a n n i f a , a l l ' i n i z i o d i q u e s to s e c o lo in « I l m o d e rn o

p r o te z io n i s m o e la q u i s t io n e d e l d i s a r m o » , M a c e ra ta , 1 9 0 6 — q u a n ta p a r te , n e g l i e te r n i

c o n f l i t t i i n te r n a z io n a l i , a v r e b b e r o a v u ta le q u i s t i o n i c o lo n ia l i . Q u e s ta p r e v is io n e c o n fe rm a a

p ie n o il g r o s s o v o lu m e d e l C ia s c a , c h e è s to r ia c o lo n ia le i ta l i a n a e d , im p l ic i t a m e n te , m o n d ia le .

I n f a t t i « f r a le in n u m e r e v o l i e c o m p le s s e c a u s e — s c r iv e i l C ia s c a — c h e d e t te r o

o r ig i n e a l g r a n d e c o n f l i t to d e l 1 9 1 4 , r im a s e s e m p r e a l l a b a s e l 'a s p r o d i s s id io a n g lo -g e rm a n ic o ,

d e te r m in a to d a l l a o s t in a ta v o lo n tà d e l l ' I n g h i l t e r r a d i m a n te n e r e i l p r im a to c o lo n ia le e m a r i t ­

t im o , f u lc r o d e l la s u a p o te n z a e s e g r e to d e l l a s u a p r o s p e r i t à , d i c o n tro a i f o r m id a b i l i a p p e t i t i

c o lo n ia l i d e l l a G e r m a n ia , r iv e la t i s i in f o r m a r u d e e q u a s i b r u t a l e a l l a v ig i l i a d e l l a g u e r r a

m o n d ia le e d u r a n t e i l c o n f l i t to . . . . » .

E r i l e v a i l C ia s c a i l c o n tr a s to , c h e è a n t ic o , e s e m p r e n u o v o , f r a colonialisti e d anti­colonialisti, c i ta n d o i l n o to g iu d iz io d e l B is m a r k , c h e a s s ic u r a v a n o n a v re b b e s p e s o p e r l e

c o lo n ie u n s o ld a to d e l la P o m e ra n ia , c g iu d ic a v a p e r l ' im p e r o g e r m a n ic o c h im e r ic h e e d a n a c r o ­

n is t ic h e l e c o lo n ie , c o m e q u e l 'e c h e d i s t r a e v a n o , l o n t a n o d a l l a p a t r i a , a rm i e d e n a r i , im p o r ­

ta v a n o s p e s e e c o m p l ic a z io n i , e c h e , p r im a o p o i , f a ta lm e n te d o v e v a n o e s s e re r im e s s e in l i b e r tà .

E r a i l te m p o in c u i a n c h e in I n g h i l t e r r a i l B e n th a m , e p i ù i s e g u a c i d i l u i , c o n s id e r a v a n o

i n u t i l i le c o lo n ie , a n z i d a n n o s e ( C f r . M ijirhf.ad: What imperialista means, n e l la F o r tn ig h t ly

R e v . d e l l 'a g o s to 1 9 0 0 , p a g . 1 7 9 ).

M a a p p u n to f r a q u e s t i c o n t r a s t i a c q u i s ta p r e g io l a s e r e n a , o b b ie t t iv a e s p o s iz io n e d e l

C ia sc a . E s to r i a d i g r a n d i sa c r if iz i , d 'e r o i s m i , d i d o lo r i , q u e s ta c h e c o s c ie n z io s a m e n te n a r r a l 'A . ,

a c o m in c ia r e d a q u e l l i d e i n o s t r i n o n p o c h i e s p lo r a t o r i , p io n ie r i , c h e i l C ia s c a r i c o r d a

d o v e ro s a m e n te q u a s i u n o p e r u n o , f in o « q u e l l i d e l la n a z io n e in te r a .

I m p o r ta n z a p a r t i c o la r e h a l 'u l t i m o lu n g o c a p i to lo , l ’ V i l i ( p a g . 4 0 8 a 5 5 7 ) , d e d ic a to

a «.La politica fascista nelle colonie » , d o v e s o n o m in u ta m e n te e s p o s t i g l i s f o r z i c h e c i è

c o s ta to , d o p o i l q u a s i a b b a n d o n o d u r a n te la g r a n d e g u e r r a , la r i c o n q u is ta d e l l a T r i p o l i t a n i a

e d e l l a C i r e n a ic a , e la c o n q u is t a Vdell' E t io p ia .

S o n o , n e l l ib r o , o t t o l u n g h i c a p i to l i , p r e c e d u t i d a d ie c i p a g in e d ’ Introduzione, in c u i

l ’A . r i a s s u m e « g l i s f o r z i s im u l ta n e i Idi g r a n d i e p ic c o li s t a t i , p e r a c q u is t i c o lo n ia l i , c h e c a r a t ­

t e r iz z a n o i l s e c o lo c h e v a d a l la r e s ta u r a z io n e d e l 1 8 1 4 a i n o s t r i g i o r n i : a r m a m e n t i , a t t iv i t à

m e rc a n t i le , c o n q u is t e d i n u o v i m e r c a t i , c o m p e t iz io n i d i n a tu r a p o l i t i c a e d e c o n o m ic a , h a n n o .

177

178 RECENSIONI

s p e s s o c o m e p u n t o d i p a r te n z a o d i a r r iv o in te r e s s i c o lo n ia l i . P r o b le m i e s s e n z ia l i a l l a v i t a

d i p o te n z e e u r o p e e e d ‘e x t r a e u r o p e e s o n o s t a t i c s o n o tu t t o r a p i ù o m e n o in f lu e n z a t i d a

q u i s t i o n i c o lo n ia l i N o n p ic c o la p a r t e d e l l e r e la z io n i i n te r n a z io n a l i d u r a n t e l 'u l t i m o s e c o lo

— e m ig ra z io n e , t e n s io n i d ip lo m a t ic h e , lo t t e a b a s e d i t a r i f f e d o g a n a l i , g u e r r e , p a c i , t r a t t a t i , ecc .

— c i a p p a r e in t im a m e n te c o n n e s s a , ta lv o l ta a d d i r i t t u r a c o n d iz io n a ta , d a in te r e s s i c o lo n ia l i » .

I l c a p . I t r a t t a L'Italia e il problema coloniale all’indomani dell’unità ( p p . t l a 6 7 ) ;

i l c a p . I I , Gl'inizi della nostra azione coloniale in Africa orientale ( p p . 6 7 a 1 2 6 ) ; il c a p . I l i ,

La fondazione della colonia eritrea ( p p . 1 2 6 a 2 5 2 ) ; i l c a p . I V , La politica di raccoglimento e il risveglio economico e morale dell’ Italia ( p p . 2 5 2 a 2 9 0 ) ; il c a p . V , La politica colo­niale fino alla grande guerra ( p p . 2 9 1 a 3 4 8 ) ; i l c a p . V I , La nostra politica coloniale durante la guerra mondiale ( p p . 3 4 9 a 3 7 4 ) ; i l c a p . V I I , Italia e colonie nel dopo guerra ( p p . 3 7 4

a 4 0 7 ) ; i l c a p . V i l i , La politica fascista nelle colonie ( p p . 4 0 7 a 5 5 7 ) .

A r e n d e r la t r a t t a z io n e a n c o r a p iù c o m p le ta l 'A . a g g iu n g e l a t r a t t a z io n e d e l la o r g a ­

n iz z a z io n e p o l i t i c o - a m m in is t r a t i v a c d e l l a v i t a e c o n o m ic a ta n to in L ib ia , c h e in E r i t r e a e n e i

n u o v i t e r r i t o r i e t io p ic i .

A m p l i s s im a la b ib l io g r a f ia e la d o c u m e n ta z io n e . I l g r o s s o v o lu m e , in tu t t o d e g n o d e l

v a lo r e d i s to r ic o d e l C ia s c a , s i le g g e s e m p r e c o l p iù v iv o in te r e s s e e l a r g o p ro f i t to . D e g n i

d i r i l i e v o la im p a r z i a l i t à , la o n e s tà , il d e c o r o , c o n c u i g iu d ic a g l i u o m in i c h e s i s o n o s u c ­

c e d u t i n e l l a d i r e z io n e d e l n o s t r o s t a t o d a l '6 0 i n p o i , i q u a l i a n c h e n e l le l o r o t i tu b a n z e , n e g l i

s te s s i e r r o r i f u r o n o s e m p r e , t u t t i , a n im a t i d a a l to e m e r i te v o le s p i r i t o p a t r io t t i c o .

G iovanni Carano - Donvito.

Mario Alberti. — Scrittori italiani di economia monetaria: Romeo Bocchi. ( L a le g g e

c o s ì d e t t a d i « G r e s h a m » c g l i a s p e t t i p s ic o lo g ic i d e l d e n a r o ) . E s t r a t to d a l l a « R a s s e g n a

m o n e ta r ia » , X X X V , 1 9 3 8 , n . 1 -2 , in 8 ° p p . 4 9 e 1 p . in d ic i .

D i R o m e o B o c c h i e d e l l 'o p e r a s u a Delta giusta universal misura et suo typo. T o m o

p r im o i n t i t o l a to Anima delta moneta p e r A n to n io P in c l l i , V e n e z ia , 1 6 2 1 , 4 ° , p p . 6 s . n . c 9 2 .

— T o m o s e c o n d o i n t i t o l a to Corpo della moneta p e r G ia m b a t t i s t a C io t t i , V e n e z ia , 1 6 2 1 , 4 ° ,

p p . 6 , 1 8 6 ( l e n o ta z io n i s o n o q u e l l e d e l C o s s a ) a v e v a n o a l u n g o d is c o r s o il G o b b i ( i n « E c o ­

n o m ia p o l i t i c a n e g l i s c r i t to r i i t a l i a n i d e l s e c o lo X V 1 -X V II » ) e i l M o n ta n a r i ( i n « C o n t r ib u to

a l l a s to r i a d e l l a t e o r ia d e l v a lo r e n e g l i s c r i t to r i i t a l i a n i » ) . N o n s e n e t r a e v a l ' im p r e s s io n e c h e

e g l i fo s s e s c r i t to r e d i g r a n r i l i e v o ; m a l ' im p r e s s io n e d if f ìc i lm e n te e r a c o n t r o l l a b i l e p e r la

r a r i t à s in g o la r e d e l l 'o p e r a . O t t im a p e r c iò la f a t i c a d e l l 'A lb e r t i , i l q u a l e r ip u b b l ic a , in 18

p a g in e a l l 'i n c i r c a d i s t a m p a m o d e r n a , a lc u n i l u n g h i b r a n i d e l lo s c r i t to d e l B o c c h i , c h e a lu i

p a r v e r o i p iù s ig n if ic a t iv i . B o c c h i s c r iv e a l l a m a n ie r a d e i g i u r i s t i d e l s u o te m p o , c o n t e r m i ­

n o lo g ia d i c u i i l l e t to r e n o n s e m p r e a f f e r r a i l s ig n i f ic a to e c o n le c o n s u e te i r r i t a n t i c i ta z io n i

in te r c a l a r i . F a n n o e c c e z io n i , e p e r c iò s i l e g g o n o v o le n t ie r i , t a lu n e c h ia r e p a g in e n e l l e q u a l i

i l B o c c h i e s p o n e l e c a u s e d i q u e l l a c h e e g l i c h ia m a « d i s t r a t t i o n e d e l l a m o n e ta » e v u o l d i r e

s c o m p a r s a d i u n a o d i p a r e c c h ie s p e c ie d i m o n e ta o p e r e s p o r ta z io n e a l l 'e s t e r o o p e r f u s io n e

o p e r t e s a u r i z z a z io n e . L a s c o m p a r s a è d o v u ta i n o g n i c a s o a l l ' « a l t e r a t a o s p r o p o r t io n a ta

v a lu ta z io n e » d e l l 'u n a m o n e ta in c o n f r o n to a l l 'a l t r a , la q u a l e c r e a in te r e s s e n e i d e b i to r i a

p a g a r e n e l l a m o n e ta le g a lm e n te s o t to v a lu t a t a in c o n f r o n to a l l e a l t r e , le q u a l i p e r c iò s o n o

e s p o r t a t e f u s e o te s a u r iz z a te . A l l a m a s s im a g e n e r a l e c o m u n e m e n te d e t t a le g g e d i G r e s h a m

e f o r m u la t a c o l d i r e c h e l a m o n e ta c a t t iv a c a c c ia la b u o n a i l B o c c h i a g g iu n g e :

•I/

RECENSIONI 179

— e s s e re i l r i s c h io d e l la c a c c ia ta d a l lo s ta to p iù a c c e n tu a to p e r le m o n e te b a s s e c h e p e r

q u e l l e f in i , a n c h e s e a m b e s ia n o s o t to v a lu ta te . N o n d ic e , a lm e n o n e i b r a n i r i p o r t a t i d a l l 'A lb e r t i ,

il p e r c h è d i ta l f a t t o c o n s ta ta to p e r e s p e r i e n z a ; m a s i ^può s u p p o r r e c h e d e l l e m o n e te f in i

s o t to v a lu ta t e i l p o p o lo fa c c ia t e s o r o l a d d o v e , n o n s a p e n d o c h e fa r s i d i q u e l l e b a s s e p a r im e n t i

s o t to v a lu ta t e , p e r e s s e re c o m p o s te in g r a n p a r t e d i m e ta l lo v i le , q u e s te e s c a n o d a l p a e s e ;

— e s s e re l 'a b b o n d a n z a d i m o n e ta , p e r c a u s a d i g u e r r a g u e r r e g g ia t a , c a g io n e a i p a e s i

d i f lo r id e z z a . N o n o s t a n t e e g l i d u b i t i d e i v a n ta g g i u l t im i d e l l 'a b b o n d a n z a , c h è la g u e r r a f a

a l t r e s ì a b b o n d a r e i p a e s i d i « v i t i j a n c o r a e n o rm is s im i » , il B o c c h i p u r c o n s ta ta c h e a l te m p o

d e l le g u e r r e d e i r e c a t to l i c i F i l i p p o I I e I I I n e i P a e s i b a s s i d e l l a G e r m a n ia « e r a q u e l p a e s e

i n t a n ta a b b o n d a n z a d i m o n e ta e t v e t to v a g l ie , c h e m o l to p iù f lo r id o s i p u ò d i r e , c h e fo s s e

i n te m p o d i g u e r r a , d i q u e l lo c h e p o i s ia s ta to in t e m p o d i s o m m a q u ie t e p o v e r o d i n e g o t i j ,

e t d i m o n e ta » . D o v e s i p u ò , g u a r d a n d o c o g l i o c c h i d 'o g g i , v e d e r e u n ta l q u a le b a r lu m e

d i t e o r ie s u g l i e f f e t t i e c c i ta n t i d e g l i a r r i v i c o p io s i d i n u o v o o ro .

S e q u e s te o s s e rv a z io n i p a r t i c o la r i s i a n o s u e ; s e a l t r i , a d e s e m p io B o d in , n o n a b b ia p re c e ­

d u t o n e l la s e c o n d a i l B o c c h i è d iv e r s o d is c o r s o . L ’A lb e r t i i n d u g ia s i s o v r a tu t to n e l la q u e s t i o n e

d i p r io r i t à r i s p e t to a l l a c o s id e t ta le g g e d i G r e s h a m c h e e g l i v o r r e b b e , p a r m i , c h ia m a r e

le g g e d i B o c c h i. I l c h e è n o n b u o n o e s e m p io d e l v e z z o n a z io n a l is t ic o a n t ic o e d o r a r a v v iv a to

in o g n i p a e s e d i r i v e n d ic a r e p r io r i t à c p r i m a t i , v e z z o fe c o n d o d i l i t i g i i n u t i l i e d i v a n e

c o n tu m e l ie t r a p a e s e e p a e s e . A c h e p r ò r in v a n g a r e , a p r o p o s i to d i p a te r n i tà d o t t r i n a r i e ,

l a d r e r ie e f r a m a s s o n e r ie a c a r ic o d e l p o v e r o G r e s h a m , s e n z a i n q u a d r a r l e n e l l a c o rn ic e c o m ­

p iu t a d e l l 'u o m o e d e i t e m p i?

N e l c a s o s p e c if ic o , f u s e m p r e m a i n o t i s s im o c h e la l e g g e c o s id e t ta d i G r e s h a m fu a

l u i a t t r i b u i t a n o n s i s a d a c h i — i l M e L e o d c h e s i d ic e e s s e re s ta to i l p r im o a f a r e i n

p r o p o s i to il s u o n o m e e s p l i c i t a m e n te a f f e rm a c h e q u e l l a le g g e « v e n n e c h ia m a ta » , n o n d u n q u e

d a l u i , le g g e d i G r e s h a m d e l la v a lu t a — ; e l ' i n v e n to r e o r i s u s c i t a to r e m e d e s im o d e l l a a t t r i ­

b u z io n e r i c o rd a v a c h e la m a s s im a e r a s ta t a g i à d a a s s a i g r a n te m p o d ic h i a r a t a d a A r i s to f a n e

n e l le « R a n e » . M a il c o m m e d io g ra fo a te n ie s e r i f iu te r e b b e c e r ta m e n te l 'o n o r e d e l l 'a t t r i b u z i o n e ,

p o ic h é , a r t i s t a , e g l i in te n d e v a a f a r r iv iv e r e a r t i s t i c a m e n te s u l l e s c e n e la v i t a e d i d e t t i d e l

t e m p o s u o .

C o s a f a t t a c a p o h a . S a p p ia m o b e n e c h e n è la le g g e d e l la r e n d i t a n è q u e l l a s u l l a d i s t r i ­

b u z io n e d e i m e ta l l i p r e z io s i t r a i v a r i i p a e s i d e l m o n d o s o n o d i R i c a r d o ; m a in v a n o A n d e r s o n

e W e s t ( e R o o k e e M a l t h u s a v a n z a v a n o a l t r e s ì p re te s e ) p e r la p r im a o H u m e p e r la s e c o n d a

p r e te n d e r e b b e r o d o v u ta r ip a r a z io n e . O r m a i l 'e t i c h e t t a è p a s s a ta i n g i u d i c a t o ; e n e l c a s o d i

G r e s h a m , m o r to d e l r e s to g r a n t e m p o p r im a ( 1 5 7 9 ) c h e B o c c h i s c r iv e s s e , l 'u s o p re s s o c h é

u n iv e r s a l e d e l l 'a g g e t t i v o « c o s id e t to » d in a n z i a « le g g e » to g l ie v a lo r e s o s ta n z ia le a l l a a t t r i ­

b u z io n e .

S i p o t r e b b e m u ta r e d a G r e s h a m a B o c c h i l 'e t i c h e t t a s o lo s e s i r iu s c i s s e a d im o s t r a r e

c h e p r im a d e l 1 6 2 1 n e s s u n o f o r m u lò m e g l io d i B o c c h i la c o s id e t ta le g g e d i G r e s h a m . L ’A lb e r t i

m e d e s im o n e d u b i t a , c h è e g l i r ip r o d u c e n d o , fa c c ia a f a c c ia a q u e l l a d i B o c c h i , l a f o r m u la

d i O r e s m e ( c o m p o s iz io n e in n a n z i a l 1 3 6 4 , s t a m p a 1 5 1 1 ) n o n ta c e i l c o m p ia c im e n to p e r la

« e le g a n te p e r f e z io n e d e l lo s t i l e » d e l s e c o n d o :

Oresme.... car, par adventure, les hommes portent

plus voulentier leurs monnoies aux lieux ou il rscevent icelles plus valoir.

Bocchi.... l’una e poi l'altra verrà distratta e

esportata; e conseguentemente causerà penu­ria di moneta.

.... essere mosso, chi commette tal'eccesso [della distrattione] dall’apparenza dell'utile che spera conseguire nel distrarre tale mo­neta, riducendola in altro luogo, o in altra specie di moneta o in altr’uso.

180 RECENSIOSI

H o r i s t r e t t o l a c i ta z io n e a l l e p a r o le p r o p r i e a l l a c o s id e t ta le g g e d i G r e s h a m , la q u a le

s i p u ò r ia s s u m e re c o l d i r e avere i debitori convenienza a pagare nella moneta per essi relativa- mente meno costosa. Q u in d i se s i v o g l io n o m a n te n e r e c o n te m p o r a n e a m e n te i n c i r c o la z io n e d u e

o p iù m o n e te b i s o g n a f a r e in m o d o c h e n o n e s i s ta d iv a r io f r a l 'u n a e l 'a l t r a m o n e ta . L 'e n u n ­

c ia z io n e d e l p r in c ip io è p iù n e t t a n e l l 'O r e s m e c h e n e l B o c c h i, i l q u a l e c o m p l ic a il c o n c e t to

s e m p l ic e c o n a f f e rm a z io n i e x t r a v a g a n t i s u l l 'e s s e r e q u e l l 'u t i l e « d i a p p a r e n z a » , s u l l 'e s s e r e l 'o p e ­

r a to d a l l 'u o m o u n « e c c e ss o » e s u l l a « p e n u r i a d i m o n e ta » c h e a l l 'e c c e s s o c o n s e g u ir e b b e .

D o v e n o n s i v e d e in c h e c o n s is ta l 'e c c e s s o e p e r c h è l 'u t i l e s ia a p p a r e n t e , e , s e a p p a r e n t e c a ­

p a c e d i c o n s e g u ir e e f f e t t o ; p e r c h è l 'e f f e t to d e b b a e s s e re lo g ic a m e n te la p e n u r i a d i m o n e ta , p o ­

t e n d o d a r s i a b b o n d a n z a a n c h e d i c a t t iv a m o n e ta .

L 'A lb e r t i , i l q u a l e g o d e m e r i t a m e n te d e i f e c o n d i o z i a l l 'u o p o n e c e s s a r i , a g g iu n g a a

q u e l la d i a u to r e d e l l 'o d i e r n o s u g g e s t iv o s a g g io , a l t r a b e n e m e r e n z a c o l f a r s i e d i to r e d e l lo s c r i t to

d i c u i e g l i h a la v e n tu r a d i p o s s e d e re c o p ia . U n a e d iz io n e c r i t ic a , la q u a le c o n te n g a l a s p ie ­

g a z io n e d e l s ig n i f ic a to e la v e r s io n e in l i n g u a i t a l i a n a m o d e r n a d e i t r o p p i t e r m in i e m o d i d i

d i r e e d i p e n s a r e i n f a t t o d i m o n e ta , d i b a n c a e d e i n e g o z i c h e i l B o c c h i o v v ia m e n te u s a p e r ­

c h è a ' s u o i t e m p i in te s i d a t u t t i , m a o g g i s o n o a p r e s s o c h é tu t t i in c o m p r e n s ib i l i , c i i s t r u i s c a s u l

p e s o e t i t o lo d e l le m o n e te , a l t e e b a s s e , r e a l i , in c o rp o re e , im m a g in a r ie e s u p p o s i t i z ie , c i t a te d a l ­

l 'a u t o r e ; e c i d ia a l t r e s ì p e r d is te s o in n o t a il c o n te n u to d e l le d ia b o l ic h e c i ta z io n i in s e r i t e n e l

te s to d a l l 'a u to r e , — s a r e b b e u n c o n t r ib u to d i p r i m 'o r d i n e a l l a c o n o s c e n z a d e l le t e o r ie m o n e ta r ie

a l p r in c ip io d e l s e c o lo X V I I I . L a b e n e m e r e n z a c re s c e re b b e a s s a i s e i n o l t r e ( 'A lb e r t i c o n f r o n ­

ta s s e i l te s to d e l B o c c h i c o n q u e l lo d e i m o l t i m o n e ta r i s t i a n t e r io r i a l 162 1 e d i c u i f in d 'a l -

lo r a i l n u m e r o e r a c o s i g r a n d e d a i n d u r r e g iu r e c o n s u l t i p e r i t i s s im i a f a r s e n e r a c c o g l i to r i in

c e l e b r a te a n to lo g ie : s t r a n ie r e q u e l le d e l B o y ss d e l 1 5 7 4 e d e l B u d e l iu s , d e l 1 5 9 1 , p ie m o n te s e

q u e l la d e l T h e s a u r o d e l 1 6 0 9 . I l p ro b le m a p r in c ip e d i t u t t i c o d e s t i t r a t t a t i e r a q u e l lo s te s s o c h e

a f fa n n a v a i l B o c c h i e d i l T h e s a u r o d a v a a l l a r a c c o l ta i l t i t o lo de monetarum angmeiilo varia- Iione et diminulione, q u a s i a s e g n a la r e s u b i to l a c a u s a d e l l a f u g a o r d i q u e s ta o r d i q u e l l a m o ­

n e ta , p e r c u i il l a m e n to e r a u n iv e r s a le . P u r t r o p p o , i t r a t t a t i c o n te n u t i n e i v o lu m i o r a r i c o r d a t i

e d in a l t r i s o n o s c r i t t i in u n l a t i n o a n c o r p iù o r r i p i l a n t e d e l l 'i t a l i a n o le g a l is t i c o d e l B o c c h i.

M a u n a b u o n a s to r ia d e l l e d o t t r i n e m o n e ta r ie f in o a l 1 6 0 0 , m e g l io d ic a s i s in o a l 1 7 0 0 , n o n

s i s c r iv e s e n z a e r c u le a f a t ic a . P e r c iò n o n f u a n c o r a s c r i t t a ; e d u n q u e a c q u is te r e b b e g r a n d e e

m e r i t a ta f a m a c h i la s c r iv e s s e .

L . E .

TRA RIVISTE ED ARCHIVI

STORIA ECONOMICA DOPO L’ INIZIO DEL ’700 (0.

POLITICA ECONOMICA:

A. v. Carlowitz, Bismarck unii die Privai- versicherung (Die Bank, Heft 8, 1938, pp. 256-258).[Al lume della nuova dottrina nazionalso­cialista, l'A. esamina le opinioni espresse da Bismarck in materia di tutela statale delle assicurazioni private],

E. Corbino, Il movimento delle merci nei porti meridionali dal 1922 al 193S (Que­stioni meridionali. Agosto 1937, pp. 53-89).[Solo i porti tra Napoli e Salerno e fra Bari e Margherita di Savoia presentano, nel mezzogiorno, notevole importanza. Molti di

essi presentarono una certa diminuzione nel periodo considerato; ma net complesso, pe­rò, è notabile una lenta evoluzione dell'eco­nomia meridionale verso una maggiore in­dipendenza regionale. Necessita quindi in­dustrializzare maggiormente il mezzogiorno, anche in vista dello sviluppo dei suoi porti].

D. M. D e Meis, Il corso forzoso e la poli­tica finanziaria d i Quintino Sella (Rass. mo­netaria, fase. 9-10, 1937, pp. 1050-1100).[Particolareggiato esame delle vicende finan­ziarie italiane dal 1865 al 1878, quando si attua la politica di Q. Sella. D a una accu­rata esposizione di essa, l'a. studia, nel qua­dro delle condizioni economico-finanziarie

(1) Questo bollettino bibliografico è il frutto dello spoglio delle riviste sottoindicate, dal 1° gennaio 1937 :

R iv is ta d i p o l i t i c a e c o n o m ic a - E c o n o m ia - R iv is ta b a n c a r i a - R a s s e g n a m o n e ta r ia - S c ie n t ia - R a s s e g n a s to r ic a d e l R is o r g im e n to - G e r a r c h i a - I t a l i a A g r ic o la - Q u e s t io n i M e r i ­d io n a l i - G e n u s - V i t a e P e n s ie r o - R iv i s ta i n te r n a z io n a l e d i s c ie n z e s o c ia l i - R iv is ta i t a l i a n a d i s c ie n z e e c o n o m ic h e - G i o r n a l e d e g l i e c o n o m is t i - A n n a l i d i e c o n o m ia - G io r n a l e s to r ic o e l e t t e r a r i o d e l l a L ig u r ia - L ’A r c h ig in n a s io - A r c h iv io s to r ic o i t a l i a n o - A r c h iv io ’ s to r ic o p e r le p r o v in c e p a rm e n s i • B o l l e t t i n o d e l la R . D . d i s t o r i a p a t r i a p e r 1' U m b r i a - A r c h iv io d e l la R . D. r o m a n a d i S . P . - B u l le t t in o s e n e s e d i S . P . - A r c h iv io s to r ic o lo m b a r d o - A r c h iv io v e n e to - A r c h iv io s to r ic o p e r l e p r o v in c e n a p o le ta n e - A n n a le s d 'h i s to i r e é c o n o m iq u e e t s o c ia le - R e v u e d ' h i s to i r e é c o n o m iq u e e t s o c ia le - R e v u e h i s to r iq u e - R e v u e d e 1‘ I n s t i t u t d e s o c io lo g ie - B u l l e t i n d e 1' I n s t i t u t d e s S c ien ces é c o n o m iq u e s - C h r o n iq u e s o c ia le d e F r a n c e - L 'a c tu a l i t é é c o n o m iq u e - R e v u e d 'é c o n o m ie p o l i t i q u e - T h e E n g l i s h H i s to r ic a l R e v ie w - I n te r n a t io n a l R e v ie w f o r S o c ia l H is to r y - T h e E c o n o m ie H i s to r y R e v ie w . T h e E c o n o m ie J o u r n a l - H is to r i s c h e Z e i t s c h r i f t - Z e i t s c h r i f t f ü r d i e g e s a m te S ta a ts w i s s e n s c h a f t - J a h r b ü c h e r f ü r N a t io n a lö k o n o m ie u n d S ta t i s t i k - D i e B a n k .

181

182 TRA RIVISTE ED ARCHIVI

i ta l i a n e , i l p ro b le m a d e l c o r s o fo r z o s o e g l i a l t r i a q u e s to c o n n e s s i ] .

F. Ponteil, Le ministre des finances Georges Hunumi et les émetites an tifi scalei en 1841 (R e v . h i s t . , a p r i l e - g iu g n o , 1 9 3 7 , p p . 3 1 1 - 3 5 4 ) .

[ R ip r e n d e n d o g l i s tu d i d a a l t r i g ià f a t t i i n to r n o a g l i a v v e n im e n t i f in a n z ia r i s u c c e d u ­t i s i i n F r a n c ia d u r a n t e i l r e g n o d i L u ig i F i l ip p o , l ’A . a p p o r t a u n n u o v o c o n t r ib u to a t t r a v e r s o lo s tu d io o r ig i n a l e d e l la l e g i s la ­z io n e v ig e n te i n m a te r ia d i c o n t r ib u t i p e r ­s o n a l i e m o b i l i a r i e d i c o n t r ib u t i s u l le p o r te e f in e s tre , d e l l e d e c i s io n i a d o t ta te d a G . H . , d e l l a v io le n ta c a m p a g n a d i s ta m p a s c a te n a ­ta s i e d e i s u c c e ss iv i t o r b i d i p o p o la r i e c c i ta t i d a l l e p a s s io n i p o l i t i c h e ] ,

L. T rovini, Le « sanzioni » nel secolo X IX ( R a s s . m o n e ta r ia , fa s e . 5 -6 , 1 9 3 7 , p p . 4 3 4 - 4 4 6 ) .

[ è u n c o n t r ib u to a l l a s to r ia d i q u e l p e r io d o — n o n a n c o r a a b b a s ta n z a p r o f o n d a m e n te s tu d i a to — c h e h a v i s to c o n t r a p p o r r e u n b lo c c o in g le s e a l b lo c c o c o n t in e n ta l e n a ­p o le o n ic o . U n p r e c e d e n te d i « s a n z io n is - m o » a n g lo s a s s o n e c o n t r o i p o p o l i l a t in i , c h e g io v e r à e s a m in a r e a t t e n ta m e n te a n c h e p e r t r a r n e u t i l i r a f f r o n t i c o n la n o s t r a s to r ia e c o n o m ic a r e c e n te ] .

A . Fossati, Il timore continentale dell'Inver­sione dei prodotti inglesi nella prima metà del secolo X IX ( R iv . d i p o l i t . e c o n . fa s e . I I , 1 9 3 8 , p p . 1 1 8 -1 2 5 ) .

[S i c o n s id e r a l a s i tu a z io n e d e i c o s ti i n d u ­s t r i a l i in I n g h i l t e r r a d u r a n t e la r iv o lu z io n e in d u s t r i a l e e i l t im o r e s o r to n e l c o n t in e n te c h e l ’ I n g h i l t e r r a p o te s s e c o s i « i n v a d e r e » i m e rc a t i e u r o p e i . S i e s a m in a s e g l i a l l a r m i fo s s e r o o m e n o g iu s t i f i c a t i ] ,

C O N D I Z I O N I E C O N O M I C H E :

A . E . Sayous, La crise financière de 1709 à Lyon et à Genève (R e v . d 'h i s t . é c . e t so c ., n . 1 , 1 9 3 8 , p p . 57 e s e g .) .

[ I n s e g u i to a l l a g u e r r a d i s u c c e s s io n e d i S p a g n a , l e c o n d iz io n i e c o n o m ic h e f r a n c e s i p e g g io r a r o n o e n e l 1 7 0 9 b L io n e s c o p p iò u n a c r is i f in a n z ia r ia c h e e b b e to s to g r a v i r i ­p e r c u s s io n i a n c h e a G i n e v r a ] ,

C . A . V ianello, La riforma daziaria in un inedito di Pietro Verri ( R iv . in t . d i se . so c ., fa s e . I I , 1 9 3 8 , p p . 1 3 9 -1 5 4 ) .

[ D o p o a v e r d e t to b r e v e m e n te d e l la e v o lu ­z io n e d e l s is te m a d a z i a r io lo m b a r d o d a l le

o r ig i n i a l 1 7 8 7 , F A . d à a m p ia e d o c u m e n ­ta t a n o t iz ia d e l le id e e e s p o s te d a l V e r r i a p r o p o s i to d e l l e r i f o r m e d e l 1 7 6 4 e d e l 1 7 7 4 ] .

M O N E T E E M O N E T A Z I O N E :

M . Alberti, Vicende di valute e dottrine monetarie nella monarchia austro-ungarica fitto al 1914. La teoria statale della moneta e la realtà economica ( R a s s . m o n e ta r ia , fa s e . 3 -4 , 5 -6 , 7 -8 , 1 9 3 7 , p p . 1 3 6 -1 9 3 , 3 5 9 - 3 8 8 , 6 2 1 -6 4 6 ) .

[ C o n t in u a n d o n e l lo s tu d io g i à i n iz ia to n e i p r e c e d e n t i n u m e r i , F a . e s a m in a la d i s t r i ­b u z io n e d e l p o s s e s s o a u r e o , le c a r a t t e r i s t i ­c h e d e l la c ir c o la z io n e c a r ta c e a n e i v a r i i p a e ­s i in c o n f r o n to d e l l 'A u s t r i a - U n g h e r i a , le v a r ie o p in io n i e s p r e s s e d e i p iù n o t i s tu d io s i s u l l a t e o r ia s f a ta le d e l l a m o n e ta , e la p o ­l i t i c a d e l le d iv is e a t t u a t a n e l la p a s s a ta m o ­n a r c h i a ] .

C . Rist, Le cours forcé en Angleterre (1797- 1821) (R e v . d 'h i s t . éc . e t so c ., n . 1, 1 9 3 6 - 3 7 , p p . 5 -4 8 ) .

[ C o n a m p io e s a m e c r i t ic o d e l le t e o r ie d i T h o r n t o n e d i R ic a fd o , F a . d im o s t r a c o m e il c o r s o f o r z a to e la c a r ta m o n e ta n o n f o s ­s e r o in E u r o p a f e n o m e n i n u o v i q u a n d o l ' I n ­g h i l t e r r a li a d o t tò a l l a f in e d e l s e c o lo X V I I I ] .

P O P O L A Z I O N E :

C. A . V ianello, Inchieste e campagne demo­grafiche nel '700 ( A r c h . s to r . lo m b a rd o , fa s e . 3 -4 , a n n o I I , 1 9 3 7 , p p . 5 2 8 -5 2 9 ) .

[ A c a u s a d e l la f o r t e d im in u z io n e d e l n u ­m e r o d e i m a t r im o n i t r a i l 1 7 8 1 -8 2 il g o ­v e r n o d i L o m b a r d ia c o m p ì u n 'i n c h ie s t a t r a i p a r r o c i p e r s a p e re a q u a l i c a u s e a t t r i b u i r e il f e n o m e n o . V a r ie f u r o n o le r i s p o s te e v a ­r i i i p ro v v e d im e n t i in d ic a t i p e r c o m b a t te r lo . L 'A . n e p r e n d e in c o n s id e r a z io n e a l c u n i ] .

I N D U S T R I A :

P. M . Bondois, Le développement de la ver­rerie française au X V III siècle (R e v . d 'h i s t . é c . e t s o c ., fa s e . 3 -4 , 1 9 3 6 -3 7 , p p . 2 3 7 -2 6 1 e 3 3 3 -3 6 1 ) .

[ N e l X V I I I s e c o lo l ' i n d u s t r i a v e t r a r ia f r a n ­c e s e s i s v i lu p p ò p ro g r e s s iv a m e n te e d in m o d o c o n t in u o , n o n o s ta n t e a b b ia d o v u to s u ­p e r a r e n o n p o c h i o s ta c o l i c a u s a t i d a l l e m i ­s u r e p r o te z io n i s te . L a s u a e v o lu z io n e , c h e d a s e m p l ic e i n d u s t r i a a r t ig ia n a l 'e l e v ò a

/A

•i //i

TRA RIVISTE ED ARCHIVI 183

g r a n d e i n d u s t r i a c a p i ta l i s t i c a , n o n e r a a n ­c o ra c o m p iu ta q u a n d o s c o p p iò la r i v o l u ­z io n e ] ,

G . Carano-DoNVIto, Cotone e cotonifici nelle antiche provincie meridionali ( R iv . d i p o i . c c ., fa s e . X I I , a . X X V I I , d ie . 1 9 3 7 , p p . 1 0 0 6 -1 0 1 3 ) .

[ S o n o e s p o s te le c o n d iz io n i d e l l 'i n d u s t r i a d e l c o to n e n e l le a n t ic h e p ro v in c ie m e r id io ­n a l i , a t t r a v e r s o l 'e s a m e d i u n a r ic c a d o c u ­m e n ta z io n e ] .

A . Fossati, Note informative sui costi di pro­duzione nell'industria inglese ai tempi della rivoluzione industriale ( R iv . d i p o i . e c ., fa s e . I l i , a . X X V I I I m a rz o 1 9 3 8 , p p . 2 3 8 - 2 4 5 ) .

[ S tu d io t e n d e n te a d i l l u s t r a r e la d i f f e r e n z a c h e in te r c o r r e t r a i c o s t i d i p r o d u z io n e i n ­g le s i e f r a n c e s i a i t e m p i d e l l a r iv o lu z io n e in d u s t r i a l e , c o n la d e d u z io n e d i a lc u n e c o n ­s e g u e n z e e c o n o m ic h e e te o r ic h e r ig u a r d o a l l 'e v o lu z io n e in d u s t r i a le d e l l ' I n g h i l t e r r a t r a i l X V I I I e d i l X IX s e c o lo ] ,

R . W agenfuhr, L'èconomie industrielle alle­mande au court des 2 5 dernìires années (R e v . éc . i n te r n . , d ie . 1 9 3 7 , p p . 4 5 1 -4 7 5 ) .

[C o n s id e r a z io n i s u l l e v ic e n d e a t t r a v e r s a te d a l l 'i n d u s t r i a te d e s c a d a l 1 9 1 0 a l 1 9 3 6 e s u i b e n e f ic i e f f e t t i o t t e n u t i m e d ia n te l 'a p p l i c a ­z io n e d e l p r im o p ia n o q u a d r ie n n a le . L 'A . a f f e rm a c h e , c o n la r e a l iz z a z io n e d e l s e c o n ­d o p ia n o , n o n m a n c h e r a n n o a l l 'i n d u s t r i a t e ­d e sc a a l t r i im p o r t a n t i c o m p i t i d a a s s o lv e re p e r u n a s e m p r e m a g g io r e in d ip e n d e n z a e c o ­n o m ic a d e l p a e s e ] .

Q U E S T I O N I S O C I A L I :

A . E . Sayous, La haute hourgeoisie de Ge­nève enlre le début du X V I I et le milieu du X IX siècle (R e v . h is t . , lu g l io - s e t t e m ­b re , 1 9 3 7 , p p . 3 0 -5 7 ) . ,

[ T r a s f o r m a z i o n i a t t r a v e r s o le q u a l i p a s s ò l a b o rg h e s ia g i n e v r in a d u r a n t e i l X V I e X V I I s e c o lo ; f u s io n i s e m p r e p i ù s t r e t t e t r a le v a r ie f a m ig l ie d e l l 'a r i s to c r a z ia , c h e d i r e s ­s e r o lo s ta to n e i s e c o li s u c c e s s iv i. L a consi­derazione d e l la q u a le g o d e t t e p e r t r e s e c o li l 'a l t a b o r g h e s ia d i G in e v r a v a r i f e r i t a , in l a r g a m is u r a , a l v a lo r e m o r a le d i u n a élite] .

G . W olff, Tuberkulosesterblichkeit und In­dustrialisierung vor und nach dem Weltkrieg ( J a h r b ü c h e r f ü r N a t io n a lö k o n o m ie u n d S ta ­t i s t i k , d ic e m b re 1 9 3 7 , p p . 7 1 3 -7 2 9 ) .

[L a s ta t i s t i c a d e l l a tu b e rc o lo s i a s s u m e u n a p a r t i c o la r e im p o r ta n z a p e r c h è a v v e r te q u a le d e v e e s s e re l 'u r g e n z a m a g g io r e o m in o r e d e i p r o v v e d im e n t i d a a d o t t a r e p e r c o m b a t­te r e il t e r r i b i l e m o rb o c h e m in a le b a s i s te s s e d e l la s o c ie tà u m a n a . L 'a . e s a m in a l 'a n d a m e n to s ta t i s t ic o d e l m a le n e i p r in c i ­p a l i p a e s i , in r a p p o r to a l l o s v i lu p p o d e l l ' i n ­d u s t r i a l i z z a z io n e ] .

B A N C H E E B A N C H I E R I :

R . Cantori, h i formazione della potenza finanziaria francese nel secolo X IX (R a s s . m o n e ta r ia , fa s e . 5 -6 , 1 9 3 7 , p p . 3 9 9 -4 2 1 ) .

[ L 'A . e s a m in a l 'e v o lu z io n e s to r ic a d e l le i s t i tu z io n i c a r a t t e r i s t i c h e d e l c a p i ta l i s m o b a n c a r io - f in a n z ia r io f r a n c e s e n e l s e c o lo X IX t r a e n d o n e a lc u n e a r g u te d e d u z io n i c h e p e r ­m e t to n o d i c o m p r e n d e r e i l p e r c h è d e l f a ta le s g r e to la m e n to c h e a t a n ta p o te n z a fe c e s e ­g u i t o ] .

M E R C A T O F I N A N Z I A R I O :

G. Capodaglio, Storia di un investimento di capitale ( R iv . i t . d i se . e c ., m a rz o 1 9 3 8 , p p . 1 6 7 -1 9 5 ) .

[ I n q u e s ta p r im a p a r t e d e l s u o s tu d io , l 'A . e s a m in a le v ic e n d e f in a n z ia r ie d e l l a S o c ie tà i t a l i a n a p e r l e s t r a d e f e r r a t e m e r id io n a l i d a l 1 8 6 ? a l 1 9 3 5 . I n e s s e s i r i f le t te u n p o ' t u t t a l 'e v o lu z io n e d e l l a v i t a e c o n o m ic a i t a ­l ia n a d e l p e r i o d o ] ,

J . M . D rappier, La conjoncture des cours des valeurs mobilières, de leurs dividendes et des taux d’intérêt en Belgique de 1830 à 1913 ( B u l l , d e l ' i n s t . d e s se . é c ., a g o s to 1 9 3 7 , p p . 3 9 1 -4 4 9 ) .

[ P a r t i c o l a r e g g ia t a a n a l i s i s ta t i s t ic a d e l l e c o n d iz io n i d e l m e rc a to f in a n z ia r io b e lg a d a l 1 8 3 0 a l 1 9 1 3 ] .

I M P O S T E E T A S S E :

R . Schnerb, Tecnique fiscale et partis pris so­ciaux: l'impôt foncier en France depuis la Révolution ( A n n a le s d 'h i s t . é c . e t so c ., m a r ­z o 1 9 3 8 , p p , 1 1 6 -1 3 5 ) .

[ D a l 179 1 a l 1 8 9 1 l ' im p o s t a f o n d ia r i a in F r a n c ia s i è r e t t a s e c o n d o u n a d o t t r i n a c h e r i s e n t iv a d e l le te n d e n z e f i lo so fic h e e d e c o n o ­m ic h e d e l X V I I I s e c o lo . L ’A . n e e s a m in a i v a r i i s ta d i a t t r a v e r s o i q u a l i p a s '.ò p o n e n ­d o la in r e la z io n e c o n l e d o t t r i n e f in a n z ia r ie e s o c ia l i a l lo r a d o m i n a n t i ] .

18! TRA RIVISTE ED ARCUIVI

N O B I L T À

J . Berque, Sur tuie coin tic terre nuroc.iine: seigneur terrieri et paytam ( A n n a le s d h is t . éc . e t so c ., m a g g io 1 9 3 7 , p p . 2 2 7 -2 3 5 ) .

[ I n d a g in e s to r ic a s u l la f o r m a z io n e d e g l i azibi. c io è d e i g r a n d i l a t i f o n d i m a r o c c h in i , n e i q u a l i s o n o v e n u t i a d in c o n t r a r s i g l i i n ­te r e s s i , il p iù d e l l e v o l te c o n t r a s t a n t i , d e i s ig n o r i t e r r i e r i e d e i g r u p p i r u r a l i in m a r ­c ia v e r s o la c o n q u is t a d e l l a t e r r a i

T . H . Marshall, Lei noblesses: l'arhtocratie brit.innii/ue de noi jours ( A n n a le s d 'h i s t . é c . e t so c ., m a g g io 1 9 3 7 , p p . 2 3 6 -2 5 6 ) .

[ S to r i a d e l l 'a r i s to c r a z ia in g le s e d a l 18 0 1 a i n o s t r i g io r n i | .

M O V I M E N T O D E I P R E Z Z I :

F. MtCHOTTE, L'evolution dei prix de ditali cu Eelgit/ue de ISSO à 1913 ( B u l l , d e l ' i n s t . d e se . é c ., m a g g io 1 9 3 7 , p p . 3 -15 -357 ).

[E s a m e r a g io n a to d e l m o v im e n to d e i p re z z i n e l B e lg io d a l 1 8 3 0 a l 1 9 1 3 ] .

T R A S P O R T I E C O M U N I C A Z I O N I :

V. Adami, Le itr.ide di Milano al principio del leccio X IX ( A r c h iv io s to r . lo m b ., fa se . 1 -2 , a . I I , 1 9 3 7 , p p . 2 3 0 -2 4 1 ) .[ A t t r a v e r s o lo s tu d io d i d o c u m e n t i d e l l 'e p o ­

c a , l 'A . p a r la d e l l e o p e r e d i r i s a n a m e n to e d i l i z io c o m p iu te n e l s e c o lo X IX a M i l a n o ] .

A . Gòrner, L'azienda delle ferrovie germa­niche ( R iv . d i p o i . e c „ fa s e . V I , a . X X V I I , g iu g n o 1 9 3 7 , p p . 5 0 9 -5 1 3 ) .

[ B a s a n d o s i s u i r i s u l t a t i d e l l 'e s e r c iz io 1 9 3 6 , l 'A . i l l u s t r a — c o n o p p o r tu n i r i f e r im e n t i a l p e r io d o d i a n te -c r is i e d a q u e l lo d i m a s ­s im a d e p re s s io n e e c o n o m ic a — tu t t i i m i ­g l io r a m e n t i te c n ic i e d e c o n o m ic i c h e s o n o s ta t i r a g g iu n t i d a l l 'a z ie n d a n e l f u n z io n a ­m e n to d e i s u o i v a r i i s e r v iz i , in q u e s t i u l t i ­m i a n n i . £ p u r e r i l e v a ta l ' im p o r t a n z a d e l c o n c o r s o d e l l 'a z ie n d a f e r r o v ia r ia a l l a p r o ­d u z io n e d e l r e d d i to n a z io n a le t e d e s c o ] .

C L A S S I S O C I A L I :

A . Fossati, Della formazione evoluzione e funzione di un medio ceto in Italia. Aipelti e forme economiche della ciane media ita­liana. ( « C o m m e r c i o » n . 6 , 1 9 3 7 , p p . 2 2 a 27 e n . 8 -9 , p p . 17 a 2 1 ).

| L 'A . c o n s id e r a il f o r m a r s i d e l l e c la s s i m e ­d ie in I t a l i a e la f u n z io n e lo r o e s e r c i ta ta n e l l 'e t à m o d e rn a , s p e c ia lm e n te n e i s e c o li X V I I I e X IX , n e l lo s v i lu p p o e c o n o m ic o d e l la n a z io n e , s p e c ia lm e n te n e l s e t t o r e a g r i ­c o lo . L 'o c c a s io n e in d u c e l ’a . a s o f f e rm a r s i s u l te m a d e l la m e d ia e p ic c o la p r o p r ie t à e s u la c r is i d e l r i s p a r m io d e l d o p o g u e r r a ] .

Antonio Fossati.

RIVISTA DI STORIA ECONOMICA - A n n o I I I - N . 2 - G iu g n o 1 9 3 8 -X V I - F in i to

d i s t a m p a r e il 2 0 l u g l io 1 9 3 8 -X V I n e l la T ip o g r a f ia F r a te l l i S t i a n t i - S a n c a s c ia n o V a l d i P e s a

Redattore reipomabile : Francesco Antonio Répaci