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FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO - CATANIA - Chiar.mo Prof. ATTILIO GANGEMI _______ _______ Ezio Coco Anno Accademico 2004 / 2005 ESEGESI AT: LIBRI PROFETICI APPUNTI DELLE LEZIONI

Libri Profetici

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Libri Profetici, Studio della Sacra Scrittura

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FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO

- CATANIA -

Chiar.mo Prof. ATTILIO GANGEMI

_______

_______

Ezio Coco

Anno Accademico 2004 / 2005

ESEGESI AT:

LIBRI PROFETICI

APPUNTI DELLE LEZIONI

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 2

Triennio Teologico – 2° anno – primo semestre – Gesù Redentore dell’uomo

Programma del Corso di Studi in

ESEGESI AT: LIBRI PROFETICI1

1. Il profetismo in Israele;

2. I profeti preclassici (Elia, Eliseo);

3. I profeti del secolo VIII (Amos, Osea, Michea, Isaia);

4. I profeti preesilici (Geremia);

5. I profeti del tempo dell’esilio (Ezechiele, Deutero Isaia);

6. I profeti post esilici (terzo Isaia, Aggeo, Zaccaria, Malachia);

7. Esegesi: Is 7,1-17; Is 9,1-6; Is 11,1-10; Is 2,2-4;

Ger 31,15-20.31-34; Ez 36,22-28; Ez 37,1-14.

Testi:

� W. EICHRODT, Der Heilige in Israel (Jesaia 1-12), Calwer,

Stuttgar 1960;

� W. EICHRODT, Der Herr der Geschichte (Jesaia 13-23/28-39),

Calwer, Stuttgar 1967;

� W. RUDOLPH, Jeremia, Mohr Tübingen 19683;

� W. ZIMMERLI, Ezechiel, 2 V., Neukirchener,

Neukitchen – Vluyn 1969;

� Dispense del professore.

prof. ATTILIO GANGEMI

1 STUDIO TEOLOGICO SAN PAOLO, Annuario 2004-2005, Tipolitografia Anfuso, Catania giugno 2004, 62. PS: Per visualizzare e stampare correttamente questo documento nelle parti di testo in greco bisogna installare necessariamente un font che si trova nel CD di Bibleworks 4.0 ed è il seguente: “X:\BWORKS\BWGRKN.TTF”, e per le parti di testo in ebraico o aramaico il file “X:\BWORKS\BWHEBB.TTF” (dimensione carattere 18), dove per “X” si intende il nome della periferica del lettore CD.

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Sovrani contemporanei di: Nome del

profeta2

Epoca

appros-simativa

del mi-

nistero Giuda Israele

Babilonia

Persia

Collocazione

Biblica

AMOS 760 a.C. Ozia (Azaria) Geroboamo II 2Re 14,23 2Re 15,7

OSEA 760-722 a.C.

Geroboamo II Zaccaria Sallum Menachem Pekachia Pekach Osea

2Re 14,23 2Re 18,37

MICHEA 742-687 a.C.

Ioatam Acaz Ezechia

2Re 15,32-20,21 2Cr 27,1-32,33 Is 7,1-8,22 Ger 26,17-19

ISAIA (1-39) 740-700 a.C.

Ozia (Azaria) Ioatam Acaz Ezechia

2Re 15,1-20,21 2Cr 26,1-32,33

NAUM

Tra il 664 e il 612 a.C.

Giosia

2Re 22,1-23,30 2Cr 34,1-36,1 Sof 2,13-15

SOFONIA

Ca. 640 a.C. e oltre

Giosia

2Re 22,1-23,34 2Cr 34,1-36,4

GEREMIA 626-587 a.C.

Giosia Ioacaz Ioiakim Ieconia Sedecia

2Re 22,1-22,30 2Cr 34,1-36,21

ABACUC Ca. 605 a.C.

Ioiakim 2Re 23,31-24,7

EZECHIELE 593-570 a.C.

Nabucodonosor 2Re 24,8-25,26 2Cr 36,9-21

ABDIA

Ca. 587 a.C. e oltre?

Nabucodonosor 2Re 25 2Cr 26,11-21

2 Questa tabella inserita nel testo non è stata fornita dal docente, ma è stata tratta da un libro di testo ad uso didattico per fornire all’allievo indicazioni storiche generali sui pro-feti.

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DEUTEROISAIA

(40-55)

Seconda metà sec. VI a.C. (e-silio)

Ciro

TRITOISAIA

(56-66)

538-520 a.C. e oltre

AGGEO 520 a.C. Zorobabele Dario Esd 5,1-6,22

ZACCARIA

Ca. 520 a.C. e oltre

Zorobabele Dario e oltre Esd 5,1-6,22

MALACHIA Ca. 433 a.C.

Artaserse I Ne 13

GIOELE Sec. V - IV a.C.?

GIONA Sec. V - IV a.C.?

DANIELE Sec. II a.C.

1-2 Mac

PREMESSA

Questi appunti sono il risultato delle lezioni tenute dal professore

Attilio Gangemi presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania nell’anno

accademico 2004/2005. Per onestà intellettuale e per volere dello stesso

professore non sarà corretto fare ulteriori copie senza il permesso del do-

cente sopra citato, e il presente elaborato è ad uso esclusivo della classe.

Per facilitare lo studio sono state riportate a piè di pagina le varie

citazioni bibliche.

Durante lo studio ci si potrà imbattere in errori di grammatica o di

sintassi causati da errori di battitura del sottoscritto.

Buono studio e buona preghiera.

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Martedì 05 ottobre 2004, ore 08,30 / 10,15

TELAIO STORICO

Distinguiamo nella storia biblica tre grandi parti che si possono

definire:

1. preistoria 2. storia non documentabile 3. storia documentabile

La preistoria è quella parte che va dalla creazione fino alla voca-

zione di Abramo, questa parte è delineata nei primi undici capitoli del li-

bro della Genesi, questi capitoli sono storici, ma dal punto di vista della

storia del Dio Salvatore. I racconti stessi, poi, hanno notevoli problemi di

linguaggio, ma qui non tocca a me entrare.

Per storia non documentabile intendiamo quella parte di cui

l’unica fonte è il racconto biblico. Non abbiamo infatti nessun riscontro

nelle letterature antiche extrabibliche, qualche notizia che ci permette di

confrontare il racconto biblico viene dalla archeologia, ma anche qui non

si hanno molte indicazioni. Questa parte non documentabile nel racconto

biblico va dalla vocazione di Abramo (Gen 12) fino alla monarchia davi-

dica, questa parte che si estende dal cap 12 della Genesi per tutto il penta-

teuco e i libri di Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, si può dividere in tre

grandi parti:

1 – l’epoca dei patriarchi; 2 – l’evento dell’esodo in tre punti:

a) l’uscita dall’Egitto; b) l’epoca del deserto; c) la conquista della terra di Canaan;

3 – l’epoca tribale.

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Anche per questa parte si pongono problemi di linguaggio, in par-

ticolare dominano le tradizioni popolari che molte volte ci danno una sto-

ria distante dai fatti reali.

La storia documentabile, invece, è quella che va dall’epoca davi-

dica fino al NT. Questa parte, che si estende per più di un millennio a noi

interessa perché in essa fiorisce l’esperienza profetica, d’altra parte

quest’ultima è strettamente legata alla storia ed è assai difficile compren-

dere il messaggio profetico senza avere presente la storia in cui esso si

colloca. La chiamiamo documentabile perché i racconti biblici possono

essere confermati sia dalle letterature extrabibliche, in particolare assira,

babilonese, persiana, maccabaica infine quella romana. Per l’esperienza

profetica interessa soprattutto la storia dalla morte di Salomone fino

all’epoca post-esilica3, si aggiunge anche che la storia di questo periodo

riferita dai libri dei Re e delle Cronache è una storia che si basa sugli an-

nali (o resoconti) di corte e perciò nei libri dei Re confluiscono gli annali

della corte di Samaria e della corte di Gerusalemme. Gli episodi anche se

talora un po’ gonfiati in larga parte sono attendibili.

Saul rappresenta una fase intermedia tra l’ordinamento tribale e

l’ordinamento monarchico, Saul radunò le dodici tribù di Israele, ma so-

prattutto per motivi militari e Saul più che un Re sarebbe un capo milita-

re. Il vero passaggio alla monarchia si ha con Davide, ma anche il regno

davidico fu caratterizzato da numerose campagne militari, sottomise i

popoli vicini e rafforzò all’interno il regno delle dodici tribù. Per sette

anni Davide regno in Ebron, poi espugnò la roccaforte dei Gerusei chia-

mata Salin e fondò Gerusalemme che divenne capitale.

Salomone eredita così un regno forte all’interno e in pace

all’esterno. Nonostante l’alone mitologico con cui Salomone ci è stato

tramandato, pare che sia stato politicamente un re inetto e anche crudele,

tuttavia con Salomone si verifica un fatto fondamentale per la storia bi-

3 dell’esilio babilonese.

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blica, cioè la costituzione di una corte sfarzosa di stampo orientale dove

sono curate l’arte letteraria, l’arte poetica, la storiografia ed è probabil-

mente, all’epoca di Salomone, che molte tradizioni orali ricevettero una

prima formulazione scritta.

Stando ai nostri calcoli Salomone muore tra il 932-931, alla sua

morte, come ci informa il cap 12 del primo libro dei Re, salì al trono il

figlio Roboam della dinastia davidica. Le tribù del nord si presentarono a

Roboam a Sichem e gli dissero di allentare il giogo di suo padre Salomo-

ne ed esse lo avrebbero servito, da ciò deduciamo che il regno di Salo-

mone dovette essere duro. Roboam prima si consultò con gli anziani che

gli suggerivano di allentare, poi si suggerì con i giovani che gli suggeri-

vano una mano più pesante, Roboam seguì questi ultimi e rispose che se

suo padre aveva colpito con flagelli, lui avrebbe colpito con scorpioni. In

seguito a questa risposta le tribù del nord unite a quelle del sud con Saul,

Davide e Salomone, decisero di separarsi costituendosi in regno autono-

mo, si ebbero così due regni nelle dodici tribù di Israele, il Regno del

Nord e il Regno del Sud. Nel regno del Nord fu fatto Re un certo capo

militare di nome Geroboamo, i due anni non si lottarono, si ignorarono

pur parlando la stessa lingua e adorando lo stesso Dio. Salomone aveva

costruito il tempio a Gerusalemme e aveva distrutto tutti i santuari tribali

centralizzando il culto solo a Gerusalemme. Abbiamo allora il seguente

quadro:

- Regno del Nord: vanta il numero più alto di tribù, nove tribù o nove e mezzo, perché la tribù di Beniamino pur politicamente legata al Sud, affettivamente era legata al Nord;

- Il Regno del Sud si riduceva praticamente alla sola tribù di Giuda, quantitativamente, quindi, il Sud era più piccolo, esso però vantava delle cose importanti per capire Isaia:

o Giuda era ritenuta la tribù che Dio aveva scelto; o Gerusalemme era la città che Dio ha scelto “dove far dimora-

re il Suo Nome”; o Il tempio che Dio aveva voluto; o La monarchia davidica.

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Tutte queste cose il Regno del nord non le aveva. Per quanto ri-

guarda il tempio si ripristinò l’antico santuario di Betel (importante per

capire Amos). Solo in seguito in epoca post-esilica fu costruito sul monte

Karizim il tempio dei samaritani. Al Nord mancava anche la città capita-

le; circa ottanta anni dopo un re, un certo Omri, spianò la collina di Sho-

meron e costruì la città capitale: Samaria.

Il regno del sud, forte degli elementi sopraindicati, considerò

sempre scismatico il regno del nord, perché separandosi fece una cosa

contraria al disegno di Dio, che secondo il sud voleva un solo regno

(concetto ripreso da Ezechiele) sotto l’unica dinastia davidica, attorno

all’unica città capitale Gerusalemme dove c’era il tempio. Tutto questo il

sud lo disse predicendo una storia che noi in maniera convenzionale

chiamiamo storia Jahwista, perché Dio è chiamato Jahwé. Questa storia

non fa altro se non raccogliere e ordinare le tradizioni anteriori che circo-

lavano spesso isolate e in forma orale. Non è perciò una storia critica in

senso nostro, ma è una storia teologica, cioè una storia che vuol fare una

teologia della storia: una storia guidata dal disegno di Dio, e questo dise-

gno andava dall’uscita dall’Egitto fino al tempio di Gerusalemme costrui-

to da Salomone. La prospettiva Jahwista della teologia della storia sarà

l’anima di tutto il ministero profetico di Isaia.

Il regno del nord non accettò facilmente questa critica, era però

con le spalle scoperte ed aveva bisogno di legittimarsi risalendo ad un

capostipite e dandosi un ordinamento di vita. Nel regno del nord erano

fiorite tutte le tradizioni riguardanti i patriarchi, e se il sud si richiamava

a Davide, il regno del nord si ricollegò agli antichi patriarchi: Abramo,

Isacco, Giacobbe. Nel regno del nord si fece allora una storia analoga a

quella Jahwista del sud, che si chiama storia Elohista perché Dio è chia-

mato Elohim. Questa storia, analogamente al sud, fu redatta raccogliendo

e ordinando le tradizioni dei patriarchi, a differenza però della storia Ja-

hwista che fa una teologia della storia, la storia Elohista è piuttosto di in-

dole profetica-moraleggiante individuando nei patriarchi delle regole di

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vita e dei modelli di comportamento.

Nell’anno 745 un certo Tiglat Pileser III fonda l’impero neo-

assiro. La storia assira sarà importante per capire i profeti del secolo VIII

(Amos, Osea, Isaia). L’impero assiro cominciò ad estendersi in occiden-

te, in tutta la cosiddetta: “mezzaluna fertile”, cioè quella fascia di terra

sopra il deserto arabico che dalla Mesopotamia alla Palestina ha appunto

la forma di una mezzaluna. Questa fascia è fertile per la presenza di ac-

qua. Illumineremo, a proposito di Isaia, in maniera più particolare le vi-

cende assire che interessano i due regni, diciamo soltanto ora che alla

morte di Tiglat Pileser III salì al trono il figlio Salmanassar V, il quale

nel 722 assediò Samaria. Samaria era costruita su una collina e perciò

ricca di difese naturali, l’assedio infatti durò circa due anni. Nel 720 il fi-

glio di Salmanassar V, Saragon II, succeduto al padre morto in una im-

boscata, distrusse Samaria. La città fu incendiata e si ebbe l’esilio assiro,

gli annali assiri parlano di 27000 e più deportati, ma forse il numero è e-

sagerato. Con la caduta di Samaria finisce il regno del nord che diventa

provincia assira. L’esilio in Assiria, tanto minacciato da Amos e previsto

da Osea, suscitò domande: perché il Signore ha permesso questa catta-

strofe? A questa domanda cercarono di rispondere un gruppo di uomini

pii, di cui ignoriamo il loro nome, ma che in maniera convenzionale

chiamiamo deuteronomisti ai quali si deve il nucleo centrale del deutero-

nomio. Questi uomini, forse poco letterati, ma di profonda fede, ebbero

presenti quattro punti:

1 - il popolo ha peccato; 2 - Dio ha punito; 3 - ma se si torna al Signore ed ai suoi comandamenti…

4 - si può sperare che nella Sua misericordia il Signore riporti in patria.

Per questo motivo raccolsero in maniera organica e sistematica le

leggi del Signore, dando origine, come dicevamo, al gruppo centrale del

Deuteronomio.

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Ma bisogna dire anche un idea della situazione religiosa dei due

regni. Il regno del sud era più isolato, al sud confinava col deserto, e per-

ciò meno esposto ad influssi stranieri. Il regno del nord, invece, confina-

va con diversi stati e perciò più esposto agli influssi idolatrici stranieri,

basti pensare a tutta la vicenda di Elia e di Eliseo, fatti di racconti in sé

stessi leggendari, ma la cui cornice è storica. Siamo all’epoca del re Acab

che sposò la fenicia Getzebele: siamo nella seconda parte del nono secolo

(830-840), Elia infatti è presentato come lo strenuo difensore della vera

fede Jahwista ed Elohista, da cui nell’epoca dell’esilio babilonese, sullo

schema del codice sacerdotale, si formerà il pentateuco. A riguardo di

questo passaggio non sappiamo quasi nulla, sappiamo soltanto che nel

622, cento anni dopo, il re del sud Giosia, volendo purificare il tempio

dagli idoli assiri trovò: “la legge del Signore”4. Tale scoperta dette origi-

ne a quella famosa riforma religiosa di Giosia che però durò pochi anni,

perché nel 609, Giosia fu ucciso a Meghiddo, ci interesserà per la vicen-

da di Geremia. L’impero assiro conobbe un periodo notevole di splendo-

re con i seguenti re:

o Tiglat Pileser III

o Salmanassar V

o Sargon II

o Sennacheriv

o Asssaradon

o Assorbanipal

Segue a pag. 14 �

4 Cfr. 2Re 22.

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Con Assorbanipal l’impero assiro raggiunse il massimo splendore

e si estendeva, per dirla con Isaia, “dall’Eufrate fino al Nilo”, ma dopo

cominciò a declinare.

Nel 640 sale al trono babilonese un certo Nabopolasar che fondò

l’impero neo-babilonese, e l’impero assiro cominciò a declinare. Nel 612

cadde Ninive, capitale Assira e nel 605 l’esercito della coalizione assiro-

egiziana fu sconfitto definitivamente nella battaglia di Karkenish dalle

truppe babilonesi comandate dal giovane generale Nabucodonosor a cui

poi succederà Nabucodonosor II che salirà al trono di Babilonia nella pri-

mavera del 604.

Mercoledì 06 ottobre 2004, ore 10,30 / 12,15

Scompare perciò dalla scena storica l’impero assiro e subentra

l’impero babilonese. Nel 627, 22 anni prima, Geremia ha ricevuto la vo-

cazione profetica, e perciò le varie fasi dell’impero babilonese emerge-

ranno soprattutto nel secondo periodo del ministero profetico di Geremia.

Tralasciando le varie fasi intermedie (le riprenderemo)

dell’impero babilonese in relazione alla storia del popolo del Signore ci

interessano per il momento due date:

- 597: prima deportazione dei Giudei in Babilonia: Nabucodonosor deportò senza distruggere Gerusalemme e senza distruggere il regno di Giuda, tra i deportati di questa prima deportazione c’era una fami-glia sacerdotale dove c’era un ragazzetto di circa 15 anni che da lì a quattro anni dopo (593), ricevette in Babilonia la vocazione profeti-ca: Ezechiele; - 586: dopo due anni di assedio, nell’agosto del 586, i babilonesi en-trarono a Gerusalemme, distrussero il tempio, l’invasione del tempio è rivissuta con molta chiarezza nel Salmo 73.

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Con la presa di Gerusalemme finì dopo quattro secoli e mezzo an-

che il regno di Giuda. L’ultimo re davidico, un certo Sedecia, pagò una

sua resistenza acritica: i babilonesi prima uccisero sotto i suoi occhi tutti i

figli, poi gli cavarono gli occhi e lo condussero in Babilonia. Con la ca-

duta di Gerusalemme finiscono tre cose:

1- il Regno di Giuda; 2- la monarchia davidica; 3- il tempio di Gerusalemme5.

La distruzione di Gerusalemme e il conseguente esilio determina-

rono grande sconforto in quelli rimasti a Gerusalemme, questo sconforto

si può percepire in alcuni Salmi del momento, il 73 già citato, il Salmo

76, il Salmo 101, e soprattutto in un’opera attribuita a Geremia, ma che

probabilmente non è di Geremia: si tratta delle lamentazioni.

Saul

� Davide

Salomone � �

Regno del Nord

(Israele) (722-720: la fine del regno per mano degli assiri)

Regno del Sud

(586: la fine del regno per mano dei babilonesi)

5 quello di Salomone, anche se poi ricostruito dopo l’esilio sotto Esdra e Neemia, ma in epoca persiana.

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L’ESILIO BABILONESE

L’esilio babilonese va dal 597/586-538. L’epoca dell’esilio dal

punto di vista politico fu una catastrofe, ma dal punto di vista della Paro-

la del Signore fu un periodo di oro, donde deduciamo che il Signore parla

di più quando cadono i sostegni umani, e infatti proprio durante l’esilio

risuonò di più la Parola del Signore. Limitandoci solo ad elencare, nel

tempo dell’esilio avvenne:

- la riscoperta della Pasqua6;

- l’istituzione della Sinagoga; - la formazione del codice sacerdotale; - il completamento del deuteronomio; - la redazione della storia deuteronomista

7; - la formazione di diversi Salmi.

Per quel che riguarda i profeti ne abbiamo due: uno all’inizio e

l’altro alla fine. All’inizio in Babilonia c’è Ezechiele, la cui ultima data

corrisponde praticamente al 572/571, per circa 22 anni. Alla fine

dell’esilio, verso il 542/541, quando c’era già nella scena storica un nuo-

vo conquistatore, Ciro Re dei Medi e Persiani, si deve collocare l’opera

di un anonimo profeta, il cui nome ignoriamo, ma che per il fatto che si

ispira letterariamente e teologicamente ad Isaia, in maniera convenziona-

le noi chiamiamo secondo Isaia oppure deutero Isaia, a questo anonimo

profeta vanno attribuiti grosso modo i capitoli 40,54-55 dell’attuale libro

di Isaia.

6 come festa di memoriale dell’uscita dall’Egitto. 7 Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re.

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LA FINE DELL’ESILIO BABILONESE

Dopo la morte di Nabucodonosor anche l’impero babilonese co-

minciò a tramontare. L’ultimo re babilonese, un certo Nabonide, amante

più delle belle arti che non dell’impero, aveva portato al declino l’impero

babilonese. Comincia ad apparire l’impero persiano, L’Achemenide Ciro

Re dei persiani, conquistò la Media e si fece proclamare re dei Medi e dei

Persiani. Nel 546 Ciro conquistò la Lidia aprendosi la strada verso

l’occidente e a tutti fu chiaro che sarebbe stato lui il nuovo padrone del

mondo. Qui nasce la speranza del deutero Isaia che saluta Ciro (Isaia 45)

come colui che Dio ha scelto e mandato per liberare il suo popolo

dall’esilio. Ciro infatti nel 539 arriva a Babilonia, i babilonesi stessi lo

salutano come un liberatore, stanchi del loro re Nabonide che si era ini-

micato anche la potente classe sacerdotale del dio Marduck preferendo il

dio Assur. Conquistata Babilonia, Ciro nel 538 firma l’editto di libera-

zione degli ebrei, i quali così possono tornare in patria.

La conclusione del secondo libro delle Cronache e l’introduzione

del libro di Esdra addirittura danno a Ciro un alone religioso: egli libera il

popolo perché esso torni in patria a costruire un tempio al Signore. Que-

sta però è una interpretazione religiosa probabilmente aliena dalla menta-

lità di Ciro. In realtà i persiani usarono un altro metodo rispetto agli assiri

e ai babilonesi, questi ultimi usavano il metodo della deportazione, i per-

siani invece preferivano lasciare i popoli sottomessi nelle loro terre che

però non erano libere ma costituivano delle province o “satrapie persia-

ne”. Gli ebrei tornano perciò da Babilonia, ma non liberi, bensì sotto il

patrocinio persiano, guidati da un certo funzionario di razza giudea, ma

lui funzionario persiano: Esdra sotto il quale avvenne una fase di ripresa.

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L’EPOCA POST-ESILICA

L’epoca post-esilica sotto il dominio persiano, diversamente da

quella assira e babilonese, ci rimane fondamentalmente oscura. In rela-

zione ai persiani stessi abbiamo pochi documenti. Conosciamo qualcosa

in relazione alla storia greca: i persiani si estesero fino alla Grecia da cui

dovettero ritirarsi dopo la sconfitta della battaglia di Salamina nel 480

più o meno. Il ritorno dei persiani fu cantato nella tragedia di Eschilo. Per

quanto riguarda la più generale storia biblica ci rimangono pochissime

cose circa tre secoli sono oscuri dal punto di vista della storia biblica per-

ché la Bibbia non ci conserva di questo periodo nessun libro storico. Per

avere un’altra opera storica bisogna aspettare il secondo secolo con

l’opra in lingua greca dei libri dei Maccabei (ma siamo già in altra epo-

ca). Per quanto riguarda i profeti si verificano delle situazioni che fini-

scono per oscurare il carisma profetico. A questo punto possiamo elenca-

re dei fatti senza però potere dare date precise.

Tornato il popolo in patria cominciò un opera di ricostruzione,

materiale e spirituale, la ricostruzione spirituale consiste nella restaura-

zione dell’Alleanza col Signore8, il Quale ancora una volta aveva mostra-

to la Sua fedeltà, bisognava cantare questa fedeltà. Ma bisognava anche

ritornare al Signore e ricelebrare l’alleanza col Signore. Proprio questa fu

la causa della composizione del pentateuco, della legge del Signore alla

quale tornare per rivivere l’Alleanza con Lui9.

Accanto alla ricostruzione spirituale si attuò la ricostruzione ma-

teriale. Si incominciò a ricostruire Gerusalemme, e in questo momento

bisogna collocare un anonimo profeta, anch’esso anonimo che noi chia-

miamo in maniera convenzionale “terzo Isaia” al quale bisogna attribuire

grosso modo i capitoli 56-66 dell’attuale libro di Isaia.

8 Cfr. Salmo 97: Cantate al Signore un canto nuovo… 9 Cap 8 del libro di Neemia.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 19

Il terzo Isaia incoraggiò la costruzione di Gerusalemme presen-

tando la città come la sposa del Signore spiritualizzata (Cfr. Isaia 60).

Più complessa fu la ricostruzione del Tempio, questa ricostruzio-

ne subì dei momenti di stasi, qui si inseriscono due profeti che spingono

a questa ricostruzione, Zaccaria e Aggeo. Il tempio di Gerusalemme fu

perciò ricostruito nell’arco di alcuni decenni. In questa ricostruzione in

un primo momento furono chiamati i samaritani e non vollero venire, ma

quando poi vollero venire furono cacciati. I samaritani si ritirarono e co-

struirono un tempio per conto loro sul monte Karizim (Cfr. Gv 4).

Per quanto riguarda il carisma profetico bisogna considerare un

fatto più a monte che diciamo in maniera un po’ più completa perché ci

gioverà anche per San Paolo. Redatto il pentateuco si ritenne che quella

fosse ormai l’indicazione definitiva per la vita del popolo, ormai si aveva

la Legge e perciò si ritenne non più necessario, anzi fu visto con sospetto,

il carisma profetico, e infatti dopo la formazione del pentateuco non tro-

viamo più in Israele grandi profeti. Possiamo citare qualche nome del se-

condo secolo: Malachia, ma Malachia non è il nome proprio: esso è ri-

preso da 3,1: “ecco io mando il mio messaggero davanti a me”. Tuttavia

il carisma profetico rimase in Israele assumendo però per questa sfiducia,

un aspetto più clandestino, più popolare, cioè la letteratura apocalittica. Il

libro di Daniele infatti non è un libro profetico, bensì un libro apocalitti-

co. Daniele poi, che avrà tanta importanza nei Vangeli e nell’Apocalisse,

storicamente è un personaggio fittizio. Nel libro delle Cronache Daniele

appare come un personaggio della corte babilonese (VI-V secolo), ma il

libro è del secondo secolo. L’altro aspetto della Legge, cioè la sua tradu-

zione in lingua aramaica (il cosiddetto Targum) e il commento alla legge

che poi si svilupperà fino alla formazione del Talmud, ci interesserà di

più per la teologia paolina (soprattutto Romani e Galati).

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 20

Riassumendo possiamo distinguere nell’esperienza profetica quat-

tro aspetti:

1- il fenomeno profetico antico in Israele la cui natura fondamental-mente ci sfugge;

2- i profeti come sapienti di corte (basti pensare a Natan nella corte di Davide);

3- il ciclo di Elia e di Eliseo caratterizzato da racconti leggendari pur collocati in uno sfondo storico;

4- i profeti classici e il profetismo classico che coincidono con i pro-feti scrittori (cioè profeti che hanno scritto i loro oracoli). Comin-cia praticamente con la seconda parte del secolo ottavo l’epoca di oro del profetismo in Israele che va praticamente dal secolo otta-vo al quinto secolo.

Soltanto interessa il termine profeta che in Ebraico è “������” dal

termine non siamo in grado di caratterizzare l’indole dei profeti. Io credo

però che possiamo farlo sul termine greco. In greco il termine è

“���������”. Questo “���” è una radice da cui poi si forma il verbo “���”,

già questa radice vi porta all’idea di uno che parla. Il problema invece è

questa particella “���”, come la intendiamo essa può avere tre sensi:

1- senso locale: davanti (uno che parla davanti ad altri); 2- senso temporale: prima (uno che parla prima che i

fatti avvengano); 3- senso sostitutivo (uno che parla a posto di un altro).

Quale senso scegliamo? Bisogna interrogare la Bibbia stessa co-

me lo intese e come i profeti si autointesero.

Martedì 12 ottobre 2004, ore 08,30 / 10,15

Possiamo interrogare i profeti stessi e comprendere quale è stata

la loro coscienza, ma possiamo anche interrogare che cosa dei profeti

hanno pensato gli scritti posteriori, soprattutto del NT.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 21

La coscienza che i profeti hanno non è quella di essere ciechi an-

nunziatori di un futuro, bensì quella di essere portatori di un messaggio

da parte di Dio. Tale coscienza è percepibile soprattutto nei profeti scrit-

tori, cioè quei profeti che hanno scritto i loro oracoli, o che li hanno tra-

mandati perché altri li scrivessero a posto loro. Nella situazione storica in

cui vivono i profeti indicano due cose:

1- di avere avuto esperienza della Parola di Dio; 2- e di conseguenza, di rivelare da parte di Dio la strada che in

quella situazione storica bisogna intraprendere.

Tale coscienza si manifesta nell’uso di una particolare formula

che tecnicamente viene chiamata “Botenformel”10. La formula

dell’ambasciatore è: “������ ”11. Questa formula non è esclusivamen-

te biblica, è usata anche nelle altre letterature, l’ambasciatore che deve

recare un messaggio, introduce con le parole: “così dice…”, poi introduce

il discorso in prima persona singolare, cioè riferisce alla lettera quello

che gli è stato affidato. L’ambasciatore non può mutare nulla di quello

che deve dire. Questa formula è usata dai profeti. Geremia da solo la usa

circa centocinquanta volte e questa formula in Geremia non è il frutto di

una infatuazione personale, ma come vedremo, è il frutto di una precisa

presa di coscienza in un momento in cui lui sopraffatto dalle difficoltà

mise in crisi il suo ministero profetico, basti citare un passaggio delle sue

confessioni, precisamente in Geremia 20,9 dove il profeta dichiara: “non

penserò più a Lui, non parlerò più in Suo nome” ma poi, come il profeta

stesso rivela, sentiva dentro di sé come un fuoco ardente che gli penetra-

va dentro le ossa. Geremia visse un drammatico dilemma, o parlare e al-

lora prendersi l’ostilità degli uomini, o tacere e sperimentare bruciante

dentro di sé, la Parola di Dio. Il fatto che il profeta taccia non vuol dire

10 Dal tedesco “La formula dell’ambasciatore”. 11 “Così dice il Signore…”.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 22

che non sia in lui la Parola del Signore. In Geremia 1,4 introducendo la

narrazione della sua vocazione, scritta circa diciotto anni dopo, come

presa di coscienza di una sua precisa realtà, il profeta scrive: “e fu la Pa-

rola del Signore a me”, è una frase più forte che contiene l’esperienza

della Parola, rispetto alla traduzione italiana: “mi fu rivolta la Parola del

Signore”. Ma il problema non è soltanto di Geremia, ma anche di Isaia,

di Ezechiele, di Amos, di Osea. Il profeta Amos, per esempio, che come

vedremo profetò nel regno del nord divenne insopportabile per gli oracoli

di giudizio che era chiamato a pronunziare, e il profeta fu cacciato dal re-

gno del nord. Leggiamo infatti in Amos 7,12: “vattene veggente, ritirati

verso il paese di Giuda, la mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare,

ma a Bethel non devi profetizzare”, ma il profeta risponde che lui ha agi-

to per comando del Signore, risponde infatti con le famose parole: “non

ero profeta, ne figlio di profeti, ero un pastore e raccoglitore di sicomori,

il Signore mi prese di dietro il bestiame e mi disse: và e profetizza al mio

popolo Israele”. La stessa cosa, Isaia, il quale nei quarant’anni di mini-

stero profetico, ebbe una sofferenza: non essere mai ascoltato e creduto, e

se i profeti parlano, nonostante l’ostilità del popolo, è perché c’è la co-

scienza che il Signore parla attraverso di loro. Lo stesso Isaia, che scrisse

la sua vocazione sette anni dopo, ebbe la chiara coscienza di dovere par-

lare ad un popolo che ha accecato i suoi occhi per non vedere e ha chiuso

le orecchie per non udire. Non diversamente sarà Ezechiele che dovrà

parlare ad un popolo ostinato e duro in terra di esilio.

Tuttavia non manca nei profeti l’aspetto dell’annunzio futuro, non

si tratta però di predizioni estemporanee, bensì di proiezione al futuro del

presente. In un momento storico in cui c’era la massima oscurità, cioè di

Gerusalemme completamente sottomessa alla potenza Assira (700-699),

il profeta Isaia intuisce che non si ferma lì il disegno di Dio perché Dio

secondo Isaia è il Santo di Israele, cioè il Dio di Israele che è Santo, e

perciò fedele alle Sue promesse, per questo motivo preannunzia un ora-

colo che ancora oggi non ha trovato piena realizzazione. “Un popolo che

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 23

camminava nella tenebra vide (vedrà12) una grande luce”. Lo stesso Ge-

remia, in un momento particolare del suo ministero, osa scansare

l’istituzione principale dell’AT, cioè l’alleanza, e ne annunzia una nuova.

Per vedere realizzato questo oracolo bisogna attendere più di sei secoli,

cioè il NT. Ezechiele dopo la caduta di Gerusalemme nel 586 annunzia il

ritorno in patria, ma Dio ha un problema: se riporta il popolo in patria, e

questo torna a peccare, deve di nuovo cacciarlo. Il problema, allora, è

quello di riportare in patria un popolo che non pecca, e Dio annunzia la

creazione di simile popolo: “vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di

voi uno spirito nuovo, porrò il mio Spirito dentro di voi”, ma anche que-

sto oracolo dovrà attendere il NT.

Restando in questo aspetto di proiezione al futuro bisogna dire

una parola su quegli oracoli che avranno una precisa applicazione, in par-

ticolare ci riferiamo a due o tre oracoli, il primo lo abbiamo accennato:

Isaia 7,13, si tratta dell’oracolo della Vergine, vedremo come Isaia non

parlò della maternità di un vergine, ma della maternità di una giovane

donna che si trova alla prima esperienza di gravidanza. Fu la versione

greca dei settanta che tradusse il termine in senso di vergine, permettendo

così al NT di riferirlo al mistero della Vergine Madre. Ciò significa che

gli oracoli profetici hanno un progresso di approfondimento. Dobbiamo

dire che è la stessa provvidenza che man mano li prepara ad esprimere

una realtà più alta che si potrà comprendere solo quando si sarà verificata

nella storia.

Questo è il secondo esempio: il caso dei canti del servo, soprattut-

to il terzo canto13 e il quarto14. Questi canti non possono essere di Isaia, il

contesto anzitutto dove sono inseriti è quello degli oracoli del secondo

Isaia, ma non si riesce a capire come si possano inserire nel messaggio

globale del Deutero-Isaia. Il terzo canto parla di un servo il quale dichia-

12 Perfetto Profetico. 13 Isaia 50,4-9. 14 Isaia 52,13-53,12.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 24

ra di avere ricevuto dal Signore una lingua da iniziati, cioè il Signore lo

ha reso abile parlatore, ma prima ancora il servo dichiara di avere ricevu-

to un orecchio da iniziati15, cioè è stato reso un abile ascoltatore, si tratta

di un uomo capace di ascoltare e capace a parlare e perciò, un uomo dedi-

to alla Parola del Signore. Ma poi il servo continua di avere dato il dorso

ai flagellatori, la guancia a chi gli strappava la barba, ecc… Emerge subi-

to in noi la domanda: “qual è il motivo di questa ostilità?”, riconosciamo

che il terzo canto presenta delle lacune. Non meno problematico, o forse

anche di più, è il quarto canto: chi è quest’uomo che appare colpito dal

Signore mentre lui ha dato la sua vita per gli altri? Sono tutte domande

alle quali a partire dal testo attuale non siamo in grado di dare una rispo-

sta, una ipotesi potrebbe essere che il terzo e quarto canto siano una spiri-

tualizzazione di Geremia, ma questa è però è una ipotesi e rimane la do-

manda: chi è questo personaggio? È una domanda che si pose anche la

riflessione rabbinica, i rabbini risposero che si trattava del Messia al qua-

le però non si potevano riferire i passaggi di sofferenza, per questo cam-

biarono molte frasi (e le deformarono). L’oracolo del terzo e del quarto

canto ricevono nuova luce dagli eventi di Cristo, i quali permettono di

leggere in questo senso quegli oracoli, perciò non sono i canti che

all’origine parlassero del Cristo, ma i canti ricevono nuova luce dagli e-

venti di Cristo. Ancora una volta ci troviamo nel problema della provvi-

denza che prepara gli oracoli perché esprimano una realtà superiore.

Nell’anno 609, verso dicembre, Geremia tenne un discorso nel

Tempio, dove annunziò la caduta del tempio stesso per opera dei babilo-

nesi. Dopo quel discorso Geremia fu arrestato, si istruì un processo e si

pronunziò contro di lui una sentenza di morte per avere annunziato la di-

struzione del tempio. Geremia fu salvato dall’intervento di una persona

che lo stimava. Siamo nel capitolo 12 del libro di Geremia. Questo fatto

presenta grosse analogie con la narrazione della Passione e infatti davanti

15 non da principiante.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 25

al sinedrio la sentenza di morte contro Gesù è pronunziata dopo che falsi

testimoni dichiararono di averlo sentito dire: “posso distruggere questo

tempio…”, sembra perciò che la fede primitiva vide adombrato nel fatto

di Geremia quello che avvenne per Gesù.

Riassumendo abbiamo detto tre cose:

1- gli oracoli profetici riguardano il presente. Isaia mostra che quello che sta accadendo nella storia corrisponde al disegno di Dio davanti al quale bisogna rispondere mediante una accettazione di fede. Le parole che i profeti pronunziano riguardano perciò il senso della sto-ria nel presente;

2- alcuni oracoli dal presente si proiettano al futuro così per esempio Isaia 2: “verranno popoli numerosi e diranno venite saliamo al mon-

te del Signore, al monte del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le

sue vie…”, da Luca viene ripreso nel capitolo 2 degli Atti dove nel giorno della Pentecoste presenta a Gerusalemme ben sedici popoli e l’oracolo di Isaia 2 pronunziato a cavallo tra ottavo e settimo secolo probabilmente soggiace dietro le parole di Gesù in Giovanni 12,31: “quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”;

3- altri oracoli in sé stessi hanno un significato più concreto, ma vengo-no preparati dalla stessa Parola di Dio a esprimere un mistero supe-riore al loro stesso senso letterario.

La letteratura apocalittica e il tardo giudaismo in genere intesero i

profeti nel senso di annunziatori del futuro, questo aspetto fu ripreso an-

che dalla letteratura apocalittica la quale fece un piccolo sotterfugio: rife-

rì i fatti presenti a persone del passato, cioè mise in bocca a persone del

passato gli eventi presenti, facendone in questo modo profezie future. Ma

si tratta di profezie “ex-eventu” cioè false profezie, però emerge la ten-

denza di trovare nel passato l’annunzio delle cose presenti.

Il NT intese i profeti nel senso di annunziatori del futuro, ritenne

che già i profeti insieme alla legge avevano preannunziato il mistero di

Gesù. Luca nel capitolo 24 presenta Gesù che ai discepoli di Emmaus

spiega le scritture, dice anzi nel verso 25: “tardi a credere a tutte quelle

cose dette dai profeti”.

Ma a questo punto è utile dare un’idea sull’ampiezza del termine

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profeta. Il tardo giudaismo distinse tra profeti anteriori e profeti posterio-

ri. I profeti anteriori sono quelli (secondo il tardo giudaismo) che nel lin-

guaggio moderno chiamiamo storia deuteronomista, cioè i libri di: Gio-

suè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re. I profeti posteriori sono i profeti in

senso stretto: i tre maggiori e i dodici minori. La critica moderna conosce

soltanto i profeti in senso stretto. Il NT sotto il termine profeta, tante vol-

te riconduce tutto l’AT, il quale globalmente diventa profezia di Cristo

(Cfr. Ebrei 1,3).

Mercoledì 13 ottobre 2004, ore 10,30 / 12,15

Nella lettera agli Ebrei leggiamo così: “Dio dopo avere parlato

[…] ai Padri per mezzo dei profeti, in questi giorni che sono gli ultimi

parlò a noi mediante il Figlio”.

L’autore della lettera agli Ebrei distingue così due epoche:

1- l’epoca dei profeti 2- e quella del Figlio.

Questa parola “Profeti” non è limitativa alla sola esperienza pro-

fetica, ma abbraccia tutto l’AT. La riflessione neotestamentaria sulla scia

del tardo giudaismo distingueva tra Legge e Profeti. L’autore della Lette-

ra agli Ebrei per la sua visione negativa della legge depenna questa paro-

la lasciando soltanto la parola profeti. In questo modo però l’autore ri-

conduce tutto l’AT a profezia il cui scopo è stato quello di preannunziare

e preparare il mistero di Cristo.

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BREVE PROSPETTO STORICO-SINTETICO

Possiamo allora proporre il seguente prospetto storico:

1- secolo VIII: a- nel regno del nord: Amos – Osea; b- nel regno del sud: Isaia – Michea;

2- secolo VII-VI: a cavallo tra settimo secolo e sesto, cioè dal 627 al 586 si colloca Geremia;

3- secolo VI: a- Ezechiele (593-572/571) b- Deutero-Isaia

4- nell’epoca post-esilica collochiamo: terzo Isaia, Aggeo,

secondo Zaccaria (cap. 10-14); verso il secondo secolo collochiamo: Malachia.

Tutti gli altri profeti minori hanno una datazione molto incerta,

forse durante l’esilio o anche appena prima collochiamo con molta relati-

vità: Sofonia, Abacuc, Naum; dopo l’esilio forse si può collocare Gioele.

Osserviamo che i profeti minori si chiamano così, non per maggiore o

minore importanza, ma per la quantità degli oracoli che ci sono rimasti.

L’esiguità degli oracoli non sempre permette di caratterizzare il loro

messaggio e le situazioni storiche in cui profetizzano.

Un’altra osservazione deve essere fatta a riguardo dei libri redatti.

I libri non sono stati redatti dai profeti stessi, ma alcuni redattori redasse-

ro i loro oracoli aggiungendo talora anche del materiale di altra prove-

nienza. I libri nel loro complesso debbono essere considerati come Parola

di Dio e perciò ispirati: interviene anche l’accettazione della Chiesa nel

tridentino, però se vogliamo evidenziare gli oracoli propri di un profeta e

cercare di determinare l’epoca in cui furono pronunziati dobbiamo ricor-

rere alla critica letteraria e storica.

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AMOS

All’inizio del libro di Amos troviamo una indicazione geografica

e cronologica: si tratta di una visione che Amos ebbe al tempo di Ozia, re

di Giuda, e al tempo di Geroboamo, re di Israele, due anni prima del ter-

remoto. Quale sia questo terremoto a noi sfugge, gli archeologi vorrebbe-

ro collegarlo a certi ruderi che possono risalire alla metà del secolo otta-

vo. Ozia morì tra l’autunno del 740 e la primavera del 739 e perciò Amos

profetò prima di questa data. In ogni caso egli profetizza prima della ca-

duta di Samaria (722-720), ciò spiega il carattere fortemente negativo del

suo messaggio. I due re menzionati, Ozia al sud, e Geroboamo II al nord

ebbero un lungo regno (circa cinquantenni ciascuno) donde deduciamo

che la prima metà del secolo ottavo dovette essere un tempo di pace. La

pace è un dono di Dio però implica talora (per colpa degli uomini) degli

squilibri, la pace porta al benessere, il benessere degenera in ingiustizie

sociali, contro queste ingiustizie Amos leva violenta la sua voce. In parti-

colare Amos combatte contro due mali del regno del nord, l’ingiustizia

sociale contro la quale combatte nello stesso periodo (più o meno) Isaia

nel primo periodo del suo ministero al sud è l’idolatria, soprattutto

all’idolatria era più esposto il regno del nord, il sud infatti aveva larghi

spazi in cui confina col deserto. Il regno del nord invece confinava con

altre popolazioni (Fenicia, Siria), era facile che i culti pagani si infiltras-

sero in Israele, tanto più che nei culti pagani c’era qualcosa di allettante:

la prostituzione sacra praticata come atti di culto e che veniva praticata

su alture come i luoghi di culti. Questi due mali hanno caratterizzato il

regno del nord all’epoca di Amos.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 30

Una accusa contro questo mali è soprattutto nel capitolo II16. Nel

capitolo quarto ancora si ha nei versi 1-4 la stessa prospettiva: il profeta

si rivolge alle vacche di Basan (abitanti del regno del nord)17.

Un oracolo più unitario sembra essere nel capitolo quarto dal ver-

so 4 fino al verso 12, dove il profeta nota lo squilibrio e la contraddizione

tra pretesi atti di culto e le ingiustizie che si commettono18. Nel capitolo

quinto c’è però l’esortazione a tornare al Signore, leggiamo in 5,4: “dice

il Signore alla casa si Israele cercate me e vivrete”, si esorta al ritorno

del Signore. Un altro oracolo unitario sembra essere contenuto nei versi

21-27 del capitolo quinto19, c’è anzitutto un rifiuto del culto, tale rifiuto

sarà una caratteristica dei profeti. Anche Isaia avrà parole dure contro il

16 Amos 2,1-15: “1 Così dice il Signore: «Per tre misfatti di Moab e per quattro non re-vocherò il mio decreto, perché ha bruciato le ossa del re di Edom per ridurle in calce; 2 appiccherò il fuoco a Moab e divorerà i palazzi di Keriòt e Moab morirà nel tumulto, al grido di guerra, al suono del corno; 3 farò sparire da lui il giudice e tutti i suoi capi uc-ciderò insieme con lui», dice il Signore. 4 Così dice il Signore: «Per tre misfatti di Giu-da e per quattro non revocherò il mio decreto, perché hanno disprezzato la legge del Si-gnore e non ne hanno osservato i decreti; si son lasciati traviare dai loro idoli che i loro padri avevano seguito; 5 appiccherò il fuoco a Giuda e divorerà i palazzi di Gerusalem-me». 6 Così dice il Signore: «Per tre misfatti d'Israele e per quattro non revocherò il mio decreto, perché hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; 7 essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri; e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome. 8 Su vesti prese come pegno si stendono presso ogni altare e bevono il vino confiscato come ammenda nella casa del loro Dio. 9 Eppure io ho sterminato davanti a loro l'Amorreo, la cui statura era come quella dei cedri, e la forza come quella della quercia; ho strappato i suoi frutti in alto e le sue radici di sotto. 10 Io vi ho fatti uscire dal paese di Egitto e vi ho condotti per quarant'anni nel deserto, per darvi in possesso il paese dell'Amorreo. 11 Ho fatto sorgere profeti tra i vostri figli e nazirei fra i vostri gio-vani. Non è forse così, o Israeliti?». Oracolo del Signore. 12 «Ma voi avete fatto bere vino ai nazirei e ai profeti avete ordinato: Non profetate! 13 Ebbene, io vi affonderò nel-la terra come affonda un carro quando è tutto carico di paglia. 14 Allora nemmeno l'uomo agile potrà più fuggire, né l'uomo forte usare la sua forza; il prode non potrà sal-vare la sua vita 15 né l'arciere resisterà; non scamperà il corridore, né si salverà il cava-liere. Il più coraggioso fra i prodi fuggirà nudo in quel giorno!». Oracolo del Signore.” 17 Cfr. Amos 4,1-4. 18 Cfr. Amos 4,4-12. 19 Amos 5,21-27: “21 Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunio-ni; 22 anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. 23 Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! 24 Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne. 25 Mi avete forse offerto vittime e oblazioni nel de-serto per quarant'anni, o Israeliti? 26 Voi avete innalzato Siccùt vostro re e Chiiòn vo-stro idolo, la stella dei vostri dèi che vi siete fatti. 27 Ora, io vi manderò in esilio al di là di Damasco, dice il Signore, il cui nome è Dio degli eserciti.”

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culto, lo stesso rifiuto che appare nei Salmi 39, 49, 50. Non che i profeti

si oppongano al culto, ma un culto senza la legge del Signore non serve a

niente. Allora il profeta (verso 27) annuncia l’esilio. Nel capitolo sesto

nei versi 1-5 abbiamo ancora un altro oracolo sullo stesso tono che pare

unitario20. Nel capitolo sette sono riferite tre visioni simboliche cioè tre

visioni che annunziano una catastrofe, la visione delle cavallette, quella

della siccità e quella del piombino. Con queste immagini si annunzia la

catastrofe del regno di Samaria. Nel capitolo sette è riferita l’ostilità che

il profeta subì in seguito al suo annunzio, il profeta riceve il comando di

tacere e viene cacciato dal regno del nord. Se veramente se ne sia andato

non lo sappiamo, certo però che il profeta si difende rimandando al Si-

gnore. Infine l’ultimo oracolo è nel capitolo ottavo (almeno quello più

unitario), il profeta nei versi 4-8 torna ancora alla sua denunzia21. In que-

sto capitolo il profeta annunzia nei versi 11-12 la massima punizione che

Dio può infliggere: due volte ha già menzionato l’esilio, ma ora c’è quel-

la più grave, scrive il profeta nel verso 11: “io manderò la fame nel pae-

se, non fame di pane, ne sete di acqua, ma di ascoltare la Parola del Si-

gnore. Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da

settentrione a oriente per cercare la Parola del Signore, ma non la trove-

ranno”22.

Riassumendo Amos profetizza prima della caduta di Samaria e

dell’esilio in Assiria, ciò si deduce dall’indole totalmente negativa degli

oracoli. Sulla scena c’è già l’Assiria, e alcune città menzionate sono state

già devastate, nella Assiria il profeta vede la punizione per le ingiustizie

che in mezzo al popolo si commettono.

20 Cfr. Amos 6,1-5. 21 Cfr. Amos 8,4-8. 22 Cfr. Amos 8,11 (Giovanni in 8,21 alluderà a questo verso di Amos).

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OSEA

Osea profetizza pure nel regno del nord, però non sembra proprio

contemporaneo di Amos per l’indole dei suoi oracoli, Osea deve essere

collocato a cavallo della caduta di Samaria e infatti alcuni oracoli sono di

esplicita denunzia, altri oracoli invece, anzi più numerosi sono di restau-

razione e di salvezza. Gli oracoli di denunzia si collocano bene prima

della caduta di Samaria, prima cioè che si verifichi la punizione da parte

del Signore. Dopo che la punizione è avvenuta non si comprendono più

gli oracoli di giudizio ma una caratteristica dei profeti è quella di annun-

ziare la salvezza dopo la catastrofe. I profeti hanno cura a mostrare che

Dio non intende distruggere, ma soltanto richiamare a conversione. Que-

sto criterio storico può essere utile nella comprensione degli oracoli di

questo profeta anche perché essi non ci sono pervenuti distinti, ma me-

scolati23.

Osea è il primo profeta che nella descrizione della relazione di

Dio con il suo popolo userà la metafora coniugale, cioè Dio è lo sposo e

il popolo è la Sua sposa. Questa metafora coniugale sarà ripresa cento

anno dopo da Geremia soprattutto nei capitolo 2 e 3, sarà ripresa anche

da Ezechiele capitolo 16, sarà ripresa dal Deutero-Isaia e dal Terzo Isaia

(capitolo 54-62 grosso modo), fino al NT dove nei Vangeli e in Paolo si

usa l’immagine per descrivere il rapporto tra Cristo e la Sua Chiesa.

Nei capitoli 1-3 troviamo alcuni passaggi che si collocano in pro-

spettiva giudiziaria, il profeta deve compiere una azione simbolica, deve

cioè sposare una prostituta. Leggiamo infatti in 1,2: “va e prenditi in mo-

glie una prostituta e abbi da lei figli di prostituzione”. Se il profeta abbia

dovuto realmente compiere questa azione possa essa rimane soltanto sul

piano della descrizione letteraria non è chiaro, certo però che la denunzia

23 Cfr. ad esempio Osea 2,13-17.

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è abbastanza chiara. Il profeta paragona il popolo ad una prostituta che

cioè si è allontanata da lui e si è rivolta agli idoli. La punizione è poi de-

scritta in 2,4-15 dove il profeta esordisce dicendo: “accusate vostra ma-

dre, accusatela essa non è più mia moglie ed io non sono più suo mari-

to”, Dio cioè ripudia la sua sposa adultera. Una caratteristica di Osea è

l’uso di un linguaggio altissimamente poetico, servendosi di immagini

che sono più efficaci di qualsiasi altra descrizione: circa cento anni dopo

un giovane entusiasta, soprattutto felice di avere ricevuto la Parola del

Signore leggerà Osea e sugli oracoli di Osea imposterà il primo periodo

del suo ministero profetico, cioè Geremia.

Quello che importa di Osea è sottolineare alcuni passaggi che

vanno più gustati che non spiegati, si tratta di quegli oracoli di salvezza

dopo la caduta di Samaria. È utile citarne qualcuno, in 2,31 Dio dichiara:

“ti farò mia sposa per sempre nella giustizia, nel diritto, nella benevolen-

za e nell’amore”. Un oracolo molto bello, altissimamente poetico è nel

capitolo sesto dove il profeta esorta: “venite, torniamo al Signore (si rifà

al periodo dopo l’esilio e la caduta di Samaria), Egli ci ha straziati (con

l’esilio), Egli ci guarirà, Egli ci ha percosso ed Egli ci guarirà. Dopo

due giorni ci darà vita e noi vivremo alla Sua presenza”. Su questo testo

la fede primitiva dirà che Gesù è Risorto il terzo giorno24.

24 Osea 6,1-6: “1 «Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2 Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza. 3 Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l'aurora. Verrà a noi come la pioggia di autunno, come la pioggia di primavera, che feconda la terra». 4 Che dovrò fare per te, Efraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all'alba svanisce. 5 Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6 poiché voglio l'amore e non il sacrifi-cio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.”

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Giovedì 14 ottobre 2004, ore 08,30 / 10,15

ISAIA

Di Isaia abbiamo due indicazioni cronologiche: la prima in 6,125,

la seconda in 1,126. La prima in 6,1 è probabilmente dello stesso profeta,

la seconda di 1,1 è dovuta probabilmente ad un redattore che però inter-

pretò bene l’epoca di Isaia. In 1,1 sono menzionati quattro re di Giuda:

Ozia, Iotam, Achaz, Ezechia. Il primo Re: Ozia, viene precisato in 6,1.

Alla luce di 6,1, Ozia indica l’epoca della vocazione profetica di Isaia.

Trasferendo le indicazioni bibliche sul nostro calendario l’anno della

morte del re Ozia corrisponde al 740-739, i calcoli possono essere un po’

più precisi: Ozia morì nell’arco di sei mesi tra l’autunno del 740 alla pri-

mavera del 739, nell’arco di questi sei mesi avvenne la vocazione di I-

saia.

Continuando nella prospettiva storica, alla morte di Ozia, salì al

trono il figlio Iotam che regnò non a lungo ma morì tra il 733 e il 732.

Salì al trono il figlio ventenne Achaz, nemmeno Achaz ebbe lungo regno,

la sua morte deve essere collocata verso il 727, alla sua morte salì al tro-

no il figlio Ezechia. Qui noi siamo nell’ambito della storia documentabile

e perciò i dati cronologici del libro di Isaia si integrano con la storia nar-

rata nei capitoli 17-19 del secondo libro dei Re. In 2Re18,2 leggiamo che

quando Ezechia salì al trono, quell’Ezechia che cinque anni prima Isaia

aveva salutato come l’Emanuele quando ancora era nel grembo materno,

aveva venticinque anni.

25 Isaia 6,1: “Nell'anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio”. 26 Isaia 1,1: “Visione che Isaia, figlio di Amoz, ebbe su Giuda e su Gerusalemme nei giorni di Ozia, di Iotam, di Achaz e di Ezechia, re di Giuda”;

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L’indicazione del secondo libro dei Re è sbagliata: i calcoli cro-

nologici fanno presupporre meglio che quando Ezechia salì al trono ave-

va soltanto cinque anni. Ezechia muore verso il 700-699 dopo i dramma-

tici episodi di cui parleremo verificatisi a Gerusalemme. Dopo di lui salì

al trono il figlio dodicenne Manasse, quello che secondo una tardiva leg-

genda avrebbe fatto uccidere Isaia segandolo in due.

Riepilogando, alla luce di queste indicazioni cronologiche pos-

siamo distinguere quattro periodi nel ministero profetico di Isaia:

1- (740/739-733/732): sotto Iotam; 2- (733/732-727): sotto Achaz; 3- (727-714): sotto Ezechia minorenne; 4- (714-699): sotto Ezechia maggiorenne.

Però la storia del regno di Giuda si intreccia con altre due storie:

quella del regno del nord e quella del regno assiro.

Del regno del nord è sufficiente ricordare la caduta di Samaria

che fu assediata dal re assiro Salmanassar V, e fu espugnata due anni do-

po dal figlio Sargon II.

Ma è importante avere anche un quadro della storia assira, dove

abbiamo la seguente successione:

1- Tiglat Pileser III (745-727); 2- Salmanassar V (727-722/720); 3- Sargon II (722/720-705); 4- Sennakerib (che troveremo nell’assedio di Geru-

salemme del 700)

Dal momento che la storia di Giuda si intreccia con quella assira,

aiutano molto i documenti assiri. I periodi più importanti sono soprattut-

to: il primo, il secondo e il quarto. Il terzo periodo registra un certo silen-

zio del profeta, forse perché ebbe meno occasione di parlare, dal momen-

to che essendo Ezechia minorenne, il reggente doveva essere molto equi-

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librato, non così nel quarto periodo, quando Ezechia a diciotto anni di-

ventò re autonomo e cominciarono i guai. Su Ezechia si danno due pare-

ri, quello dei libri dei re e quello di Isaia. Il secondo libro dei Re presenta

Ezechia insieme a Giosia, un re secondo il cuore di Dio; secondo Isaia

invece Ezechia fu acritico guerrafondaio, rischiò la distruzione di Geru-

salemme.

PRIMO PERIODO (740/739-733/732)

Il messaggio di Isaia di questo primo periodo è analogo a quello

del contemporaneo Amos nel regno del nord. Anche al sud c’era stato il

lungo regno di circa cinquanta anni di Ozia e si era verificato lo stesso

fenomeno: la pace porta al benessere e il benessere purtroppo degenera in

ingiustizie. Contro queste ingiustizie anche Isaia alzò la voce sempre in

nome della fedeltà al Dio dell’Alleanza.

Non possediamo molti oracoli di questo primo periodo, anzi ne

possediamo pochi. Essi sono:

1- la parabola della vigna in Is 5,1-7: una parabola importante sia in sé stessa, sia per i suoi risvolti neotestamentari: su Isaia 5 si basa la famosa parabola evangelica dei cattivi vignaioli;

2- il carme poetico di Is10,1-4; Is5,8-24: a riguardo di quest’ultimo si tratta dello stesso carme che incomincia nel capitolo 10 e continua nel capitolo quinto. C’è chi avanzi l’ipotesi che il foglio possa essere stato stracciato e poi il re-dattore inserì le due parti dove ritenne opportuno.

La parabola della vigna si chiama così perché il profeta narra le

vicende di una vigna. Si legge che: “il mio diletto possedeva una vigna

[…] egli l’aveva vangata, sgombrata dai sassi, aveva piantato scelte viti,

vi aveva costruito in mezzo una torre, e aveva scavato un tino”. Dietro

questa parabola si nasconde una storia che però, a ben guardare, è limita-

ta e probabilmente deve essere completata con un'altra storia offertaci dal

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Salmo 79. Questo Salmo, come vedremo, è probabilmente la preghiera

che nell’anno drammatico 701/700 Ezechia pronunziò al tempio. Ma an-

che il Salmo risente della predicazione di Isaia. La storia del Salmo è la

seguente: “hai divelto una vite dall’Egitto per trapiantarla hai espulso i

popoli, le hai dato il terreno, i suoi rami hanno riempito la terra”. La

storia evocata dal Salmo evoca l’uscita dall’Egitto, è l’epoca della con-

quista (con Giosuè) quando Dio per dare la terra al suo popolo cacciò gli

altri popoli dal territorio. La parabola di Isaia invece evoca i circa cinque

secoli di storia della presenza del popolo del Signore nella terra di Cana-

an. In questi secoli Dio ebbe cura come ha cura chi possiede una vigna,

ma alla fine l’atteggiamento di Dio fu quello di qualsiasi vignaiolo. Nota

il profeta nel verso 2: “Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva

selvatica”, cioè la risposta del popolo fu del tutto opposta a quella che

Dio si aspettava. Fin qua il profeta ha narrato una storia, ora interpella i

suoi ascoltatori.

Venerdì 15 ottobre 2004, ore 10,30 / 12,15

Dopo questa descrizione, quasi immaginando un dialogo con i

suoi ascoltatori, il profeta pone una domanda. Questa domanda è conte-

nuta nei versi 3-4: “ordunque abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda

siate voi giudici tra me e la vigna”. Attraverso il profeta è Dio stesso che

parla e chiama gli abitanti di Gerusalemme a farsi giudici. Nel verso 4 si

pone la domanda: “che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io

non abbia fatto?”, il vignaiolo pone la domanda se in qualche cosa lui

non sia stato carente. La domanda nel testo non ha risposta però quello

che segue dopo presuppone una particolare risposta, quasi a dire: hai fat-

to tutto e non potevi fare di più. In altre parole bisogna dare a Dio atto di

avere fatto tutto quello che poteva fare. Emerge chiaro allora che il difet-

to è nella vigna, continua il testo: “perché mentre attendevo uva mi ha

fatto uva selvatica?”, c’è perciò il presupposto perché la vigna venga

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sradicata e nel verso 5 si pronunzia quasi un giudizio contro questa vi-

gna: “ora voglio farvi conoscere che cosa sto per fare: toglierò la sua

siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta […] la

renderò un deserto”. Si riecheggiano le parole del Salmo 79: “perché hai

abbattuto la sua cinta e ogni viandante ne fa vendemmia? La devasta il

cinghiale del bosco e se ne pasce l’animale selvatico”. Fin qua la narra-

zione del profeta non ha fatto problema, e naturale togliere una vigna se

nonostante che sia curata essa non dà frutto. Il problema invece e poi nel

verso 7, alla luce del quale appare chiaro che il profeta ha pronunziato un

giudizio negativo da parte di Dio, e infatti rivela che la vigna è la casa di

Israele, e dagli abitanti di Giuda Dio si aspettava giustizia ed ecco invece

spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco invece grida di op-

pressi. Troviamo in questa parabola una particolare metodologia che sarà

analoga alla ripresa della metafora nella parabola evangelica dei cattivi

vignaioli: cioè portare gli ascoltatori a pronunziare su sé stessi una sen-

tenza di condanna, il popolo stesso dichiarando che la vigna va sradicata

ha ammesso che sarà giusto il modo di fare del Signore che disperderà

quel popolo. Il capo di accusa è che nonostante tutta la cura di Dio il po-

polo non ha portato quei frutti di giustizia e di rettitudine che il Signore

Dio si aspettava. In questo punto Isaia è contemporaneo di Amos e la te-

matica è la stessa27.

SECONDO PERIODO (727-722/720)

Il secondo periodo va dalla morte di Iotam fino alla morte di A-

chaz, a questo punto il messaggio del profeta non sarà più di stampo mo-

rale come è stato nel primo periodo, ma in questo secondo periodo emer-

ge il confronto tra il profeta e la storia. In tale confronto, il profeta, nel

regno del sud, si rivela erede dell’antica tradizione Jawhista, ricordiamo

27 Isaia 10,1-5 e Isaia 5,8-14.18-23.

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che la storia Jawhista fa una vera e propria teologia della storia. Nella

storia gli avvenimenti non capitano a caso, sono ordinati dal Signore del-

la storia che li guida secondo un Suo disegno che è sempre salvezza an-

che se in certi momenti assume un carattere punitivo.

Per questo secondo periodo è importante la storia, per la quale

abbiamo quattro fonti:

a- il libro stesso di Isaia che visse in quel momento; b- i capitoli 16-18 del secondo libro dei Re; c- il capitolo 28 del secondo libro delle Cronache; d- gli annali assiri.

Queste fonti hanno bisogno di essere lette con attenzione. metten-

do insieme queste fonti possiamo ricostruire la storia e il conseguente at-

teggiamento del profeta di fronte ad essa. Gli annali assiri ci sono perve-

nuti alquanto frammentari, tuttavia quello che ci è pervenuto è sufficiente

a darci un’idea di questo periodo. Da una parte essi hanno un carattere

trionfalista, descrivono cioè le imprese vittoriose del re assiro, dall’altra

ci dicono l’ampiezza delle sue conquiste.

Per quanto riguarda questo periodo abbiamo detto che nel 745 sa-

le al trono Tiglat Pileser III che cominciò la sua politica di espansione.

Dagli annali sappiamo che egli arrivò fino alla Siria, al regno del nord e a

Gaza. A riguardo del re di Gaza, gli annali assiri, che parlano in prima

persona, scrivono che: “egli fuggì davanti alla mia armata (esercito assi-

ro) verso l’Egitto”, poco dopo dirà che egli volò come un uccello. Questa

e simili espressioni sottolineano la compiacenza del re assiro a incutere

paura tra i popoli sottomessi.

Contro questo espansionismo si creò una lega anti-assira alla qua-

le fu invitato a partecipare anche il re di Giuda. A riguardo di Iotam in

2Re16,37 si legge che da lui vennero il re di Samaria e il re di Damasco.

Iotam dovette essere renitente a questo tentativo di inserirsi nella lega an-

ti-assira, eppure l’avanzata assira esigeva anche la partecipazione del re

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di Giuda. Alla morte di Iotam salì al trono il figlio ventenne Achaz, e la

pressione dei re di Siria (Damasco) e di Israele divenne maggiore.

Qui dobbiamo ricostruire mettendo insieme le varie fonti: Achaz

dovette essere riluttante forse per seguire la politica del padre Iotam o

anche sotto l’influsso di Isaia contrario alla lega anti-assira. I due re di

Damasco e di Samaria (regno del nord) decisero di piegare Achaz con la

forza. Marciarono contro Gerusalemme dando origine a quella che noi

conosciamo col nome di “guerra siro-efraimita”. Questa spedizione ci è

narrata dal secondo libro dei Re e dal capitolo 7 di Isaia (Oracolo

dell’Emanuele). In 2Re16,5 e in Isaia7,1,ss. leggiamo:

Is7,1,ss: “e avvenne nei giorni di Achaz, figlio di Iotam,

figlio di Ozia, re di Giuda, salì Rezin, Re di Aram (= Siria), Epeqah re di Romelia, re di Israele in battaglia

contro di essa e non poté prevalere contro di essa” 2Re16,5: “In quel tempo marciarono contro Gerusalemme

Rezin re di Aram, e Pekach figlio di Romelia, re di Israele;

l'assediarono, ma non riuscirono a espugnarla”.

Le due frasi di seconda re e di Isaia in larga parte concordano, ma

verso la fine c’è confusione. 2Re ci informa che assediarono Achaz. Tra i

due testi c’è una confusione ed una corruzione testuale per cui è impor-

tante il singolare “non poté” di Isaia. I due re assediarono Achaz, ma A-

chaz non fu in grado (non poté) di resistere contro di essi.

La narrazione del libro delle cronache, vera o gonfiata, ci informa

che i due re non solo assediarono Achaz, ma anche uccisero molti giudei

e altri li deportarono nel regno del nord28. In quella situazione Achaz tro-

vò naturale chiedere l’aiuto al re assiro. Qui si inserisce Isaia e dobbiamo

rifarci al capitolo 7, dove c’è un problema testuale.

28 2Cronache 28.

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I versi 5 e 6 andrebbero spostati e messi al verso 2 che spiegano

benissimo la reazione di Achaz e del suo popolo, capiamo allora lo scopo

della guerra siro-efraimita.

5 Poiché gli Aramei, Efraim e il figlio di Romelia hanno tramato il male contro di te, dicendo: 6 Saliamo contro Giuda, devastiamolo e occupiamolo, e vi metteremo come re il figlio di Tabeèl.

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1 Nei giorni di Achaz figlio di Iotam, figlio di Ozia, re di Giuda, Rezìn re di Aram e Pe-kach figlio di Romelia, re di Israele, marciarono contro Gerusalemme per muoverle guerra, ma non riuscirono a espugnarla. 2 Fu dunque annunziato alla casa di Davide: «Gli Aramei si sono accampati in Efraim». Allora il suo cuore e il cuore del suo popolo si agitarono, come si agitano i rami del bosco per il vento. 3 Il Signore disse a Isaia: «Va' incontro ad Achaz, tu e tuo figlio Seariasùb, fino al termine del canale della piscina superiore sulla strada del campo del lavandaio. 4 Tu gli dirai: Fa' attenzione e sta' tran-quillo, non temere e il tuo cuore non si abbatta per quei due avanzi di tizzoni fumosi, per la collera di Rezìn degli Aramei e del figlio di Romelia.

I due re di Damasco e di Samaria marciarono verso Gerusalemme

allo scopo preciso di deporre Achaz e di mettere al suo posto un certo fi-

glio di Tabeèl, più accondiscendente ai loro progetti.

Di fronte a questo progetto e alla reazione violenta di Achaz in-

terviene Isaia e qui dalla storia passiamo alla teologia. Le parole che il

profeta dice sono parole riferite da parte del Signore. È importante una

indicazione: il Signore manda incontro ad Achaz, Isaia e suo figlio

She’ar Iaschiuv. Isaia, a nome di Dio, deve dire le seguenti parole riferite

nel verso 3: “tu dirai: fa attenzione, stai tranquillo, non temere, e il tuo

cuore non si abbatta per quei due avanzi di tizzoni fumanti (per la colle-

ra di Reèzim degli arami e del figlio di Romelia)29”. L’esortazione del

profeta è molto forte, tanto più violenta. L’esortazione di Isaia nel testo

non trova nessuna giustificazione: il profeta si limita a dire che quei due

re sono avanzi di tizzoni fumanti. Il senso di queste parole si deduce da

tutto l’insieme del capitolo 7, noi però preferiamo anticiparlo.

29 Quello tra parentesi non fa altro che deformare il testo.

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Il profeta sta parlando anzitutto da parte di Dio (qui noi entriamo

nel cuore della fede di Isaia), ma sta parlando ad Achaz, che viene chia-

mato dal profeta stesso con un nome programmatico: “casa di Davide”.

Che vuol dire casa di Davide? Questa espressione richiama, non la sola

persona di Achaz, ma tutta la dinastia davidica alla quale il Signore ha

fatto una promessa formidabile espressa a Davide (fede Jahwista) per

mezzo del profeta Natan in 2 Samuele. Questa stessa promessa sarà poi

ripresa nel Salmo 88. A Davide che voleva costruire una casa, Dio pro-

mette un casato e garantisce la perpetuità della dinastia davidica.

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Martedì 19 ottobre 2004, ore 08,30 / 10,15

In 2 Samuele 7 è descritta la preoccupazione di Davide di volere

costruire una casa al Signore. Il profeta Natan prima approva il progetto

di Davide, poi fa sapere qual è il vero pensiero del Signore. Leggiamo in-

fatti in 2 Samuele 7,8 una breve memoria storica dell’opera di Dio, Dio

ricorda: “Io ti presi dai pascoli mentre seguivi il gregge perché tu fossi il

capo di Israele […].12 Quando i tuoi giorni saranno compiuti, Io assicu-

rerò la discendenza uscita dalle tue viscere e renderò stabile il suo tro-

no”. In contrapposizione a Saul che Dio ha rimosso dal suo trono, a Da-

vide promette la perpetuità della discendenza30. Perciò la tradizione vuole

che la dinastia davidica rimanga per sempre sul trono. La stessa prospet-

tiva soggiace nel Salmo 71: “il suo regno durerà quanto il sole, quanto la

luna per tutti i secoli”. In un epoca poi in cui il re davidico è in crisi, il

Salmo 88 in 28-29 ricorda a Dio la sua promessa: “gli conserverò sempre

la mia grazia e la mia alleanza gli sarà fedele. Stabilirò per sempre la

sua discendenza, il suo trono come i giorni del cielo”.

Questa prospettiva è presente ad Isaia, e alla sua luce, il profeta

legge la situazione presente. Il re davidico Achaz, renitente ad entrare

nella lega anti-assira viene combattuto dai re di Samaria e Damasco, i

quali vogliono deporlo e mettere a suo posto un certo Ben Tabel (figlio di

Tabel). Chi sia questo figlio di Tabel non interessa, interessa il fatto che

si chiama “figlio di Tabel”, cioè figlio di una persona qualsiasi.

30 Questa profezia si compirà nella Annunciazione presentata da Luca.

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Ciò è importante in un contesto in cui il profeta sta usando nomi

simbolici:

a- casa di Davide: Achaz (�����); b- Isaia (�������); c- il figlio di Isaia (significa: un resto tornerà); d- figlio di Tabel; e- Emmanuele (���������).

Perciò i due re pretendono di deporre la casa di Davide, il re davi-

dico cioè sulle cui spalle c’è una formidabile promessa di Dio con una

persona qualsiasi. I due re stanno combattendo contro la promessa di Dio

ed è chiaro che la battaglia sarà impari. Sul piano politico e militare la

battaglia è impari perché i re di Samaria e Damasco, come potenza mili-

tare, sono superiori ad Achaz. Ma sul piano spirituale la battaglia è impa-

ri ma per altro verso, perché dietro Achaz c’è Dio che garantisce la sua

promessa. Questo pensiero guida Isaia nel momento in cui alla casa di

Davide è annunziata la venuta di quei re. Il cuore di Achaz cominciò a

tremare come i rami del bosco per il vento, ma con altrettanta forza Isaia

lo induce a restare calmo. Capiamo il peso delle parole del profeta, in

7,4: “fai attenzione, stai tranquillo, non temere perché il tuo cuore non si

abbatta”: il profeta poggia la sua esortazione proprio sulla promessa di

Dio.

Qui il profeta si trovò a combattere contro l’incredulo Achaz. Vi-

stosi assalito e riconoscendo di non volere resistere chiese aiuto alla Si-

ria. Ci dice il secondo libro dei Re nel capitolo 16 che Achaz mandò a

chiedere al re assiro di intervenire professandogli tutta la sua sudditanza:

“io sono tuo servo e tuo figlio, vieni!” e sollecitò l’intervento assiro con

doni di oro e di argento che prese spogliando la casa reale e il tempio. Il

secondo libro delle cronache sembra andare oltre, ci informa che Samaria

e Damasco non solo assediarono Achaz, ma combatterono e fecero non

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pochi prigionieri di Giuda. Si capisce allora la richiesta di aiuto di Achaz

alla Siria.

Tale richiesta che politicamente poteva essere saggia dispiacque

al profeta. Se lui aveva assicurato che non lo avrebbero deposto in nome

della promessa di Dio, il profeta avrebbe giustamente voluto che anche

Achaz entrasse in questa mentalità, e se la sua stabilità dipendeva dal Si-

gnore, egli avrebbe dovuto confidare soltanto nel Signore. Di conseguen-

za non avrebbe dovuto ne temere i due re, ne confidare nella Siria. A ri-

guardo della Siria, il profeta ha una idea precisa: lo rivelerà trent’anni

dopo quando sarà costretto a cambiare opinione sulla Siria, ma il profeta

l’aveva sempre ritenuta uno strumento di punizione nelle mani del Si-

gnore, perciò non bisognava fare nulla contro la Siria, ma attendere con

fiducia il compimento dell’opera del Signore.

Perciò Isaia fu amareggiato dell’atteggiamento di Achaz, cercò in

tutti i modi di convincerlo e un ennesimo tentativo è descritto nel capito-

lo 7, nella versione italiana in 7,10 si legge l’espressione: “il Signore par-

lò ad Achaz”. Qui c’è un errore: non è il Signore che parla ad Achaz, ma

Isaia. L’equivoco sta nel fatto ce sia “il nome del Signore”, sia “il nome

di Isaia” cominciano con la stessa consonante, lo «iod», scritto abbrevia-

to. Un copista credette di spiegare scrivendo non Isaia, ma Jahwè, il Si-

gnore, e difatti tutto il contesto è un dialogo tra il profeta e Achaz. Il pro-

feta per indurre Achaz a credere e a confidare nel Signore, arriva addirit-

tura a fargli una proposta: “chiedi un segno da parte del Signore, sia nel

profondo in basso, sia lassù in alto”. Il segno vorrebbe convincere Achaz

che in quel momento critico il Signore è presente. Il profeta non mette

limiti, Achaz può chiedere il segno dovunque gli pare. Achaz rifiuta di

chiedere un segno con le parole: “non voglio chiedere per non tentare il

Signore”. Tentare il Signore, metterlo alla prova mediante la richiesta dei

segni è un peccato gravissimo perché rivela profonda incredulità, sfidu-

cia, dubbio, scetticismo nel Signore. Dio stesso per esempio nel Salmo

94 si lamenta: “mi misero alla prova benché avessero visto le mie opere”.

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E la stessa lamentela che farà Gesù nei Vangeli sinottici: “questa genera-

zione perversa e adultera chiede un segno” (e Gesù annunzia quello di

Giona), ma in Giovanni 12,40 l’evangelista nota che nonostante che Lui

avesse fatto tanti segni perseveravano nella incredulità.

In questo sfondo la risposta di Achaz potrebbe apparire profon-

damente religiosa, ma religiosa non è, anzi è profondamente subdola. Di-

cevamo come chiedere un segno è grave, ma quando è il Signore stesso

che autorizza a chiedere il segno allora è sfiducia in Lui non chiederlo.

Ecco il primo motivo per cui la risposta di Achaz è subdola, ma questo

carattere appare meglio dalla reazione violenta di Isaia. Ma perché è sub-

dola? Perché la richiesta di un segno mira ad alimentare la fiducia nel Si-

gnore. Se Achaz chiede un segno e lo ottiene deve fare quello che il pro-

feta gli dice, cioè non temere i due re e non porre fiducia nella Siria. Ciò

però mette nei guai Achaz perché egli già ha fatto i suoi passi verso la Si-

ria, e se ottiene il segno deve romperla con la Siria e questa non glielo

avrebbe perdonato. Ecco perché Achaz risponde in maniera subdola ed

evasiva. Il profeta però tutto questo lo sa e risponde in maniera violenta:

“ascoltate, casa di Davide, vi pare poco avere stizzito (dare ai nervi, cre-

are rabbia) uomini, che volete anche stizzire il Signore mio Dio”. Il profe-

ta si rivolge ad Achaz chiamandolo “casa di Davide”, questo appellativo

nel contesto, che pur sarebbe altamente programmatico, in realtà suona

come forte rimprovero: Achaz è “casa di Davide”, ma non si è comporta-

to secondo questo nome. Il profeta lo ha indotto ad agire in conformità ad

esso, cioè ad indurlo a porre la fiducia nel Signore, ma non ci è riuscito,

anzi la reazione di Achaz lo ha fatto stizzire. Donde la frase: “vi pare po-

co avere stizzito uomini?” e in questa parola “uomini” il profeta allude a

sé stesso, ma ora è Dio stesso che lo esorta e perciò Achaz sta resistendo

a Dio e lo sta stizzando, reagendo e creandogli rabbia. Ma Dio è fedele,

manda vanti il Suo disegno anche senza Achaz, e perciò il Signore gli dà

Lui stesso quel segno che Achaz non vuole chiedere, ma in questo caso,

il segno suona come rimprovero ad Achaz. Ed ecco il segno: “Pertanto il

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 55

Signore stesso vi darà un segno. Ecco la giovane donna è incinta e sta

per partorire un figlio e chiamerai il suo nome Emmanuele

(�� ����)”31. Questa traduzione discorda con quello che abitualmente

si è sentito, ma altre traduzioni hanno lo scopo un po’ apologetico e non

bisogna forzare i testi32.

Il testo ebraico ha la parola “��������”, il termine “��������” non

significa vergine nella lingua ebraica, la parola vergine corrisponde al

termine ebraico “�������” che si legge circa 55 volte nell’AT. “��������”

indica una giovane donna sposata o meno poco importa, ma che si trova

alla prima esperienza del parto o della gravidanza. Il termine “��������”

nell’AT è molto raro, si legge appena otto volte, di cui due usi al plurale

“��������” sono nel cantico e nel cantico richiamano l’harem di Salomo-

ne, quindi non ha assolutamente il senso di vergine. Inoltre il termine ha

l’articolo è perciò non rimanda ad una donna o ragazza qualsiasi, ma de-

ve rimandare ad una donna conosciuta sia da Isaia che da Achaz. Il ter-

mine “�����” è aggettivo ed è chiaro che esiste solo al femminile ed indi-

ca la condizione di una donna in stato di gravidanza (quindi possiamo

tradurre “ora è incinta”). Segue coordinato da un “�” (wav), un altro par-

ticipio, un participio presente femminile dal verbo “�����”, partorire. Il

participio presente non è un futuro, ma ha il senso di successione dopo

l’aggettivo precedente. Assume perciò il carattere di un futuro imminen-

te: “questa donna è incinta e sta per partorire”. Il segno perciò del profe-

ta riguarda una donna concreta ben nota che è incinta, in stato avanzato

di gravidanza, ed è vicina al parto (circa quinto, sesto mese). Chi può es-

sere questa donna? Solo una risposta è possibile: la giovane moglie del

31 Cfr. Isaia 7,14: ����������������������������������� ������ ���������������� ����� ������������������������������ �������������������� ������������� �����(dai LXX);

“������������������������� ����!"�"��������������������#$�������%&"����������!��'� (��)� &���” 32 Nessuno pensi che Isaia 7,14 si voglia riferire alla concezione verginale di Maria.

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ventenne Achaz. E difatti da lì a qualche mese nascerà Ezechia che il

profeta saluterà come l’Emmanuele. Lamentando infatti l’incredulità di

Achaz, il profeta amaramente dirà: “sarà devastata la tua terra Emma-

nuele” (cioè il re assiro devasterà quella terra durante la reggenza

dell’Emmanuele). Dove sta allora il segno? Nel fatto che la giovane mo-

glie di Achaz è incinta e sta per partorire, mostra la fedeltà di Dio. Achaz

non sarà deposto, dopo di lui non ci sarà un usurpatore, ma suo figlio. La

gravidanza della moglie mostra che sta continuando la dinastia davidica

fondata sulla promessa di Dio.

Come si arriva allora all’annunzio della Concezione Verginale

che sarà esplicitamente affermata in Matteo e in Luca? Alla concezione

verginale si arriva attraverso la versione greca dei LXX 33. Notiamo anzi-

tutto che la versione greca data almeno cinque secoli dopo il testo di I-

saia, e come capita anche per la versione Aramaica (il Targum) i tradutto-

ri non sempre traducono alla lettera:

• o perché non capirono il testo ebraico, • o perché disponevano di un’altra copia differente, • o perché, come nel nostro caso, i traduttori tradussero a senso

sotto l’influsso di altre prospettive teologiche posteriori.

Anzitutto tradussero il termine ebraico “��������” con “������ ��”

che significa vergine ma non è questa la traduzione abituale nei LXX del

termine ebraico. Altre volte traducono il termine con “ ��� �” (fanciulla,

ragazza di circa 15-18 anni), ciò significa che più che tradurre, i LXX in-

terpretarono. Inoltre tradussero l’aggettivo “�����” (è incinta) con

l’espressione “�� ������������”. Quindi i LXX parlarono di una gravidan-

za futura. Il participio presente “sta per partorire” fu tradotto col futuro

“�������”dal verbo “�����” (e partorirà un figlio). Concludendo i LXX

33 La Scrittura è opera di Dio, e Dio tante volte prepara ad esprimere un evento superio-

re alle sue possibilità letterarie.

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intesero il testo di Isaia come proiettato al futuro che parlava del parto di

una vergine. Perché i LXX tradussero così? Rimane incerto. Una possibi-

lità e che nella traduzione i LXX 0 furono influenzati dalla tematica del

secondo e terzo Isaia della vergine figlia di Sion, madre di molti figli. Il

testo dei LXX aprirà la strada al NT che parlerà della Vergine per eccel-

lenza. Questo sviluppo posteriore però non interessa leggendo Isaia, ma

interessa leggendo Isaia nel NT e perciò lasciando stare ogni altra consi-

derazione torniamo a Isaia.

Isaia aveva detto che quei due re erano mozziconi di tizzoni fu-

manti, il mozzicone del tizzone fumante è quel pezzo di legno che stato

bruciato di cui ne è rimasto solo un pezzettino e spento e resta soltanto un

fumo che disturba. In questa espressione il profeta vide con chiarezza

quello che da lì a pochi anni si sarebbe verificato.

Mercoledì 20 ottobre 2004, ore 10,30 / 12,15

Il profeta idealizza la figura del figlio che deve nascere. Lo chia-

ma Emmanuele (���������) cioè la particella «���» più il suffisso di prima

persona «������» (con noi è). Il profeta non sa ancora come si chiamerà

questo figlio. Si chiamerà poi Ezechia, ma non importa il nome concreto,

importa invece il nome simbolico. La sua nascita è il segno che Dio è

presente e che perciò rimane immutata la Sua promessa. Dicevamo che

siamo in un contesto di nomi simbolici, ne’abbiamo indicato ben cinque:

Achaz è chiamato “casa di Davide”, cioè discendente davidico, colui sul

quale poggiano le promesse di Dio. Il nome stesso Isaia è un nome sim-

bolico: Isaia (ebraico) che deriva dal verbo iscià (salvare) e dal nome di

Dio � Dio salva. È il nome stesso diventa la presenza del Dio salvatore.

Il figlio di Isaia si chiama “Scear iasciuv”. Scear significa resto, iasciuv è

imperfetto qal terza persona singolare dal verbo sciuv, un resto tornerà, è

la teologia di Isaia secondo la quale, anche se Dio permette in certi mo-

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menti una catastrofe, Egli lascia sempre un resto da cui riparte la sua ope-

ra di salvezza. È nome simbolico anche quello dell’usurpatore:

«����*�+ �"» (���� �����), cioè una persona comune che a riguardo della

quale il Signore Dio non ha detto niente.

Il profeta idealizza questa figura dell’Emmanuele anche se poi al

lato pratico dovrà combattere contro di lui, si chiama Emanuele ma non

si comporterà come tale. Il profeta lo idealizza con delle descrizioni al-

quanto idilliache: “panna e miele mangerà finché non imparerà a sce-

gliere il miele ed a rigettare il male”, cioè sarà oggetto di cura perché

possa distinguere tra ciò che è conforme al disegno di Dio e ciò che inve-

ce non lo è. Segue poi una profezia che si rivelerà abbastanza vera, scrive

il profeta nel verso 14: “poiché prima che il bambino impari a rigettare il

male e scegliere il bene34

, sarà abbandonato il paese davanti ai cui re tu

temi”. Achaz sta temendo di fronte ai due re: quello di Damasco e quello

di Samaria. Il profeta annunzia la devastazione dei loro regni. Prima ave-

va definito questi due re dei “residui di tizzoni fumanti” cioè due pezzi di

legno ormai quasi tutti consumati dal fuoco e che fanno fumo. Tutto ciò

si avverò ben presto, siamo nell’anno 733/732, da lì a pochissimo tempo

dopo, Damasco tra il 732 e il 730 fu assediata dal re assiro e distrutta,

Samaria lo sarà undici anni dopo, assediata da Salmanassar V nel 722,

distrutta dal figlio Sargon II nel 720. Il profeta aveva ragione a chiamarli

“tizzoni fumanti”, il resto di una città distrutta e incendiata fa fumo. tor-

nando però al verso 435 dove il profeta chiama i due re chiama “tizzoni

fumanti” qualcuno capì male questa immagine e interpretò l’immagine di

tizzoni fumanti non come residuo di un incendio, ma come manifestazio-

ne di collera e di ira, per questo la frase del verso 4: “per il furore dell’ira

di Reezin e di Aram e del figlio di Romelia” è una glossa posteriore che

vuole spiegare ma spiega male. Fra l’altro questa aggiunta contiene un

errore storico, il glossatore coordinando ha presentato tre personaggi di-

34 cioè prima che arrivi alla capacità di discernimento.

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stinti: evidentemente non sapeva che Reezin e Aram si identificano. Il

profeta non può fare a meno di sollevare lo sguardo sulle conseguenze

che l’azione di Achaz determinerà per il regno di giuda. Egli descrive tali

conseguenze nel verso 17, ma prima di considerare questo verso conside-

riamo i versi 7-9, questi sono di indole diversa rispetto, e a differenza dei

seguenti non sono in prosa, ma in forma poetica. Essi sono staccati del

contesto e forse dovevano essere isolati, ma essi esprimono bene tutta la

pressione che il profeta ha esercitato su Achaz, ma nello stesso tempo e-

sprimono bene la fede di Isaia. Questi versi suonano nel seguente modo:

“così dice il Signore Dio: non sussisterà, non sarà

poiché capitale di Aram, Damasco, e capo di Damasco, Reezin

(ancora 65 anni e cesserà Efraim dall’essere popolo)

capitale di Efraim, Samaria, e capo di Samaria, il figlio di Romelia

se non credete non potrete sussistere”.

Abbiamo messo tra parentesi l’espressione dei 65 anni perché

chiaramente un’aggiunta, è una espressione in prosa in un contesto poeti-

co, interrompe lo sviluppo di pensiero, è strana dal punto di vista storico

che Efraim cesserà di essere un popolo perché il regno del nord nel 720,

dopo la caduta di Samaria, sarà costituito provincia assira, questo è vero,

ma non sappiamo che cosa vogliano dire quei 65 anni perché difatti Sa-

maria cadde dodici anni dopo. La cogliamo perciò nel testo, è il testo ge-

nuino di Isaia comprende quattro versi e ciascun verso in due parti e ogni

parte nel testo ebraico ha due accenti. Siamo perciò nel contesto di una

strofa poetica, c’è da pensare che sia stata scritta dal profeta stesso. Egli

però non sta parlando a titolo proprio e non sta perciò riferendo una sua

opinione personale, ma sta parlando a nome del Signore usando la formu-

la dell’ambasciatore. Il Signore manda a dire una affermazione negativa

assai perentoria. Abbiamo noi due espressioni in forma di imperativo a-

podittico negativo. La prima forma è «%�������,,»; «��,,» è una negazio-

35 Isaia 7,4.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 60

ne apodittica, potremmo tradurla “è impossibile che ciò sia”, «%����» è

imperfetto qal terza persona singolare femminile dal verbo

«%��» �� . Il verbo «%��» �� significa stare dritto, stare alzato,

donde il senso di sussistere “non avrà consistenza”. Prima di caratterizza-

re l’oggetto notiamo la seconda espressione: «��,�������-���», anche questa

formula è un imperfetto qal dal verbo «�����» (���� - essere).

Le due forme forse andavano meglio essere messe al contrario. La prima

forma esclude l’inizio, la seconda forma esclude la continuità. Forse si

sarebbe detto meglio: non ci sarà, ma nemmeno inizierà. Il profeta sta

così escludendo in maniera completa e assoluta, ma che cosa sta esclu-

dendo? I due verbi sono al femminile, l’ebraico non ha il neutro, e per

indicare un oggetto neutro si serve del femminile. Il riferimento è

all’azione descritta nei versi precedenti in prosa, quella cioè di deporre

Achaz e di mettere a suo posto un usurpatore, il figlio di Tabel.

Ma perché questa esclusione così assoluta? Qual è il principio che

permette di dedurre tale esclusione? La risposta è nei versi seguenti: in

questi due versi in perfetto parallelismo il profeta nota che la capitale di

Aram (la Siria) è Damasco, e la capitale di Efraim è Samaria (Shomeron

nel testo ebraico), capo di Damasco è Reezin, capo di Samaria è il figlio

di Romelia. Il profeta sta facendo una osservazione. Ci sono due regioni

Aram ed Efraim, due capitali Damasco e Samaria, due re Reezin e il fi-

glio di Romelia. Perché fa questa osservazione? Il profeta non continua il

suo ragionamento, esso viene interrotto da un pensiero improvviso che lo

assale e che disturba, quasi manda in aria, il suo ragionamento, e aggiun-

ge l’espressione amarissima, diremmo sfiduciata: “ma se non credete non

potete sussistere”. Tentiamo allora di ricostruire il pensiero del profeta: ci

sono due regioni Aram ed Efraim ma ne manca una terza: Giuda; ci sono

due città: Damasco e Samaria ma ne manca una terza: Gerusalemme; ci

sono due re: Reezin e il figlio di Romelia ma ne manca un terzo: la casa

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 61

di Davide (Achaz). Il profeta vorrebbe dire che due regioni qualsiasi

stanno combattendo contro la regione di Giuda, quella che Dio ha lascia-

to alla casa di Davide, due città che non sono niente di fronte alla città

che Dio si è scelto per farvi dimorare il Suo nome (il Tempio), due re ba-

nali (un qualsiasi figlio di Romelia) che non sono niente di fronte alla ca-

sa di Davide, la lotta perciò è impari, Samaria e Damasco sono superiori

per la loro forza militare ma sono del tutto impari di fronte alla tribù di

Giuda, di fronte a Gerusalemme, di fronte alla casa di Davide, e perciò

questi re non riusciranno nel loro intento perché si trovano a combattere

contro Dio e il suo disegno. Ma il profeta come dicevamo non continua il

suo pensiero, è disturbato da un pensiero improvviso contenuto nelle pa-

role: “se non credete non potrete sussistere”. Qui il profeta sta dicendo

un aspetto per lui irrinunciabile: la promessa di Dio per realizzarsi esige

la fede, ma è proprio di quella fede che dubita. Achaz rischia di soccom-

bere a quei due re perché non crede e allora non può pretendere che il Si-

gnore lavori per lui. Possiamo dire che tutto il ragionamento di Isaia va

ad infrangersi come un’onda contro lo scoglio dell’incredulità di Achaz.

Ecco perché dicevamo che la frase è molto amara. Tornando al verso 17,

che avevamo lasciato in sospeso, il profeta annunzia: “il Signore mande-

rà su di te e sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non ven-

nero da quando Efraim si staccò da Giuda”. Il profeta annunzia una serie

di guai per il regno di Giuda, questi guai troveranno poi il loro culmine

140 dopo nella deportazione del regno di Giuda in Babilonia, e la causa

di tutto è non avere creduto nel Signore e avere voluto agire contraria-

mente a quanto stabiliva il suo disegno che il profeta aveva indicato.

Tornando alla storia effettivamente Achaz non fu deposto, ma non

per l’aiuto del Signore, ma per intervento di quella Assiria che lui stesso

aveva invocato. L’Assiria venne e occupò tutti i territori di Damasco, Re-

ezin dovette fuggire e occupò larga parte dei territori di Samaria. Ma A-

chaz non ne uscì indenne, dovette pagare il prezzo della sottomissione al-

la Assiria, dice il secondo libro dei re che Achaz dovette prendere l’oro e

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 62

l’argento che si trovava nel tempio e nella casa reale e mandarli al re as-

siro, ma soprattutto dovette accettare gli idoli assiri nel tempio di Gerusa-

lemme dove si celebrarono i culti assiri. Nel secondo libro dei re trovia-

mo anche un’altra indicazione forse riferita in maniera un po’ confusa: si

dice che Achaz non fece quello che è retto agli occhi del Signore, fece

persino passare per il fuoco il suo figlio, evidentemente non si tratta

dell’Emmanuele. Qui abbiamo un’indicazione dei culti assiri, i sacrifici

dei bambini che venivano uccisi, sacrificati alla divinità è poi bruciati.

L’archeologia ha messo in evidenza un luogo di quest’epoca con dei ca-

naletti dove evidentemente doveva scorrere il sangue dei bambini.

L’epilogo di tutta la vicenda perciò fu questa: Achaz si ritrovò sul suo

trono ma fortemente sottomesso alla Assiria e ciò per non avere avuto fi-

ducia nel Signore.

Questa vicenda provocò grande amarezza nel profeta, il profeta

era stato chiaro, nel capitolo 7 troviamo nel verso 20 un annunzio: “in

quel giorno il Signore raderà con rasoio preso in prestito oltre il fiume,

il capo e il pelo del corpo” il profeta descrive con l’immagine del rasoio

l’Assiria che raderà, cioè devasterà e sottometterà. Il profeta esprime la

sua amarezza in un oracolo contenuto nei versi 4-10 del capitolo 8: “poi-

ché questo popolo ha rigettato le acque di Siloe che scorrono placide e

trema (Achaz) per Reezin e per il figlio di Romelia, per questo il Signore

gonfierà contro di loro le acque del fiume (Eufrate) impetuose ed abbon-

danti, irromperà in tutti i sui canali e strariperà in tutte le sue sponde.

Penetrerà in Giuda, lo inonderà, fino a raggiungere il collo. Le sue ali

distese copriranno tutte le estensioni del tuo paese. Seppiatelo popoli,

preparate un piano, sarà senza effetti, perché Dio è con noi”. Ma il pro-

feta ha parlato in nome di una prospettiva fondamentale quella cioè della

sua fede nel Santo di Israele e ammonisce nei passi 12-15: “non chiamate

congiura ciò che questo popolo ha chiamato congiura, non temete ciò

che i popoli temono, il Signore degli eserciti, Egli solo è Santo e da te-

mere, sarà laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme”. Ancora

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 63

una volta il profeta richiama la sua prospettiva nel Santo di Israele.

Il profeta da questa situazione esce amareggiato e deluso, non è

stato creduto e il popolo ha pagato. Adesso Achaz è sotto l’Assiria e la

sua situazione è molto grave, morirà giovanissimo, meno che trentenne,

da lì a cinque anni dopo, ma il profeta vuole lasciare un memoriale di

questo periodo. Il Signore stesso gli comanda di scrivere questo memo-

riale, nel verso 14 del capitolo 8 si legge: “si chiuda questa testimonian-

za, si sigilli questa rivelazione nel cuore dei discepoli”. Questo memoria-

le che il profeta deve scrivere probabilmente lo possediamo e deve essere

individuato nei capitolo 6,7,8 e tutti e tre costituiscono il memoriale dopo

della guerra siro-efraimita.

Mercoledì 03 novembre 2004, ore 10,30 / 12,15

I capitoli 6-8 sembrano essere quel memoriale che il profeta stes-

so redasse nel 732 dopo la guerra siro-efraimita. Questo memoriale ha tre

parti:

1. capitolo 6: la vocazione; 2. capitolo 7: gli oracoli che il profeta ha pronunziato prima degli eventi; 3. capitolo 8: gli oracoli pronunziati dal profeta dopo quegli eventi.

Il capitolo 6 narra la vocazione del profeta e come capita a tutti i

profeti essi non scrissero mai la loro vocazione subito dopo averla ricevu-

ta, nel caso specifico Isaia la scrisse sette anni dopo come presa di co-

scienza personale, ma anche come denunzia al popolo. Da

quell’esperienza tragica della guerra siro-efraimita il profeta, e questa sa-

rà la croce di Isaia, uscì deluso diremmo frustrato, non riuscì a portare al

Signore il suo popolo. La vocazione di Isaia è complessa e così come

l’abbiamo nel testo non dovette uscire dalle mani del profeta. Questa vo-

cazione subì nei secoli delle aggiunte man mano che i lettori leggevano e

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 64

annotavano in margine le loro osservazioni. Notiamo di questo testo due

sole cose.

Anzitutto il profeta ambienta la sua vocazione nel tempio, egli di-

chiara di avere visto il Signore su un trono alto ed elevato e attorno vi

stavano dei serafini. È chiaro che si ripiglia la descrizione dell’arca nel

tempio. Sappiamo che l’arca era sormontata da due cherubini, l’uno di

fronte all’altro. Tutto questo costitutiva il trono di Dio. Si capisce allora

il Salmo 79: “tu pastore di Israele ascolta, tu che siedi sui cherubini a-

scolta…”. Ma quello che sorprende in questa descrizione è il canto dei

serafini (che noi riprendiamo nella liturgia) che direbbero: “Santo, Santo,

Santo…”. Questa espressione pone due problemi. Un primo problema è

storico, un secondo problema è letterario.

Il problema storico è se questa frase che è di Isaia sia stata pro-

nunziata ora o trent’anni dopo, quando il profeta amareggiato uscì dalla

storia ma cantando al Signore delle schiere e l’espressione sembra essere

meglio una professione di fede che il profeta pronunziò in polemica con-

tro la bestemmia del re assiro che osò ridurre il Signore ad un qualsiasi

dio dei popoli. Contro la bestemmia il profeta professa tutta la santità del

Signore. Siamo perciò inclini a ritenere questa frase pronunziata

trent’anni dopo ma inserita qui da un redattore.

Il secondo problema è letterario, nel testo attuale noi abbiamo un

triplice Santo, tradotto allo stesso modo dalla versione greca e da quella

aramaica.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 65

Ma ci chiediamo: il profeta scrisse realmente così o forse non ab-

biamo una frase gonfiata? Se togliamo due Santo e ne lasciamo uno solo,

otteniamo un distico poetico o meglio un solo verso in due parti con ri-

spettivamente due e tre accenti.

��!���� ��-�� �������� .�"����+�&��������/� �!�� ��

Questa espressione significherebbe alla lettera: “Santo (è) il Si-

gnore delle schiere (professione di fede)”36. Il termine «��-��» è infinito

assoluto del verbo ����� (�����). Il re assiro si vantava di avere assogget-

tato tutta la terra, no risponde il profeta, è la gloria del Signore che riem-

pie tutta la terra. In questa forma l’aggettivo Santo assume un’enfasi par-

ticolare ed è più forte l’unico Santo che non il pesante triplice Santo (uno

solo vi dà la professione di fede). Come si spiega il triplice Santo? Un

copista lesse l’unico Santo e gli sembrò debole e in margine del suo testo

volle scrivere il superlativo (che in ebraico si fa anche ripetendo lo stesso

aggettivo). Il copista seguente avrebbe introdotto gli altri due Santo nel

testo, così diventano tre, ma formano un verso molto pesante.

Un altro problema del testo (che non svilupperemo) della voca-

zione, un problema letterario, è più complesso.

Il profeta riceve da Dio un comando molto strano: “rendi insensi-

bile il cuore di questo popolo, fallo duro di orecchio e acceca i suoi oc-

chi, perché non veda con gli occhi ne oda con gli orecchi”.

36 Isaia 6,3.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 66

Questo problema diventa ancora più grave nel NT, cioè nella ri-

presa di Isaia da parte dei Vangeli (ripreso in Gv 12):

“Ascoltate pure ma senza comprendere

guardate pure ma senza conoscere

rendi insensibile il cuore di questo popolo

hanno indurito i loro orecchi

hanno reso ciechi i loro occhi

per non vedere con gli occhi

e non udire con gli orecchi

e non comprenda con il cuore

ne si converta e io lo risani”37.

Un redattore aggiunse le frasi riguardanti il cuore, l’espressione

“il cuore di questo popolo” è necessariamente complemento oggetto, di

conseguenza il verbo deve essere necessariamente imperativo. Questo

imperativo si trascina nel senso tutti gli altri dando così l’idea che il pro-

feta abbia ricevuto simile comando. Checché ne sia nei Vangeli, Isaia

non ha ricevuto nessun comando, ma sta facendo una fortissima denunzia

perché il popolo non ha ascoltato la sua Parola. Purtroppo questo Dio

glielo aveva detto sette anni prima, purtroppo questo popolo ha chiuso

orecchi e occhi e non vede e non sente.

Gli oracoli nel capitolo 7 li abbiamo visti ma ora diamo una oc-

chiata agli oracoli di dopo che esprimono tutta la fede e l’amarezza del

profeta. Abbiamo notato come il profeta chiude questo periodo annun-

ziando le tragiche conseguenze per avere Achaz confidato nella Assiria,

ma chiude anche con una forte ammonizione a ritenere soltanto il Signore

come Santo.

37 Ricostruzione del testo come doveva essere originariamente secondo il Professore.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 67

Il profeta esce per il momento di scena e probabilmente ha taciuto

per circa cinque anni, ma poi nel 727 deve rompere il suo silenzio. In

questi cinque anni di silenzio la storia andò avanti, il re assiro chiamato

da Achaz venne e Achaz dovette pagare un pesante tributo. Abbiamo an-

che notato che dovette accettare i culti assiri facendo passare per il fuoco

anche il suo figlio, ma intanto la profezia di Isaia si avverava. All’epoca

della guerra siro-efraimita aveva chiamato i due re “tizzoni fumanti” e lo

furono veramente. Nel 732 il primo tizzone fumante fu Damasco distrutta

e incendiata, il secondo tizzone fumante sarà dieci anni dopo Samaria.

Si apre così il terzo periodo di Isaia, nel 727 si verificano due

morti, quella del re assiro (Tiglat Pileser III) e sale al trono il figlio Sal-

manassar V, ma anche muore meno che trentenne Achaz e sale al trono

all’età di cinque anni quello che Isaia aveva salutato come l’Emmanuele,

cioè Ezechia. Evidentemente fino alla maggiore età Ezechia regnò attra-

verso un reggente che dovette essere una persona prudente, per questo I-

saia in questo periodo, sotto Ezechia minorenne, non pronunziò grandi

oracoli. Ne pronunziò però alcuni non contro Giuda, ma contro i popoli

vicini, questi approfittando dell’inesperienza del giovane re assiro tenta-

rono una ribellione, in particolare la Filistea tentò una ribellione, ma il

profeta la ammonì severamente. A riguardo nel capitolo 14 nei versi 28-

31 abbiamo un oracolo contro la Filistea. Questi versetti vanno ricostruiti

nel seguente modo: versi 29.30b.31.32.30a. Il profeta ammonisce: “non

gioire Filistea tutta perché si è spezzata la verga che ti percuoteva per-

chè dalla radice di una serpe uscirà una vipera”. Ma probabilmente i fi-

listei mandarono al reggente di Ezechia una ambasceria per stimolarlo al-

la ribellione. È bella la risposta di Isaia perché rivela ancora una volta

tutta la sua dimensione religiosa. Nel verso 32 il profeta dice: “che cosa

bisogna rispondere ai messaggeri delle nazioni?: il Signore ha fondato

Sion e in essa si rifugiano gli oppressi del mio popolo”. Gli ambasciatori

punitamente devono essere licenziati. Questa risposta mostra che la gran-

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 68

de prospettiva del profeta è quella della fiducia nel Signore. Nella fiducia

del Signore si avrà tranquillità e benessere (30a): “i poveri pascoleranno

nei miei prati e i miseri vi riposeranno tranquilli”, quindi non c’è biso-

gno di ribellarsi.

Una seconda ribellione venne da Samaria, nel 724 Samaria si ri-

bellò al re assiro e non pagò il tributo. Il re assiro venne nel 722, Salma-

nassar V assediò Samaria e nel 720 la espugnò e la incendiò. Ma Samaria

benché staccata da Giuda appartiene tuttavia al popolo del Signore e il

profeta annunzia anche per Samaria la sua caduta. In 28,1 scrive: “guai

alla corona superba degli ubriachi di Efraim”, corona superba perché

costruita su una collina come una corona, ma superba perché non si fonda

sul Signore. E il profeta annunzia: “dai piedi verrà calpestata la corona

degli ubriachi di Efraim” caduta il 720.

Fin qua, come dicevamo, è rimasto tranquillo sotto la guida pru-

dente del reggente. I guai incominciano quando Ezechia diventò maggio-

renne e cominciò a regnare a titolo proprio. Da diciottenne Ezechia prima

fu creduto il pivellino facilmente manovrabile poi si montò la testa e fece

quello che lo portò alla rovina.

Come pivellino due colossi cercarono di manovrarlo contro

l’Assiria, cioè Babilonia ed Egitto. Qui la storia ci aiuta, il capitolo 20 ci

riferisce di una sua malattia anche grave (non sappiamo quale fosse), il

profeta lo esortò a dare disposizioni perché sarebbe morto ma Ezechia

lanciò una preghiera drammatica a Dio e il Signore gli fece sapere che

non sarebbe morto. Questo e ciò che leggiamo nel capitolo 20 nel secon-

do libro dei re, ma tutto questo è riportato anche nei capitoli 38-39 del li-

bro di Isaia, che ci danno un carme che costituisce la preghiera di Eze-

chia: “io dicevo a metà della mia vita, me ne vado alle porte degli inferi,

sono privato del resto dei miei anni”.

Ezechia difatti guarì e allora narrano sia il secondo libro dei re

capitolo 20, sia il capitolo 39 di Isaia, che vennero legati ambasciatori da

Babilonia a congratularsi con lui, ma non fu una visita di cortesia. Ven-

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nero a stimolare Ezechia a ribellarsi alla Assiria, il giovincello Ezechia

ne rimase lusingato di essere attenzionato da un colosso come Babilonia.

Narrano i due testi sopraccitati che Ezechia mostrò il suo arsenale e le

sue ricchezze. Tutto ciò non sfuggì ad Isaia che fece sputare ad Ezechia il

vero motivo di quella visita e il profeta deve amaramente annunziare (I-

saia 39,6): “tutto ciò che hanno accumulato i tuoi antenati sarà portato a

Babilonia e non resterà nulla”, il profeta annunzia che Ezechia perderà

tutta la ricchezza che sta ostentando agli inviati di Babilonia.

Ma un altro colosso pensò di strumentalizzare il giovanetto Eze-

chia: il faraone. Il profeta vede con trepidazione gli inviati dall’Egitto e

pronunzia guai (18,1-6): “guai paese dagli insetti ronzanti (Egitto), che ti

trovi oltre il fiume di Etiopia”. Il profeta ha stima degli egiziani li chiama

messaggeri veloci, un popolo alto e abbronzato, un popolo potente e vit-

torioso, però tutto questo è visto con trepidazione. Il profeta sente quasi

uno squillo di tromba, tutto questo non sfugge al Signore: “Io osservo

tranquillo dalla mia dimora come il calore sereno alla luce del sole” ma

il profeta contro l’Egitto dovrà fare un triste annunzio perché contrario al

disegno di Dio (18,6): “saranno abbandonati tutti insieme agli avvoltoi e

alle bestie selvatiche”. Probabilmente è in questo periodo che il profeta

per ordine di Dio deve compiere l’azione simbolica spiegata nel capitolo

20: il Signore comanda al profeta di togliere il sacco dai fianchi e i san-

dali dai piedi. Narra il testo che Isaia andò spoglio e scalzo. Ma Dio stes-

so pone una domanda: “come mai il mio servo Isaia è andato spoglio e

scalzo per tre anni?”. Dio stesso spiega che in quel modo il profeta sta

annunziando che anche l’Egitto sarà sottomesso all’Assiria e sarà spo-

gliato, cosa che avvenne sotto il regno di Assurpanipal.

Ma Ezechia non si limitò a ricevere le pressioni di Babilonia e di

Egitto, ma si mise in testa di prendere lui l’iniziativa per fare delle ribel-

lioni. E qui entrò in aperto contrasto con Isaia. L’occasione Ezechia

l’ebbe quando nel 705 muore Sargon II e sale al trono Sennacheriv.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 70

Qui troviamo una serie di oracoli violenti che ci limitiamo però

solo a indicare, sono sei dello stesso periodo ma probabilmente indipen-

denti:

� Isaia 28,7-13; � Isaia 28,14-22; � Isaia 28,23-29;

� Isaia 29,1-5; � Isaia 29,9-14; � Isaia 29,15-16.

Martedì 09 novembre 2004, ore 08,30 / 10,15

Pure importanti sono gli oracoli contenuti nel capitolo 30 e in par-

te nel capitolo 31. Questi oracoli, il profeta li pronunziò quando la ribel-

lione di Ezechia da tacita diventò manifesta. Ezechia preparò tutto per la

ribellione e il profeta vedeva con trepidazione tutto questo. Ezechia era

fiducioso nella sua forza militare e nell’aiuto che gli proveniva (o almeno

sperava che gli provenisse) dall’Egitto. Ma il profeta vede tutto ciò con

molta tribolazione perché la ribellione che si stava preparando non corri-

spondeva al disegno di Dio, e quello che non corrisponde al Suo disegno

è destinato a fallire. Forse bisogna salvare la buona fede di Ezechia, i li-

bri dei re parlando dei re sia del nord come del sud, danno valutazioni

differenziate. Per i libri dei re, redatti nel regno del sud, e quindi con la

mentalità del regno del sud, sono tutti peccatori e il loro peccato è dupli-

ce, hanno perpetuato il peccato di Geroboamo, restando separati da Giu-

da e dal regno davidico, contrariamente a quanto il Signore aveva stabili-

to. I re del sud invece si dividono in tre categorie, quelli empi che positi-

vamente furono idolatri, altri personalmente buoni ma che non ebbero la

forza di opporsi all’idolatria, i re buoni secondo il cuore di Dio furono

due (secondo il libro dei re): Ezechia e circa ottanta anni dopo Giosia

(640/609). Infatti su Ezechia il secondo libro dei re dà un giudizio positi-

vo, in 2Re18,6 si legge che Ezechia fu attaccato al Signore, non se ne al-

lontanò e osservò i suoi decreti. Alla ribellione Ezechia fu mosso da un

desiderio religioso: liberare Gerusalemme e il tempio dagli idoli che il

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padre Acaz aveva introdotto nel tempio all’epoca della guerra siro-

efraimita. L’intenzione di Ezechia era buona ma il profeta Isaia si sforzò

di fargli sapere che la strada della ribellione alla Assiria era contraria al

disegno di Dio e perciò tutto si sarebbe rivolto a suo sfavore. Ezechia non

ascoltò Isaia e fece quanto aveva progettato. Leggiamo in 2Re18,7:”egli

si ribellò alla Assiria e non gli fu più sottomesso”, qui ha inizio una storia

che vedrà il profeta in primo piano.

La risposta della Assiria alla ribellione non si fece attendere. Per

la storia di questo periodo ci riferiamo ai capitoli 18 e 19 del secondo li-

bro dei re, ci riferiamo ai capitoli 36 e 37 di Isaia dove è narrata analoga

storia forse in maniera più dettagliata rispetto al secondo libro dei re. La

terza fonte sono gli annali assiri. Nel 705 in una imboscata era morto il re

assiro Sargon II, ed era salito al trono il figlio Sennacheriv, siamo più o

meno tra il 701 e il 700. Sennacheriv in seguito alla ribellione di Ezechia

venne nel territorio di Giuda, leggiamo in Isaia 36,1: “nell’anno quattor-

dicesimo del re Ezechia, Sennacheriv re di Assiria assalì e si impadronì

di tutte le fortezze di Giuda (cioè devastò il territorio del regno del sud)”,

restava Gerusalemme che lui cinse di assedio, l’assedio dovette essere

duro ma Sennacheriv non andò subito alla distruzione di Gerusalemme.

Fece un ultimo tentativo per risparmiare la città, e il tentativo fu quello di

incitare alla resa. Il re assiro mandò una ambasceria agli assediati di Ge-

rusalemme incitando alla resa, dalle mura i capi giudei chiesero ai legati

di parlare in lingua aramaica (Cfr. Isaia 36,11), ma gli inviati preferirono

parlare in ebraico proprio perché il popolo capisse. Gli inviati offrono la

resa fondandosi su quattro motivi, leggiamo in Isaia 36,4 le parole: “così

dice il grande re, il re di Assiria” e qui si dicono i quattro motivi che

renderebbero ragionevole la resa di Ezechia. Il primo motivo è che loro

non possono resistere al re assiro; il secondo motivo è che loro non pos-

sono confidare sull’aiuto dell’Egitto nel quale Ezechia aveva sperato,

leggiamo infatti in Isaia 36,6 le seguenti parole: “ecco tu confidi

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 72

nell’Egitto, in questo sostegno di canna spezzata, che penetra la mano e

la fora a chi vi si appoggia (tale è il faraone per chiunque confida in

lui)”, l’immagine con cui i legati assiri definiscono il faraone è molto

pertinente, la canna spezzata non solo non serve a nulla ma chi prende in

mano quella canna si taglia. Anche questa motivazione storicamente è

valida, ma prima del re assiro l’aveva detta Isaia quando aveva definito il

faraone “Rachav l’ozioso” e aveva detto che la fiducia nell’Egitto sareb-

be stata motivo di vergogna. Il terzo motivo della resa è la prospettiva di

un benessere, leggiamo infatti in Isaia 36,16: “(dice il re di assiria) fate la

pace con me e arrendetevi e allora ognuno potrà mangiare i frutti della

propria vigna e del proprio fico e potrà bere l’acqua della sua cisterna”.

Questi tre motivi per i quali chiede la resa sono del tutto condivi-

sibili da parte di Isaia, il quale sosteneva che la resa rientrava nel proget-

to di Dio. Dio infatti aveva mandato l’Assiria non per distruggere il suo

popolo, ma per punirlo e purificarlo, ma ciò sarebbe finito. Nel frattempo

bisognava accettare la punizione senza ribellarsi e con grande fiducia in

Dio, Isaia del resto aveva paventato (temuto) questo momento fin dal

primo periodo del suo ministero quando aveva denunziato i crimini del

popolo. Ma l’Assiria adesso avanza un quarto motivo per la resa, di fron-

te al quale il profeta prende radicalmente le sue distanze dalla Assiria. Il

quarto motivo è che non bisogna confidare nemmeno nel Signore, perché

il re assiro è più potente del Signore. Nelle guerre antiche si credeva che

combattendo i popoli combattevano le rispettive divinità e vinceva la di-

vinità più potente. Il re assiro vanta che le sue divinità sono più potenti

delle divinità degli altri popoli e come ha sottomesso le divinità di altri

popoli, così sottometterà Jahwè, oscuro Dio di un popolo minuscolo. In

altre parole il re assiro ha bestemmiato mettendosi al di sopra del Santo

di Israele e riducendo il Signore a un semplice dio comune. Ma qui il

profeta cambia opinione sulla Assiria e contro di essa pronunzia un

“guai”, ci restano a riguardo due carmi, il primo carme è nel capitolo 10

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 73

nei versi 5-15, il secondo carme è invece dal verso 22 in poi del capitolo

37 di Isaia.

Mentre Isaia scriveva ciò, il popolo dentro le mura fu fortissima-

mente impressionato, e finalmente Ezechia quando già gli assiri stavano

per espugnare la città e avessero anche cominciato a scavare dei cunicoli

sotto le mura per potere penetrare nella città per distruggerla. Ezechia fi-

nalmente l’unica cosa sensata che avrebbe potuto fare, si mise cioè in

preghiera, si recò al tempio e lì pregò il Signore Dio. Il secondo libro dei

re e Isaia 37 ci danno un sunto della preghiera di Ezechia, ma forse que-

sta preghiera dovette essere più intensa e forse conserviamo questa pre-

ghiera. La preghiera suona così: “Tu pastore di Israele ascolta, Tu che

guidi Giuseppe come un gregge, assiso sui cherubini rifulgi, davanti ad

Efraim, Beniamino e Manasse”, capiamo che si tratta del Salmo 79(80).

Mercoledì 10 novembre 2004, ore 10,30 / 12,15

Altri studiosi individuano questa preghiera nel Salmo 43. La pre-

ghiera di Ezechia fu esaudita mentre gli Assiri erano già sul punto di e-

spugnare la città improvvisamente Sennacheriv tolse l’assedio e tornò in

Babilonia. Per qual motivo? Il capitolo 37 di Isaia propone come motiva-

zione un fatto originario: l’angelo del Signore di notte devastò

l’accampamento assiro. Ci chiediamo se questo non possa essere un mo-

do iperbolico per descrivere una moria a causa di una epidemia, o forse il

vero motivo è che a Sennacheriv giunsero notizie di rivolte in Babilonia.

Allora decise di lasciare l’assedio, tanto più che lasciava Gerusalemme

abbastanza debilitata impose un pesante tributo. Gerusalemme continuò

ad essere un regno ma del tutto sottomesso alla Assiria. In tutto ciò si ve-

rifica quello che il profeta trenta anni prima, all’epoca della guerra siro-

efraimita aveva detto, all’emmanuele aveva preannunziato, ancora nel

grembo materno la devastazione da parte di quella assiria che il padre

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 74

Acaz aveva chiamato contro i due re. Partito il re assiro il popolo esultò e

quello fu un momento di massima amarezza per il profeta. Il popolo si

diede alla pazza gioia, salì sulle case, sulle terrazze e il profeta vede tutto

ciò e quello per lui è un momento di pianto. Questo pianto del profeta ci

è riferito nei versi 1-4 del capitolo 22, e il profeta osserva: “che hai tu

dunque che sei salita tutta sulle terrazze, città rumorosa e tumultuante,

città gaudente”. Secondo il profeta quello non è il momento di gioire, ca-

somai il momento di ringraziare il Signore, cosa che il popolo non fece e

il profeta continua: “i tuoi caduti non sono forse caduti di spada e non

sono forse caduti in battaglia? Tutti i tuoi capi non sono forse fuggiti,

fatti prigionieri senza un tiro di arco?”. Il profeta rimprovera il popolo di

non avere veduto i suoi caduti, di non avere visto la sua disfatta, e osser-

va tacitamente che quello non è il momento della pazza gioia. Questa vi-

sta provoca nel profeta un senso di profonda amarezza ed esclama: “per

questo vi dico stornate da me lo sguardo, voglio piangere amaramente”,

non che il profeta non sia stato contento che gli assiri non abbiano di-

strutto la città, ma l’amarezza consiste nel fatto di constatare che ancora

una volta il popolo non ha capito niente della azione del Signore. E que-

sta amarezza il profeta la descrive in un testo che, non sappiamo perché,

un redattore ha messo all’inizio del libro nel capitolo primo, ma appartie-

ne probabilmente a quest’ultimo periodo. Il Signore si lamenta (Isaia

1,2): “Ho allevato e fatto crescere dei figli, ma essi si sono ribellati con-

tro di me”. In ciò il popolo si è rivelato meno delle bestie (Isaia 1,3): “il

bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele

non conosce, e il mio popolo non comprende”, questa è l’amarezza del

profeta. Il profeta rivolge un rimprovero e dichiara la vera colpa del po-

polo (Isaia 1,4b): “hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il

Santo di Israele, si sono voltati indietro” eppure Dio ha fatto di tutto per

richiamarlo, ha usato anche l’assiria come strumento di punizione, ma

tutto è stato inutile.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 75

Il profeta utilizza perfino l’immagini di un flagellato, nel verso 5

si legge: “perché volete ancora essere colpiti accumulando ribellioni?”.

Poi continua con quella immagine: “la testa è tutta malata, tutto il cuore

langue, dalla pianta dei piedi alla testa non c’è in esso una parte illesa,

ma ferite e lividure”, quasi a dire che tutto il corpo è stato colpito, che

non c’è una parte che non sia stata colpita e che non c’è più dove colpire.

Nel verso 7 il profeta applica: “il vostro paese è devastato, le vostre città

sono arse dal fuoco”. Nei versi 10-20 del capitolo primo il profeta ri-

chiama alla giustizia, scrive il profeta: “che mi importa dei vostri sacrifi-

ci senza numero, sono sazio degli olocausti di montoni, smettetela di pre-

sentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me” poi il profeta ag-

giunge: “imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete

l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”,

tuttavia non è chiaro se questa esortazione così pressante del capitolo

primo, in cui Dio dichiara che non gli interessa niente il culto quando si

trascura la giustizia, se questa pressante esortazione debba collocarsi

nell’ultimo periodo di Isaia o non piuttosto nel primo periodo come la

parabola della vigna e come il testo di Isaia 10,1-4 che continua poi nel

capitolo quinto.

EPILOGO

Siamo già arrivati al momento dell’epilogo, è il momento in cui

escono di scena non solo il re assiro, ma anche Isaia e anche Ezechia. E-

zechia l’emmanuele morì da lì a pochissimo tempo, a trentadue anni cir-

ca, stroncato dagli avvenimenti che lui stesso aveva provocato. Gli suc-

cesse il figlio dodicenne Manasse che regnò 50 anni perché godette la

pace assira e la godette perché fu ligio alla Assiria accettandone anche

culti e divenendo apertamente idolatra.

Il fatto che Isaia sia morto fatto segare in due da Manasse è una

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leggenda di molto posteriore, si trova nel libro apocrifo “il martirio di I-

saia” che non va oltre il primo secolo a.C.

Isaia esce di scena deluso perché in 40 anni di ministero profetico

non riuscì a riportare il popolo al Signore. Il pianto del capitolo 22 e

l’immagine del flagellato nel capitolo primo, servono bene a mostrare

l’amarezza del profeta. Ma il profeta che esce dalla scena deluso esce pu-

re con tanta gioia nel cuore e la sua gioia deriva dal fatto di avere creduto

nel Santo di Israele, è il canto di Isaia con cui chiude il suo ministero pro-

fetico e quello che abbiamo già detto: “Santo è il Signore delle schiere,

riempie la terra la sua gloria”. Ma il Santo di Israele apprezzò l’opera di

Isaia e lo ricompensò squarciandogli il futuro e mostrandogli dove và a

finire il suo disegno. Nel futuro non c’è distruzione anche se nulla al

momento presente poteva dare speranza di ripresa. Ed ecco allora qual è

il futuro del Santo di Israele, un futuro che a questo momento ha quasi 29

secoli da Isaia solo in parte si è realizzato, questo futuro è descritto in tre

oracoli che all’origine dovevano costituire una trilogia unitaria, ma che

poi un redattore avrebbe smembrato e avrebbe dislocato in diversi punti.

Questi oracoli sono nell’ordine tematico:

1. Isaia 9,1-5;

2. Isaia 11,1-11;

3. Isaia 2,2-4.

Noi adesso analizzeremo solamente il testo del primo oracolo di

Isaia 9,1-5.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 77

Isaia 9,1-5 Testo ebraico Forma grammaticale Traduzione letterale

Versetto 1

%���� sostantivo singolare con articolo il popolo

%�&��������participio presente plurale con articolo dal

verbo 0��� (camminare) di quelli che cammi-

nano

0�"��� sostantivo singolare con la particella �� e l’articolo

nella tenebra

���� perfetto qal 3° plurale, dal verbo ����� (vedere); perfetto profetico con valore di futuro

vedranno

��� sostantivo singolare una luce

��!1� aggettivo grande

������ participio presente plurale costrutto dal

verbo ���� (sedere, dimorare); nominati-vus pendens

i dimoranti

.�"�"���� sostantivo con la particella ���di stato in luogo

in terra

��,����/�sostantivo composto: ombra (�/) di mor-te (��,��) = terra di ombra di morte

oscurissima

��� sostantivo una luce

234���� perfetto qal 3° singolare da 23�� brillò

%�"����'�� particella �� (sopra) con un suffisso di 3° persona maschile

sopra di essi

Versetto 2

��������� perfetto hiphil 2° singolare dal verbo

����� (essere numeroso) hai reso numeroso

��1�� sostantivo singolare con articolo il popolo

��-� particella negativa non

(���53���� perfetto hiphil 2° singolare dal verbo �!1� (essere grande)

hai reso grande

�����6��� sostantivo singolare femminile con artico-lo

la gioia

N.B. La frase suona strana e contraria al contesto. Il Qerè, con 20 Mss, la versione siria-na e il targum leggono (����1�): «il popolo, a lui hai reso grande…». Forse però è meglio spiegare per corruzione testuale. L’espressione ����1� potrebbe essere ricon-dotta al termine ����1� (letizia). Tradurremo allora: «hai moltiplicato la gioia, hai reso grande la letizia».

����7�� perfetto qal 3° persona plurale da ��7� gioiscono

8��,9���� ���+ il termine %��):� [faccia] + suffisso 2° persona singolare

al tuo cospetto

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 78

����7� ��sostantivo femminile costrutto con la

comparativa � come la gioia

��/�;��� sostantivo + lo stato in luogo �� e l’articolo

nella messe

��"�' � comparativa ( ��+ articolo + ��"�') così come

���3)��� perfetto qal 3° plurale da ��1) esultano

%��<����� infinito costrutto piel da �����con ���di stato in luogo ed il suffisso di 3° plurale

nel loro dividersi

����� sostantivo maschile singolare la preda

Versetto 3

� �� particella causale poiché

���+��"� sostantivo maschile singolare con segno di accusativo

il giogo

���=>?� sostantivo (��">�) con suffisso di 3° sin-golare

del suo peso

(����� congiunzione con segno di accusativo e

�@���sostantivo

(si propone di leggere �*��: la sbarra) il bastone (la sbarra)

��&���� sostantivo con suffisso della sua spada

*�"��� sostantivo scettro

73$#�� participio con articolo da 734�� di colui che opprime

��� particella ���che introduce oggetto e suf-fisso

a lui

��(�����perfetto hiphil 2° persona singolare

(radice ���) hai spezzato

%�� �� sostantivo con particella comparativa � come nel giorno

��!���� nome proprio di luogo di Madian

Versetto 4

� �� particella causale poiché

+�&�� aggettivo ogni

��>�� sostantivo calzare

��>�� participio presente calzante

������ sostantivo con la particella �� in strepito

�����7���� sostantivo e vestito

������3��� participio poal da ���1� (avvolgere) intriso

%���!����sostantivo plurale

con la particella ���di mezzo in sangui

���������� perfetto qal 3° singolare femminile da sarà

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 79

������con valore di futuro �9���7���� sostantivo con ���finale in incendio

��"&��'�� sostantivo singolare costrutto (���&���) cibo

A��� sostantivo di fuoco

Versetto 5

+� �� particella causale poiché

!�"�,� sostantivo singolare un fanciullo

+!<�B� Perfetto profetico pu’al 3° sing. da !<���(generare) “fu generato”

sarà generato

����� Particella <��di vantaggio con suffisso di prima persona plurale

per noi

��� Sostantivo un figlio

+ (�)� Perfetto niphal profetico da (���(dare) 3° sing. Maschile

fu dato

����� Particella <��di vantaggio con suffisso di prima persona plurale

per noi

���(��4� imperfetto qal da ���� (essere) 3° pers. femminile

e sarà

���7����� sostantivo con articolo il dominio

+��� particella sopra

��&���� Sostantivo segolato con suffisso di 3° sing. maschile

la sua spalla

�����C)�4�imperfetto qal inverso da ������(chiama-re)

Si propone di leggere ������)�4�(niphal) sarà chiamato

e chiamerà

����� Sostantivo con suffisso maschile il suo nome

��":"� sostantivo una cosa mirabile

.����� Sostantivo o participio da .�4���(colui che discerne oppure consigliere?)

colui che discerne

oppure consigliere?

<��� Sostantivo Dio

���1)� Aggettivo forte

+����'� Sostantivo padre

!�� Sostantivo di eternità

+�7� Sostantivo costrutto principe

%����� Sostantivo di pace

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 80

I primi due versi poetici segnano il passaggio dalla tenebra alla

luce, ma notiamo i due verbi “videro” e “splendette” nel testo ebraico so-

no due forme al perfetto, ma non sono verbi al passato: si tratta di un per-

fetto cosiddetto profetico, il profeta vede come già accaduto quello che

invece ancora appartiene al futuro. Traducendo perciò in maniera più lar-

ga dovremmo dire: “il popolo dei camminanti nella tenebra vedrà una

grande luce; i sedenti in terra di ombra di morte una luce spunterà su di

essi”.

Con l’immagine (che poi sarà ripresa da Giovanni nel NT) di luce

e tenebra il profeta descrive la situazione del popolo. Attualmente il po-

polo “cammina” nella tenebra. Il verbo camminare equivale qui (!���) a

vivere, però notiamo l’indole dinamica di questo verbo camminare che

contrasta con il verbo seguente “sedenti” che è un verbo statico: chi vive

nella tenebra è come se avesse un esperienza di morte perché il buio pa-

ralizza. I due verbi, camminare e sedere, esprimono la totalità della vita

umana, quasi a dire che il popolo a questo momento è totalmente avvolto

nella tenebra. Questa tenebra è fitta, è ombra di morte, ma questa situa-

zione che coincide con l’oppressione assira, che il popolo al momento

sperimenta, e da essa è totalmente dominato, non deve durare a lungo:

nel futuro di Dio c’è una grande luce. Vedranno questa luce perché spun-

terà una luce, la luce in questo contesto esprime liberazione: Dio rivela al

profeta che la tenebra della sottomissione alla Assiria non durerà a lungo

(o meglio non durerà per sempre).

Giovedì 11 novembre 2004, ore 08,30 / 10,15

Nel verso due si sta passando dal tema del superamento della te-

nebra mediante l’avvento della luce al tema della gioia. La gioia che è

conseguenza della presenza della luce.

Le due frasi sono praticamente sinonime però la loro ripetizione

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 81

dà l’idea di una gioia intensissima. Il soggetto dei due verbi al plurale è

Dio, autore della gioia e autore per il passaggio dalla tenebra alla luce. La

gioia che dà il Signore è veramente gioia del tutto contraria a quella gioia

pazza del capitolo 22. Nel verso seguente il profeta descrive gli effetti

della gioia del popolo. Il profeta descrive questa gioia nei suoi effetti, il

popolo gioisce, ma è importante l’espressione “davanti a Te”. È una e-

spressione densissima che assume anche il carattere di un ringraziamen-

to, ma ha anche il carattere di una festa. Le feste ebraiche erano tre:

1. I tabernacoli;

2. Le settimane;

3. Gli azzimi.

La Pasqua, o il Pesach, era una antichissima festa di nomadi pa-

stori, che in primavera, prima di mettersi al viaggio alla ricerca di nuovi

pascoli, celebravano questa festa che era anche una festa di scongiuro per

scongiurare i mali nel cammino, ma anche festa di unità cioè si esprime-

va la speranza di ritrovarsi tutti uniti. La Pasqua è festa pastorizia, è per-

ciò è la festa propria dei pastori nomadi e fu celebrata per tutto il tempo

che Israele fu nomade, quando poi, dopo la conquista da nomade divenne

sedentario e adottò la forma di vita dei sedentari, il lavoro della terra (a-

gricoltura), adottò la festa agricola autunnale dei cananei, la festa cioè au-

tunnale delle capanne. Salomone poi smembrò questa festa in altre due:

la festa primaverile che celebrava il raccolto dell’orzo chiamata degli az-

zimo chiamata così perché coincideva con il “Rosch Ascianà” (Capodan-

no). Il lievito è simbolo di vecchiume, la mancanza di lievito esprime ini-

zio di vita nuova. La seconda festa smembrata è quella delle settimane, si

prescrive che bisogna contare una settimana di settimane (cioè sette set-

timane) e celebrare un'altra festa al Signore (donde l’espressione “pente-

costè emra”), la festa delle settimana celebrava il raccolto del grano.

All’epoca dell’esilio babilonese (VI secolo) si ripristinò la Pasqua col

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 82

senso di memoriale celebrata il primo giorno degli azzimi. Ma la festa

primordiale è quella dei Tabernacoli o Capanne, detta così perché si an-

dava in campagna e li si abitava in tende. Si celebrava il raccolto del mo-

sto e dell’olio ed era una festa di gioia, cioè la gioia era un elemento di

quella festa. Narra il capitolo quinto del libro dei Giudici che in campa-

gna le ragazze di Silo solevano danzare (quindi gioia), quando Salomone

centralizzò il culto nel tempio anche la festa dei tabernacoli si celebrava

al tempio. Bisognava presentarsi davanti al Signore con i frutti della terra

e gioire davanti a Lui. Queste osservazioni ci fanno ritenere che la gioia

di cui parla il profeta è la gioia di una festa, la festa delle capanne.

Questa gioia sarà intensissima e il profeta la paragona a due im-

magini.

La prima immagine è “come la gioia (che si ha) nella messe”, la

messe e il suo raccolto è sempre motivo di gioia. L’immagine della gioia

nella messe è tanto più intensa perché il popolo poteva solo sognarla, gli

assiri avevano devastato tutto e certamente quell’anno il raccolto non

c’era.

La seconda immagine è la gioia che si ha quando ci si spartisce la

preda, anche questa immagine è molto efficace, è l’immagine della belva

che ha conquistato lottando la sua parte di preda e il popolo aveva assisti-

to a questa scena vedendo la gioia avida dei soldati assiri che si conten-

devano avidamente quel po’ di preda, di bottino, che riuscivano a conqui-

stare. Le due immagini della messe e della preda concorrono bene a e-

sprimere l’intensità della gioia.

Nei versi seguenti il profeta descrive i tre motivi della gioia, tre

motivi legati progressivamente come il primo che si appoggia sul secon-

do dandoci poi un progresso tematico leggendoli al contrario. La prima

motivazione è il fatto che Dio ha spezzato (spezzerà: tutti perfetti profeti-

ci), il giogo del suo peso, il suo giogo pesante.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 83

Poi il profeta aggiunge un’altra parola “bastone” (meglio leggere

“sbarra”) della sua spalla. Il genitivo richiama meglio la parola sbarra.

Abbiamo due oggetti paralleli:

Il giogo La sbarra

del suo peso della sua sbarra

Tutta l’immagine richiama il giogo che si mette sul collo dei buoi

quando arano, si mette il giogo sul paio di buoi e la sbarra, salvo errore,

sarebbe quel legno che lega il giogo all’aratro. Tutta l’immagine esprime

bene l’idea di un popolo sottomesso, la sottomissione è totale. Tutto que-

sto giogo è inteso come lo scettro. Lo scettro è immagine regale che e-

sprime dominio; si tratta dello scettro di colui che opprime a lui.

L’oppressore cioè per dominare sui popoli oppressi si serve del giogo.

Ma è molto efficace, anche come assonanza letteraria il verbo

“��(����” (hai spezzato, cioè spezzerai). L’intervento di Dio che scende a

spezzare il giogo oppressore non è nuovo nella storia, altre volte Dio lo

ha fatto, e la storia antica permette di sperare per il futuro. Il profeta ri-

corda o meglio allude ad un evento passato “come nel giorno di Madian”,

all’epoca di Madian, Dio spezzò il giogo che i madianiti imposero ad I-

sraele. La Bibbia ci riferisce simile fatto nei capitoli 6-7 del libro dei

Giudici, quando i madianiti vinsero e sottomisero Israele. Dio spezzò il

loro giogo suscitando un giudice, Gedeone, che sconfisse i madianiti.

Ecco il primo motivo della gioia: oggi il popolo sottomesso al

giogo assiro, ma Dio lo spezzerà e ciò sarà gioia. Ma non serve a niente

spezzare il giogo se non si toglie la causa che lo ha provocato, perché un

popolo per opprimere l’altro deve combatterlo e allora la causa

dell’oppressione è la guerra e il profeta annunzia l’eliminazione della

guerra. Leggendo questo brano viene in mente il Salmo 45 che forse è

della stessa epoca di questo brano: “venite, vedete le opere del Signore,

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 84

Egli ha fatto portenti sulla terra, farà cessare la guerra fino ai confini

della terra, spezzerà le lance, brucerà con il fuoco gli scudi”38.

La fine della guerra è descritta con le seguenti parole: “ogni cal-

zare che calza con strepito (e ogni) vestito intriso nel sangue”. Notiamo

le parole: “ ��>�” questa parola si legge solo qui nella Bibbia ed indica

una calzatura pesante usata dagli eserciti assiri. In genere in battaglia i

soldati usavano calzature leggere per potere camminare più speditamente,

gli assiri invece avevano calzature pesanti e quando gli eserciti cammi-

navano era rumore forte. Il profeta forma un verbo “ ��>�” dal sostantivo

di prima, alla lettera “e” calzare, calzante in strepito; potremmo dire cal-

zare che incede, che avanza rumorosamente. Segue poi l’altra espressio-

ne: “vestito intriso in sangui (sangui perché è al plurale: %���!���)” Il ve-

stito intriso di sangue è quello dei morti sul campo di battaglia che ri-

mangono li, sono feriti e il sangue uscendo ha inzuppato i vestiti. Si tratta

di vestiti induriti per il sangue di cui sono intrisi. Il plurale “sangui”, sal-

vo errore, vuol dare l’idea dell’estensione ampia della battaglia. Ma no-

tiamo le due immagini: esse esprimono l’inizio e la fine della battaglia,

l’inizio è “i soldati che avanzano”, la fine è “i soldati che restano sul

campo uccisi”. Le due immagini, di inizio e di fine, esprimono la totalità

della battaglia, cioè tutta la battaglia, tutta la guerra scomparirà, non ci

saranno eserciti che avanzano, e di conseguenza non resteranno morti sul

campo. Tutte queste cose saranno bruciate, bruciati i calzari, per cui i

soldati non avanzano, e bruciati i vestiti per cui non ci saranno morti.

L’espressione del profeta è quella: “sarà in incendio, cibo di fuoco”

(������"&��'�� �9���7���� ���������): il fuoco eliminerà tutte queste cose.

Questa seconda motivazione spiega la prima, non ci sarà più guerra, e di

conseguenza non ci saranno vinti e oppressi.

38 Cfr. Isaia 2.

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Ma la guerra è sempre scatenata da una persona, un re, un capo.

Nella terza motivazione che il profeta introduce si rivela fortemente po-

lemico contro il re che ha scatenato tutto quel disastro e ingenuamente si

è trasformato in guerrafondaio. Si tratta di Ezechia che ha seguito la sua

testa e non la Parola del Signore che gli veniva trasmessa attraverso il

profeta. Ed ecco allora che il profeta annunzia n nuovo principe che non

sarà più guerrafondaio come Ezechia. Ed ecco allora la terza motivazione

“un fanciullo fu generato (sarà generato39) a noi, un figlio fu dato (sarà

dato) a noi”:

Un fanciullo Un figlio

fu generato fu dato

a noi a noi

Con due frasi parallele il profeta annunzia la nascita di un figlio,

ma figlio di chi? Semplice, di Dio. I due verbi sono passivi di un passivo

che chiamiamo “passivo divino” cioè è Dio stesso che genererà un figlio

e Dio lo donerà. La generazione di un figlio non riguarda la nascita fisica,

bensì la costituzione regale: il re che saliva sul trono era costituito figlio

di Dio40. Dio perciò annunzia la costituzione di un principe al quale sarà

dato il potere.

39 Futuro Profetico. 40 Cfr. Salmo 2,7: “figlio mio sei tu, oggi io Ti ho generato”.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 86

Continua infatti a questo principe il Signore conferirà il potere: “e

sarà il motivo sopra la sua spalla”

(��&���+������7��������(��4), subito dopo il profeta indica i nomi di que-

sto principe (e chiamerà il suo nome: ����������C)�4):

1 – colui che discerne una cosa meravigliosa;

2 – Dio forte

3 – Padre di eternità (Padre per sempre)

4 – Principe di pace

Salvo errore, questi quattro nomi che caratterizzano il principe si

strutturano in maniera concentrica.

Venerdì 12 novembre 2004, ore 10,30 / 12,15

I quattro nomi vorrebbero essere anche programmatici, il primo

nome esprime azione e anche il quarto esprimerebbe azione “principe di

pace” (cioè principe che attua la pace), mentre i due nomi intermedi “Dio

forte” e “padre di eternità” (cioè padre per sempre) avrebbero invece un

valore stativo, cioè di situazione.

Data la diversa indole di questi nomi possiamo raggrupparli a due

a due in uno schema concentrico. Il primo si ricollega al quarto, il secon-

do si ricollega al terzo. Come interpretiamo se la lettura che proponiamo

del primo nome come colui che discerne una cosa meravigliosa e giusta,

troviamo il suo contenuto nel quarto nome: “principe di pace”, cioè la

cosa meravigliosa che pensa, decide, decreta è la pace, ciò in contrappo-

sizione ad Ezechia che non fu principe di pace, ma principe di guerra,

passo infatti larga parte del suo regno a lasciarsi fomentare e lui stesso a

fomentare delle ribellioni. Più difficili da interpretare sono i due nomi

centrali che indicano uno stato “Dio forte” e “Padre per sempre”. Propo-

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 87

niamo perciò una interpretazione: i due nomi centrali esprimerebbero

quasi (lo diciamo col linguaggio moderno) il valore sacramentale del fi-

glio che deve nascere, nel fatto che è principe di pace, in lui si manifesta

il Dio forte e il padre per sempre. Ci chiediamo, lasciando la domanda

aperta, se in questi due nomi Isaia non stia insensibilmente spostando un

riferimento: 30 anni prima ha annunziato l’emmanuele che corrispondeva

ad Ezechia, ma Ezechia da Emmanuele non si è comportato, ha agito di-

versamente dal disegno di Dio, il figlio che nascerà invece sarà veramen-

te l’Emmanuele, cioè manifesterà il “Dio forte” e il “Padre per sempre”.

Concludendo questo oracolo facciamo una breve riflessione ed

una rilettura. La riflessione è la seguente: l’oracolo rimane aperto e in

nessun modo questo figlio futuro potrà essere identificato col figlio di

Ezechia, l’idolatra Manasse, il quale fu ligio alla Assiria anche nel culto

e regnò cinquanta anni. Alla morte di Manasse, verso il 643-42 salì al

trono il figlio Ammon che però regnò solo due anni, poi nel 640 salì al

trono il figlio Giosia e nell’anno 13 del regno di Giosia (627) fu la parola

del Signore su Geremia, figlio di Kelchia. Però mai a Giosia che pur tut-

tavia fu religioso è riferito l’oracolo di Isaia 9, quindi nemmeno Giosia fu

identificato con l’oracolo che rimane aperto verso un futuro che il profeta

non conosceva ma che noi conosciamo abbastanza bene. Non è casuale

che questo oracolo, almeno in alcuni punti sia presente nella mente

dell’autore del quarto Vangelo e anche di Matteo che introduce il mini-

stero di Gesù citando l’ultimo verso del capitolo 8, “terra di Zabulon,

terra di Neftali […]” in cui l’accostamento è facile.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 88

La rilettura globale è la seguente: ci sarà un tempo di gioia e le

motivazioni per questa gioia sono tre che progressivamente si leggono

meglio al contrario:

1. nascerà un figlio (cioè sarà intronizzato un figlio) che sarà un princi-

pe di pace cioè un principe la cui caratteristica e la cui opera è la pace;

2. dal momento che c’è un principe di pace non verranno più eserciti ed

ogni strage di guerra scomparirà;

3. scomparsa la guerra, scomparirà di conseguenza l’oppressione e il

giogo che il vincitore impone sul collo del vinto. Gioia e luce si rela-

zionano, c’è gioia perché spunta la luce (Cfr. Signore Luce del mon-do), ma al contrario la luce è determinata dalla gioia.

Iesse era il padre di Davide dai cui figli Dio si era scelto un re, ma

quello che aveva scelto era quello che il padre invece a priori aveva scar-

tato. L’oracolo del capitolo 11 si relaziona idealmente al figlio di cui si

parla nel capitolo 9. Possiamo notare una cosa azzardata di Isaia, secondo

il secondo libro di Samuele, Dio aveva promesso a Davide la perpetuità

della discendenza, promessa ripresa dal Salmo 88 e anche dal Salmo 131.

Ma Isaia non risale a Davide, bensì a Iesse suo padre. Così non

annunzia un nuovo discendente davidico. Ma addirittura Isaia parla della

rifondazione dinastica parlando di un virgulto di Iesse, uno che non di-

scende ma sta accanto, forse in antagonismo alla dinastia davidica.

La prerogativa di questo re sarà quella di essere animato dallo

Spirito del Signore, quasi a rivivere una nuova creazione (Cfr. con Gene-

si), e lo Spirito del Signore che si posa sul re avrà i suoi effetti. Nel re si

manifesterà Sapienza e Intelligenza, Consiglio e Fortezza spirito di cono-

scenza e di timore del Signore. Conseguenza della presenza dello Spirito

e conseguenza dei frutti che in lui si verificano, si determina un agire

concreto di questo discendente. Nella descrizione di questo agire concre-

to si nota serpeggiante una certa polemica contro questo modo di fare.

“Questo virgulto non giudica secondo le apparenze e nemmeno per senti-

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to dire, giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per

gli oppressi del paese”. La polemica sta nel fatto che circa 35 anni prima,

Isaia insieme ad Amos avevano battagliato contro tutte le ingiustizie so-

ciali, queste ingiustizie non si verificano sotto un re guidato dallo Spirito

del Signore. La conseguenza sarà la pace, che il profeta, incallito Jawhi-

sta, descrive in maniera paradisiaca, con il modello della pace tra gli a-

nimali: “la belva coabiterà pacificamente con l’animale debole”, c’è

qualche frase aggiunta, ma salvo errore, il vero 8 che parla di un lattante

che gioca sulla buca dell’aspide, oppure il bambino che mette la mano

nel covo di serpenti velenosi dovrebbe essere una aggiunta che global-

mente corrisponde al senso, ma cambia un pochino41 la pacifica coabita-

zione tra gli animali, ma la pacifica relazione tra uomo e animali. Segue

nel verso 9 una conclusione che riassume tutto e trasferisce agli uomini la

pacifica convivenza tra gli animali. Scrive il profeta: “non agiranno più

iniquamente, ne saccheggeranno in tutto il mio santo monte perché la

sapienza del Signore riempie il paese”.

Tentiamo una rilettura sintetica di questo brano, ma prima notia-

mo un'altra cosa: nel verso 10 leggiamo: “in quel giorno la radice di Ies-

se si leverà a vessillo per i popoli e le genti la cercheranno con ansia”.

Qui ci troviamo di fronte ad un oracolo diverso, ma il NT che legge

l’antico non ha gli strumenti critici che abbiamo noi. Questo verso 10

probabilmente soggiace tra altri testi al quarto vangelo, ci riferiamo a

12,32: “quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”. Questo testo

strutturalmente sta in relazione a 12,20 di Giovanni che parla della venu-

ta dei greci che chiedono di volere vedere Gesù.

41 anche sulla metrica del testo ebraico.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 90

Rileggendo sinteticamente questo brano avremmo cinque quadri:

1. il virgulto della radice di Iesse; 2. animato dallo Spirito di Dio42; 3. gli effetti dello Spirito43; 4. un modo di agire equo44; 5. la pace dei rapporti caratterizzata come la pace tra gli animali.

A questi quadri ne aggiungiamo un sesto: la pace universale su

monte santo del Signore.

Ma il profeta sa benissimo che molte volte c’è la guerra non per-

chè la si voglia fare, ma perché ad essa trascinano altri popoli e perciò la

vera pace sarà possibile quando tutti i popoli cercheranno la pace. E que-

sto il profeta annunzia nell’oracolo dei versi 2-4 del capitolo 2: il profeta

annunzia la centralità del monte santo del Signore: “alla fine dei giorni, il

monte del tempio del Signore sarà elevato al di sopra delle cime dei

monti e più alto dei colli45

. Al monte del Signore affluiranno tutti i popo-

li, verranno popoli numerosi e diranno”. Il profeta annunzia l’affluenza

di tutti i popoli verso il monte del Signore. Si avverte in questa descrizio-

ne una antitesi con un altro episodio della Scrittura: Genesi 11 (La torre

di Babele): in quel tempo furono gli uomini a crearsi un centro di gravità

per non disperdersi, ma il narratore genesiaco ha una tesi, il germe della

divisione è insito nel cuore umano e perciò il centro di gravità che

l’uomo costruisce finisce per diventare causa di ulteriore divisione: “i

popoli si dispersero e le lingue si confusero”.

Non così quando il centro di gravità è posto dal Signore, esso non

sarà più causa di divisione bensì causa di unità, e il centro di gravità che

Dio pone è il Suo monte Santo, cioè Sion, dove Salomone costruì il tem-

pio.

42 Cfr. Vangeli sinottici, battesimo di Gesù. 43 che poi la tradizione cristiana riprende nei doni dello Spirito Santo. 44 ripreso da Isaia 42. 45 Il profeta annunzia perciò la centralità di Sion.

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Ma quello che è importante è il motivo per cui i popoli affluisco-

no al monte del Signore e il profeta riferisce le parole con cui i popoli re-

ciprocamente si esortano. Le parole sono le seguenti: “venite, saliamo al

monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe perché ci indichi le

Sue vie, e noi possiamo camminare nei suoi sentieri”. I popoli si esortano

ad andare al monte del Signore perché c’è un evento che in esso si verifi-

ca: “perché da Sion esce la legge e da Gerusalemme la Parola del Signo-

re”. Queste parole che affermano un evento sono ben costruite anche dal

punto di vista letterario:

“Da Sion

esce la legge

e la Parola del Signore

da Gerusalemme”.

L’evento che si verifica sul monte del Signore, che eleva, non ma-

terialmente, ma spiritualmente il monte del Signore, e che determina la

decisione dei popoli di andare al monte del Signore è la manifestazione

della legge e della Parola del Signore.

Possiamo notare in questa descrizione una tacita polemica. Sta-

volta però contro il re assiro che cercò anche lui di attuare una pace tra i

popoli, ma la attuò con un metodo del tutto opposto a quello che usa il

Signore; il metodo del re assiro è indicato dalle sue stesse parole riferite

nel capitolo 10: “ho rimosso i confini dei popoli” cioè il re assiro ha im-

posto la sua pace imponendo il suo dominio e annullando l’autonomia dei

popoli. Il Signore agisce diversamente, Egli manifesta la Sua Parola e dal

Suo monte Santo, ma allora i popoli non saranno oppressi ma spontane-

amente e liberamente andranno al Signore, facendosi Lui o il Suo monte

Santo centro di unità e attirando mediante la manifestazione della sua

legge il Signore realizza l’unità dei popoli, questi non si vedranno impo-

sta una unità, ma liberamente e per propria decisione andranno al Signo-

re.

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Fin qua abbiamo commentato solo i versi 2-3, l’oracolo continua

nel verso 4, ma ad una lettura più attenta appare qualche vuoto nel testo.

In ogni caso gli effetti dell’opera del Signore saranno la pace. Leggiamo

nel verso 4: “Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popo-

li” cioè il Signore sarà al centro dei popoli e sarà Lui a guidarli. Allora la

pace sarà una gioiosa realtà, l’arsenale militare non serve più, e che cosa

ne facciamo di quelle armi? Le destiniamo ad altri usi: “forgeranno le lo-

ro spade in vomeri e le loro lance in falci” cioè gli strumenti militari sa-

ranno convertiti in strumenti agricoli da lavoro e c’è bisogno di questi

strumenti perché nella pace l’agricoltura aumenta.

A ventinove secoli di distanza questo oracolo è ancora tutto da re-

alizzare però è Parola di Dio e perciò rimane integro come una grande

promessa che c’è all’orizzonte degli uomini. Si richiama il Salmo 45:

“farà cessare le guerre fino ai confini della terra, romperà gli archi,

spezzerà le lance, brucerà con il fuoco gli scudi”.

Anche questo oracolo soggiace a diversi passaggi del NT. Ne ci-

tiamo due soli: Atti di Luca capitolo 2 cioè il racconto della Pentecoste,

dove, salvo errore, sono allusi due testi, uno per contrapposizione, l’altro

per continuità. La contrapposizione è con Genesi capitolo 11 dove si ve-

rificò la dispersione e la confusione delle lingue. Adesso a Gerusalemme

c’è un nuovo centro di gravità e allora ogni popolo sentirà dire nella pro-

pria lingua le opere meravigliose di Dio e saranno queste a condurre in

unità i molteplici linguaggi umani. Ma la relazione per continuità è pro-

prio con Isaia 2. scriveva Isaia che da Sion esce la legge e da Gerusa-

lemme la Parola del Signore, ma la legge che esce, secondo Luca è la

legge nuova che viene promulgata, lo Spirito. E si capisce perché Luca

descriva la presenza di ben 16 popoli, non si tratta di presenza materiale,

ma di presenza spirituale, perché i popoli che Luca elenca sono popoli di

tutto il mondo allora conosciuto e se rileggiamo attentamente sono come

un circolo attorno Gerusalemme. Il Signore ha manifestato la Sua legge e

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i popoli sono venuti. È chiaro che il racconto lucano della Pentecoste

deve essere visto più col linguaggio teologico che non in senso materia-

le46.

Il secondo testo è quello che abbiamo già citato: “quando sarò

innalzato da terra attirerò tutti a me”. Il tempio del Signore stavolta è

Gesù che promulga una legge nuova (Giovanni 13,34): “Vi do un coman-

damento nuovo: che vi amiate tutti gli altri, come Io ho amato voi”. In

seguito a questa promulgazione avviene l’attrazione “attirerò tutti a me”.

46 D’altra parte del fenomeno della Pentecoste Luca non ne parlerà più.

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Martedì 16 novembre 2004, ore 08,30 / 10,15

GEREMIA

In Ger1,147 il redattore ci dà le generalità di Geremia, scrive paro-

le di Geremia, figlio di Chelchia, dei sacerdoti che in Anatoth nella terra

di Beniamino. Da questa introduzione sappiamo due cose: che apparte-

neva ad una famiglia sacerdotale come lo sarà anche Ezechiele, ma di I-

saia non sappiamo nulla a riguardo, ed era dal villaggio di Anantoth nella

tribù di Beniamino. La sua appartenenza a Beniamino spiega due cose,

sia che il profeta nel primo periodo profetò per le tribù del nord deportate

in Assiria cento anni prima, sia il fatto che nel secondo periodo lo trove-

remo a Gerusalemme. La tribù di Beniamino infatti politicamente appar-

teneva al sud, ma affettivamente apparteneva al nord.

Nel verso 2 leggiamo: “e fu la Parola del Signore su di lui”. Que-

sta espressione è molto forte perché già ci indica la caratteristica di Ge-

remia, la frase non indica soltanto che il Signore gli ha parlato, ma anche

che su di lui si è verificato l’evento della Parola del Signore. E la caratte-

ristica di Geremia è proprio quella di essere a servizio di questa Parola,

che per lui sarà fonte di tanta gioia, ma insieme fonte di tanta amarezza.

È questa la caratteristica di Geremia, a differenza di Isaia, che sarà

l’uomo credente nel disegno del Santo di Israele il quale ha un piano nel-

la storia che è sempre di salvezza.

Continua ancora il testo, che non è di Geremia, ma di un redatto-

re, che però è preciso nelle indicazioni storiche che ci offre. Nel verso 2

il redattore data l’evento della Parola del Signore, donde capiamo che

l’esperienza della Parola del Signore non è un fatto emotivo, ma un pre-

47 “Parole di Geremia figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che dimoravano in Anatòt, nel territorio di Beniamino”.

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ciso evento storico (analoga prospettiva avrà Luca quando, analogamente

a Geremia, daterà l’evento della Parola di Dio su Giovanni il Battista,

nell’anno 15° dell’impero di Tiberio). A riguardo di Geremia il redattore

data l’evento della Parola nei giorni del re Giosia, figlio di Ammon

nell’anno 13° del suo regno. Nel verso 3 continuano ancora le indicazioni

cronologiche: “nei giorni di Ioiachim, figlio di Giosia, re di Giuda, fino

all’anno di Sedecia, re di Giuda, fino cioè alla deportazione in Babilonia

nel quinto mese”. Alla luce di queste indicazioni collochiamo Geremia

nella sua epoca storica, l’anno 13° di Giosia corrisponde secondo i nostri

calcoli all’anno 627. Giosia infatti salì al trono nel 640. Il padre Ammon

aveva regnato solo due anni, dal 642 al 640, mentre il padre Manasse a-

veva regnato per lungo tempo dalla morte del padre Ezechia. È utile of-

frire l’elenco dei re di Giuda:

1. Ozia (muore 740-39): vocazione di Isaia; 2. Iotam (739-733); 3. Achaz (733-32/727); 4. Ezechia l’Emmanuele (727-714 Ezechia minorenne),

(714-699 Ezechia maggiorenne); 5. Manasse (699/642); 6. Ammon (642/640); 7. Giosia (640/609); 8. Ioacaz (giugno 609 - settembre 609); 9. Ioiachim (settembre 609 - 597: anno della prima deportazione in Babilonia); 10. Ioiachin (597 pochi mesi, poi fu deportato in Babilonia); 11. Sedecia (597/586: anno della seconda deportazione).

Il quinto mese di cui parla il testo è agosto del 586, mese della di-

struzione del tempio e della caduta del regno di Giuda. In questa crono-

logia l’inizio del ministero profetico di Geremia è del 627, e il termine di

Geremia è nel settembre del 586. Il profeta scomparirà di scena come

scomparì silenziosamente Isaia. Alcuni facinorosi costrinsero Geremia a

fuggire in Egitto, e lì del profeta si sono perse le tracce.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 97

Parallelamente alla storia del regno di Giuda è da inquadrare il

profeta nella storia extra-biblica perché come Isaia, anche lui avrà grande

parte nella situazione politica del suo popolo. Abbiamo lasciato Isaia al

momento dell’assedio di Gerusalemme, assedio che Sennacheriv im-

provvisamente tolse. Alla morte di Sennacheriv successe il figlio Assara-

gon e dopo di lui il figlio Assurpanipal con cui l’impero assiro raggiunse

il suo massimo splendore. Arrivò fino all’Egitto, realizzando il segno

profetico di Isaia che dovette andare per tre anni nudo. Alla morte di As-

surpanipal l’impero assiro cominciò a declinare anche perché cominciò a

sorgere un’altra potenza, quella babilonese che soppianterà l’impero assi-

ro. Nel 640, lo stesso anno dell’inizio del regno di Giosia salì al trono

Babilonese un certo Nabopolasar che cominciò una politica di espansio-

ne. L’impero assiro cominciò man mano a declinare, nel 612 cade Ninive,

nel 605 la coalizione assiro-egiziana sarà sconfitta a Carchenisch sul

fiume Oronte, dal luogotenente babilonese che l’anno dopo salirà al tro-

no: Nabucodonosor II. L’impero babilonese durerà perciò dal 640 al 539

soppiantato dall’impero dei Medi e dei Persiano. Ciro il Grande, cantato

come l’unto del Signore dal deutero-Isaia, nel 539 conquisterà Babilonia,

e nel 538 firmerà l’editto di liberazione degli ebrei.

Questo quadro storico ci dice che come non si poté prescindere

per Isaia dalla storia assira non si può prescindere per Geremia dalla sto-

ria babilonese.

Possiamo distinguere il ministero profetico di Geremia in due pe-

riodi, il primo periodo dal 627 alla morte di Giosia (609), il faraone, un

certo Necao, si dirigeva in quell’anno verso l’Assiria per dare manforte.

Il piccolo Giosia credette di potergli sbarrare il passo, ma fu ucciso a

Meghiddo e qui incomincia il secondo periodo di Geremia che durerà fi-

no all’esilio babilonese.

Il primo periodo durò perciò diciotto anni, ma non siamo in grado

di caratterizzarlo in maniera più precisa, diciamo soltanto che questo fu il

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periodo più bello del profeta. Egli in questi diciotto anni riflettendo e di-

pendendo sul suo grande predecessore Osea cantò la salvezza delle tribù

del nord deportate cento anni prima in terra di esilio. Il profeta in questo

primo periodo gusterà pienamente la gioia di essere profeta.

Nel secondo periodo invece sarà chiamato ad essere profeta di

giudizio per il regno del sud, e ciò sarà per lui motivo di persecuzione, di

amarezza.

PRIMO PERIODO

Dicevamo che questo primo periodo fu il più importante dal punto

di vista emotivo per il profeta. Dicevamo che in questo periodo speri-

mentò tutta la gioia di essere profeta, e di questo primo periodo se ne ri-

corderà con gioia nel secondo periodo quando invece sperimenterà tutta

l’amarezza di essere profeta. Vedremo come lui effonderà tutto il suo a-

nimo nelle famose confessioni (da non confondere con le lamentazioni

che probabilmente non sono di Geremia) e in queste confessioni arriverà

persino a rimproverare Dio, ricorderà nel capitolo 15: “quando le tue pa-

role mi vennero incontro io le divorai con avidità, la Tua Parola fu la

gioia e la letizia del mio cuore” ma al presente non è così, e il profeta si

rivolge a Dio con le parole (Cfr. Ger15,16-19): “Tu sei diventato per me

come un torrente infido dalle acque non perenni” (Dio nel primo periodo

ha versato la sua acqua, ma poi è andato in secca). In 20,7 rimprovera

Dio con le parole: “mi hai sedotto e mi hai lasciato sedurre, mi hai trat-

tato come una ragazza minorenne”. Il profeta arriva a maledire il giorno

in cui nacque, queste parole rivelano il fortissimo contrasto tra i due pe-

riodi che si verificò nell’animo prima di un ragazzo ventenne, poi di un

uomo circa quarantenne.

Ma andiamo al primo periodo, dicevamo che in questo periodo,

sulla scia di Osea, cantò il ritorno dall’esilio delle tribù del nord, deporta-

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 99

te in Assiria. Da questi oracoli appare un Geremia profondamente entu-

siasta, gioioso, che non ha nulla di brontolone e soprattutto un bravo poe-

ta e poi anche un bravo oratore.

Non ne possediamo molti di oracoli di questo periodo, a noi re-

stano nei capitoli 2 e 3 che lui stesso scrisse quando, dopo la proibizione

del 604 di entrare nel tempio, il Signore gli comandò di scrivere un roto-

lo. Questo rotolo coincide probabilmente con i capitoli 1,6 ed ha tre par-

ti:

1. la vocazione che il profeta scrisse circa 18 anni dopo; 2. cap 2-3: gli oracoli di salvezza del primo periodo; 3. cap 4-6: gli oracoli di giudizio contro Giuda del secondo periodo.

Mercoledì 17 novembre 2004, ore 10,30 / 12,15

CARME DI GEREMIA 3,4-4

Il profeta nella prima strofa (1a. 1b. 1c. 1d.) comincia con una

domanda se la donna può tornare al primo marito. La domanda è presa

dal capitolo 24 del Deuteronomio dove però sia ha un’altra dinamica.

Scrive il Deuteronomio che quando un uomo ha ripudiato la sua moglie e

questa diventa moglie di un altro, il primo marito non può riprenderla.

Secondo il Deuteronomio, la proibizione riguarda l’uomo che non può

riprendere quella donna, in Geremia invece abbiamo prospettiva inversa:

non l’uomo che non può riprendere la donna, ma la donna che non può

tornare all’uomo. Il motivo per cui la donna non può tornare all’uomo è

espresso nel terzo verso (1c.), la donna è stata contaminata. In questa

prima strofa abbiamo nel testo ebraico una reinterpretazione, il testo ori-

ginale di Geremia, come attesta la versione greca dei LXX diceva che la

donna non può tornare all’uomo. Nel terzo verso si dice che quella terra è

stata contaminata, ma non è questo il testo originale di Geremia che par-

lava non della contaminazione della terra, ma della contaminazione della

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donna. Qui ci dovette essere un reinterpretazione di Geremia all’epoca

dell’esilio si volle dire che il popolo esiliato non può tornare alla terra

perché è stata contaminata, ma il testo originale di Geremia parlava del

possibile ritorno della donna all’uomo.

Il verso 1d. tradisce il desiderio della donna di tornare al suo uo-

mo. Fuor di metafora tradisce il desiderio del popolo di tornare al suo

Dio, ma Dio vede spacciato questo desiderio perché quella donna ha for-

nicato con molti amanti, cioè il popolo si è prostituito con tutti gli idoli.

La prima strofa perciò dichiara l’impossibilità della donna di tornare al

suo uomo perché si è contaminata con tutti i suoi amanti. In parole pove-

re, il popolo, che si è prostituito coi suoi idoli, non può pretendere di tor-

nare al Signore. Vorrebbe tornare, ma non è detto che il Signore la ri-

prenda.

La seconda strofa è contenuta nei versi 2a. 2b. 2c. 3a. La seconda

strofa è una denunzia delle cole del popolo, l’espressione “alza i tuoi oc-

chi ai colli” equivale a dire: dai un’occhiata a tutti i colli attorno a Te,

uno per uno. I colli equivalgono qui ai luoghi dell’idolatria, i culti idola-

trici si praticavano sulle alture, sulle colline e in questi luoghi si praticava

il culto naturistico tipicamente cananeo che consisteva nella prostituzione

sacra. Da qui il fatto che alture e colli diventarono sinonimo di idolatria.

In questa prospettiva si capisce il Salmo 120: “alzo gli occhi verso i mon-

ti, da dove mi potrà venire l’aiuto?”, questa frase esprime l’amarezza di

un salmista che ha confidato negli idoli, ma dagli idoli è rimasto deluso

donde la risposta del salmo: “il nostro aiuto è nel nome del Signore che

ha fatto cielo e terra”. In Geremia il popolo sposa è invitato a passare in

rassegna tutti i luoghi idolatrici per vedere se c’è ne qualcuno dove non si

sia prostituita: si tratta di una sfida e la risposta è che non c’è alcun luo-

go, ma essa non è stata violentata con forza, ma si è offerta facendosi

trovare lungo le strade per essere più facilmente accessibile. Ezechiele

calcherà l’immagine e dirà che mentre abitualmente sono gli uomini che

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pagano una prostituta perché si dia, era invece la prostituta che pagava gli

uomini perché venissero a lei. Il profeta rimprovera che quello che la

donna pagava era ciò che il Signore sposo le aveva donato. L’accusa è

che si serviva del dono di Dio per attirare i suoi amanti. L’immagine

dell’arabo nel deserto è molto efficace, l’arabo del deserto non ha dimora

e lo si trova facilmente lungo le strade. La conseguenza di tale azione di

prostituzione è espressa nel verso 2,5: “la terra è stata profanata”. Con

questa frase il profeta vuole tacitamente spiegare l’esilio in terra di Assi-

ria: il popolo non poteva più stare in quella terra, era divenuta terra impu-

ra, ma impura perché il popolo stesso l’aveva resa impura. E Dio stesso

non fu più largo a concedere i suoi favori, cosa che il profeta nel verso

3a. descrive con l’immagine della pioggia: furono trattenute le piogge e

pioggia serotina non ci fu. In quella zona della terra dove una lingua di

terra fertile si incunea nel deserto, le piogge sono due ogni anno, quella

cosiddetta mattutina in primavera e quella cosiddetta serotina in autunno.

Quando una delle due piogge non c’è si determina semplicemente la sic-

cità che porta alla carestia. È una immagine oppure è un fatto reale? La

siccità è la carestia, è difficile rispondere, di una siccità nel ciclo di Elia,

ma siamo distanti quasi due secoli dal profeta, in ogni caso, restando sul

piano delle immagini, la terra ha subito una conseguenza dalle colpe del

popolo. Si richiama in un certo senso Genesi, dove il peccato genesiaco

si è esteso fino alla terra che ormai all’uomo produce soltanto vegetazio-

ne selvatica: spine e cardi.

La terza strofa è ancora più forte nell’accusa, dove si denunzia

non solo il peccato, ma la sfacciataggine a peccare. La terza strofa è con-

tenuta nei versi 3b. 4. 5a. 5b. “e fronte di meretrice”3b.: cioè: faccia da

prostituta. Alla sfacciataggine di essere apertamente quello che si è, si

aggiunge anche la sfida a Dio, Dio è chiamato: Padre mio e amico della

giovinezza, cioè il mio amico da sempre dall’epoca del tempo del deserto,

tempo di fidanzamento. Queste parole “Padre mio e amico della giovi-

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nezza” sono molto belle se al titolo dato corrisponde una conseguenza di

vita. Dire a Dio «Padre mio» implica comportarsi da figli, dire a Dio «a-

mico della giovinezza» implica restargli fedele. Ma qui, come appare dal

contesto, queste parole sono pronunziate come un paravento per sentirsi

sicuri nel male che si fa. Dio è Padre e amico e perciò anche se si adira si

adirerà per poco tempo, poi gli passa. In questo modo si è sicuri

dell’impunità, non c’è nulla da temere da Colui che chiamiamo Padre e

amico e perciò non ci farà nulla per il male che facciamo. Il profeta nota

una profonda divergenza tra quello che si dice a Dio e il modo come si

agisce. Questo il profeta vede e questo rimprovera nell’ultimo verso della

terza strofa (5b.). In questo verso abbiamo tre frasi: «hai detto», «hai fat-

to i mali», «hai potuto», cioè: quello che hai detto lo hai detto come pro-

tezione per fare il male, e il male che hai fatto, lo hai fatto con successo.

La quarta strofa è quasi un fortissimo contrasto tra l’animo di Dio

e l’atteggiamento del popolo, si direbbe che Dio è in lotta, tra quello che

sente nel cuore e quello che vede al dì fuori. Che cosa sente Dio? Dio ha

avuto sempre un desiderio che ora evoca con nostalgia: «Io dissi come

vorrei porti tra i miei figli», Dio è chiamato Padre, e il Suo desiderio era

quello di potere realmente annoverare il popolo tra i suoi figli. Questa

strofa segna un fortissimo passaggio dalla requisitoria alla nostalgia di

Dio. Dio ha desiderato che quel popolo gli fosse figlio e di conseguenza

dargli la terra dei popoli. Al momento storico non è così, il popolo non ha

la terra dei popoli perché è stato esiliato e se è stato esiliato è in discus-

sione la stessa figliolanza. Ma non l’ha interrotta Dio, Dio bramava esse-

re Padre di quel popolo, ma Padre sul serio: sentirsi chiamato Padre, ma

sul serio, e perciò implicando che il popolo non si allontanasse da Lui.

Nelle prime tre strofe dominava la metafora coniugale, nella quarta strofa

si passa all’immagine del Padre: sono due immagini che dipendono en-

trambe da Osea capitoli 1-3 (la prostituta), e capitolo 11 (il padre e i fi-

gli). Purtroppo però questo rapporto di paternità e figliolanza è stato in-

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franto, non lo ha infranto Dio, ma il popolo e ciò è espresso nel quarto

verso dove si riprende la metafora coniugale, leggiamo infatti «come in-

frange la fede una donna per il suo amico così ha infranto la fede in Me,

casa di Israele». Però se Israele ha interrotto il suo rapporto di figliolanza

con Dio, in Dio il sentimento rimane vivo. Ed è qui la prospettiva della

quinta strofa nei versi 21a. 21b. 22a. 22b. Dio si sente tradito ma il suo

affetto rimane vivo (Cfr. la parabola del Figliol Prodigo), e una persona

innamorata fa attenzione se la persona amata che se n’è andata non abbia

qualche tenue segnale di cambiamento. L’affetto e la nostalgia di Dio

prevalgono sullo sdegno delle prime tre strofe. Dio mette da parte il Suo

risentimento, fa prevalere l’affetto, e l’affetto lo porta a raffinare

l’orecchio per sentire meglio e nell’affetto sente qualcosa che lo sdegno

gli impediva di sentire, e allora sente qualcosa: «tornate figli ribelli, vo-

glio guarire le vostre defezioni». Quello che Dio percepisce è il pianto

amarissimo dei figli di Israele, Egli lo sente sui colli, cioè sui luoghi degli

idoli dove Israele credette di trovare la sua felicità. I colli sono stati una

menzogna, lo leggeremo nell’altra bellissima confessione del capitolo 31:

«i colli hanno attirato ed hanno ucciso. Israele si è smarrito e piange

come un bambino che si è perduto, e non trova più la strada, prigioniero

del suo stesso piacere». E il motivo del pianto è indicato subito dopo:

«hanno pervertito le loro vie», cioè hanno cambiato direzione di cammi-

no, e ciò perché hanno dimenticato il Signore. Possiamo leggere le tre

cose all’inverso:

1. hanno dimenticato il Signore; 2. hanno seguito un altro cammino; 3. si sono smarriti nel labirinto degli idoli senza essere certi di potere tornare come che si vede ormai costretto in una situazione irreversibile.

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Ma proprio questo pianto fa scattare tutta la profonda commozio-

ne di Dio. Di fronte a questo pianto Dio da spazio assoluto al Suo senti-

mento, hanno perduto la via, ma Lui la ricostruisce. Non sanno se posso-

no tornare, ma Dio esorta a tornare. Nel verso 22a. leggiamo: «tornate

figli ribelli, voglio guarire le vostre defezioni». Si avverte anche qui Osea

(ascoltato dal giovane Geremia): «venite, torniamo al Signore, Egli ci ha

colpiti, Egli fascerà, ci ha feriti, Egli ci fascerà»48. Geremia dirà: «voglio

guarire le vostre defezioni». Dio non sta dicendo voglio guarire le ferite

provocate dai colpi, e Dio ha colpito mandando in terra di esilio. Ma la

guarigione è nella causa, guarire le defezioni significa creare un cuore

che non si allontani. circa sessanta anni dopo Ezechiele parlerà di un

«cuore nuovo» per cui Dio non si limiterà soltanto a riportare in patria,

ma Dio toglie la causa. Si crea un popolo che non pecca. Guarire le defe-

zioni significa perdonare quelle passate e prevenire quelle future.

È proprio qui che Israele riscopre il suo Dio, ritrova il Dio di

sempre, quel Dio che mette fiducia, donde la confessione del verso 22 di

Geremia: «ecco veniamo a Te, poiché Tu (sei) Jahwè il nostro Dio». In

questa esperienza di ritorno, il popolo sperimenta due cose: chi è il Si-

gnore, e chi è il Signore per lui (relazione). È il Salvatore che torna a sal-

vare.

48 Cfr. Osea 6,1 e ss.

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Carme di Geremia 3-4,4

I la. Se rimanda un uomo la sua moglie e va via da lui lb. E diventa ad un altro uomo, forse che potrà tornare a lei

(LXX: a lui) ancora? 1c. Forse che non è stata contaminata quella terra

(LXX - Vg: quella donna?) ld. E tu che hai fornicato con molti amanti, tornerai a me,

dice il Signore?

II 2a. Alza i tuoi occhi ai colli e vedi: dove non sei stata violata? 2b. Sulle vie sedevi per loro, come l'arabo nel deserto, 2c. ed hai profanato la terra con le tue prostituzioni e

con la tua malizia 3a. e furono trattenute le piogge e pioggia serotina non tu

III 3b. E fronte di meretrice tu a te: hai rifiutato di vergognarti 4. Non da ora chiami a me: Padre mio, amico della mia

giovinezza tu? 5a. Forse che si adirerà per sempre o conserva (ira) in perpetuo? 5b. Ecco (queste cose) hai detto ed hai fatto i mali ed hai potuto (vv 6-13) - (vv 14-18)49.

IV 19a. Ed io dissi: come ti porrò tra i miei figli 19b. Darò a te una terra di desideri, eredità assai gloriosa dei popoli 19c. E dissi: Padre mio chiamerà a me e da me non si allontanerà 20. Come infrange la fede una donna per il suo amico,

cosi hai infranto la fede in me, casa di Israele

V 21a. Una voce! sui colli si sente il pianto amaro dei figli di Israele 21b. Poiché hanno pervertito le loro vie: hanno dimenticato

il Signore loro Dio 22a. Tornate figli ribelli: guarirò le vostre defezioni 22b. Ecco veniamo a te poiché tu Jahvè, nostro Dio

49 I versetti 6-13 e 14-18, anche se presenti nel testo di Geremia, secondo il professore, non appartengono a Geremia, ma sono delle aggiunte del redattore.

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VI 23a. Veramente fallaci sono i colli, lo strepito dei monti 23b. Veramente nel Signore nostro Dio la salvezza di Israele 24. Boscet ha mangiato la fatica dei nostri padri dalla nostra

giovinezza (pecore e i loro buoi, i figli e le loro figlie) 25. Ci corichiamo nella nostra ignominia e ci copre la nostra infamia,

poiché contro il Signore nostro Dio abbiamo peccato (noi e i nostri padri dalla nostra giovinezza fino ad oggi e non abbiamo ascoltato la voce del nostro Dio)

VII

4,1a. Se ti convertirai, Israele, a me potrai tornare 4,1b. Se rimuoverai i tuoi idoli, dal mio cospetto non vagherai 4,2a. E giurerai: viva il Signore, in verità, diritto e giustizia, 4,2b. e saranno benedette in te le genti e in te si glorieranno

VIII 4,3a. Poiché così dice il Signore agli uomini di Giuda e di

Gerusalemme 4,3b. Arate per voi un campo e non seminate nelle spine 4,4a. Circoncidetevi per me (per il Signore) e togliete

il prepuzio del vostro cuore 4,4b. Perché non esca come fuoco la mia ira e si accenda e

non c'è chi spegne (a causa della malizia delle vostre opere)

Martedì 30 novembre 2004, ore 08,30 / 10,15

GEREMIA 31, 15-20

Il profeta, profeticamente coglie il pianto della madre, che è un

pianto amarissimo, un pianto che non può essere consolato perché i suoi

figli non ci sono più. La menzione di Rachele (sterile, moglie di Giacob-

be, ebbe due figli) è importante perché il profeta sta parlando alle tribù

del nord, dopo la scissione le tribù del sud, Giuda, puntarono sulla di-

scendenza davidica. Le tribù del nord, invece si riferirono ai patriarchi

che diventarono il punto di riferimento e infatti le tradizioni dei patriarchi

non nascono a sud, bensì al nord. Forse qui potremmo avanzare una mez-

za ipotesi se Geremia non scelga Rama per ambientare il pianto di Ra-

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chele, e non Bethehem perché Bethehem è legata alla discendenza davi-

dica. Il pianto di Rachele non può essere consolato perché i figli non ci

sono più. Potrebbe essere consolata se i figli potessero tornare, e chi può

fare tornare i figli? L’allusione è alla dispersione in terra assira cento an-

ni prima. Una sola persona potrebbe fare tornare i suoi figli e questa sola

persona è l’unica che potrebbe consolare e difatti consola (parliamo del

Signore Dio). Qui allora l’introduzione delle parole del Signore che sono

una risposta al pianto di Rachele e se è lecito cogliere i sentimenti umani

nel testo, si direbbe che Dio è stato raggiunto dal pianto della madre al

quale non ha saputo resistere. Dio risponde esortando Rachele a cessare

dal piangere, Dio lo ha raccolto ed a esso risponde. Al pianto della madre

Dio risponde non con una vaga consolazione, ma facendo una precisa

promessa: torneranno dalla terra del nemico. Abbiamo qui un annunzio

che forse nella storia non si verificò mai, si verificò il ritorno dall’esilio

di Babilonia, ma dall’esilio assiro (720) la storia non ci dice nulla anzi

dopo la deportazione nel regno del nord (a Samaria) furono deportati da-

gli assiri, arabi dal deserto dando origine ad una razza ibrida: i samaritani

che furono considerati estranei fino al NT.

La risposta di Dio comprende cinque tappe: nella prima parte c’è

l’esortazione a cessare dal pianto, le altre quattro parti contengono la mo-

tivazione di questo invito. Le quattro parti stanno in relazione parallela a

due a due. La seconda e la quarta frase stanno in parallelo:

c’è c’è

una ricompensa una speranza

alla tua opera alla tua discendenza

Nella prima frase la promessa è a Rachele, nella seconda frase la

promessa è alla sua discendenza. Sembra di cogliere nel testo un rapporto

di causalità tra le due promesse: la prima è causa della seconda. Dio ha

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accolto il pianto della madre. Si può notare che il pianto di Rachele non è

presentato come un pianto di preghiera: anzi è un pianto sconsolato di

una persona chiusa in sé stessa, ma anche tale pianto arriva a Dio come

implorazione. E in forza di quel pianto, Dio promette a Rachele, ma il

contenuto della promessa alla madre, è la promessa fatta ai figli.

La terza e la quinta frase stanno pure in parallelo:

torneranno torneranno

dalla terra del nemico alla loro terra

Le due frasi sono complementari, la prima esprime il moto da

luogo, la seconda il moto a luogo. Le quattro frasi insieme contengono la

promessa e l’impegno assoluto di Dio alla discendenza di Efraim.

La menzione della discendenza determina un diverso orientamen-

to, Dio sposta l’attenzione dalla madre ai figli. Il pianto della madre rias-

sumeva il pianto dei figli, e dal pianto della madre, Dio risale a quello dei

figli .

Continua il soliloquio di Dio ma rivolto stavolta ai figli. L’infinito

assoluto dal perfetto danno l’idea di forte intensità, non si tratta soltanto

di un sentire materiale, ma di un sentire pressante che esige ascolto e Dio

dichiara: “sento bene Efraim che geme in sé” e Dio ripete le parole di

supplica di Efraim. Anche qui possiamo cogliere una molteplicità di sfu-

mature. Efraim dichiara di avere accettato il castigo di Dio, accettare un

castigo significa giustificarne le cause e significa anche accettare di cor-

reggersi. Efraim si paragona ad una immagine molto bella. Efraim si pa-

ragona ad un animale selvatico che non è stato sotto la mano del padrone,

ma la preghiera dimostra come attraverso il castigo Efraim si è lasciato

addomesticare, cioè non è più scappato dalle mani del suo Dio, il castigo

lo ha fatto tornare in sé stesso, e tutto questo lo dichiara a Dio perché Dio

lo veda e accolga la bellissima supplica espressa subito dopo. Efraim ha

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un desiderio: tornare al Signore. Ma la frase rivela tacita una preoccupa-

zione: il Signore accoglierà l’espressione “fammi tornare” può avere due

sfumature, o dammi la capacità di tornare oppure dammi il permesso di

tornare. In ogni caso il tornare dipende da Dio, e qui sta la vera supplica.

Se Dio fa tornare allora il ritorno sarà possibile. La forma inversa dei

verbi (o perfetto inverso o imperfetto inverso) ha sempre una sfumatura

di successione e anche talora una sfumatura di subordinazione. Nel caso

specifico vediamo nel testo una sfumatura finale o consecutiva: fammi

tornare perché possa tornare oppure fammi tornare ed io potrò tornare. In

ogni caso la forma all’imperfetto tollera bene la forma modale del potere.

La possibilità per Efraim di tornare non dipende dalla propria conversio-

ne, ma dal Dio che accoglie.

La preghiera è bruciante ed è accompagnata da una bellissima

confessione, il primo motivo della supplica è perché Efraim riconosce

che solo il Signore è il suo Dio. Questa dichiarazione è ancora più forte

per i fatto che chi la pronunzia ha avuto esperienza di essersi smarrito tra

gli idoli ed ha capito che solo il Signore è l’unico Dio. La seconda moti-

vazione è la vera confessione. Efraim ricorda di essersi pentito del suo

allontanarsi. Battere l’anca equivale al nostro battersi il petto come rico-

noscimento della propria colpa, una colpa che non è stata senza conse-

guenze che sono descritte nella prima parte: “mi vergogno e anche sono

preso da rossore perché ho portato l’ignominia della mia giovinezza”. La

giovinezza nel linguaggio profetico richiama l’epoca dell’Egitto, e come

dicevamo in questo primo periodo Geremia risente del suo antico prede-

cessore Osea. In Osea 11,1 leggiamo: “quando Israele era giovane io lo

amai e fin dall’Egitto lo ritenni mio figlio”. Geremia parla

dell’ignominia, cioè della vergogna in tempo di schiavitù. Il popolo ha

rivissuto l’esperienza dell’Egitto e tutto ciò lo ha fatto tornare in sé stes-

so. Capire la propria colpa è implorare il ritorno da Dio.

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Che cosa fa Dio? Dio non risponde direttamente ad Efraim, ma

pronunzia tra sé e sé uno dei soliloqui più alti di tutta la Scrittura. Dio di-

ce a sé stesso se per caso non gli sia un figlio caro, da dove lo deduce?

Da una semplice riflessione sulla propria psicologia: si tratta di psicolo-

gia umana trasferita a Dio. Dio è arrabbiato con Efraim, lo ha cacciato in

esilio, lo ha allontanato da sé come un uomo allontana una persona cara

da cui si è sentito offeso, e bisogna dimenticare quella persona cara. Per

poterla dimenticare si mettono davanti tutti i difetti, si dice male di quella

persona, ma succede che più se ne parla male e più prepotentemente

quella persona balza nel cuore. Così ha fatto Dio con Efraim. “Sicché tut-

te le volte del mio parlare contro di lui con forza lo ricordo ancora”.

Tutte le volte che ne dice male il ricordo torna. Da questo fatto Dio dedu-

ce e si chiede se Efraim non sia un figlio caro, si arrende all’evidenza,

deve ammettere che lo ama, e allora le ultime parole “intensamente lo

amo, ho compassione di lui”.

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Mercoledì 01 dicembre 2004, ore 10,30 / 12,15

Il testo di Geremia 31,34 è di fondamentalissima importanza per-

ché su di esso poggia gran parte del NT a cominciare dalla formula della

istituzione del calice soprattutto nella redazione lucano-paolina. È ovvio

che il testo di Geremia è come uno schizzo ancora vago ma che troverà la

sua realizzazione nel NT soprattutto insieme all’oracolo di Ezechiele 36,

sarà importante per tutto il problema del superamento della legge nelle

lettere ai Romani e ai Galati. In questo oracolo, unico nell’AT, il profeta

ha l’ardire di scalzare quella che era l’istituzione più importante dell’AT,

cioè l’alleanza sinaitica. Anche il terzo Isaia parlerà di patto di pace, ma

il patto di pace è una riproposizione dell’Alleanza Sinaitica. Anche Qum-

ran parlerà di Nuova Alleanza, ma si tratta ancora di una riproposizione

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di quella sinaitica. Detto questo affrontiamo il testo.

Nel verso 31 il profeta preannunzia, da parte di Dio, dei giorni in

cui stipulerà una Nuova Alleanza. Il problema fondamentale è dato

dall’aggettivo “nuova” che in greco si distingue ma non in ebraico. La

lingua greca distingue tra l’aggettivo “ ����” e “�� ���”.

“ ����” significa nuovo nel tempo, cioè attuato da poco in relazione

a cose della stessa indole fatte prima. Il “�� ���”, invece, indica una novi-

tà di diversa indole cioè qualitativa, la cosa nuova è diversa, di diversa

natura, di diversa specie, rispetto alla precedente. Chiaramente il profeta

intende in questo contesto una Alleanza qualitativamente nuova: ciò si

deduce dal confronto con la frase negativa che introdurrà subito dopo, ma

soprattutto dalle caratteristiche con cui egli caratterizzerà questa Nuova

Alleanza subito dopo. Di conseguenza annunziando, come dirà la lettera

agli Ebrei, una Nuova Alleanza, automaticamente è abrogata l’Alleanza

Sinaitica. dicevamo come il profeta su questo punto è arditissimo: non ha

nessun seguito nell’AT: nessuno riprenderà l’aspetto della Nuova Alle-

anza. Persino Ezechiele che cinquant’anni dopo approfondirà l’opera di

Dio nel cuore umano, passando dalla legge scritta nel cuore di Geremia

alla radicale sostituzione del cuore, ma non parlerà di Nuova Alleanza.

L’oracolo di Geremia così rimane aperto fino al NT.

Perché nessuno pensi che si tratti della Legge Sinaitica, il profeta

esplicitamente dichiara che non è quella alleanza. Nell’Alleanza Sinaitica

Dio aveva mostrato la sua cura, c’è qui una diversa prospettiva rispetto al

libro dell’Esodo. Nell’Esodo Dio prima fece uscire poi fece attraversare

un po’ il deserto e infine li condusse al Sinai dove diede i comandamenti.

Il libro dell’Esodo riferisce i comandamenti nel capitolo 20, ma fa prece-

dere il decalogo da una introduzione di indole deuteronomista nei versi

3,5: “voi avete visto ciò che ho fatto agli egiziani, come vi ho condotti su

ali di aquila, vi ho fatti venire a me, adesso se voi ascoltate la mia voce e

osserverete il mio patto sarete a me (mi apparterrete) come popolo di

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possesso peuliare”. Questo testo di indole deuteronomista sottolinea il

fatto che nemmeno l’Alleanza Sinaitica si poneva in prospettiva giuridi-

ca, ma mirava ad un rapporto personale con Dio. Geremia identifica il

giorno in cui Dio stipulò l’Alleanza, non con l’avvento al Sinai che, se-

condo Esodo 19,1 avvenne al terzo mese, ma con il giorno in cui Dio

prese per mano per fare uscire dal paese di Egitto. Geremia perciò identi-

fica la stipulazione dell’Alleanza con tutto l’evento dell’Esodo. D’altra

parte lo stesso passaggio del Mar Rosso, tradizione sviluppata dalla tradi-

zione più antica del passaggio dello “Jamsuf” (il mare dei giunchi), si

colloca in prospettiva teologica, Dio non squarta l’animale ma ha aperto

il mare, cioè ha introdotto il suo popolo nell’Alleanza. È bellissima

l’immagine: “nel giorno che li presi per mano” torna l’immagine del pa-

pà che mano con mano conduce suo figlio, immagine già proposta da O-

sea e ripresa ancora da Geremia. L’immagine è molto bella, è affettiva-

mente carica ed esprime tutto il senso della paternità di Dio. Dio al grido

del popolo in Egitto ha risposto, lo ha preso per mano (le dieci piaghe

rientrano anche in questa prospettiva) e lo fece uscire dall’Egitto.

Fa contrasto nel testo l’azione di Dio con la risposta del popolo.

L’alleanza fu violata, e in questa violazione il profeta legge tutta una sto-

ria che và dall’uscita dall’Egitto fino alla caduta di Samaria. Il libro

dell’Esodo non manca di sottolineare la ribellione del popolo che non

gradì tante volte l’opera di Dio e bramò tornare in quell’Egitto da cui Dio

lo aveva liberato. Pensiamo al momento quando il popolo si trovò davan-

ti il mare e di dietro gli egiziani, Dio rispose aprendo il mare. Pensiamo

al capitolo 16, il popolo mormorò per mancanza di cibo e rimpianse

l’Egitto, Dio rispose donando la manna. In Esodo 17 c’è la stessa mor-

morazione per la mancanza di acqua e Dio rispose facendo scaturire

l’acqua dalla roccia. Ma il peccato più grave coincide col momento della

stipulazione dell’Alleanza Sinaitica. Conosciamo l’episodio del vitello di

oro: il popolo mentre Mosè è sul monte a ricevere i comandamenti, il po-

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polo chiede ad Aronne che costruisca un idolo, il vero peccato non è al

limite la costruzione dell’idolo, ma la professione di fede che il popolo

formula davanti all’idolo: “questo Israele è il Dio che ti ha fatto uscire

dalla terra di Egitto” cioè il popolo attribuisce all’idolo l’evento di sal-

vezza in forza del quale Dio si ritiene Dio di quel popolo e dona i suoi

comandamenti. Perciò il popolo trasgredisce non solo il primo coman-

damento di non avere altro Dio, ma intacca lo stesso fondamento

dell’Alleanza, cioè l’evento di Salvezza. Dal momento che non è stato

Lui a compiere l’evento di Salvezza, Dio è abusivo nel dare i comanda-

menti. L’alleanza perciò viene violata nel suo stesso nascere. Leggiamo

che Mosè ruppe le tavole di pietra, sul significato delle leggi scritte su ta-

vole di pietra torneremo più avanti, ma adesso sottolineamo il senso della

rottura: l’alleanza è stata rotta. Narra il testo che Mosè riscrisse le tavole,

ma non si dice che quella fu una ri-stipulazione.

Lasciando stare ulteriori considerazioni della storia seguente, Ge-

remia nota che l’alleanza è stata violata e da allora in poi non è mai più

seguita una nuova ri-stipulazione, perciò al momento in cui Geremia

scrive, l’alleanza è violata. La frase seguente è un pochino difficile:

“benché io fossi il loro Signore”, la versione greca interpreta la frase in

senso negativo, che la versione latina traduce nel seguente modo: “et ego

neglecsi eos”, ma forse il senso è più positivo dando come sintatticamen-

te è possibile, alla congiunzione “�” in senso concessivo: “benché io fossi

Signore, il loro Signore”. Dio nota il contrasto, in questo senso, tra il fat-

to di essere Signore di quel popolo, cioè di appartenere a quel popolo in

forza dell’evento di salvezza e la risposta negativa del popolo. Dal mo-

mento che l’alleanza è stata violata e non esiste più, Dio annunzia per

mezzo del profeta, di volere ricostituire l’alleanza, ma non più quella si-

naitica, ma diversa. Si spiega l’introduzione del verso 33.

Dopo questa introduzione il profeta passa a descrivere le caratteri-

stiche della Nuova Alleanza. Esse sono tre più una, le prime tre sono ca-

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ratteristiche positive, l’altra è caratteristica negativa, la quale, per il suo

stesso carattere negativo, benché introdotta alla fine, costituisce la condi-

zione previa perché le tre positive possano realizzarsi.

La prima caratteristica positiva è la seguente: il testo di Geremia è

in prosa, ma una prosa ben congegnata stilisticamente. Questa frase infat-

ti si costruisce in maniera concentrica e alternata insieme.

1. pongo

2 . la mia legge

3. nel loro intimo

4. e sul loro cuore

5. scriverò

6. essa

Stanno in relazione i due verbi “porre” e “scrivere”. Il primo è

generico, il secondo è specifico. Ma soprattutto è importante la relazione

tra “intimo” e “cuore”, queste due espressioni esprimono l’intimo più

profondo dell’uomo. Si avverte in questa descrizione la differenza ed an-

che una certa polemica con l’alleanza sinaitica. In quest’ultima la legge

era scritta su tavole di pietra cioè non con penna e calamaio, ma con

chiodo e martello (scolpita), ciò significa che la legge sinaitica aveva un

carattere indelebile e immutabile, di conseguenza nessuno poteva dire di

non leggere bene o che le lettere fossero sbiadite. Qui rimane aperta una

riflessione che colmerà Paolo nella lettera ai Romani, cioè, la legge e-

sterna per il suo carattere di esterna fa scattare automaticamente il mec-

canismo della ribellione e la voglia di trasgredire. Lasciando aperto que-

sto aspetto capiamo il senso della parola “cuore”. Il cuore come la realtà

più intima dell’uomo è la sede dell’intelligenza (nel senso che si può ca-

pire col cuore). Col cuore si ama, nel cuore si annida la volontà umana.

Dal momento che Dio annunzia di scrivere la legge nel cuore, vuol dire

che cambierà il rapporto dell’uomo verso la legge, non più una legge che

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gli si impone dall’esterno e spesso anche in maniera pesante50, scritta in-

vece nel cuore umano la legge di Dio sarà conosciuta, sarà amata e sarà

voluta, quindi non la legge che si impone sull’uomo, ma l’uomo che co-

me sua esigenza profonda ed interiore si apre alla legge.

Qui però emergono diverse lacune e diverse domande alle quali

probabilmente il giovane Geremia non sa rispondere, ma alle quali ri-

sponderà bene il NT. Anzitutto quando si verificheranno quei giorni futu-

ri in cui Dio stipulerà questa Nuova Alleanza, quando cioè Dio scriverà

questa legge nel cuore questo quando rimane aperto. Rimane aperta la

domanda: “come Dio scriverà questa legge? Ma soprattutto qual è que-

sta legge che Dio scriverà?”. Il giovane Geremia risponderebbe che sono

i comandamenti, che lui almeno in parte elenca nel capitolo 7, ma noi,

anche alla luce del NT dobbiamo contestare Geremia: il decalogo è sem-

pre giuridico e per giunta formulato negativamente, è ben difficile che il

cuore umano accolga e si innamori di una norma giuridica negativa. Il

profeta non può saperlo, però il suo oracolo esige non solo un diverso

modo di intendere la legge da esterna a interiore, ma esige lo stesso mu-

tamento della legge e siccome nel cuore umano può entrare solo una per-

sona, la Legge Nuova dovrà essere necessariamente una Persona. Anti-

cipando il secondo quadrimestre citiamo tre testi paolini: Rm5,5:

”l’amore di Dio” (cioè il Dio che ama) è stato fuso nei nostri cuori;

Ef3,17: ”Cristo abiti mediante la fede nei nostri cuori”; Gal4,4:”Dio ha

mandato lo Spirito del Suo Figlio nei nostri cuori che grida: Abbà o Pa-

dre”, ma a tutto questo risponderà il NT, Geremia rimane aperto.

Possiamo passare alla seconda caratteristica della Nuova Allean-

za, scrive il profeta nel verso 33b: “e sarò per loro (apparterrò a loro) ad

essi Dio ed essi saranno a me popolo”. Questa formula non è nuova, già

appariva nell’alleanza con Abramo, e questo rapporto di reciproca appar-

tenenza era la caratteristica e la pretesa dell’alleanza sinaitica. Ma dov’è

50 La legge sinaitica spesso minacciava la morte.

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la novità? Sta che nella rottura dell’antica alleanza, questa clausola, se-

condo Geremia non si era realizzata mai. Dal momento che, scrivendo la

legge nel cuore, Dio si crea un popolo che non trasgredisce l’alleanza, al-

lora questo rapporto di reciproca appartenenza potrà finalmente essere

realizzato.

E così passiamo alla terza clausola: l’insegnamento interiore.

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Venerdì 03 dicembre 2004, ore 08,30 / 10,15

La terza caratteristica positiva dell’Alleanza è la conoscenza inte-

riore di Dio, la frase è molto lunga, ma niente ci autorizza a depennare

qualche parola. È importante però cogliere anche l’articolazione struttu-

rale della frase, in prosa, ma in prosa ben articolata. Avremmo il seguente

schema:

1) non insegneranno più;

2) uomo il suo prossimo;

3) uomo il suo fratello;

4) dicendo conosci Dio.

In questa prima parte del verso è completamente esclusa la pre-

senza di maestri. Viene a cadere un tipo di insegnamento che deve porta-

re alla conoscenza di Dio: insegnare a conoscere Dio non è più compito

di un uomo: l’esclusione di qualsiasi attività umana emerge dalla duplice

ripetizione del termine “uomo”. Questa caratteristica è più ardita della

prima e deve essere compresa anche alla luce del NT, prima però consi-

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deriamo la seconda parte che introduce la motivazione della affermazione

precedente. La motivazione è che “tutti essi conosceranno me” e il profe-

ta rimarca questa universale conoscenza di Dio aggiungendo

l’espressione seguente: “dal più piccolo di loro fino al più grande” (cioè

nessuno escluso).

Come interpretiamo questo testo? In Geremia alla lettera. Ma Ge-

remia, come abbiamo detto, si proietta in un futuro che lui intuisce ma

che non sa precisare. Il NT riprenderà questo aspetto soltanto accennato

possiamo citare Giovanni 6,45 dove Gesù dichiara: “e saranno tutti co-

noscitori di Dio […] chiunque ha udito dal Padre ed ha imparato viene a

me”. Gesù ancora dirà: “nessuno viene a me se il Padre non lo attrae”.

Più complesso il problema è nella prima lettera di Giovanni (che non

tratteremo adesso in questa sede), ma Paolo nella prima lettera ai Tessa-

lonicesi riconosce che per quanto riguarda la fede i Tessalonicesi non

hanno bisogno di essere istruiti, come interpretiamo? Da una parte biso-

gna ammettere questa realtà (c’è un insegnamento interiore), dall’altra

non si può esasperare perché oggi siamo nel tempo della coesistenza tra

bene e male e il cristiano che pur già possiede la capacità di essere istrui-

to interiormente corre anche il rischio di scambiare la voce dello spirito

con quella del peccato. A questo punto c’è ancora bisogno del maestro,

non perché il maestro debba insegnare, ma perché aiuti a comprendere

qual è il vero insegnamento interiore.

Queste caratteristiche sono proposte dal profeta in un progresso

tematico: la legge scritta nel cuore porta alla presenza di Dio e di conse-

guenza Dio stesso diventa maestro. Il testo di Geremia non è chiaro ma

pone alcune basi per il NT, non lo so se il profeta lo pensasse, ma si può

tirare la conclusione che Dio stesso diventa quella legge interiore che de-

termina poi l’agire umano. In ogni caso il profeta sottolinea quest’aspetto

interiore; in 32,40 riprende la stessa prospettiva, scrive: “stipulerò per lo-

ro una alleanza eterna cosi ché non mi allontanerò più per beneficarli

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[…] porrò il mio timore nel loro cuore e da me più non si allontaneran-

no”, con altro linguaggio è espressa ancora la realtà della Nuova Allean-

za: Dio promette di essere Dio del popolo e lo benefica, l’uomo da Dio

non si allontanerà perché Dio porrà nel suo cuore il suo timore. Si capi-

sce che il termine “timore” non è sinonimo di paura, anche questo termi-

ne nel linguaggio biblico diventa un termine polivalente che implica an-

che profonda adesione e si apre alla prospettiva dell’amore. Detto questo

passiamo alla quarta caratteristica, quella negativa, la quale, per il fatto

che è negativa, deve essere logicamente prima di quelle positive. Le ca-

ratteristiche positive non si potranno attuare se prima Dio non compie un

opera di purificazione, per questo la caratteristica negativa sarà appunto

la remissione dei peccati. È importante anche la formazione strutturale

della frase che è possibile proporre anche in maniera concentrica:

1) sarò propizio;

2) alle loro colpe;

3) e dei loro peccati;

4) non ricorderò più.

La relazione tra i due verbi “sarò propizio” e “non ricorderò” e la

relazione tra i due sostantivi indica che la remissione sarà assoluta come

indicano i due verbi, totale come indicano i due sostantivi.

Dicevamo come questo oracolo sta alla base di molti testi del NT.

Citiamo la formula della istituzione soprattutto nella formulazione luca-

na: “questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue per la remissione

dei peccati”. Si prende praticamente l’introduzione e la caratteristica ne-

gativa. Paolo, salvo errore, nei capitoli 1-8 della lettera ai Romani pro-

pone due parti: la prima parte (capitoli 1-4) sul peccato e la sua remissio-

ne (caratteristica negativa), la seconda parte è la vita secondo lo Spirito

(è la prima caratteristica positiva).

L’oracolo di Giovanni è unilaterale, crea una opposizione antiteti-

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ca tra le due alleanze: nuova e sinaitica. L’alleanza sinaitica ad esempio

fu stipulata mediante un sacrificio. La nuova alleanza proposta da Gere-

mia, invece, non prevede nessun sacrificio, anzi se dobbiamo esasperare

il contrasto che il profeta introduce tra le due alleanze dovremmo conclu-

dere che il profeta esclude qualsiasi sacrificio. Il NT invece non esclude

l’alleanza sinaitica, ma la fonde con la nuova alleanza. Ciò appare dalla

stessa formula della istituzione dove il verbo participio: “effuso” richiama

tutto il rituale sacrificale levitico, come anche l’espressione: “per voi”

oppure: “per molti” richiama il quarto canto del Servo (Isaia 53). Ma so-

prattutto tale fusione appare più chiara nella lettera agli Ebrei secondo la

quale anche la Nuova Alleanza è stipulata con un sacrificio, ma non più

con quello di animali, bensì con quello di Cristo.

SECONDO PERIODO

A differenza del primo periodo dove è difficile o addirittura im-

possibile distinguere i vari momenti della storia del profeta, nel secondo

periodo possiamo invece stabilire con più precisione i vari momenti del

profeta. Ciò per due motivi, il primo motivo è perché in questo secondo

periodo il ministero di Geremia si svolgerà al sud anche se non sappiamo

come il profeta, in questo secondo periodo, fosse giunto a Gerusalemme.

Nel primo periodo pare che non sia stato a Gerusalemme, ciò appare da

tre indizi: il primo è che non si spiegherebbero i bellissimi oracoli di sal-

vezza in un posto: Gerusalemme, contro il quale Geremia sarà fortemente

critico, inoltre un oracolo di salvezza si spiega dopo che Dio ha operato il

giudizio, lo ha operato al nord (la caduta di Samaria), ma ancora al sud

non è stato operato. C’è un terzo indizio offertoci dal secondo libro dei

Re. Nell’anno 622 (durante il primo periodo), Giosia il re di Giuda, fece

la purificazione del tempio e trovò la legge del Signore, leggiamo nel ca-

pitolo 22 che Giosia per autenticare quella legge si rivolse non a Gere-

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mia, ma ad una profetessa di nome “Hulda”. Strano che Geremia non fu

consultato (se era lì) quando invece avrà una notevole incidenza alla cor-

te regale nel secondo periodo. La presenza di Geremia a Gerusalemme si

intreccia con la storia babilonese, mentre nel primo periodo al nord non

c’era più storia con la caduta di Samaria.

Il secondo motivo della precisione cronologica è il fatto che di

questo periodo abbiamo diversi resoconti storici trasmessici dallo scriva-

no o segretario, un certo “Baruc”. La prima data di questo secondo pe-

riodo ci è riferita nel capitolo 26, leggiamo nel verso 1 le seguenti parole:

“all’inizio del regno di Jojakim, figlio di Giosia, re di Giuda, fu rivolta

questa parola da parte del Signore”. È la prima indicazione cronologica

dopo quella del capitolo primo nell’anno XIII di Giosia. Per stabilire

l’inizio del regno di Jojakim rivediamo un attimo la storia: secondo i no-

stri calcoli nel giugno del 609 muore Giosia nel tentativo di sbarrare il

passo al faraone che andava in Assiria a dare manforte al regno Assiro

ormai in fase di spegnimento (612, tre anni prima era caduta Ninive). In

questo tentativo Giosia fu ucciso. Il popolo elesse re non il primogenito

di Jojakim ma il secondogenito Joakaz che però regnò solo due mesi, nel

settembre dello stesso anno il faraone tornando dalla Assiria depose Joa-

kaz lo deportò in Egitto, e mise sul trono il primogenito Jojakim. Siamo

verso settembre e perciò il tempo fino a primavera non sarà il primo an-

no, ma l’anno di inizio, perciò la data che stiamo considerando deve an-

dare tra settembre 609 e la primavera 608. In questo tempo troviamo Ge-

remia nel tempio che tiene un discorso. Questo discorso ci è stato tra-

mandato in due forme, nella reinterpretazione o rielaborazione deutero-

nomista del capitolo 7 e nel resoconto di Baruc, nel capitolo 26. mentre il

racconto deuteronomista indugia e amplia l’aspetto parenetico, Baruc ci

offre sole una sintesi del discorso dandoci i fatti antecedenti, ma soprat-

tutto quelli conseguenti. Nel discorso di Geremia, il profeta approfittando

del fatto che il popolo va al tempio, rivolge questa esortazione: “miglio-

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rate la vostra condotta e le vostre azioni”, il profeta esorta a migliorare la

condotta ed a non fidarsi alle parole menzognere di chi dice: “il tempo

del Signore, il tempo del Signore, il tempo del Signore”, il profeta sta cri-

ticando quel modo di comportarsi fidandosi di una impunità da parte di

Dio garantita dalla presenza del tempio. La triplice ripetizione sta ad in-

dicare che questo era un ritornello costante tra il popolo, esso tradisce la

convinzione, ma che Geremia vuole smontare, che la presenza materiale

del tempio avrebbe preservato da ogni catastrofe. Forse questa convin-

zione dovette nascere novant’anni prima, all’epoca di Isaia, quando gli

Assiri improvvisamente tolsero l’assedio, si credette che la causa era sta-

ta la presenza del tempio. Nei versi seguenti il profeta elenca i peccati

che il popolo commette: “ma voi confidate in parole false e a voi non vi

giova…”. Il popolo commette questi peccati, poi crede che basta andare

al tempio e trovare la propria impurità: “poi venite e vi presentate alla

mia presenza al tempio… e poi dite siamo salvo per poi ricompiere i vo-

stri abomini”. Il profeta esce un immagine e paragona la casa del Signore

ad un covo di ladri che commettono scorribande, trovano rifugio nel loro

covo per poi riprendere le loro razzie. Fin qua il profeta è stato violento,

ma poteva essere anche ignorato. Non sarà ignorato in quello che dirà

dopo, dal momento che il popolo concepisce il tempio come la garanzia

per continuare nei propri peccati, il profeta annunzia la distruzione del

tempio e dichiara: “Dio è capace di distruggere il Suo tempio”. Porta un

precedente, distrusse il Suo santuario di Silo quando era sacerdote “Eli”,

l’arca fu rubata dai filistei ed Eli morì di crepacuore. L’esempio di Silo,

di circa sette secoli prima, deve far capire che Dio può distruggere il Suo

tempio e permettere (verso 15) la deportazione come avvenne per le tribù

del nord.

Il discorso di Geremia, proprio per l’annunzio della distruzione

del tempio, non passò inosservato, Geremia fu arrestato e si istruì un pro-

cesso contro di lui e si deliberò contro di lui sentenza di morte: “sentenza

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di morte contro quest’uomo perché ha profetizzato contro questa città

come avete udito”. I capi del popolo perciò contro Geremia decretarono

la condanna a morte. Geremia si difese, e l’unica difesa a suo favore era

quella vera: anche a lui dispiaceva parlare, ma non poteva fare diversa-

mente perché così gli aveva comandato il Signore. Geremia evitò la mor-

te perché tra quei capi ci fu qualcuno che prese le sue difese, un certo “A-

chikam”. Qui segue un silenzio di Geremia per circa quattro anni; del

profeta non ne sappiamo più niente fino all’altra data, riferita in 25,1 che

è il quarto anno del regno di Jojakim che ci riporta all’anno 604. Sul pia-

no politico intanto era avvenuto un fatto: muore in Babilonia Nabopola-

sar e sale al trono il figlio Nabucodonosor intronizzato nella processione

del dio Marduc nella primavera del 604.

Martedì 07 dicembre 2004, ore 08,30 / 10,15

Dopo quell’episodio seguì un tempo di silenzio del profeta. Lo ri-

troviamo quattro anni dopo. Nel capitolo 19 abbiamo narrata un’altra vi-

cenda del profeta, anche qui abbiamo due redazioni: anzitutto il capitolo

25 che a noi rimane ancora in redazione deuteronomista, nella narrazione

di Baruc, invece, il racconto è riferito nel capitolo 19 fino al verso 6 del

capitolo 20. In 25,1 abbiamo una indicazione cronologica, narra Baruc:

«questa parola fu rivolta a Geremia per tutto il popolo di Giuda

nell’anno quarto di Jojakim» tenendo conto che il primo anno comincia-

va dalla primavera del 608, l’anno quarto di Jojakim ci riporta alla fine

del 605 e agli inizi del 604. Nel 605 era avvenuta la famosa battaglia di

Karkemish dove la coalizione assiro-egiziana era stata definitivamente

sconfitta dai Babilonesi comandati dal figlio di Nabopolasar, Nabucodo-

nosor. Lo stesso anno 605 muore Nabopolasar e sale al trono Nabucodo-

nosor che sarà ufficialmente intronizzato nella primavera del 604 in oc-

casione della processione del dio Marduk. Sconfitta l’Assiria, Nabucodo-

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 135

nosor intraprese le sue spedizioni sui ruderi dell’antico impero assiro.

Cominciava ad essere chiaro che i babilonesi si sarebbero sostituiti

all’impero Assiro e ciò cominciò ad essere chiaro anche per Geremia.

I testi del capitolo 25 e del capitolo 19 ci riferiscono perciò un di-

scorso in questo sfondo storico. Questi due testi sono arrivati a noi un

pochino manomessi e confrontandoli possiamo ricostruire nel seguente

modo :

1) l’azione simbolica prima del discorso; 2) il discorso tenuto nel tempio; 3) le conseguenze del discorso.

L’azione simbolica consiste nel fatto che il profeta deve comprare

una brocca di terracotta e deve recarsi con alcuni anziani del popolo ed

alcuni sacerdoti nella valle di Ben-Hinnòn a Gerusalemme e lì davanti ai

loro occhi spezzare quella brocca. A questo punto c’è l’annunzio di Ge-

remia in 19,10: «spezzerò questo popolo e questa città come si spezza un

vaso di terracotta che non si può più aggiustare», l’azione simbolica

perciò mira ad annunziare la distruzione di Gerusalemme. Siamo

nell’anno 604 e questa distruzione si verificò esattamente diciotto anni

dopo. L’azione simbolica nei profeti è importante perché essa non si li-

mita soltanto all’aspetto intellettivo, ma nella concezione antica, l’azione

simbolica imprime nella storia quasi un dinamismo che orienta la storia

stessa verso ciò che l’azione simbolica indica. Agli occhi di tutti perciò

Geremia ha impresso nella storia un movimento che culmina appunto

nella distruzione della città.

Il discorso stesso, ancora una volta, è riferito in maniera succinta

nel capitolo 19 da Baruc, in maniera più diffusa dal redattore deuterono-

mista nel capitolo 25. Il profeta esordisce ricordando come dall’anno tre-

dicesimo di Giosia fino al momento presente51, ma non è stato solo lui a

parlare al popolo: il Signore ha inviato con assidua premura i suoi servi, i

51 L’indicazione «23 anni» nel verso 3 probabilmente è una aggiunta, ma è giusta.

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suoi profeti, Geremia perciò non è il solo, ma uno dei tanti che il Signore

ha mandato, l’esortazione era sempre la stessa: abbandonare la propria

condotta, abbandonare gli idoli. Ma siccome il popolo non ha ascoltato,

Dio stesso decide di mandare una calamità, leggiamo nel verso 25,8 le

parole: «per questo dice il Signore degli eserciti: poiché non avete ascol-

tato le mie parole ecco Io manderò a prendere tutte le tribù del setten-

trione». L’allusione è chiaramente ai babilonesi anche se il profeta si a-

stiene da dirlo esplicitamente. Nel capitolo 25 non è chiaro però fin dove

arrivano le parole di Geremia e quelle dei deuteronomisti, in ogni caso il

profeta annunziò la distruzione della città, leggiamo infatti nel verso 9:

«voterò costoro allo sterminio e li ridurrò ad oggetto di orrore». Nel ver-

so 10 si introduce un testo che appartiene però probabilmente ad una ri-

lettura posteriore, leggiamo infatti: «farò cessare in mezzo a loro le grida

di gioia e le voci di allegria, la voce dello sposo e la voce della sposa, il

rumore della mola e il lume della lampada», immagini che indicano la

totale devastazione.

C’è un progresso rispetto al discorso del 609 (il primo), mentre al-

lora il profeta aveva soltanto minacciato la distruzione del tempio, ora

annunzia con chiarezza una catastrofe.

Nemmeno da questo discorso il profeta ne uscì indenne, le conse-

guenze ci sono narrate ancora da Baruc nei versi 1-6 del capitolo 20. Ge-

remia fu arrestato dal capo del tempio, un certo Pashkur, che fece flagel-

lare Geremia e lo rinchiuse per tutta la notte in uno strumento di tortura.

Il giorno dopo però Geremia fu liberato, ma ancora una volta il profeta

dipende dalla Parola del Signore, e se la flagellazione e la chiusura nello

strumento di tortura avrebbero scoraggiato chiunque e avrebbero indotto

a rimangiarsi le parole dette, il profeta non può farlo, perché non sono pa-

role sue. Anzi il profeta rincara la dose e stavolta esplicitamente menzio-

na i babilonesi, leggiamo infatti nel verso 4: «metterò tutto Giuda nella

mani del re di Babilonia, il quale li deporterà in Babilonia». Il profeta

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 137

predice anche un saccheggio della città e del tempio che avvenne già nel

597, sette anni dopo, leggiamo nel versetto 20,5: «Consegnerò tutte le

ricchezze di questa città e tutti i suoi prodotti, tutti gli oggetti preziosi e

tutti i tesori dei re di Giuda in mano ai suoi nemici, i quali li sacchegge-

ranno e li prenderanno e li trasporteranno a Babilonia». Infine il profeta

fa una profezia anche per il suo aguzzino, Pashkur, al quale preannunzia

nel verso 20,6: «Tu, Pashkur, e tutti gli abitanti della tua casa andrete in

schiavitù; andrai a Babilonia, là morirai e là sarai sepolto, tu e tutti i

tuoi cari, ai quali hai predetto menzogne».

Il capitolo 36 è ambientato nella stessa epoca del discorso prece-

dente, cioè nell’anno quarto di Jojakim, Baruc ci riferisce di un comando

che il profeta riceve dal Signore, egli deve prendere un rotolo e scrivere

tutte le cose che il Signore ha detto attraverso il profeta dal tempo di Gio-

sia fino al momento presente. Narra il testo, nel verso quattro, che Gere-

mia chiamò Baruc, il quale scrisse sotto dettatura. Il profeta comanda a

Baruc di trovare l’occasione per leggere quel rotolo nel tempio, nella spe-

ranza che il popolo capisca e si converta. Geremia motiva tutto ciò col

fatto che egli è impedito di entrare nel tempio, ciò significa che dopo il

discorso del 604, insieme alla fustigazione e alla tortura, ricevette anche

il comando di non mettere mai più piede nel tempio. Ma il comando è da-

to a Geremia, non al Signore di non parlare, e se il profeta è impedito di

parlare sceglie la forma scritta affidandola a Baruc che non è impedito. Il

testo, nel verso 9, ci dà un’altra indicazione cronologica: l’anno quinto di

Jojakim in occasione di un digiuno indetto per il quale il popolo era ra-

dunato Baruc lesse il rotolo, questa lettura fece impressione, tanto che i

capi chiesero che lo si rileggesse davanti a loro e decisero che fosse letto

davanti al re. Al re Jojakim non si presentò Baruc al quale fu consigliato

di nascondersi, lo lesse uno dei capi, ma Jojakim con molto orgoglio,

man mano che il rotolo si leggeva lo bruciava. Baruc aveva sottolineato

che quello che aveva scritto era tutto quello che Geremia aveva dettato.

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Leggiamo nel verso 18 le parole di Baruc: «di sua bocca Geremia mi det-

tava tutte queste parole ed io le scrivevo nel libro con l’inchiostro». Jo-

jakim dopo avere bruciato il rotolo comandò che sia Baruc, come Gere-

mia fossero arrestati ma, leggiamo nel verso 26: «il Signore li aveva na-

scosti» ma l’azione orgogliosa di Jojakim non annulla la Parola del Si-

gnore, il quale comanda ancora a Geremia di riscrivere quel rotolo, anco-

ra una volta Geremia dettò quel rotolo a Baruc e dice il testo (verso 32):

«apportandovi delle aggiunte». Questo rotolo comprendeva gli oracoli

dal tempo di Giosia fino al momento presente, probabilmente possedia-

mo questo rotolo, esso dovrebbe coincidere con i capitoli 1-6 dell’attuale

libro, questi capitoli infatti contengono oracoli proprio dal tempo di Gio-

sia fino al momento presente. Questi capitoli infatti si possono dividere

in tre parti:

1) la vocazione (capitolo 1), ampliata con delle visioni simboliche52; 2) gli oracoli del primo periodo (capitoli 2-4,2); 3) gli oracoli del momento presente (capitoli 4-6), che annunziano una sventura.

In questi capitoli il profeta annunzia la catastrofe babilonese, in

4,6 leggiamo: «alzate un segnale verso Sion, fuggite, non indugiate per-

ché io mando da settentrione una sventura, il leone (Nabucodonosor) è

balzato dalla boscaglia». Il profeta esorta alla conversione, leggiamo nel

verso 9: «per questo vestitevi di sacco, lamentatevi e alzate grida perché

l’ira del Signore non si è allontanata da noi». Il profeta deve annunziare

una sciagura ed è molto diversa la sua attività da quella del primo perio-

do, ma il profeta stesso ne soffre e arriva addirittura a somatizzare, leg-

giamo infatti in 4,19: «le mie viscere, le mie viscere, sono straziato, le

pareti del mio cuore, il cuore mi batte forte, no riesco a tacere perché ho

udito uno squillo di tromba, un fragore di guerra, si annunzia rovina so-

pra rovina e tutto il paese è tutto devastato». Leggiamo ancora in 5,15:

52 Quella del mandorlo e quella della pentola.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 139

«ecco manderò contro di voi una nazione da lontano, una nazione di cui

non conosci la lingua, divorerà le tue messi e il tuo pane, i tuoi figli e le

tue figlie». E così per tutti questi capitoli che sono un drammatico annun-

zio di distruzione ma insieme un forte appello alla conversione.

Abbiamo detto che Jojakim aveva cercato Baruc e Geremia per

farli arrestare, ma il Signore li aveva nascosti. E il Signore li nascose per

un certo periodo e infatti di Geremia per circa sette anni non sappiamo

più nulla, fino cioè al 597 quando vennero i Babilonesi, gli stessi geroso-

limitani cedettero di propiziarsi i babilonesi uccidendo Jojakim e gettan-

do il suo cadavere dalle mura. A suo posto misero sul trono il figlio Joja-

kin che regnò appena qualche mese, perché il 597 fu l’anno della prima

deportazione in Babilonia. Nabucodonosor deportò senza distruggere,

deportò Jojakin mettendo sul trono un discendente davidico collaterale,

un certo Sedecia. Tra i deportati di questa prima deportazione c’era una

famiglia sacerdotale a cui apparteneva un ragazzetto (di circa 11 anni),

che da li a quattro anni, in babilonia, avrebbe ricevuto la vocazione pro-

fetica, parliamo di Ezechiele.

In tutti questi sette anni di Geremia non sappiamo nulla, ma a

questo punto noi possiamo considerare l’animo del profeta, lui stesso, a

differenza degli altri, ci permette di capire il tormento del suo animo, in

un contrasto violento tra la bellezza della missione profetica del primo

periodo e la situazione del momento presente del tutto opposta.

Conserviamo le cosiddette “confessioni di Geremia” da non con-

fondere con le lamentazione, queste ultime si collocano dopo la caduta di

Gerusalemme e molto verosimilmente non sono di Geremia. Vedremo

che le lamentazioni possono essere accostate al Salmo 73 come anche al

Salmo 101.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 140

Nelle confessioni il profeta sfoga il suo animo, ci fa capire tutta la

sua amarezza che tocca il fondo fino a maledire il giorno in cui è nato,

amarezza però che poi man mano è rischiarata da profonda luce.

Non siamo in grado di datare con maggiore precisione queste con-

fessioni, debbono però essere messe tra il 609 e il 604, la vocazione che

costituisce la prima parte del rotolo sembra riferirsi al momento in cui il

profeta ha superato la sua crisi ed ha preso ulteriore coscienza della sua

missione profetica.

Queste confessioni, tranne qualcuna, ci sono giunte in maniera

frammentata ed è difficile ricostruirle in maniera organica e anche asse-

gnarle a dei momenti precisi. L’ordine attuale del libro non rispecchia né

l’ordine storico e nemmeno l’evoluzione dell’animo del profeta. Riu-

sciamo ad individuare i seguenti passaggi riferibili appunto alle sue con-

fessioni:

� 11,18-20 � 12,3-6 � 15,10-11.15-21

� 17,14-18 � 18,18-23 � 20,7-11-13

Questi testi ci mettono sulla scia per riferire alcuni salmi, io al

profeta attribuirei il Salmo 31 e 38.

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Giovedì 09 dicembre 2004, ore 08,30 / 10,15

CONFESSIONE DI GEREMIA 20,7-13

Distinguiamo quattro quadri :

- 1° quadro: Versi 7-10, dove il profeta, da una parte rimprovera Dio, e dall’altra descrive il suo dramma interiore («tutti i miei a-

mici spiavano la mia caduta…»);

- 2° quadro: Verso 11. Rappresenta un momento di ritorno, di lucidità del profeta, quasi che il profeta rientra in sé stesso. Tutta la parte precedente è stata pronunziata nell’amarezza dell’animo, in un momento in cui il profeta nemmeno ra-gionava. Adesso, quasi rientrando in sé stesso, il profeta fa una sua riflessione;

- 3° quadro: Verso 12. La presa di coscienza che il Signore è vicino in-duce ad affidarsi a Lui nella preghiera;

- 4° quadro: Verso 13. La preghiera di affidamento porta ad una conse-guenza: il profeta si apre alla gioia.

Questa confessione ci permette di cogliere in sintesi tutta

l’evoluzione dell’animo del profeta. Ci dà infatti quattro atteggiamenti

progressivi: c’è il momento del totale disorientamento, quando il profeta

è quasi sommerso dalle difficoltà.

In un secondo momento, il profeta ha la forza di recuperare fidu-

cia, quasi prendendo le distanze da quello che succede attorno, rientra in

sé stesso e riflette. Nella riflessione prende coscienza che il Signore è con

lui. Presa questa coscienza, si passa alla preghiera e nella preghiera si

sperimenta la gioia. Il Signore ancora non lo ha liberato, ma il profeta è

certo che il Signore lo libererà e questo è il motivo della sua gioia. Su

questo sfondo si colloca il racconto della vocazione.

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Venerdì 10 dicembre 2004, ore 10,30 / 12,15

VOCAZIONE DI GEREMIA 1,1-19

Nella prima frase Baruc, a cui è dovuta questa introduzione, ci dà

le generalità del profeta. Da qui sappiamo che proveniva dai sacerdoti

che erano in Anatot, un villaggio non molto distante da Gerusalemme,

nella terra di Beniamino. Questa prima introduzione riguarderebbe un po’

tutta la figura di Geremia nella sua complessità personale; dopo, Baruc,

passa a introdurre la specifica vocazione.

Notiamo l’espressione «fu la Parola del Signore su di lui». La

versione italiana, scrivendo «a lui fu rivolta la Parola del Signore» sem-

bra svuotare la forza dell’espressione originale: l’espressione ebraica non

indica soltanto che il Signore gli parlò, ma che sul profeta si verificò

l’evento della Parola. Nelle parole seguenti, Baruc, data con estrema cura

questo avvenimento. Scrive infatti: «nei giorni di Giosia, figlio di Am-

mon, re di Giuda». Anzi, Baruc, precisa che si tratta del tredicesimo anno

che appartiene al suo regno (640 inizio – 627 tredicesimo anno). È im-

portante questa indicazione cronologica. Non siamo nella prospettiva di

una presa di coscienza psicologica personale, ma nella prospettiva

dell’evento della Parola del Signore su di lui. Come il profeta abbia per-

cepito l’evento della Parola, questo non ci viene detto, e nemmeno è det-

to negli altri profeti: Isaia descrive la sua consacrazione profetica me-

diante una visione al tempio e anche Ezechiele descriverà con una visio-

ne con linguaggio tipicamente babilonese. Però sfugge la precisa perce-

zione dell’evento.

Baruc però introduce un’altra indicazione. Leggiamo infatti la

menzione dei giorni di Joiakim, figlio di Giosia.

Sappiamo che Joiakim salì al trono nel settembre del 609. Nel

cap. 36, Baruc ci dà un’altra indicazione crono logica: nell’anno quarto di

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 143

Ioiakim. Quest’anno fu l’anno del secondo discorso di Geremia al tempio

e insieme l’anno in cui, per ordine del Signore, dovette scrivere il rotolo.

Le due indicazioni del 13° anno di Giosia e del regno di Joiakim sono

giuste: il rotolo, infatti, propone una selezione di tutti gli oracoli da quel

tempo (627) al 604.

Non deve perciò appartenere alla penna di Baruc l’ultima indica-

zione cronologica. Questa ultima indicazione ci riporta nel quinto mese

dell’11° anno di Sedecia. Il quinto mese (agosto) ci riporta la mese di a-

gosto del 586, quando cioè il tempio fu distrutto e avvenne la seconda

deportazione.

La menzione di Sedecia è dovuta perciò ad un redattore posteriore

che volle dare la completa indicazione dell’opera di Geremia.

L’indicazione però è giusta perché il ministero profetico di Geremia finì

nell’autunno seguente , quando fu costretto da un gruppo di facinorosi ad

andare in Egitto, e da allora in poi, del profeta non sappiamo più niente.

Dopo questi versi introduttivi che ambientano gli oracoli dei capi-

toli 1-6, si introduce la vera e propria vocazione di Geremia. Le parole

con cui è espressa, in cui Geremia parla alla prima persona, rivelano che

Baruc stia scrivendo sotto dettatura.

Abbiamo anzitutto una introduzione. La formula introduttiva alle

parole del Signore non serve soltanto ad introdurle, ma sottolinea

l’evento stesso della Parola. Possiamo notare che il termine

«��!�» (�����), è singolare, mentre le parole che Dio pronunzierà sono

tante. Forse il profeta distingue tra «l’evento della Parola», come fatto

assoluto, e le parole concrete con cui essa si è manifestata. Andando alle

parole dirette, esse sono formulate in maniera poetica: abbiamo un tristi-

co (3 versi) di cui, i primi due versi hanno quattro accenti ciascuno, il

terzo verso invece ne ha tre.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 144

I primi due versi hanno quattro parole ciascuna, ed ogni parola

costituisce un accento. La particella «%�"*"� �» (������� - prima che), ripe-

tuta due volte all’inizio, assume un carattere molto enfatico: Dio rivendi-

ca di essere prima del profeta stesso e di avere compiuto una azione ante-

riore a quella che è avvenuta nel tempo.

La prima azione avvenuta nel tempo è quella di essere formato. Il

verbo «8���D�"» (�������) è un imperativo di prima persona singolare dal

verbo «�/��» (����� – plasmare, formare). L’espressione seguente

« *"�"�» (�������) indica specificamente il grembo della madre anche du-

rante la sua gestazione, Dio rivendica di essere Lui l’artefice. È lui che ha

formato il profeta, così come dirà il Salmo 138, che per tanti versi ri-

chiama Geremia. Il Salmo dice: «Signore, Tu mi scruti e mi conosci», ma

poi, più avanti, quasi riprendendo l’immagine del Dio ricamatore, conti-

nua: «Sei Tu che mi hai formato nel grembo e mi hai intessuto nel seno di

mia madre». Il salmista richiama l’opera della creazione nel grembo ma-

terno per sottolineare che tutto di lui è ben noto a Dio, essendone

l’artefice. Ma Dio, in Geremia, rivendica una azione ancora più a monte,

espressa col verbo «8�(���!��» (���������� – ti ho conosciuto).

Il verbo «�!��» (�����) significa conoscere, ma nel linguaggio ebraico

non si ferma soltanto all’aspetto intellettuale. Conoscere, in questo caso,

ha una complessità di sensi, quasi a dire: ti ho previsto, ti ho scelto, ti ho

chiamato. Donde capiamo che non c’è prima la formazione umana e poi

la chiamata, ma al contrario, prima la chiamata e poi la formazione uma-

na (nel grembo materno).

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 145

La seconda frase ripete, più o meno, quello che ha detto prima,

ma con qualche progresso. Leggiamo nella seconda frase anzitutto la

stessa forma avverbiale «%�"*"��» (������� – prima che), inoltre dal verbo

«8���D�"» (������� – che ti formassi) si passa al verbo

«�/�(�» (����� - uscissi): Dio considera tutto il processo dal concepimento

alla nascita. Ancora, dal termine « *"�"�» (�������), che richiama

l’organo interno (grembo) della madre si passa a «%�"�"��» (�������),

l’organo esterno. In questo modo, Dio sottolinea l’assoluta priorità sul

profeta. Si passa infine dal verbo «8�(���!��» (���������� – ti ho conosciu-

to), al verbo «8�(���5����» (����� ����� - ti ho santificato). Santificare,

qui significa appartenere al Dio Santo, anche se nella seconda frase ab-

biamo un progresso, in realtà esprimono la totale opera di Dio nei con-

fronti del profeta. Dio sta dicendo che il profeta intrinsecamente appar-

tiene a Lui. E il suo essere profeta non è un fatto accidentale che si ag-

giunge alla sua persona, ma un fatto costitutivo essenziale.

Il terzo verso, costituito di solo tre parole, comprende tre accenti:

«������» (���!�), «%�)�1�» (lª"#��) e «8�(����» (������!��). Facendo l’analisi

logica il termine «������» (���!�) è predicato del complemento oggetto. La

seconda parola «%�)�1�» (lª"#��) è un dativo di vantaggio, la terza parola

«8�(����» (������!��) è il verbo con il suo complemento oggetto. Se il pro-

feta avesse dovuto seguire l’ordine logico, avrebbe dovuto dire: «ti ho

costituito(1) profeta(2) per le genti(3)». L’ordine seguito, però, enfatizza

ciascun elemento e la frase deve essere letta con maggiore lentezza: si di-

rebbe che nella pronunzia ogni parola viene marcata.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 146

In questa terza frase è espressa la missione del profeta, ma è una

missione non staccata dalle frasi precedenti. Emerge il seguente progres-

so:

� ti ho conosciuto;

� ti ho santificato;

� ti ho costituito.

La costituzione, perciò, si fonda nelle stesse azioni di conoscere e

santificare. Quasi a dire che il profeta non può esistere se non come pro-

feta; e dare le dimissioni a Dio equivale semplicemente a non esistere.

Non è che il profeta non lo sapesse prima, ma queste parole assumono un

più profondo significato alla luce degli eventi precedenti: quanto bramò

non essere profeta. Lo sa benissimo che non può esistere se non come

profeta, per questo arrivò a maledire, in un momento di totale prostrazio-

ne, il giorno in cui nacque. Ma maledire il giorno in cui si è nati, alla luce

di queste parole, equivale a contestare Dio per averlo conosciuto e averlo

santificato. Il profeta adesso riprende coscienza di questa sua originale

vocazione e, tale presa di coscienza, deve essere il frutto di un travaglio

superato. È importante la destinazione della sua missione profetica:

«%�)�1�» (lª"#��) per le genti, perciò alla sua missione profetica Dio non

pone limiti ed i destinatari di questa sua missione, possono essere chiun-

que: dal popolo ai capi, dal popolo ai popoli. Su tutti è costituito profeta.

Ma dal momento che non potrà, umanamente parlando, essere profeta di

tutti, allora dovrà attendere che sia Dio ad indicargli dove, in concreto,

deve andare.

Nei versi 6-8, segue un dialogo tra Dio e il profeta. Il profeta ri-

corda di avere avuto un piccolo battibecco con Dio stesso. Di fronte alla

chiamata di Dio il profeta reagisce, però la sua obiezione si riferisce sol-

tanto all’ultima frase di Dio: «profeta per le genti ti ho costituito». Nella

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sua obiezione dimentica le prime due frasi, ma nella sua risposta, saranno

presenti a Dio. Il profeta, di fronte alla missione di essere profeta, e per-

ciò di dovere parlare, fa un sospiro «ah…». Qualcuno bestialmente, da

questa intenzione ha dedotto che Geremia fosse balbuziente. Il profeta

avanza l’obiezione di non sapere parlare. Anche qui il verbo

«�!��» (�����) non indica una incapacità a parlare, ma indica piuttosto

una incompetenza. Il profeta è giovane, e questa è la motivazione che a-

vanza. Un giovane non ha esperienza e, soprattutto, in un consesso di an-

ziani deve tacere. Il profeta perciò si sente inadeguato al compito che Dio

gli affida. Ma Dio, come suole sempre fare, smonta le obiezioni. La ri-

sposta di Dio poggia sul presupposto che Geremia appartiene a Lui e, dal

momento che gli appartiene, egli non dovrà agire di testa sua. Per questo

Dio smonta l’obiezione. La risposta di Dio si articola in quattro frasi con-

crete in struttura poetica con tre accenti ciascuna. Le quattro frasi sono:

1. non dire giovane io; 2. poiché dovunque ti manderò, andrai; 3. tutto ciò che ti comando dirai; 4. non temere dalla loro faccia poiché con te io per liberarti.

Dio smonta le obiezioni. Essere giovani significa non avere espe-

rienza di come parlare e cosa dire, ma questa obiezione non vale perché il

profeta non deve parlare con sue parole, ma deve dire ciò che Di gli co-

manda di dire. Donde il fatto che al profeta non è lecito mitigare, o in

qualsiasi modo, mutare quello che il Signore gli comanda di dire. La se-

conda (o prima) obiezione, insita nell’essere giovane, è il fatto di non a-

vere autorità sufficiente per parlare alle persone a cui Dio lo manda, sia-

no essi anziani o capi. Certo che il profeta non ha autorità, ma lui deve

parlare non con propria autorità, ma con quella di Colui che lo manda. La

seconda frase infatti, «dovunque ti manderò, andrai», Dio smonta ogni

obiezione del profeta sottolineando che dovrà parlare con Sue parole e

con Sua autorità, ciò perché appartiene a Dio. Ma proprio perché appar-

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tiene a Dio, costi quel che costi, non può esimersi.

L’ultima frase suona strana perché Dio esorta a «non temere», an-

zi dice: «non temere dal loro cospetto» e questa frase pronominale indica

che l’allusione è a persone ben concrete e determinate. Concretamente

sono quei «%�)�1�» (lª"#�� – per le genti) al quale Dio lo manda. Ma più

strana ancora è la motivazione per cui Dio comanda di non temere, il fat-

to cioè che Dio sarà con lui per liberarlo. Questa frase non rispecchia il

tempo quando avvenne la vocazione, ma il tempo in cui fu scritta, dopo

che il profeta aveva subíto ciò che aveva subíto.

Mercoledì 15 dicembre 2004, ore 10,30 / 12,15

Nel verso 9 il profeta descrive l’azione mediante la quale viene

costituito profeta. Non si tratta di una visione come Isaia e come lo sarà

anche per Ezechiele, ma di una percezione quasi fisica della mano di Dio

sopra la sua bocca. Il soggetto di questa azione non è Dio, bensì la Sua

mano, Dio comandò alla Sua mano di toccare la bocca del profeta. Tale

azione è accompagnata da parole precise. Nelle parole di Dio notiamo

due forme avverbiali introduttive: l’avverbio «�#$��» (������) e quattro

parole dopo l’imperativo del verbo «�����» (����� - vedere). L’imperativo

significherebbe «vedi» ma anch’esso ha una forma avverbiale. Abbiamo

un testo un po’ squilibrato in quanto due forme avverbiali introducono

testi quantitativamente disparati. Probabilmente ci deve essere stata una

manomissione testuale: o un copista dimenticò quelle parole e le aggiun-

se dopo, oppure ritenne di potere aggiustare il testo spostando questi ver-

si dopo. Se spostiamo i sei infiniti dopo l’espressione «nella tua bocca»

otteniamo un testo quantitativamente proporzionato e inoltre più coerente

come senso perché apparirebbe chiaro quale sia lo scopo per cui Dio po-

ne sulla bocca del profeta le sue parole.

Passiamo ai sei infiniti: «�������»; «.��������»; «!����'����»;

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«>���'���»; «�������»; «��*������», anche i sei infiniti pongono qualche

problema: sono tutti infiniti costrutti con il prefisso «lamed» con valore

finale, ma si ottiene un testo lunghissimo e inoltre un testo non preciso

nel senso. Possiamo mettere in relazione il primo infinito con l’ultimo e

otteniamo l’immagine di una pianta: estirpare una pianta per piantarne

un’altra. Come pure possiamo mettere insieme il secondo infinito “di-

struggere” in relazione al quinto “edificare” e si ottiene l’immagine di

una casa che va distrutta per essere edificata. Possiamo proporre questi

quattro verbi strutturalmente nel seguente modo:

1) estirpare;

2) distruggere;

casa pianta

3) edificare;

4) piantare.

Il soggetto di queste azioni non è chiaro, probabilmente non è il

profeta, ma è Dio, e ciò è suggerito dalla stessa costruzione sintattica:

Dio ha detto: «ecco pongo», a questo verbo “pongo” seguono bene i

quattro infinito finali: «egli pone per estirpare e piantare, distruggere ed

edificare». Però nel compiere questa azione Dio si serve del profeta e per

mezzo di lui dovrà prima estirpare e distruggere, poi edificare e piantare.

Già in questi quattro verbi sono adombrate le difficoltà del profe-

ta: sradicare e distruggere non piace, e in questa azione di contestazione

della mentalità degli uomini il profeta troverà difficoltà.

Tra questi quattro verbi ne troviamo altri due: «devastare» e «de-

molire», a differenza degli altri che si relazionano per opposizione, questi

due invece si relazionano per continuità e non fanno altro che ribadire

quello che era stato indicato nei primi due verbi. Avremmo così una sot-

tolineatura dell’azione negativa del profeta. Il fatto che sottolineano una

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azione negativa, il fatto che creano uno squilibrio nel testo e il fatto infi-

ne che non si relazionano per opposizione ma per continuità, suggerisco-

no che questi due verbi siano una aggiunta di qualcuno che volle esaspe-

rare l’azione negativa del profeta.

Rileggendo tutta l’azione della consacrazione profetica di Gere-

mia potremmo proporre tre osservazioni:

1) La prima riguarda l’indole dell’azione che il profeta riceve, abbiamo letto «mandò il Signore la Sua mano e fece toccare la mia bocca», sia la parola mano, sia la parola bocca rimandano ad un contatto fisico: quando e come sia avvenuto questo sfugge, ma il profeta precisa non di avere avuto una visione, bensì l’esperienza di un contatto fisico;

2) La consacrazione profetica è accompagnata dall’evento della Parola sul profeta: Dio pone le Sue parole, il soggetto sarà sempre Dio e Dio ha un programma: estirpare come una pianta per poi ripiantarla, demo-lire come una casa ma per poi edificarla. La Sua azione solo in un primo momento sarà negativa, ma poi si risolverà in azione positiva, ma, questo il testo non lo dice ma lo suggerisce, a condizione che si accetti l’opera negativa. Ciò rivela che nel disegno di Dio non c’è mai una azione negativa fine a sé stessa, ma c’è una azione negativa fina-lizzata a qualcosa di nuovo;

3) Delle parole con cui Dio accompagna la Sua azione troviamo due a-spetti: quello di porre le Sue parole, e quello di costituire sopra i re-

gni…, cioè Dio dà la Sua Parola e conferisce autorità. Sono esatta-mente le due cose che si nascondevano nella obiezione di Geremia di essere giovane: Dio aveva smontato questa obiezione risolvendo i due aspetti che nella obiezione si nascondevano. Il profeta aveva obiettato di non avere esperienza di parola e di non avere autorità per parlare. Dio risponde prima negativamente, poi positivamente.

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Possiamo proporre le parole di Dio nel seguente modo:

1) dovunque ti manderò tu andrai; (verso 7) 2) tutto ciò che ti comando dirai; (verso 8) 3) ecco pongo le mie parole sulla tua bocca; (verso 9)

4) ecco ti costituisco sopra i regni; (verso 10a)

Il profeta riceve il comando di andare dove Dio comanda (1) e ci an-drà con la autorità di Dio (4); il profeta dirà quello che Dio gli coman-da (2); perché Dio pone le Sue parole sulla sua bocca (3).

Finita la descrizione della consacrazione profetica, il racconto del-

la vocazione si interrompe dal verso 13 fino al verso 16 incluso. Qui sono

introdotte due visioni simboliche che non appartengono al racconto ori-

ginale, ma che furono aggiunte in un secondo momento, ma dato il modo

ottimale con cui sono inserite, dobbiamo concludere che siano state ag-

giunte dal profeta stesso quando compose il suo rotolo.

Le due visioni non sono nemmeno unite tra di loro, ma rivelano al

loro interno l’opera redazionale del profeta stesso. Dio interroga il profe-

ta su che cosa egli vede: evidentemente Dio sta mostrando al profeta un

oggetto, il profeta lo riconosce come un ramo di mandorlo. Alla lettera il

termine ebraico (!����) indica «colui che veglia», e il mandorlo è chiama-

to «vigilante» perché è il primo albero a fiorire dopo il tempo invernale.

Perché Dio mostra al profeta quel ramo di mandorlo? Appare dalla rispo-

sta che Dio dà. Dio loda Geremia perché ha visto bene, effettivamente

era un ramo di mandorlo, e Dio paragona sé stesso a quel ramo di man-

dorlo. Come il ramo di mandorlo veglia in quanto è il primo a svegliarsi

dopo il sonno dell’inverno così Dio veglia, cioè non dorme sulla sua pa-

rola per farla. Il senso di questa visione si comprende bene: il profeta si

era lamentato con Dio perché lo aveva costretto a dire parole dure, lo a-

veva costretto ad annunziare sciagure, ma poi non aveva fatto nulla. Gli

ascoltatori magari intimoriti a principio, poi avevano schernito Geremia

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prendendolo per bugiardo. E il profeta aveva chiesto a Dio che se proprio

gli faceva annunziare delle sciagure almeno le facesse venire per non es-

sere lui schernito. Attraverso questa visione Dio fa sapere al profeta che

la Sua parola non è caduta, Egli veglia sulla Sua Parola per realizzarla e

veglia come un mandorlo perché la Sua Parola non si perda e non cada

nel nulla. Perciò Egli realizzerà quello che attraverso il profeta ha annun-

ziato.

Passiamo alla seconda visione, notiamo l’aggettivo femminile

“���)��”, per la seconda volta il profeta lega questa seconda visione alla

precedente e se questa seconda visione all’origine poteva essere autono-

ma, ora nella presente redazione completa la precedente. Nella preceden-

te visione del mandorlo, Dio aveva detto che vegliava sulla Sua Parola,

ma non aveva detto come e quando l’avrebbe realizzata. La seconda vi-

sione risponde a questo problema. Dal punto di vista letterario essa è in-

trodotta allo stesso modo della precedente. Dio rivolge identica domanda:

«che cosa vedi Geremia?» e il profeta risponde con una formula analoga:

«e dissi pentola di terracotta soffiata io vedente e la sua faccia dal co-

spetto», soffiata cioè posta su un fuoco soffiato, ravvivato, e pertanto il

contenuto della pentola bolle. Questa pentola però ha una precisa posi-

zione, la faccia della pentola è il suo orlo orientato verso settentrione, e

perciò non si tratta di una pentola posta in verticale, ma di una pentola

posta in posizione obliqua. Quando cioè si inclina un recipiente per po-

terlo bere dovete metterlo in posizione obliqua verso la bocca. Il contenu-

to di quel recipiente si versa dalla parte verso cui la pentola è inclinata.

Dio spiega: dal nord sarà aperta la calamità su tutti gli abitanti della

terra, Dio annunzia che la calamità sarebbe avvenuta dal nord, cioè dal

nord scendendo attraverso la Assiria e il Libano sarebbe venuta la cala-

mità cioè l’invasione Babilonese. Dio continua spiegando: ecco io sto per

chiamare a tutte le tribù i regni. Questa visione deve collocarsi prima di

essere inserita nel racconto della vocazione di Geremia, tra il 609 e il

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604. Nel 609 il profeta aveva annunziato la caduta del tempio, quattro

anni dopo aveva parlato esplicitamente dei babilonesi. Qui ancora è vago,

parla delle tribù e dei regni del nord, ma già nel 605, la vittoria dei babi-

lonesi sulla coalizione assiro-egiziana aveva lasciato intravedere che sa-

rebbero stati i babilonesi i nuovi padroni del mondo. Se è permesso fare

una riflessione, i profeti portatori della Parola di Dio sono lucidissimi let-

tori della storia, come lo fu Isaia lo è anche Geremia. Ma i profeti sanno

anche che la storia è in mano al Signore, per questo esortano a tornare a

Lui.

I versi 15b, 16, non sono stati considerati perché non sono proba-

bilmente di Geremia, ma sono delle riflessioni aggiunte da altri dopo che

si verificarono gli eventi: «essi verranno e ognuno porterà il trono contro

le porte di Gerusalemme […]».

Invece nei versi 17-19 abbiamo le ultime parole di Dio, possiamo

anzi distinguere tra il verso 17a ed i versi 17b-19. Nel verso 17a Dio co-

manda al profeta di non perdere tempo e di mettersi all’opera: «e tu cin-

gerai (cingiti) i tuoi fianchi», cingersi i fianchi equivale a mettersi

all’opera, quando si portava un vestito lungo lo si alzava fino ai ginocchi

cingendolo ai fianchi con una corda per non essere ostacolato nel lavoro.

Il profeta perciò è comandato di mettersi all’opera e di andare a riferire

tutto quello che Dio gli ha detto.

I versi 17b-19 contengono parole di minaccia e di conforto, pos-

siamo classificarle in quattro frasi alternate:

1) non atterrirti dal loro cospetto perché non ti faccia atterrire al loro cospetto;

2) ti costituirò una città di fortificazione, colonna di ferro e muro di bronzo;

3) ti muoveranno guerra;

4) ma non prevarranno perché Sono con te per liberarti.

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Dio comanda al profeta di non spaventarsi davanti agli uomini, se

si spaventa ed indietreggia, sarà Lui a spaventarlo, e nelle confessioni

abbiamo letto la supplica del profeta: «non mi atterrire». Dio però pro-

mette al profeta di renderlo durissimo, ecco le tre immagini: città fortifi-

cata; colonna di ferro; muro di bronzo. Una città fortificata si prepara a

sostenere una guerra e la si fortifica non per evitare la guerra, ma per so-

stenerla. Il profeta ricorda che Dio glielo aveva detto che gli avrebbero

mosso guerra, cosa che è avvenuta, ma al profeta ha promesso solenne-

mente che non lo avrebbero sopraffatto e ciò per un solo motivo: perché

Dio era con lui per liberarlo.

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Sabato 08 gennaio 2005, ore 08,30 / 10,15

GLI ANNI DAL 604 AL 586

Nel 604 sale al trono di Babilonia Nabucodonosor che cominciò

la sua politica di espansione. Nel dicembre del 604, Nabucodonosor di-

strusse la città di Aschalon, Ioiakim che regnava dal 609 si sottomise. Ri-

cordiamo però che Ioiakim era stato voluto sul trono di Giuda dal faraone

Necao. Ricordiamo che nel giugno 609 era morto Giosia, era salito al

trono il figlio secondogenito Ioachaz, ma il faraone due mesi dopo aveva

deposto Ioachaz deportandolo in Egitto e aveva messo al trono il figlio

primogenito Ioiakim. Quest’ultimo perciò era premuto dal faraone a ri-

bellarsi contro Babilonia. Ioiakim perciò mantenne la sua fedeltà a Babi-

lonia solo per tre anni, poi si ribellò. In seguito, a questa ribellione, ven-

nero i Babilonesi e assediarono Gerusalemme. Si temeva il peggio, gli

abitanti di Gerusalemme, perciò, nel tentativo di ottenere grazia dai babi-

lonesi, uccisero Ioiakim e per mostrare che erano favorevoli ai babilone-

si, gettarono il suo cadavere fuori dalle mura. A riguardo conserviamo un

oracolo contro Ioiakim in Geremia 22,13-19, l’oracolo si conclude con le

parole: «sarà sepolto come si seppellisce un asino, lo trascineranno e lo

getteranno al di là delle porte di Gerusalemme». Un altro passaggio con-

tro Ioiakim è in 36,30 dove leggiamo: «il suo cadavere sarà esposto al

calore del giorno e al freddo della notte». Il capitolo 24 del secondo libro

dei re ci informa che alla morte di Ioiakim salì al trono il figlio diciotten-

ne Ioiakin (di cui ne parla la genealogia di Mattteo), che però regnò po-

chissimo tempo.

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Ioiakin si sottomise prontamente ai babilonesi e ciò evitò la di-

struzione della città. Nabucodonosor si accontentò di prendere del botti-

no e di deportare dei notabili di Gerusalemme.

Siamo nel 597, anno della prima deportazione in Babilonia. Tra i

deportati c’era il giovane re Ioiakin che continuò ad avere onori regali,

ma tra i deportati, in questa prima deportazione c’era una famiglia sacer-

dotale il cui figlioletto quindicenne da lì a quattro anni (593) avrebbe ri-

cevuto la vocazione profetica: stiamo parlando di Ezechiele. Nabucodo-

nosor mise sul trono un discendente davidico collaterale, un certo Sede-

cia di indole mite, ma fortemente pauroso e si trovò tra le pressioni di al-

cuni notabili per la ribellione e le pressioni di Geremia per la sottomis-

sione ai Babilonesi, cedendo però ai primi e questa fu la causa di quello

che successe.

Negli undici anni che intercorrono tra le due deportazioni, Gere-

mia ebbe un ruolo attivo e sofferto. Non troviamo oracoli particolarmente

significativi, ma abbiamo una attività del profeta che gli procurò delle

amarezze. Sedecia per quattro anni mantenne il suo giuramento ai Babi-

lonesi, ma nel 593, istigato da una corrente filo-egiziana si ribellò. A ri-

guardo ricordiamo tre capitoli del libro di Geremia, il capitolo 27, il capi-

tolo 28 e il capitolo 29.

Il capitolo 29 contiene una lettera che Geremia inviò agli esuli in

Babilonia nella prima deportazione. In questo capitolo nei versi 4-7 leg-

giamo delle parole che manifestano la grande lungimiranza anche politica

del profeta. Egli esorta a diffidare di tutti quei profeti che invece annun-

ziano un ritorno imminente. Da una parte il profeta esorta (dal verso 5):

«costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti, prendete

moglie e mettete al mondo figli e figlie, cercate il benessere del paese in

cui siete stati deportati, pregate il Signore per esso perché dal suo benes-

sere dipende il vostro benessere». In altre parole il profeta sta dicendo di

costruirsi una vita in Babilonia senza nessun tentativo di ribellione. Tut-

tavia il profeta esorta ad attendere la salvezza dal Signore e infatti nel

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verso 11 leggiamo: «Io infatti conosco i progetti che ho fatto a vostro ri-

guardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pie-

no di speranza, mi cercherete e mi troverete perché mi cercherete con

tutto il cuore. Mi lascerò trovare da voi, cambierò in meglio la vostra

sorte, e vi radunerò da tutte le nazioni». In altre parole il profeta sta di-

cendo che Dio non ha abbandonato gli esuli, è presente anche in Babilo-

nia, chiede che ci si rivolga a Lui e promette la Salvezza.

In Gerusalemme però il profeta deve dare un altro messaggio, il

capitolo 27 mostra come il profeta scoraggi tutti coloro che annunziavano

un ritorno imminente. In 27,2 si parla di una azione simbolica che il pro-

feta deve compiere: mettere sul suo collo un giogo. In questo modo il

profeta deve annunziare un tempo di sottomissione al re di Babilonia. Nel

verso 16 dello stesso capitolo, il profeta deve rivolgere una ammonizio-

ne: «dice il Signore: non ascoltate le parole dei vostri profeti che vi pre-

dicono che gli arredi del tempio saranno subito riportati da Babilonia».

Nabucodonosor nel 500 aveva preso parecchio bottino dal tempio, con la

restituzione degli arredi si voleva dire che il popolo deportato sarebbe

tornato presto, Geremia invece esorta: «siate piuttosto soggetti al re di

Babilonia».

In questo contesto si situa la disputa tra Geremia e un certo profe-

ta Anania, disputa riferita nel capitolo 28. Anania predicava da parte del

Signore il seguente messaggio: «Io romperò il giogo del re di Babilonia e

dopo due anni farò tornare in questo luogo (nel tempio) tutti gli arredi

presi dai babilonesi». Geremia contraddice Anania dichiarandogli che

non era quella la parola del Signore. Anania spezzò il giogo che Geremia

portava sul suo collo. In seguito a questa disputa il profeta rimase solo,

leggiamo infatti in 28,11: «il profeta Geremia se ne andò per la sua stra-

da», però il profeta, come sempre avvenne nella sua vita non poteva mu-

tare la Parola del Signore e il Signore manda a dire: «và e riferisci ad

Anania la Parola del Signore: tu hai rotto un giogo di legno ma al suo

posto ne farò uno di ferro», e poi rivolgendosi direttamente ad Anania

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Geremia continua: «quest’anno tu morirai perché hai predetto la ribel-

lione contro il Signore». Nota il narratore che Anania morì in quello stes-

so anno. Nonostante l’esortazione del profeta Sedecia si ribellò e non pa-

gò il tributo, siamo nell’anno 588. Nel 587 Nabucodonosor iniziò

l’assedio di Gerusalemme che avrebbe portato alla piena distruzione. Il

profeta Geremia ebbe dal Signore l’incarico di esortare alla resa, tutto ciò

è descritto nei versi 1-7 del capitolo 34. Il profeta fa sapere che il Signore

ha decretato la caduta di Gerusalemme e che anche Sedecia sarebbe stato

deportato, tuttavia se si fosse arreso sarebbe morto lui in pace. Gli avve-

nimenti di quest’ultimo anno e mezzo sono descritti nei capitoli 37-38,

questi capitoli sono un poco manomessi e non è facile ricostruire. Duran-

te l’assedio i babilonesi furono attaccati dagli egiziani e dovettero perciò

allentare l’assedio. Geremia esortava però a non farsi illusioni perché sa-

rebbero tornati. Qui però avvenne un fatto riguardante il profeta: appro-

fittando che l’assedio era stato allentato, il profeta uscì da Gerusalemme,

per andare (al suo paese Anatoth), come ci informa il testo di Geremia

37,12, per prendere una parte di eredità, ma mentre usciva fu arrestato dai

custodi gerosolimitani con l’accusa che passava ai caldei (cioè i babilo-

nesi). Il profeta fu preso, fu percosso e gettato in una prigione oscura do-

ve rimase per molti giorni. Frattanto i babilonesi erano tornati e Sedecia

mandò a prendere Geremia e gli chiese se avesse una parola da parte del

Signore, il profeta ribadisce che lui sarà dato in mano ai babilonesi. Tut-

tavia, in quella occasione, il profeta chiese a Sedecia di essere liberato da

quella prigione, il re lo esaudì e lo fece custodire nell’atrio della prigione.

A Gerusalemme c’era una corrente filo-egiziana che esortava alla resi-

stenza ad oltranza ai babilonesi.

Geremia al contrario esortava alla resa. Nel capitolo 38 al verso 2

leggiamo le parole che il profeta deve dire da parte del Signore. Rivol-

gendosi al popolo il profeta diceva: «chi rimane in questa città morirà di

spada, di fame e di peste. Mentre chi passa ai caldei (babilonesi) vivrà».

Queste parole ed altre simili furono giudicate disfattiste, Geremia fu pre-

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so dall’atrio della prigione dove si trovava, fu legato e fu calato in una

cisterna dove non c’era acqua, ma soltanto fango, Geremia affondò nel

fango, fu liberato e tirato fuori da quella cisterna per l’intervento di un

servo che era stato già al servizio di Giosia; a questo servo il profeta an-

nunzia la salvezza. Siamo ormai verso la fine e il re Sedecia ha un ultimo

colloquio con Geremia , lo manda a prendere dalla prigione e ancora una

volta chiede una Parola da parte del Signore. Il profeta risponde esortan-

do alla resa, quella resa lo avrebbe salvato, ma Sedecia non si arrese per

paura dei sostenitori della resistenza ad oltranza.

Il capitolo 39 ci descrive la presa di Gerusalemme, leggiamo nel

verso 2 che nel quarto mese dell’undicesimo anno di Sedecia (586), i ba-

bilonesi aprirono una breccia nelle mura e penetrarono nella città. Sede-

cia fuggì attraverso una porta secondaria, ma fu raggiunto a Gerico e su

di lui fu pronunziata una sentenza. Avviene qualcosa che è fondamentale

nella storia del popolo del Signore: la caduta di Gerusalemme e l’esilio

babilonese. I fatti di quel momento sono evocati in maniera molto viva

dal Salmo 73 (74) scritto pochissimo tempo dopo la caduta: «o Dio per-

chè ci respingi per sempre53 […] ruggirono gli avversari nel tuo tempio

(cioè entrarono a Gerusalemme), […] hanno dato alle fiamme il Tuo san-

tuario». Questi fatti sono narrati anche nel capitolo 25 del secondo libro

dei re, Sedecia pagò duramente la sua ribellione, sotto i suoi occhi ucci-

sero i figli, gli cavarono gli occhi, lo incatenarono e lo deportarono… ma

probabilmente sarà morto per la strada. Presa Gerusalemme i babilonesi

procedettero alla selezione per la deportazione, cercarono Geremia ma

non fu trovato, i babilonesi avevano fatto della città di Ribla il luogo di

smistamento per i deportati e anche Geremia era tra quelli che dovevano

essere deportati. I babilonesi però stimavano Geremia forse perché aveva

esortato alla resa.

53 Dà l’idea di un abbandono che sembra non possa essere più ricostruito.

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Dalla storia Nabucodonosor non emerge come figura crudele, sol-

tanto teneva alla fedeltà del giuramento, per questo apprezzava l’opera di

Geremia. Al profeta fu posta una alternativa: o andare in Babilonia, non

prigioniero, ma onorato, oppure restare a Gerusalemme. Geremia scelse

la seconda cosa, stando ai calcoli il tempio sarebbe caduto il 17 agosto

del 586, con questa data dopo quattro secoli finisce il regno davidico.

Saul

� Davide

Salomone � �

Regno del Nord

(Israele) (722-720: la fine del regno

per mano degli assiri)

Regno del Sud

(586: la fine del regno per mano dei babilonesi)

Da questo momento in poi il regno davidico è finito, non si rico-

stituirà mai più, tranne il breve periodo degli Asmonei (dopo i Maccab-

bei) alla fine del secondo secolo nascerà quella che sfocerà nel NT come

attesa messianica.

I babilonesi sui pochi abitanti rimasti costituirono come capo un

certo Godolia. Siamo già a settembre e paradossalmente il raccolto di

quell’anno era particolarmente abbondante e si poteva sperare in una ri-

presa, un gruppo di facinorosi (cap 40-43) uccisero però Godolia temen-

do una ritorsione dai babilonesi decisero di fuggire in Egitto. Consultaro-

no Geremia, il quale però, esortò a non fuggire ed a confidare nella ma-

gnanimità dei babilonesi spiegando che la spada che volevano evitare li

avrebbe raggiunti in Egitto. Non ascoltarono Geremia, anzi costrinsero il

profeta a scendere con loro, e qui perdiamo le tracce del profeta.

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Martedì 11 gennaio 2005, ore 08,30 / 10,15

Geremia così scompare nell’autunno del 586, costretto da un

gruppo di facinorosi che, dopo avere ucciso Godolia per evitare la rap-

presaglia Babilonese, decisero nonostante il parere contrario del profeta,

di fuggire in Egitto, costringendo il profeta a fuggire con loro. Questi fat-

ti, in maniera più ampia, sono narrati nei capitoli 40-43 del libro di Ge-

remia. Questa fuga in Egitto forse determinò l’origine della presenza di

una colonia di ebrei in Egitto, attestata storicamente già nel quinto secolo

a.C. E infatti si sono trovati dei documenti di quest’epoca scritti su papiro

nell’isola (è un isolotto del Nilo) così chiamata “Elefantina”.

Tornando all’epoca dell’esilio, con le sue due deportazioni: 597 e

586, quest’epoca fino all’editto di Ciro del 539 fu un epoca drammatica e

tragica dal punto di vista politico, ma fu un epoca di oro dal punto di vi-

sta della Parola del Signore; più che mai Essa risuonò in terra di esilio.

Durante l’esilio, infatti, noi abbiamo:

1 – l’origine di alcune istituzioni; 2 – un’ampia redazione storiografica; 3 – la parola profetica; 4 – la preghiera.

Le istituzioni fiorite in tempo di esilio sono soprattutto due: la ce-

lebrazione della Pasqua e l’istituzione sinagogale.

La Pasqua, antichissima festa primaverile dei nomadi pastori, fu

dimenticata (o almeno non abbiamo testimonianze) dopo l’ingresso alla

terra di Canaan (al tempo di Giosuè), soppiantata dalle feste agricole a-

nanaiche, quella autunnale dei tabernacoli e quella poi primaverile degli

azzimi, e quella estiva delle settimane o pentecoste. Un tentativo di rie-

sumazione dell’antica festa pasquale ci fu all’epoca di Giosia (640-609) e

forse pare anche all’epoca di Ezechia (732-699). La pasqua era una anti-

chissima festa primaverile di unità e di scongiuro: i nomadi pastori prima

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di mettersi in viaggio alla ricerca di nuovi pascoli, celebravano questa fe-

sta del passaggio, che coincideva col capodanno formulando l’augurio di

ritrovarsi di nuovo insieme (festa d’unità) e cercando di scongiurare i ma-

li (aspetto apotropaico) che potevano incontrare nel cammino. Giosia alla

fine del settimo secolo cercò di riprendere questa festa come festa di uni-

tà: approfittando infatti della debolezza dell’Assiria (612 cade Ninive),

cercò di ricostituire l’antico regno davidico partendo appunto dalla festa

pasquale, ma il tentativo non riuscì perché fu ucciso nel 609. La festa pa-

squale fu ripresa all’epoca dell’esilio (se leggete Esodo 12 vi accorgerete

che quel brano non è un racconto, ma è un rituale), ma con un nuovo si-

gnificato, quello di “Ziccaron” o “memoriale”, in terra di Babilonia si

comprese che si stava vivendo la stessa situazione che circa sette secoli

prima, i padri avevano vissuto in terra di Egitto, ma il Signore aveva or-

dinato di celebrare una festa e li aveva fatti uscire dall’Egitto. La celebra-

zione pasquale era così una professione di fede nel Dio potente, una pro-

fessione di speranza nel Dio Salvatore, ma insieme facendo memoria

mediante il rito della liberazione dall’Egitto, il popolo si coinvolgeva in

essa. Ora sta avvenendo la liberazione dei padri e noi siamo liberati in-

sieme a loro; oppure al contrario il memoriale trasferisce all’epoca dei

padri coinvolgendo nella loro liberazione. L’uscita da Babilonia è perciò

un fatto certo, anche se concretamente avverrà quando avverrà, ma già

nel memoriale la liberazione è avvenuta. La festa pasquale fu legata alla

festa degli azzimi che durava una settimana: la pasqua era il primo gior-

no.

La seconda istituzione è la sinagoga. Sinagoga è parola greca che

traduce i due termini ebraici “qaal” oppure “‘edah”. Il termine sinagoga

ha due sensi, indica o il luogo del raduno oppure il raduno stesso. In ter-

ra di esilio il popolo non può più celebrare i sacrifici perché manca il

tempio e allora invale l’uso di radunansi (siunago) per leggere e ascolta-

re quello che il Signore aveva detto.

Di questo uso sinagogale, che vuole in parte sopperire alla man-

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canza del tempio, è attestato da Ezechiele, ma tale uso sinagogale, appare

anche nel Deuteronomio, il quale redatto definitivamente durante l’esilio,

rivela una struttura sinagogale: Mosè che al popolo radunato propone la

legge del Signore (quindi è una trasposizione a Mosè di un epoca poste-

riore).

Dal punto di vista della storiografia ricordiamo due cose del tem-

po dell’esilio: la formazione del codice sacerdotale e la redazione deute-

ronomista. Del codice sacerdotale diciamo solo una cosa: mediante la ri-

proposizione della legge del Signore si vuol fare un’atto di fede nel Dio

Salvatore, è un atto di speranza nel fatto che Dio, ancora una volta avreb-

be salvato. Dio per definizione è Salvatore, riporterà in patria e perciò

non bisogna dimenticare nulla della sua legge, specialmente per quel che

riguarda gli atti cultuali. La storia deuteronomista è tutta la redazione di

Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re. La storia deuteronomista si pre-

figge uno scopo preciso, quello cioè di mostrare che Dio aveva ragione a

mandare in esilio anzi era stato molto paziente perché tutta la storia del

popolo del Signore nella terra promessa era stata una storia di peccato. Il

libro di Giosuè sottolinea la fedeltà di Dio che ha mantenuto la sua pro-

messa introducendo nella terra. Il libro dei Giudici che rispecchia l’epoca

tribale (dalla conquista a Saul) presenta i quattro elementi della teologia

del deuteronomio:

1 – il popolo pecca; 2 – Dio punisce (manda i Filistei); 3 – il popolo si converte e torna a Dio; 4 – Dio manda il giudice a salvare ed a liberare dal peccato.

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Il primo e il secondo libro di Samuele e il primo e secondo libro

dei Re sono fortemente negativi, descrivono da Saul in poi una storia di

peccato, ma mostrando questa storia di peccato, questi libri, agli esuli in

babilonia, vogliono dire tre cose:

1 – Dio è stato giusto a punire; 2 – vogliono suggerire tacitamente il ritorno al Signore; 3 – nella speranza che il Signore riporti in patria.

LA PREGHIERA

Come attestano diversi Salmi, in terra di esilio, il popolo pregò.

Non ci interessa adesso trattare dei Salmi, ma è anche vero che diversi

Salmi nascono in terra di esilio, come anche molti Salmi nasceranno in

epoca post-esilica. Per quanto riguarda i Salmi del tempo di esilio, a que-

sto periodo risale il Salmo 50, anche se la riflessione rabbinica lo farebbe

risalire all’epoca davidica, quando Davide chiese perdono dopo il pecca-

to con Betsabea. Ma una analisi storico-letteraria del testo rivela che il

testo è posteriore a Davide di circa sei secoli, esso si ricollega di più alla

teologia di Ezechiele. All’epoca dell’esilio possono risalire i cosiddetti

“Beshreibendesloblied”54 che letteralmente si traduce: Descrivente lode

inno, quindi “inno di lode che descrive” o che propone una storia.

Quello che a noi più direttamente interessa è la parola profetica,

in particolare nell’epoca dell’esilio, compagni degli esuli, troviamo due

profeti: Ezechiele e un anonimo profeta che in maniera convenzionale

chiamiamo Deuteroisaia. Ezechiele si pone nel primo periodo dell’esilio

(593-572/571) e il secondo verso la fine dell’esilio, quando già sulla sce-

na storica c’era la figura di Ciro, re dei Medi e Persiani.

54 Termine coniato dalla teologia tedesca.

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Chi è Geremia? Il libro di Geremia contiene oracoli del profeta

inseriti in uno sfondo narrativo. Tale sfondo è prezioso perché ci permet-

te di ricostruire i vari momenti della vita del profeta e ricostruire

l’evoluzione del suo animo. Questo sfondo narrativo spesso preciso è do-

vuto probabilmente al suo “segretario” Baruc che condivise diversi mo-

menti della vita del profeta. Alla luce anche delle narrazioni di Baruc,

mentre Isaia era il teologo della storia guidata da un disegno di Dio, Ge-

remia appare piuttosto come l’uomo interamente dedito alla Parola di Dio

e profondamente coinvolto nelle vicende della Parola. Il profeta è chia-

mato a vivere le sorti della Parola di Dio che lui trasmette, quando questa

Parola è bella e annunzia salvezza, il profeta ne gioisce ma rimanda a Dio

stesso: ciò avvenne nel primo periodo che egli ricorderà sempre con

grande nostalgia. Quando invece la Parola di Dio annunzia giudizio e non

piace agli uomini, allora sarà il profeta ad attirarsi tutte le ostilità, viven-

do un grande conflitto55 nell’animo del profeta tra la necessità a cui per

nascita non può sottrarsi di annunziare la Parola del Signore e le ostilità

degli uomini che spesso causarono grossi momenti di crisi. Il profeta si

trova come in un bivio: o parlare e subire l’ostilità degli uomini, o tacere

e vivere nelle proprie ossa una Parola di Dio che brucia. Il profeta soffrì

soprattutto il ritardo dell’adempimento della Parola del Signore, il Signo-

re ritarda, ma realizza: veglia sulla Sua Parola, il profeta infatti dovette

annunziare venticinque anni prima (609), quello che si verificò 25 anni

dopo (586).

Tuttavia Geremia rimase vivo nella coscienza del popolo, possia-

mo dire alcune cose senza però poter essere più precisi.

55 Vedi le Confessioni.

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Quattro cose in particolare vogliamo dire:

1. Geremia fu oggetto di lettura; il profeta stesso scrisse diversi oracoli e

questi oracoli dovettero accompagnare il popolo in terra di esilio, ciò

si deduce da una certa dipendenza degli oracoli di Ezechiele da quelli

di Geremia. Basti pensare al cuore: Geremia aveva parlato della legge

scritta sul cuore, Ezechiele parlerà del cambiamento del cuore.

2. Sembra che ci siano rimasti oracoli di Geremia al di fuori del suo li-

bri. Sembra che diversi Salmi possano essere attribuiti a Geremia e

diversi Salmi sembrano descrivere il dramma interiore del profeta. Ne

vorremmo citare due in particolare: il Salmo 68: «Salvami o Dio,

l’acqua mi giunge alla gola, affondo nel fango e non ho sostegno […]

Chi spera in Te a causa mia non sia confuso» e il Salmo 21: «Dio

mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Il Salmo 21 però rivela

due mani, una mano originale che può essere quella del profeta; la se-

conda mano è dell’epoca dell’esilio, quando il Salmo sembra essere

riferito al popolo dal verso 23.

3. Sembra che la figura di Geremia sia stata oggetto di riflessione poste-

riore, il profeta dovette assurgere a ideale di uomo di sofferenza. C’è

un problema nella scrittura dato dai cosiddetti “quattro canti” del

servo: Isaia 42,1-5; Isaia 49,1-6; Isaia 50,3-9; Isaia 52,13;53,12, que-

sti canti sono inseriti nel libro di Isaia, e nel testo dove si trovano, so-

prattutto il primo e il secondo sono reinterpretati e riferiti collettiva-

mente al popolo chiamato “mio servo Giacobbe” o Israele, tuttavia

questi canti debbono essere composizioni autonome prima di essere

inserite nel libro di Isaia. Nell’esegesi bisogna distinguere tra il senso

originale e il nuovo riferimento a Gesù nel NT. In questa distinzione

emergono diversi problemi ai quali non siamo in grado di dare rispo-

ste certe: chi li ha scritti? Quando furono scritti? Di chi si parla? La

difficoltà poi aumenta perché a noi pervenuti lacunosi (terzo canti) e

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appesantiti da diverse aggiunte (quarto canto). Questi canti crearono

problemi alla riflessione rabbinica (vedi il Targum di Isaia56). Solo il

NT li riprenderà in senso stretto, alla luce degli eventi di Gesù: «uo-

mo dei dolori che conosce il patire». Possiamo tuttavia avanzare

qualche supposizione: diversi passaggi richiamano Geremia, per e-

sempio nel secondo canto leggiamo: «Il Signore fin dal seno materno

mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio

nome», il seguito del canto: «invano mi sono affaticato» rispecchia

bene l’esperienza di Geremia. Ma soprattutto più vicino a Geremia

sembra essere il terzo canto: «il Signore mi ha dato una lingua da ini-

ziati (mi ha reso bravo parlatore) […] ogni mattina fa attento il mio

orecchio come gli iniziati […] il Signore mi ha aperto l’orecchio ed

io non ho opposto resistenza». Questi indizi lasciano pensare che i

canti del servo possano essere all’origine una spiritualizzazione e ide-

alizzazione della figura di Geremia.

4. il libro di Geremia fu oggetto di riflessione da parte del NT, lasciando

stare l’oracolo della legge scritta nel cuore il libro di Geremia sembra

essere presente nelle narrazioni evangeliche della passione di Gesù.

Possiamo infatti stabilire un certo parallelismo tra la narrazione di

Baruc del capitolo 26 dopo il discorso del 609, e il processo di Gesù

davanti al sinedrio. In Ger26, Geremia è accusato di avere annunziato

la distruzione del tempio e si dice di lui: «sentenza di morte contro

quest’uomo». Nei vangeli i falsi testimoni portano l’accusa che Gesù

ha detto: «posso distruggere questo tempio e in tre giorni ricostruir-

lo», c’è il passaggio di Caifa se è il Figlio di Dio, Caifa chiede il pa-

rere e tutti rispondono: «è reo di morte». Se questa relazione è vera,

Geremia per i Vangeli appare come la prefigurazione del Cristo sof-

ferente.

56 I rabbini da una parte li riferirono ad Isaia, almeno dall’altra depennarono o sostitui-rono tutte le frasi dolorose.

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Mercoledì 12 gennaio 2005, ore 10,30 / 12,15

EZECHIELE

Probabilmente riusciamo meglio a penetrare nell’animo di questo

terzo grande profeta. Tuttavia attraverso i suoi oracoli e anche attraverso

le sue azioni simboliche possiamo comprendere qualcosa della sua per-

sona. Non si può dire che Ezechiele non sia stato coinvolto, anche a livel-

lo emotivo nella Parola di Dio che deve proporre.

La prima indicazione cronologica è contenuta nei primi tre versi

del capitolo primo. Ci sono due indicazioni: quella del verso 1: «il quarto

mese del trentesimo anno», ma questa indicazione è più oscura, mentre è

più chiara quella che abbiamo nel verso 2. La prima indicazione cronolo-

gica è dovuta probabilmente ad un glossatore. La seconda indicazione

cronologica è il «cinque dl mese dell’anno quinto della deportazione di

Ioiakin»57. Nella cronologia dei re, il tempo che va dall’inizio del regno

fino al capodanno è chiamato “anno di successione” e non rientra nel

computo; l’anno primo sarà quello che inizia col capodanno. Un’altra os-

servazione è importante: Ioiakin deportato continuò ad essere in Babilo-

nia il punto di riferimento degli esuli, per cui, mentre a Gerusalemme da-

tavano sul nuovo re Sedecia, in Babilonia gli esuli datavano invece su

Ioiakin che pur essendo deportato consideravano ancora re. Il quarto me-

se del quinto anno della deportazione di Ioiakin dovrebbe corrispondere

al luglio del 593. La stessa introduzione ci informa che Ezechiele era sa-

cerdote. Ciò spiega il motivo della deportazione: nella prima deportazio-

ne deportò molte famiglie di capi e notabili58 e ciò fu un male perché ac-

canto a Sedecia rimase gente di mezza misura la cui ostinazione e man-

canza di intelligenza portò alla catastrofe.

57 deportato nella prima deportazione. 58 e quindi anche la famiglia di Ezechiele.

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Un’altra indicazione la troviamo nel capitolo 40 ed è l’ultima in-

dicazione cronologica del profeta: «all’inizio dell’anno ventiquattresimo

della nostra deportazione», siamo perciò verso il 572/71.

All’interno di questo periodo possiamo introdurre un’altra distin-

zione: nel capitolo 33 nel verso 21 leggiamo una indicazione cronologica

intermedia: «il cinque del dodicesimo mese dell’anno dodicesimo della

nostra deportazione», il dodicesimo mese corrisponde a marzo e perciò

siamo nel marzo del 585, circa sette mesi dopo giunse a Babilonia un

fuggiasco che si era salvato dalla catastrofe dell’agosto del 586 e che era

corso59 a dare la notizia della caduta di Gerusalemme agli esuli in Babi-

lonia. In questo testo (33,21-22) si legge che all’arrivo del fuggiasco il

Signore aprì la bocca di Ezechiele e il profeta non fu più muto. Qui noi

abbiamo una manomissione testuale e infatti qualcosa di analogo è anti-

cipata nel capitolo terzo: il profeta, come leggiamo nel verso 3, 26-27,

riceve da Dio un annunzio: «ti saranno messe addosso delle funi, ti farò

aderire la lingua al palato e resterai muto e così non sarai più per loro

uno che li rimprovera, ma quando ti aprirò la bocca tu riferirai a loro».

Al profeta è preannunziata una paralisi e deve restare muto. È difficile

però precisare se sia stata paralisi fisica o non piuttosto in senso morale

che il profeta registra una assenza della Parola del Signore. Alla luce di

queste indicazioni possiamo dividere il ministero profetico di Ezechiele

in due periodi: il primo periodo per sette anni dal 593 al 586, cioè fino

alla caduta di Gerusalemme, poi, dopo i sette mesi di paralisi, inizia il se-

condo periodo che va dall’arrivo del fuggiasco (marzo 585) fino

all’ultima data che abbiamo (572/71).

59 sette mesi di cammino.

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Ma un altro aspetto dobbiamo considerare: in 3,16 leggiamo le

parole che Dio rivolge al profeta: «figlio dell’uomo60

ti ho posto come

sentinella per la casa di Israele, quando sentirai dalla mia bocca una

Parola tu dovrai avvertirli da parte mia, se io dico al malvagio “tu mori-

rai” e tu non lo avverti, il malvagio morirà, ma della sua morte chiederò

conto a te». Queste parole si leggono nel capitolo 3, ma si leggono anche

nel capitolo 33, dove nei versi 6-7 si ripete che il profeta è stato costitui-

to: «sentinella del popolo». L’anticipazione al capitolo terzo è dovuta ad

un redattore, ma il vero posto di queste parole è nel capitolo 33. In questo

capitolo 33 nel vero 10 si leggono le parole di Dio: «voi dite “i nostri de-

litti e i nostri peccati sono sopra di noi e in essi ci consumiamo in che

modo potremmo vivere”», continua così rivolgendosi al profeta: «dì loro

“come è vero che Io vivo” Oracolo del Signore, non godo della morte

dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva».

Nel capitolo terzo nei versi 26-27 però leggiamo: «Ti farò aderire

la lingua al palato e resterai muto e non sarai più il loro censore (accu-

satore)». Tutte le indicazioni sopra proposte ci permettono di caratteriz-

zare i due periodi del ministero profetico di Ezechiele nel primo periodo

in cui profetizza contemporaneamente a Geremia61, Ezechiele deve esse-

re censore-accusatore, deve cioè rimproverare al popolo i suoi peccati e

mostrare che Dio non è stato ingiusto: ciò il profeta come vedremo lo fa-

rà bene. Ma nel secondo periodo il profeta non sarà più censore, bensì

sentinella. Dio ha compiuto il giudizio, ma adesso intende ricostruire il

suo popolo e il profeta è chiamato ad essere la sentinella che vigila su un

popolo che Dio intende rinnovare.

60 È una espressione che spesso Dio utilizza per rivolgersi al profeta, questo linguaggio sarà successivamente adottato anche da Daniele. 61 Geremia a Gerusalemme, mentre Ezechiele a Babilonia.

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A questo secondo periodo appartengono tutti gli oracoli di salvez-

za: il ripudio dei pastori e l’annunzio di un nuovo pastore nel capitolo 34

(capitolo che costituisce la matrice di Gv 10), l’annunzio del cuore nuovo

(capitolo 36), l’annunzio delle ossa aride (37,1-11), la visione dei due le-

gni (37,12 e ss.) che costituisce la matrice del dialogo tra il giudeo Gesù

e la donna samaritana in Gv 4.

Emerge una inversione di indole nei due periodi di Ezechiele ri-

spetto a Geremia, Geremia nel primo periodo fu profeta di salvezza e poi

profeta di giudizio; Ezechiele al contrario prima fu profeta di giudizio e

poi profeta di salvezza.

Una caratteristica di Ezechiele, non assente però negli altri profeti

ma in lui più marcata, è l’uso del linguaggio simbolico e una maggiore

abbondanza di visioni: ad Ezechiele infatti possiamo far risalire l’origine

di quella che poi sarà chiamata “letteratura apocalittica” che poi sfocerà

nel NT con l’apocalisse di Giovanni62.

A differenza di Isaia e Geremia e anche di diversi profeti minori i

cui libri ci sono pervenuti completamente manomessi dai redattori e per

noi diventa difficile capire il criterio che i redattori hanno seguito, il libro

di Ezechiele ci è pervenuto, tranne in qualche punto particolare, più or-

ganico. Possiamo così proporre una divisione organica dei 48 capitoli in

cui il libro si articola.

62 Sarà utile notare il passaggio dalla profezia alla apocalittica. L’apocalittica infatti, con Daniele, sembra essere la profezia che assume un carattere più misterioso e anche clandestino.

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Possiamo distinguere in tutto il libro cinque parti:

1. capitoli 1-3: la vocazione e la missione del profeta; 2. capitoli 4-24: gli oracoli del censore; 3. capitoli 25-32: gli oracoli contro i popoli;63 4. capitoli 33-39: gli oracoli della sentinella; 5. capitoli 40-48: la descrizione di tutte le misure del tempio

anche nei minimi particolari.64

Nel contesto dei capitoli 40-48 è importante il capitolo 47 in cui il

profeta vede scorrere dal lato orientale del tempio come un fiume che

man mano ingrossa, questo fiume è ricco di pesci e dove arriva porta vita.

Il profeta deve misurarlo e attraversarlo ma man mano l’acqua lo rag-

giunge nelle parti superiori del corpo. A riguardo di questa descrizione

possiamo notare un testo antecedente ed uno conseguente. Il testo ante-

cedente è un po’ più ipotetico, si può stabilire infatti una relazione tra la

descrizione di Ezechiele e quella Jawhista del fiume che attraversa il

giardino di Eden in Genesi 2.

63 Il profeta propone in questa parte diversi oracoli contro i popoli. Si tratta di oracoli di giudizio, con i quali, Dio annunzio il giudizio contro questi popoli. La Bibbia italiana di Gerusalemme giustamente introduce i vari oracoli. Globalmente converrebbero delle lamentazioni giudiziarie contro quei popoli che hanno oppresso il popolo del Signore. Notiamo a riguardo che ad essi, in diversi punti, allude il libro dell’Apocalisse, serven-dosi di essi come un linguaggio. 64 Per capire però questa parte bisogna mettersi ad una mentalità analoga a quella del codice sacerdotale. A riguardo possiamo notare che si pone il problema sulla relazione tra Ezechiele e il codice sacerdotale. I due scritti sono contemporanei e in alcuni punti Ezechiele rivela una certa somiglianza, anche sul piano letterario. Ezechiele infatti ama esprimersi con frasi brevi in prosa , ma che assumono un ritmo poetico. È difficile risol-vere il problema sopra indicato e cioè se Ezechiele dipenda dal codice sacerdotale o lui da buon sacerdote abbia influito nella sua composizione. Ma lo spirito del codice sacer-dotale è una professione di fede nella potenza del Signore e una apertura di speranza nel ritorno in patria. Dal momento che c’è la speranza di tornare in patria non bisogna di-menticare nulla delle tradizioni di Israele in terra di esilio. Soprattutto ciò si riferisce all’aspetto cultuale: in un momento in cui non si possono celebrare i sacrifici, perché il tempio non c’è più, non bisogna dimenticare nulla perché tutto sarà ripreso. In questa prospettiva si collocano i capitoli 40-48 di Ezechiele pur monotoni per le misure che il profeta propone. Contiene la speranza che il tempio sarà ricostruito e si riprenderanno i sacrifici. La speranza della ricostruzione del tempio, però, presuppone la speranza del ritorno in patria.

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Questo accostamento però è più ipotetico perché ci si possa chie-

dere se il profeta non abbia presente la descrizione della creazione

dell’uomo in Genesi 2,7, nella sua descrizione delle ossa aride che sono

vivificate mediante lo Spirito di Dio. Possiamo infatti stabilire il presente

confronto:

Genesi Ezechiele

1. La terra 1. Ossa aride

2. Lo Spirito 2. Lo Spirito

3. Un essere vivente 3. Una grande folla

Ma quello che è più importante è come fu ripresa in alcuni testi

del NT. Ne indichiamo due: Apocalisse 22,1-4: «il fiume che attraversa

la città santa» dove si intrecciano Genesi ed Ezechiele. Ma soprattutto in

Giovanni 7,38 leggiamo: «nel giorno della grande festa stette Gesù e

gridava: “fiumi dal suo grembo escono di acqua viva”65», ma il testo di

Gv 7,38 richiama l’apertura del costato da cui esce acqua. L’immagine

del colpo di lancia richiama la roccia del deserto, la fonte di Zaccaria 13

e richiama anche Ezechiele 47 tenendo conto che nel capitolo 2, Gesù si

presenta come il tempio da ricostruire in tre giorni.

L’ordine dei cinque punti che abbiamo indicato permette di co-

gliere attraverso il libro una evoluzione storica. La seconda parte, gli ora-

coli del censore, precedono la caduta di Gerusalemme e il profeta dovrà

accusare il popolo. Per punire il suo popolo Dio però si è servito dei po-

poli, ma i popoli erano soltanto strumento di punizione, ma si sono inor-

gogliti e dopo avere operato il giudizio, sul Suo popolo Dio interverrà a

punire i popoli (quindi gli oracoli contro i popoli).

65 Ciò disse dello Spirito.

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Dopo avere punito i popoli, c’è allora l’apertura verso la salvezza

che prevede il ritorno in patria e che culminerà nella travagliata ricostru-

zione del tempio. Anticipando quello che diremo in seguito, dopo il giu-

dizio nella caduta di Gerusalemme, Dio decide come sempre nei profeti,

la salvezza. Decide cioè di riportare il popolo in patria, ma non può ripor-

tarlo così semplicemente, perché lo ha cacciato per i peccati e se lo ripor-

ta in patria, e il popolo tornerà a peccare; Dio sarà costretto a cacciarlo

ancora una volta e perciò la salvezza è stata inutile. Bisogna riportare in

patria un popolo che non torna più a peccare, e Dio allora deve, e annun-

zia, creare un popolo che non pecca66. A riguardo però non possiamo non

stabilire un primo confronto con Geremia, non è improbabile che Eze-

chiele abbia conosciuto gli oracoli di Geremia, almeno quelli del primo

periodo, portati in Babilonia dagli esuli. Geremia aveva annunziato la

Nuova Alleanza con due caratteristiche fondamentali:

o la remissione dei peccati;

o la legge scritta nel cuore.

La stessa cosa dirà Ezechiele: Dio annunzierà il perdono dei pec-

cati e la trasformazione del cuore. Il cuore nuovo che Dio intende dare

sarà appunto ciò che rende impeccabile il popolo e così trasformato inte-

riormente potrà essere ricondotto in patria.

66 l’impeccabilità del cristiano affonda qui le sue radici.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 187

Giovedì 13 gennaio 2005, ore 08,30 / 10,15

La vocazione di Ezechiele è descritta nei capitoli 1-3. in questi

capitoli, dove magari ci sono delle aggiunte, possiamo notare tre aspetti:

- la manifestazione della gloria di Dio; - le parole rivolte al profeta; - la costituzione o consacrazione profetica mediante una azione simbolica.

Nelle vocazioni di Isaia e Geremia avevamo anche la visione

simbolica. Isaia nel capitolo 6 aveva parlato della visione nel tempio in

cui vide il Signore seduto su un trono alto ed elevato. Una visione simbo-

lica è presupposta anche da Geremia quando narra che il Signore stese la

mano, gli toccò la bocca e gli parlò. In Ezechiele la visione è estesa per

tutto il capitolo primo, possiamo leggere qualche passaggio per darci

l’idea: «io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione ed un

turbinio di fuoco, al centro apparve la figura di quattro esseri animali,

avevano sembianze umane, avevano quattro ali»67. Il tipo di linguaggio

usato da Ezechiele con le immagini che propone sembrano essere di

stampo babilonese riprendendo immagini che solitamente si trovavano

nei templi babilonesi. Di questa descrizione notiamo, anzitutto il profeta

stesso alla fine spiega che tale gli apparve la Gloria del Signore. La Glo-

ria del Signore è inafferrabile ed inesprimibile. Il linguaggio simbolico

aiuta in qualche modo a descrivere. È chiaro che chi scrive per immagini

si esprime in maniera approssimata perché sa benissimo di non potere e-

sprimere la vera realtà. Questa descrizione di Ezechiele è importante per-

chè dà origine al linguaggio simbolico che troviamo nei testi posteriori.

Alla visione simbolica ricorrerà il primo Zaccaria (capitoli 1-6). Il lin-

guaggio simbolico sarà ripreso dal libro di Daniele e poi passerà nella

apocalittica posteriore dando origine a delle immagini che in sé stesse

67 Ez 1,4.

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sono irreali, ma ciò che è importante non è il singolo particolare bensì

l’idea globale che attraverso quelle immagini si vuole esprimere. In parti-

colare la visione di Ezechiele con i quattro esseri in sembianze umane

passerà nel capitolo 7 del libro di Daniele, dove il veggente68

attraverso

questi quattro esseri in sembianze di animali descrive quattro regni sosti-

tuiti dalla visione di un simile a figlio di uomo che và verso l’antico dei

giorni al quale è dato il potere, la gloria e il regno. In Daniele il «simile a

figlio di uomo» ha un aspetto collettivo (cioè si riferisce al popolo dei

santi), poi però assumerà nei libri apocrifi di Enoch e del quarto libro di

Esdra un carattere individuale aprendo così la strada alla attribuzione del

titolo “figlio dell’uomo” a Gesù.

Le parole che il Signore così manifestato rivolge al profeta non

sono dissimili da quelle rivolte ad Isaia o a Geremia, una caratteristica

che emerge, almeno nei grandi profeti è quella di dovere parlare ad un

popolo fondamentalmente restio. In 2,2 infatti il profeta riceve le seguen-

ti parole: «figlio di uomo, io ti mando agli israeliti, un popolo di ribelli

che si sono rivoltati contro di me». Nel verso 7 dello stesso capitolo leg-

giamo le parole: «tu riferirai loro le mie parole, ascoltino o no, perché

sono una razza di ribelli». Come aveva detto ad Isaia ed a Geremia, an-

che ad Ezechiele Dio annunzia che dovrà parlare ad un popolo fonda-

mentalmente restio alla Parola del Signore.

Il terzo aspetto è quello della consacrazione . anch’esso espresso

in maniera simbolica, il profeta deve mangiare un rotolo. Dio dirà in 3,2:

«figlio di uomo, nutri il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti

porgo». Narra il profeta che egli mangiò il rotolo e fu alla sua bocca dol-

ce come il miele. In questo modo si descrive l’evento della Parola del Si-

gnore e la conseguente costituzione profetica di Ezechiele. La scrittura,

Antico e Nuovo testamento, è una, ed è utile perciò notare la ripresa

dell’antico testamento da parte del nuovo. In particolare ci riferiamo al

68 lo chiamiamo veggente perché Daniele non rientra nella letteratura profetica.

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libro dell’Apocalisse, che dipende molto nel suo linguaggio da diversi li-

bri tra cui fondamentalmente Ezechiele e Daniele, oltre non pochi Salmi.

L’Apocalisse riprende l’immagine del rotolo da mangiare nel capitolo 10.

Ma tutta la descrizione della vocazione di Ezechiele fa da sfondo alla vi-

sione del figlio dell’uomo nel capitolo primo della Apocalisse. In Eze-

chiele si dice che l’autore di fronte a quella visione cadde con la faccia a

terra e udì una voce che parlava. L’autore di Apocalisse riprende questa

frase al contrario: prima sente una voce e si volta per vedere quale fosse

questa voce che gli parlava, poi di fronte alla visione del figlio dell’uomo

(visione irreale), cade a terra come tramortito.

LE AZIONI SIMBOLICHE (ORACOLI) DEL CENSORE

Come abbiamo notato l’azione simbolica era già presente in Isaia

e Geremia. Isaia dovrà portare un giogo sul collo, lo stesso farà Geremia.

Geremia poi deve spezzare una brocca (capitolo 19), deve gettare un in-

dumento nel fiume e tirarlo fuori tutto fradicio. Geremia deve praticare

un breccia nelle mura ed uscire in atteggiamento di fuggiasco annunzian-

do il tentativo di fuga di Sedecia al momento dell’assedio. Ezechiele ri-

prende il linguaggio delle azioni simboliche. Nei capitoli 4 e 5 possiamo

individuare tre azioni simboliche:

1 - versi 4,1-3: l’assedio di una città graffito su un mattone di argilla; 2 - versi 4,9-11: fare un pane con diversi rimasugli di cereali; 3 - versi 5,1-2; prendere una spada affilata come rasoio,

tagliare con essa tutti i peli del corpo e poi colpirli con quel rasoio.

Tra la prima e la seconda azione simbolica, nei versi 4-8, ne tro-

viamo un’altra che è del profeta, ma non appartiene alla trilogia sopra in-

dicata, è inserita qui dal redattore. Come pure, la seconda azione simboli-

ca è fusa con un’altra sempre del profeta, ma la fusione è dovuta al redat-

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tore. Nella prima azione simbolica il profeta deve prendere un mattone di

argilla, graffire una città, disporre attorno ad essa un assedio con macchi-

ne belliche, poi prendere una lastra di ferro e metterla come un muro tra

lui e la città graffita e tenere fisso lo sguardo su di essa. Questa azione

simbolica rivela un problema che emerge anche nel contemporaneo Ge-

remia. Il fatto che Nabucodonosor nel 597 deportò senza distruggere la

città e mettendo su trono Sedecia indusse a credere che l’esilio sarebbe

stato di breve durata e che gli esuli sarebbero rimpatriati69. Ezechiele

compie questa azione sotto gli occhi dei giudei, i quali potevano pensare

che quella azione simbolica di una città assediata riguardasse Babilonia,

ma il profeta rivela che si tratta di Gerusalemme. Di conseguenza il fatto

che Nabucodonosor non distrusse la città era solo momentaneo, ma difat-

ti poi la distruzione sarebbe avvenuta. Il profeta con questa azione simbo-

lica annunzia l’assedio di Gerusalemme che sarebbe cominciato tra il 588

e il 587.

Saltiamo i versi 4-8 che sono azione simbolica della paralisi del

profeta, il profeta deve giacere sul fianco sinistro per 190 giorni e poi sul

fianco destro per 40 giorni. Il riferimento è probabilmente a quei sette

mesi di silenzio tra la caduta di Gerusalemme e la venuta del fuggiasco a

dare la notizia della caduta della città.

La seconda azione simbolica consiste nel fatto che il profeta deve

prendere grano, orzo, fave, lenticchie, metterle insieme e farne del pane.

Questo pane deve essere mangiato in maniera assai razionata: 20 sicli al

giorno70, come anche l’acqua è pure razionata: 1/6 di hin, questa seconda

azione si riferisce alla carestia che si verifica nell’assedio; una città asse-

diata era tagliata fuori da tutti i rifornimenti della campagna e idrici: resi-

stere fino a quando vi erano delle scorte nella città. La pluralità dei cerea-

li sta ad indicare che per fare un pane si prendono tutti i rimasugli di

qualsiasi genere che si trovano in casa. Il pane che così si fa è molto pe-

69 Ricordiamo la disputa tra Geremia ed Anania nel capitolo 28. 70 Circa 200 grammi di pane.

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sante e indigesto. Ma poi il profeta riceve il compito di cuocere questa

focaccia su escrementi umani e qui il profeta reagisce e Dio gli permette

di cuocerla su escrementi di animali. Si tratta qui di due azioni simboli-

che differenti ma messe insieme dal redattore, e ciò si deduce dal fatto

che la seconda azione di cuocere su escrementi cambia prospettiva. La

prima azione ci riporta al tempo dell’assedio, la seconda azione, sottoli-

neando il fatto che il pane così cotto è un pane impuro, ci riporta meglio

al momento della deportazione. La prima azione simbolica sottolinea la

limitatezza del cibo nel tempo dell’assedio, la seconda azione, indica che

si mangia in terra straniera e perciò in terra impura. Ma lasciando stare la

seconda azione, la prima continua tematicamente la precedente. L’azione

del mattone indica l’assedio, l’azione del pane indica la carestia. Gerusa-

lemme sarà assediata e gli assediati patiranno la fame.

La terza azione simbolica è quella della spada affilata come ra-

soio, il testo precisa, “come un rasoio di barbiere”: il profeta deve ta-

gliarsi con essa barba e capelli, pesare i peli tagliati e farne tre parti: una

parte la brucerà in mezzo alla città del mattone graffita, una parte dovrà

tagliarla con la spada attorno alla città, la terza parte infine deve disper-

derla al vento, ma poi inseguirla con la spada affilata. Questa terza azione

simbolica che sarà spiegata nei versi seguenti riguarda l’esito

dell’assedio. I peli tagliati indicano gli abitanti di Gerusalemme: un terzo

di essi moriranno nell’incendio, un terzo di essi tenderanno la fuga ma

saranno colpiti appena fuggono, un terzo difatti fuggiranno, ma saranno

raggiunti ed uccisi. Le tre azioni simboliche: mattone, pane, rasoio e-

sprimono così i tre momenti della caduta di Gerusalemme, assedio, care-

stia, presa della città. Queste tre azioni simboliche non sono datate, certo

debbono collocarsi prima della caduta di Gerusalemme (dopo non avreb-

bero senso) e perciò si collocano globalmente nell’arco dei sette anni, tra

la vocazione (593) e la caduta della città (596). Con queste azioni, il pro-

feta indica che nella prima deportazione non si era compiuto il giudizio

di Dio, ma che si sarebbe compiuto con la caduta della città.

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Queste tre azioni simboliche si collocano all’inizio della parte ri-

guardante il censore, ma c’è ne sono altre due molto belle collocate alla

fine della stessa parte, nel capitolo 24. Sono le due azioni della pentola

che bolle e della delizia degli occhi che Dio toglie. Il capitolo 24 è datato

il 10 del decimo mese dell’anno nono (della deportazione), e quindi do-

vremmo andare verso dicembre del 588. Ma le due azioni simboliche

sembrano rispecchiare diversa epoca, la data indicata può riferirsi bene

alla azione simbolica della pentola, ma l’azione simbolica della delizia

degli occhi che Dio toglie rispecchia meglio il momento della caduta av-

venuta circa due anni dopo. L’azione simbolica della pentola si riferisce

perciò al momento in cui i babilonesi vanno verso la città e la assediano.

Il profeta deve prendere una pentola con diversi pezzi di carne e accen-

dervi il fuoco fino a che la carne si riduce ad una poltiglia e l’acqua si

versa. La pentola è immagine della città che ha provocato l’ira di Dio ed

ora Dio interviene a distruggerla, e infatti nel verso 9 leggiamo: «guai al-

la città sanguinaria, anch’io farò grande il rogo».

Più bella e più commovente è la seconda azione simbolica che il

profeta deve compiere, o meglio, deve subire, nella sua persona. Nel ver-

so 15 leggiamo le parole del Signore: «figlio dell’uomo, io ti tolgo

all’improvviso colei che è la delizia dei tuoi occhi, ma tu non fare

l’avveduto, non piangere, non versare una lacrima, sospira in silenzio, e

non fare il lutto dei morti», anzi il profeta deve assumere atteggiamenti di

gioia: avvolgersi il capo con il turbante, mettere i sandali ai piedi, non ve-

larsi la bocca e non mangiare il pane del lutto. Nel verso seguente il pro-

feta spiega questa azione: «al mattino avevo parlato al popolo e la sera

mia moglie morì». La delizia degli occhi del profeta che Dio gli toglie è

la moglie che muore. Di fronte a quella morte il profeta deve reprimere e

deve nascondere qualsiasi dolore. Il senso di questa azione simbolica è

spiegato dopo: il popolo chiede al profeta il senso di tutto e il profeta an-

nunzia: «annunzia agli israeliti, così dice il Signore: “Ecco io faccio

profanare il mio santuario, orgoglio della vostra forza e delizia dei vostri

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occhi”». Dio così annunzia la caduta del tempio mediante l’azione sim-

bolica delle morte della moglie di Ezechiele. Per capire questa azione

simbolica bisogna fare un passo indietro e risalire all’epoca di Isaia

quando Sennacheriv, sul punto di espugnare la città (700-669) non la e-

spugnò, ma tolse l’assedio. Si disse che ciò era dovuto al fatto che nella

città c’era il tempio che rendeva la città inespugnabile e forse a

quest’epoca bisogna far risalire il Salmo 47 che descrive la sontuosità del

tempio. Che il Salmo possa riferirsi a quell’epoca è suggerito dai versi 5-

8 dove si dice: «ecco i re si sono alleati […] ma lo sgomento li ha colti,

doglie come di partoriente»71. Il tempio era ritenuto qualcosa di intocca-

bile, ricordiamo Geremia che nel 609 per averne annunziato la distruzio-

ne rischiò la condanna a morte.

Venerdì 14 gennaio 2005, ore 10,30 / 12,15

All’attività del censore appartiene l’attività di denunzia, il profeta

è chiamato a denunziare, anche con violenza, le colpe del popolo. a ri-

guardo abbiamo due capitoli che sono appunto forte accusa: il capitolo 16

e il capitolo 20. Entrambi i capitoli hanno il carattere di un Midrash cioè

sono una rilettura della storia dal punto di vista del peccato del popolo e

il profeta, appunto, nota una storia di peccato. Il profeta Ezechiele consi-

dera sette secoli di storia72 (leggere a riguardo il capitolo 16 e il capitolo

71 Sennacheriv che toglie l’assedio. 72 Ezechiele 20,1-8: «Il dieci del quinto mese, anno settimo, alcuni anziani d'Israele vennero a consultare il Signore e sedettero davanti a me. Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell'uomo, parla agli anziani d'Israele e di' loro: Dice il Signore Dio: Venite voi per consultarmi? Com'è vero ch'io vivo, non mi lascerò consultare da voi. Oracolo del Signore Dio. Vuoi giudicarli? Li vuoi giudicare, figlio dell'uomo? Mostra loro gli abomini dei loro padri. Di' loro: Dice il Signore Dio: Quando io scelsi Israele e alzai la mano e giurai per la stirpe della casa di Giacobbe, apparvi loro nel paese d'Egit-to e giurai per loro dicendo: Io, il Signore, sono vostro Dio. Allora alzai la mano e giu-rai di farli uscire dal paese d'Egitto e condurli in una terra scelta per loro, stillante latte e miele, che è la più bella fra tutte le terre. Dissi loro: Ognuno getti via gli abomini dei propri occhi e non vi contaminate con gl'idoli d'Egitto: sono io il vostro Dio. Ma essi mi si ribellarono e non mi vollero ascoltare: non gettarono via gli abomini dei propri occhi e non abbandonarono gli idoli d'Egitto».

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20). Il capitolo 16 considera tutta la storia del popolo di Israele con

l’immagine di una bambina che diventa adulta. Nel verso 1 il profeta ri-

ceve un comando da Dio: «così dice il Signore a Gerusalemme: “tu sei

per origine dal paese dei cananeo, tuo padre era amorreo e tua madre

hittita”». In questa indicazione il profeta affonda le radici molto lontano,

si sta rivolgendo a Gerusalemme e fissa la sua origine nell’oscurità dei

popoli. La sua origine si perde nell’anonimato dei popoli.

Nel verso 4 leggiamo un’altra indicazione: «alla tua nascita,

quando fosti partorita, non ti fu reciso l’ombelico e non fosti lavata con

l’acqua per purificarti, non ti fecero le frizioni col sale, né fosti avvolta

in fasce». Il profeta descrive quattro azioni tipiche ad un bambino nel

parto di modo che possa passare dalla dipendenza materna alla autono-

mia di una vita. Soprattutto è importante, nell’economia dell’immagine,

la recisione dell’ombelico, quando essa manca non si vive di sangue au-

tonomo, ma del sangue materno si dipende. L’allusione sembra essere al

tempo della schiavitù in Egitto. Lì il profeta vede la vera nascita del po-

polo e infatti, anche nel capitolo 20 iniziava la sua storia dal tempo

dell’Egitto. Se leggiamo il capitolo primo del libro dell’Esodo, esso in-

comincia con l’indicazione che i figli di Israele si erano moltiplicati come

le stelle del cielo. L’allusione è chiaramente alla prima promessa ad A-

bramo, quella di una discendenza come le stelle del cielo e come la sab-

bia sulla riva del mare. L’esodo si pone poi nella prospettiva della realiz-

zazione della seconda promessa: la terra. Nella attuazione della prima

promessa si vede la nascita del popolo, ma la seconda promessa non attuò

subito, anzi la sua realizzazione fu impedita con tutti i mezzi dal faraone.

Tutto questo ci aiuta a capire l’immagine di Ezechiele: «alla tua nascita

non ti fu reciso l’ombelico». Il popolo in Egitto nacque, ma non acquistò

la sua autonomia di popolo. A questa prima azione non ne seguirono altre

tipiche della cura di un bambino. Il testo di Ezechiele ancora continua:

«occhio pietoso non si volse su di te per far di una sola di queste cose e

usarti compassione, ma come oggetto ripugnante fosti gettata via in pie-

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na campagna». Si tratta di immagini, ma che richiamano bene la storia

del popolo. Narra il libro dell’Esodo che il popolo fu costretto a dura

schiavitù a costruire città Egiziane, ma il faraone obbligò non solo a fare

i mattoni, ma anche ad acquisirsi la paglia necessaria. Questo confronto è

lecito anche se, dal momento che siamo nell’economia dell’immagine,

non tutti i particolare debbono essere identificati.

Il profeta ancora continua: «passai vicino a te e ti vidi mentre ti

dibattevi nel tuo sangue e dissi: “vivi nel tuo sangue”». Questo dibattersi

nel proprio sangue richiama l’immagine di un bambino già maturo per

vivere autonomamente, ma è costretto a vivere del sangue della madre. Si

ha quasi un conflitto tra due tipi di sangue. Dio passa e vede ciò,

l’allusione è ancora all’Esodo, leggiamo infatti: «il popolo gemette sotto

il peso dei duri lavori e il suo gemito giunse fino a Dio e Dio si ricordò

della Sua alleanza con Abramo, Isacco, Giacobbe». Il capitolo terzo

dell’Esodo narra la vocazione di Mosè, Dio gli dice: «ho visto l’afflizione

del mio popolo, io ti mando dal faraone a liberare il mio popolo». Tutta

questa storia sembra essere compendiata nell’espressione di Ezechiele:

«passai accanto a te e ti vidi mentre ti dibattevi nel tuo sangue».

Subito dopo, il profeta, fa un salto della storia. Leggiamo infatti:

«crescesti e ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza. Il tuo

petto divenne fiorente ed eri giunta ormai alla pubertà, ma eri nuda e

scoperta». Nell’economia dell’immagine, con questa descrizione, il pro-

feta sembra alludere a tutto il cammino del deserto fino al Sinai.

L’espressione «nuda e scoperta» ha un senso metaforico: si riferisce ad

una donna che non appartiene a nessuno. Abbiamo così l’immagine di

una crescita, ma senza però stabilire una appartenenza.

Nel verso 8 leggiamo: «passai vicino a te e ti vidi, ecco la tua età

era quella dell’amore. Io stesi il lembo del mio mantello e coprii la tua

nudità, giurai alleanza con te e divenisti mia». Stendere il lembo del pro-

prio mantello su una donna e coprire così la sua nudità significa sceglier-

la e farla propria. L’allusione è chiaramente all’alleanza sinaitica quando

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Dio si presentò al popolo come il suo Dio. Ricordiamo la formula con cui

è introdotto il decalogo: «Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire

dal paese di Egitto». La formula «Io sono il Signore tuo Dio» esprime la

causa e la conseguenza dell’uscita dall’Egitto. È la causa: perché Dio ha

fatto uscire perché era il Dio di quel popolo, ma è la conseguenza perché

facendo uscire il popolo d’Israele dall’Egitto, Dio si è consacrato come

appartenente al popolo, ma l’alleanza è bilaterale essendosi manifestato

come Dio del popolo; esige che anche il popolo si manifesti come popolo

di Dio. Per questo motivo Dio dà i suoi comandamenti.

In 2,15-19 il profeta elenca tutte le opere di Dio. Tutta la descri-

zione si muove sul piano metaforico, non sono perciò da identificare i

singoli particolari, ma globalmente esprimono la cura di Dio. Tutta la de-

scrizione globalmente presenta la cura di Dio. Essa, come indicano le

immagini, fu totale. L’indicazione: «diventasti sempre più bella fino ad

essere regina» può essere una allusione alla instaurazione della monar-

chia davidica. Nel verso 14 leggiamo: «la tua fama si diffuse fra le genti

per la tua bellezza». I libri dei re ci narrano come la regina di Saba ven-

ne per ammirare lo splendore e la sapienza di Salomone.

Sembra che il profeta descriva, con l’immagine di una bambina

che diventa donna, tutta una storia dalla schiavitù in Egitto al tempo che

precede l’esilio babilonese. Sono considerate due parti: la prima parte và

dalla schiavitù in Egitto alla monarchia davidica, e in questa prima parte

si descrive tutta l’opera di Dio in tre momenti: la liberazione dall’Egitto,

l’alleanza sinaitica, l’instaurazione della monarchia davidica: dalla schia-

vitù in Egitto al regno. Dalla monarchia davidica al momento presente è

invece descritta una storia di peccato vista come una prostituzione: il po-

polo si servì dei doni di Dio per prostituirsi.

Nel capitolo 16 Ezechiele si colloca sulla linea dei profeti prece-

denti che avevano usato l’immagine sponsale per descrivere il rapporto

tra Dio e il popolo. a differenza però di Osea e Geremia, che avevano ri-

ferito l’immagine alle tribù del nord, e soprattutto Osea era stato violento

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all’epoca della invasione assira e aveva cantato la caduta di Samaria co-

me il ripudio della sposa da parte di Dio, così Ezechiele, riferendo

l’immagine a Gerusalemme annunzia la sua distruzione e il conseguente

esilio. Come abbiamo detto siamo ancora nei sette anni di ministero pro-

fetico che precedono la caduta di Gerusalemme, ma il profeta con molta

lungimiranza preannunzia la caduta di Gerusalemme.

La caduta di Gerusalemme e il conseguente esilio del 586 segna a

Gerusalemme la fine del ministero profetico di Geremia, ma segna anche

in Babilonia l’inizio del secondo periodo del ministero profetico di Eze-

chiele. Dopo i sette mesi di paralisi, all’arrivo del fuggiasco, il profeta i-

nizia il suo secondo periodo. Dovette durare circa 14 anni, l’ultima data

infatti, nel capitolo 40, ci riporta verso l’anno 572/71. In questi 14 anni

Ezechiele dovrà assolvere al compito di sentinella. Gli oracoli che ci ri-

mangono sono molto pochi, ma quelli che abbiamo sono fondamentali e

soprattutto essi costituiscono un fondamento importante su cui poggia il

NT.

Dio ha compiuto un giudizio, ma si direbbe che sia stato Lui il

primo a soffrirne. Questo, il profeta, rivela riferendo le parole di Dio nel

capitolo 33. Il popolo si lamenta e macera nei propri peccati e dichiara: «i

nostri delitti e i nostri peccati sono sopra di noi. Come potremo vivere?».

Queste parole che manifestano tutto lo scoraggiamento del popolo

schiacciato dai suoi peccati rivelano una attività profetica di denunzia

delle colpe del popolo. Il profeta rivela che c’è una strada per uscire dal

proprio peso e riferisce le parole del Signore che rivelano anche il vero

pensiero di Dio: «come è vero che Io vivo, oracolo del Signore, Io non

godo della morte del peccatore, ma che si converta e viva». Mandando in

esilio, Dio non ha inteso distruggere, ma ha inteso chiamare a conversio-

ne. C’è stata una lamentela del popolo che accusa Dio di avere agito in-

giustamente: «i figli del popolo vanno dicendo: “non è giusto il modo di

agire del Signore”», ma Dio replica: «è ingiusto il Mio modo di agire, o

il vostro?». Il popolo si lamenta di subire la punizione per le colpe dei

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padri, ma Dio annunzia: «giudicherò ciascuno di voi secondo il suo modo

di agire». Al popolo Dio chiede che superi il suo peccato, si converta a

lui e viva. Il profeta ha il compito di vegliare come sentinella perchè il

popolo non pecchi e se il profeta non ammonisce il peccatore sarà lui re-

sponsabile della sua morte.

Tuttavia Dio sa che il popolo non è del tutto colpevole. Più colpe-

voli sono i suoi capi che lo hanno fatto traviare, e nel capitolo 34 Dio si

scaglia contro i capi: «guai ai pastori di Israele che pascono sé stessi, i

pastori non dovrebbero pascolare il gregge?». Dio descrive la colpa dei

capi: «vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore grasse,

ma non pascolate le mie pecore». Dio guarda con occhio commosso e

pietoso il popolo esiliato ed esclama: «per colpa dei pastori si sono di-

sperse73

le mie pecore e sono preda di tutte le bestie selvatiche». Ancora

con commozione, Dio osserva: «vanno errando le mie pecore in tutto il

paese e nessuno và in cerca di loro». Dio stesso allora intenta un giudizio

contro i pastori, li destituirà del loro compito74: «non li lascerò più pa-

scolare il mio gregge», ma Dio stesso avrà cura e si farà pastore; «ecco

Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura»; più avanti dirà: «andrò

in cerca della pecora perduta […], ricondurrò all’ovile quella smarrita,

fascerò quella ferità e curerò quella malata». Tuttavia Dio eserciterà il

Suo compito di pastore non direttamente. Ezechiele riprende l’antica tra-

dizione di Davide, divenuto re, dopo essere stato preso dal gregge; e in

Davide si riassumono le due prerogative di re e pastore. Dio continua in

34,23: «susciterò75

per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo.

Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore».

73 Allusione al popolo in esilio. 74 Basti pesare a Giovanni 10. 75 Verbo importante che nell’AT richiama la resurrezione.

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Martedì 18 gennaio 2005, ore 08,30 / 10,15

Nei versi 16-18 di Ezechiele 36, Dio giustifica il fatto dell’esilio:

«ha dovuto cacciarli dalla terra perché l’avevano resa impura con le lo-

ro abominazioni». Ma il peccato continua in terra di esilio, il profeta con-

tinua al verso 20: «Giunsero fra le nazioni dove erano spinti e disonora-

rono il mio nome santo, perché di loro si diceva: Costoro sono il popolo

del Signore e tuttavia sono stati scacciati dal suo paese». Nel verso 20

Dio recrimina contro il popolo perché in terra di esilio ha disonorato il

Suo Santo Nome, e lo ha disonorato proprio facendosi cacciare, perché i

popoli, vedendo il popolo in esilio, non hanno pensato alle colpe del po-

polo stesso, ma hanno concluso che se erano in esilio è perché il loro

Dio, o non è stato capace a salvarli, o forse non ha voluto salvarli. In ogni

caso è stata messa in dubbio sia la potenza che la fedeltà di Dio. Tutto ciò

costituisce il «disonorare il Nome Santo di Dio»76.

Dio reagisce di fronte alla profanazione del Suo Nome, e intende

mostrare tutta la Sua grandezza. Troviamo qui un particolare diverso ri-

spetto ai profeti precedenti. Da Osea a Geremia, Dio aveva annunziato la

salvezza per amore del popolo77, ora secondo Ezechiele il motivo per cui

agisce è il Suo Santo Nome. Dio intende manifestare tutta la sua Santità.

Dio decide di manifestare la sua Santità e quella del Suo Nome, cioè mo-

strare che Lui non ha niente in comune con tutti gli altri idoli e che è al di

sopra di tutti.

Dal momento che il Nome di Dio è stato profanato mediante il

dubbio sulla sua potenza, allora decide di manifestarla davanti gli occhi

dei popoli. Dio lo farà operando proprio quello su cui si è posto il dubbio,

cioè, riportando il popolo nella sua terra. La frase fondamentale è al ver-

so 24: «vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra, vi condurrò

sul vostro suolo». Dio annunzia di riportare in patria il popolo, però nel

76 Espressione tipica di Ezechiele. 77 «Ti ho chiamato d’amore eterno», dirà Geremia, riferendosi al suo popolo.

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sottofondo del testo si intuisce un problema: non può riportare in patria

“Sic et simpliciter” il popolo, perché se poi in patria il popolo tornerà a

peccare dovrà di nuovo cacciarlo, è questa per esempio la minaccia del

Salmo 94 post-esilico: «perciò ho giurato nel Mio sdegno, non entreran-

no nel luogo del riposo». Il problema è quello di riportare in patria un

popolo che non pecchi, e Dio allora annunzia, prima ancora di riportarlo

in patria di renderlo impeccabile. In questa azione influisce l’oracolo di

Geremia della Nuova Alleanza che Ezechiele dovette conoscere.

L’oracolo di Geremia prevedeva due momenti: anzitutto la remissione

dei peccati (Geremia 31) commessi sotto la prima alleanza e poi la legge

scritta del cuore. Ezechiele con il suo linguaggio tipicamente sacerdotale

descrive entrambe le cose. Anzitutto annunzia la remissione dei peccati:

«vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati da tutte le vostre sozzu-

re e da tutti i vostri idoli». Sia l’immagine dell’aspersione, sia la menzio-

ne dell’acqua, sia il tema della purificazione appartengono al linguaggio

cultuale tipico del NT. Annunzia perciò la remissione dei peccati median-

te un lavacro di purificazione, che salvo errore, sta alla base di quei riti di

purificazione documentati a Qumran e che stanno alla base della attività

di Giovanni il Battista. La positiva salvezza è descritta con un linguaggio

particolare, ma che riguarda come Geremia ancora il cuore. Nel capitolo

18, nei versi 30-32, il profeta riferisce una esortazione da parte di Dio:

«convertitevi ed esistete da tutte le vostre iniquità […] formatevi un cuo-

re nuovo ed uno spirito nuovo», mai l’uomo potrà formarsi un cuore

nuovo ed uno spirito nuovo se Dio non gli trasforma il cuore, per questo

Dio annunzia l’opera positiva di trasformazione del cuore. Qui Ezechiele

si rivela più radicale di Geremia (da cui però dipende). Geremia parlava

di legge del cuore rivelando che il problema era sul luogo dove la legge è

scritta (non su tavole di pietra, ma sul cuore), e rivelando anche che la

legge era inadeguata. Ma Ezechiele rivela che il problema addirittura è

quello del cuore. Questo deve essere cambiato (il cuore). Da qui

l’annunzio del grande passaggio dal cuore di pietra (insensibile, innatura-

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le in un uomo fatto di carne e che pertanto non palpita, non vive non ama,

è insensibile ad un cuore di carne che palpita, che ama, che brama, in una

parola che vive), al cuore di carne. Come tale trasformazione del cuore

avverrà il profeta lo rivela: «porrò il Mio spirito dentro di voi: sarà lo

spirito perciò ad operare il grande passaggio dal cuore di pietra al cuo-

re di carne».

Ma notiamo il testo di Ezechiele: «vi darò un cuore nuovo, mette-

rò dentro di voi uno spirito nuovo […] porrò il mio spirito dentro di voi e

vi farò vivere e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi». I li-

miti di questo oracolo emergeranno sia dal confronto con Geremia, sia

soprattutto dal modo come il NT riprenderà questo oracolo. Ma qui no-

tiamo un modo come il cuore nuovo permetterà l’osservanza dei coman-

damenti? L’idea stessa del cuore rimanda all’aspetto dell’amore, un cuo-

re di carne è sensibile ad amare, non ad osservare i comandamenti. In

questo senso sembra che Ezechiele riveli un vuoto che sarà colmato dal

Deuteronomio. Il Deuteronomio nel capitolo 6 parla di amare Dio: «con

tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze», e concretizzare

l’amore verso Dio nell’osservanza dei comandamenti. Il passaggio

dall’amore verso Dio, all’osservanza dei comandamenti è facile, ma

l’amore verso Dio è un amore con tutto il cuore. Qui ci sembra di trovare

ciò che riempie il vuoto di Ezechiele. Se è lecito interpretare Ezechiele

alla luce del Deuteronomio (che poi sono contemporanei), dovremmo di-

re che il cuore nuovo mira ad amare Dio concretizzare tale amore con

l’osservanza dei Suoi comandamenti.

Possiamo allora riassumere nel seguente modo: Dio deve riportare

in patria un popolo che non pecca, ma prima deve renderlo impeccabile

mediante la trasformazione del cuore. Il Deuteronomio suggerisce un

passaggio intermedio, quello cioè di amare Dio. Probabilmente Ezechiele

non nota questo passaggio perché a lui interessava mostrare come

l’osservanza dei comandamenti è il frutto di un cuore rinnovato. Il profe-

ta sottolinea che tale trasformazione avverrà mediante lo Spirito: «porrò

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il mio spirito dentro di voi». Probabilmente quest’ultima frase è una ag-

giunta, ma corrisponde bene al pensiero di Ezechiele perché è anticipata

dal seguente capitolo 37 dove l’opera dello Spirito avrà una parte fonda-

mentale. Si capisce bene il fatto che se la trasformazione del cuore di-

pende dallo Spirito, perché essa avvenga bisogna attendere il dono dello

Spirito. Alla luce del NT emergono qui due domande alle quali Ezechiele

non risponde: quando Dio darà il Suo Spirito? e come lo darà? (Giovanni

lo ricollegherà al mistero della Croce). Dio può concludere: «abiterete

nella terra che Io diedi ai vostri padri, Io sarò il vostro Dio e voi sarete il

mio popolo». Dio promette due cose, in seguito a tale trasformazione: il

ritorno in patria e la piena realizzazione della alleanza. Si avverte in

quest’ultimo punto l’influsso di Geremia.

� Il dono dello Spirito; � L’impeccabilità del popolo; � Il ritorno in patria e la realizzazione della Alleanza.

Il popolo recepì il messaggio di Ezechiele e si mise in preghiera.

Da questo oracolo è scaturita una preghiera: il Salmo 50. Il capitolo 37

contiene una visione simbolica ed una azione simbolica. La visione sim-

bolica è quella delle «ossa aride», il profeta vede un campo di ossa sec-

che, inaridite, dove non c’è il benché minimo segno di vita. Dio pone una

domanda: «figlio dell’uomo, potranno rivivere queste ossa?», il profeta

non può rispondere. Dal punto di vista umano, naturale, quelle ossa non

potranno mai rivivere, ma il profeta non può rispondere no, perché po-

trebbe così offendere la potenza di Dio. Quelle ossa naturalmente non

possono rivivere, ma potranno rivivere se Dio lo vuole. Ecco perché Eze-

chiele si trincera nella risposta: «Signore Dio, tu lo sai». E Dio annunzia:

«profetizza su queste ossa e dirò loro: “ossa inaridite, udite la Parola

del Signore”». Dio annunzia la venuta dello Spirito che permetterà alle

ossa di rivivere. Il profeta riceve il comando di profetizzare allo Spirito,

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cioè di chiamarlo e di invocarlo. Lo Spirito viene e quelle ossa si rivesto-

no di carne, di nervi e di pelle, ma non c’è ancora vita in loro. Il profeta

deve di nuovo profetizzare allo Spirito: «dice il Signore Dio: “vieni o

Spirito dai quattro venti e soffia su questi morti perché rivivano”». Ven-

ne lo Spirito ed apparve un grande esercito di persone, sterminato. Come

possiamo vedere, l’intervento dello Spirito è duplice: prima ricostituisce

la materia e poi dà la vita. Ci permettiamo di avanzare una supposizione

in questa duplice azione, sembra che nello sfondo ci sia il racconto gene-

siaco della creazione dell’uomo che avviene pure in due momenti: Dio

plasma la materia e poi soffia il Suo alito vitale e l’uomo diventa un esse-

re vivente. Se è vera la dipendenza la Genesi, Ezechiele fa un passo avan-

ti: attribuisce allo Spirito di Dio sia la costituzione della materia, sia la

sua animazione.

Ma Dio stesso spiega il senso di questa visione simbolica nei ver-

si 11-14, e spiega che quelle ossa sono la casa di Israele, dispersa in esi-

lio, che sperimenta una terribile situazione di morte. Ma la vera situazio-

ne di morte non è l’esilio, è l’atteggiamento del popolo che ha perduto

ogni speranza. Dio si lamenta: «essi vanno dicendo: “le nostre ossa sono

inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti”». È una man-

canza di speranza che poggia sul disconoscimento della potenza di Dio, e

Dio qui fa un annunzio formidabile: «dice il Signore Dio: “ecco Io apro i

vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, riconosce-

rete che Io sono il Signore quando avrò aperto i vostri sepolcri e vi avrò

resuscitato dalle vostre tombe. Farò entrare in voi il mio Spirito e rivi-

vrete, vi farò riposare nel vostro paese”». Dio annunzia tre cose:

1- l’apertura delle tombe;

2- il dono dello Spirito;

3- il ritorno in patria.

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Ma anche questo oracolo deve attendere il NT. L’apertura delle

tombe di cui parla Ezechiele ha ancora un senso metaforico: si tratta del

ritorno dall’esilio, ma il NT darà un senso materiale. Probabilmente è E-

zechiele che influisce quando il NT parlerà dell’esperienza di una tomba

aperta. Nella lettera ai Romani, Paolo con chiarezza riferirà ciò allo Spiri-

to di Dio. Nel capitolo ottavo Paolo scrive: «se lo Spirito di Colui che ha

resuscitato il Suo Figlio da morte abita in voi, Colui che ha resuscitato

Gesù Cristo dai morti resusciterà anche i vostri corpi mortali mediante

lo Spirito dato a loro». Il NT vede realizzato l’oracolo di Ezechiele in

due stadi: il primo stadio è l’apertura della tomba di Gesù, il secondo sta-

dio sarà l’apertura delle tombe umane determinata dallo Spirito effuso

dal Signore Risorto. Alla luce di Ezechiele possiamo anche leggere un

passaggio evangelico che non è materialmente storico, ma è storico in

maniera prolettica. Alla morte di Gesù (citiamo Matteo): «si aprirono le

tombe e molti corpi di santi resuscitarono, entrarono nella città santa ed

apparvero a molti»: non è un fatto materiale-storico, ma prolettico. Ab-

biamo infatti l’apertura delle tombe e l’ingresso nella città santa. Il profe-

ta deve compiere una azione simbolica: prendere due legni, scrivere su

uno: «casa di Israele» e sull’altro: «casa di Giuda» e deve poi metterli

insieme. Mediante questa azione simbolica il profeta annunzia la ricosti-

tuzione dell’unico regno davidico. Il regno di Giuda e il regno di Israele

torneranno ad essere un solo regno. Questa azione simbolica è importante

perché, salvo opinione migliore, sta dietro il racconto di Giovanni 4, cioè

l’incontro tra il giudeo Gesù e la donna samaritana. In quel racconto è il

nuovo Davide, Gesù, che incontrandosi con la samaritana, ricostituisce

l’unico regno davidico.

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Sabato 22 gennaio 2005, ore 10,30 / 12,15

IL SECONDO E TERZO ISAIA

Gli oracoli del secondo e terzo Isaia ci restano negli attuali capito-

li 40-66. Fino a cinquant’anni fa si credeva che tutto il libro di Isaia dal

capitolo primo al capitolo 66 fosse del profeta. Negli ultimi 50 anni,

quando la critica letteraria e storica ha avuto finalmente cittadinanza an-

che nella Chiesa Cattolica, si è capito che larga parte non può appartenere

all’antico profeta. I profeti non sono annunziatori estemporanei ma riflet-

tono e annunziano la Parola del Signore nella storia in cui vivono. La sto-

ria che presuppongono i capitoli 40-66 non può essere quella dell’antico

profeta della seconda metà del secolo VIII. In Isaia 45,1 leggiamo: «così

dice il Signore del suo eletto, di Ciro». La menzione di Ciro, re dei medi

e persiani, ci porta nella seconda metà del secolo VI (quindi dopo due

secoli).

All’interno però dei capitoli 40-66 bisogna pure operare una di-

stinzione, e infatti in alcune parti si ha un messaggio di speranza e di fi-

ducia, in altre parti si canta invece lo splendore di Gerusalemme. Dob-

biamo perciò concludere che i capitoli 40-66 rispecchiano due epoche di-

verse, l’epoca cioè immediatamente precedente alla fine dell’esilio,

l’epoca seguente al ritorno dell’esilio, quando si cominciò a ricostruire la

città distrutta dai babilonesi nel 586. All’interno di questi capitoli non è

facile distinguere gli oracoli dell’anonimo profeta che scrisse prima della

fine dell’esilio e che noi chiamiamo Deutero-Isaia o secondo Isaia dagli

oracoli che scrisse dopo la fine dell’esilio e che noi chiamiamo terzo o

trito-Isaia.

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A principio della critica si faceva questa distinzione:

capitoli 40-55: Deutero-Isaia78;

capitoli 56-66: Terzo Isaia79.

La distinzione però non è precisa perché anche all’interno dei ca-

pitoli 40-55 alcune parti80 non possono appartenere al secondo Isaia per-

ché presuppongono un’altra situazione.

In realtà nei capitolo 40-66 ci troviamo di fronte ad un blocco re-

dazionale, redatto probabilmente dal terzo Isaia, il quale inglobò gli ora-

coli suoi e del suo predecessore: secondo Isaia. Possiamo perciò distin-

guere gli oracoli mediante la critica letteraria e la critica storica.

Perché chiamiamo secondo o terzo Isaia? Per due motivi: primo

perché a noi sono stati tramandati nel corpo del libro di Isaia inoltre per-

chè, almeno il secondo, si ispirano come linguaggio e come mentalità

all’antico Isaia. Ma questi profeti restano fondamentalmente anonimi.

Possiamo pensare che il redattore posteriore che redasse tutto il libro di

Isaia (da 1 a 66) li mise lì anche per riferire questi oracoli ad un grande

profeta e perciò farli accettare meglio (pseudonimia).

78 O secondo Isaia. 79 O trito Isaia. 80 Capitolo 49, 52 e 54 per esempio.

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SITUAZIONE STORICA

A differenza dell’impero assiro che durò circa 140 anni (74581-

60582), l’impero babilonese durò di meno, circa 100 anni (64083-53984).

Inoltre mentre nell’impero assiro avevano avuto una serie di re grandi,

nell’impero babilonese, tutta la grandezza si esaurì nel lungo regno di

Nabucodonosor. Alla sua morte si succedettero tre re inetti e poi salì al

trono un certo Nabonide inetto, amante delle belle arti ma non di politica,

il quale tra l’altro si inimicò la potente classe sacerdotale del dio Marduc

preferendogli il dio Assur. I babilonesi presto furono stanchi di lui. Verso

il 550-555 sale al trono di Persia un certo Ciro della dinastia degli Ache-

menidi, il quale, vinto il re Ciassarre dei Medi, si annetté la Media e si

proclamò, re dei medi e persiani. Verso il 546 conquistò la Lidia e allora

fu chiaro a tutti che era lui il nuovo padrone del mondo. Conquistata la

Lidia ebbe la via aperta verso Babilonia. È in questi anni, tra il 546 e il

541, quando già Ciro era nella scena storica e si orientava verso Babilo-

nia, che si collocano gli oracoli del Deutero-Isaia. per completare la sto-

ria, nel 539, Ciro arriva a Babilonia la conquista senza nemmeno combat-

tere perché i babilonesi stessi, stanchi del loro re Nabonide, gli aprono le

porte. Nel 538 (l’anno dopo) firma l’editto di liberazione degli ebrei, i

quali possono tornare in patria ma non da popolo libero, bensì sotto l’alto

patrocinio persiano, guidati da due giudei che però agivano da funzionari

persiani: Esdra e Neemia. Il ritorno in patria non era perciò vera libera-

zione, ma si spiega perché i persiani, a differenza degli assiri e dei babi-

lonesi, solevano non deportare, ma costituire in loco delle province

chiamate “le satrapie”.

81 Salita al trono di Tiglat Pileser III. 82 Battaglia di Karchemish. 83 Salita al trono di Nabopolasar. 84 L’arrivo di Ciro a Babilonia.

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Detto questo entriamo subito nel deutero-Isaia che vede nella sce-

na storica il cammino di Ciro e lo saluta come colui che il Signore ha

mandato a liberare il suo popolo. Per capire il messaggio del Deutero-

Isaia partiamo dal carme del capitolo 40, dai versi 12 in poi. Nei versi

precedenti 1-11, l’annunzio era stato quello “a preparare la via al Signo-

re”.

«una voce grida:

preparate la via del Signore

appianate nella steppa la strada del nostro Dio».

Queste parole si capiscono rileggendo la storia presente. attraver-

so Ciro il Signore sta venendo a liberare il suo popolo.

Per capire però il messaggio del Deutero-Isaia bisogna avere pre-

sente non solo la storia politica, ma anche la situazione spirituale del po-

polo: più o meno la stessa situazione di trent’anni prima, quando Eze-

chiele aveva lamentato la demoralizzazione del popolo e mediante la vi-

sione delle ossa aride, aveva annunziato il ritorno in vita e l’apertura del-

le tombe.

La stessa situazione di demoralizzazione denunzia il Deutero-

Isaia, in Isaia 40,27 il profeta quasi rimprovera: «perchè dici Giacobbe e

tu Israele ripeti: la mia sorte è nascosta al Signore e il mio diritto è tra-

scurato dal mio Dio». Il popolo si sentì in terra di esilio abbandonato dal

suo Dio e soffrì fortemente la tentazione di aderire agli idoli. I popoli de-

gli idoli prosperano, il popolo del Signore è in esilio, e allora conviene

aderire agli idoli. Emerge nel Deutero-Isaia una forte polemica contro

l’idolatria, una polemica che troveremo anche in alcuni Salmi della stessa

epoca, pensiamo al Salmo 134 e al Salmo 113. Il Deutero-Isaia vuole di-

stogliere l’attenzione dagli idoli adottando un genere letterario che noi

caratterizziamo, in lingua tedesca con la parola: “Streitgëricht”85. Il Deu-

tero-Isaia immagina come un grande tribunale dove il giudice è il popolo

85 Che sarebbe una disputa giudiziaria.

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e dove si presentano due imputati: rispettivamente Dio e gli idoli. Il po-

polo deve giudicare chi è il vero Dio e in quel contesto giudiziario per

garanzia di essere il vero Dio, ognuno deve esibire le sue opere. Le opere

che Dio esibisce sono tre:

1 - La creazione;

2 - L’esodo;

3 - La vocazione di Ciro.

La creazione è la prima opera che Dio esibisce, in essa Egli mani-

festa la Sua potenza e nella creazione manifesta la Sua fedeltà verso il

suo popolo; se Dio non fosse stato fedele avrebbe riportato la sua crea-

zione nel caos primordiale. Questo è anche il messaggio di un testo quasi

contemporaneo: il racconto della creazione in Genesi 1 che va letto in

questo sfondo storico. È in questo periodo che si sviluppa una teologia

della creazione che poi troveremo anche nel libro di Giobbe. A riguardo

possiamo citare diversi passaggi. Già nel capitolo 40, nel verso 26 Dio

dichiara: «levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato quegli

astri? Egli li fa uscire in numero preciso e li chiama tutti per nome». Nel

verso 28 continua: «non lo sai? Non lo hai udito? Dio eterno è il Signore,

creatore di tutta la terra, Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore

dello spossato». In 42,5 ancora leggiamo: «così dice il Signore Dio che

crea i cieli e li dispiega, distende la terra e dà respiro alla gente che vi

abita». Ancora in 44,24 leggiamo: «sono Io il Signore che ho fatto tutto,

che ho spiegato i cieli da solo, ho disteso la terra e quanto è in essa».

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È molto più bello l’oracolo di 48,12-15 dove sono messe insieme

le due opere: creazione e chiamata di Ciro.

«Ascoltami, Giacobbe, Israele che ho chiamato: Sono io, io solo, il primo e anche l'ul-

timo. Sì, la mia mano ha posto le fondamenta della terra, la mia destra ha disteso i cie-

li. Quando io li chiamo, tutti insieme si presentano. Radunatevi, tutti voi, e ascoltatemi.

Chi di essi ha predetto tali cose? Uno che io amo compirà il mio volere su Babilonia e,

con il suo braccio, sui Caldei. Io, io ho parlato; io l'ho chiamato, l'ho fatto venire e ho

dato successo alle sue imprese».

A riguardo dell’Esodo citiamo un testo particolare 43,14-21, un

testo che si rivela abbastanza unitario:

«Così dice il Signore vostro redentore, il Santo di Israele: «Per amor vostro l'ho man-

dato contro Babilonia e farò scendere tutte le loro spranghe, e quanto ai Caldei muterò

i loro clamori in lutto. Io sono il Signore, il vostro Santo, il creatore di Israele, il vostro

re». Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque

possenti che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi insieme; essi giacciono morti:

mai più si rialzeranno; si spensero come un lucignolo, sono estinti. Non ricordate più le

cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio

ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò

fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché

avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio elet-

to. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi».

Anche la terza opera, la chiamata di Ciro, è celebrata già il Isaia

43,14: «per amore vostro l’ho mandato contro Babilonia, e quanto ai

Caldei cambierò i loro clamori in lutto» . In 44,26 Dio continua: «Io di-

co a Ciro, mio pastore, egli soddisferà tutti i miei desideri», ma la venuta

di Ciro è celebrata soprattutto nei versi 1-7 del capitolo 45:

«Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l'ho preso per la destra, per abbattere da-

vanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i

battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Io marcerò davanti a te; spianerò

le asperità del terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. Ti

consegnerò tesori nascosti e le ricchezze ben celate, perché tu sappia che io sono il Si-

gnore, Dio di Israele, che ti chiamo per nome. Per amore di Giacobbe mio servo e di

Israele mio eletto io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi co-

nosca. Io sono il Signore e non v'è alcun altro; fuori di me non c'è dio; ti renderò spedi-

to nell'agire, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall'oriente fino all'occidente

che non esiste dio fuori di me. Io sono il Signore e non v'è alcun altro. Io formo la luce

e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto que-

sto».

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Da questa esibizione di tre opere Dio può concludere di essere Lui

il vero Dio, da questo giudizio esce trionfatore. È importante una espres-

sione che troviamo tre volte nel deutero-Isaia in 41,4; 44,1 e 48,12. Leg-

giamo la 44,6 dove Dio esclama: «così dice il Signore: Io sono il primo

ed Io l’ultimo», questa frase sarà ripresa dalla Apocalisse che conierà

l’espressione: «alfa e omega», cioè la prima ed ultima lettera all’alfabeto

greco. Dio è il primo, cioè è il primo nella lista degli idoli, ma è anche

l’ultimo, il che significa che Lui esaurisce tutta la lista delle divinità. Può

perciò concludere: «fuori di me non c’è Dio». Nel Deutero-Isaia appare

la tendenza a sottolineare la trascendenza di Dio, ma questa trascendenza

è sottolineata, non per separare Dio dal suo popolo, ma per renderLo an-

cora più presente. Dio trascende gli idoli e perciò in Lui il popolo deve

sperare. Per questo in 45,15 leggiamo: «veramente Tu sei un Dio miste-

rioso, Dio di Israele, Salvatore […], se ne andranno con ignominia fab-

bricanti di idoli. Israele sarà salvato dal Signore con salvezza perenne».

Dio però lamenta di non esser stato capito dal suo popolo in

45,18-19: «Io Sono il Signore, Io non ho parlato in segreto, in un luogo

oscuro della terra, non ho detto alla discendenza di Giacobbe: “cerca-

temi in un orrida regione”»86. Ancora Dio chiede che si abbia fiducia,

non negli idoli: «non hanno intelligenza quelli che portano un idolo scol-

pito e pregano un Dio che non può salvare». Dio rivendica di essere

l’Unico Salvatore: «volgetevi a Me e sarete salvi, paesi tutti della terra

perché Io Sono il Signore e non v’è n’è altri». Dio ancora continua: «da-

vanti a Me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua»87.

Rimane però un problema: se Dio è il Salvatore ed è Lui, Dio potente,

perché ha permesso l’esilio? Ezechiele aveva diffusamente e violente-

mente risposto rimandando ai peccati del popolo. il Deutero-Isaia, inve-

ce, preferisce rimandare al disegno misterioso di Dio e perciò non sembra

dare risposta e positiva. In 40,12 leggiamo: «chi può misurare con il cavo

86 Queste Parole le utilizzerà Gesù davanti ad Anania od Anna. 87 Che poi sarà ripreso in Filippesi 2,11.

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Esegesi AT: Libri Profetici - Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2004 / 2005 – Coco Ezio 216

della mano le acque del mare? Chi può calcolare con il palmo

l’estensione dei cieli? Chi può pesare con il moggio la polvere della ter-

ra? Oppure con la stadera le montagne?». L’uomo è incapace di com-

prendere le stesse realtà terrene, a maggior ragione è incapace di com-

prendere il pensiero di Dio, scrive infatti: «chi può dirigere lo Spirito del

Signore? e dargli suggerimenti come suo consigliere?». Il deutero-Isaia

rimanda perciò all’imperscrutabilità del disegno di Dio.

Il popolo tornò in patria, l’epilogo del secondo libro delle Crona-

che e l’inizio del libro di Esdra, spiegano in maniera teologica il ritorno

dall’esilio. Il re persiano manda il popolo in patria perché ricostruisca il

Tempio del Signore. Tornato in patria, il popolo intraprende l’opra di ri-

costruzione (sotto Esdra e Neemia) materiale e spirituale. La ricostruzio-

ne spirituale consiste nel rinnovare l’alleanza col Signore e qui si colloca

la redazione del Pentateuco che è la Legge che il popolo deve osservare

per ristabilire l’alleanza col Signore. Si torna a ricostruire la città mate-

riale, e la sua ricostruzione è cantata dal terzo Isaia. Citiamo 48, 54, 60,

62, 65, Dio che fa cieli nuovi e terra nuove (riprese anche dopo dalla A-

pocalisse). Ma si riprende anche la ricostruzione del Tempio, questa rico-

struzione fu lunga e laboriosa e conobbe anche fasi di alterne vicende e di

stasi. Alla ricostruzione esortarono profeti post-esilici, tipo Aggeo, tipo i

capitoli 1-8 di Zaccaria. Ci fu anche un fatto spiacevoli: i giudei ritene-

vano i Samaritani razza ibrida. In un primo momento i Samaritani furono

chiamati a partecipare alla ricostruzione del Tempio ma non vollero veni-

re, ma quando decisero di venire furono esclusi e si costruirono un Tem-

pio per conto loro sul monte Karizim.

Finito di realizzare martedì 22 febbraio 2005 alle ore 23:00. [email protected]