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Dimetto Silvio UNA MEMORIA DELLA MIA VITA

Libro Silvio

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Dimetto Silvio

UNA MEMORIA DELLA MIA VITA

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Basilea

Sono nel mio sessantaquattresimo anno di età e ho avuto questo desiderio, di lasciare un ricordo della mia vita.

Sono nato a Cittiglio il 10 novembre 1926.

La nostra famiglia era composta di nove componenti, una sorella non l'ho conosciuta poiché morì prima della mia nascita. Siamo rimasti sei fratelli, il papà e la mamma; tre fratelli e tre sorelle: i fratelli Mario, Giovanni e io, Silvio, le sorelle Pina, Angelina e Teresina. Oggi siamo rimasti in quattro fratelli: Pina, Giovanni, Teresina e Silvio.

La nostra famiglia non era solo numerosa, ma bensì anche molto povera. Perciò le conseguenze finanziarie non erano indifferenti, così la vita della nostra infanzia non è stata molto brillante e di conseguenza indimenticabile, per tutti noi.

Come mi raccontava mia mamma, fino all'età di due anni la situazione per me è stata molto precaria, come abbia potuto vivere è stato un po' come un miracolo. Come raccontano ancora tutti quelli che si ricordano, per due anni ho vissuto solo con acqua e zucchero, nessun altro cibo riuscivo ad inghiottire. Perciò sempre sull'orlo della morte, fino all'età di due anni.

A questo punto la mia vita ebbe una svolta al miglioramento.

Incominciato questo miglioramento mio papà un giorno mi mise in bocca un pochino di polenta mescolato con un pochino di formaggio Parmesano, qui feci un gesto di una nuova richiesta e così sempre più e ogni giorno un miglioramento. Da allora non ebbi più nessuna difficoltà con l'appetito e non ho più avuto nessun disturbo.

In questa casa dove sono nato non ho ricordi poiché all'età di tre anni e mezzo abbiamo dovuto, per motivi finanziari, cambiare casa e naturalmente non in miglioramento, come raccontano i più vecchi di me che ricordano meglio.

Qui incominciano i miei primi ricordi d'infanzia.

Avevamo una capra che ci dava il latte e con questa, tutti i giorni, dovevo andare in montagna e farla pascolare per risparmiare il fieno per l'inverno. Ogni giorno dovevo cercare la legna nella montagna vicina, per cucinare e riscaldare la casa. Io dormivo in un solaio con mio fratello Giovanni, due anni più vecchio di me. Qui le condizioni erano così precarie che preferisco non ricordarle.

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Della scuola infantile non ho nessun ricordo. Ricordo solo l'inizio delle scuole elementari.

A sei anni incominciai le scuole elementari. Avevamo una maestra molto severa e questo non è stato per me molto favorevole. Ho avuto subito il primo anno difficoltà e così dovetti ripetere la classe. Il secondo anno ho avuto una nuova maestra, più giovane e molto più buona e così le cose andarono meglio. La seconda elementare non fu brillante, pure questa la dovetti ripetere.

Le colpe non erano tutte mie. Da parte mia la colpa era che io andavo poco volentieri a scuola e colpa della famiglia era che nessuno mi aiutava a fare i compiti e, dopo la scuola, dovevo ogni giorno andare nella montagna vicina a cercare la legna per avere ogni giorno il fuoco per cucinare e per riscaldare la casa o per fare la riserva per l'inverno. Così tempo per giocare con altri bambini ne avevo poco, e tutto questo mi rattristava molto.

Continuai la terza elementare e poi la quarta e qui le cose andarono meglio, difficoltà ne ebbi ancora, ma le risolsi sempre nel modo migliore. Avrei dovuto fare la quinta elementare ma per bisogni finanziari, mia mamma ha preferito mandarmi a lavorare. A questo punto avevo tredici anni. E naturalmente inconsapevole dell'avvenire.

Io ero contento di non andare più a scuola e preferivo andare a lavorare, senza saperne le conseguenze.

Io facevo parte del numero dei poveri poichè nel paese eravamo diversi, ma come purtroppo è in questo mondo i poveri sono sempre messi da una parte e sono umiliazioni che non si dimenticano.

La nostra famiglia non era lombarda. Noi siamo una famiglia veneta e in Lombardia, in quel tempo, erano indesiderate le famiglie che venivano da altre regioni, e questo mi faceva male al cuore. Noi tutte queste cose le sentivamo e io personalmente ne ho sempre sofferto senza mai parlare. E questo lo sento ancora oggi, poiché nella nazione dove vivo provo la stessa sensazione.

Purtroppo il mondo è fatto in questo modo e sarà difficile cambiarlo.

Il mio primo nuovo vestito e le mie prime scarpe le ho avute alla Cresima dal mio padrino che mi ha vestito tutto nuovo. Anche questo, ripensandoci, molto bello ma anche umiliante.

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Tredici anni una nuova svolta nella vita.

Incominciai a lavorare, ero tutto felice, questo me lo ricordo ancora molto bene.

Lavoravo in una piccola impresa dove costruivano monumenti per cimiteri, tavoli da granito, piastrelle per pavimenti e altre cose di questo genere; il lavoro era interessante e mi piaceva.

In questa piccola ditta eravamo solo in tre, io e i padroni, che erano due fratelli. Uno dei fratelli, il più anziano, era molto buono con me, e con lui ci stavo sempre volentieri. Mentre con il fratello ci stavo poco volentieri perchè si divertiva a umiliarmi, perchè avevo i pantaloni rotti, perchè avevo un paio di scarpe vecchie e tutte rotte che mio papà non portava più e che dovevo mettere io per lavorare. Poi il modo di comandare sempre aggressivo. Non mi chiamava mai per nome, ogni giorno qualche nome nuovo. Io non dicevo mai una parola.

Mi davano 24 lire alla settimana, 6 lire al giorno, 7 giorni alla settimana. Si incominciava al mattino alle 8 fino a mezzogiorno e al pomeriggio dalle 13.30 fino alla sera quando era buio, a seconda della stagione.

Qui ci rimasi per un anno e mezzo e la paga fu sempre la stessa.

A 2 km da Cittiglio, dove lavoravo, c'era un'altra ditta, il medesimo lavoro e lì cercavano un giovane e pagavano meglio e così mia mamma decise di farmi lasciare questo primo posto per incominciare in quello nuovo dove la paga era migliore.

Naturalmente dovevo dare sempre, ogni settimana, tutti i soldi a mia mamma. Io non ho mai avuto un centesimo di tutti questi soldi che portavo a casa. I soldi erano pochi e mia mamma non aveva altra scelta per poter far fronte alle necessità della famiglia così numerosa.

In questo periodo lavoravamo tutti, io, Giovanni, Mario, Pina, Angelina, solo Teresina andava ancora a scuola. Ma le paghe erano così piccole che non bastavano mai per tutto. Qui mia mamma decise di cercare un lavoro anche lei, mio papà era in Germania ma i soldi che mandava erano pochi. Ma tutti insieme si poteva affrontare meglio la situazione.

In questo secondo posto di lavoro ero contento e ci rimasi per un anno, ma la paga era sempre la stessa. E così decisi di cercare un nuovo lavoro dove nel frattempo aveva trovato lavoro anche mia mamma. Era una fabbrica del cuoio, anche molto vicina alla casa dove abitavo. Cambiai lavoro sempre per migliorare il salario, altrimenti il lavoro precedente mi piaceva abbastanza.

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Questo nuovo lavoro era pagato meglio, ma non era interessante. E così dopo un anno, sempre a Cittiglio, c'era una ditta di pittori-imbianchini che mi hanno chiesto se volevo lavorare con loro; mi avrebbero pagato meglio di dove lavoravo e così, sempre per più soldi, decisi di cambiare e feci lo sbianchino per un anno. Qui devo sottolineare che mi hanno imbrogliato perchè questa ditta aveva preso un grande lavoro (il convento dei frati di Santa Maria) e quando questo lavoro fu finito non ebbero più lavoro per me, così rimasi senza lavoro.

In tutte queste ditte che ho lavorato non ho mai potuto pagare i contributi e perciò oggi ne risento le conseguenze.

In questi anni dopo la scuola ho sempre lavorato e così abbiamo vissuto con tutta la famiglia, ma sempre da poveri.

Il mio tempo libero lo passavo per le strade con gli amici che siamo cresciuti insieme dalla scuola in poi. Divertimenti per noi, o più precisamente per me, non ce n'erano molti. La prima volta che ho voluto andare al cinema rimarrà per me una giornata indimenticabile. Io dissi a mia mamma che volevo andare al cinema. Lei non era d'accordo e mi proibì di andare. Allora decisi, senza dire niente a nessuno, di scappare e alla sera, quando sarebbe cominciato il film, di entrare nella sala e godermi questa gioia che non avevo mai avuto. Ma purtroppo le cose andarono diversamente. Mia mamma aveva studiato il suo piano, che io naturalmente non avevo calcolato. Aveva avvisato un paio di giovanotti del paese della situazione e li aveva pregati di aiutarla perchè non potessi entrare nella sala del cinema altrimenti avrebbe perso e io avrei potuto vedere il film. E mia mamma queste battaglie di disobbedienza non le voleva perdere. E così fu. Lei si nascose vicino al cinema. Io aspettai fino all'ultimo momento e quando fu l'ora mi presentai per acquistare il biglietto, questi giovanotti che erano stai avvertiti mi presero e mi consegnarono a mia mamma che stava aspettando nascosta lì vicino. Questa volontà di vincere mi è costata una giornata indimenticabile.

Mia mamma ha dovuto fare sicuramente sacrifici indescrivibili per tutti noi, ma se noi non ubbidivamo non ci perdonava niente. Io ero forse il più terribile di tutti i fratelli e ogni piccola cosa venivo castigato. Quando facevo qualche cosa che non era giusta e me ne accorgevo che mia mamma lo sapeva, per risparmiarmi delle botte aspettavo la via libera e andavo subito nel mio letto senza cena. Lì era l'unico posto che non veniva a picchiarmi, forse perchè gli altri fratelli le dicevano di lasciar perdere dal momento che ero già andato a letto senza mangiare. Molte cose mia mamma non le ha mai sapute, altrimenti sarei sicuramente finito molto male. Eravamo un gruppo di giovani tutti senza soldi, non si poteva comperare niente e così si andava a rubare la frutta. Oggi non c'è più niente, ma cinquant'anni fa a Cittiglio c'era molta frutta. C'erano

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ciliege, uva, pere, mele, pesche, albicocche, fragole, cachi, fichi e altre cose, e per noi tutte queste cose erano irresistibili. Avevamo sempre fame e non c'era niente da mangiare e noi ci divertivamo a rubare questa frutta che qualche volta la lasciavano marcire piuttosto che regalarla a noi bambini.

Ci sono ricordi che sono stati pieni di paura ma alla fine anche belli se si pensa a quante volte abbiamo dovuto scavalcare recinti per avere questa frutta o scappare per la paura dei padroni, ma per fortuna è sempre finita bene. Queste cose mia mamma non le ha mai sapute altrimenti se io avessi solo una volta portato a casa un frutto che ho rubato mi avrebbe sicuramente preso per un orecchio e condotto dal padrone a confessare e in ginocchio a chiedere perdono, solo per dimostrare a questi padroni che l'esempio non partiva dalla sua casa.

Noi bambini eravamo terribili, ma mi ricordo di un fatto e questo non da bambini. Noi non avevamo soldi e qualche volta andavamo alla stazione a portare qualche valigia solo per avere venti centesimi per poi partire da Cittiglio fino a Laveno naturalmente a piedi per mangiare una granatina che costava 20 centesimi e poi ritornare nuovamente a casa. Per chi non sa, la distanza è di 10 km. Un giorno un signore di Milano che andava in vacanza a Vararo, 12 km in montagna, mi fece portare la sua valigia fino a 2 km da Vararo poi durante una pausa mi chiese quanto volevo del disturbo, gli chiesi quello che domandavano gli altri che avevano già fatto la stessa cosa prima di me, 5 Fr per 12 km in montagna. Mi diede uno scapaccione e una pedata nel sedere e ho dovuto ritornare a casa senza un centesimo. Questa una nuova esperienza non certo da dimenticare.

Un giorno mi sono permesso di non andare a cercare la legna e sono andato a giocare con gli amici. Quando si avvicinò la sera, sapendo che non avevo cercato la legna, ebbi paura di ritornare a casa. Raccontai tutto a un mio amico e lui mi disse che era nella mia medesima situazione, solo lui aveva perso le pecore in montagna e aveva paura di ritornare a casa e raccontare l'accaduto. Così assieme abbiamo deciso di non rientrare a casa. Abbiamo girato per il paese fino alla sera tarda. Suo padre era un contadino e perciò aveva una cascina e una stalla dove dovevano esserci le pecore che aveva perso. Era già molto tardi e ci siamo coricati nel fienile, mentre le nostre mamme ci stavano cercando per tutto il paese. Verso il mattino la mamma del mio amico Luigi ha pensato di cercarlo nel fienile dove scoprì che eravamo tutti e due addormentati nel fieno. Lei prese suo figlio Luigi, lo portò nella sua camera e senza punirlo all'indomani cercò le sue pecore e le riportò a casa e per lui fu tutto finito. Per me invece la paura c'era sempre e non ebbi il coraggio di ritornare a casa. Sicuramente per mia mamma sarà stata una notte terribile non sapendo dove ero rifugiato, ma questo l'ho capito solo più tardi quando anch'io ho avuto una famiglia e una figlia. E

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la fuga continua. Verso sera mi sono avvicinato a casa, dove dei bambini giocavano nella strada. In poco tempo mia mamma seppe dove mi trovavo e con una delle sue furbizie mi fece prendere da un uomo che mi portò in casa. Nel mezzo del tavolo c'era un piatto di pastasciutta, questo piatto lo vedo ancora adesso e non lo dimenticherò mai, erano due giorni che non mangiavo, solo due pomodori e un cetriolo che avevo rubato in un giardino. Quest'uomo che mi prese e mi portò in casa le fece promettere a mia mamma che non mi avrebbe picchiato, e così fu. Lei però voleva farmi inginocchiare e farmi chiedere perdono per quello che avevo fatto, altrimenti non mi avrebbe dato quel piatto di pasta che diventava sempre più freddo. Questa volta ho vinto io, in ginocchio non sono andato e perdono non l'ho domandato. Alla fine ho potuto mangiare. Lei si è assentata e ha solo detto che non potevo uscire di casa senza il suo permesso. Era domenica, sapevo che i mie amici stavano giocando da qualche parte, ci pensai un po' su poi me ne andai a giocare, non mi accorsi che si fece tardi e quando ritornai lei era già a casa. Mi presentai sulla porta sicuro di ricevere il castigo che mi aveva risparmiato qualche ora prima. Ma questa volta non fu così. Mi guardò solo con uno sguardo che non dimenticherò mai, le passai vicino, mi prese e voleva picchiarmi poi mi diede dei soldi e dovetti andare a comperare del sale. Quando ho visto i soldi ho avuto subito la voglia di scappare, ma erano così pochi che non ne valeva la pena. Tutto finì per quel giorno.

Io ero la pecora nera della frazione, quando succedeva qualche cosa la colpa era sempre la mia. Mi piaceva guadagnare qualche soldo e nasconderlo per risparmiarlo, poi non sapevo tacere e quando lo sapevano che avevo qualche franco nascosto allora ero il bambino più bravo del mondo, solo fino a che non mi avevano preso tutto. Poi ero triste. Un giorno decisi di fare un salvadanaio, presi una scatola di Olio Sasso che tutti conoscete le feci un taglio, feci un buco in un muro dietro la stalla, e con il cemento lo chiusi dentro questo muro lasciando solo una fessura per mettere i soldi. Qui passò un po' di tempo, e un giorno giocando con altri bambini con il tirasassi ho rotto una lampadina dell'illuminazione stradale. Eravamo diversi, ma una donna che abitava vicino e che non poteva vedere gli estranei come eravamo noi, fece sapere subito al Podestà del paese che io avevo rotto questa lampada. Allora qualche giorno più tardi mi chiamarono in comune, io e mia mamma. Allora comandavano i fascisti. Il Podestà mi fece una morale che mi fece tremare dalla paura poi mi diede una contravvenzione di 10 Fr e intimidò mia mamma dicendole che se fosse successo ancora ci avrebbe mandati ancora a Venezia nel nostro paese di origine. Questa volta mia mamma non si arrabbiò con me ma con quella strega di una signora che aveva dato il mio nome mentre eravamo in molti ragazzi che avevamo la fionda tira sassi. Io dovetti pagare i 10 Fr di multa così mia mamma mi castigò facendomi rompere il mio salvadanaio che avevo cementato nel muro. C'erano giusto 10 Fr per pagare questa multa.

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In questo periodo incominciò un'altra era nella mia vita. Cominciavo a diventare un giovanotto e incominciai a imparare a ballare, questo è l'unico divertimento che ho avuto per molto tempo. Ero diventato un ballerino conosciuto in tutta la zona. Soldi sempre pochi, io ero contento se mi bastavano per entrare nella sala da ballo. Bere una bibita non è mai stato possibile, perciò sempre in piedi, poteva sedersi solo chi beveva qualcosa. Ma io ero sempre contento ugualmente. Avevamo solo una bicicletta ogni due amici, facevamo 15 km quattro volte al giorno, questo solo alla domenica 60 km per ballare sei o sette ore. Ma malgrado tutto si aspettava sempre la domenica.

Poi incominciò la guerra e io trovai lavoro in una stamperia come aiutante stampatore. Era una ditta che per causa dei bombardamenti fu costretta da Milano a trasferirsi nei paesini di campagna, così ebbi la possibilità di conoscere anche questo lavoro. Ora era finalmente giunto il momento che si poteva avere qualche soldo in più, ma causa la guerra non si trovava più niente per mangiare e così ogni giorno sempre più peggio. Così giovane e ogni giorno una fame che solo quelli che hanno provato possono credere.

Solo un piccolo aneddoto. Mia sorella Pina era in servizio dalla famiglia Castelli a Gemonio. Questi avevano una fabbrica del formaggio. Ogni martedì il pomeriggio aveva tre o quattro ore di libertà e così ne approfittava per venire a fare visita a casa che non era lontano. E io questo giorno non lo dimenticherò mai perchè sapevo che quando veniva a casa ci portava sempre qualche cosa che avanzava durante la settimana, in questa famiglia molto ricca. Che non dimenticherò mai sono le croste del formaggio Parmigiano. Queste le aspettavo in particolar modo. Questo è solo per dirvi quanta fame avevamo.

Si sparsero le voci che sul comasco si potevano comperare delle patate, ma questo era proibito. Ma noi abbiamo provato ugualmente questa avventura. Un pomeriggio eravamo in tre con la bicicletta siamo partiti 50 km nei dintorni di Como, qui abbiamo girato da diversi contadini finchè trovammo circa 20 kg di patate ciascuno. Ripartiti arrivammo a casa al mattino alle cinque. Appena arrivati abbiamo immediatamente cucinato un po' di patate e così fu una grande festa. Contenti di questa cena di patate ci siamo poi coricati.

Scrissero sui giornali che chi sarebbe andato al trapianto del riso, avrebbe avuto una buona paga da mangiare e per ogni componente della famiglia avrebbe ricevuto 48 kg di riso. Su questa possibilità ci pensai e poi chiesi alla ditta dove lavoravo se era possibile avere un permesso di un mese per partecipare a questo lavoro, che si svolge solo un mese all'anno. Il padrone mi concesse questo mese e quando ritornai potei riprendere nuovamente il mio lavoro. Questo lo feci per tre anni di seguito.

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Io non avevo nessuna idea di cosa fosse il trapianto del riso. A Varese è stato fatto questo raduno dei partecipanti a questo lavoro. Eravamo in circa cento tra uomini e donne e nessuno conosceva questo lavoro. Il treno era speciale solo per noi. Partiva da Varese per Novara, c'erano carrozze per altri che salirono a Gallarate. Ci diedero da mangiare sul treno. Arrivati nel pomeriggio a Novara ci selezionarono a gruppi di cinquanta. Il piazzale della stazione era già tutto pieno di taxi, per il trasporto una trentina di cavalli con carri. E qui ci smistarono in tutta la zona di Novara. Fino a questo punto tutto era ancora molto divertente. Arrivammo in questa cascina come la chiamavano. E incominciarono a sistemarci. Eravamo sessanta uomini e centottanta donne, noi uomini dormivamo tutti in un grande solaio e le donne divise in tre grandi granai. Un lettino con una coperta, per lavarsi c'era un fiume e lì ci si andava a lavarsi al mattino e alla sera dopo il lavoro. Il mangiare si andava a prenderlo fuori dalla cucina e ci si sedeva dove si voleva, si lavava il piatto e si riportava in cucina. C'era solo un piatto, una tazza per il latte e un cucchiaio. Al mattino c'era una tazza di latte con un panino, mezzogiorno un piatto di minestra con fagioli e alla sera la stessa cosa. Ma fino a questo punto nessuno conosceva ancora il lavoro che doveva fare. Al mattino ci alzavamo alle 4, una tzza di latte e a piedi nudi senza scarpe dovevamo fare 3-4 km di strada per arrivare sul campo dove si lavorava. E qui fu la sorpresa di tutti o per lo meno della maggior parte di noi. Bisognava entrare nell'acqua fangosa e qui con la schiena abbassata bisognava trapiantare il riso che era già stato preparato prima da altri. Qui tutti quelli che non conoscevano questo lavoro hanno capito quale sbaglio avevano fatto. Ma purtroppo era tardi. Io dopo un'ora che lavoravo pensavo già di scappare. Verso le 8 c'era sempre mezzora di pausa e un panino e qui mi diede la forza di rimanere e riflettere. A mezzogiorno si camminava di nuovo fino a casa, un piatto di minestra e alle ore 14 dovevamo recarci in un campo più vicino e fare altre quattro ore di lavoro e alla sera alle ore 18 era finita la giornata. Dieci ore di lavoro.

Il lavoro era terribilmente duro, il mangiare poco, ma si pensava alla fine di questo mese quello che si avrebbe ricevuto e forse questo era quello che ci dava la forza di sopportare e continuare. I primi tre giorni hanno pianto in molti e in silenzio ho pianto molte volte anche io. I padroni mi volevano bene e qualche volta mi facevano fare altri lavori. Per esempio nel fieno, nel taglio del grano e così via il tempo passò e i soldi con il riso che avevano promesso l'abbiamo avuto, e questi momenti brutti rimangono solo un ricordo e un'esperienza nella vita. Io arrivai a Cittiglio con il treno e 350 kg di riso. Potete immaginare per chi ha fame e non ha niente di fronte a una ricchezza simile quale festa nella famiglia.

Eravamo sempre in guerra, il riso finiva sempre presto, poiché tutti sapevano e tutti venivano a domandare per carità qualche 100 grammi di riso e mia mamma non sapeva dire di no. Ora che ero stato a lavorare

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in queste zone del riso conoscevo un po' e così decisi di rischiare e andare come facevano molti altri a comparare riso, fagioli e farina. Era proibito ma io non ebbi paura e incominciai questa strada. Per un po' di tempo ebbi fortuna. Viaggiavo sempre di notte, in questo periodo di mangiare ne avevo abbastanza. Di questa roba che portavo a casa mi bastava anche da vendere.

Ma una volta volli provare questa avventura di giorno e questa volta mi andò male. Stavo arrivando vicino alla stazione ferroviaria di Mortara, quando mi si avvicinò un poliziotto in borghese e mi chiese di seguirlo. Mi portò in una caserma. Io avevo 20 kg di fagioli e 25 kg di riso. Mi fece entrare in una camera, dove era già tutto pieno di riso, farina, fagioli, tutto nel pavimento e tutto mescolato e così anche la mia roba l'ho dovuta rovesciare per terra con l'altra. Mi lasciarono andare ma dovetti pagare una multa di 500 lire. Con questa multa ebbi più tardi delle conseguenze che avrebbero potuto essere anche gravi per il mio avvenire. Ma per fortuna tutto andò bene.

Gli anni passarono e arrivai all'età di 17 anni. Eravamo sempre in guerra. L'Italia era divisa in due: i partigiani e la Repubblica di Salò. Se mi arruolavo nella Repubblica potevo rimanere in Italia e se non mi arruolavo rischiavo di essere trasportato in Germani e di lì al fronte.

Decisi di arruolarmi nella Repubblica, nella Polizia Ausiliaria. E qui fui molto fortunato. Rimasi fino alla fine della guerra a Varese e a Laveno, quasi sempre vestito in civile. Qui devo dire che fino a questo punto della mia vita, questo periodo di militare è stato quelli che mi ha dato di più. Dopo la guerra avrei potuto rimanere nella polizia come hanno fatto molti miei amici, ma ho preferito ritornare a casa e fare un altro lavoro. Feci uno sbaglio perchè la fabbrica dove lavoravo, finita la guerra, fece subito ritorno a Milano e io potevo lavorare solo con questa ditta solo se abitavo a Milano. E perciò fu tutto finito.

A questo punto in tutta la zona della Valcuvia si sparse un virus molto pericoloso e precisamente il tifo, e ci furono diversi morti. Anche la nostra famiglia ebbe un'esperienza indimenticabile. Di questa malattia furono ricoverati in Ospedale tre membri della famiglia. Tutti con il tifo. E questi sfortunati furono la sorella Pina, Teresina e il fratello Giovanni. La sorella Angelina era fuori casa, lavorava in una famiglia e lei non ebbe niente. Il fratello Mario era in guerra, il papà era in Germania. E cos' con una famiglia così numerosa che eravamo, in questi tre mesi che i fratelli si trovavano all'ospedale io ero tutto solo. Mia mamma era giorno e notte occupata in ospedale ad assistere i fratelli. Io fortunatamente fui risparmiato da questa epidemia spaventosa. Lavoravo tutto il giorno e alla sera dopo aver mangiato mi coricavo. Non potevo entrare in Ospedale perchè la malattia era contagiosa. Le cose si misero molto male quando il Professore diede la notizia a mia mamma che avrebbe

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potuto portare a casa i suoi tre figli perchè purtroppo non c'era più nessuna speranza di vita. E questo fu un colpo molto duro per tutti, e così pure in tutto il paese che era in ansia per questa malattia, che non aveva una svolta al miglioramento. Mia mamma non era in grado di affrontare questa situazione con tre ammalati così gravi. Perciò la soluzione è stata di lasciarli in Ospedale in attesa del peggio. Invece con la sorpresa inaspettata di tutti si capovolse la situazione e subentrò un miglioramento giornaliero fino alla guarigione completa. Questo miglioramento venne in tutta la zona e questa pericolosa malattia fu vinta. Tutti e tre i fratelli ebbero una lunga convalescenza ma si ripresero perfettamente.

Tornò di nuovo la calma e si riprese la vita normale e tutti ripresero il loro lavoro. E da allora non ebbero più nessun disturbo.

Dopo un certo periodo abbastanza buono di nuovo la crisi.

Rimasi senza lavoro e così molti altri miei amici. La guerra era finita: senza lavoro, senza soldi, vestiti pochi e mangiare ancora tesserato. Per circa un anno non ebbi un lavoro fisso, facevo un po' di tutto. Portavo il pane e la spesa nelle case dei signori, facevo i giardini nelle ville, lavoravo in montagna. E raccoglievo legna per noi come sempre e qualche volta anche per vendere. In questo modo passai questo periodo che per me fu abbastanza triste: 20 anni, senza lavoro e senza soldi.

Il governo dopoguerra, era già passato un anno, emanò una nuova legge: riformare il nuovo esercito militare, incominciando dalla classe 1926, proprio la mia classe.

11 gennaio 1948

L'11 gennaio 1948 alle ore 10 mi dovetti presentare a Verona nella caserma di addestramento. Qui dovetti trascorrere tre mesi di addestramento. In questi tre mesi ebbi una possibilità che non mi lasciai scappare. Con una scuola serale, diedero la possibilità a tutti quelli che non avevano avuto la possibilità di terminare le scuole con la 5^ classe, avrebbero potuto, se volevano, percepire questo diploma con una scuola serale di tre mesi. Qui non esitai a lungo e mi annunciai a questo corso e alla fine dei tre mesi ebbi il diploma di 5^ elementare, che in quei tempi era in certi casi indispensabile. Finiti questo tre mesi di recluta fummo selezionati in diversi corpi e diramati in diverse regioni. Io fui scelto, dopo un attestato, come radiotelegrafista Artiglieria di montagna, destinazione

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Bolzano. Qui ci rimasi fino al 10 dicembre 1948. I tre mesi di reclutamento furono abbastanza severi e disciplinari, mentre i primi sei mesi a Bolzano ebbi fortuna, poiché dovetti, con altri allievi, separarmi dalla caserma militare e passare in una scuola dove fu esercitato un addestramento di radiotelegrafista.

Eravamo in trenta, la scuola incominciava il mattino alle 8 fino alle 11 e il pomeriggio dalle 14 alle 17. Avevamo una cantina per noi soli e così era molto meglio che essere in una caserma dove eravamo quattrocento soldati.

Dopo questa scuola ritornammo anche noi nella caserma dove c'erano gli altri soldati. In questa scuola feci un'esperienza indimenticabile e imparai molte cose sicuramente positive per la vita. Il resto che mi rimase dovetti trascorrerlo in addestramento come tutti gli altri militari della caserma, solamente per noi telegrafisti l'addestramento era solo indirizzato con radio e telegrafo.

Durante questo anno di militare si sviluppò la situazione e ci fu un miglioramento rapido. Mentre i primi mesi di recluta erano, riguardo i viveri, ancora molto precari per causa della guerra, verso la metà di questo periodo eravamo abbastanza soddisfatti. Con momenti soddisfacenti e con altri meno, arrivai alla fine di questa esperienza militare.

Di questo tempo militare a Cittiglio eravamo in nove della classe 1926 e solo due abbiamo dovuto conoscere questa esperienza. Il motivo di questa ingiustizia non mi fu mai chiarito. E questo non lo dimenticherò mai.

Dalla mia infanzia, fino a questo punto, ho raggruppato qualche aneddoto vissuto, e molti altri ho preferito non elencarli. Fino a questo punto giovane, spensierato e senza responsabilità, fortunatamente sempre in salute. Ho chiuso questo primo capitolo della mia vita con delle esperienze indimenticabili.

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11 dicembre 1948: fine dell'esperienza militare.

Pienamente soddisfatto di questo ritorno non ero, perchè sapevo che mi aspettava una nuova vita, incognita dell'avvenire. Completamente senza lavoro e senza speranza positiva per il prossimo avvenire. Incominciai il 1949 senza un soldo, senza lavoro. La difficoltà era aggravata anche dall'inverno che non dava nessuna via migliore.

Incominciata la primavera, trovai un lavoro. Stavano ricostruendo una linea telefonica e qui ebbi la possibilità di lavorare circa un anno, fino alla conclusione di questa. E poi fui di nuovo senza lavoro. Avendo fatto questa esperienza in questo lavoro, mi diede la possibilità qualche mese più tardi di essere assunto dalla Valcuviana, una società elettrica che aveva la centrale amministrativa a Cittiglio. Sia il telefono sia la Valcuviana mi facevano lavorare senza assicurazioni. Il lavoro è meglio non ricordarlo: sempre esposto alle intemperie, acqua, neve, freddo, sabato, domenica e anche di notte, ma io ero contento ugualmente. Incominciò a girare qualche soldo e potei vestirmi più decentemente, entrare in qualche ristorante e partecipare alla vita normale di tutti.

Malgrado il lavoro non fosse di mio gradimento, e non avendo possibilità migliore, ci rimasi per tre anni.

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In questo periodo la vita fu abbastanza normale. C'era da mangiare e ci divertivamo abbastanza, sempre ai limiti delle possibilità. Feci nuove esperienze, qualche volta belle e qualche volta meno, come è naturale nella vita per tutti. Ma il pensiero era sempre quello di migliorare la situazione per un avvenire migliore.

Mi si presentò la possibilità di provare l'avventura espatriando in Svizzera e così, dopo qualche riflessione, decisi di accettare questa nuova esperienza.

Avevo 25 anni il 21 aprile 1951.

Ebbi un contratto stagionale in un'impresa edilizia di Basilea.

Arrivai in questo paese sconosciuto, incominciai il lavoro e in questo non ebbi difficoltà.

Eravamo alloggiati in baracche di cinquanta persone, ma questo non mi fu di peso. Trascorsi il primo anno, si guadagnava abbastanza bene, e incominciai a risparmiare i miei primi soldi. In questo periodo mi feci degli amici: Paolo di Arcumeggia (Valcuvia) e Guido Germasoni di Vedano Olona (Varese). La stagione a dicembre finì e fino a febbraio siamo ritornati in Italia in attesa del prossimo contratto.

Con questi amici che mi sono fatto abbiamo fatto un accordo di separarci dalle baracche e trovare un alloggio per noi soli. E così fu. Vivevamo insieme in un appartamento, di comune accordo cucinavamo e tutte le altre faccende necessarie, senza nessuna difficoltà. La padrona dell'appartamento conviveva con noi. Era un'anziana signora vedova ed era molto contenta della nostra compagnia. Per due anni rimanemmo in questa casa, lavorando sempre nel medesimo lavoro.

Poi, avendo avuto la possibilità di risparmiare e migliorare l'alloggio, abbiamo cambiato casa. Nella nuova casa io ci rimasi ancora due anni, poiché in questo periodo la mia vita ebbe una nuova svolta per il mio avvenire.

La padrona del nuovo appartamento aveva una nipote che abitava nella stessa casa e che incontravo spesso, poiché loro avevano al pianterreno della casa un ristorante, che naturalmente noi frequentavamo ogni sera per trascorrere il nostro tempo libero. Incontrandoci ogni giorno e parlando sempre assieme, mi fu così facile imparare la lingua ed avvicinarmi sempre più ad una relazione che non ci separò più.

Fino a questo punto, naturalmente tutto meraviglioso e senza pensieri. E qui cominciarono le difficoltà. Si incominciò a pensare eventualmente all'avvenire, quali possibilità per una famiglia. Il mio lavoro era sufficiente

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per me solo, ma per una famiglia non dava speranza rosea. Perciò decidemmo di prendere di prendere possibilmente un'altra via che aprisse una porta più proficua, per un eventuale avvenire con una famiglia.

Per me il lavoro più favorevole era il litografo, che avevo conosciuto in parte durante la guerra e che ho trovato anche più interessante di tutti i lavori che conoscevo. Perciò prendemmo una decisione e così fu. Il lavoro di litografo Hoffsettdrucher non potevo praticarlo senza un diploma. Così fui costretto a questa soluzione. Non so se capirete in che situazione mi trovavo: felici della nostra relazione e sconvolti e turbati dalla situazione. Ma la soluzione fu da entrambi: ritornare in Italia e fare questo diploma di litografo.

Naturalmente quello che mi aspettava non era scritto.

Incominciarono le prime difficoltà. Fortunatamente in quei cinque anni di permanenza in Svizzera ebbi accumulato un piccolo risparmio che mi aiutò nelle prime difficoltà.

Cercare un nuovo lavoro a Milano per poter partecipare alla scuola di litografo macchinista per il diploma necessario per la Svizzera. E questa è stata un'esperienza indimenticabile. Per sei mesi consecutivi Cittiglio – Milano alle ore 5 del mattino, Milano ore 8 Camera del lavoro, e a questa ora naturalmente l'ufficio era già tutto affollato, e così ogni giorno dalle 8 alle 11.30 sempre in fila ad aspettare il mio turno per una richiesta di un eventuale lavoro in una stamperia, poiché era possibile frequentare la scuola lavorando solo in una di esse. Ma ogni giorno la risposta era negativa. Come ho già detto prima, dopo sei mesi di costanza indescrivibile finalmente una risposta positiva. Tutto ciò non mi sembrava vero. E quando mi chiesero i documenti nacque una nuova difficoltà che quasi mi fece crollare. Le possibilità per un lavoro erano solo per i residenti a Milano, così ogni mia speranza era svanita, per sempre. Ma prima di arrendermi mi sono difeso come ho potuto, raccontando la mia odissea quasi piangendo dalla disperazione e, forse per compassione, mi hanno indirizzato in questa ditta lasciando solo a me le eventuali difficoltà che avrei incontrato.

Qui devo dire che con tutte le peripezie che ho avuto sono stato fortunato, poiché la scuola è incominciata proprio una settimana dopo questo mio primo lavoro.

Questo mio primo lavoro durò circa un mese. Il motivo: la ditta cercava un macchinista finito e io questo non ero in grado di farlo così mi fecero lavorare fino al ritrovamento di uno qualificato. Io però ero contento ugualmente perchè finalmente avevo incominciato la scuola e questo era un mio traguardo. Nella scuola conobbi altri amici che mi aiutarono e così

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non fu più difficile sistemarmi in una nuova fabbrica, che rimasi poi fino al ritorno in Svizzera.

Rimasi a Milano per circa due anni e ogni giorno quattro ore di treno dal mattino alle 5 fino alla sera alle 9.

Il sacrificio è stato indescrivibile poiché nei primi sei mesi senza lavoro io raccontavo a mia mamma che lavoravo e così non potevo mai tornare a casa presto altrimenti avrei dovuto raccontare tutto e questo dispiacere ho sempre voluto risparmiarlo a mia mamma. Anche a Selma le ho sempre fatto credere che lavoravo e che tutto proseguiva nel migliore dei modi, solo io sapevo come stavano le cose. Avevo l'abbonamento del treno e questo mi ha salvato per un po', era inverno, faceva freddo e sempre per le strade non si poteva stare. Nei ristoranti o nei cinema non sono mai entrato, dovevo controllare i soldi perchè andavo verso la fine dei miei risparmi. Sono bastati proprio fino all'inizio del mio primo lavoro che ho trovato.

La rete ferroviaria della Nord la conoscevo tutta, avrei potuto fare l'esperto delle ferrovie. Il mattino ero a Milano e il pomeriggio battevo tutte le linee fino alla sera, con due panini e 100 grammi di Bologna, non ho mai bevuto un caffè o una aranciata, solo acqua nelle fontane delle stazioni.

La scuola era incominciata, il lavoro andava anche bene e tutto si era avviato per il meglio. Una volta andavo io dalla mia fidanzata e una volta veniva lei da me e così sembrava meno penoso. Selma intanto cominciava a darsi da fare per trovare un posto di lavoro. In quel periodo era difficoltoso trovare un posto come cercavo io, poiché ero straniero e c'era la difficoltà della lingua. Fortunatamente nei primi cinque anni ho accumulato un po' di francese e un po' di tedesco e questo mi ha aiutato molto. In tutto questo periodo non è stato difficile solo per me, ma anche per mia moglie che ha passato dei momenti difficili non sapendo come sarebbero finite le cose. Certi momenti sono stati così difficili che non si sapeva se continuare o arrendersi di fronte alla realtà delle cose molto spesso negative. Ma con il desiderio e la forza di volontà da ambo le parti siamo stati premiati dalla riuscita delle cose programmate e volute. Finalmente è giunto il momento ansiosamente aspettato. Selma trovò un posto di lavoro, che mi avrebbero assunto. Mi fecero avere il contratto che io naturalmente sottoscrissi con molta emozione. Dico con emozione, perchè qui c'è il motivo. Io ho lavorato come litografo stampatore, ho fatto la scuola, ma non ho mai lavorato con tutta la responsabilità. Il coraggio l'avevo, ma con un certo riguardo, poiché mi accingevo ad assumermi una responsabilità in un paese dove la lingua non era la mia e così un certo riguardo e anche un po' di paura perchè Selma non sapeva di quali erano le mie capacità. Lei pensava solo al diploma, ma se

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fossi in partenza caduto in un errore con il lavoro forse sarebbe stata la fine di tutto.

Selma dalla gioia, mi raggiunse in Italia dove festeggiammo tutti assieme questo avvenimento prima della nostra partenza per incominciare una nuova vita dopo un periodo di difficoltà indimenticabili. Prima della partenza abbiamo voluto fare una fotografia per ricordo.

Quasi nasceva una tragedia, ho voluto salire su un ceppo di legno e di qui farmi fotografare, il ceppo si rovesciò e io caddi facendomi male al pollice della mano destra, fortunatamente non gravemente ma abbastanza per me che al lunedì avrei dovuto affrontare questa nuova responsabilità. Ebbi un po' di difficoltà nei primi giorni ma per fortuna andò tutto bene, ma la foto non fu più fatta.

La ditta dove dovevo incominciare, mi aveva già preparato un posto dove potevo abitare, e così quando arrivai non ebbi difficoltà e mi sistemai subito.

Qui c'erano il papà e la mamma di Selma che aspettavano.

Era un paesino alla frontiera della Germania e precisamente si chiamava Tayngen, vicino a Sottgffausen. Selma, il papà e sua mamma ripartirono per Basilea.

Io non potei dormire tutta la notte, sapevo che l'indomani sarebbe incominciato il giorno che avrebbe dato una nuova svolta alla mia vita. E così fu.

Incominciai e devo dire che furono tutti molto gentili con me. La macchina era molto vecchia e così non ebbero molte pretese riguardo la qualità del lavoro, e così fu per me più facile l'inizio e le prime settimane. Ebbi un aiutante che lavorava già da tanti anni in quella ditta come aiutante, e questo mi facilitò molto il mio primo periodo.

Continuai senza tante difficoltà, cercavo sempre di risolvere i problemi senza domandare a nessuno e riuscendoci sempre. La macchina era così vecchia che dopo qualche mese dovettero decidersi di eliminarla.

Incominciai con un'altra macchina non più nuova ma meglio della prima, e così un'altra esperienza nuova. A questo punto mi resi conto che avevo superato l'esame e che nulla più poteva accadere negativamente a mio riguardo. Ogni giorno mi sentivo più sicuro, e così continuai per un anno e mezzo ed erano tutti molto contenti.

Ora avevamo raggiunto in gran parte lo scopo voluto, si incominciò a pensare al matrimonio e ad una famiglia. Decidemmo di sposarci il 16

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settembre 1961. In programma c'era l'eventualità di un avvicinamento o Selma a Tayngen o io a Basilea.

La decisione fu per il mio ritorno a Basilea. Difficoltà non ne abbiamo avute e il mio nuovo posto di lavoro fu a Basilea.

27 marzo 1961

Incominciai nella nuova ditta di nome Frobenius, il lavoro era molto più difficile del primo ma con molta attenzione e molta volontà, le cose andarono molto bene. Finanziariamente tutto come previsto ed in poco tempo siamo arrivati al giorno del nostro matrimonio con il necessario per l'inizio di una nuova vita e la formazione di una famiglia.

Dopo tre anni di matrimonio, desiderandola abbiamo atteso alla nascita di Mireille che portò nella nostra casa una nuova gioia. Ogni giorno una felicità per tutti. L'infanzia, gli studi ed ora le esperienze di una maggiorenne. Noi le auguriamo un buona avvenire con tanta felicità su tutti i fronti, noi siamo molto orgogliosi di lei e speriamo di esserlo per sempre.

Selma ha sempre lavorato fino alla nascita di Mireille e più tardi ha ripreso il suo nuovo lavoro, soltanto non più tutto il giorno ma bensì mezza giornata. Io sono rimasto per trent'anni nella stessa ditta Frobenius, ora mi trovo in fase di pensionamento. La salute mia e quella di Selma e Mireille è sempre stata molto buona e finora non ci possiamo lamentare e speriamo continui così ancora a lungo. Durante questi anni di matrimonio il Signore ci ha ripagati di tutti i sacrifici che abbiamo fatto e che ho fatto, dandoci questa grande grazie di vivere felici, uniti e in salute.

22 novembre 1990

Quello che voglio raccontarvi ora non posso tenerlo solo per me. Poiché anche questo ha fatto parte della mia vita.

Durante tutte l'infanzia, come tutti gli altri bambini, di momenti pericolosi ne ho avuti molti. Tutti i giorni nella montagna arrampicandomi sugli alberi per procurarmi la legna, questo procurava ogni giorno un pericolo che posso anche definire mortale. Ma fino a questo punto non mi successe mai niente fortunatamente.

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Dopo l'esperienza militare, come ho già scritto, lavorai per un anno per il telefono e tre anni nell'elettricità. Qui la morte la sfiorai più di una volta, che non posso dimenticarlo.

Devo raccontarlo per spiegare nella sfortuna che ho avuto, quale fortuna mi ha sempre assistito e che oggi non posso dimenticare di raccontarlo.

Lavoravamo a Besozzo per il riarmo della rete telefonica aerea e sotterranea. Un giorno applicando una cavo telefonico sotto una grondaia all'altezza di sette metri dovendo lavorare anche vicino all'elettricità mi accadde di venire in contatto con essa e fui catapultato da questa altezza fino al suolo, senza una piccola graffiatura. Questa la prima fortuna e anche una grande indimenticabile esperienza.

Passato questo brutto momento, dopo qualche giorno, fui nuovamente coinvolto in un'altra sciagura. Dovetti fare uno scavo che costeggiava un muro lungo una trentina di metri e alto circa due metri. Finito questo scavo largo 60/70 cm e profondo circa un metro, mi preparai per uscire da questo scavo e nel medesimo momento tutto il muro scivolò nello scavo che avevo fatto chiudendomi le gambe. Alle mie grida in poco tempo furono sul posto molti soccorritori e in poco tempo fui liberato e per fortuna senza conseguenze gravi. La fortuna più grande è stata che il muro è scivolato cadendo dalla parte opposta allo scavo, altrimenti se si fosse rovesciato mi avrebbe sepolto e sarebbe stata la fine.

Non mi lasciai prendere dalla paura e continuai con il mio lavoro. Passate poche settimane sfiorai ancora la morte sicura. Appoggiai la scala ad un filo che attraversava la strada, dove dovevamo aggrappare il cavo telefonico. Giunti quasi alla fine di questo lavoro, si staccò dal muro il gancio che sosteneva il filo con aggrappato il cavo e io precipitai con la schiena nel muro di cinta della casa, dove era agganciato il filo. In questo muro erano stati sistemati dei puncilioni di ferro dell'altezza di 50 cm circa, per impedire di oltrepassarlo. Cadetti con la schiena proprio sfiorando uno di questi puncilioni, qui posso proprio dire che la morte è stata molto vicina. E anche questa volta tutto finì senza conseguenze, ma dimenticarlo non mi è stato più possibile.

In questo luogo il lavoro fu finito e fummo trasferiti a Cittiglio, dove dovevamo aggiungere una nuova linea di telefono Cittiglio- Laveno. Il lavoro consisteva nel mettere due fili supplementari per una linea nuova.

Sistemati questi fili sui pali dovetti procedere, palo per palo, all'agganciamento agli isolatori.

Salii sul primo palo, presi il filo per sistemarlo all'isolatore quando fui preso da una tremenda scossa elettrica che poteva anche essere mortale. Scesi dal palo tutto spaventato, spiegando l'accaduto al capo

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del lavoro. Lui non voleva credere e alla fine dovette salire sul palo e assicurarsi personalmente, poiché io non volevo più continuare. Assicurato di ciò che avevo raccontato si dovette cercare la causa. E la causa fu un filo della luce stradale che attraversava la strada e passava molto vicino al filo telefonico e questi muovendosi per il vento, si toccavano e mandavano queste scariche che avrebbero potuto portare una conseguenza che potete immaginare di quale gravità.

A questo punto, finito questo lavoro a Cittiglio, avrei potuto seguire questa ditta e andare con loro a Bergamo, ma il padrone aveva fatto con me un'esperienza molto pericolosa e avendo paura che sarebbe accaduto in avvenire il peggio, mi consigliò di rimanere a Cittiglio a cercare un lavoro meno pericoloso, dopo queste esperienze vissute.

Rimase qualche settimana senza lavoro. In questo periodo la Valcuviana mi chiese se volevo lavorare per loro. Il lavoro era quasi simile al primo, qui c'era in più il pericolo dell'elettricità e perciò non una cosa indifferente, ma bensì molto più pericolosa di prima. Paura non ne avevo, e pensando sempre in avvenire in un lavoro migliore incominciai. Il lavoro era veramente molto pesante e ancora più pericoloso. Passarono dei mesi e tutto filava molto bene, anche se il lavoro era quello non voluto, lo accettavo e mi accontentava.

Eravamo solo in due persone, io e quello che comandava, si chiamava Mattioni e dovevamo assistere alla manutenzione di tutta la zona. Questa partiva da Cittiglio e arrivava fino a S. Antonio di Cuvignone. Il trasporto dei pali e di tutto l'altro materiale che occorreva lo si trasportava con due biciclette. Un palo della luce tutti sanno quale peso e quale lunghezza abbia e anche questi con fino nei posti possibili li portavamo con due biciclette, non so se vi fate un'idea di quali erano le situazioni, a quei tempi, pensando alle comodità che possiedono oggi.

Una cosa che non posso dimenticare. Un giorno dovetti andare a S. Antonio per una riparazione, dovetti rimanere tutto il giorno. Partii da Cittiglio alle 8 del mattino con la bicicletta tutta carica di materiale necessario per questa riparazione, naturalmente dovetti spingere la bicicletta da Cittiglio fino a S. Antonio. Voi sapete dove si trova questo posto e potete immaginare che gioia avevo prima di partire. Arrivai sul posto poco prima di mezzogiorno. Dopo una pausa feci queste riparazioni che mi erano state affidate. Quando fu tutto finito, mi preparai per il ritorno e godermi questo tragitto tutto in discesa, che potevo finalmente godermi in seduto in bicicletta senza doverla spingere. Ma quando presi la bicicletta ebbi una sorpresa indimenticabile. Questa ebbe un tubolare bucato e così dovetti fare anche il ritorno tutto a piedi. Arrivai a Cittiglio che era già buio, con un ricordo che oggi non posso dimenticare di elencare.

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Dimenticato questo ne ho vissuti molti altri meno gravi. Uno solo che non posso dimenticare e fu l'ultimo ma anche il più terribile ricordo della mia vita.

Tutti i lavori piccoli si facevano senza togliere la corrente, per dare la possibilità alle casalinghe di poter cucinare senza interruzioni.

Dovetti fare a Cittiglio Alto una riparazione e questa senza togliere la corrente. Eravamo in due, io e il capo Mattioni, lui si assentò entrando da un parrucchiere che era vicino, per farsi i capelli. E io dovetti tutto da solo eseguire questo lavoro. Appena finito mi preparai per scendere dalla scala ove mi trovavo all'altezza di 5/6 metri, non so come mi accadde di trovarmi con due fili uno per mano, dove mi si scaricò la corrente in tutto il corpo. Ebbi ancora il tempo di capire che per me tutto era finito, c'era solo questo piccolo spazio che mi separava dalla vita e che dopo pochi secondi sarebbe stata la fine. Ma in questi pochi secondi rimasti, Dio ha voluto aiutarmi, poiché nel medesimo istante dell'accaduto stava passando dalla strada un operaio della medesima ditta, ma che non aveva a che fare con i lavori esterni, ma che era anche in conoscenza di questi. Accortosi subito della situazione, lasciò cadere la bicicletta e come un fulmine fu subito dietro le mie spalle. Con qualche difficoltà gli fu possibile di staccarmi con una mano da un filo e solo così fu la mia salvezza. Qualche secondo più tardi tutto sarebbe stato finito. Dell'accaduto in poco tempo tutto il paese era al corrente di tutto, solo mia mamma non sapeva cosa mi era successo. Da allora ebbi sempre più riguardo e non mi accadde più niente di così grave fino alla fine della mia permanenza in questa ditta.

Dal nostro matrimonio il Signore ci diede la gioia di avere una figlia, che io e Selma le abbiamo potuto dare un'educazione e un'istruzione valida per un suo avvenire meno difficile. Ha superato tutti i suoi studi senza grandi difficoltà, e così pronta nei problemi che incontrerà nella sua vita. Noi le auguriamo che questi non siano difficoltosi per il suo avvenire.

Io e Selma abbiamo fatto tutto il possibile per il suo meglio e speriamo ne possa avere un ricavato in tutto questo. Lei è sempre stata buona e gentile con noi, e di questo ne siamo molto orgogliosi.

Io e mia moglie Selma abbiamo avuto una vita meravigliosa, senza difficoltà di grande rilievo. Durante tutto questo tempo non ci siamo lasciati mancare niente di necessario e di utile per la nostra casa, per renderla sempre più accogliente. Non ci siamo lasciati mancare le nostre ferie annuali e con noi abbiamo anche sempre avuto vicino nostra figlia Mireille. In questo arco di vita così difficoltoso e molte volte così vicino alla morte non devo assolutamente dimenticare il Signore di tutte le volte che mi ha assistito porgendomi la sua mano e allontanandomi da questi pericoli per poter continuare la mia vita.

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Ora tutte queste cose che ho vissuto, belle e meno belle, le porto sempre con me, nell'ultimo cammino della terza età che nessuno mai saprà quanto ancora lungo sia e sicuramente mi sarà di aiuto per questo mio ultimo percorso verso la fine dell'esistenza.

Naturalmente in queste mie poche righe ho voluto ricordare solo i punti più significativi della mia vita.