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71 © LCPJ Publishing Volume 7/1, 2014 Article 42 in LCPJ L’Identità e le Identità come Pezzi dello Stesso Mosaico Interculturale = Identity and Identities as Pieces of the Same Multicultural Mosaic Abstract Identity is the entirety of elements that distinguish us from the others, the entirety of values we own and share. Identity is not just a genetic, geographic or linguistic status, but it is an auto portrait that we design in a multicultural context, in relation to others, to the society. There is no identity without identities. In the linguistic aspect, it would be a word out of the context, as a syllable out of the sentence or as a period in the middle of the phrase. Nowadays, when globalization has gone massive, there is an export and import of values, as well as that of materials. Through this paper we tend to import cultural, social and artistic values of the places we have been to or of people we have met. And, in order for such values to be transmitted, it is needed that we travel on the path of the intercultural dialogue, and if integration, integrity and dignity are left out of this path, they will lose their meaning. Keywords: identity, diversity, cultural dialogue, cultural dignity, interlingual communication. Premessa Per definizione, la nostra identità non è ciò che ci rende simili agli altri, bensì ciò che dagli altri ci distingue. L’identità è un insieme di elementi, un insieme di valori, alcuni innati e molti altri acquisiti nel corso della vita, un insieme complesso e sensibile ai contesti in cui si sviluppa. Essa non è semplicemente solo uno status genetico, geografico oppure linguistico, ma un autoritratto le cui pennellate sono intrise di un contesto multiculturale, plurilinguistico e globalizzato. Katorri, Elda 2014: L’Identità e le Identità come Pezzi dello Stesso Mosaico Interculturale = Identity and Identities as Pieces of the Same Multicultural Mosaic To be downloaded from www.lcpj.pro

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Article 42 in LCPJ

L’Identità e le Identità come Pezzi dello Stesso Mosaico Interculturale = Identity and Identities as Pieces of the Same

Multicultural Mosaic

Abstract

Identity is the entirety of elements that distinguish us from the others, the entirety of values we own and share. Identity is not just a genetic, geographic or linguistic status, but it is an auto portrait that we design in a multicultural context, in relation to others, to the society. There is no identity without identities. In the linguistic aspect, it would be a word out of the context, as a syllable out of the sentence or as a period in the middle of the phrase. Nowadays, when globalization has gone massive, there is an export and import of values, as well as that of materials. Through this paper we tend to import cultural, social and artistic values of the places we have been to or of people we have met. And, in order for such values to be transmitted, it is needed that we travel on the path of the intercultural dialogue, and if integration, integrity and dignity are left out of this path, they will lose their meaning.

Keywords: identity, diversity, cultural dialogue, cultural dignity, interlingual communication.

Premessa

Per definizione, la nostra identità non è ciò che ci rende simili agli altri, bensì ciò che dagli altri ci distingue. L’identità è un insieme di elementi, un insieme di valori, alcuni innati e molti altri acquisiti nel corso della vita, un insieme complesso e sensibile ai contesti in cui si sviluppa. Essa non è semplicemente solo uno status genetico, geografico oppure linguistico, ma un autoritratto le cui pennellate sono intrise di un contesto multiculturale, plurilinguistico e globalizzato.

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Oggi, quando la parola globalizzazione non è soltanto una coniazione linguistica bensì una realtà tangibile, siamo propensi ad “importare” valori culturali, sociali ed artistici di quei luoghi in cui siamo stati e di quelle persone che abbiamo incontrato. E perché questi valori attraversino qualsiasi confine, di ogni tipo e natura, occorre comunicare, dialogare, per il bene della comune convivenza e della reciproca integrazione. Pertanto, la nostra identità va vista nel contesto delle altrui identità, non come annullamento delle proprie origini e peculiarità, bensì come partecipazione e complementarità, all’interno di un quadro comune più ampio, un mosaico interculturale la cui immagine si rifà all’inclusione, non all’esclusione.

Metodologia

Analisi contrastiva teorica Osservazioni, riflessioni e opinioni personali

Senso di sé e comunità

L’essere consapevoli del proprio io significa essersi dato un volto, un’identità o, per lo meno, continuare a farlo nell’ambito di un contesto innanzitutto familiare, poi, di comunità. Il senso di identità personale è un forte richiamo interiore che si mescola al senso di appartenenza familiare, di appartenenza etnica e di appartenenza culturale e, alle cui radici, non è facile sotrarrsi. Ad un individuo corrisponde un nome proprio, corrisponde una discendenza familiare, una razza, un’etnia, una lingua ed in fine, ma non per ciò meno determinante, ad un individuo corrisponde un’epoca.

Pertanto, proprio a causa dei motivi sopra elencati, l’individuo si dibatte continuamente fra ciò che ha saputo essere e ciò che impara a diventare, fra ciò che rappresenta e ciò che apprende, fra ciò a cui assomiglia e ciò di cui assume i tratti, fra ciò che è stato e ciò che vorrebbe che fosse, fra ciò che può e ciò che va continuamente cercando. Ma cos’è che l’uomo va sempre cercando? Cosa lo muove dentro, nello spirito e nella mente?

Pur tuttavia ipotizzando una serie di risposte, tra cui benessere e felicità, questa è una domanda a cui non si riesce a dare una risposta esauriente che accontenti tutti. Ciò nonostante, va sottolineato il fatto che tutto è mosso ed è determinato dall’interazione dei binomi individuo-comunità, individuo-altri, individuo-contesto sociale, individuo-globalizzazione. A prescindere da quanto esposto, a prescindere dal contesto o dai contesti in cui i suddetti

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rapporti vengono gestiti, la qualità che va assolutamente preservata e che è alla base della società umana, è la dignita umana dell’individuo, quella per cui egli giustifica il nome che porta, quello di essere umano appunto. Tuttavia, l’individuo, quale membro della società non è una componente con delle caratteristiche sociali omogenee. Sottomesso alla pressione di appartenenza locale è alla necessità di far gruppo, l’uomo cerca di rafforzare il senso di identità propria chiamando in causa, non sempre per giusta causa, la razza, il colore della pelle, la nazionalità cercando rifugio nel suo status sociale, nell’eccesso oppure carenza dell’autostima sollecitando così quei fenomeni sociali che determinano la convivenza culturale, l’integrazione o l’essenza di esso.

Identità culturale e dialogo fra culture

L’identità culturale va vista nell’ottica della concezione sociologica. Il termine stesso “cultura”, viene concepito come un patrimonio globale sempre in continua evoluzione, un giacimento di valori, conoscenze e nozioni a cui attingono l’individuo e i gruppi sociali ai quali esso appartiene.

Questo patrimonio culturale è dunque formato dalle norme di condotta, dai valori, dagli usi e dal linguaggio che uniscono o diversificano i gruppi umani. Quando parliamo di identità culturale di una persona indichiamo la sua identità globale, cioè una costellazione di svariate identificazioni particolari riferite ad altrettante appartenenze culturali distinte, in processo dinamico costante. (Web:2014)

Ma, per fare un esempio, noi sappiamo bene che gli scontri e gli screzi, non solo culturali, hanno portato ad una prima e ad una seconda guerra mondiale, questo solo nel corso della memoria storica a breve termine poiché quella a medio e lungo termine, ci condurrebbero a vicende di re, papi e imperatori i cui destini sono stati segnati e tracciati di sangue fratricida e stragi raziali.

Prendiamo l’esempio della Seconda Guerra Mondiale. Una volta terminata, essa segnò il nuovo volto della geografia e degli interessi di tutto il mondo. Venne a costituirsi un nuovo ordine sociale che significava innanzitutto un nuovo ordine culturale, lessicale e classificatorio.

La prima frattura che questa guerra causò fu a livello linguistico. La comunicazione internazionale si interruppe poiché i confini, segnati dal filo spinato oppure dai muri, rispettivamente quello di Berlino e la

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Grande Muraglia Cinese, innalzarono delle barriere sia psicologiche che linguistiche causando la scissione dell’Europa in quella Occidentale e quella dell’Est. In merito a ciò Bronzich Lipizer scrive:

La “differenziazione delle culture” portò alla “distanza culturale” e si ripercosse sulla competenza linguistica. Venendo meno i contatti interetnici e mancando le occasioni di comunicazione il cosmopolitismo e la poliglossia, che avevano improntato vaste aree attraverso i secoli, si perdettero nel giro di pochi anni. (Bronzich Lipizer, 1991:23)

In questo modo si diede luogo al pregiudizio raziale, a quello etnico, a quello linguistico visto che innanzitutto si

“[...] iniziò a sparare lessicalmente, prima che fisicamente. Impugnando come armi, prima ancora dei fucili, le parole...” (Faloppa, F. 2004:16)

perdendosi così in considerazioni del tutto personali e soffermandosi alla soglia dei pregiudizi fabbricati da altri ogniqualvolta non capendo una cosa ci si lamenta che il proprio interlocutore “sta parlando arabo”, oppure considerandoci sfortunati uno sbuffa ritenendo di aver avuto un “nigger luck”. Se ci diamo al vizio del bere invece stiamo sicuramente “bevendo come un tedesco”, mentre se il vizio è quello del fumo “stiamo fumando come un turco”. Se qualcuno è stato così maleducato da non salutare sicuramente “se n’è andato all’inglese”. Se invece il torto è stato più grave, l’offesa recata ed il danno subito sono stati causati da chi si ritiene un impostore ed usuraio, allora ecco che arriva un perentorio imperativo in albanese “Ik ore çifut!”.

Come già detto, il pregiudizio etnico porta ad attribuire allo straniero abitudini spesso inesistenti (Faloppa, F. 2004:16) concezioni che, nonostante la mancata consapevolezza al riguardo, nondimeno sono radicate nella memoria collettiva e insite nel repertorio linguistico, del mal costume linguistico forse, ma che è presente e viene chiamato in causa ogniqualvolta le redini della convivenza non si affidano al dialogo.

Ma attenzione perché la lingua non è soltanto il luogo in cui i rapporti di conquista o di esclusione vengono cristallizzati bensì è anche il luogo ed il mezzo con cui i rapporti vengono prodotti, negoziati poiché come ci ricorda Bakhtin:

“Il regno della cultura non dovrebbe essere concepito come un complesso spaziale delimitato da confini e in possesso di un territorio suo proprio. Nel regno della cultura non esiste alcun territorio interno: essa si colloca interamente nei confini,

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i confini passano ovunque, attraverso ciascuno dei suoi elementi [...]. Ogni atto culturale avviene, in effetti, sui confini”. (Bakhtin, 1979: 111)

C’e cultura dove ci sono interazione e un rapporto con il diverso, nei termini di quella che Bakhtin definisce l’autonomia partecipativa di ogni atto culturale. In altre parole, i concetti di “cultura” e di “confine” implicano l’uno l’altro, ma in modo dinamico e non statico, eterogeneo e non omogeneo.

Globalizzazione, plurilinguismo e interculturalità

Nell’epoca in cui viviamo è alquanto difficile, per non dire impossibile, porre freno al fenomeno della globalizzazione o, quantomeno rallentarne i ritmi. Le distanze si sono più volte ridotte, accorciate, e, la velocità con cui si comunica e si entra in possesso di informazioni accresce le nostre aspettative e migliora le possibilità di accesso a molte nuove opportunità.

Il progresso della scienza e l’avanzamento della tecnologia, servite a portata di click, hanno indotto i nostri desideri a essere di più ampie vedute e a rendere la nostra soddisfazione precaria. I ritmi con cui tutto cambia, ma non necessariamente evolve, ci costringono a ridimensionare la portata di ciò che abbiamo e ciò che vorremmo, di ciò che è necessario davvero e ciò che potrebbe diventarlo, di ciò che manca e ciò che urge, di ciò che si ha e di ciò che si dà.

E, nell’ambito dell’identità culturale, a proposito di dare e avere, Settis dice: “La definizione delle identità culturali non può essere isolazionista, ma deve incentrarsi sulla complementarietà, sugli scambi fra culture, su una geografia del “dare” e “avere”, di reciproca inclusione”. (Settis, S. : 2005)

È proprio questa reciproca inclusione che sta alla base ed è il principio cardine promosso dalla stessa Unione Europea. Riteneva Spitzer che il significato fosse il barometro più sensibile di un clima culturale. (Leo Spitzer, 1954: 218) E quale miglior modo di trasmettere i significati sennonché attraverso le lingue ed il linguaggio il quale secondo Duranti:

“[...] non va considerato come sistema astratto di segni, ma anche e soprattutto come mezzo di costruzione e mantenimento della vita sociale in quanto il processo comunicativo mette in relazione il dire ed il fare: i simboli acquistano significato per la loro capacita di collegare oggetti e persone tra loro permettendo quella coordinazione tra persone e realta diverse senza la quale il vivere sociale non sarebbe possibile.” (Duranti: 1992)

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Già col Trattato di Maastricht, nel febbraio del 1992, la Comunità Europea relaziona il dire ed il fare ponendo l’accento sulla pluralità linguistica, riconoscendo ad ogni lingua all’interno della comunità, uguali diritti e pari dignità. Ne è un esempio tangibile il progetto “Erasmus Mundus” che riconosce ad ogni studente partecipante mobilità e scambi culturali. Ovviamente il mezzo più appropriato attraverso cui veicolare informazioni, esprimere pensieri, significati, circolare idee è sempre stata, e, sempre sarà, la lingua, nativa o straniera che sia.

Secondo Sarangi, apprendere una lingua straniera significa quindi imparare a socializzare in quella lingua. Socializzare attraverso la lingua riveste una doppia funzione, quella di capire la lingua attraverso esperienze sociali e di apprendere a capire le esperienze sociali attraverso la lingua (Sarangi, Roberts: 2002)

Ogni lingua per poter trasmettere la propria semantica occorre che entri in contatto con le altre lingue, perché gli individui si comprendano e riescano a comunicare le proprie intenzioni, dunque, dialogare, venirsi in contro, mettersi in viaggio poiché alla fin fine, così come dice Magris:

“[…] l’esperienza del viaggio insegna lo spaesamento, insegna a sentirsi sempre stranieri nella vita, anche a casa propria, ma essere stranieri fra stranieri è forse l’unico modo di essere veramente fratelli. Per questo la meta del viaggio sono gli uomini. Quindi non si va in Spagna o in Germania, ma fra gli spagnoli e i tedeschi.

[…] Ci sono paesi come Venezia e Praga che parlano anche al viaggiatore più distratto. Altri si affidano ad un eloquenza indiretta, seducono solo chi li attraversa conoscendo ciò che è avvenuto fra quegli alberi o in quelle strade. E come ogni incontro, pure quello con i luoghi e con chi ci vive, è avventuroso, ricco di promesse e di rischi. A volte l’incontro fallisce perché il viaggiatore, per ignoranza, per superbia, per accidia non trova la chiave per entrare in quel mondo, il vocabolario e la grammatica per capire quella lingua e decifrare quella cultura…” (Magris, C. :2005)

Gli uomini hanno bisogno di abbattere i muri, di far scomparire le barriere e venirsi incontro per far fronte alle necessità comuni, andare verso l’integrazione reciproca delle culture e delle aspirazioni, europe, nel nostro caso, in cui, il dialogo interculturale, nonostante la molteplicità delle lingue e la natura altrettanto variegata delle relazioni umane, riesca a valorizzare la diversità, mantenendo al tempo stesso la coesione sociale. (Consiglio d’Europa, 2008:6)

Tutti noi, in una certa misura, rappresentiamo una costante di tratti

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somatici e culturali di un determinato contesto sociale, la cui appartenenza nondimeno ci consente di ampliare e moltiplicare i tratti della nostra identità che così non rimane più singola ma diviene multipla, dunque non solo un’identita ma molte identità. Tuttavia, nonostante la “macedonia” delle singolari identità e, all’insegna di un veicolo comune, il dialogo, noi dobbiamo riuscire a delineare un mosaico interculturale la cui immagine è una strada a senso unico che va verso la convivenza e l’integrazione.

Conclusioni

Bisogna che le nazionalità imparino a bussare nelle identità altrui. Bisogna che gli stati si esplorino, che le culture si intreccino, che le convinzioni si confrontino, che le avversità si placchino, che il buon senso di una cultura abbracci quello dell’altra giustificando a pieno il proprio nome. Bisogna che la logica e la ragione vadano incontro l’una all’altra, che gli scambi si intensifichino, che le popolazioni si ospitino. Lo si può fare solo attraverso il dialogo interculturale, il quale com’è risaputo non è una cosa prescritta per legge però nasce dalla ricerca di relazioni, dall’istinto esplorativo, dalla consapevole costruzione di comunità in cui si inventano rapporti fluidi, dalla ricerca di rapporti sinceri ed autentici, dall’esperienza dell’incontro inter-culturale, dalle dinamiche simboliche del guardare e farsi guardare, dall’apprezzare e farsi apprezzare. Il dialogo interculturale è indispensabile per la costruzione di un nuovo modello sociale e culturale (Consiglio d’Europa, 2008:5). In un mondo globalizzato ed in rapida evoluzione, il dialogo è l’unico mezzo che riesca a garantire a tutti i membri delle nostre società culturalmente diverse, di godere degli stessi diritti umani e delle stesse libertà fondamentali. (Consiglio d’Europa, 2008:5)

Bibliografia

Bakhtin, M. M. 1979: “Das Problem von Inhalt, Material und Form im Wortkunstschaffen”, in M. M. Bakhtin, Die Ästhetik des Wortes (ed. Rainer Grübel), Frankfurt am Main, Suhrkamp, pp. 95-153.

Beccaria, G. 2007: “Tra le pieghe della parola. Lingua, storia, cultura”, Torino, Einaudi editore.

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Consiglio d’Europa, 2008: “Libro bianco sul dialogo interculturale, Vivere in pari dignità”, Strasburgo.

Duranti, A. 1992: “Etnografia del parlare quotidiano”, Roma, Carocci editore.

Faloppa, F. 2004: “Parole contro. La rappresentazione del “diverso” nella lingua italiana e nei dialetti”, Milano, Garzanti s.p.a. editore.

Gasparini, G. (a cura di) 2004: “Le piccole cose. Interstizzi e teoria della vita quotidiana”, Milano, Guerini editore.

Magris, M. 28 ottobre 2005 : “Immorale è il viaggio se si rimane stranieri”, Corriere della Sera.

Sarangi, S. and Roberts C. 2002: “Discoursal (Mis) Alignments in Professional Gatekeeping Encounters”, in C. Kramsch ed. Language Acquisition and Language Socialisation: Ecological Perspectives, London, Continuum, pp. 197-227.

Settis, S. 13 novembre 2005 : “Pietre dell’identità”, “Il Sole 24 Ore”.

Web, 2014: http://www.interculturatorino.it/glossary/identita-identita-culturale/

The total number of words is 2598© LCPJ Publishing 2014 by Elda Katorri

Ma. Elda Katorri, graduated from the Faculty of Foreign Languages, Department of Italian Language, Tirana, Albania, in 2005. Actually she teaches Syntax, Phonetics, and Basic Linguistics at the Italian Department of the Faculty of Foreign Languages, Tirana. Her interests include linguistics, communication and translation.

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