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Archivistica tecnica e informatica (mod. A) Prof.ssa Cecilia Tasca Tutor: Dott.ssa Eleonora Todde a.a. 2013-14 1 LINEAMENTI DI STORIA DELL’ARCHIVISTICA ITALIANA Sommario Il concetto di archivio nell’antichità classica ....................................................................................... 2 Il concetto di archivio nel Medioevo ................................................................................................... 3 Il concetto di archivio nell’età moderna .............................................................................................. 4 L’illuminismo e l’ordinamento per materia ......................................................................................... 5 L’ordinamento per materia in Italia ..................................................................................................... 6 Il rispetto dei fondi e l’ordinamento secondo il metodo storico ........................................................ 10 L’archivistica dopo l’Unità d’Italia.................................................................................................... 12 Le scuole archivistiche italiane .......................................................................................................... 13 Eugenio Casanova e la scuola archivistica romana ........................................................................... 15 Antonio Panella .................................................................................................................................. 17 Giorgio Cencetti ................................................................................................................................. 18 Leopoldo Cassese ............................................................................................................................... 19 Letterio Briguglio ............................................................................................................................... 21 Leopoldo Sandri ................................................................................................................................. 22 Elio Lodolini ...................................................................................................................................... 24 Arnaldo D’Addario ............................................................................................................................ 26 Filippo Valenti ................................................................................................................................... 27 Paola Carucci ..................................................................................................................................... 29 Isabella Zanni Rosiello....................................................................................................................... 30 Giuseppe Plessi .................................................................................................................................. 31

LINEAMENTI DI STORIA DELL’ARCHIVISTICA ITALIANA

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1

LINEAMENTI DI STORIA DELL’ARCHIVISTICA ITALIANA

Sommario

Il concetto di archivio nell’antichità classica ....................................................................................... 2

Il concetto di archivio nel Medioevo ................................................................................................... 3

Il concetto di archivio nell’età moderna .............................................................................................. 4

L’illuminismo e l’ordinamento per materia ......................................................................................... 5

L’ordinamento per materia in Italia ..................................................................................................... 6

Il rispetto dei fondi e l’ordinamento secondo il metodo storico ........................................................ 10

L’archivistica dopo l’Unità d’Italia .................................................................................................... 12

Le scuole archivistiche italiane .......................................................................................................... 13

Eugenio Casanova e la scuola archivistica romana ........................................................................... 15

Antonio Panella .................................................................................................................................. 17

Giorgio Cencetti ................................................................................................................................. 18

Leopoldo Cassese ............................................................................................................................... 19

Letterio Briguglio ............................................................................................................................... 21

Leopoldo Sandri ................................................................................................................................. 22

Elio Lodolini ...................................................................................................................................... 24

Arnaldo D’Addario ............................................................................................................................ 26

Filippo Valenti ................................................................................................................................... 27

Paola Carucci ..................................................................................................................................... 29

Isabella Zanni Rosiello....................................................................................................................... 30

Giuseppe Plessi .................................................................................................................................. 31

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2

IL CONCETTO DI ARCHIVIO NELL’ANTICHITÀ CLASSICA

Sin dai tempi più remoti abbiamo testimonianze della volontà dell’essere umano di registrare la

memoria: basti pensare ai segni grafici costituiti dalle figurazioni rupestri della Val Camonica

risalenti all’Età del ferro (I millennio a.C.).

Per ritrovare la figura di veri archivi bisognerà aspettare il VII-VI secolo a.C. nella Magna Grecia,

in Etruria, nell’Umbria e a Roma. Nessuna testimonianza è rimasta di quelli archivi mentre di quelli

dell’età romana abbiano ampie testimonianze nella letteratura giuridica. Giorgio Cencetti ha

ipotizzato che l’archivio fosse organizzato secondo il principio “di provenienza” o “storico”, che

verrà formulato solo nel XIX secolo, e perciò il suo interno fosse diviso in fondi prodotti da uffici

diversi.

Durante l’età repubblicana l’archivio di Stato era custodito presso il tempi di Saturno insieme con

l’aerarium (il denaro). Solamente nel I secolo a.C. verrà costruito il tabularium cioè un edificio in

cui i documenti venivano concentrati: sia per la conservazione che per garantirne l’autenticità. In

questo periodo gli archivi venivano principalmente utilizzati per motivi giuridici e la consultabilità

degli stessi era ampia.

L’epoca imperiale vedrà sorgere archivi distinti. Abbiamo quindi l’archivio:

- del senato;

- dell’imperatore;

- delle province ciascuno però manteneva inalterata la sua duplice funzione:

In questo periodo gli archivi erano utilizzati non solo per funzioni pratiche e giuridiche, ma

venivano utilizzati anche dagli storici come ad esempio Tacito, Svetonio.

È accertato anche che non esisteva ancora una differenziazione tra la gestione dei documenti presso

gli uffici e la conservazione degli atti antichi: non esisteva quindi una separazione tra l’archivo

corrente e l’archivio storico.

Agli archivi pubblici si affiancavano anche quelli familiari. Gli atti privati erano redatti dai

tabelliones e per godere di pubblica fede dovevano essere depositati presso gli uffici pubblici,

attraverso una procedura chiamata insinuatio.

Inoltre esisteva l’archivio della Chiesa romana e dal II secolo erano costituiti anche gli archivi delle

chiese locali.

L’archivio veniva identificato con due termini distinti:

1. tabularium che deriva da tabula, ossia il documento scritto su tavolette di legno, e poi

documento in genere

2. archivum affermato a partire dal II secolo, rimanendo inalterato per tutto il periodo

medievale e moderno, indicava anche il luogo di conservazione dei documenti

Assicurare la pubblica fede dei documenti

(codificata nel Corpus juris civilis di Giustiniano)

Conservazione della memoria

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IL CONCETTI DI ARCHIVIO NEL MEDIOEVO

Definizione di archivio (di matrice giustinianea) : locus in quo acta publica asservantur con

l’aggiunta ut fidem faciant.

Per tutto il Medioevo rimarrà centrale il principio di sacralità derivato dall’epoca imperiale:

sacralità del luogo che fornisce alla documentazioni le stesse caratteristiche e sacralità della

memoria che reciprocamente qualifica anche il contenitore.

L’archivio è soltanto quello costituito da chi gode dello jus archivi

Il notaio aveva un ruolo fondamentale per la redazione dei documenti e per l’attribuzione ad essi di

pubblica fede. Avevano la facoltà di emanare atti in forma pubblica per imperiali auctoritate o

apostolica auctoritate, ossia per volontà dell’imperatore o del pontefice. Attraverso l’attività del

notaio nasceva l’archivio comunale (la documentazione prodotta dall’istituto comunale godeva di

pubblica fede soltanto in quanto redatta da una persona che era dotata di publica fides, cioè il

notaio). Talvolta lo stesso Comune creava la figura del notaio, ad esempio il caso di Genova.

Nel XIII secolo questo potere veniva esteso ai re che all’interno dei propri territori godevano di un

potere uguale a quello degli imperatori, e poi ai Comuni liberi. Durante l’evoluzione dell’istituto

comunale anche l’archivio subiva un graduale mutamento: dalla nascita dell’archivio del Comune

dall’applicazione del principio rex superiorem non recognoscens in regno suo est imperator

all’estensione della pubblica fede dei documenti comunali al solo ambito territoriale della

giurisdizione del Comune.

In epoca comunale per il riconoscimento della pubblica fede ai documenti d’archivio erano

imprescindibili alcuni requisiti:

- che ad esso fosse preposto un pubblico ufficiale;

- che l’archivista fosse nominato da un superiore con il potere di farlo;

- che all’archivio fosse riconosciuto il potere di dar fede alle scritture e di costituire mezzo di

prova;

- che l’ufficiale preposto all’archivio, qualora qualche scrittura fosse estratta, attestasse con la

sottoscrizione che provenivano realmente dall’archivio medesimo.

I documenti venivano custoditi in una cassa o in un armadio chiuso, talvolta con più chiavi affidate

a magistrati diversi. Per quanto riguarda la conservazione i documenti erano ordinati, suddivisi in

caselle all’interno degli armadi o in sacchi, corredati da elenchi-inventari da redigere annualmente.

Il fine della conservazione era ancora essenzialmente giuridico, pur non scomparendo del tutto lo

scopo di studio ad opera degli stessi soggetti produttori o di coloro che vi lavoravano.

diritto strettamente riservato all’imperatore e al pontefice, o a chi ne ha

ricevuto la facoltà da essi

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4

IL CONCETTO DI ARCHIVIO NELL’ETÀ MODERNA

Nell’età moderna il concetto di archivio rimaneva ancora formalmente legato allo jus archivi, alla

sovranità imperiale e apostolica.

Anche i Comuni avevano archivi propri, nati dalla documentazione prodotta dai notai che in seguito

acquisivano dignità archivistica quando i Comuni diventarono civitates superiorem non

recognoscentes.

A livello ecclesiastico lo jus archivi non spettava ai singoli monasteri, conventi, chiese ma soltanto

praelatis ecclesiasticis majoribus, videlicet episcopis et horum superioribus.

I comuni italiani decretavano la libera consultabilità degli atti da parte dei cittadini, le signorie e le

monarchie invece ne stabilivano la segretezza: ad esempio l’Archivio di Cagliari viene dichiarato

segreto con un provvedimento del 13 maggio 1334.

Lo scopo essenziale dell’archivio era la conservazione dei documenti “a perpetua memoria” si

riferisce soprattutto ad un fine giuridico.

Accanto alla consultazione per scopo giuridico assume maggiore peso quella a fini culturali da parte

di chi custodiva l’archivio (cancellieri) e da studiosi ne è un chiaro esempi la concessione a

privati del privilegio di recuperare per proprio uso scritture di ogni genere.

Alla metà del ‘500 un mutamento nella metodologia storica ad opera di Francesco Patrizi da Cherso

che afferma la centralità del documento nella ricerca, pone sotto una nuova luce l’archivio,

dotandogli appunto di un valore scientifico che fino ad allora risultava trascurato o comunque

marginale rispetto alla valenza giuridica.

Il ‘600 è il secolo in cui vengono pubblicati i primi scritti dedicati esclusivamente al mondo degli

archivi: ricordiamo quello di Baldassarre Bonifacio e di Nicolò Giussani (in entrambi gli scritti

veniva affermata la doppia valenza giuridica e culturale degli archivi), e una storia degli archivi in

epoca romana di Albertino Barisone (ci permette di affermare che non esisteva una netta differenza

tra la gestione della documentazione presso gli uffici e l’archivio; le regole per l’ordinamento si

riferivano invece ad archivi non più soggetti ad accrescimento).

In materia di ordinamento dell’archivio Bonifacio postulava un ordine geografico, con al suo

interno un ordinamento per materia, a sua volta un ordine cronologico. Per Giussani i documenti

vengono ordinati per corpus, classes et seriem: una volta ordinati venivano disposti in colonne

contraddistinti da lettere dell’alfabeto (il metodo si riferisce ad archivi non suscettibili di

inserimento di nuovo materiale).

Il più famoso archivista italiano di epoca moderna è Ludovico Antonio Muratori che fu per 50 anni

archivista del duce di Modena. L’archivio è il luogo dove dee conservarsi copia di tutti gli

strumenti, testamenti e contratti, che si fanno dai notai.

Non portò nessun contributo teorico alla disciplina, ma si occupò principalmente di archiveconomia

(tecnologia archivistica): si occupò della qualità della carta e dell’inchiostro.

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L’ILLUMINISMO E L’ORDINAMENTO PER MATERIA

Gli archivisti lavoravano ancora sulle singole carte, mancava il concetto di complesso di documenti

legati da un vincolo (prerogativa essenziale per l’esistenza stessa dell’archivio).

Seconda metà del Settecento separazione della conservazione dalla gestione dei documenti

presso gli uffici produttori (fino al Medioevo era prevalsa la conservazione della documentazione

presso gli enti produttori) nascita della concezione culturale degli archivi

Le riforme dell’assolutismo illuminato portavano alla modifica di numerose istituzioni, la

scomparsa di vecchi uffici che venivano sostituiti da una nuova e differente amministrazione. Con

la Restaurazione una parte di queste modifiche veniva recepita e mantenuta e una parte viene

nuovamente sostituita da un diverso tipo di amministrazione, notevolmente diversa sia da quella

dell’epoca immediatamente precedente che da quella dell’antico regime.

Gli archivi diventavano dei raggruppamenti di fondi archivistici provenienti da numerosi uffici, i

documenti perdevano quindi il collegamento con l’ufficio che li aveva prodotti e si mischiavano con

altri documenti provenienti da diversi soggetti produttori.

sconvolgimento dei fondi originari

diverse metodologie di ordinamento:

1. l’ordinamento per materia sostenuto da Le Moine

2. l’ordinamento cronologico sostenuto da Chevrières

Dall’epoca napoleonica cambia la gestione dei documenti in fase corrente. Negli uffici dell’antico

regime solitamente la documentazione era disposta per “serie” omogenee (ad esempio lettere

spedite, lettere ricevute), in base alla loro forma e indipendentemente dal loro contenuto. Nelle

magistrature napoleoniche e degli Stati restaurati per disporre la documentazione si faceva ricorso

al titolario, in base al loro contenuto e indipendentemente dalla loro forma.

Con la formazione di grandi archivi “di concentrazione” gli archivisti si trovano davanti una grande

quantità di documentazione prodotta da più uffici, mescolate tra di loro e non più riconducibili al

loro originario ordinamento. Sembrava naturale dare un nuovo ordine a quelle carte,

raggruppandole per argomento indipendentemente dall’ufficio produttore (in linea con la mentalità

classificatoria e razionalistica dell’Illuminismo e dell’enciclopedismo). Inoltre questo metodo

pareva agevolare maggiormente le ricerche negli archivi sia per scopi amministrativi che per motivi

di studio.

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L’ORDINAMENTO PER MATERIA IN ITALIA

MILANO

In Italia l’ordinamento per materia trova la sua massima espressione nell’Archivio milanese.

Fino al 1762 era ordinato secondo “il rispetto dei fondi”, poi l’archivista Gaetano Pescarenico si

faceva promotore di un ordinamento cronologico, nonostante l’opposizione del cancelliere Kaunitz

che nel 1768 inviava un piano di classificazione in 12 classi dominati con ulteriori classi subalterne.

I successori di Pescarenico Bartolomeo Sambrunico e Ilario Corte, guidati dalle direttive del

Kaunitz, furono gli artefici dell’ordinamento per materia.

Piano di ordinamento di Ilario Corte esccludeva e rifiutava l’unità organicastorico-

amministrativa dei fondi secondo la loro formazione in favore di una classificazione arbitraria del

materiale documentario secondo voci e titoli fissati del tutto artificiosamente.

Morte il Corte nel 1786, il Sambrunico propugnava la completa dissoluzione delle singole serie di

scritture fino ad allora conservate ben distinte a fianco dell’ordinamento per materia.

Luca Peroni, direttore generale degli Archivi governativi e Consigliere di Stato, perfezionò

ulteriormente l’ordinamento per materia. Gli “Atti di Governo” (fondi provenienti da una

cinquantina di istituzioni diverse) venivano fusi insieme e ordinati in categorie, classi e rubriche

(“voci dominanti”) a loro volta suddivise in titoli (“voci subalterne”) disposti in ordine geografico-

cronologico, distinguendo le “provvidenze generali” dalle “occorrenze particolari”.

Veniva anche effettuata una distinzione tra parte antica (dal XV al XVIII secolo) e parte moderna

(dal 1 gennaio 1801 al 1860).

Questo metodo di ordinamento fu proseguito e tenacemente difeso da quattro generazioni di

archivisti: va ricordata la figura di Luigi Osio che, all’eniclopedismo del Peroni, aggiunse il

collezionismo con la raccolta di autografi di uomini illustri della Chiesa, dello Stato, di cultura che

venivano smembrati dai loro fondi originari per creare una serie a parte.

TORINO

Gli ordinamenti del XV secolo avevano rispecchiato l’organizzazione delle carte per provenienza,

per pertinenza o per territorio. Fra il 1707 e il 1717 l’archivista Francesco Cullet decideva di mutare

il vecchio ordinamento dato alle scritture con l’ordinamento per materia.

Fra il 1814 e il 1848, a seguito di trasferimenti e recuperi, veniva applicato lo stesso metodo anche

ai nuovi versamenti.

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CAGLIARI

A norma del regio biglietto del 1763 di Carlo Emanuele III, l’Archivio veniva riordinato secondo il

metodo per materia: confusione dei fondi che davano vita ad una artificiosa miscellanea articolata in

categorie.

Nella seconda dell’Ottocento, a seguito del concentramento di altri fondi, si riordinavano i fondi

con il metodo per materia e cronologico.

Un inventario generale redatto da Gerolamo Azuni negli anni 1863-1865 seguiva il metodo storico.

GENOVA

L’Archivio segreto della Repubblica era riordinato, con alcune eccezioni, con una organicità che

permetteva di ricostruire integralmente le istituzioni e gli uffici che avevano prodotto la

documentazione. Un tentativo di riordinamento per materia veniva tentato nel Settecento ma di fatto

non veniva portato a termine. Sin dal XVIII secolo l’ordinamento dell’archivio seguiva il metodo

che più tardi sarebbe stato conosciuto con il nome di metodo storico.

MANTOVA

L’archivio goverativo istituito nel 1786 con l’archivio Gonzaga veniva sottoposto nella seconda

metà del XVIII secolo a un generale riordinamento per materia. Viene sottoposto a questo tipo di

ordinamento a posteriori e quindi da non rispecchiare più né l’organizzazione della cancelleria né

quella degli altri organi di governo.

PARMA

Le disposizioni del primo governo borbonico (1749-1802) determinavano un riordinamento per

materia che corrispondevano alle branche principali in cui era ripartita l’amministrazione, con una

ulteriore ripartizione in classi e sottoclassi in cui venivano suddivisi tutti i documenti dell’archivio.

Un decreto del 1816 stabiliva che l’archivio venisse suddiviso in nove sezione, a prescindere dalla

provenienza delle carte. Gli ordinamenti per materia durarono fino al penultimo decennio del XIX

secolo.

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BOLOGNA

Durante il Settecento il metodo per materia veniva applicato all’interno di ogni singola

magistratura, attuando così il principio del rispetto dei fondi. Carlo Malagola, nella seconda del

XIX secolo, era uno strenuo sostenitore del principio di ricostruzione dell’ordine originario; i suoi

successori, agli inizi del Novecento, ritornavano ad utilizzare il metodo per materia.

LUCCA

L’Archivio di Stato veniva costituito nel 1804 con un ordinamento per materia ad opera di

Girolamoo Tommasi.

FIRENZE

L’ordinamento per materia veniva applicato all’archivio delle riformagioni (fondi archivistici di

numerose magistrature diverse). Dal 1783 al 1791 veiva ordinato in 15 classi, ciascuna suddivisa in

un numero variabile di sottoclassi. L’archivio mediceo veniva diviso in 6 partizioni miscellanee.

Nel 1778 veniva creato il “diplomatico” ad opera del granduca Pietro Leopoldo: una collezione di

pergamene, estratte dai fondi di appartenenza, sistemate secondo l’ordine cronologico.

Questo ordinamento durò fino al 1852, quando Francesco Bonaini decideva di abolire classi e

sottoclassi per ricostituire gli archivi delle antiche magistrature (secondo l’evoluzione storico-

istituzionale dello Stato toscano dalla Repubblica al principato).

SIENA

L’archivio delle riformagioni inizialmente veniva ordinato per materia agli inizi degli anni Settanta

del XVIII secolo ad opera di Cesare Scali.

NAPOLI

Nel 1811 il ministro dell’Interno Giuseppe Zurlo impartiva al direttore dell’Archivio generale

l’ordine di avviare una classificazione cronologica delle pergamene provenienti dai “dismessi

monasteri della capitale”.

Nel 1872 il Direttore generale degli Archivi delle Province napoletane, Francesco Trinchera,

scriveva che bisognava classificare i fondi archivistici sia per materia, sia cronologicamente, sia

alfabeticamente, che topograficamente.

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Sotto la direzione di Bartolomeo Capasso (1882-1889) veniva costituito il Museo storico

diplomatico con le pergamene e i codici più antichi.

ROMA

L’Archivio di Stato veniva istituito nel 1872, utilizzando come metodo di riordinamento quello per

materia per diversi decenni (fondo Camerale II della Camera Apostolica, fondi di istituzioni non

camerali, fondi donati da privati). Tutti i fondi, mescolati insieme, venivano così suddivisi in circa

70 voci (impropriamente chiamate serie) in ordine alfabetico. Il Camerale II e la serie principale

dell’Archivio della S. Congregazione del Buon Governo veniva sistemato e suddiviso in ordine

geografico.

Contestualmente a questo lavoro di riordinamento, alcuni documenti venivano estrapolati dalle

collocazioni originarie e andavano a costituire miscellanee e collezioni.

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IL RISPETTO DEI FONDI E L’ORDINAMENTO SECONDO IL METODO STORICO

Nel XIX secolo al riordinamento per materia si contrapponeva un nuovo metodo di ordinamento,

completamente in antitesi con il precedente: ossia secondo il “principio di provenienza” o “metodo

storico”.

Questo metodo presentava più livelli:

- il primo prevedeva che fondi diversi non dovessero essere frammisti fra loro (veniva dunque

ammesso un ordinamento per materia all’interno di ciascun fondo) principio francese dal nome

“respect du fond”;

- il secondo prevedeva la ricostituzione dell’ordine originario: non solo non bisognava unire fra loro

documenti prodotti da uffici differenti, ma bisognava mantenere l’ordine dato all’atto della

produzione dall’ufficio, o cercare di ricreare quell’ordine qualora fosse stato modificato.

Applicazione del principio del rispetto dei fondi:

- Napoli regolamento 16 luglio 1812 n. 1409 stabiliva che gli archivi delle magistrature

giudiziarie cessate fossero versati all’Archivio generale “nello stesso ordine in cui si

trovavano all’epoca dell’installazione dei tribunali”

- Milano nel 1837 l’I.R. Tribunale d’Appello generale esprimeva dubbi sulla possibilità di

aggregazione e scomposizione in un archivio generale dei fondi prodotti da singole

magistrature

- Roma una Congregazione deputata dal pontefice Gregorio XVI ad occuparsi della

eliminazione dei documenti di data anteriore agli ultimi 100 anni, formulava la proposta

“che le carte residuali de’ diversi dicasteri giudiziarii e amministrativi si dispongano per

modo che quelle di ciascun dicastero siano collocate per intiero separatamente da quelle

degli altri”

- Grande Archivio di Palermo “le carte pertinenti alle antiche amministrazioni saranno

conservate nello stesso ordine di suddivisione nei rispettivi rami, giusta la legge del tempo”

- Padova l’archivista Ignazio Grotto dell’Ero in una memoria del 20 marzo 1843 scriveva

che avrebbe suddiviso l’archivio civico antico in tanti archivi quanti erano gli uffici a cui le

carte anticamente appartenevano

Applicazione del prinicipio di provenienza:

- Archivio segreto della Repubblica di Genova riordinato con il principio del rispetto

dell’ordine originario già dal 1765

- Archivio Gonzaga a Mantova in una relazione del 1797 Giovanni Battista Baretti

indicava il metodo utilizzato per il riordinamento del fondo: aveva preliminarmente studiato

la storia dei cambiamenti occorsi nell’organizzazione degli uffici (storia dell’istituzione) e

ripartito i documenti nei diversi uffici “riducendo il tutto all’originario suo ordine”

- Firenze nel 1822 si voleva effettuare uno scarto in un deposito di documenti in assoluto

disordine (provenienti da circa 40 diversi uffici); si decise di procedere così ad un

preventivo ordinamento per selezionare la documentazione da conservare e da eliminare. Il

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granduca di Toscana approvò un regolamento che stabiliva “che si faccia la separazione e

distinzione degli archivi, ciascuno per la sua provenienza”.

La grande affermazione del principio di ordinamento secondo la ricostituzione dell’ordine

originario è dovuta a Francesco Bonaini, alla sua scuola (Cesare Guasti, Salvatore Bongi, Luciano

Banchi) e all’istituzione dell’Archivio di Stato di Firenze e della Soprintendenza agli Archivi del

granducato di Toscana.

Il pensiero di Bonaini viene messo in evidenza nel marzo 1869 in una sua risposta al ministro

dell’Istruzione pubblica in merito al migliore metodo per riordinare l’Archivio di Stato di Venezia:

“la testimonianza dei fatti, la successione delle vicende, rimane nei documenti; i quali, più o meno

bene, ebbero un ordine, una denominazione. Prima regola dunque: rispettare il fatto; seconda:

ristabilirlo, ove si trovasse alterato. […] Entrando in un grande Archivio, l’uomo che già sa non

tutto quello che v’è, ma quanto può esservi, comincia a ricercare non le materie, ma le istituzioni”.

Chiamò questa tipologia di riordinamentocon il nome metodo storico “non perché fosse fatto per

servire e giovare alla storia, ma perché aveva il suo fondamento nella storia e a questa si ispirava”.

Il metodo storico si basa su questi aspetti fondamentali:

- principio di provenienza;

- unità e inscindibilità dei fondi;

- unica orientazione per la storia degli Istituti.

Le due frasi che riassumono il principio adottato da Bonaini e dai suoi allievi:

1. L’ordinamento di un archivio costituisce il diritto pubblico di uno Stato applicato ai

documenti

2. In un archivio occorre cercare non le materie, ma le istituzioni.

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L’ARCHIVISTICA DOPO L’UNITÀ D’ITALIA

Negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia veniva dibattuta la questione della natura

degli archivi e dell’esistenza o meno di archivi “storici” e di archivi “amministrativi”, cioè della

possibilità di distinguere le carte recenti (utili per fini amministrativi) da quelle antiche (utili per

finalità di ricerca storica).

Ottava sezione del Congresso Internazionale di Statistica

(Firenze, 1867)

Commissione Cibrario istituita nel 1870 dai ministeri dell’Interno e della Pubblica Istruzione,

doveva fornire una risposta ai quesiti in merito ai problemi degli archivi italiani (metodo di

riordinamento, possibilità di divisione fra archivi amministrativi e archivi storici, ministero di

competenza, versamenti, scarti, consultabilità dei documenti, formazione del personale, scambi fra

biblioteche e archivi)

Decisione prese dalla Commissione:

- Distinzione fra “parte antica” e “parte moderna” degli archivi: la prima per designare quella

parte della documentazione che, a seguito del decorso del tempo, può essere data in libera

consultazione agli studiosi; la seconda per indicare la dodumentazione da tenere ancora

riservata

- Affermazione del rispetto del principio di provenienza o metodo storico per il riordinamento

delle carte (Regolamento generale degli archivi, R.D. 27 maggio 1875 n. 2552)

- Gli archivi, sia per la parte consultabile che per quella riservata, dovevano dipendere da un

unico ministero, quello dell’Interno.

Nella relazione introduttiva il

Bonaini sosteneva la dipendenza

degli archivi dal dicastero preposto

alla istruzione, spiegava le

motivazioni storiche per cui alcue

biblioteche erano in possesso di

documenti archivistici. Poneva in

discussione 24 punti riuniti in alcuni

grandi temi:

- carattere e distinzione degli

archivi in civili ed

ecclesiastici;

- identificazione dei confini fra

archivi, biblioteche e musei

- lavori archivistici

- consultabilità dei documenti

- formazione del personale.

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LE SCUOLE ARCHIVISTICHE ITALIANE

La scuola archivistica toscana ha l’indubbio merito di aver gettato le basi della moderna archivistica

(applicazione di principi archivistici universalmente validi). Una lacuna di quella scuola era che non

indicava mai l’archivistica come scienza o dottrina. Anche la scuola istituita presso l’Archivio di

Stato di Firenze non prevedeva l’insegnamento della disciplina archivistica, che fu per a prima volta

inserita nel 1925 con l’insegnamento di Antonio Panella.

Scuole di paleografia e dottrina archivistica (unificaate nel 1874) il programma di archicistica

prevedeva al primo anno “notizie dei principali sistemi di ordinamento degli archivi” e al secondo

anno “dottrina archivistica”, “leggi e regolamenti sugli archivi”, “istituzioni politiche della regione”

e “vicende e stato presente degli archivi della regione”.

Con il R.D. 478/1896 l’archivistica diventa il centro delle scuole e le altre materie (a cominciare

dalla paleografia e dalla diplomatica) venivano considerate come scienze ausiliarie dell’archivistica.

Con il regolamento del 1902 (R.D. 9 settembre 1902, n. 445) si tornò alla situazione antecedente al

1896.

La scuola maceratese offriva uno degli apporti più significativi alla disciplina archivistica con la tesi

di laurea di Ezio Sebastiani (luglio 1902) dal titolo Genesi, concetto e natura giuridica degli Archivi

di Stato in Italia.

L’opera costituisce uno dei primi testi italiani in materia. Lo studente non si proponeva di scrivere

un manuale di archivistica, tanto che i temi di pura teoria archivistica non venivano affrontati,

mentre sono largamente presenti i temi, sia teorici che pratici, relativi al diritto e alla legislazione

archivistica.

La tesi è divisa in tre parti:

1. Genesi degli Archivi di Stato in Italia è una storia degli archivi dalle origini, attraverso

l’età moderna, l’alto Medioevo, il periodo comunale, gli Stati monarchici, il XIX secolo, con

un ultimo capitolo dedicato alla legislazione archivistica in Italia;

2. Concetto degli Archivi di Stato esamina gli elementi necessari (la natura dei documenti e

l’ordinamento) e quelli contingenti (consultabilità dei documenti) di un Archivio di Stato;

3. Natura giuridica degli Archivi di Stato individua due scopi della conservazione dei

documenti da parte dello Stato: uno amministrativo e uno culturale.

La scuola archivistica milanese segna una svolta dall’epoca peroniana con la nomina a direttore

dell’Archivio di Stato di Ippolito Malaguzzi Valeri nel 1889. Assieme ai giovani da lui formati,

Giovanni Vittani e Giuseppe Bonelli, capovolgeva l’impostazione peroniana dell’archivio.

Malaguzzi concepiva l’archivio in ragione e in funzione dell’istituzione, della quale la

documentazione propriamente conservava e rappresentava la storia.

A Bonelli e Vittani si deve la traduzione in italiano del manuale degli archivisti olandesi, redatta su

quella tedesca, nel 1908.

1907-1920 direzione dell’Archivio di Stato a Luigi Fumi pubblicazione dal 1909 al 1919

dell’Annuario del R. Archivio di Stato in Milano che costituiva la prima rivista interamente

archivistica pubblicata in Italia

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Le relazioni di Luigi Fumi e le prolusioni di Giovanni Vittani (direttore dal 1920 al 1938) nella

relativa Scuola di paleografia e dottrina archivistica, nonché gli studi e le relazioni degli altri

archivisti milanesi, affrontavano non solo i problemi pratici ma anche una serie di questioni

teoriche.

Pio Pecchiai, direttore degli archivi ospitalieri milanesi, nel 1911 formula un concetto anticipatore

di altri che sarebbero stati formulati più tardi: l’archivio in quanto memoria è sempre storico, quindi

l’archivio corrente (registratura corrente) non esiste.

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EUGENIO CASANOVA E LA SCUOLA ARCHIVISTICA ROMANA

La prima metà del XX secolo è dominata dalla figura e dall’opera di Eugenio Casanova.

Probabilmente è suo il programma di archivistica per le Scuole d’Archivio presente nel

Regolamento per gli Archivi di Stato approvato con R.D. 2 ottobre 1911 n. 1163, ancora non

sostituito.

Al Congresso Internazionale di Bruxelles del 1910 Casanova aveva partecipato in rappresentanza

ufficiale sia degli archivi (per incarico del Ministero dell’Interno) che delle biblioteche (per incarico

del Ministero della Pubblica Istruzione).

Il 1 gennaio 1914 dava avvio alla pubblicazione della rivista Gli archivi italiani, che fu la prima

rivista italiana a carattere nazionale totalmente dedicata all’archivistica (archiveconomia, scarti,

versamenti, consultabilità, funzionamento dell’Amministrazione archivistica).

Un gruppo di archivisti romani promuoveva la costituzione di una associazione nazionale italiana di

archivisti e di “amici degli archivi” sul modello delle analoghe associazioni già esistenti in altri

paesi. L’iniziativa veniva annunciata con una circolare del 31 maggio 1919 a firma del segretario

del Consiglio direttivo provvisorio, Armando Lodolini, mentre una seconda circolare prevedeva la

convocazione di un congresso nazionale costituente, da tenersi a Trento, per dibattere su tre

tematiche principali:

1. Gli archivi in relazione al movimento nazionale e regionale

2. Il ritorno degli archivi italiani dall’Austria: loro entità ed importanza

3. Gli archivi della guerra.

La circolare prevedeva anche la pubblicazione di una rivista professionale.

La formazione dell’associazione a carattere professionale

e scientifico fu troncata sul nascere.

Nel 1914 Casanova aveva ciriticato l’assenza dell’insegnamento di Archivistica dall’università

toccò proprio a lui introdurla nel 1925 con un insegnamento nella facoltà di Scienze politiche

dell’Università degli Studi di Roma.

Nel 1928 pubblica il testo di Archivistica un trattato di 550 pagine che abbraccia tutti i campi

dell’archivistica: dalla storia degli archivi e della stessa archivistica all’archiveconomia; dalla

natura giuridica all’utilizzazione degli archivi; il diritto archivistico.

L’archivio deve essere e rimanere quale fu costituito dall’ente che lo creò e al quale servì; non può

essere disorganizzato, nel suo insieme e neppure nelle sue parti. […] Il principale errore dei

riordinatori è quello di essere eccessivamente soggettivi.

Nel 1933 Casanova ribadiva la qualifica di scienza spettante all’archivistica, confutava

l’indifferenza e la denigrazione nei confronti degli archivi e dell’archivistica (indifferenza che

definifa “frutto dell’ignoranza”.

Casanova fu tra i fautori del Comitato internazionale in materia di archivi, ad opera della

Commissione internazionale della Cooperazione intellettuale della Società delle Nazioni nel 1931.

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Il compito di questo comitato era di preparare un “Ufficio internazionale degli archivi” o un

analogo organismo a carattere permanente. L’opera principale portata a termine dal Comitato fu la

pubblicazione della Guide international des Archives.

Ad opera di un editore privato rinasceva nel 1933 la rivista di Casanova con il titolo Archivi d’Italia

che si apriva con un articolo proprio dell’ideatore sulla collaborazione internazionale nel campo

degli archivi e dell’archivistica.

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ANTONIO PANELLA

Contemporaneamente a Eugenio Casanova, un altro archivista portava avanti l’insegnamento

dell’archivistica nelle aule universitarie Antonio Panella

Nel 1937 affermava che l’archivio doveva essere considerato come una universitas rerum,

condividendo la negazione, già indicata sin dal 1870 dalla Commissione Cibrario, dell’esistenza di

archivi storici e di archivi amministrativi.

Se si togliesse agli atti recenti il nome improprio di archivio, non vi sarebbe alcuna ragione di

qualificare come storico l’archivio vero e proprio.

Commento alla Legge 22 dicembre 1939 Nuovo ordinamento degli Archivi di Stato pur

associandosi al generale giudizio positivo sulla normativa nel suo complesso, segnalava alcuni

aspetti negativi:

- Obbligo, per i Comuni e per gli altri enti pubblici, di costituire una separata sezione

d’archivio o sezione storica comprendente gli atti di data più antica (a suo avvisa spezzava

l’unità dell’archivio)

- La norma la quale, mentre faceva obbligo agli uffici, istituti ed enti pubblici di consegnare

agli Archivi di Stato gli atti di pertinenza dello Stato anteriori al 1870, escludeva da tale

obbligo le biblioteche e quegli uffici/enti pubblici presso i quali si fossero costituiti archivi

con un ordinamento autonomo

- Dubbio normativo sul materiale cartaceo su cui può prevalere l’interessere archivistico-

amministrativo o l’interesse storico-letterario-scientifico (il dubbio non sussiste perché il

materiale è archivistico oppure bibliografico, e l’interesse amministrativo non deve essere

separato da quello storico).

Una più profonda conoscenza dei problemi

storico-giuridici avrebbe condotto gli archivisti

a mutare il concetto di ordinamento, ponendo

al centro di questo problema non la conoscenza

della singola parte, con le sue questioni erudite,

ma la comprensione della storia dell’ufficio,

della persona o dell’ente che aveva dato origine

all’archivio

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GIORGIO CENCETTI

Entrato nel mondo degli archivi nel 1933, porta un contributo determinante all’archivistica italiana.

Espone le sue enunciazioni teoriche in 4 articoli, che costituiscono un punto fermo per la disciplina:

1. Sull’archivio come “universitas rerum” (1937)

2. Archivio, progetto dii voce per vocabolario, di Charles Samaron. Traduzione e osservazioni

(1938)

3. Il fondamento teorico della dottrina archivistica (1939)

4. Inventario bibliografico e inventario archivistico (1939)

Seguono il filone già tracciato dai suoi predecessori, ma è suo il merito di aver chiarito, precisato,

puntualizzato e reso evidenti alcuni concetti fondamentali dell’archivistica.

Le sue affermazioni più note sono quella sull’archivio come universitas rerum e quella sul vincolo

esistente fra i documenti di un archivio.

Impossibilità di differenziare

teoricamente l’ufficio di protocollo

dall’archivio, l’archivio corrente

da quello di deposito: tutto è

semplicemente archivio.

Non esiste un problema del metodo

di ordinamento, non ce n’è che uno:

quello imposto dalla originaria

necessità e determinatezza del

vincolo archivistico.

La base del metodo storico è la

connessione necessaria che esiste non solo

tra un documento e l’altro della medesima

seria, ma fra le serie di un medesimo

archivio; da qui l’esigenza di specificare

la connessione di una carta con l’altra

(qualificare il vincolo che le tiene unite)

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LEOPOLDO CASSESE

Nel tema Del metodo storico in archivistica (1955) Leopoldo Cassese dichiara che “lo sviluppo

dell’archivistica come disciplina sussidiaria della storia ha proceduto di pari passo con quello

delle teorie storiografiche e della metodica storica. […] L’autoformarsi dell’archivio rispecchia

esattamente le forme dell’attività di un ente e ne realizza l’ordinata sistemazione secondo l’attuarsi

dell’ente nel suo svolgimento”.

Riconosce nel materiale documentario, sin dal suo nascere, un divenire

Introduce il concetto marxista di reintegrazione (reintegrazione di ciò che l’uomo produsse nel

corso della sua vita pratica e che rimase a rappresentare il segno esterno (documento) di essa) in

contrapposizione alla concezione idealistico-crociana che vede i documenti “come morta spoglia

del passato”.

Introduzione allo studio dell’archivistica (corso di Archivistica speciale 1958-59) espone la

teoria per cui l’archivistica è indispensabile alla storiografia, nel lavoro dell’archivista la storia è

una disciplina ausiliaria (ribalta la concezione ottocentesca che vedeva l’archivistica come scienza

ausiliaria della storia).

L’archivista e lo storico lavorano sullo stesso tipo di materiale ma seguendo metodologie proprie e

per raggiungere scopi differenti. L’archivista indaga i fondi archivistici e ne stabilisce la genesi e la

provenienza, li ricostruisce nel loro ambiente storico, ne rintraccia i nessi giuridici con gli altri

archivi. si propone di studiare l’interazione fra documenti e accadimenti, archivio e istituto

produttore, archivio e storiografia.

L’archivista non interpreta i documenti singolarmente, non li esamina in relazione a valori storici, li

considera nel loro complesso.

Espone il concetto di avalutatività dell’archivistica assenza di un intervento ideologicamente

turbativo che, nell’organizzazione delle fonti o nella loro predisposizione all’uso, le potrebbe

rendere diverse da quello che sono state e che rappresentano.

L’archivio si è formato in un determinato momento secondo delle

forme del tutto razionali.

Il divenire è evidente nell’interpretazione del significato e del valore

dei singoli documenti come delle intere serie.

“il non mai definito processo ermeneutico dei documenti e quindi

degli accadimenti”

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Osservazione hegeliana sulla duplicità

del significato del termine storia

considera il rapporto documenti/accadimenti come un insieme definito blocco storico

tutti i documenti di qualsivoglia

specie formano un blocco storico

con gli accadimenti, rivelano cioè

in sé un significato giuridico e

sociale mediante il quale essi si

autoqualificano.

In senso oggettivo:

accadimenti (res gestae)

In senso soggettivo: storia

degli accadimenti (historia

rerum gestarum)

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LETTERIO BRIGUGLIO

Letterio Briguglio cerca di assicurare un solido fondamento teorico all’archivistica come scienza.

“Le fonti della storia, cioè le scritture, sono delle unità inscindibili […] sostanziano la ricerca e

danno un contenuto unitario sia ai valori giuridici che a quelli diplomatici”.

Mostra come si è passati da un concetto che tendeva a separare il momento amministrativo da

quello storico nella vita di un documento , al concetto di “destinazione” del documento.

Propone una rifondazione della sintesi storica a priori, per legittimarla archivisticamente,

basandosi su due fattori:

1. La fonte storica unitaria e organica, e cioè l’esistenza dell’archivio avente

un’inconfondibile personalità in quanto sintesi originaria di fatti razionalmente accaduti

(originaria storicità della res gestae)

2. L’attività dello storico che dalla razionale realtà od originaria storicità delle res gestae

trae motivo di sintesi organica fra l’elemento subiettivo e quello obiettivo del suo giudizio.

Intendiamo per archivio come persona storica una unità organica di volizioni e azioi esprimenti

una sistema di fini non soltanto attuali ma anche potenziali.

Finalità attuali dell’archivio i fini reali interni all’archivio, organizzativi ed esistenziali.

Finalità potenziali dell’archivio quelle che si proiettano fuori quando esso “ caratterizzato dalla

scienza archivistica è finalmente in grado di costituire un oggetto per un soggetto, e cioè un termine

di mediazione scientifica”.

Attraverso l’identificazione della particolare forma e degli specifici contenuti di ogni singolo

archivio (operando il riordinamento secondo il metodo storico o principio di provenienza) si supera

il concetto del materiale documentario come insieme di dati da utilizzare per la propria esigenza, e

si valuta la documentazione come parte ancora viva della storia. In questo modo la disciplina

archivistica trova la sua ragion d’essere, si chiarisce dal punto di vista metodologico perché si pone

in termini di necessità e imprescindibilità.

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LEOPOLDO SANDRI

Leopoldo Sandri definisce l’archivistica come la scienza che tratta degli archivi in quanto ne studia

l’origine, la formazione, gli ordinamenti, l’utilizzazione e la regolamentazione giuridica.

Archivio

Nel saggio Per una più moderna impostazione del problema archivistivo si dedica alla

classificazione degli atti, inquadrando il problema nell’ambito della migliore organizzazione

amministrativa: cade nell’errore di credere applicabile agli archivi la classificazione decimale

universale con le note moderne varianti allo schema originario del Dewey.

Capisaldi della disciplina che vengono individuati:

- Le fonti documentarie per la storia nascono e si definiscono nell’archivio in formazione, con

tutte le conseguenze della cernita della documentazione da conservare permanentemente

come fase di pre-archivio (tesi di Lombardo).

- Il principio della avalutatività si poneva come baluardo rispetto alla costituzione di archivi

ordinati per materia (teoria esposta da Cassese).

- L’autonomia del lavoro dell’archivista nei confronti di quello storico (enunciazione di

Moscati). lavoro sì indipendente ma anche propedeutico e sostanzialmente più basso di

quello storico

Vi sarebbero due discipline archivistiche:

1. Strettamente legata con la pubblica amministrazione (fase di creazione e di gestione

documentaria)

2. Scienza ausiliaria della storia

Con la pubblicità degli archivi a partire dalla Rivoluzione francese può riscontrarsi l’emergere di un

nuovo tipo di archivio sconosciuto, l’archivio storico, distinto e profondamente separato dagli

archivi correnti. Per questi nuovi tipi di archivio è necessario la figura di archivista diverso dal

precedente, che deve confrontarsi con un nuovo tipo di frequentatore e con le sue esigenze.

Elabora inoltre una concettualizzazione e periodizzazione che parte da due motivi di interesse dello

Stato per gli archivi:

- La certezza del diritto che deve essere garantita ad ogni cittadino attraverso la conservazione

degli atti che possono contribuire a quella certezza

- Le esigenze della cultura storica ed in genere delle scienze, che debbono essere soddisfatte

anche attraverso la conservazione delle fonti documentarie.

viene nettamente distinto da ogni altro insieme di scritti che non

abbiano il carattere di complesso di scritture per cui mezzo si è

esplicata l’attività pratica di un istituto o di una persona,

reciprocamente legate da un vincolo determinato dalla natura e

competenza dell’ente o persona cui quelle scritture si riferiscono

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L’inserimento e la giusta collocazione della storia degli archivi nella storiografia, tanto per

l’incidenza della ricerca archivistica nella metodologia delle scienze storiche, quanto per il valore

che alla documentazione archivistica va dato nel quadro delle altre fonti d’informazione, si pongono

nel quadro di quel generale ripensamento della storia, che ha portato alla riscoperta degli archivi

come fonte primaria per la introduzione, quali elementi determinanti nella ricostruzione delle

vicende passate, di interi settori della attività umana prima o non presi in considerazione affatto o

solo in modo insufficiente.

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ELIO LODOLINI

Ripropone il tema dell’unitarietà dell’archivio nega che i complessi documentari correnti e di

deposito abbiano carattere archivistico, finchè non si realizza l’utilizzazione o la possibilità di

utilizzazione culturale delle scritture

L’unica funzione dell’archivio appare quello di studio attraverso cui si mette in luce il vincolo

originario fra le scritture

il momento in cui un complesso documentario assume utilizzazione per fini di studio (diventa cioè

archivio) non è un momento temporale ma una figura giuridica. L’archivio non inizia con la

produzione dei documenti, ma con l’esplicitazione del vincolo necessario che li lega, per cui tra le

due funzioni delle scritture documentarie e le due corrispondenti utilizzazioni (quella

amministrativa-giuridica e quella per fini di studio) è solo la seconda funzione e utilizzazione a

caratterizzare archivisticamente il complesso documentario.

Il complesso delle scritture prodotte da una persona fisica o giuridica nello svolgimento della

propria attività diventa archivio nel momento giuridico in cui le scritture stesse si configurano

come universitas rerum, cioè nel momento in cui si estrinseca in atto fra i singoli documenti il

vincolo necessario, esistente fra essi in potenza sin dall’origine, nel momento in cui il complesso

delle scritture assume funzione archivistica e diviene suscettibile di utilizzazione archivistica.

Sviluppa la sua concezione su alcuni nodi fondamentali della disciplina archivistica:

1. Concetto positivo di selezione dei documenti da conservare per gli studi e la cultura,

contrapposto alla tradizionale impostazione negativa di scarto dei documenti considerati

inutili.

2. L’ordinamento del complesso documentario viene identificato archivisticamente come

riordinamento, in quanto si tratta di riprodurre l’ordine originario delle carte così come esse

nacquero, legate dal vincolo necessario (rispetto del metodo storico).

3. Propone l’uso del termine Registratura/Protocollo per indicare le scritture correnti e di

deposito conservate presso gli uffici originari, riservando il termine archivio alle scritture

conservate per fini culturali e quindi qualificate come “beni culturali”.

Lodolini individua l’origine dell’archivio nello svolgimento di un’attività amministrativa e lo vede

costituirsi spontaneamente quale sedimentazione documentaria di un’attività pratica,

amministrativa, giuridica, tale da formare un complesso di documenti legati fra loro reciprocamente

da un vincolo originario, necessario e determinato, per cui ogni documento condiziona gli altri e

dagli altri è condizionato.

L’ordine di un complesso documentario presso gli uffici non è sempre univoco e dato una volta per

tutte, ma è un ordine “dinamico” in quanto dipende dalla “dinamica amministrativa”. Fino a quando

esiste una necessità di utilizzazione burocratica dell’intero corpus documentario, la documentazione

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può essere soggetta a risistemazioni funzionali alle esigenze e alle procedure di un determinato

organo amministrativo.

Per ricondurre le carte di un archivio all’ordine originario occorre una conoscenza delle

competenze, dell’organizzazione, della struttura, delle procedure nonché dei metodi di

funzionamento dell’istituto che le ha poste in essere. Questo studio, che costituisce il lavoro di

ricerca più caratteristico dell’archivistica, è alla base della realizzazione degli strumenti di corredo,

che nell’ottica di questa metodologia vengono utilizzati dagli studiosi.

È necessario dare il senso della stratificazione degli ordinamenti o della successione della dinamica

amministrativa.

Due aspetti dell’ordine dell’archivio

Due fondamentali principi teorici (mutuati dall’archivistica anglosassone):

1. Il problema dell’autenticità dei documenti conservati nei pubblici archivi, che l’archivistica

italiana ha trascurato la possibilità di utilizzo giuridico degli archivi si affievolisce con il

tempo ma non viene mai meno del tutto.

Mentre in alcuni paesi i documenti conservati in archivio sono autentici per definizione, in

altri la conservazione in archivio non dà ai documenti alcun particolare carattere di

autenticità.

2. Principio per la garanzia dell’autenticità dei documenti – autenticità indispensabile sia ai fini

giuridici che ai fini della ricerca storica e scientifica – è quello della custodia ininterrotta dal

momento della loro produzione.

sincronico

diacronico

In fase di riordinamento di un

complesso documentario storico

occorre tener conto di entrambi,

considerando in particolare che

l’ordinamento originario di

quell’archivio non può essere statico

ma dinamico

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ARNALDO D’ADDARIO

Tre aspetti qualificanti dell’archivio:

1. il rapporto esistente tra ogni fondo archivistico e l’autore che gli ha dato vita;

2. la finalità originaria presente nella formazione del fondo archivistico, dalla quale

conseguono le caratteristiche strutturali e contenutistiche del fondo medesimo;

3. la natura e la misura del rapporto che si può stabilire tra un certo fondo archivistico e un

certo fine di ricerca storica.

Distingue due grandi

categorie di “autori”

La conservazione delle carte da parte del produttore dell’archivio avviene secondo il rapporto che

ciascun documento ha con gli altri dello stesso affare, della medesima pratica, in ordine con le altre

di ugual natura e oggetto, in un insieme articolato e organico che riflette in sé l’articolazione e

l’organicità dei diversi interessi e dei settori di attività dell’autore dell’archivio.

D’Addario mette in rilievo l’esigenza di prestare attenzione particolare ai problemi degli archivi del

presente, in corso di costituzione spesso su supporti non tradizionali, e parallelamente alla

formazione di banche dati computerizzate derivate non solo dalla documentazione cartacea ma

anche dagli archivi interamente elettronici (con problemi da risolvere sulla validità dal punto

giuridico, alla funzionalità della conservazione, alla metodologia dell’uso a fini di ricerca).

Enti pubblici e privati

Gli individui che danno vita ad archivi

personali (in relazione alla propria vita)

e le persone, in quanto membri di

famiglie, che incrementano gli archivi

familiari.

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FILIPPO VALENTI

La tradizionale teoria del rispecchiamento archivistico degli enti produttori viene posta

problematicamente in discussione e l’accento viene posto più sulla identificazione, sullo scarto

esistente fra la realtà assunta dall’archivio e la storica realtà dell’ente.

Si interroga su tre quesiti le cui risposte forniscono all’archivistica un’autonomia di compiti e

mezzi:

1. nota che ci si è occupati troppo dell’archivio “in senso stretto” e si è posa scarsa attenzione

alla complessa realtà archivistica, nella quale non sempre le individualità organiche si fanno

trovare allo stato nativo

2. il problema del rispecchiamento dell’istituzione che avviene secondo modalità archivistiche

le quali sono mutevoli, per cui l’archivio dovrebbe rispettare anche la loro storia (necessità

di conoscere le vicende archivistiche subite nel corso del tempo da quel fondo)

3. l’archivistica come disciplina se vuole essere qualcosa di diverso dalla storia deve proporsi

di introdurre un minimo di ordine classificatorio entro l’infinita varietà dei singolo fatti

concreti con cui ha a che fare

Ridefinisce i principi acquisiti dell’archivistica:

- la qualificazione dell’archivio-tipo come complesso governato da intrinseche leggi di

sviluppo e di struttura

- la necessità di tenere sempre presenti, consultando o ordinando un archivio, quelle che

furono la storia, le competenze e le esigenze dell’ente produttore

- l’impossibilità di istituire una qualsiasi distinzione di fonso tra archivi “storici” e archivi

“amministrativi”

- nega il carattere univoco del vincolo

- nega la pretesa che l’ordinamento di un archivio non possa che essere che uno, quello cioè

che riflette sic et simpliciter (immediatamente e necessariamente) la vita e l’attività dell’ente

produttore

- scetticità sul principio che quelli che si possono definire fondi archivistici siano sempre i

prodotti spontanei dell’attività di un singolo ente produttore

- enunciazione di parametri generali in un’analisi comparate e diacronica delle modalità di

organizzazione della propria memoria da parte degli istituti produttori (possibilità di creare

classificazioni e tipologie).

Valenti affronta anche la questione della struttura dell’archivio notando come in Italia si parli

sempre di ordinamento e mai della conformazione propria dell’insieme “archivio”.

Segue concettualmente il Brenneke e individua gli insiemi costitutivi:

- il fondo (per gli archivi multipli o generali di concentrazione) può definirsi come una

partizione formale originaria pur nell’ambito di certe formazioni archivistiche e spesso negli

archivi di concentrazione coincide con un complesso documentario organico

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- la serie (per gli archivi singoli in senso proprio) partizione o sottopartizione costituita da

una o più sequenze di documenti di analoga natura oppure di pratiche relative al disbrigo di

affari del medesimo tipo.

Individua due tipi di archiviazione:

1. a serie aperte l’unità di natura prevale sull’ordine cronologico (ogni serie al suo interno

suddivisa cronologicamente)

2. a serie chiuse la prevalenza del criterio cronologico (prima suddivisione in annate e

all’interno la ripartizione in serie)

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PAOLA CARUCCI

Paola Carucci ritiene oggetto dell’archivistica l’analisi struturale dei complessi archivistici rispetto

alle istituzioni, considerando l’archivio secondo i modi in cui si è formato, sedimentato e

trasformato nei secoli, seguendo cioè sia la sua vicenda diacronica sia nel suo rapporto sincronico

con gli archivi delle istituzioni che operavano nello stesso tempo.

L’archivio è il complesso dei documenti prodotti o comunque acquisiti durante lo svolgimento della

propria attività da magistrature, organi e uffici dello Stato, da enti pubblici e istituzioni private, da

famiglie e da persone.

I documenti che compongono un archivio vengono posti in essere secondo un determinato ordine,

che è quello dato dall’ente stesso che li produce; nel tempo quest’ordine può subire modifiche.

L’archivista, chiamato a riordinare l’archivio, deve ricostruire l’ordine originario secondo cui l’ente

che aveva prodotto quei documenti aveva provveduto a classificarli e ad articolarli in serie.

L’ordinamento è considerato il risultato di due concause: la funzione che connette i documenti in un

discorso significativo e quindi ne produce la struttura, e le necessità organizzative della memoria

scritta che danno origine ai criteri di aggregazione in serie e di conservazione dettati dagli uffici.

Il criterio archivistico di ordinamento e inventariazione è sempre incentrato sulle istituzioni che

hanno prodotto le carte senza concessioni a metodologie classificatorie di stampo enciclopedico. La

neutralità rispetto alla natura specifica degli oggetti documentari è un requisito fondamentale per

l’inventariazione che non può privilegiare qualcosa piuttosto che un’altra, nel contesto dell’archivio

trattato, né esprimere giudizi e avanzare interpretazioni volte a determinare un particolare approccio

o utilizzo delle fonti.

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Archivistica tecnica e informatica (mod. A)

Prof.ssa Cecilia Tasca

Tutor: Dott.ssa Eleonora Todde

a.a. 2013-14

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ISABELLA ZANNI ROSIELLO

L’opera della Zanni Rosiello si inserisce in quel filone di studi sul metodo e sul significato delle

fonti.

Per la Zanni Rosiello lo studioso deve orientarsi secondo la logica delle fonti, non secondo quella

della sua particolare ricerca o della sua disciplina; le indicazioni della disciplina dovranno

intervenire solo in un secondo tempo, a ricerca effettuata, nel momento dell’interpretazione.

Le categorie interpretative di base introdotte nell’approccio alle fonti documentarie integrano il

tradizionale approccio istituzionale alla ricerca d’archivio, mettendo in campo vari fattori che hanno

determinato l’effettivo presentarsi di un complesso documentario come risultato di un processo

storico, che non si è esaurito con la produzione e la sedimentazione delle carte.

Spetta in primo luogo all’archivista individuare la logica dell’appartenenza di ogni documento ad

un preciso e specifico archivio, nell’ambito del quale va inquadrato tenendo conto delle motivazioni

che lo hanno fatto porre in essere come parte di un procedimento amministrativo un una

determinata situazione storico-giuridico-istituzionale.

Stabilire pratiche conservative dei complessi documentari, tali da presentarli come “memoria fonte”

strumentale all’immagine che il potere voleva tramandare di sé alla posterità, risppropriarsi del

passato secondo le categorie concettuali giuridico-politiche del presente, ricomponendo le scritture

secondo le funzioni dello Stato e concentrandole, diviene la regola e l’imperativo dei ceti di

governo sul finire del Settecento e nei primi dell’Ottocento.

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GIUSEPPE PLESSI

L’archivistica è una disciplina dotata di propria autonomia e specificità di ricerca, di una particolare

metodologia e di un ambito ben determinato, che rientra in un quadro più generale di partizioni del

sapere insieme ad altre discipline, altrettanto autonome, come la paleografia, la diplomatica, la

codicologia, etc.

Plessi sottolinea l’impossibilità di attingere direttamente alle singole untià documentarie ed alle

informazioni in esse contenute senza il concorso della specifica scienza archivistice e della relativa

metodologia, che danno modo di comprendere la genesi e la natura del complesso documentario.

Prospetta una divisione dell’archivistica in quattro parti istituzionale ed una appendice legislativa:

1. i fondamenti teorici sono oggetto della prima partizione, definita archivologia individua

il suo oggetto nella documentazione archivistica, qulla cioè prodotta durante e in funzione

dell’espletamento di un’attività amministrativo-giuridica

2. archivografia designa tutto ciò che afferisce alla descrizione e presentazione degli

archivi, intese anche come restituzione storica degli stessi, quindi come operazione

conoscitiva

3. archiveconomia studia gli strumenti, i mezzi, i sistemi di conservazione e di tutela del

materiale documentario, attuando nella pratica i principi enunciati nei due settori disciplinari

precedenti

4. archiveuristica applicazione della dottrina alla ricerca e all’uso dei documenti come

fonte; suggerisce i procedimenti orientativi, impostativi e sistematici da adottarsi nella

condotta delle ricerche su materiale archivistico.

Nella definizione del vincolo archivistico Plessi utilizza il termine nesso perché vuole mettere in

evidenza il concetto di corrispondenza biunivoca fra tutte le carte, non di una rigida e necessaria

concatenazione tra di esse per la quale il venir meno di una sola carta determini una incolmabile

discontinuità nella documentazione scritta il legame componenziale e contenutistico fra le carte

le connette fra di loro e non soltanto la precedente e la seguente.

Affronta anche il tema del riordinamento archivistico nell’ambito dell’archivio di deposito lo

scopo ideale è quello di riportare le carte all’ordine loro attribuito al momento della formazione

(viene ammesso che questa meta ideale non è sempre integralmente raggiungibile).

Lo scarto costituirebbe un’attività condizionatrice della ricerca, perché conservare una carta

piuttosto che un’altra può perfino determinare l’orientamento nell’interpretazione di tutta una

documentazione nel suo complesso e favorire o intralciare una ricerca, influendo nel caso estremo

alle sue conclusioni.