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Iris Parrini 1 (Coordinatore), BOOKLET Irma Bisceglia Stefano Curti Roberta Battistini Valerio Zoli Iris Parrini ANMCO – Task Force Cardioncologia 2017 LINFOMI TERAPIA ONCOLOGICA E CARDIOTOSSICITA’

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Iris Parrini1 (Coordinatore),

BOOKLET

Irma Bisceglia

Stefano Curti

Roberta Battistini

Valerio Zoli

Iris Parrini

ANMCO – Task Force Cardioncologia 2017

LINFOMI TERAPIA ONCOLOGICA E CARDIOTOSSICITA’

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Iris Parrini1 (Coordinatore), Autori: Irma Bisceglia2, Stefano Curti2, Roberta Battistini3, Valerio Zoli3. 1Cardiologia, Ospedale Mauriziano, Torino 2S.C. Cardiologia 2, A.O. San Camillo-Forlanini, Roma 3 UOC Ematologia e Trapianto Cellule Staminali Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma

LE INFORMAZIONI DELL’EMATOLOGO

Il Linfoma di Hodgkin (LH) rappresenta circa l’1% di tutte le neoplasie, ha un’incidenza di

circa 2-3 casi/100.000 abitanti/anno in Europa e negli Stati Uniti, con distribuzione bimodale:

un primo picco d’incidenza tra i 20-30 anni e un secondo picco attorno ai 60 anni1.

Il LH è suddiviso in due gruppi:

A) a predominanza linfocitaria nodulare (NLPLH) che rappresenta il 5% circa di tutti i LH

B) linfoma di Hodgkin classico (cLH) di cui si distinguono quattro sottotipi: sclero-nodulare (75-

80%), a cellularità mista (20-25%), ricco in linfociti (5%), a deplezione linfocitaria (<1%).

La presentazione clinica più frequente è con linfoadenomegalie superficiali associate o

meno a sintomatologia sistemica. La stadiazione di malattia si basa sulla valutazione

dell’interessamento linfonodale sovra e sottodiaframmatico e sul possibile coinvolgimento di

altri organi extranodali (milza, timo, anello Wladeyer, appendice, placche di Peyer); dalla

presenza o assenza dei sintomi sistemici.

Il trattamento di prima linea di pazienti adulti e pediatrici con Linfoma Hodgkin (HL) utilizza

regimi di combinazione di chemioterapia a base di antracicline con o senza radioterapia e

risulta curativo con guarigioni in circa il 70%-90% nella terapia dei pazienti2.

I regimi terapeutici standard sono rimasti invariati negli ultimi decenni vale a dire, ABVD

(doxorubicina 50 mg/m2 per ciclo, bleomicina; vinblastina; dacarbazina) e BEACOPP

(bleomicina, etoposide, doxorubicina 50 mg/m2, ciclofosfamide, vincristina, procarbazina e

prednisone) o BEACOPP “dose escalated” a seconda dei paesi. Nei pazienti con HL

recidivato o refrattario si può utilizzare la chemioterapia ad alte dosi (HDC) e il trapianto di

cellule staminali autologhe (auto-SCT)3. L’introduzione di farmaci di nuova generazione come

il brentuximab-vedotin, Anti PD-1(Nivolumab) proposti sia in mono terapia che in

combinazione in studi prospettici con i classici schemi chemioterapici, hanno aperto nuovi

scenari nel trattamento del LH.

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I linfomi non-Hodgkin (NHL) sono patologie linfoproliferative clonali che originano dai linfociti

B (80-85% dei casi), dai linfociti T (15-20%) o dai linfociti natural killer, NK (rari). I NHL sono

il 4-5% delle neoplasie nella popolazione maschile e femminile, e costituiscono la nona causa

di morte per cancro negli uomini e la sesta nelle donne. La classificazione dei NHL è fatta in

base alla cellula di origine (linfocita B, T o NK), su criteri morfologici, immunofenotipici, genetici

e molecolari, da integrare con le caratteristiche di presentazione clinica4. Nella pratica clinica

sono suddivisi in linfomi “indolenti” ed “aggressivi”.

I Linfomi Indolenti sono circa la metà di tutti i linfomi (Linfoma Follicolare, Leucemia Linfatica

Cronica/ Linfoma Linfocitico, Linfoma della Zona Marginale extranodale MALT/ Nodale,

Linfoma Linfoplasmocitico Macroglobulinemia di Waldestrom, Linfoma della Zona Marginale

Splenico, Hairy Cell Leukemia), di questi il più frequente è il Linfoma Follicolare, la frequenza

è del 15,9%. L’andamento clinico è poco aggressivo, con difficile eradicazione della malattia,

ma con una sopravvivenza in genere lunga. Il trattamento dei NHL indolenti prevede in molti

casi il controllo dei sintomi e la preservazione della qualità di vita del paziente. Ad oggi non è

dimostrato che l’inizio della terapia prolunghi la sopravvivenza di questi pazienti; sembra che

nuovi farmaci possano garantire un miglior controllo della malattia e allungare la recidiva e

quindi un ricorso a successivi trattamenti. In queste forme di linfoma il trattamento è la

Bendamustina in combinazione con l’Anticorpo Monoclonale Rituximab (BR) 5.

I linfomi aggressivi clinicamente sono quella categoria di linfomi con differenti istologie, che

presentano rapido decorso clinico e breve sopravvivenza se non adeguatamente trattati o non

responsivi al trattamento. La forma più frequente di NHL aggressivo è il linfoma B diffuso a

grandi cellule (DLBCL), che rappresenta circa il 30% di tutti i linfomi. Sotto la denominazione

DLBCL sono comprese forme eterogenee per morfologia, fenotipo, anomalie genetiche,

prognosi e caratteristiche cliniche (Tabella 1).

Tabella 1. Forme eterogenee dei linfomi per morfologia e fenotipo.

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Il trattamento di prima linea nei pazienti con DLBCL è basato sullo schema RCHOP

standard (rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina 50 mg/m2, vincristina, prednisone)

associato a rituximab +/- radioterapia. Il numero di cicli dipende dalla presentazione iniziale e

dalla risposta alla terapia.

Negli stadi localizzati il trattamento è di 3-4 RCHOP +/- RT di consolidamento6.

Negli stadi iniziali con fattori prognostici sfavorevoli (presentazione bulky >10 cm) il

trattamento è di 6-8 cicli R-CHOP associati a RT di consolidamento (30-36

Gy“involved-field”).

Negli stadi avanzati (III-IV) trattamento con 6-8 cicli.

Il trattamento di 2° linea nei pazienti giovani ricaduti o refrattari alla prima linea è

rappresentata da chemioterapia ad alte dosi (HDS), seguita da autotrapianto di cellule

staminali (ASCT) 7.

Il trattamento di 2° linea nei pazienti anziani ricaduti o refrattari dopo la prima linea o non

candidabili ad ASCT, consiste in terapia con rituximab associato a schemi di

polichemioterapia tradizionali. Nuovi agenti biologici (Obinotuzumab, Brentuximab Vetodin,

Ibrutinib, Polatuzumab, Vetodin, CAR-T), sono in studio per il trattamento di queste categorie

di pazienti8,9 (Tabella 2).

Tabella 2. Principali regimi terapeutici.

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Gli effetti cardiotossici nella terapia dei linfomi (Tabella 3)

Tabella 3. Effetti cardiotossici da trattamento del Linfoma

Legenda :+++, >10%; ++, 1-10%; +, <1% o raro ( mod. da Tarantini et al. G Ital Cardio 2017)

Bibliografia

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APPROCCIO CARDIONCOLOGICO

Le antracicline convenzionali rappresentano ancora oggi la pietra miliare dei regimi

chemioterapici standard dei linfomi, ma la cardiotossicità relativa alla dose cumulativa può

contrastarne l'uso, in particolare nei pazienti con patologie cardiache preesistenti o

concomitanti. È stato anche dimostrato che la cardiotossicità è la complicanza tardiva

predominante nei sopravvissuti a lungo termine con linfoma aggressivo. La mortalità

cardiovascolare è legata all’avanzare dell’età, ai comuni fattori di rischio cardiovascolare (CV),

che possono essere anche favoriti dalla malattia o a effetti (diretti o indiretti) delle terapie. È

stata inoltre di recente osservata una prevalenza inaspettata di malattie cardiovascolari (MCV)

nei pazienti oncologici rispetto alla popolazione generale. Solo la metà dei pazienti con MCV

è stata riferita ai cardiologi e ha ricevuto una terapia medica ottimale1. È necessaria pertanto

una strategia di stratificazione del rischio che consenta di pianificare adeguatamente il

monitoraggio e di adottare le più appropriate misure di cardioprotezione con l’obiettivo di

consentire il proseguimento della terapia oncologica prevenendo o limitando le complicanze

cardiovascolari2 (Figura 1).

Monitoraggio CV

Trattamento in parallelo

cardiovascolare e del cancro

Monitoraggio della cardiotossicità

Terapia oncologica

Gestione dei sopravviventi

Stratificazione del rischio CV prima del

trattamento oncologico

Decisione Iin base ulrischio CV e gestione

in base alla chemio terapia scelta

Decisone multidisciplinare sulla scelta della chemioterapia in

base alla stratificazione del

rischio CV e al piano di trattamento

Prevenzione del cancro

Gestione dei fattori di rischio CV

Prevenzione primaria

Trattamento “evidence based” dei FR CV e delle

cardiopatie

Pazienti sani

Pazienti cardiopatici

Diagnosi di cancro e piano di trattamento

Monitoraggio CV a lungo termine

Prevenzione CV nei pazienti ad alto

rischio

Trattamento della cardiopatia e

monitoraggio CVInterventi per

ridurre effetti CV a lungo temine

FIGURA 1. Strategia di stratificazione del rischio e monitoraggio. Mod da Barak et al 2

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Antracicline e analoghi (doxorubicina o adriamicina, epirubicina, mitoxantrone, idarubicina,

doxorubicina liposomiale) determinano una cardiotossicità di tipo I dovuta a danno diretto con

necrosi cellulare; è un fenomeno irreversibile e il rischio di disfunzione è legato alla dose

cumulativa somministrata nell'arco della vita.

Per la doxorubicina il rischio di disfunzione ventricolare è del 5% per dosi cumulative

di 400 mg/mq, sale al 7-26% per dosi di 550 mg/mq e può arrivare a > 40% per dosi

cumulative di 700 mg/mq. Le antracicline diverse dalla doxorubicina hanno una tossicità

minore e per ottenere l'equivalente di tossicità occorre moltiplicare la dose per un fattore di

conversione di 0.7 per epirubicina, 0.75 per daunorubicina, 0.43 per idarubicina, 4 per

mitoxantrone. Le antracicline liposomiali, sia peghilate (Caelyx) che non peghilate (Myocet),

sono molto meno cardiotossiche.

I pazienti con linfoma di Hodgkin trattati con dosi di doxorubicina ≥ 250 mg / m2 dopo 20 anni

hanno un rischio di scompenso cardiaco di 4,5 volte superiore rispetto agli individui trattati

senza doxorubicina o RT mediastinica3.

Fattori di rischio

I fattori di rischio per la cardiotossicità sono molteplici e sono correlati alla dose cumulativa di

antracicline durante la vita, la somministrazione di dosi singole elevate in bolo, età <18 e >65

anni, sesso femminile, fattori di rischio cardiovascolare e cardiopatie pre-esistenti,

chemioterapie o terapie biologiche concomitanti, radioterapia mediastinica precedente e/o

concomitante4 (Tabella 1).

Tabella 1. Fattori di rischio per il trattamento con antracicline.

Mod da ESC Position Paper 20163

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Le linee guida ASCO 20175 hanno definito quali siano i pazienti a rischio di disfunzione

ventricolare sinistra identificandoli sulla base dei trattamenti: (Tabella 2).

Tabella 2. Pazienti a rischio di disfunzione ventricolare sinistra sulla base del trattamento

Mod linee guida ASCO 20175

Prevenzione primaria

La prevenzione primaria del danno da antracicline è possibile e pur essendo di appannaggio

prevalente dell’oncologia presume una corretta identificazione dei pazienti a rischio.

I fattori che sembrano influenzare la cardiotossicità indotta dalle antracicline sono da una parte

paziente correlati e includono età al tempo dell’esposizione, predisposizione genetica,

ipertensione arteriosa, diabete mellito, cardiopatie preesistenti, dall’altro sono legati a terapie

quali radioterapia mediastinica precedente o concomitante, combinazione con ciclofosfamide,

paclitaxel, trastuzumab, vincristina.

Quali misure di prevenzione può mettere in atto l’oncologo?

L’oncologo, identificato il paziente ad alto rischio di sviluppare cardiotossicità, può scegliere

di adottare dei regimi terapeutici meno cardiotossicici:

riduzione della dose cumulativa

infusioni protratte

l’uso di antracicline meno tossiche come epirubicina

formulazioni liposomiali (*)

dexrazoxane (**)

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(*) Studi condotti di recente con regime R-COMP che hanno adottato antracicline liposomiali non peghilate

hanno mostrato l’efficacia e la sicurezza del trattamento nei pazienti affetti da DLBCL con cardiopatie preesistenti

o concomitanti6,7.

(**) Cardioprotettori come il dexrazoxane. L’uso è approvato ufficialmente solo per pazienti con tumore

metastatico della mammella già sottoposte a trattamento con oltre 300 mg /m2 di doxorubicina8. Studi hanno

dimostrato che il dexrazoxane, in combinazione con antracicline, riduce il rischio di scompenso cardiaco senza

nessuna differenza significativa sull’effetto antineoplastico9.

Quali misure di prevenzione può mettere in atto il cardiologo?

Prima di iniziare il trattamento oncologico

ottimizzazione della terapa in atto nei pazienti che presentano più fattori di rischio o

una cardiopatia pre esistente

un ecocardiogramma basale

eventuale terapia cardioprotettiva (*)

(*) Terapia cardioprotettiva in prevenzione primaria con carvedilolo per la scarsa numerosità

del campione e la breve durata del follow up negli studi non è ancora stata validata10,11.

Prevenzione secondaria

La prevenzione secondaria si fonda sulla identificazione precoce del danno che da una parte

ne consente il contenimento, dall’altra il possibile recupero mediante un trattamento precoce.

E’ noto che la reversibilità della cardiomiopatia indotta da antracicline non si osserva più nei

6 mesi successivi alla comparsa della cardiomiopatia e il trattamento con enalapril e

carvedilolo può consentire il recupero completo nel 43% dei casi e parziale nel 13% con una

sopravvivenza libera da eventi a 2 anni dell’85% nei pazienti con recupero del valore di FE a

valori superiori al 50%12. Questo aspetto rappresenta l'impulso per l’utilizzo delle migliori

strategie che consentano la diagnosi precoce della cardiotossicità. L’ecocardiografia

tradizionale con la misurazione standard della frazione di eiezione (FE) mostra una bassa

sensibilità diagnostica e un basso valore predittivo nell’identificare la cardiotossicità

subclinica.

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Diagnosi di cardiotossicità subclinica

Troponina(*) rileva la presenza di cardiotossicità molto precocemente e precede la

disfunzione ventricolare sinistra di almeno 3 mesi; subito dopo l'ultimo ciclo di chemioterapia

(CT), la determinazione della troponina ha permesso di discriminare i pazienti a basso rischio

da quelli ad alto rischio di cardiotossicità12,13,14,15.

(*) L’impiego di questo biomarker non è ancora entrato nelle linee guida principalmente perché

mancano dati derivati da studi multicentrici e per la debolezza di alcuni punti quali: valore di

cut-off per le varie troponine (troponina T, troponine ultrasensibili), timing dei prelievi, durata

del follow up, definizione degli end-point cardiaci.

I peptidi natriuretici atriali hanno fornito ad oggi risultati ancor più contrastanti. Il loro rilascio

avviene in riposta ad elevate pressioni di riempimento e all’aumento dello stress di parete.

Molti autori hanno trovato una correlazione tra elevati livelli di BNP e NTpro BNP e disfunzione

ventricolare sinistra in corso di trattamento con antracicline ma solo alcuni studi sono stati in

grado di dimostrare una capacità predittiva di disfunzione ventricolare sinistra e scompenso

cardiaco16,17.

Global strain longitudinale (GLS), consente di rilevare precocemente una disfunzione

ventricolare sinistra con una FE che può risultare ancora normale grazie al compenso dello

strain radiale e circonferenziale. Una riduzione del GLS >15% rispetto al valore basale ha

mostrato un elevato valore predittivo della disfunzione ventricolare sintomatica e asintomatica

nei mesi successivi18,19,20.

Un'analisi retrospettiva ha dimostrato la possibilità che il GLS può essere utilizzato per guidare

una terapia di cardioprotezione con beta bloccanti che consenta di evitare l’interruzione

precoce della CT e di limitare lo sviluppo di disfunzione ventricolare 21.

Nessuna raccomandazione può essere fatta per quanto riguarda la continuazione o

l’interruzione della terapia oncologica in pazienti con evidenza di disfunzione ventricolare

subclinica.

Diagnosi di cardiotossicità da antraciclicline

Sebbene l'ecocardiografia tridimensionale (3D) rappresenti la tecnica ideale per misurare la

FE, limitata peraltro da una scarsa disponibilità e dall’esperienza dell’operatore,

l'ecocardiografia bidimensionale (2D) mediante il metodo di Simpson biplano rappresenta

ancora oggi il metodo di scelta per l'individuazione della disfunzione miocardica prima, durante

e dopo la terapia. Quando disponibile l'ecocardiografia tridimensionale (3D) rappresenta la

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tecnica ideale per misurare la FE. Nei casi in cui l’ecocardiografia non sia diagnostica si può

ricorrere alla RM cardiaca con costi maggiori o alla scintigrafia miocardica con esposizione

del paziente a radiazioni.

Allo stato attuale i criteri di cardiotossicità non sono ancora univoci.

Criteri di cardiotossicità secondo le linee Guida della Società Europea di Cardiologia

(ESC)4

La definizione attuale della cardiotossicità secondo i criteri utilizzati dal Comitato per

la revisione degli effetti cardiotossici (CREC: Cardiac Review and Evaluation

Committee Criteria) prevede in presenza di sintomi una riduzione di FE <53% associata a

una riduzione oltre il 5% rispetto al valore basale mentre in assenza di sintomi è prevista una

riduzione di oltre il 10% (Tabella 3).

Tabella 3. Criteri di cardiotossicità secondo il sistema di classificazione CREC

Mod. da Negishi 22

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Monitoraggio Ecocardiografico durante terapia con antracicline.

Al momento attuale non è possibile formulare raccomandazioni circa il timing di monitoraggio

ecocardiografco tuttavia è consigliato un ecocardiogramma basale ed al termine della terapia

con antraciclicline.

Gestione della disfunzione ventricolare

La gestione della disfunzione ventricolare da antracicline secondo il Documento di Consenso

ANMCO/AICO/AIOM23 prevede la sospensione della terapia in presenza di FE inferiore al

45%,associata a trattamento con ace inibitori o sartani e/o beta bloccanti mentre per valori tra

45-49% associati a una riduzione assoluta di FE del 10% rispetto al basale è opportuno

iniziare il trattamento farmacologico e rivalutare il trattamento; per una riduzione <10% è

consigliato un monitoraggio ecocardiografico ravvicinato continuando il trattamento (Fig. 3).

* se FE <50% valutazione ecocardiografica prima di ogni ciclo ** valutare eventuale chemioterapia alternativa *** alla fine della chemioterapia o dopo dose cumulativa >250 mg/m2, nel follow-up in base alla dose somministrata e al rischio cardiovascolare del paziente. Figura 3. Gestione della disfunzione ventricolare da antracicline durante il trattamento. mod da

Tarantini et al 23

Le linee guida ASCO5 non forniscono indicazione precise sul timing dei controlli ma

sottolineano che il cardiologo deve valutare e gestire regolarmente i fattori di rischio

cardiovascolari quali il fumo, l'ipertensione, il diabete, la dislipidemia e l'obesità in pazienti

precedentemente trattati con terapie cardiotossiche. Uno stile di vita sano e sano, compreso

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il ruolo della dieta e dell'esercizio fisico, dovrebbe essere discusso come parte di una terapia

di follow-up a lungo termine.

Terapia

La terapia della disfunzione da antracicline, sia negli adulti che nei bambini, non si differenzia

da quella della disfunzione ventricolare e dello scompenso delle altre cardiomiopatie e si basa

essenzialmente sull’uso di betabloccanti, ACE inibitori, sartani, e in caso di scompenso

congestizio di diuretici, ma può essere difficile raggiungere le dosi terapeutiche piene a causa

della comparsa di ipotensione e astenia, e il risultato non è sempre stabile nel tempo. La

terapia va individualizzata in base a presentazione clinica (frequenza cardiaca, pressione

arteriosa, segni di congestione) e alla tollerabilità. Poiché questi pazienti spesso sono ipotesi

l’ivabradina è un presidio che può essere molto utile, soprattutto in presenza di tachicardia.

Rechallenge

In caso di cardiotossicità che abbia indotto a interruzione del trattamento del cancro la

sospensione va attuata fino a quando il paziente non sia clinicamente stabile. Occorre poi una

valutazione del rapporto rischio/beneficio di una prosecuzione del trattamento con il regime

precedente che dipenderà da diversi fattori clinici, tra cui la gravità della disfunzione

ventricolare, lo stato clinico, lo stadio di malattia. Se si decide per il rechallenge è fortemente

raccomandata la continuazione con terapia cardioprotettiva con ACE inibitori e beta-bloccanti.

Altre opzioni potenziali includono la selezione di preparati con un profilo meno cardiotossico

come le antracicline liposomiali o l’utilizzo del dexrazoxano.

Follow up

Sebbene non ci siano uniformità nel programma di follow up uno schema proposto è descritto

nella Tabella 4.

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Tabella 4. Monitoraggio durante il follow-up.

Mod. da Ewer 24

Radioterapia

La RIHD è generata dal dosaggio cumulativo totale di radioterapia potenziata dalla

chemioterapia aggiuntiva. Dosi più elevate di radiazioni, giovane età e più lunghi intervalli di

tempo intercorsi dal tempo del trattamento, fattori di rischio cardiovascolari predispongono

alla RHID.

Queste complicanze includono:

malattie del pericardio

cardiomiopatie

malattia valvolare

aritmie

malattie del sistema di conduzione

malattie dei grandi e medi vasi

Nota. Possono manifestarsi anni o decenni dopo il trattamento iniziale causando morbilità e

mortalità significative. Attualmente non esistono linee guida per gestire l’approccio ottimale

alla sorveglianza cardiovascolare dei radiotrattati ma sono stati elaborati algoritmi di

monitoraggio e un documento di consenso basati sull’imaging cardiovascolare25,26. (Figura 4)

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Gestione delle complicanze da radioterapia

Legenda: ECO TT Ecocardiogramma Transtoracico; RM = risonanza magnetica; TC = tomografia assiale computerizzata; LG = Linee Guida; TIA=attacco ischemico transitorio; TSA= Tronchi Sovra Aortici; FR = Fattori di Rischio cardiovascolari

Figura 4. Algoritmo della gestione delle complicanze da radioterapia. mod da Groarke 2014

Trapianto di cellule staminali emopoietiche (HSCT)

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (HCST) ha determinato un incremento della

sopravvivenza del 10% per decade di età e tra coloro che sopravvivono i primi 2 anni dopo

HSCT, circa l'80% dei destinatari di trapianto allogenico e circa il 70% di quelli sottoposti a

trapianto autologo divengono lungo sopravviventi27,28.

Il Bone Marrow Survivors Study ha osservato tuttavia che quasi due terzi dei pazienti sviluppa

una patologia cronica, nel 33% dei casi considerata grave e il fenomeno è più evidente nella

popolazione anziana29. Il rischio di morte CV è 2-4 volte superiore rispetto alla popolazione

generale e l’età media degli eventi è 53 anni (range 35-66).

Le complicanze cardiovascolari (CV) si sviluppano prima di quanto ci si aspetterebbe nella

popolazione generale e suggeriscono un fenotipo di invecchiamento cardiovascolare

accelerato che può essere iniziato dalla chemio-radioterapia preHSCT e peggiorato dalle

complicanze postHCT quali la graft verso l’ospite (GVHD), le comorbidità (ipertensione,

diabete) e lo stile di vita (decondizionamento fisico)30. (Figura 5)

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Figura 5. Complicanze cardiovascolari mod da Armenian et al.30

La GVHD nel trapianto allogenico si è mostrata correlata a danno del microcircolo per

infiltrazione endoteliale di linfociti T citotossici31. Il rischio cardiovascolare determinato

mediante la valutazione della FE a riposo è uno scarso predittore prognostico di eventi

cardiovascolari futuri per cui si è valutato di misurare nei sopravvissuti a HCST il consumo di

ossigeno di picco (VO2 peak), mediante test cardiopolmonare (CPET). Ad oggi, sono stati

effettuati studi pilota che hanno valutato il test nei pazienti sottoposti a HCST e due di essi

hanno valutato la capacità prognostica dell’esame prima del trapianto con dimostrazione di

una correlazione tra ridotto VO2 di picco e mortalità indipendentemente dalla FE e dai risultati

del test del cammino preHSCT32,33.

Lo scompenso cardiaco è un evento descritto durante l'immediato periodo successivo al

trapianto con una mortalità correlata tra l’1% e il 9%, mentre la morbilità varia dal 5% al 43%.

I fattori di rischio per lo scompenso cardiaco includono la giovane età, il sesso femminile,

l’esposizione a CT con antracicline >300 mg/mq, la RT >30 Gy, la ridotta FE preHSCT, la

terapia di condizionamento con ciclofosfamide ad alta dose .

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Stanno sempre più emergendo dati relativi al rischio di scompenso cardiaco tardivo (1 anno

dopo HSCT) che sembra essere particolarmente elevato per i destinatari di HSCT autologo:

l'incidenza è stimata al 5% a 5 anni e si avvicina al 10% a 15 anni dopo HSCT. I sopravvissuti

al trapianto autologo hanno un rischio di scompenso cardiaco quasi 5 volte superiore rispetto

a individui della popolazione generale e meno del 50% dei pazienti sopravvivono 5 anni dopo

la diagnosi34.

In uno studio recente si è osservata nei sopravvissuti a trapianto per linfoma una disfunzione

ventricolare nel 15,7% dei pazienti nel 5,1% dei casi si presentava in forma asintomatica;

l’entità della disfunzione è stata prevalentemente di grado moderato, raramente severa e si è

correlata alla dose cumulativa di antracicline >300 mg/mq ed esposizione a RT>30 Gy34. Un

altro aspetto fondamentale è che nei pazienti sottoposti a HSCT vi è un aumento di incidenza

di fattori di rischio cardiovascolare de novo quali ipertensione arteriosa, diabete, dislipidemia

e in uno studio è stata osservata a 10 anni un’incidenza del 37,7% ,18,1% e 46,7%

rispettivamente35. Il fenomeno può essere transitorio e cessare al termine della terapia

immunosoppressiva ma nella maggior parte dei casi diviene persistente e l’ipertensione in

particolare aumenta di 35 volte il rischio di sviluppare insufficienza cardiaca34. Si è osservato

di recente anche una elevata incidenza di disturbi di conduzione, pari al 10 % a 10 anni

significativamente più elevata rispetto ai controlli (3,5% p<.01) 36. I disturbi di conduzione, le

complicanze cardiovascolari nonché le valvulopatie secondarie ai trattamenti chemio-

radioterapici rendono conto della necessità di un attento follow di questi pazienti lungo il corso

della vita.

Per quanto riguarda la ciclofosfamide (CTX), potente agente alchilante impiegato nei regimi

di condizionamento prima del trapianto, la cardiotossicità sembra essere dose-correlata (>150

mg /Kg o 1,55 g / m2 / die) e la dose totale praticata rappresenta il maggior predittore di

cardiotossicità acuta.

È stato riportato che la cardiotossicità da ciclofosfamide causa vari tipi di danno cardiaco:

aritmie, insufficienza cardiaca fulminante acuta, miopericardite emorragica, pericardite fino al

tamponamento cardiaco, morte.

L'insufficienza cardiaca associata CTX varia tra 7-28% dei casi. I sintomi acuti di solito si

verificano entro tre settimane, durano poche settimane e possono risolversi senza sequele

ma sono segnalati casi di risoluzioni tardive ed eventi fatali fino all’11% dei casi trattati con

alte dosi37.

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Non esistono ad oggi linee guida dedicate al monitoraggio dei sopravvissuti a HSCT e le

uniche disponibili sono state elaborate sulla popolazione pediatrica che prevedono strategie

di counseling (esercizio fisico, dieta, cessazione del fumo, interventi di comportamento su

obesità), ECG nei 2 anni successivi, ecocardiogramma ogni 1-5 anni, in base a età del

trattamento, dose di antracicline e radioterapia. Le società scientifiche sono concordi nel

promuovere programmi di educazione e counseling in tutti i pazienti, elettrocardiogramma ed

ecocardiogramma nei pazienti a più alto rischio (radioterapia, cardiopatia preesistente, storia

di amiloidosi) senza definizione del timing di monitoraggio

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