Lucio Dalla Impaginato

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    Intervista a Ricky Portera

    È stato il guitar hero di Dalla negli anni dei successi piùgrandi, nonché l’ispiratore – o almeno così si è sempredetto – del testo di Grande fglio di puttana. Ricky Porte-ra è un chitarrista che può dare dei punti a tutti e chevanta una personalità spiccata. Per questo, nella lungaamicizia con Dalla, non sono mancate le scintille.

    PAOLO  GIOVANAZZI :Com’è che cominci a lavorare conDalla?

    RICKY  PORTERA: L’inizio è casuale. A quei tempiio avevo una band che avevo messo su per RenatoZero: molto rock, amata molto anche da Vasco Ros-si, tant’è vero che a quei tempi (nel ’75) facevamo lefeste dell’allora Punto Radio. Eravamo sempre pre-senti perché eravamo una band molto dissacrante,

    una vera rock’n’roll band per quei tempi. Poi capitòche non andò bene con Renato, per vari motivi, e ilmio ex batterista che allora lavorava con un’agenziache conoscerai bene, quella di Bibi Ballandi, mi disseche Dalla cercava un chitarrista e di presentarmi inun locale vicino Modena che si chiamava Due Stelle,a Reggiolo. Io mi presentai là non sapendo neanche

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    chi fosse Lucio Dalla, conoscevo un suo pezzo giustoperché lo suonava un gruppo al quale io ero molto af-fezionato da ragazzino, i Rokes [si riferisce a Bisognasaper perdere , portata da Dalla e dai Rokes al Festivaldi Sanremo del 1967, nda]. Ci fu quest’incontro, molto

     breve ma molto signicativo: gli piacqui subito, an-che se vedeva che io in un certo senso lo snobbavo.Un po’ perché di persona, in automatico, appena lovedevi ti metteva timore, ero a disagio, e poi effetti-vamente perché non lo conoscevo. E quando lui me lochiese, fui sincero e glielo dissi: «Io non conosco nien-te di te». Contavo di stare con lui due o tre mesi. Queitre mesi sono durati trentatré anni. Il giorno dopo –ricordo ancora, era un mercoledì – di pomeriggio eroa fare le prove a casa sua, lui con il pianoforte e io conla chitarra, e il venerdì eravamo a suonare al TeatroUomo a Milano.

    Di che anno stiamo parlando?

    Era il 27 dicembre del 1977. Era appena uscitoCom’è profondo il mare.

    Stava prendendo velocità, diciamo… ma era ancora uncantautore alternativo.

    Infatti, suonavo canzoni tipo Cucciolo Alfredo , can-

    zoni non tanto per la massa. A quei tempi avevo unpubblico particolare, i frikkettoni di allora. Erano cir-cuiti… Insomma, il Teatro Uomo era fatiscente, sulpalco avevamo addirittura i secchi perché la neve chesi scioglieva sul tetto cadeva poi sul palco. I secchiservivano a raccogliere l’acqua.

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    Da musicista di estrazione rock, come sei tu, che effettoti faceva un personaggio così? Che impressione ti ha fattoascoltare le sue cose?

    Io venivo dalle sale da ballo, ci ho suonato per tantianni, quindi ero abituato a suonare qualsiasi cosa, e lavivevo in quel modo, come un turnista che sta facen-do il suo lavoro e prende dei soldi. Lavorando con luicominciai a capire chi era Lucio Dalla. Quando lavoricon un artista ne apprezzi i pregi e i difetti, comincia entrare nel suo mondo. Io ho sempre avuto questafortuna, la capacità di riuscire a entrare nel mondodegli altri e di farlo mio, per poter dare quello che dimeglio c’era in me. Lucio Dalla mi ha sempre ricono-sciuto il fatto che lui ha cominciato a usare le chitarrein un certo modo da quando ha conosciuto me, per-ché c’è stato uno scambio: lui mi ha insegnato comeentrare nel suo mondo e io gli ho insegnato come sipotevano usare le chitarre nella sua musica.

    A proposito di pregi e difetti dell’artista, parliamone.Quali sono?

    Il difetto più grande di Dalla è che aveva sempre lesue sicurezze: «So tutto io, ho già capito tutto»… poimagari faceva delle cavolate. Poi fortunatamente sene rendeva conto, ma non ti dava mai la soddisfazio-

    ne di darti ragione… Piano piano cambiava direzionee veniva dalla tua parte, dicendo che era la sua idea!E ti giravano le scatole in una maniera che non ti puoiimmaginare. Gli dicevo: «Ma te l’ho detto due ore fache era così!» Ma non te la dava mai vinta.

    Un po’ l’istinto da capobranco.

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    Assolutamente. È nell’ordine delle cose… Ecco,questo era un pregio-difetto, perché alla ne il sapersimettere in discussione, anche senza ammetterlo aper-tamente, è comunque una grande prova di umiltà.

    Veniamo al pregio…

    Ti racconto un aneddoto molto breve: stavamo re-gistrando una canzone degli Stadio, si chiamava Soledomani , e dovevo fare un assolo. A quel tempo avevotutte le mie manie di protagonismo, volevo far vede-re quanto fossi bravo e avevo affrontato la canzonein maniera abbastanza personale, cioè senza badaretroppo a quello che era la canzone. Lui, che mi stavaguidando in questa cosa, a un certo punto si è rotto eha cominciato a dirmi: «Vedi che è morta tua madre,te l’hanno detto che è morta tua madre? Ti hanno av-visato?» e mi ha fatto venire un’angoscia, una pauratale che ho fatto un assolo incredibile. Se vai ad ascol-tare Sole domani capisci che c’è dentro della paura, ilterrore di quello che mi stava dicendo. Lui mi ha in-segnato che quando suoni devi motivarti, devi avereun qualcosa di fronte a te, un quadretto, e suonareispirandoti a quel quadretto. Questo era un grandepregio di Dalla: farti capire che le cose non vanno maitirate via, ma vanno scavate in profondità.

    Hai vissuto tutto il periodo dell’esplosione di Dalla inuna posizione abbastanza privilegiata: eri lo strumentista

     più in vista, il guitar hero della situazione.

    Sai, i chitarristi hanno sempre questo compito,sono più esposti.

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    Sì, ma all’epoca eri calato nel ruolo in modo molto vistoso.

    Perché “ero”? Ahahah!

    Solo perché parliamo di quei tempi. Sei rimasto così, fon-damentalmente… Dalla ti spingeva in questa direzione?

    Dipende dai casi. Spesso e volentieri veniva achiedere aiuto quando sentiva che la serata in qual-che modo non aveva preso la svolta che voleva lui:mi veniva di anco e diceva: «Ricky, slega». Cioè:fai delle cose per poter acchiappare il pubblico. In-vece delle volte la cosa lo infastidiva, come nell’81,quando sono tornato dal tour con Finardi, e mi feceprocessare. Ebbi una specie di processo in cui tut-ti, dagli Stadio no all’ultimo dei nostri facchini, miaccusavano di rovinare il concerto di Lucio Dalla.Tutto perché lui voleva rimettermi in riga. Con Fi-nardi ho avuto un momento in cui suonavo la miamusica, il rock, quindi mi era scattato un meccani-smo di eccitazione e di entusiasmo. Insomma, loavevano notato tutti, ero un pochino sopra le righe.E il giorno del processo, ricordo che piansi. Era unpomeriggio d’estate, a Trani, stavamo in un campo.Io ero in mezzo e tutti mi puntavano proprio l’indiceaccusatorio. Alla ne, dissi: «Ok, se è così – e intantopiangevo – trovatevi un altro chitarrista, io me ne

    vado». La sera si spensero le luci sul palco, dovevacominciare il concerto, gli Stadio salirono sul palcoe stavo per salire anch’io insieme a loro: Dalla miafferrò il braccio e mi disse: «No, le star entrano perultime». Mi prese sottobraccio e ci presentammo alpubblico io e lui a braccetto, al buio con l’occhio di

     bue puntato. Insomma, ti voleva tenere in carreggia-

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    ta perché lui non sopporta che qualcuno sul palcopossa prendersi più attenzioni di lui, e questo ci sta,perché chi va sul palco è assolutamente una prima-donna. Poi però riusciva a farsi perdonare con questigesti, che volevano dire: “Ti ho voluto educare, maper me conti”. Una cosa del genere me la fece in Ca-nada, allo Spectrum di Montreal, un locale famosoa quei tempi: rock’n’roll da morire, ci aveva fatto ilsuo disco anche Billy Cobham. Ci trovammo in que-sto locale, sentivo il pubblico giù – erano in buonaparte italiani – che cominciava a chiamare «Lucio,Lucio!» e a un certo punto si comincia a sentire an-che «Ricky, Ricky!» Per me era come se mi avesse-ro tirato addosso una vasca piena di miele, essereconosciuti anche là signicava che qualcosa avevodato anche a loro. Quindi quando sono uscito eroproprio un animale, avevo i denti draculini. Tra ilprimo e il secondo tempo, stavamo salendo la scalaa chiocciola che ci portava ai camerini, Dalla disse:«Senti, mi stai rovinando il concerto, cerca di farequello che devi fare, nulla di più». Ci rimasi malis-simo e il secondo tempo lo feci proprio da castrato,nel mio angolino. Feci quello che dovevo fare sen-za entusiasmo. Due, tre giorni dopo ci fu il concertoalla Berklee School di Boston, e lì invece non c’eraun pubblico di italiani, ma di americani. Per le primesette canzoni non ci fu un grande entusiasmo, una

    grande risposta da parte del pubblico. E lì successequello che succedeva in questi casi: «Ricky, slega».Suonammo Chiedi chi erano i Beatles e alla ne face-vo un assolo allucinante. Io avevo il trasmettitore,quindi la chitarra non aveva il cavo, e un manageramericano, Stewart Ravenhill – manager di PowerStation, Bowie, Bryan Adams – mi si inlò con la te-

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    sta tra le gambe, mi sollevò in aria e mi portò in giroin mezzo al pubblico… e quello fu il momento in cuiil pubblico si alzò in piedi, quando noi cominciam-mo a fare un casino allucinante. Dalla aveva questaumiltà: quando non ce la faceva da solo, chiedevaaiuto. Non stava ad arrampicarsi sugli specchi. È unpregio, anche se c’è il difetto di non volere che chi tista a anco possa per un attimo attirare l’attenzione.Ma così sono molti artisti.

    Del periodo fne anni Settanta, primi Ottanta, c’è qual-che momento particolarmente alto che ti ricordi? Perchéquelli sono stati anni davvero gloriosi per voi…

    Quello è stato il momento di una svolta decisivaper la musica italiana. Abbiamo cominciato a farei primi concerti negli stadi, io lo ricordo come ungrande periodo fortunato per tutti. A volte insieme,a volte separati, ma dal ’79 al ’86 mi ricordo di averfatto qualsiasi cosa. Subito dopo Banana Republic io ePezzoli facemmo un tour con Loredana Berté, con ilnon tanto amico Francesco De Gregori, che tra le altrecose – una nota di biasimo – non ho visto al funeraledi Dalla, è una cosa che mi dispiace molto. E poi Mo-randi, Ron, io feci un album con Venditti… ci fu unmomento di gloria per tutti quanti, e si stava bene.Girava la musica, giravano i soldi, anche se non sono

    mai stati tanti per noi musicisti: però c’era questa va-lorizzazione che oggi non esiste più.

    A proposito di Banana Republic , era potenzialmenteuna situazione da molti galli in un pollaio: Dalla, De Gre-

     gori, Ron che comunque aveva un ruolo importante anchese non era ancora famosissimo, e poi c’eravate voi Stadio.

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    Non è stata un’operazione dal tipo “uniamo le for-ze”, Dalla non aveva bisogno di unire le forze, era giàgrande di suo. Qui è venuta fuori l’anima di Lucio,che ha voluto aiutare queste persone. Non dimenti-chiamo che il non amico Francesco era in un momen-to di crisi, non so se ricordi. Aveva subito il famosoprocesso proletario, non aveva più il coraggio di sa-lire sul palco. Lucio gli ha dato una grande mano inquesto, mi dispiace che lui l’abbia dimenticato. Per-ché l’ha riportato sul palco di prepotenza, l’ha pro-tetto, gli ha dato ducia. Lo stesso Ron stava nascen-do, e Lucio l’ha valorizzato tantissimo, gli ha dato ungrande spazio. Non era tanto un “uniamo le forze”,quanto un “vi do una mano”, e questa è la grandeanima di Lucio.

    Perché rimarchi questo “non amico” a proposito di DeGregori?

    Perché ricordo episodi che non mi sono piaciuti.Il primo è il modo in cui maltrattava la sua cagna.Sono un animalista e, insomma, in quel caso mi ècascato il mondo. Secondo, questo signore si è per-messo di chiamarci “schiavi”. Io non sono lo schiavodi nessuno. Io sono un artista che lavora sul palcocon te, cerco di darti lustro, di lavorare bene per te

    ma non sono il tuo schiavo. Un personaggio che siprofessa di sinistra, dove la prima regola è “siamotutti uguali”, e che ti chiama schiavo, mi dà fasti-dio. Poi ho assistito a scene come questa: un ultimodell’anno ad Assisi vidi Lucio andargli incontro perfargli gli auguri e lui girarsi dall’altra parte e nonallungargli la mano per dargli il buon anno. A me

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    queste cose danno profondamente e fondamental-mente fastidio. E il fatto che non si sia presentato alfunerale, proprio non mi è andato giù.

    A un certo punto le strade si dividono. C’è un contra-sto o solo la voglia di fare strada da solo, la necessità di

     provare altro?

    Il problema grosso è stato il mio rapporto con il le-ader degli Stadio, Curreri. Credo di essere stato moltorappresentativo per il gruppo e anche molto fastidio-so. Io non ho avuto un bel carattere nella vita, sonostato uno stronzetto megalomane, tutto quello chevuoi. Ero molto giovane e considerato uno dei mi-gliori chitarristi italiani, andavo a passeggio con unaFerrari… Insomma, permetti che un ragazzino possamontarsi un poco la testa. Però non mi sono mai ele-vato a capo di niente, mai considerato capo di qual-cosa. Gli Stadio, ma soprattutto lui, avevano invecequesto timore. Quando c’è questo tipo di insicurezza,c’è chi cerca di mantenere il suo spazio con gli artici.Devi dire ciò che non pensi perché non hai la forzae la potenza per poter controbattere. Siamo arrivatia un punto in cui noi eravamo Stadio già da cinqueanni ma la gente ci considerava il gruppo di Dalla.Addirittura l’agenzia, che era la stessa, boicottava lenostre serate, dicendo che non avevamo concerti, che

    non ci chiamava nessuno, per farci fare invece i con-certi di Lucio a metà prezzo. Perché noi, chiaramente,lavorando da soli avevamo un prezzo, con Lucio neguadagnavamo la metà. Giustamente: con lui erava-mo dei musicisti, da soli eravamo le star. Non ero soloio a pormi il problema, attenzione: molti di noi pensa-vano alla possibilità di allontanarsi da Lucio, di divi-

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    derci. Non per contrasti o perché non ci piacesse starecon lui, ma per dare un senso a tutto il lavoro che ave-vamo fatto: due festival di Sanremo, quattro album,canzoni che ancora sono nella storia, era giusto chenoi trovassimo una nostra strada. Siamo partiti comedelle bombe e quando ci siamo trovati al cospettodi Lucio mi sono trovato con persone che dicevano:«No, no, mi va bene anche così». Ma come? Ma sefuori da questa porta eravamo agguerriti per trovareil nostro spazio? Mi sono sentito tradito, e questo hafatto traboccare il vaso della mia pazienza. Io non holasciato Lucio, ho lasciato gli Stadio, il che ha avu-to come conseguenza lasciare anche lui, visto che gliStadio erano la sua band. Ma, attenzione: l’anno dopoche sono uscito io, anche gli Stadio l’hanno mollato.Perché? L’ho capito dopo, quando sono cresciuto, al-lora ero molto talpa, avevo gli occhi semichiusi. Luciomanteneva un equilibrio nella band e qual era l’equi-librio? Che io non prendessi il predominio, che poia me non è mai importato niente. Volevo delle coseche probabilmente avrebbero valorizzato gli Stadio,non pensavo a me, ma al gruppo. Invece Curreri cer-cava di mettersi davanti, guadagnarsi degli spazi. Miha fatto imbestialire. Una volta uscito io, anche lorohanno lasciato Dalla, perché a quel punto Curreri noncorreva più pericoli. Tant’è vero che adesso lui è ilgrande capo. Poi, intendiamoci, io e Gaetano ci siamo

    conosciuti che io avevo dodici anni e lui quattordi-ci: viveva a casa mia, mangiava da me, umanamentesiamo rimasti amici. Professionalmente però non homai accettato il suo comportamento, inammissibileda parte di un uomo intelligente come lui. Ho vistomomenti in cui Curreri, davanti a Dalla, sembrava unlombrico, e non mi stava bene. Ma questo soprattuttoperché gli voglio bene.

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    Con Dalla hai mantenuto i contatti?

    Non ci siamo più visti. Per un periodo lui ha fattoaltre scelte, ha preso altri chitarristi, giustamente, siè rifatto una band. Una sera io stavo suonando in unposto vicino ad Alessandria, avevo appena compra-to un cellulare, erano i primi tempi in cui uscivano.Ero in un posto dove non c’era campo, e quella seraavevo subìto uno smacco che mi aveva morticato eintristito. Ho suonato in questo locale da solo e allane della serata stavo avvolgendo i miei cavi, e c’eraun tipo che mi faceva delle foto dicendo: «Incredibile,Ricky Portera che si fa i cavi, con tutte le mani spor-che». Questa cosa mi aveva avvilito. Tornando a casa,dove il telefono riceveva il segnale, ho trovato unmessaggio in segreteria. Diceva: «Sono Lucio, il tuocaro amico Lucio. Chiamami in studio appena puoi».Chiamai subito, erano le 2.30 di notte. Mi disse: «Io tivoglio subito con me a fare questo disco» era Canzoni ,«poi faremo il tour insieme». Sono andato, abbiamocominciato a fare il disco e lì è ricominciato il nostrorapporto. Ci siamo divertiti molto.

    Ti ha spiegato perché proprio in quel momento ha sentitoche dovevi esserci tu?

    Sai, è come un allineamento dei pianeti. Se tu ci faicaso, e provi ad analizzare l’excursus di Dalla, vedraiche i dischi che hanno venduto sono sempre stati quelliin cui c’erano gli Stadio e in cui c’ero io. Andati via noi,ha avuto un periodo di calo. Per lui è stato un volerriallineare i pianeti, tant’è vero che ha preso tutti i vec-chi musicisti che hanno lavorato con lui quando le cose

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    funzionavano. Ritornarono Malavasi, Biancani, Pezzo-li… Tieni conto che io per anni sono stato consideratoun portafortuna. Per dire: ho fatto tanti dischi di Ron ein uno nel quale non collaboravo mi ha voluto per fareuna sola chitarra, perché diceva che io porto fortuna.Magari agli altri, ma non a me stesso.

    Be’, alla fne sei un musicista rispettato e apprezzato… Miravi a qualcosa di più, al successo solista?

    No, credimi, sono troppo ingenuo. Non riesco aessere un bravo manager di me stesso. A me piacesuonare, essere in mezzo a dove c’è musica, dove c’èil piacere di poterla fare, questo m’interessa. E poiho un grande difetto, non sono un leccaculi, se nonmi piaci, non mi piaci e non ti do condenza. Ecco,nell’ultimo periodo con Dalla qualche problema c’èstato. Diciamo che l’arrivo di Marco Alemanno ha unpo’ ribaltato il mondo di Dalla. Secondo me, Dalla hadato un po’ troppo carta bianca a questo ragazzo, for-se perché aveva bisogno di scaricarsi dalle responsa-

     bilità. Comunque, questo ragazzo ha un po’ isolatoDalla, e Dalla era la classica persona del popolo cheviveva osservando il popolo. Così faceva sue dellecose che vedeva fare ad altri. Poi Alemanno ha co-minciato a salire con noi sul palco. Io mi sono resoconto che davo fastidio, perché quando arrivava la

    presentazione di Iskra o di Ricky Portera, c’erano dei boati nei teatri. La legge dice chiaramente che l’ap-plauso sul palco deve essere uguale per tutti sennò…Comunque, sono stato isolato, buttato fuori quandocominciava il tour Dalla/De Gregori senza sapereniente. Nessuno mi ha mai detto niente, io non ho maisaputo niente da nessuno, compreso lo stesso Lucio,

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    nessuno mi ha spiegato perché io non fossi in queltour. Mesi dopo, ho mandato una mail molto cattivaa Lucio, non perché ce l’avessi con lui o perché erostato mandato via ma per una questione di rispetto.Dopo trentatré anni, devi venirmi a dire: «Ricky, nonci sei». Non ho neanche il diritto di sapere che non la-vorerò più con te? Era una mail chilometrica, che nonti sto a raccontare per intero, e lui mi ha risposto conuna mail molto carina che cominciava come comin-cia solitamente lui: «Caro amico mio, ma veramenteamico mio». Mi ha spiegato che è stato costretto dallaproduzione, dal budget basso, a dover rinunciare allanostra collaborazione. E niva così: «E comunque tusarai il mio chitarrista anche in paradiso». Quindi,adesso io ci conto, sennò appena lo vedo gli sputo infaccia! Guai, se non mi riprende a suonare con lui!