51
Mario Gaglione, La cattedrale e la città qwertyuiopasdfghjklzxcvbnmq wertyuiopasdfghjklzxcvbnmqw ertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwer tyuiopasdfghjklzxcvbnmqwerty uiopasdfghjklzxcvbnmqwertyui opasdfghjklzxcvbnmqwertyuiop asdfghjklzxcvbnmqwertyuiopas dfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdf ghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfgh jklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjkl zxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzx cvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcv bnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbn mqwertyuiopasdfghjklzxcvbnm qwertyuiopasdfghjklzxcvbnmq wertyuiopasdfghjklzxcvbnmqw ertyuiopasdfghjklzxcvbnmrtyui opasdfghjklzxcvbnmqwertyuiop LA CATTEDRALE E LA CITTÀ. MONARCHIA, EPISCOPATO, COMUNITÀ CITTADINA NELLA NAPOLI ANGIOINA. (Testo integrale del saggio pubblicato in «Studi storici», 52, 2011, pp. 195-227) Mario Gaglione

M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Embed Size (px)

DESCRIPTION

This study re-examines the various, and often poorly interpreted, sources of financing for the construction of the Neapolitan cathedral (13th-14th centuries). Although King Charles II of Anjou, in a document from 29 August 1299, takes credit for founding the city’s new cathedral, it was also built with the economic aid of the city community, and probably also of the Neapolitan Archbishop, whose engagement, while not documented, has been erroneously emphasized in recent studies. The building’s ordinary maintenance activities were financed mainly by the Archbishops, while monarchs and the city community still collaborated towards extraordinary maintenance.

Citation preview

Page 1: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

qwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiopasdfghjklzxcvbnmrtyuiopasdfghjklzxcvbnmqwertyuiop

LA CATTEDRALE E LA CITTÀ. MONARCHIA, EPISCOPATO,

COMUNITÀ CITTADINA NELLA NAPOLI ANGIOINA.

(Testo integrale del saggio pubblicato in «Studi storici», 52, 2011, pp. 195-227)

Mario Gaglione

Page 2: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

1

Tutti indistintamente gli uomini avevano nella cattedrale una vita comune,

né c’era uomo che si chiudesse, la notte, nella stanza d’una miseria sua senza sapere d’aver fuori, poco o molto più in là, una ricchezza anche sua.

Elio Vittorini, Diario in pubblico, Milano, Bompiani, 1957, p. 23.

Con i termini fabrica, fabbriceria o opera1 si designa un ente di origine laicale o ecclesiastica avente lo scopo primario di raccogliere e di gestire i finanziamenti per la costruzione e per la manutenzione della cattedrale, come accadde soprattutto nei comuni dell’Italia centro-settentrionale. Se in altri paesi dell’Europa medievale la cattedrale era e rimase la chiesa del vescovo e del capitolo, in Italia, invece, in età comunale e post-comunale, si assisté alla municipalizzazione delle opere cattedrali, anche in conseguenza del loro finanziamento pubblico e di un sempre maggiore coinvolgimento dei laici nella loro amministrazione, pur nel contesto di rapporti non sempre distesi tra comune, fabbriceria e vescovo, e nella gamma assai varia delle soluzioni che furono adottate per la gestione e per il finanziamento. La cattedrale civica, chiesa del comune, o Stadtstift, divenne peraltro non solo il luogo dell’identità e della memoria delle virtù civiche, espressione del bene pubblico comunale, ma anche locus del Santo protettore, deputato a difendere la città e i cittadini dalla precarietà dell’esistenza, dalle epidemie come dalla guerra. Un’opera tanto prestigiosa richiedeva perciò artefici di adeguata esperienza e prestigio. Arnolfo di Cambio, chiamato a lavorare al duomo di Firenze, nelle parole del governo comunale era: «il più famoso maestro e il più esperto nella costruzione di chiese che si conosca in tutto il circondario così che, grazie alla sua operosità, esperienza e ingegno… si spera di ottenere un tempio più bello e prestigioso di ogni altro in Toscana». L’ambizione però crebbe, e al famosior magister in vicinis partibus successe poi il magnus magister, il maestro più grande in assoluto, Giotto2.

Abbreviazioni: RA=Registro angioino; FA=Fascicolo angioino; RCA=“I Registri della Cancelleria angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli Archivisti Napoletani”, Napoli, più volumi pubblicati a partire dal 1950. 1 Sulle diverse accezioni dei termini di opera, fabrica, hedificium nei documenti medievali, si veda A. GROTE, L’Opera del Duomo di Firenze, 1285-1370, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2009, pp. 12 ss.; pp. 22 ss. 2 Per queste citazioni da un documento del 1° aprile 1300 (per Arnolfo), e da uno del 12-13 aprile 1334 (per Giotto), si veda A. GROTE, L’Opera del Duomo, cit., pp. 33-34.

Page 3: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

2

Tali funzioni e ambizioni giustificarono e richiamarono, come si è detto, il finanziamento pubblico che fu così assicurato con le modalità più diverse: dal 1293, proprio per la costruzione di S. Maria del Fiore, si provvide al prelievo dalle gabelle, in altri casi, invece, il governo comunale, o il signore, diede impulso alla raccolta dei fondi tramite gli ecclesiastici, incentivando le donazioni, i legati e il reperimento delle risorse economiche presso le corporazioni e le comunità. I notai di Orvieto erano obbligati a suggerire ai testatori di disporre legati a favore della cattedrale, mentre a Genova (nel 1174), a Modena (nel 1217), a Bologna (nel 1389), e a Todi (nel 1411) si impose una trattenuta obbligatoria sui legati stessi. A ciò si aggiunsero le collette itineranti, l’istituzione di cassette per l’obolo nelle cattedrali e nei luoghi pubblici, e, infine, le solenni processioni finalizzate alla raccolta, in una costante confusione, com’è stato osservato, tra la tassa e il dono, e nella sovrapposizione tra il capitale economico, quello sociale e quello simbolico3.

A Napoli, principale città del regno di Sicilia, invece, non risulta che sia stata istituita una fabbriceria o opera per la costruzione della cattedrale, sebbene non possa escludersi che, almeno in occasione dei lavori, siano stati individuati funzionari stabilmente deputati all’amministrazione e alla direzione degli stessi, costituendosi così una sorta di fabrica in embrione. Purtroppo, però, le amplissime lacune documentali e la mancanza di un’analisi sistematica delle superstiti strutture dell’edificio non consentono di stabilire con precisione la stessa cronologia dei lavori di edificazione4, e, certamente, la mancanza di documenti impedisce di accertare con precisione la misura degli apporti finanziari dei protagonisti (l’arcivescovo, il re, i napoletani), e i costi degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

3 Cfr. su queste tematiche l’ottima sintesi di P. BOUCHERON, È possibile un investimento disinteressato? Alcune considerazioni sul finanziamento delle cattedrali nelle città dell’Italia centro-settentrionale alla fine del Medio Evo, in «Città e Storia», IV, 2009, pp. 27-42, con ampia bibliografia; per un primo orientamento sulla storia delle fabbricerie cfr. anche G. GRECO, Un “luogo” di frontiera: l’Opera del Duomo nella storia della chiesa locale. Premessa storica sulle fabbricerie, in A. V., La natura giuridica delle fabbricerie, atti della giornata di studio (Pisa 4 maggio 2004), «Quaderni dell’Opera primaziale di Pisa», 16, 2004, pp. 9-31. 4 I lavori sarebbero iniziati intorno al 1289, ovvero al 1294, per terminare poi tra il 1314 e il 1316, e si vedano B. CANTÈRA, L’edificazione del Duomo di Napoli al tempo degli Angioini, Valle di Pompei, Società Tipografica Editrice Bartolo Longo, 1890, pp. 18 ss.; S. ROMANO, Die Bischöfe von Neapel als Auftraggeber: zum Bild des Humbert d’Ormont, in A. V., Medien der Macht: Kunst zur Zeit der Anjous in Italien, a cura di T. Michalsky, Berlin, Reimer, 2001, pp. 191-224; C. BRUZELIUS, Le pietre di Napoli. L’architettura religiosa nell’Italia angioina, 1266-1343, Roma, Viella libreria editrice, 2005, p. 104. Non si conoscono, infine, i nomi degli architetti e i loro compensi.

Page 4: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

3

1. Il finanziamento dei lavori di costruzione della cattedrale: i provvedimenti dei sovrani angioini sulle decime.

Sulla base delle rare notizie disponibili può comunque tentarsi

un’analisi più approfondita riguardo al ruolo svolto dall’arcivescovo, dal sovrano e dalla comunità dei cittadini nella fondazione della cattedrale, oltre che all’entità dei finanziamenti dagli stessi assicurati.

Secondo l’opinione tradizionale la cattedrale napoletana fu fondata da re Carlo I d’Angiò (1266-1285) che però non poté veder terminato l’edificio, così che alla prosecuzione dei lavori provvide il figlio Carlo II (1289-1309)5. I Registri angioini, studiati a suo tempo approfonditamente dal sacerdote don Biagio Cantèra (1869-1894)6, confermarono, invece, l’intervento finanziario del solo Carlo II. Più recentemente, tuttavia, accanto a quello del secondo sovrano angioino, è stato posto in rilievo il ruolo svolto dall’arcivescovo Filippo Minutolo nella promozione dell’edificazione della cattedrale7, giungendosi addirittura fino a minimizzare o a escludere del tutto l’interessamento del re alla fondazione, e ciò nonostante le notizie documentali superstiti8. La tesi “riduttiva”, in particolare, è stata variamente argomentata. Anzitutto, si è osservato che dagli stessi documenti angioini relativi alla cattedrale, a differenza di quanto accadde per altri edifici sacri patrocinati da Carlo II, come il convento domenicano di St. Maximin in Provenza9, non emerge con precisione l’entità del finanziamento reale. I sostenitori di tale tesi limitano, anzi, a sole 5010 o 10011 once l’ammontare complessivo delle

5 Per una sintesi delle opinioni tradizionali si rinvia a F. STRAZZULLO, Saggi storici sul Duomo di Napoli, Napoli, Istituto editoriale del Mezzogiorno, 1959, pp. 46 ss.; tra i più convinti assertori della paternità di Carlo I si ricorda G. M. FUSCO, Dell’argenteo imbusto al primo patrono S. Gennaro da re Carlo secondo di Angiò decretato, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1861, pp. 19-20, nota 2. Per un profilo di Carlo II si rinvia a M. GAGLIONE, Converà ti que aptengas la flor: profili di sovrani angioini, da Carlo I a Renato (1266-1442), Milano, Lampi di stampa, 2009, pp. 118 ss. 6 B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., pp. 5 ss. 7 S. ROMANO, Die Bischöfe von Neapel, cit., pp. 191-224; EAD., La cattedrale di Napoli, i vescovi e l’immagine: una storia di lunga durata, in A. V., Il Duomo di Napoli: dal paleocristiano all’età angioina, a cura di S. Romano e N. Bock, Napoli, Electa Napoli, 2002, pp. 8, 10, 11, seguita da C. BRUZELIUS, Le pietre, cit., pp. 94-95 e G. GUIDARELLI, La ricostruzione angioina della cattedrale di Napoli, 1294-1333, in A. V., I luoghi del sacro: il sacro e la città fra medioevo ed età moderna, a cura di F. Ricciardelli, Firenze, Pagliai, 2008, pp. 192 ss. 8 N. BOCK, I re, i vescovi e la cattedrale: sepolture e costruzione architettonica, in A. V., Il Duomo di Napoli, cit., pp. 133 ss.; V. LUCHERINI, La cattedrale di Napoli: storia, architettura, storiografia di un monumento medievale, Roma, École française de Rome, 2009, pp. 202 ss., con argomentazioni in parte diverse. 9 N. BOCK, I re, i vescovi e la cattedrale, cit., p. 135, ricorda che per St. Maximin furono elargite 800 once, e, dal 1296, ben 1.200 once, oltre a 100 once annue per il sostentamento dei monaci, mentre 400 once annue furono assegnate a S. Nicola a Bari. 10 V. LUCHERINI, La cattedrale di Napoli, cit., pp. 209-210.

Page 5: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

4

elargizioni del secondo Carlo, circostanza che testimonierebbe quindi un impegno finanziario discontinuo e certamente non decisivo. Si è poi rilevato che, comunque, l’arcivescovo di Napoli Filippo Minutolo disponeva di fondi sufficienti per provvedere autonomamente ai lavori di costruzione, e, in particolare, che gli spettavano, a titolo di decime regali corrisposte dai sovrani angioini, ben 2.800 once d’oro all’anno sugli introiti della gabella dello jus dohane et fundaci, e cioè sui diritti doganali e di magazzinaggio della città di Napoli, senza contare poi le importanti rendite sue e del capitolo cattedrale12. La quantificazione a 2.800 once d’oro dell’ammontare delle decime regali corrisposte è stata dedotta da un provvedimento di re Carlo II dell’8 novembre 128913 concernente, in realtà, l’attribuzione a sua moglie Maria d’Ungheria14 di un assegno annuale appunto di 2.800 once d’oro per le spese della corte particolare di quest’ultima, assegno pagato sugli introiti della gabella dello ius dohane et fundaci di Napoli. Questo provvedimento è stato posto in relazione all’altro con il quale, il 4 giugno del 1291, Carlo II aveva riconosciuto, a favore dell’arcivescovo Minutolo, le decime spettanti alla Chiesa di Napoli disponendo che fossero prelevate proprio su quelle stesse entrate fiscali. L’introito di 2.800 once derivante dall’esazione di questa imposta indiretta, dunque, a seguito dell’atto del 1291, sarebbe passato integralmente nelle casse dell’arcivescovo di Napoli, tanto che, per assicurare poi il regolare pagamento delle spese della corte della sovrana, sarebbe stato necessario ricorrere a ingenti prestiti15. Proprio i prestiti contratti dimostrerebbero quindi che

11 N. BOCK, I re, i vescovi e la cattedrale, cit., p. 135. 12 «L’arcivescovo Filippo Minutolo, cui già andavano 2.800 once all’anno per lo jus dohane et fondaci, e lo stesso capitolo della cattedrale disponevano di altre entrate più importanti. E, infatti, nonostante il magro sostegno regale, la costruzione della cattedrale avanzò rapidamente», così N. BOCK, I re, i vescovi e la cattedrale, cit., p. 135, e nota 28, p. 143, che fonda le sue affermazioni sulle osservazioni di A. KIESEWETTER, Die Anfänge der Regierung König Karls II. von Anjou (1278-1295). Das Königreich Neapel, die Grafschaft Provence und der Mittelmeerraum zu Ausgang des 13. Jahrhunderts, Husum, Matthiesen, 1999, p. 489 (cfr. per il relativo passo la successiva nota 15). Sugli altri redditi del capitolo cattedrale non viene in realtà fornita dall’Autore alcuna indicazione qualitativa o quantitativa. 13 Il sovrano così motiva l’assegnazione: «Cum sit corporis nostri pars media Regina consors nostra carissima mater tua, necessitate agente compellimur de illius honorabili statu tanquam de nostro proprio cogitare eo quod illius status honorabilis nostre est exaltationis iuditium et honoris nostri fili qualit. pro expensis suis hospitii duomilia octingentas uncias auri singulis annis frugali quedam ordinatione decrevimus dispensandas», in G. M. FUSCO, Dell’argenteo imbusto, cit., p. 78, nota 5. 14 Per un profilo di Maria d’Ungheria, si veda M. GAGLIONE, Converà, cit., pp. 150 ss. 15 A. KIESEWETTER, Die Anfänge, cit., p. 489, e le note 5-6-7, osserva: «Die Königin Maria von Ungarn kam gleichfalls in den Genuss einer jährlichen Pension von 2.800 Unzen, die zunächst aus den Stapel- und Zollgebühren Neapels beglichen wurde; der Erzbischof Filippo Minutolo konnte schliesslich am 4. Juni 1291 die Ansprüche der Kirche von Neapel auf die Einkünfte des jus dohane et fondaci Neapels mit Erfolg durchsetzen; die 2.800 unzen, welche diese bedeutende indirekte Steuer abwarf, flossen somit nicht mehr in die Staatskassen, sondern in die taschen des

Page 6: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

5

sugli introiti fiscali della dogana e del fondaco di Napoli non fu più possibile pagare l’assegno stabilito a favore della regina Maria, proprio perché a beneficiare di quelle stesse entrate sarebbe stato invece esclusivamente l’arcivescovo Filippo Minutolo.

In realtà, e in termini generali, è anzitutto piuttosto singolare l’affermazione secondo la quale le decime regali garantivano alla Chiesa napoletana un’autonomia economica sufficiente a consentire il finanziamento della costruzione della cattedrale, quando, invece, com’è noto, le stesse costituivano anzitutto l’efficace strumento per il controllo e il condizionamento della Chiesa stessa da parte del potere regale, e ciò soprattutto in età angioina, quando i sovrani subordinarono l’erogazione di quel contributo alla comprovata fidelitas del presule beneficiario16. Per tali ragioni, è del tutto evidente che le imprese finanziate impiegando le decime regali, come quella della costruzione della cattedrale napoletana, dovevano essere almeno condivise dai sovrani angioini.

Le altre affermazioni dei sostenitori della tesi in esame, poi, non trovano riscontro nei documenti angioini noti. Anzitutto, non è attestato che la somma di 2.800 once originariamente stanziata a beneficio della moglie di Carlo II sia stata in realtà poi versata all’arcivescovo di Napoli a titolo di decime, né annualmente né solo una tantum. Gli introiti della Chiesa napoletana a titolo di decime regali erano, infatti, notevolmente più modesti. Un rendiconto del secreto e maestro portolano di Principato e di Terra di Lavoro, Guglielmo de Sisto di Nocera, del 1291, attesta la corresponsione all’arcivescovo di sole 259 once a titolo di decime17. Da un altro rendiconto non datato, ma da riferire comunque a uno degli anni dell’arcivescovato di Filippo Minutolo tra il 1296 e il 1301, emerge che furono versate 293 once18. Dai conti dei tesorieri di Carlo II riguardanti l’anno solare 1304, nell’ambito della II indizione (1°

Erzbischofs von Neapel, während die Hofhaltung der Königin in der Folgezeit weitgehend über Anleihen finanziert werden musste». 16 Gli studi più approfonditi a questo riguardo si devono a Norbert Kamp, e si vedano K. TOOMASPOEG, Decimae: il sostegno economico dei sovrani alla Chiesa del Mezzogiorno nel XIII secolo. Dai lasciti di Eduard Sthamer e Norbert Kamp, Roma, Viella, 2009, pp. 35 ss.; C. D. FONSECA, Le istituzioni ecclesiastiche, in A. V., Le eredità normanno-sveve nell’età angioina. Persistenze e mutamenti nel Mezzogiorno, a cura di G. Musca, Bari, Dedalo, 2004, pp. 153-154. 17 «Compotum iudicis Guillelmi de Sisto de Nuceria Christianorum secreti magistri portulani Principatus et Terrae Laboris anno 1291, ex fasc. 6 fol. 181, ponit in exitu solvisse quantitates videlicet inter alias Archiepiscopo Neapolitano decimas iurium Neapolis cui fuerunt solutae unc. 259», trascrizione dal FA 6, f. 181, nel ms. Migliaccio o Ricciardi Chiese antiche di Napoli (sec. XIX), della Società Napoletana di Storia Patria, f. 287v. 18 «Et deinde venerabili q.m d.no Filippo Neap.no archiepiscopo pro decimis Maioris Neapolitanae Ecclesiae debitis pro iuribus Fundici et dohane et aliarum cabellarum Neap. tam veteribus quam novis unc. 293», dal RA 1302 G f. 242 t e 243, trascrizione nel ms. Chiese antiche di Napoli, cit., f. 297v.

Page 7: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

6

settembre 1303-31 agosto 1304), inoltre, risulta il pagamento di 175 once d’oro, 8 tarì e 10 grani per un residuo delle decime relative a quell’indizione, e inoltre è attestato anche un pagamento di 7 once e 28 tarì, benché non sia precisato se sempre a titolo di decime19. Un’apodixa quietancie di Carlo II del 15 agosto 1305, relativa al conto reso dai tesorieri reali Pietro de Capuacio e Filippo de Minilio il 2 maggio di quello stesso anno, per il periodo dal 10 luglio del 1304 al 31 agosto del 1304, data finale della II indizione, attesta, a titolo di decime per la stessa II indizione, un pagamento di 125 once di carlini d’argento su complessive once 300, 8 tarì e 15 grani residue da corrispondersi20. Nel 1306, ancora, è menzionata la corresponsione della somma di 339 once d’oro e 8 tarì a titolo di decime regali per la IV indizione (1° settembre 1305-31 agosto 1306)21. In seguito, e sempre a valere sulle stesse imposte, nel 1363, sotto il regno di Giovanna I, le decime regali spettanti all’arcivescovo di Napoli ammontavano solo a 1.500 fiorini l’anno, e cioè a 300 once d’oro22, mentre nel 1384, durante il vicariato di Margherita d’Angiò-Durazzo, le decime dovute per il 1384 e il 1385 ammontavano complessivamente a 333 once e 10 tarì23. In ogni caso, sulla base delle fonti angioine e pontificie, si stima che, nel periodo 1265-1325, il

19 In B. CANTÈRA, Documenti risguardanti il B. Giacomo da Viterbo, arcivescovo di Napoli, Napoli, Tipografia dell’Accademia Reale delle Scienze, 1888, doc. XI, pp. 22-23, considerando la modesta entità del pagamento, potrebbe trattarsi di decime su censi o redditi di beni demaniali. Si riferiscono verosimilmente a questi stessi pagamenti anche il doc. XVII, pp. 31-32, (30 settembre 1305, quietanze dei pagamenti effettuati tra il 1° ed il 31 dicembre del 1304, III indizione, di 175 once, tarì 8 e grani 10, quale residuo delle decime dovute per la II indizione), e XX, pp. 35-36, (25 aprile 1306, quietanze dei pagamenti effettuati tra il 1° ed il 31 dicembre del 1304, III indizione, per 7 once e tarì 28). Per il pagamento di una ulteriore oncia sempre a titolo di decime per la stessa II indizione, si veda B. CHIOCCARELLI, Antistitum praeclarissimae Neapolitanae Ecclesiae catalogus ab apostolorum temporibus ad hanc nostram aetatem et ad annum MDCXLIII, Neapoli typis Francisci Savii, expensis Petri Agnelli Porrini, 1643, p. 194. 20 «Ostenderunt et docuerunt… se solvisse… Reverendo in Christo patri domino Jacobo Archiepiscopo Neapolitano de unciis trecentis tarenis octo et granis quindecim que restiterant sibi solvende pro decimis maioris Ecclesie Neapolitane per Curiam debitis ratione Jurium Cabellarum Civitatis Neapolis pro predicto anno secunde indictionis in carolenis argenti Uncias centum vigintiquinque», in B. CANTÈRA, Documenti, cit., doc. XV, pp. 28-29. 21 Documento riferito da B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 189, le decime sono sempre calcolate «super iuribus et proventibus fundici et dohanae et aliarum gabellarum civitatis Neapolis». 22 H. BRESC, La correspondance de Pierre Ameilh, archeveque de Naples puis d’Embrun (1363-1369), Paris, Centre national de la recherche scientifique, 1972, doc. n. 41, pp. 88 ss., in part. p. 91. 23 Come si ricava da un atto del 24 agosto 1384, parzialmente pubblicato ed esaminato da A. VALENTE, Margherita di Durazzo, vicaria di Carlo III e tutrice di Ladislao. Ricerche e note su documenti inediti, Napoli, Pierro, 1919, estratto dall’«Archivio storico per le province napoletane», n.s., 1, 2, 4, pp. 54-55, nota 3, relativo all’ordine impartito dalla Vicaria agli ufficiali reali di non procedere al pagamento all’arcivescovo della decima sull’introito della gabella del fondaco maggiore e della dogana di Napoli per far fronte alle esigenze finanziarie dello Stato. Dallo stesso documento emerge che nel mese di settembre di quello stesso anno 1384 si sarebbero dovute versare all’arcivescovo 200 once.

Page 8: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

7

reddito annuo massimo dell’arcidiocesi di Napoli, comprendente peraltro non solo le decime regali ma anche tutti gli altri introiti e rendite patrimoniali, non abbia mai superato le 1.000 once d’oro, valore massimo quest’ultimo e da considerarsi comunque eccezionale24. Tutti i provvedimenti adottati in materia di decime, inoltre, mirarono sempre a salvaguardare i diritti della regina Maria sul gettito delle imposte della dogana e fondaco, come nel caso delle provisiones del 19 e 20 febbraio 129025, del 4 giugno 129126, e, infine,

24 Sulla base sempre degli studi condotti da Norbert Kamp, e cfr. K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., p. 536, tavola 3, e, per i criteri seguiti nella stima, pp. 75 ss.; tuttavia, non viene precisata l’entità delle decime regali pure rientranti nel reddito complessivo stimato; si veda anche la seguente nota 115 per un documento dal quale si deduce invece un reddito annuale di 1.200 once. 25 RCA, vol. 33 (1289-1290), a cura di M. A. Martullo Arpago, Napoli, Accademia Pontaniana, 1984, p. 26, doc. n 52; pp. 26-27, doc. n. 53. Nel provvedimento del 20 febbraio indirizzato da Carlo II a Pietro Bodin, maestro razionale della Magna curia, al fine di non privare la sovrana delle sue risorse finanziarie («cum nolumus eandem reginam expensis sufficientibus defraudari»), lo stesso era autorizzato, ove per il pagamento delle 2.800 once stanziate non fossero bastati i proventi raccolti da doganieri e fondicari («in totali solutione predictarum licterarum duo milium octingentarum unciarum auri defectus aliquis committetur per impossibilitatem vel modo quovis alio»), ad attingere ad altra pecunia della curia, e, in particolare, ai proventi dei fondaci del sale di Principato, Terra di Lavoro e Abruzzi, e delle altre gabelle della città di Napoli. Il sovrano disponeva, in tal caso, che le somme incassate successivamente dai doganieri e corrisposte al secreto fossero versate ai mercanti della società dei Battosi di Lucca che avrebbero poi dovuto riversarle alla regina Maria («sicut eas ab esidem dohaneriis receperis successive civibus et mercatoribus Lucanis de societate Baccusorum in Neapoli morantibus studeas assignare persolvendas per eos regine»). Evidentemente, questi mercanti lucchesi assicuravano alla Corona angioina un vero e proprio servizio di tesoreria, come emerge anche da un atto del 10 ottobre del 1291, con il quale re Carlo II, tra l’altro, disponeva che le somme raccolte dal maestro razionale Pietro Bodin fossero da questi consegnate proprio ai mercanti Battosi per il pagamento delle spese dell’hospitium reale («reliqum tocius quantitatis ipsius Petro Bodino… facias mense quolibet, sicut pro rata contigerit, assignari, assignandum per eum mercatoribus nostris [de Societate Baccusorum, viene precisato in conclusione dell’atto] pro expensis hospicii nostri», e cfr. Le carte di Léon Cadier alla Bibliothèque nationale de France: contributo alla ricostruzione della cancelleria angioina, a cura di S. Morelli, Roma, École française de Rome-Istituto storico italiano per il Medio Evo, 2005, doc. n. 150, pp. 144 ss. Sulla Compagnia dei Battosi di Lucca o societas filiorum Battosi de Luca (nei documenti napoletani, però, Baccosi o Baccusi, societas Bachosorum, Baccusorum) mercanti e banchieri finanziatori di Carlo II e di re Roberto, oltre che dei pontefici, si rinvia a G. YVER, Le Commerce et les marchands dans l’Italie méridionale au XIII.e et au XIV.e siècle, Paris, A. Fontemoing, 1903, pp. 225, 363, 390; F. P. LUISO, Mercatanti lucchesi dell’epoca di Dante I: La compagnia dei Battosi alla corte angioina, in «Bollettino storico lucchese», 8, 1936, pp. 61-102; A. KIESEWETTER, Die Anfänge, cit., pp. 135, 462, 498, e, più esaurientemente, a I. DEL PUNTA, Mercanti e banchieri lucchesi del Duecento, Pisa, Edizioni Plus-Pisa University Press, 2004, pp. 217-265. Infine, oltre ai già indicati provvedimenti del 19 e 20 febbraio, M. SCHIPA, Carlo Martello, in «Archivio storico per le province napoletane», XIV, pp. 438-439, nota 9, menziona, anche le lettere ai maestri razionali della Magna curia Pietro Bodin e Sparano di Bari del 15 marzo 1290; a Ludovico dei Monti e al vescovo Giberto o Gotberto di Capaccio del 15 marzo 1290; al principe Carlo Martello e a Roberto d’Artois del 15 marzo e 1° agosto 1290. 26 Cfr. RCA, vol. 35 (1289-1291), a cura di I. Orefice, Napoli, Accademia Pontaniana, 1985, pp. 155-156, doc. n. 57. Si tratta di una provisio pro solutione decimarum del vicario del Regno, il principe Carlo Martello. A seguito della petitio dell’arcivescovo Filippo, con la quale il presule ricordava che lui e i suoi predecessori percepivano annualmente la decima sui proventi e diritti della dogana di Napoli per concessione dei cattolici re di Sicilia, come risultava da una precedente inquisitio disposta dalla Curia regia, e che era già inutilmente decorso il termine per il

Page 9: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

8

dell’8 maggio 129427. Il 1° settembre del 130528, anzi, re Carlo II donò a Maria tutti redditi e proventi delle imposte del fondaco e della regia dogana di Napoli a qualsiasi somma complessivamente ammontanti, e quindi non più limitatamente a 2.800 once, pur stabilendo espressamente la deduzione in ogni caso delle somme spettanti all’arcivescovo di Napoli a titolo di decime, e ad alcuni milites neapolitani, a titolo di antichi diritti di partecipazione29. Alla

pagamento delle decime stabilito dai Capitoli di S. Martino, confermati nel parlamento di Napoli, Carlo Martello dispose allora il pagamento della decima per la IV indizione (1° settembre 1290-31 agosto 1291), richiedendo però al secreto di verificare preventivamente sulla base della precedente inquisitio se effettivamente l’arcivescovo e i suoi predecessori percepissero la decima sui diritti di dogana, e, solo in caso di positivo accertamento, di procedere al pagamento acquisendone quietanza (apodixa). Il Vicario, in conclusione, disponeva che, se necessario, in mancanza di altri fondi della Curia regia, per assicurare il pagamento delle somme assegnate alla regina Maria a valere sugli stessi diritti e proventi della dogana e fondaco di Napoli venisse destinato il supplementum e cioè tutti gli ulteriori introiti della secrezia («volumus insuper et mandamus quod provisiones facte Marie Illustri Regine Hierusalem et Sicilie charissime domine genitricis nostre super eiusdem dohane iuribus et proventibus et in defectu huiusmodi de quacumque alia pecunia Curie, officiorum vestrorum supplementum ipsum constituas eidem vel procuratori pro parte prefate domine nostre genitricis solvas mandato aliquo huic contrario non obstante»). 27 RCA, vol. 47 (1268-1294), a cura di R. Pilone, Napoli, Accademia Pontaniana, 2003, doc. 106, pp. 270-271; K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., doc. 854, p. 291. Si tratta di una provisio pro decimis exhibendis di Carlo II indirizzata al secreto di Terra di Lavoro, contea di Molise e Principato. Il sovrano ricorda di aver già in precedenza disposto il pagamento delle decime dovute per la VII indizione (1° settembre 1293-31 agosto 1294), e che in seguito l’arcivescovo gli aveva comunicato che il secreto poteva provvedere al pagamento delle decime limitatamente a «omnium veterum iurium et demaniorum Curie in Neapoli et pertinentiis suis», proventi sui quali, comunque, le stesse dovevano essere materialmente versate dal maestro razionale della Curia regia Pietro Bodin d’Anjou, delegato ad incassare le predette imposte per le spese della regina Maria. Carlo II disponeva quindi che si richiedesse al Bodin di precisare l’entità delle somme percette e percipiende su quei diritti, per poter poi procedere efficacemente al pagamento delle decime. 28 Provvedimento citato da B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 189, dal RA 1305-1306 D 4; e dal RA1305 B 6, Carlo II dona alla regina Maria «omnia iura, redditus et proventus fundaci ac regiae dohanae civitatis Neapolis ad quamcumque summam ascenderent locanda et percipienda per eam pro expensis hospitii et familiae demptis tamen et reservatis ad plenum in ipsis dohana et fundaco iis quae debentur ibidem et solita sunt exolvi tam decimis Archiepiscopo Neapolitano et maiori Neapolitanae ecclesiae quam aliis debitis certis militibus Neapolitanis qui ibi exprimuntur pro annuis provisionibus eis ibi assignatis». Il 27 novembre del 1307, Carlo II, «propter suum ad idem regnum Hungarie accessum multas subituras est expensas», autorizzava la moglie ad alienare o vincolare per un quadriennio i redditi a lei assegnati super dohana civitatis Neapolis e quelli spettanti su terre e masserie, e per il documento cfr. Monumenta Hungariae Historica, Magyar Törtenélmi Emlékek, Niegyedik osztály, diplomacziai emlékek, Budapest, A. M. Tudományos Akadémia Könyvkiadó hivatalában, 1874, vol. I, pp. 175-176, doc. n. 228. 29 Ad alcune famiglie napoletane per antiqua et approvata consuetudo spettava parte dei dazi esatti nel porto maggiore e nella piazza maggiore di Napoli nella misura di 1/60 degli stessi, ma già re Manfredi aveva stabilito che ai titolari dell’antico diritto fosse attribuita in sostituzione la somma complessiva fissa di 200 once d’oro annue, come emerge da un ordine di Carlo I del 17 novembre 1266, e cfr. al riguardo M. SCHIPA, Contese sociali napoletane nel Medio Evo, in «Archivio storico per le province napoletane», XXXI, pp. 414 ss., p. 421, nota 2. Sull’introito delle gabelle della dogana e del fondaco di Napoli venivano sovente rimborsati i prestiti fatti alla corona soprattutto da banchieri toscani, e cfr. R. DAVIDSOHN, Forschungen zur Geschichte von Florenz, Berlin, E. S. Mittler und Sohn, 1901, vol. III, p. 114, per un documento del 17 ottobre 1309 relativo ad un prestito della società dei Bardi e dei Peruzzi, in curia romana morantes, di

Page 10: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

9

luce di questi documenti sembra dunque piuttosto difficile sostenere che per provvedere alla corresponsione delle decime all’arcivescovo di Napoli si sia trascurato di corrispondere l’assegno spettante alla sovrana, considerando inoltre la conferma dello stesso assegno nel testamento di re Carlo II del 16 marzo 1308, assieme ad altre rendite, per complessive 4.000 once d’oro30, e che, nel 1311, in un atto di re Roberto (1309-1343) è menzionato il solo assegno per l’importo di 3.000 once31.

I sostenitori della tesi esaminata ritengono poi che la concessione delle decime regali all’arcivescovo Minutolo da parte di Carlo II sia avvenuta con il provvedimento del 4 giugno 1291, ma, in realtà, oltre ad esser noti già dal 129032, e sempre durante il regno del secondo sovrano angioino, altri atti di stesso contenuto33, il provvedimento del 1291 contiene la prescrizione che gli ufficiali reali verificassero in ogni caso la fondatezza del diritto e della consuetudine a ricevere le decime invocata dallo stesso arcivescovo nella sua petitio, delega uesta peraltro una formula tralaticia,

14.000 once di fiorini d’oro per i mesi di luglio e agosto della VII indizione (1309) e per l’intera VIII indizione (dall’1 settembre 1309 al 31 agosto 1310), da rimborsare, tra l’altro, con 2.000 once de fundico dohane Neapolis; e, op. ult. cit., p. 156, per un documento del 10 aprile del 1322 relativo ad un prestito della Società dei Peruzzi e degli Aczarelli di Firenze di 34.000 fiorini d’oro in ultramontanis partibus da rimborsarsi, tra l’altro, con l’introito di 1.000 once d’oro super fundico et dohana Neapolis. Sugli stessi introiti erano pagate, inoltre, provvidenze e stipendi, come il subsidium in expensis di un’oncia d’oro del peso generale al mese corrisposto a S. Tommaso d’Aquino, chiamato da Carlo I a leggere teologia a Napoli, e per il relativo provvedimento indirizzato ai dohanerios il 15 ottobre del 1272, cfr. G. ORIGLIA, Istoria dello Studio di Napoli, Napoli, nella stamperia di Giovanni di Simone, 1753, vol. I, pp. 144-145; ad altri professori dello Studium erano pagate complessivamente 97 once d’oro annue di stipendio sempre de pecunia dohanae seu fundici, come si ricava da un provvedimento del 5 febbraio 1278, pubblicato sempre da G. ORIGLIA, Istoria, cit., pp. 142-143. 30 Carlo II così disponeva: «Item relinquimus Marie Regine consorti nostre quatuor milia unciarum auri annuatim in vita sua pro jure et dotario suo et volumus quod percipiat eas in fundico et dohana Neapolis, terra Summe et super secretia Apulie et alia terra quam tenet in dono nostro», e cfr. M. CAMERA, Annali delle Due Sicilie, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1860, vol. II, p. 175. 31 La regina Maria, oltre a godere del reddito di diversi castelli (secondo un documento del 26 luglio 1311), come risulta da un atto del 21 luglio 1311, beneficiava allora di 3.000 once d’oro annue sulla dogana di Napoli, e cfr. R. CAGGESE, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze, Bemporad, 1922-1931, vol. I, p. 641, note 2 e 3; M. CAMERA, Annali, cit., vol. II, p. 292, nota 1, che precisa la finalità dell’assegnazione pro faciendis expensis pro se et tota sua familia. 32 «Eodem anno 1290 decimae sibi suaeque ecclesiae debitas exolvi obtinet», B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 181. Occorre ricordare comunque che re Carlo II era rientrato a Napoli nel luglio del 1289 dopo lunga prigionia, e che il provvedimento per il pagamento delle decime regali alla Chiesa di Napoli che precede immediatamente quelli del 1290-1291 risale al 25 maggio 1284, quando lo stesso Carlo, ancora vicario del padre, autorizzò la corresponsione delle decime direttamente al capitolo cattedrale per la vacanza della sede arcivescovile, e per questo provvedimento cfr. K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., doc. n. 848, p. 289. 33 «Pro archiepiscopo neapolitano provisio de decimis proventuum et iurium dohane Neapolis pro ut constat per inquisitionem de mandato Curie factam», atto del 14 gennaio 1291, in RCA, vol. 35, cit., doc. 52, p. 154.

Page 11: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

10

ricorrente anche in provvedimenti successivi34. Certamente, comunque, l’introito delle imposte doganali non poteva essere costante negli anni, come conferma la formula sicut ipsa iura... crescunt et decrescunt altresì ricorrente in questi documenti angioini35, e come può altresì desumersi dalle prescrizioni sulle modalità alternative di pagamento degli assegni, delle decime e degli stipendi in caso di mancanza o d’insufficienza del gettito dell’imposta doganale a valere sul quale erano corrisposti36. Il ricorso ai prestiti per le spese di Maria, dunque, può essere stato determinato dall’insufficienza del gettito dell’imposta o dall’aumento delle spese stesse anche per fatti eccezionali e, in realtà, proprio a spese eccezionali si riferiscono gli stessi documenti citati dai sostenitori della tesi oggetto di discussione37, documenti che, infatti, riguardano

34 Il citato provvedimento del giugno 1291 precisa: «Si per inquisitionem predictam tibi constiterit quod idem Archiepiscopus et huiusmodi predecessores sui annis singulis usque ad tempus predictum decimam proventuum et iurium dohane Neapolis consueverunt percipere et habere», ma in un’altra provisio pro decimis in Neapoli del 4 maggio 1294, a seguito della petitio delle decime per la VII indizione (1 settembre 1293-31 agosto 1294), ricorre ancora la formula con la quale si chiede agli ufficiali di verificare preventivamente: «si notorium fuerit quod dicta Ecclesia huiusmodi decimas ab antiquis temporibus usque nunc annis singulis percipere consueverit et habere illos». L’atto del 1294, inoltre, precisava che si doveva provvedere al pagamento utilizzando il danaro già incassato ovvero percipiendo nell’esercizio dell’ufficio della secrezia iuribus curie nostre et cuiuslibet alterius semper salvis, e nonostante mandati o ordinazioni contrarie, e in particolare l’ordinazione relativa alla consegna di tutti gli introiti fiscali ai grafferii o notai dell’ospizio reale per la camera reale, in RCA, vol. 47, cit., doc. 96, pp. 268-269. 35 K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., doc. n. 827, p. 285 del 1269; doc. n. 829, p. 286 del 1271; doc. n. 832, p. 286 del 1272 ed altri. 36 Cfr. ad esempio il documento del 1291 citato supra alle note 24 e 32. Sull’entità degli introiti di queste imposte indirette abbiamo scarsissime notizie: la gabella del fondaco e della dogana di Napoli per la IX indizione (1° settembre 1310-31 agosto 1311) fu venduta a Marino della Valle e Saro Caracciolo per 3.850 once, il 22 settembre del 1310, e cfr. S. DE CRESCENZO, Notizie storiche tratte dai documenti angioini conosciuti con il nome di arche, in «Archivio storico per le province napoletane», XXI, 1896, p. 110; un documento risalente alla VII indizione (1° settembre 1338-31 agosto 1339), attesta che la gabella fu data ad extalium, e cioè affittata, a Nicola de Ursone, cui successe Carlo Scannasorice, per 4.400 once, e cfr. C. DE LELLIS, Notamenta, ms. dell’Archivio di Stato di Napoli (seconda metà del sec. XVII), vol. III, f. 619; nel 1340, infine, fu venduta al nobile Buccatortio per 5.000 once, e cfr. L. BIANCHINI, Della storia delle finanze del regno di Napoli, Palermo, dalla stamperia di Francesco Lao, 1839, vol. I, p. 131. Nel 1273, invece, è attestato per Napoli un introito notevolmente inferiore pari a 1.266 once, e cfr. G. DEL GIUDICE, Una legge suntuaria inedita del 1290, in «Atti dell’Accademia Pontaniana», 16, 1886, parte II, p. 199. 37 A. KIESEWETTER, Die Anfänge , cit., p. 489, nota 7, cita, in particolare, un documento del 19 dicembre del 1291, osservando che «aufnahme von Anleihen über 2.413 unzen bei den Battosi, um die Kosten der Hushaltung der Königin». Il documento è edito in RCA, vol. 39 (1291-1292), a cura di J. Mazzoleni, pp. 10-11, doc. n. 8, si tratta di una apodixa di Carlo II del rendiconto presentato il 10 dicembre 1291 da Giovanni Balidardo magister hospicii della regina Maria, appunto «de officio recepcionis et solucionis pecunie gesto per eum pro faciendis expensis hospicii regine», per il periodo tra il 19 settembre 1290 e il 31 maggio del 1291, e per quello dal 14 giugno del 1291 al 15 settembre dello stesso anno, per complessivi undici mesi e tredici giorni, durante l’assenza del sovrano («nobis toto ipso tempore quod est menses undecim et dies tredecim ab eiusdem regine consortio pro exequendis negociis nostris absentibus»). Vi si precisa che furono receptis mutuo dai Battosi di Lucca, in defectu pecunie Curie nostre, 490 libbre di tornesi, 10 soldi e 6 denari, nonché 5.542 libbre di tornesi piccoli, 16 soldi e 11 denari. Il

Page 12: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

11

i maggiori oneri economici conseguenti al trasferimento e alla permanenza in Provenza proprio della regina Maria, vicaria di quella contea mentre Carlo II era in Francia, e dei suoi ufficiali e funzionari38.

In seguito, comunque, Carlo II dispose che il pagamento delle decime dovesse specificamente servire al finanziamento dei lavori della cattedrale, con un provvedimento del 24 novembre del 129639,

documento sottolinea però anche l’eccezionalità della situazione che indusse a richiedere entrambi i prestiti, dovendosi infatti provvedere ai pagamenti a favore di diversi funzionari delle contee di Provenza e Forcalquier per le spese degli uffici dell’hospitium reginale, e cioè panactarie, bucticularie, coquine, marescalle, fructuarie et forrarie, nonché «diversis minutis Camere ac eciam gagiis diversorum temporum solutis diversis personis eiusdem hospicii et etiam aliquibus ex personis hospicii nostri [i. e. Karoli secundi] que olim proximo preterito mense iunii dicte IIII indictionis [1291] nobis in franciam accedentibus cum dicta regina in Provincia remanserunt, nec non et certis extraordinariis expensis factis pro negociis et serviciis eiusdem hospicii». Kiesewetter stima, senza però fornire ulteriori ragguagli, che le somme mutuate, espresse nella moneta scritturale della libbra di tornesi, equivalessero a 2.413 once, e, in effetti, risulta che 8 once valevano 20 libbre di tornesi, e cfr. C. MINIERI RICCIO, Della dominazione angioina nel reame di Sicilia: studii storici estratti da registri della Cancelleria angioina di Napoli, Napoli, Tip. R. Rinaldi e G. Sellitto, 1876, p. 43; ID., Il regno di Carlo I d’Angiò dal 2 gennaio 1275 al 31 dicembre 1283, in «Archivio storico italiano», 3 serie, XXVI, 1877, p. 20 (nel maggio 1277, 100 libbre di tornesi equivalevano a 40 once oro); ID., Alcuni fatti riguardanti Carlo I d’Angiò dal 6 di agosto 1252 al 30 di dicembre 1270, Napoli, Tipografia di R. Rinaldi e G. Sellitto, 1874, p. 46 (nel marzo 1269, 20 once d’oro equivalevano a 50 libbre di tornesi). Per il rapporto tra tornesi piccoli e grossi: M. G. CANALE, Storia politica commerciale e letteraria della Repubblica di Genova, Capolago, Tipografia Elvetica, 1851, vol. IV, p. 102, e ID., Nuova istoria della Repubblica di Genova, Firenze, Felice Le Monnier, 1860, vol. III, pp. 60 ss., pp. 307 ss., che menziona le offerte a Genova della legazione angioina (oblationes regis Caroli II) presieduta dal conte d’Artois, che giunse nella città il 1° dicembre del 1292, riguardo, tra l’altro, ad un mutuo di 200.000 libbre di tornesi piccoli in grossi tornesi d’argento, in ragione di un tornese d’argento per ogni 12 piccoli (evidentemente di biglione o mistura): «Item Dominus rex Siciliae mutuabit ipsi communi, et populo pro exonerandis debitis suis libras turonensium parvorum ducenta milia in turonensibus grossi argenti ad rationem de turonensibus parvis duodecim pro qualibet turonense argenti». 38 Il 27 gennaio del 1290, la regina Maria stava predisponendosi al viaggio alla volta di Narbona, ove risiedeva Carlo II, e, giunta ormai nella regione, il 13 giugno del 1291 fu nominata vicaria generale della contea di Provenza, Forcalquier e Avignone durante l’assenza del marito e fino al suo ritorno. Il 6 gennaio del 1292 Maria era ad Aix en Provence, e cfr. per queste notizie C. MINIERI RICCIO, Genealogia di Carlo I d’Angiò, prima generazione, Napoli, Stabilimento tipografico di Vincenzo Prigiobba, 1857, pp. 26-27; p.107. 39 «Pro Maiori Ecclesia Neapolitana. Karolus Secundus dei gratia Rex Ierusalem et Sicilie etc. Universis presentis indulti seriem inspecturis presentibus et futuris. Debentes Deo gratias de universis beneficiis quibus nos misericorditer in omni nostrorum successuum tempestate prevenit. Digne in eius reverentia qui redemit Nos promptos et munificos exibemus honorando cum expedit et opportunis impendiis ampliando venerabiles domos eius. Sane venerabili Neapolitane Maiori Ecclesie in qua bone memorie domini Patris nostri Ierusalem et Sicilie regis Illustris, et aliorum de nostro genere plurimum corpora consepulta quiescunt, decimas annales exolvimus et pro ut consuetum est hactenus de certis nostre Curie in Civitate Neapolis iuribus exibemus. Sed sicut venerabilis in Christo Pater Dominus P[hilippus] Dei gratia Neapolitanus Archiepiscopus dilectus Consiliarius et familiaris noster nobis exposuit decimas ipsas occasione novorum statutorum multe subtractionis circumventio minuit et non parva diminutio circumscribit, de quo ipsa maior Ecclesia temporibus presentibus non levia dispendia sustulit, et per officialium successive calupnias incomoda deploravit et sic per ipsum Archiepiscopum, nostro remedio implorato, ut confusionem huiusmodi per distinctionem accomodam dirimere dignaremur. Nos qui ad Regale fastigium providentia vocati ab ipso patre luminum

Page 13: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

12

ripreso in numerose provisiones successive40. Analizziamo il testo di questo documento, per fortuna noto in extenso41. Carlo II,

recognoscimus quicquid sumus, ecclesiarum statum honores et comoda plenis affectibus prosequentes fide quoque devotione ac meritis ipsius Archiepiscopi gratis nobis benigna rememoratione pensatis, a Consulto de certa scientia nostra providimus ad hoc ut ipsa Ecclesia, certis potius quam dubiis innitatur quod tota fiscali pecunia fundici et dohane Neapolis cum membris suis et gabellarum quoque iurium reddituum et proventuum fiscalium omnium Civitatis eiusdem ipsi nostre Curie debita in unam redacta summam et calculum ac de ipsa tota ratione novorum statutorum huiusmodi tertia tantum pro nostre Curie parte dempta ex duabus partibus exinde reliquis, decima ipsa dicte Maiori ecclesie suoque Antistiti pro eadem que pro tempore fuerit annis singulis exolvatur eo tamen sicut inter nos, et ipsum Archiepiscopum sponte stetit firmiter observando quod totum id quod ex hoc ultra consuetum hinc hactenus ipsi Archiepiscopo vel ecclesie pro ipsa decima persolvetur in opificio constructionis ipsius maioris ecclesie que fit nuper usque ad perfectionem eius debitam convertatur, et post ipsius opificii complementum ad faciendas fieri certas cappellas in ipsa ecclesia in quibus pro animabus dictorum parentis et aliorum nostrorum divina celebrentur officia devolvatur dignum et enim fore dignoscimus ut quod pro decimis ipsis in honorem ipsius ecclesie addimus ad eius comodum reddeat et illorum qui conferunt proficiat cunctibus. In cuius rei testimonium presens scriptum exinde fieri et pendenti nostre maiestatis sigillo iussimus communiri. Datum Rome per Bartholomeum de Capua militem Logothetam et Prothonotarium Regni Sicilie anno Domini MCCLXXXXVI, Die XXIV Novembris, X Indictionis, Regnorum nostrorum anno XII», nel testo edito da B. CANTÈRA, L’edificazione, cit. pp. 8-9, nota 1. Deve peraltro ricordarsi anche una precedente provisio del 6 ottobre 1296 menzionante anch’essa una nova conventio intervenuta tra Carlo II e Filippo Minutolo appunto riguardo al pagamento delle decime: «Anno 1296, 6 octobris ind. X rex precipit ei [i. e. Philippi Minutuli] solvi decimas iuxta novam conventionem cum eo initam», in B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 183, dal RA 1297 A 103 e 195t, ma lo stesso Autore, op. cit., p. 188, precisa che l’accordo tra Carlo II e Filippo fu sancito solo con il provvedimento appena riprodotto sopra, del 24 novembre del 1296. La provisio immediatamente precedente della regina Maria, vicaria di Carlo II, è menzionata dallo stesso Chioccarelli, op. cit., p. 183, senza alcun riferimento, però, alla nova conventio, segno, evidentemente, che la stessa non era ancora intervenuta: «anno 1295 die 21 septembris ind. 9 Maria Caroli secundi regis uxor ac Vicaria solvi praecipit Philippo huic Archiepiscopo decimas», dal Registrum Reginae Mariae 1295 E 192, e, d’altra parte, il sovrano a quel tempo non era presente a Napoli. 40 Tra i provvedimenti successivi, si segnalano le provisiones del 15 marzo, 6 ottobre e 10 novembre del 1297 (sulle quali B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 182); una provisio per la X indizione (1° settembre 1296-31 agosto 1297) che richiama la già illustrata convenzione tra Filippo Minutolo e Carlo II (ms. Chiese antiche di Napoli, cit., f. 290); le provisiones del 17 luglio 1299 e del 17 aprile 1300 (sulle quali B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 184); quella del 21 aprile 1301 (B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p.185); del 15 agosto 1304 (ms. Chiese antiche di Napoli, cit., f. 288); del 30 settembre 1304 (B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 194); dell’11 maggio 1305 (B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 194 con l’espressa menzione della convenzione intervenuta tra Filippo Minutolo e Carlo II); la provisio pro exhibitione decimarum per la III indizione (1 settembre 1304-31 agosto 1305), del 4 giugno 1305 (B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 11, nota 2; ms. Chiese antiche di Napoli, cit., ff. 13 ss; 297v-298; 298v-299, ove si richiama la convenzione intervenuta tra l’arcivescovo e il sovrano); la provisio dell’11 maggio 1306 (B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 11-12, nota 3); quella del 20 luglio 1306 (B. CANTÈRA, Documenti, cit., pp. 41-43, doc. n. XXIV), pro archiepiscopo Neapolitano, con la quale Roberto, duca di Calabria, vicario del Regno, scriveva a Pietro de Capuacio e Filippo de Minilio tesorieri reali, ricordando che già da molto tempo, per supplica di Filippo già arcivescovo di Napoli, di buona memoria, che aveva esposto che la Chiesa napoletana dovendo percepire le consuete decime «occasione novorum statutorum non levia prepedia et dispendia subiisse», Carlo II aveva stabilito «quod tota fiscali pecunia fundici et dohane Neapolis cum membris suis cabellarum quoque iurium reddituum et proventum fiscalium omnium civitatis eiusdem regie Curie debita in unum redacta summam et calculum ac de ipsa tota ratione novorum statutorum», sicché, dedotta la terza parte dell’introito fiscale, sulle due parti residue doveva esser calcolata la decima annuale spettante alla Chiesa napoletana. Carlo II, volendo procedere

Page 14: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

13

rivolgendosi a tutti i regi ufficiali, ricordava anzitutto che a favore della Chiesa napoletana, nella cui cattedrale erano sepolti Carlo I e altri membri della famiglia reale, egli provvedeva ogni anno al pagamento delle decime sull’introito di certi diritti fiscali della città di Napoli. Il sovrano precisava altresì che l’arcivescovo Filippo gli aveva però esposto che, a seguito delle nuove disposizioni fiscali (occasione novorum statutorum42), l’entità delle decime era diminuita,

al pagamento delle decime per l’anno della IV indizione, in data 11 maggio 1306 aveva dunque scritto ai secreti di Principato e Terra di Lavoro di provvedere al pagamento, ma poiché l’introito della gabella del ferro era stato concesso ad alcuni religiosi («cabellam ferri unam ex predictis cabellis civitatis neapolis segregatam a predictis aliis cabellis certis religiosis prefatus dominus pater noster duxerit concedendam», si tratta verosimilmente della concessione di complessive 150 once sul gettito della gabella del ferro, della pece e dell’acciaio stabilita sempre da Carlo II, il 24 dicembre del 1302, per il mantenimento dello Studio teologico dei Frati Minori cui spettavano 40 once, oltre che degli Studia dei Predicatori, cui spettavano 80 once, e degli Eremitani, cui spettavano 30 once, cfr. R. DI MEGLIO, Il convento francescano di S. Lorenzo di Napoli, Salerno, Carlone editore, 2003, pp. LVIII-LIX, regesti nn. 9, 10, 11, 12, 13, pp. 7-10, nonché n. 19, p. 12; n. 25, p. 15; n. 39, p. 23; n. 71, p. 42; A. AMBROSIO, Il monastero femminile domenicano dei SS. Pietro e Sebastiano di Napoli, Salerno, Carlone editore, 2003, regesto n. 15, p. 7; M. GAGLIONE, Note su di un legame accertato: la dinastia angioina ed il convento di S. Lorenzo maggiore in Napoli, in A. V., Studi in onore del prof. Italo Gallo, in «Rassegna storica salernitana», 50, 2008, p. 139), e poiché gli stessi religiosi avevano diritto a riscuoterlo per intero, per non diminuire l’entità delle decime dovute all’arcivescovo, Roberto aveva disposto de camera solvi, e cioè di pagare la decima attingendo al danaro della Camera regis. Nonostante tale provvedimento, l’arcivescovo non aveva comunque ricevuto il pagamento della decima sul gettito della gabella del ferro, e perciò Roberto dispose infine che si accertasse presso i cabelloti e credenzierii della stessa gabella il relativo introito per la IV indizione (1 settembre 1305-31 agosto 1306), e si applicasse, comunque, anche alla singola gabella il criterio della deduzione del terzo procedendo al calcolo della decima sui due terzi residui («Que pecunie summa deberetur eodem anno pro decima duarum partium Cabelle predicte in casu solutionis ipsius reliqua tertia parte ratione dictorum novorum statutorum dempta pro parte Curie»); un’altra provisio di Roberto è ricordata genericamente per il 1308, con la menzione di una cappella voluta nella cattedrale dalla regina Maria («Idem Robertus rex iussit exolvi Humberto neapolitano archiepiscopo decimas iuxta conventionem initam inter bonae memoriae dominum Philippum neapolitanum archiepiscopum ac regem Carolum secundum eius patrem et recenset ac repetit eam conventionem nempe de opificio eius maioris ecclesiae et de cappellis in maiori ecclesia faciendis et presertim de cappella facienda pro domina regina matre ipsius Roberti regis» dal RA 1306 D 138, (B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 199); un’altra provisio del 6 marzo 1309, richiama la convenzione tra Filippo e Carlo (B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 199; B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., pp. 16-17, nota 3); un’altra del 13 febbraio 1310, richiama altresì la convenzione tra Filippo e Carlo (B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 17, nota 3); una del 1° luglio 1311, (ms. Chiese antiche di Napoli, cit., ff. 16-17; f. 296), oltre a richiamare la precedente provisio del 1296, accenna ad un mandato relativo alla corresponsione delle decime secondo la convenzione intercorsa tra Filippo e Carlo II per quattro anni consecutivi, decorsi i quali «completo predicto quatriennio pro dicta decima nil solvatur absque nostro mandato». Altre notizie sul pagamento delle decime, soprattutto dai rendiconti dei tesorieri reali, in ms. Chiese antiche di Napoli, cit., f. 298, f. 304. * 41 Cfr. il testo alla nota 39 supra. 42 Secondo B. CANTÈRA, Documenti, cit., p. 24, nota 1 (con riferimento alla provisio pro exhibitione decimarum a favore dell’arcivescovo di Napoli del 4 giugno 1305), seguito da M. GAGLIONE, Crolli e ricostruzioni della cattedrale di Napoli nel corso del Trecento, in «Archivio storico per le province napoletane», 126, 2008, p. 72, nota 45, per nova statuta dovrebbero intendersi le disposizioni contenute nei Capitoli di S. Martino; in realtà, nei documenti angioini, come ad esempio nella provisio del 24 novembre 1296 in corso di esame, gli iura nova vengono piuttosto denominati nova statuta. Tra questi documenti è da segnalare, in particolare, un atto di

Page 15: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

14

e gli aveva perciò chiesto di intervenire per porre rimedio alla situazione. Per tale ragione il sovrano, ai fini di un più certo calcolo della decima, dispose che si prendesse in considerazione l’intero gettito della gabella della dogana e fondaco di Napoli, con tutte le annesse gabelle e membri, nonché il gettito di tutti i proventi e redditi fiscali della città spettanti alla Curia regis, e che su questa somma, comprensiva delle imposte introdotte dalle nuove disposizioni fiscali, si dovesse dedurre la quota di un terzo come spettante esclusivamente alla Curia, procedendo al calcolo delle decime sui due terzi residui, e ciò anche negli anni successivi. Carlo stabiliva, in conclusione, che le somme corrisposte in misura superiore a quanto erogato in precedenza (totum id quod ex hoc ultra consuetum) dovessero essere destinate in opificio constructionis ipsius maioris ecclesie, e, una volta completata la cattedrale napoletana, alla costruzione di alcune cappelle regali ove dovevano essere celebrati gli uffici divini in memoria di re Carlo I e degli altri membri della famiglia reale ivi sepolti.

Questo provvedimento, il cui contenuto è stato fin qui piuttosto male interpretato43, può esser meglio compreso tenendo presente quanto osservato da Andrea d’Isernia (documentato dal 1289-†1315 o 1316) nel commento ai Ritus Regiae Camerae Summariae44, sfuggito agli studi specialistici sulla cattedrale napoletana. L’illustre giurista, evangelista feudorum come fu definito45, nell’ambito delle imposte indirette spettanti alla Corona

Carlo, principe di Salerno, del 30 aprile del 1283 contenente l’ordine impartito a Lorenzo Rufolo di Ravello, secreto, maestro portolano e procuratore e maestro del sale in Puglia, di costringere i pugliesi al pagamento appunto dei nova statuta appartenenti alla Curia e non aboliti dai Capitoli di S. Martino, secondo la prassi seguita fino a quel momento, e cfr. B. CAPASSO, Nuovi volumi di registri angioini, in «Archivio storico per le province napoletane», 10, 1885, p. 778; inoltre, Andrea d’Isernia nel suo commento ai Ritus Regiae Camerae Summariae (cfr. il testo alla successiva nota 46) distingue appunto i vetera jura dai nova statuta in luogo degli iura nova. In M. GAGLIONE, Crolli e ricostruzioni, cit., loc. ult. cit., con imprecisione si afferma «decime spettanti per un terzo alla Regia Curia e per due terzi all’arcivescovo di Napoli», laddove invece la distinzione delle quote di 1/3 e di 2/3 risponde al criterio di ripartizione presuntiva tra diritti vecchi e nuovi per la quantificazione della base imponibile della decima, criterio oggetto della presente specifica analisi. 43 Il provvedimento è stato infatti letto come una concessione «di rendita annuale», da C. BRUZELIUS, Le pietre, cit., p. 96, oppure come un «mandato (di Carlo II) di esentare dalle gabelle la concessione delle decime già assegnata a Filippo Minutolo per la costruzione della nuova cattedrale» da V. LUCHERINI, La cattedrale di Napoli, cit., p. 203, e per altre interpretazioni cfr. la seguente nota 47. 44 Ritus Regiae Camerae Summariae Regni Neapolis, Neapoli, ex typographia Jacobi Raillard, et sumptibus eiusdem, 1689, p. 568, nella Rubrica trigesima prima De decimis solvendis praelatibus de juribus supradicti. 45 Per questo ed altri epiteti cfr. P. GIANNONE, Storia civile del Regno di Napoli, Milano, per Niccolò Bettoni, 1822, vol. VI, p. 80, il quale riconduce con puntuali argomentazioni il commento ai ritus alla paternità di Andrea, e cfr. al riguardo op. ult. cit., pp. 58 ss. Andrea, professore di diritto civile, maestro razionale della Magna curia, consigliere e famigliare reale,

Page 16: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

15

distinse anzitutto tra iura vetera e iura nova, fornendone i relativi elenchi poiché le decime erano corrisposte solo sull’introito dei primi e non su quello dei secondi46. La Curia regia, infatti, provvedeva al pagamento delle decime ai prelati, che, fin dai tempi dei re cattolici di Sicilia, era assicurato attingendo agli introiti del demanio reale, dei diritti di dogana e di altri diritti antichi (iura vetera), con l’esclusione però dei diritti nuovi (iura nova), quali quelli di fondaco e simili. In mancanza di iura nova, quindi, la decima si sarebbe dovuta calcolare su tutti i diritti fiscali antichi percepiti dalla Curia nella diocesi; in mancanza di iura vetera, invece, la Curia, a stretto rigore, non sarebbe stata tenuta a corrispondere alcunché a titolo di decima. Nella prassi seguita poi anche dalla Curia angioina, invece, per mera comodità, senza procedere all’accertamento e alla distinzione tra iura vetera e nova, sulle entrate complessive dei vecchi e dei nuovi diritti si procedeva alla teorica deduzione di un terzo del gettito per gli iura nova, calcolando così sui due terzi residui, altresì teoricamente corrispondenti agli iura vetera, la quota di un decimo (decima pars), dovuta appunto a titolo di decima regale. In alcuni casi, però, i prelati contestarono la legittimità del calcolo effettuato solo sui due terzi, e allora la Curia provvide allo specifico accertamento (computatio) dei singoli vecchi e nuovi diritti e del loro gettito, in modo da calcolare la decima esclusivamente sull’introito dei vecchi così come prescritto. Tali contestazioni furono mosse anche da Filippo Minutolo, arcivescovo di Napoli, ma, in realtà, nella capitale l’introito dei nuovi diritti era superiore a quello dei

conosceva direttamente la documentazione patrimoniale della Chiesa napoletana, poiché su richiesta dell’arcivescovo, il 5 febbraio del 1306, era stato delegato da re Carlo II a recuperare i beni della stessa Chiesa illegittimamente occupati durante la vacanza della sede, e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 195. 46 Andrea d’Isernia osserva : «Et quia decimae solvuntur de juribus veteribus et de juribus novis non, sciendum est quae sunt jura vaetera et quae nova. Iura vetera sunt haec: Ius Dohanae. Ius Anchoragii. Ius Scolatici. Ius Tumuli. Ius Portus, et Piscariae vetus. Ius Bucceriae vetus. Ius Affidaturae herbagii, pascuorum, glandium, et huiusmodi. Ius casei, et olei, non est ubique per Regnum. Ius Passagii vetus; Iura nova sunt haec: Ius Fundici. Ius Ferri. Ius Azzarii. Ius Picis. Ius Salis. Ius Staterae, seu ponderaturae. Ius Mensuraturae. Ius Exiturae. Ius Setae. Ius Tinctoriae, et Celandrae. Ius Cambii. Ius Bucceriae novum. Ius imbarcaturae. Ius sepi. Ius Portus, et piscariae novum. Ius Decini. Ius Balistarum. Ius Reficae majoris, et minoris. Ius marium, saponis, molendini, et gallae, non sunt ubique, sed in Apulea. Ius lignaminum, non est ubique. Ius gabellae auripellis», Ritus Regiae Camerae, cit., loc. ult. cit.; i due elenchi sono riportati con qualche variante nel commento di Andrea alla costituzione federiciana Quanto ceteris (De decimis praestandis), in Constitutionum Regni Siciliarum Libri III cum commentariis veteris jurisconsultorum, Neapoli, sumptibus Antonii Cervonii, 1773, p. 20, e si veda anche l’elenco degli iura vetera et nova edito da P. DURRIEU, Les Archives Angevins de Naples. Étude sur les registres du roi Charles I.er,1265-1285, Paris, Ernest Thorin, 1886, p. 91, dal ms. lat. 4625 della Bibliothèque nationale de France, f. 89 e ff. 69-83. Per i singoli membra delle gabelle indicate, cfr. L. BIANCHINI, Della storia delle finanze, cit., pp. 127 ss.; M. CAMERA, Annali, cit., p. 92, nota 3; pp. 137-138; pp. 269-270, nota 3; N. F. FARAGLIA, Gabelle, in A. V., Memorie di Napoli, Napoli, C. A. Bronner, 1882, pp. XXIX-XXXVI.

Page 17: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

16

vecchi. Così, a seguito della computatio condotta dalla Curia su richiesta del Minutolo, risultò che all’arcivescovo sarebbe spettata una somma addirittura inferiore a quella corrisposta fino a quel momento a lui e ai suoi predecessori per effetto del calcolo presuntivo sulla quota dei due terzi, e che lo stesso avrebbe dovuto dunque anche restituire quanto ricevuto in eccedenza in passato. Accertato ciò, re Carlo II decise comunque di concedere de gratia che l’arcivescovo di Napoli continuasse a ricevere le decime calcolate sulla quota dei due terzi, stabilendo tuttavia che la maggiore somma così corrisposta rispetto a quanto sarebbe stato effettivamente dovuto escludendo dal computo il gettito dei diritti nuovi specificamente accertati, fosse vincolata al finanziamento dell’edificazione della chiesa maggiore, e, una volta terminata la costruzione, per l’allestimento delle cappelle o altari destinati alla celebrazione delle funzioni religiose in memoria dei membri della famiglia reale47.

47 «Decimas Praelatis regia Curia solvit, illis scilicet, qui a tempore Catholicorum Regum Siciliae habuerunt, et eas perceperunt, sicut dicitur in forma litterarum de demaniis, et juribus Dohanae, ac aliis juribus veteribus, de novis statutis, ut fundico, et similibus, non, quasi de male quesitis, de quibus socius vel uxor partem non habet, ut jura dicunt; et ideo posset dicere Praelatus loci alicujus: In isto loco non sunt iura nova, sed vetera; volo de omnibus decimam, et e contra, si essent nova tantum, non dabit Curia de novis quicquam, sed forma Curiae est, quod deducitur tertia pars pro novis statutis, et sic datur decimae per Curiam; forma Curiae non praejudicat Ecclesiis, etiam si esset lex posita per Principem secularem; Curia etiam potest dicere, et frequenter dicit, scilicet quando Praelatus vellet ultra duas partes decimam, fiat computatio de veteribus iuribus et novis statutis, de veteribus habeat decimam de novis non; sic fecit Philippo Neapolitano archiepiscopo, qui petebat ultra decimam de juribus Civitatis Neapolis ubi sunt longe minora vetera jura quam nova statuta, ita quod facta computatione minus debeat habere pro decima, quam duas partes decimae contingentis pro omnibus juris, deducta inde tertia parte ejusdem decimis pro novis statutis contingente; post quam autem comperta est inde veritas, quod minus debebat habere de jure, et de consueta forma, quam duas partes dominus rex Carolus secundus de gratia voluit, quod perciperet integras duas partes decime, deducta tertia pro novis statutis, ita quod illud plus, quod est in hac gratia, illa ratione, quia pro novis statutis, quae multa sunt Neapoli, deberet deduci plusquam tertia integrae decimae, donavit rex idem aedificio majoris ecclesiae quo finito cederet in orationes parentum suorum faciendas in ipsa ecclesia, pro quibus certa altaria debent fieri sicut continentur in regiis licteris, et privilegio concessis dicto Archiepiscopo et successoribus ejus et Neapolitanae ecclesiae, et sic solutum est et solvitur nunc», in Ritus Regiae Camerae, cit., pp. 568-569. Delle osservazioni di Andrea offrì una interpretazione piuttosto infedele Camillo Salerno il quale ritenne che: «Imo [Carolus Secundus] cum videret iura per Federicum imposita non satis rationi congruere, noluit exigere, ut in ritibus dohanarum in titulo de decimis apparet, quinimmo illa dedit pro maioris ecclesiae constructione», in Camilli Salerni praefatio alle Consuetudines neapolitanae una cum novis additionibus, Venetiis, apud Petrum Dusinellum, sumptibus Nicolai de Bottis, 1588, s. n. p. (ma 5), e p. 229, passo ripreso e ampliato da Giovanni Antonio Summonte: «Fondata dunque per Carlo la Metropolitana Chiesa gli donò per sovvenzione della fabbrica, e conseguente all’Arcivescovo, e suoi successori quelle ragioni, et esazioni imposte dall’Imperador Federico II, e volle che andassero per le orazioni da farnosi in detta Chiesa per l’anime de’ suoi, come nota Isernia nel rito a penna della Regia Camera nel titolo de decimis, e Camillo Salerno nell’addizioni alla costumanza di Napoli Si mulier nupta de jure dotium, ove dice, che questo Re con aver donato le ragioni, et esazioni imposte illecitamente da Federico all’Arcivescovo di Napoli, fé lecito l’illecito; e nella prefazione di dette costumanze, dice, che Carlo vedendo essere state imposte molte esazioni da Federico, non le volle esiggere ma le donò

Page 18: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

17

L’analisi del provvedimento carolino del novembre 1296 offerta da Andrea d’Isernia fu poi ripresa da Bartolomeo Chioccarelli (1560 ca.-†1647 o 1648)48, e, in una bella pagina, da Pietro Giannone (1676-†1748)49. Chioccarelli ricostruì la vicenda del contrasto tra

per edificazione della maggior Chiesa di Napoli», in G. A. SUMMONTE, Historia della Città e regno di Napoli, in Napoli, nella stamperia di Giuseppe Raimondi e Domenico Vivenzio, 1748, vol. III, pp. 171-172; in tal senso peraltro anche B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 7 48 «Et quoniam Federicus secundus Imperator multa nova, et illicita vectigalia imposuit, idcirco Praelati decimam ex novis illis impositionibus respuerunt accipere, tanquam de illeciti vectigalibus et veluti de male ablatis portionem habere dedignantes, quamobrem nova et vetera seorsim exigebantur et de veteribus dumtaxat decima exsolvebatur Neapolitanis Archiepiscopis, aliisque Praelatis illis tamen, qui a catholicorum Regum Siciliae temporibus solvebantur, ut quamplurima regii archivii monumenta, et Regum diplomata nobis significant et Andreas de Isernia in Ritibus regiae Camerae Summariae in titulo de decimis solvendis Praelatis, et in dicta constit. Regni quanto sub titulo de decimis aperte disserit, ubi etiam veteres, ac novas gabellas enumerat. Tandem post multas ordinationes diversis temporibus factas ad hoc ventum est, ut confusio, et immensus labor vetera a novis discernendi evitaretur, ut unica simul fieret veterum et novorum iurium extractio a regiis ministris et in unam summam redactis veteribus, ac novis, dempta tertia parte, ad quam novae ascendere poterant exactiones, que integra regiae curiae esset, de reliquis duabus tertiis partibus decimae praestarentur, idque diu fuit servatum, et ita regia curia consuevit solvere, et stilus curiae inolevit in litteris, quas pro decimis exhibendis Prelatis ipsis Rex concedere solitus erat. Et quia Philippus hic noster Archiepiscopus de his non contentus et credens se, eiusque praedecessores longe fuisse deceptos, petiit a Rege decimam de veteribus iuribus, et quod illa a novis separarentur, stilo curiae non obstante, qui Praelatis et ecclesiis officere minime poterat, quibus Rex libenter assensus est, et facta Regis iussu, diligenti computatione per regios ministros, compertum est Archiepiscopum ipsum, eiusque praedecessores satis maiorem summam singulis annis pro decimis accepisse, quam eis deberetur, ac multo minus debere consequi pro decima pro veteribus iuribus, quam duas ex tribus partibus novis computatis, pro ut ipse, eiusque predecessores, hactenus habuerunt, cum in civitate Neapolis plures essent novae quam veteres exactiones. Quamobrem Rex idem tum attento favore ecclesiarum et praesertim Neapolitanae, tum quoque divotione, fide et observitia ei ab eodem Archiepiscopo Philippo assidue praestita, et quae tunc exhibere non desinebat, ex gratia speciali voluit, ut redditibus omnium gabellarum iurium, reddituum et proventuum fiscalium civitatis Neapolis in unam summam redactis, dempta tertia parte novorum statutorum, ex consueta Curiae forma, de reliquis duabus tertiis darentur decimae eidem Archiepiscopo, eiusque successoribus, et Neapolitanae ecclesiae, ut in eiusdem ecclesiae fabricam converterentur, usque ad integram eius perfectionem et complementum et demum ea peracta, cederet in celebrationem missarum ac divini officii pro eius Regis anima et Caroli primi Regis eius patris et caeterorum de suo genere, quorum corpora in ea sepulta sunt, et quaedam altaria et cappellae, in quibus missae, atque officium celebraretur, erigi debuissent, cui Philippus assentitur. Testatur eius Regis diploma eidem Philippo indultum de ea conventione sub datum Neapoli, die 24 Novembris 1296. Ind. X, firmant quoque id ipsum passim eius Regis, ac successorum litterae in regio archivo…», B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 188, ma cfr. anche p. 187. 49 «Dell’antiche [ragioni fiscali], cioè di quelle, che furono prima dell’Imperador Federico II nel Regno di Guglielmo, e suoi successori Normanni, abbiamo che Andrea d’Isernia ne formò due Cataloghi: uno se ne legge nelle note, che fece alle Costituzioni del Regno sotto la rubrica de decimis, e l’altro tra i riti della Regia Camera, pure sotto il medesimo titolo. In poche cose, e sol nell’ordine è l’uno vario dall’altro: ecco il novero, che ne fece nelle Costituzioni…Delle nuove parimente ne abbiamo del medesimo Autore ne’ luoghi allegati due cataloghi. Furono queste introdotte da Federico II Principe appo gli Scrittori Guelfi, che scrissero sotto il Regno degli Angioini, riputato tiranno, e che angariasse in cento maniere i suoi sudditi: Andrea d’Isernia sopra gli altri l’ha sempre nelle sue opere malmenato, e dipinto per un crudele, e lo pone per ciò nel fuoco penace dell’Inferno: dice nelle Costituzioni, che perciò la Chiesa non vuole le decime di queste esazioni, come ingiuste, ed imposte da Federico contro Dio e la giustizia: De illis non vult Ecclesia decimas, tanquam de male ablatis, quae imposita fuerunt per illum contra Deum, et justitiam: per quod videtur ille Federicus quiescere in pice, et non in pace. E nel Rito I, sotto il

Page 19: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

18

Filippo Minutolo e Carlo II, fornendo altri dettagli e ricordando che, in origine, era particolarmente difficile distinguere tra diritti vecchi e nuovi così da poter calcolare correttamente la decima solo sui primi, e che, in seguito, proprio in considerazione della difficoltà di questi accertamenti, si provvide all’introduzione del criterio della deduzione di un terzo sull’intero gettito delle imposte indirette, criterio che comunque scontentò, come si è detto, l’arcivescovo di Napoli.

In effetti, le disposizioni concernenti le decime conobbero un’evoluzione dall’epoca normanna, quando i sovrani di Sicilia avevano concesso alla Chiesa la partecipazione, per la quota di un decimo, agli introiti delle imposte indirette loro spettanti oltre che di altri diritti demaniali. Per quanto riguarda, in particolare, la diocesi di Napoli, è noto che la concessione delle decime sulle imposte indirette esatte nella città e su altri redditi fu in seguito consacrata in un provvedimento dell’imperatore Enrico VI (novembre 1165-†28 settembre 1197) del quale però non si conosce la data precisa, e che è menzionato in un successivo mandato di Federico II50. Lo stesso

titolo de Jure Tinctoriae, et Celandrae, dicendo che questi dritti come nuovi ed odiosi non doveano stendersi per interpretazione, ma più tosto restringersi, scrisse: Imposita fuerunt haec ab eo, qui depositus fuit a Regno, et Imperio: poena sua propterea in Inferno crescit semper, sicut poena Arii, ut Augustinus dicit. Ma queste erano vane querele, parole inutili e buttate al vento. S’incolpava, e detestava Federico per avergli introdotti, si declamavano per empj ed ingiusti; ma non per questo i Re Angioini, Roberto istesso, e Carlo suo padre, sotto i quali egli scrivea, gli tralasciarono; anzi Roberto per avergli rigidamente esatti ed accresciuti ne fu imputato d’avarizia. L’istesso Andrea, che declamando dice, che la Chiesa né men per quelli vuol decime, ci racconta, che Filippo Minutolo Arcivescovo di Napoli, mal soddisfatto della convenzione passata col Re Carlo II che si dovessero pagar le decime per le due terze parti, lasciandone una, che si credette poter importare per li nuovi ed illeciti diritti, tornò a moverne litigio, credendo essere stato ingannato; ma dopo un lungo contrasto, essendosi appurato che importava assai meno ciò che gli apparteneva, quando non voleva esigere per li nuovi dazj, i quali importavano somma assai maggiore dei vecchi, e che perciò bisognava restituir grosse somme, niente curandosi più dell’indebita esazione, né di proseguirla per l’avvenire, pregò il Re che per grazia gliele accordasse, e continuasse ad esigere le due terze parti, come prima; e per togliere ogni scrupolo, il Re acconsentì, che per l’avvenire si pagassero a lui due parti intere; ma che ciò che gli veniva per questo suo dono, dovesse impiegarlo per l’edificio del Duomo di Napoli, e quello finito, se gli dovesse continuare il pagamento con peso di pregare Iddio per l’anime de’ suoi genitori, e di dover ergere in quella Chiesa alcuni altari, siccome narra Isernia, che a suo tempo si faceva e si pagava», P. GIANNONE, Storia civile, cit., pp. 53 ss. In tempi più recenti accenna alla controversia anche Ludovico BIANCHINI, Della storia delle finanze, cit., p. 140. 50 Si tratta di un mandato indirizzato all’arcivescovo di Napoli dato ad Orte, il 3 maggio 1240, ove si accenna ad un «privilegium ostensum per te magistro G. de Tocco notario et fideli nostro, quod quondam a dive memorie imperatore Henrico patre nostro asseris fuisse indultum ecclesie tue super terris Montis Grilli, startia maris mortui de Putheolis, portu de Jubinul, decimis reddituum Neapolis et ecclesia Sancti Angeli de Zippio», in Historia Diplomatica Friderici Secundi, a cura di J. L. A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Parisiis, excudebat Henricus Plon, 1859, vol. V, parte 2, p. 960. Per un cenno a questo privilegio, cfr. anche B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 187-188; K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., p. 285. Sulla ecclesia Sancti Angeli de Zippio, e sul toponimo Gipeum o Gypeum (Zippium) da identificarsi probabilmente con Nisida, cfr. B. CAPASSO, Neapolitani ducatus descriptio, in ID., Monumenta ad Neapolitani ducatus historiam pertinentia, a cura di R. Pilone, Salerno, Carlone Editore, 2008, vol. II, parte 2,

Page 20: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

19

imperatore Federico II, nel 1231, con la sua costituzione Quanto ceteris, dispose che le decime continuassero a essere pagate secondo le modalità stabilite all’epoca di re Guglielmo II, che regnò dal 1153 al 1189,51, ma, in concreto, attraverso l’adozione numerosi provvedimenti particolari escluse il clero dalla partecipazione al gettito delle imposte da lui stesso modificate o introdotte per la prima volta (iura nova)52. Andrea d’Isernia, al contrario, ritenne di poter spiegare la mancata riscossione delle decime sul gettito degli iura nova sostenendo che ciò avvenne a seguito di un’autonoma decisione della Chiesa che, infatti, avrebbe rifiutato di beneficiare dell’introito di imposte che erano state stabilite contro Dio e contro la giustizia da un sovrano temporale che giaceva ormai, certamente, nel fuoco penace dell’Inferno53. La realtà, come si è appena anticipato, era ben diversa. Fin dal 1231, infatti, Federico aveva ordinato inquisitiones sistematiche al fine di accertare la natura e l’entità delle decime spettanti alle singole diocesi, e su tali basi aveva poi impostato la sua riforma. Sebbene in alcune diocesi continuassero ad applicarsi esclusivamente gli iura vetera, l’imperatore cercò di cristallizzare la situazione impedendo la partecipazione delle Chiese locali agli incrementi del gettito fiscale derivanti dalla sua riforma. A tale scopo sostituì anzitutto le decime corrisposte sugli introiti fiscali spettanti alla corona, e perciò di entità variabile al variare di questi, con la corresponsione di somme fisse prestabilite, calcolate sull’entità delle decime percepite da ciascuna diocesi negli anni precedenti. Poiché, inoltre, in età normanna gli introiti fiscali su attività particolarmente redditizie

p. 217; B. BISCHOFF, M. LAPIDGE, Biblical commentaries from the Canterbury school of Theodore and Hadrian, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, pp. 120 ss., ritengono che il «monasterium Hiridanum [Niridanum, Nisidanum] non longe a Neapoli», del quale, secondo Beda il venerabile, era stato abate S. Adriano, poi abate di S. Agostino a Canterbury (†710), era posto appunto sull’isola di Nisida, cui, a parere di L. Duchesne, si riferirebbe la stessa donazione costantiniana a favore della Chiesa napoletana con l’espressione «possessio insula cum castro» (cfr. supra la nota 114). 51 «Mandamus, ut decimas integre, prout regis Guillelmi tempore consobrini et predecessoris nostri, ab antecessoribus officialibus et bajulis exsolute fuerunt, locorum prelatis exolvere absque omni difficultate procurent», cfr. Historia Diplomatica Friderici Secundi, a cura di J. L. A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Parisiis, excudebant Plon Fratres, 1854, vol. IV, parte 1, pp. 11-12, nell’ambito delle Constitutiones regni Siciliae a Friderico secundo apud Melfiam editae (1231). «Federicus secundus Imperator et Siciliae rex in constitutione regni quae incipit quanto sub titulo de decimis edita anno 1221 iussit ut omnibus Regni prelatis decimae a regia curia exsolverentur prout Gulielmi regis eius consobrini ac praedecessores temporibus solvebantur, quod tamen post ea usui esse desiit», così B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 187. 52 K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., pp. 41-42; pp. 46 ss., con ulteriori riferimenti bibliografici. 53 «Item debetur secundum formam curiae tertia pars procuratoris pro novis statutis impositis per Fredericum Imperatorem. De illis non vult Ecclesia decimas, tamquam de male ablatis quae imposita fuerunt per illum contra Deum et Justitiam per quod videtur ille Fredericus quiescere in pice et non in pace», in Constitutionum Regni Siciliarum, cit., p. 20.

Page 21: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

20

come i macelli e le tintorie, o sulle comunità ebraiche, spesso già spettavano integralmente ed esclusivamente alle Chiese locali, prescrisse anche in tali casi la corresponsione di somme prefissate. In molti altri, invece, dispose che la decima non fosse più calcolata sull’intero gettito fiscale comprendente iura vetera e iura nova ma solo su due terzi dello stesso, in modo tale da non corrispondere alla Chiesa il 10% ma solo il 6,7% degli introiti54. L’assetto normativo stabilito in materia da Federico II fu conservato e confermato dai sovrani angioini, che non disdegnarono, infatti, di proseguire la politica fiscale dello Svevo, come dimostrano i Capitoli di S. Martino del 30 marzo del 1283, definitivamente approvati nel parlamento di Napoli dell’8 settembre 128955. Fu tra l’altro mantenuta l’applicazione della deduzione di un terzo per i nova statuta o nova iura, calcolando la decima sui due terzi rimanenti, benché talvolta, gli stessi sovrani angioini derogassero a questo criterio, come avvenne nel 1278 a favore del vescovo di Aversa che ottenne la concessione dell’integra decima, e cioè della decima calcolata sul gettito complessivo di iura vetera e iura nova, e non solo sui due terzi del totale56.

Con riguardo, in particolare, alla diocesi di Napoli, l’applicazione del criterio della deduzione del terzo per il calcolo delle decime dovute all’arcivescovo è documentata con maggiore certezza

54 K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., pp. 46-47. 55 «Volumus et mandamus inviolabililer observari quod decimae et aliae quae debentur ecclesiis et personis ecclesiasticis a tempore catholicorum regum Siciliae usque nunc et quae recipi consueverunt ab eisdem ecclesiis et personis, sine difficultatis obstaculo ac morae dispendio persolvantur, scilicet quae debentur in pecunia, in festo Pentecostes, et alia, quae debentur in frumento, et aliis victualibus, vino, oleo, seu fructibus aliis, illis temporibus, quibus percipiuntur, si non in pecunia vendantur. Et, si aliqua sunt, quae certis diebus persolvi consueverunt, die debito persolvantur. Et, ne ad hoc ecclesiae, vel personae ecclesiasticae necesse habeant singulis annis a curia litteras impetrare, volumus, et sub poena dupli ejus quod pro decimis, et aliis juribus personis, vel ecclesiis quibuslibet secundum ordinationem praesentem solutum non fuerit, debentur, secreti, seu magistri procuratores, et magistri salis, bajuli, vel alii officiales, qui eas debeant persolvere, tam praesentes, quam futuri, teneantur eas integraliter solvere, secundum quod superius est distinctum, authoritate praesentium, nullo inde alio mandato expectato», in Constitutiones Regni Utriusque Siciliae, Lugduni, apud haeredes Iacobi Iunctae, 1568, pp. 312-313; Andrea d’Isernia, però, con riguardo all’obbligo di pagamento delle decime annuali gravante sugli ufficiali reali anche in assenza di mandato reale, chiosa: «quod hodie videtur male servari», in Constitutionum Regni Siciliarum, cit., p. 20. Per i successivi provvedimenti autorizzativi di Onorio IV del 17 settembre 1285, il primo noto come Constitutio super ordinatione regni Sicilie, cfr. Les registres d’Honorius IV, a cura di M. Prou, Paris, E. Thorin Éditeur, 1886, doc. n. 96 pp. 72-86; doc. n. 97, pp. 86-89. In generale, sulla politica angioina in materia di decime, cfr. K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., pp. 71 ss., e le osservazioni di Pietro Giannone riportate alla nota 47. 56 Si tratta di un provvedimento di Carlo I, del 2 agosto 1278, con il quale, su richiesta del vescovo di Aversa, il sovrano acconsentì che non venisse dedotto un terzo sul totale delle entrate per la esiguità dei nova statuta imposti nella diocesi, e che il calcolo venisse fatto sull’intero gettito delle imposte indirette, e cfr. K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., p. 296, doc. 879.

Page 22: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

21

intorno al 129457, ma Filippo Minutolo pretese il computo specifico delle singole imposte antiche presumendo di aver diritto a un maggior introito anche solo prendendo in considerazione gli iura vetera, e invece, accertato il contrario, lo stesso arcivescovo, grazie alla munificenza di Carlo II, ottenne la concessione sopra illustrata. Quella di Carlo II fu dunque una vera e propria donazione delle somme accertate come non dovute a titolo di decima58, ma,

57 Le provisiones pro exhibitione decimarum a favore degli arcivescovi di Napoli, tra il 1269 ed il 1294, note peraltro in forma di brevi regesti o transunti, indicano, come base di calcolo delle decime i soli vetera iura: «veterum iurium et demaniorum Curie in civitate Neapolitana et pertinentiarum» (26 ottobre 1269); baiulazione e «veterum iurium dicte civitatis et casalium» (13 marzo 1272); «veterum iurium et demaniorum curie» di Napoli e pertinenze (7 aprile 1275); «veterum iurium et demaniorum curie» (9 maggio 1282); «proventuum et iurium dohane Neapolis» (14 gennaio 1291); «proventuum et iurium dohane Neapolis» (4 giugno 1291); «omnium veterum iurium et demaniorum Curie in Neapoli et pertinentiis suis ab antiquiis temporibus, si notorium fuerit» (4 maggio 1294); «omnium veterum iurium» (7 maggio 1294); la prima provisio a menzionare anche gli iura nova, secondo la classificazione di Andrea d’Isernia, e specificamente lo ius fundaci, risalirebbe solo all’8 maggio del 1294: «veterum iurium atque aliorum proventuum fundaci et dohane nostre Neapolis», in K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., p. 285, doc. n. 827; p. 286, doc. n. 831; p. 287, doc. n. 836; p. 289, doc. n. 844; p. 290, docc. n. 850, n. 851, n. 852; p. 291, docc. n. 853, n. 854; e in ms. Chiese antiche di Napoli, cit., ff. 286, 286v, 287, 287v, 288, 289, 290, 291, 292; peraltro, che lo ius fundaci rientrasse tra gli iura nova stabiliti da Federico lo conferma anche un documento del 22 settembre 1266 relativo alla diocesi di Agrigento: «Agrigentina ecclesia semper consuevit percipere et habere decimas omnium regalium proventuum terre Agrigenti… preter quam regalium proventuum novorum statutorum per quondam imperatorem Fridericum, videlicet fundaci, statere, cangemie, salis et ferri, barderie cambii, et cabelle iocularia inter Iudeos», e cfr. Le più antiche carte dell’Archivio capitolare di Agrigento (1092-1282), a cura di P. Collura, Palermo, U. Manfredi, 1961, p. 204; S. SIMONSOHN, The Jews in Sicily (383-1300), Leiden, Brill, 1997, p. 462, doc. n. 225. Dai documenti sopra indicati, che non menzionano espressamente il criterio della deduzione del terzo, si ricava che le decime venivano calcolate sulla baiulatio, e cioè sull’insieme delle imposte indirette di età normanna (vetera iura), ma anche sui redditi (censi) dei beni demaniali. Con riguardo ai censi dei beni demaniali, il 27 luglio 1299, poichè Carlo II aveva concesso alla chiesa dell’Ospedale di S. Cataldo dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, sita in platea seu vico ecclesiae Sancti Pauli maioris, alcune botteghe devolute alla Curia regia sui cui censi era dovuta la decima annuale all’arcivescovo e alla chiesa cattedrale di Napoli nella misura di 1 oncia d’oro, 21 tarì e 6 grani, lo stesso sovrano concesse in sostituzione all’arcivescovo: «quosdam homines, vassallos censiles de casali Sancti Petri ad Paternum de predicta civitatis Neapolis ad regiam curiam spectantes cum certis iuribus, iurisdictionibus ac redditibus omnibus per eos regiae curiae debitos», in B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 183-184. L’arcivescovo di Napoli, inoltre, percepiva anche le decime della scomparsa diocesi di Cuma, distrutta dai napoletani il 25 febbraio 1207, e quindi aggregata all’arcidiocesi di Napoli da papa Onorio III, il 5 marzo del 1218, cfr. R. CALVINO, Diocesi scomparse in Campania: Cumae, Misenum, Liternum, Vicus Feniculensis, Volturnum, Napoli, Fausto Fiorentino editore, 1969, pp. 51-53, e per le relative provisiones cfr. K. TOOMASPOEG, Decimae, cit., p. 55; p. 287, doc. n. 837 (3 settembre 1277, al magister massarius in Cumis, per le decime sui redditi di terre e beni a Cuma e zone circonvicine), e doc. n. 838 (30 marzo 1279, con riguardo ai beni esistenti a Cuma, Equa e Campanora, per le decime su fructuum et terragiorum, e cioè sui canoni dovuti in natura o danaro per la coltivazione delle terre demaniali); e p. 288, doc. n. 839 (1 maggio 1279) e doc. n. 840 (5 maggio 1279), nonché G. JATTA, Discorsi sulla ripartizione Civile e Chiesastica dell’antico agro Cumano, Napoli, dalla tipografia di Porcelli, 1843, pp. 66 ss., con notizia di ulteriori provisiones del 1322 e del 1465. 58 Una parte delle decime, comunque, era già destinata alla costruzione e alla manutenzione della chiesa cattedrale. Andrea d’Isernia, in Constitutionum Regni Siciliarum, cit., pp. 20-21, osserva a tal proposito che: «item quod dicitur in glossa quod de decima fiunt quatuor partes per jus Longobardorum; dic quod per jus canonicum de oblationibus fiunt tres partes, de

Page 23: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

22

purtroppo, allo stato delle conoscenze, non è possibile stabilire con precisione il dato più importante ai fini di questo studio, e cioè l’esatto ammontare annuo delle somme in eccedenza così corrisposte.

2. Il finanziamento dei lavori di costruzione della cattedrale: altre

sovvenzioni finanziarie e provvedimenti diversi dei sovrani angioini.

Carlo II non mancò di sovvenzionare i lavori della cattedrale con numerosi altri provvedimenti di contenuto non solo finanziario, ma anche, per così dire, logistico.

Il 17 giugno del 1294, il sovrano con provvedimento indirizzato ai secreti di Puglia esentò l’arcivescovo di Napoli, in auxilium constructionis maioris Ecclesie, dal pagamento dell’imposta dello ius exiturae sull’esportazione per mare, purché solo a favore di stati alleati o amici e previa cauzione, di 1.000 salme di frumento di peso generale l’anno, per un periodo complessivo di dieci anni a decorrere dal 1° settembre dell’VIII indizione (1294), e dopo il giorno della festa di Ognissanti (1° novembre), stabilendo altresì che nelle annate di carestia, quando l’esportazione del grano era vietata perché si sarebbe risolta in danno per le popolazioni del Regno, la Curia regis versasse in sostituzione 100 once d’oro di peso generale da corrispondersi a cura degli stessi secreti sulle somme da loro incassate e custodite per ragione dell’ufficio. Il sovrano raccomandava peraltro di vigilare che con il pretesto di questa concessione non fossero invece vendute quantità maggiori di frumento o altre vettovaglie o merci la cui esportazione era vietata59. Considerando che nel 1297 per l’esportazione di 100 salme di grano era corrisposto

decimationibus et aliis debitis praelato fiunt quatuor… sed dic quod olim in primitiva ecclesia episcopi propter paupertatem recipiebant medietatem oblationum suae provinciae,… postea vero receperunt tertiam,… postea quartam,… hodie vero de oblationibus nihil, quia illa tertia, quae postea fuit quarta, servitur pro fabrica ecclesiae, pro qua oblationes proveniunt, sed si episcopus vellet subire onus fabricae posset eam habere». Dunque, nel caso di tripartizione, una tertia (portio) della decima andava pro fabrica, una tertia ai poveri, e l’ultima tertia andava ai chierici (tertia clericorum illius ecclesiae), mentre, nel caso di quatripartizione della decima, un quarto spettava al vescovo, un quarto ai chierici, un quarto ai poveri, e l’ultimo quarto alla fabbrica della chiesa cattedrale («aliam quartam fabricae ecclesiae, quae si non indiget fabrica, servatur pro futura fabrica»). La quatripartizione delle rendite ecclesiatiche sarebbe stata stabilita dai papi Simplicio (468-483) e Gelasio (492-496). Si è osservato a tal riguardo che: «la quarta fabricae… comprendeva sia i sacra tecta (cioè la manutenzione dell’edificio sacro), sia i luminaria ecclesiae, cioè l’esercizio del culto; questa quarta portio si era trasformata assai spesso in un semplice onus fabricae a carico del rettore del beneficio ecclesiastico che in questo caso presentava il carattere di beneficium indistinctum, nel quale il mantenimento del chierico e quello della sua chiesa si presentavano indivisi; quando, invece, questa porzione era definita e addetta specificamente a queste finalità si aveva un beneficium distinctum, che ha assunto nomi diversi: Opere, in Toscana; Cappelle, nel Napoletano; Maramme, in Sicilia», in G. GRECO, Un “luogo” di frontiera, cit., p. 10. 59 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., pp. 7-8, nota 4.

Page 24: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

23

uno ius exiturae di 9 once d’oro60, le somme risparmiate e utilizzabili dall’arcivescovo in ausilio dei lavori di costruzione della cattedrale dovevano ammontare a 90 once d’oro l’anno, e, supponendo costante nel tempo l’entità dell’imposta, a complessive 900 once nel decennio. D’altra parte, prendendo in considerazione la somma assegnata in sostituzione del beneficio fiscale in caso di carestia, il valore complessivo del beneficio nel decennio doveva aggirarsi appunto intorno alle 1.000 once61.

Il 18 settembre del 130862, Carlo II, sempre in subsidium fabrice maioris ecclesie Neapolitane, stanziò 50 once d’oro del peso generale da prelevarsi sul gettito della generalis subventio, la principale imposta diretta del Regno, nell’anno della VII indizione (1° settembre 1308-31 agosto 1309), e perciò ordinò al miles Lapo Turdo, giustiziere di Terra di Lavoro e contea di Molise, il celere versamento della stessa somma ai tesorieri reali per il pagamento all’arcivescovo. Il pagamento fu poi effettivamente eseguito come si ricavava da un rendiconto del 14 gennaio del 130963.

Il 1° ottobre 130864, lo stesso Carlo scrisse a Cuncto de Platamono di Salerno, maestro portolano e procuratore di Principato e di Terra di Lavoro, informandolo del fatto che poiché l’allora arcivescovo di Napoli, Umberto de Monteauro, per finanziare la costruzione della sua chiesa cattedrale intendeva vendere 800 salme di miglio65, gli aveva concesso di venderle dentro o fuori del Regno con l’esenzione dallo ius exiturae e da altri diritti, raccomandando, peraltro, di vigilare che con il pretesto di questa concessione non fossero vendute quantità maggiori di miglio o altre vettovaglie. Da questo provvedimento si ricava dunque l’unica notizia dell’impegno finanziario diretto dell’arcivescovo nella costruzione del duomo

60 C. MINIERI RICCIO, Studi storici su’ fascicoli angioini della Regia Zecca di Napoli, Napoli, presso Alberto Detken, 1863, p. 15. 61 L’entità del ius exiturae, peraltro, variò nel tempo, C. MINIERI RICCIO, Il regno di Carlo I d’Angiò dal 2 gennaio 1275, cit., p. 20, attesta, al 5 maggio 1277, un ius exiturae di 25 once per ogni 100 salme di frumento a salma generale, mentre un diritto di uscita di 10 once d’oro per ogni 100 salme di frumento è documentato da un provvedimento di Carlo II del 18 novembre del 1306 a beneficio dei creditori di Elisabetta d’Ungheria, sorella della regina Maria, pro extenuatione debitorum, e cfr. Monumenta Hungariae Historica, cit., p. 175, doc. n. 226. 62 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 15, nota 2; pubblica anche un mandato di Roberto, duca di Calabria e vicario del padre, di analogo contenuto, rivolto ai tesorieri reali perché provvedessero al celere pagamento della somma, ibidem, pp. 15-16, nota 2. 63 Come emerge da una posta di apodixa quietancie così datata, pubblicata da B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 16, nota 1; secondo Cantèra, peraltro, il relativo rendiconto sarebbe stato reso nell’ottobre del 1309. Ulteriore menzione del pagamento in un rendiconto dei tesorieri reali del 12 marzo 1309, citato da B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 199. 64 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 16, nota 2. 65 «Cum venerabilis pater Umbertus Archiepiscopus Neapolitanus… vendiderit seu vendere intendat pro constructione sue Neapolitane Ecclesie milii salmas octingentas quas habet ipsa Neapolitana Ecclesia», e cfr. B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., loc. ult. cit.

Page 25: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

24

grazie appunto all’impiego del prezzo della vendita delle derrate alimentari di sua proprietà. Può a questo punto valutarsi, sebbene in termini approssimativi, sia l’entità del ricavato della vendita sia quella del risparmio fiscale conseguito. Come si è già osservato, nel 1297, per l’esportazione di 100 salme di grano era corrisposto uno ius exiturae di 9 once d’oro, inoltre, tenendo presente che nel 1279 il grano costava 1 tarì, e cioè 20 grani al tomolo, e che il miglio e il germano (segale) costavano 12 grani a tomolo66, fatte le debite proporzioni, e considerando che 800 salme corrispondono a 6.400 tomoli67, il ricavato della vendita sarebbe stato di circa 128 once, e presupponendo il prezzo-valore del miglio pari in linea di massima a circa il 60% di quello del grano, come emerge dai dati disponibili, e considerando che lo ius exiturae era calcolato sul valore delle merci esportate, il risultato del beneficio fiscale sarebbe di circa 43 once, pur dovendo sempre tener presente la mera indicatività di questi valori a causa delle oscillazioni dei prezzi dei cereali nel corso degli anni68.

Non mancarono inoltre, come si è anticipato, numerose provvidenze non finanziarie da parte del secondo sovrano angioino.

Il 16 giugno del 129469, così, Carlo II scrisse al capitano della città di Napoli Ludovico de Mons, a seguito della supplica rivoltagli da Filippo Minutolo, arcivescovo di Napoli che stava facendo edificare la chiesa cattedrale70, e che aveva denunciato che Ricciardello Piscicelli non intendeva vendere un solum et cellarium esistente vicino alla fabbrica che si rendeva invece necessario per poter proseguire la costruzione. Carlo II dispose allora che il capitano facesse valutare da stimatori giurati la giusta indennità spettante al Piscicelli per procedere poi all’espropriazione. Si tratta di uno dei consueti provvedimenti espropriativi adottati dai sovrani angioini

66 C. MINIERI RICCIO, Studi storici su’ fascicoli angioini, cit., p. 15. 67 La salma ponderis generalis, e cioè di peso generale per tutto il Regno, era pari ad 8 tomoli, ognuno dei quali equivaleva a 30 rotoli, e si veda C. MINIERI RICCIO, Studi storici su’ fascicoli angioini, cit., p. 57; ID., Alcuni fatti riguardanti Carlo I d’Angiò dal 6 di agosto 1252 al 30 di dicembre 1270, Napoli, Tipografia di R. Rinaldi e G. Sellitto, 1874, p. 61, p. 132, nota (a); ID., Il regno di Carlo I d’Angiò, dal 2 gennaio 1273 al 31 dicembre 1283, in «Archivio Storico Italiano», XXVI, 1877, p. 21, nota 4, p. 208, p. 218; G. YVER, Le Commerce, cit., p. 57. 68 Basti considerare i dati raccolti da A. FILANGIERI DI CANDIDA, Potere d’acquisto della moneta e tassi di scambio fra prodotti al tempo di Carlo I d’Angiò, in «Atti dell’Accademia Pontaniana», 47, 1998, pp. 186-187, tavola 2, prezzi dei cereali: il prezzo del miglio oscillava tra 12, 18,2 e 20 grani al tomolo, mentre quello del frumento oscillava tra 20; 35,3; 37,5; 40; 48; 60; 75 grani al tomolo. 69 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 7, nota 3. 70 «Cum ipse (Filippo) maiorem Neapolitanam ecclesiam de novo construi faciat», e cfr. B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., loc. ult. cit.

Page 26: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

25

per ragioni di utilità pubblica, e, frequentemente, a beneficio di chiese ed edifici religiosi71.

Il 12 giugno del 130572, Carlo II scrisse al giustiziere, al secreto, al maestro portolano, ai portolani e custodi delle foreste di Calabria pro opere maioris ecclesie neapolitane con riguardo a una certa quantità di legname da tagliarsi nel bosco di Guardia Piemontese, in Calabria, e da trasportarsi via mare a Napoli, affinché questi ufficiali non frapponessero ostacoli o impedimenti, ma operassero anzi a favore degli incaricati dei lavori, che erano un magister Cosmatus, forse Giovanni, e Petrus Bocz(a)otri, o dei loro delegati, prestando loro il necessario aiuto.

Il 15 giugno 130573, Carlo II scrisse ai secreti, baiuli, platearii, pedagerii o passagerii e ufficiali vari, dovendosi trasportare a Napoli, pro opere maioris Ecclesie Neapolitane, una certa quantità di legname, stabilendo che gli stessi pubblici ufficiali non avrebbero dovuto applicare pedaggio, plateatico o altro diritto fiscale sul legname trasportato e sugli animali da trasporto, e ciò purché gli addetti avessero ottenuto ed esibito le litterae testimoniales dell’allora arcivescovo di Napoli, fra Giacomo da Viterbo (1303-1307).

L’8 marzo del 130774, Roberto, duca di Calabria e vicario del padre, scrivendo sempre a secreti, baiuli, platearii, pedagerii o passagerii e ufficiali vari, dispose che si consentisse ai funzionari delegati all’acquisto del legname necessario per i lavori di costruzione della cattedrale, di impiegare per il trasporto dello stesso fino a 36 paia di bufali e di buoi (bubalorum et bovium) o di altri animali, con diritto di pascolo ovunque senza sottoposizione a imposta, previa esibizione delle litterae testimoniales dell’arcivescovo. Nel provvedimento si precisava che l’opera della cattedrale, in termini edilizi, doveva essere considerata come un’opera propria di re Carlo II prima, e di re Roberto poi, e ciò al fine di sollecitare ulteriormente gli ufficiali reali alla corretta e tempestiva esecuzione del mandato.

Lo stesso 8 marzo del 130775, Roberto scrisse a giustizieri, secreti, maestri portolani, portolani e custodi delle foreste di Calabria e altri

71 Per un’espropriazione a favore della SS. Annunziata nel 1318, cfr. M. CAMERA, Annali, cit., p. 106; G. D’ADDOSIO, Origine, vicende storiche e progressi della Real S. Casa dell’Annunziata di Napoli, Napoli, Tip. A. Cons, 1883, doc. XVII, pp. 343-345; per una espropriazione a favore del monastero di S. Croce di Palazzo nel 1344, cfr. A. CHIARITO, Comento istorico-critico-diplomatico sulla costituzione De instrumentis conficiendis per curiales dell’imperador Federigo II, In Napoli, a spese di Vincenzo Orsino, 1772, p. 226. 72 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 12, nota 2. 73 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 12-13, nota 3. 74 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 13, nota 1. 75 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., pp. 13-14, nota 2.

Page 27: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

26

ufficiali del ramo, perché non ostacolassero il trasporto per mare del legname dalla foresta di Guardia Piemontese a Napoli, a cura dei già noti maestro Cosmato e Pietro Bozzaotra. Ritorna nel provvedimento la esortazione a considerare l’opera della cattedrale come opera dei sovrani76. Ancora l’8 marzo del 130777, Roberto scrisse al maestro giustiziere del Regno e ai giustizieri, capitani e maestri giurati, utilizzando ancora una volta la formula di devotio-affectio78, per concedere licenza di portare armi proibite per scopi difensivi, pro tutela seu defensione, ai messaggeri e addetti ai lavori, e il 28 maggio dello stesso anno reiterò il provvedimento in termini più generali a favore di tutti i familiares, i procuratori, gli ufficiali e i custodi dei boschi, delle foreste, delle terre e possessioni dell’arcivescovo stesso e della Chiesa di Napoli79.

Il 6 settembre del 130780, si scrisse al notaio Florio de Avellis, erario distaccato presso l’ufficio del vice ammiraglio del regno di Sicilia e procuratore di Marino Bulgaro di Ischia, tarsianerio81 dell’arsenale (tarsianatum) di Napoli, perché provvedesse all’assegnazione di un usserium82 Curie debitamente equipaggiato, proveniente dalla Provenza e già alla fonda nel porto di Napoli, da inviarsi in Calabria per il trasporto di legname destinato ai lavori della cattedrale, e poi da recuperarsi a cura di Marino Bulgaro al ritorno nel porto di Napoli.

Lo stesso 6 settembre 130783, con provvedimento indirizzato a Guglielmo de Ambra, già tarsianerio dell’arsenale di Napoli, con riguardo a quattro gomene già valutate un’oncia e usuratesi in occasione del trasporto del legname occorrente per i lavori della cattedrale, e da rimborsarsi a carico dell’arcivescovo, si autorizzò il de Ambra a ricevere la consegna delle stesse gomene nello stato in

76 «Cum pro opere maioris ecclesie neapolitane que in reverencia Dei et Virginis gloriose de novo construitur quamque rex inclitus reverendus dominus et genitor noster ac nos perfici et compleri plenis desideriis affectamus utpote opus ipsius domini regis et sue cure specialis», e cfr. B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., loc. ult. cit. 77 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 14, nota 1. 78 «In opere maioris ecclesie Neapolitane que in Reverentiam dei et virginis gloriose de novo construitur quam rex inclitus reverendus dominus pater noster et nos perfici pleniis desideriis affectamus», manca però il riferimento all’opera dei sovrani, e cfr. B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., loc. ult. cit. 79 B. CANTÈRA, Due documenti angioini, Napoli, Tipografia reale delle scienze, 1892, doc. II, pp. 6-7. 80 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., pp. 14-15, nota 2. 81 Funzionario preposto all’arsenale reale. 82 Usciere, usserius, ostiarium, nave da carico dotata di grande apertura a poppa, e cfr. L. TOMASIN, Schede di lessico marinaresco militare medievale, in «Studi di lessicografia italiana», 19, 2002, p. 20. 83 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 15, nota 1.

Page 28: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

27

cui erano, senza pretendere alcun risarcimento, rimettendo perciò il debito al prelato.

Le forniture di legname non furono però sufficienti, e, infatti, fu necessario utilizzare anche il legname destinato ai lavori del palazzo angioino di Casanova e della cappella del Castelnuovo, anch’esso, comunque, in parte tagliato nelle foreste calabresi. Il 14 maggio del 1309, Roberto ordinò quindi a Gualtiero Seripando, preposto alla costruzione del palazzo di Casanova e della cappella del Castelnuovo, di consegnare le 63 travi restanti delle 80 travi acquistate dalla Curia su mandato di Carlo II da Riccardo Scattaretico di Salerno, al procuratore dell’arcivescovo di Napoli per le necessità dei lavori di costruzione della cattedrale, dietro rilascio di ricevuta84.

Al 24 luglio del 131385 risale l’ultimo provvedimento reale noto riguardo ai lavori della cattedrale. Poiché l’arcivescovo Umberto, dovendo provvedere alla costruzione della chiesa cattedrale di Napoli, aveva esposto che un Giovannello Boccapianola era proprietario di domum unam et casalenum unum vicini alla cattedrale, la cui acquisizione si rendeva necessaria per il completamento dei lavori, e poiché, nonostante le trattative condotte, il Boccapianola pretendeva un prezzo molto superiore al valore effettivo degli immobili, re Roberto scrisse al capitano delle città di Napoli e di Pozzuoli di nominare periti giurati che stimassero il valore della casa e del casalino, cioè un terreno con edificio diruto o comunque edificabile, per provvedere poi alla vendita coattiva degli stessi a favore dell’arcivescovo.

3. Il finanziamento dei lavori di costruzione della cattedrale: il non parvum auxilium dei Neapolitani cives.

Bartolomeo Chioccarelli, nella sua preziosa opera dedicata alla storia degli arcivescovi di Napoli, dopo aver ricordato l’impegno finanziario profuso da Carlo II e da re Roberto per la costruzione della cattedrale, menziona anche l’efficace aiuto economico offerto dalla cittadinanza napoletana86, pubblicando a questo riguardo il testo di un provvedimento di Carlo II del 29 agosto 1299, peraltro

84 B. CANTÈRA, Due documenti angioini, cit., doc. I, p. 5; cenni allo stesso documento in R. FILANGIERI, Rassegna critica delle fonti per la storia di Castel Nuovo, Napoli, I.T.E.A., 1936, vol. I, p. 21. 85 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 18, nota 1. 86 «Rex Carolus secundus, qui tunc temporibus regnabat, ac Robertus rex eius filius et successor regia eorum liberalitate faverunt, verum etiam Neapolitani cives non parvuum auxilium ei praestiterunt», in B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p.185.

Page 29: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

28

ben noto e più volte edito87 a riprova della tesi della fondazione del duomo da parte del secondo sovrano angioino, che, appunto, ve la rivendicava apertis verbis88. Re Carlo in quell’occasione scrisse al capitano e a tutti i cittadini dell’universitas civitatis89 di Napoli a seguito dell’unanime decisione adottata dalla stessa università di concorrere alle spese di costruzione della cattedrale attraverso la corresponsione di un grano a settimana per ciascun focolare della città e dei casali, per il periodo complessivo di un biennio90. Il sovrano, approvando dunque tale deliberazione, concedeva la sua licentia onerando l’università dell’esazione del sussidio, e disponendo che la Curia regis non ritardasse o impedisse la stessa91. Dal documento emerge, dunque, che l’universitas civium aveva spontaneamente deliberato lo stanziamento di un sussidio per i lavori di costruzione, e che il sovrano era intervenuto per autorizzare la raccolta dello stesso che, infatti, avrebbe potuto ostacolare o ritardare l’esazione della colletta (generalis subventio) destinata alle casse statali. Come peraltro noto, le popolazioni del Regno erano chiamate frequentemente a corrispondere, oltre alla generalis subventio, anche un supplemento d’imposta che prendeva il nome di donum e che era riscosso con gli stessi criteri e metodi della prima92.

87 Il provvedimento è stato pubblicato da G. A. SUMMONTE, Historia della Città e regno di Napoli, cit., vol. III, pp. 170-171; C. D’ENGENIO, Napoli Sacra, in Napoli, per Ottavio Beltrano, 1623, p. 4; B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 185-186. 88 «Fabrice maioris Neapolitane Matris ecclesie quam in honorem Beate Marie Virginis nos ipsi de novo fundavimus», in G. A. SUMMONTE, Historia della Città e regno di Napoli, cit., loc. ult. cit. 89 Sull’universitas civium (o civitatis), F. SENATORE, Gli archivi delle Universitates meridionali: il caso di Capua ed alcune considerazioni generali, in A. V., Archivi e comunità tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di A. Bartoli Langeli, A. Giorgi, S. Moscadelli, Siena, Ministero per i beni e le attività culturali, direzione generale per gli archivi, 2009, in part. pp. 447-456. 90 «Universitas Civitatis nostre Neapolis tamquam Deo reverens et devota diebus proximis laudabiliter in concordia statuit in subsidium expensarum fabrice maioris Neapolitane Matris Ecclesie quam in honorem Beate Marie Virginis nos ipsi de novo fundavimus exhibere qualibet edomada per singula focularia tam corporis Civitatis eiusdem quam eius Casalium usque ad biennium granum unum», B. CANTÈRA, L’edificazione, loc. ult. cit. 91 Cfr. per il testo B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 10, nota 1. 92 Sulla generalis subventio, divenuta imposta diretta ordinaria a partire dal 1277, e sul donum, cfr. L. BIANCHINI, Della storia delle finanze, cit., p. 126; P. DURRIEU, Les archives Angevines cit., vol. I, pp. 86 ss; L. CADIER, Essai sur l’administration du Royaume de Sicile sous Charles I.er et Charles II d’Anjou, Paris, Ernest Thorin, 1891, pp. 30-32; R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., vol. I, pp. 398-399; pp. 607 ss.; più in generale sulla fiscalità angioina G. GALASSO, Il Regno di Napoli: il Mezzogiorno angioino ed aragonese (1266-1494), in A. V., Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, Torino, Einaudi, 1992, vol. XV, tomo 1, pp. 53-55; J.-M. MARTIN, Fiscalité et économie étatique dans le royaume angevin de Sicile à la fin du XIII.e siècle, in A. V., L’Etat Angevin, pouvoir, culture et société entre XIII.e et XIV.e siècle (Atti del Colloquio internazionale Roma-Napoli, 7-11 novembre 1995), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1998, pp. 601-648; S. MORELLI, Giustizieri e distretti fiscali nel Regno di Sicilia durante la prima età angioina, in A. V., Medioevo Mezzogiorno Mediterraneo. Studi in onore di Mario Del Treppo, a cura di G. Rossetti e G. Vitolo, Napoli, Liguori, 2000, vol. I, pp. 301-323; EAD., Una prima ricognizione sul sistema di prelievo fiscale nel Mezzogiorno angioino, in Atti del Convegno Fiscalidad y sociedad en el

Page 30: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

29

Non si trattava tuttavia, di là dalle espressioni ricorrenti nei documenti angioini93, di una concessione spontanea ma di un sussidio richiesto dai sovrani ovvero imposto per necessità primarie e prevalenti di ordine pubblico, principalmente connesse alla difesa del Regno94. Quanto al sussidio deliberato per finanziare i lavori di costruzione del duomo napoletano, però, non si trattò verosimilmente di un donum, non ricorrendo, infatti, le indicate finalità di difesa del Regno, o gli altri eventi eccezionali previsti, ma appunto di una decisione spontanea dell’universitas, richiedente però pur sempre la definitiva autorizzazione del sovrano.

A quanto ammontava complessivamente questo sussidio? Considerando che, con tutta la cautela e l’approssimazione del caso a fronte di dati frammentari e incerti, sulla base delle notizie documentali disponibili, si stima, che nel 1268 Napoli contasse complessivamente 5.000-6.000 fuochi o focolari (focularia), e cioè nuclei famigliari composti, in teoria, di sei persone ciascuno, ripartiti in 3.750-4.500 fuochi in città, e in 1.250-1.500 nei casali, pari a 30.000-36.000 abitanti95, e che nel 1320 i fuochi sarebbero giunti al numero di 9.004, dei quali 6.670 per la città, e 2.334 per i casali96, calcolando la media matematica sull’incremento del numero dei fuochi tra il 1268 e il 1320 in mancanza di dati intermedi più precisi,

Mediterraneo bajomedieval (Malaga, 17-20 maggio 2006), in corso di stampa. La già menzionata Constitutio super ordinatione Regni Siciliae, in Les registres d’Honorius IV, cit., p. 75, riprendendo la legislazione di Guglielmo II, prescriveva, peraltro, che le collette potessero essere indette solo in quattro casi: pro defensione terre, per non oltre 50.000 once; pro regis persona redimenda, per non oltre 50.000 once; pro militia sua, per non oltre 12.000 once e pro maritanda sorore, per non oltre 15.000 once. Per il rendiconto di una subventio generalis a carico della universitas civium di Napoli, cfr. I fascicoli della Cancelleria Angioina. Il fascicolo 9 olim 82. Il computo del capitano Guglielmo di Recuperanza (1299-1301), a cura di B. Ferrante, Napoli, presso l’Accademia Pontaniana, 1995. 93 «Donum factum nobis ab hominibus Neapolis, que Universitas semper erga excellentiam nostram sicut evidentium experientia operum claruit prompta fuit in subveniendo nobis… illam ex dono promisit pecunie quantitatem», per l’11 febbraio della XIV indizione, anno solare 1301, in M. CAMERA, Annali, cit., vol. II, p. 82. Sull’esosità del fisco angioino, che per le imposte dirette non prendeva in considerazione l’effettiva capacità contributiva quanto piuttosto dati estrinseci quali il numero dei contribuenti per provincia, è ben nota l’osservazione del giurista Sebastiano Napodano (1298-1362): «quoniam singulis mensibus sex collectae exiguuntur, et pro illarum actionibus usque ad sacculum et peram et tegularum avulsionem miseri Regniculi exiguuntur per erarios deputatos..., qui postquam erant bene impinguati et impennati subtili ingenio in fine eos depennabant et excoriabant», citata in G. PALLANTE, Memoria per la riforma del Regno: Stanfone, 1735-1737, a cura di I. Ascione, Napoli, Consorzio editoriale Fridericiana, A. Guida, 1996, p. 288. 94 R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., vol. I, pp. 613-614. 95 K. J. BELOCH, Storia della popolazione d’Italia, Firenze, Casa Editrice Le Lettere, 1994, pp. 113-114, p. 132. 96 A. FILANGIERI DI CANDIDA, L’evoluzione della popolazione della Campania dal XIV al XVIII secolo, in Working paper del Centro per la formazione in economia e politica dello sviluppo rurale, Dipartimento di economia e politica agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, 2, 2002, pp. 4-5.

Page 31: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

30

per il 1299, anno dell’accennata deliberazione del sussidio da parte dell’università, con riguardo a un possibile numero di 7.400-7.800 fuochi, da moltiplicare per il numero delle settimane in un biennio (104), e dunque dei grani dovuti per ciascun focolare, si ottiene che il sussidio doveva ammontare a 769.600-811.200 grani, pari a once 1.282-1.352 circa, somma corrispondente quasi al gettito della generalis subventio per un biennio, ascendente, infatti, complessivamente a 1.384 once, 16 tarì e 8 grani97. Sembra peraltro che i tempi previsti per l’esazione non fossero stati poi effettivamente rispettati, poiché, infatti, il 27 settembre del 130398, re Carlo fu costretto a scrivere al capitano delle città di Napoli e Pozzuoli ordinandogli di costringere l’università di Napoli a versare all’arcivescovo Giacomo le somme già da molto tempo promesse in opus dicte fabrice convertende, e che non erano state ancora versate. In effetti, l’esazione delle somme promesse nel 1299 avrebbe dovuto concludersi, considerando l’anno indizionale, già nel mese di agosto del 1301, poiché il biennio decorreva appunto dal 1° settembre 1299 al 31 agosto del 1301. Il sovrano che già aveva autorizzato la decisione dell’universitas intervenne dunque anche per garantirne l’effettiva esecuzione a favore dell’arcivescovo di Napoli. I napoletani, comunque, potrebbero aver sovvenzionato i lavori della cattedrale anche in altro modo. Il duomo, infatti, almeno secondo un recente tesi, avrebbe presentato fin dall’origine cappelle

97 Napoli, in occasione della generalis subventio, era tassata complessivamente per 692 once, 8 tarì e 4 grani d’oro, e cfr. C. MINIERI RICCIO, Notizie tratte da 62 registri angioini dell’Archivio di Napoli che fanno seguito agli studi storici fatti sopra 84 registri angioini, Napoli, Tip. R. Rinaldi e G. Sellitto, 1887, p. 160, dalla «cedula generalis subventionis imposite in Iustitieratu Terre Laboris et Comitatus Molisii ann. IV Indictionis» del 9 ottobre 1320; si trattava peraltro di una somma costante, e, infatti, Giovanna II, ancora nel 1418, restituì alla città (universitas) la gabella del buon danaro, sottratta all’amministrazione cittadina da Giovanna I, «cum membris subcabellis juribus et pertinentiis suis omnibus», riservandosi solo la somma equivalente appunto al gettito della colletta dovuta in once 692, tarì 8 e grani 4, come risulta dai diplomi del 20 dicembre 1418 ed 8 novembre 1419, per poi affittarla nel 1430, e cfr. Catalogo ragionato dei libri, registri e scritture esistenti nella sezione antica o prima serie dell’Archivio Municipale di Napoli compilato da Bartolommeo Capasso, Napoli, F. Giannini, 1876, I p. 68; la somma imposta per la colletta si ripartiva nelle quote di 506 once per Napoli e di 186 once per i suoi casali secondo K. J. BELOCH, Storia della popolazione d’Italia, cit., p. 179, infine, da un documento del 13 settembre 1291 si ricava che il gettito della generalis subventio ammontava a 668 once e 9 grani per i cittadini di Napoli e casali cui si aggiungevano 24 once e 15 grani per gli ebrei, e cfr. Le carte di Léon Cadier, cit., doc. 130, p. 120. Per un recente dibattito sulla corretta deducibilità di dati demografici attendibili da quelli fiscali delle collette, cfr. A. FENIELLO, Les campagnes napolitaines à la fin du Moyen Âge: mutations d’un paysage rural, Rome, École française de Rome, 2005; B. D’ERRICO, Sulla popolazione dei Casali di Napoli in epoca angioina, in «Rassegna storica dei Comuni d’Italia», XXXII (n. s.), 2006, n. 134-135, pp. 35 ss.; ID., Ancora sulla popolazione dei Casali di Napoli in epoca angioina, ibidem, n. 138-139, pp. 50 ss. 98 B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., p. 11, nota 1.

Page 32: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

31

laterali99, così che, pur mancando documentazione a tale riguardo, le maggiori famiglie della città avrebbero potuto acquistare anticipatamente i relativi patronati100. La cattedrale non era lontana dal sedile nobiliare di Capuana, posto all’inizio del vicolo che ora ne porta il nome, e perciò fu oggetto dell’interesse dei nobili ascritti allo stesso, come accadde per altre importanti chiese napoletane prossime ai seggi cittadini101. Proprio nella cattedrale, e specificamente nella cappella dei Minutolo102, il 22 settembre del 1500, al fine di stabilire le modalità di aggregazione al sedile di Capuana si tenne il capitolo dei nobiles de li aienti, e cioè dei membri delle familiae adventitiae dei Boccapianola, Somma, Loffredo, Filomarino, Carbone, Crispano,

99 In tal senso C. BRUZELIUS, Le pietre, cit., p. 106; G. GUIDARELLI, La ricostruzione angioina, cit., p. 198; invece, secondo V. LUCHERINI, La cattedrale di Napoli, cit., p. 290 e pp. 290-291, nota 103, le cappelle laterali di patronato privato sarebbero state aggiunte solo in seguito alla struttura originaria. Occorre a tal proposito rilevare che la cappella di Loffredo Filomarino (cfr. la successiva nota 103), nel lato sinistro della cattedrale, si presentava in origine quasi del tutto chiusa da un muro che la separava dalla navata, e, ancora, che la cappella di S. Ludovico di Tolosa, fondata da Filippo d’Angiò, principe di Taranto, tra il 1313-1317 e il 1326 (al riguardo, cfr. M. GAGLIONE, Sulla pretesa commissione dei monumenti sepolcrali durazzeschi in Napoli da parte di Margherita d’Angiò-Durazzo nel 1399, in «Napoli nobilissima», V serie, 3, 2002, pp. 113-134, in part. p. 133, nota 73) a ridosso del transetto sinistro, non aveva in origine alcun accesso dalla cattedrale, come conferma Pietro Summonte nella sua lettera del 20 marzo del 1524 a Marc’Antonio Michiel, scrivendo che: «In la ecclesia di Santo Loisi, quale sta adnexa, dalla parte di fora, all’archiepiscopato, son pure cose delli discepoli di Iocto, delli quali uno fin ad questo tempo si nomina Farina», in F. NICOLINI, L’arte napoletana e la lettera di P. Summonte a M. A. Michiel, Napoli, Ricciardi, 1925, p. 160; l’ingresso alla cappella era invece dal cortile sul quale si affacciava il seminario, mentre l’accesso attuale dal transetto fu aperto solo nel 1581 quando l’arcivescovo Annibale di Capua fece della cappella la sacrestia della cattedrale, e cfr. F. STRAZZULLO, Restauri del Duomo di Napoli tra ‘400 e ‘800, Napoli, Edizioni Fondazione Pasquale Corsicato, 1991, p. 16, nota 24, in entrambi i casi si trattò dunque di oratori contigui alla cattedrale ma non posti in rapporto di continuità con lo spazio architettonico e liturgico di quest’ultima. C’è da sperare che i lavori di restauro in corso possano fornire ulteriori e più precise indicazioni in proposito, considerando anche che, proprio nel corso di tali lavori, nella parete destra cappella Seripando è stata rinvenuta traccia di una finestra gotica che dimostrerebbe che la serie delle cappelle laterali, almeno dal lato sinistro della cattedrale, non raggiungeva il transetto, presentandosi dunque, verosimilmente, come corpo aggiunto alla navata laterale. 100 Per un cenno all’ipotesi dei finanziamenti derivanti dall’assegnazione delle cappelle laterali alle famiglie private, cfr. N. BOCK, I re, i vescovi e la cattedrale, cit., p. 143, nota 29; in generale, sulla comparsa delle cappelle laterali, cfr. C. TOSCO, Committenti, cappelle e reliquie nel tardo Medioevo, in A. V., Santuari cristiani d’Italia: committenze e fruizione tra Medioevo e età moderna, a cura di M. Tosti, Roma-Perugia, École française de Rome-Provincia di Perugia, pp. 96-97; C. TOSCO, Il castello, la casa, la chiesa. Architettura e società nel medioevo, Torino, Einaudi, 2003, pp. 76-81; sulle cappellanie e le cappelle, cfr. anche M. BACCI, Investimenti per l’aldilà. Arte e raccomandazione dell’anima nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, pp. 134 ss. 101 Per i rapporti tra i nobili del seggio di Nido e il convento di S. Domenico Maggiore, cfr. G. VITOLO, Ordini mendicanti e nobiltà a Napoli: San Domenico maggiore e il seggio di Nido, in A. V., Le chiese di san Lorenzo e san Domenico. Gli Ordini mendicanti a Napoli, a cura di S. Romano, N. Bock, Napoli, Electa, 2005, pp. 10 ss.; per i rapporti tra i nobili del seggio di Montagna e il convento di S. Lorenzo maggiore, cfr. R. DI MEGLIO, Ordini mendicanti e città: l’esempio di san Lorenzo maggiore di Napoli, ibidem, pp. 15 ss. 102 C. TUTINI, Dell’origine e fundatione de’ Seggi di Napoli, in Napoli, appresso il Beltrano, 1644, pp. 115-117.

Page 33: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

32

Aiossa, Dentice, Cossa, Arcella, Orsini, Tocco, Barrile, Guindazzo, Seripando, Lagnì e Colonna, che costituivano uno dei tre ordini, quartieri o membri del sedile, mentre gli altri due erano quelli dei Capeci (Cacapice), formato dalle famiglie Galeota, Minutolo, Scòndito, Latro, Zurlo, Piscicelli, Aprano, Tomacelli, Bozzuto, e, infine, dei Caracciolo, formato dalle famiglie Caracciolo, Caracciolo Rossi e Caracciolo Pisquizi. In effetti, molti membri di queste famiglie furono sepolti in duomo, come confermano le iscrizioni riportate nella letteratura periegetica, e i monumenti ancora superstiti, che, tuttavia, riferiscono date obituarie concentrate soprattutto tra gli inizi e la metà del Trecento. Senza considerare le sepolture attestate in S. Restituta, edificata precedentemente, e i sepolcri successivi al 1350, si ricordano soprattutto i monumenti funerari di numerosi personaggi delle famiglie Filomarino103, Caracciolo104, Piscicelli105, Capece106, Minutolo107, Carbone108 e Tocco109.

103 Nella cappella di S. Nicola dei Filomarino, prospettante sulla navata destra, acquistata dalla Deputazione del Tesoro di S. Gennaro l’11 aprile del 1607 per far posto alla costruenda cappella del Tesoro di S. Gennaro, erano i monumenti sepolcrali di Giovanni Filomarino, ciambellano di re Roberto (†21 settembre 1336); di Riccardo Filomarino (†30 novembre 1335) e di Giovanni Filomarino, figlio di Covello detto Ienuese (†20 settembre 1301) e cfr. C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 18; nell’altra cappella dei Filomarino prospettante sulla navata sinistra sono ancora oggi le memorie sepolcrali di Loffredo Filomarino, siniscalco del duca di Calabria, (†3 aprile 1335), e dei figli Trudella (†25 settembre 1335), Carlo (†25 gennaio 1325), e Gregorio (†1 marzo 1324), le cui iscrizioni sono menzionate da C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 33. Questa seconda cappella dei Filomarino era anche nota come cappella del Sacro crisma e risultava originariamente non aperta sulla navata ma chiusa pressoché integralmente da un muro. L’accesso era consentito da una: «porticina antichissima ad arco e soglia di piperno, e sopra due stemmi marmorei Filomarino, cioè quei delle bande e gli altri dei gigli», e nei pressi era «un angusto finestrino ma lungo ad arco gotico, che, nel suo vano ornato pure di piperno, aveva altra cancellata di ferro», e ancora al di sopra era un’ulteriore finestra grande munita di cancellata di ferro onde consentire la visione della navata dai locali della confraternita dei Neri di S. Restituta, come precisato nella Memoria di Michele Cito Filomarino del 1884, pubblicata da F. STRAZZULLO, Restauri, cit., p. 202. 104 Covello Caracciolo (†1326), e cfr. C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 17; Nicola Caracciolo, figlio di Bernardo (†17 novembre 1328), e cfr. C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 18; Matteo Caracciolo, protonotario apostolico (†26 maggio 1314); Marino Caracciolo, detto Marinozzo, sepolto nel mezzo del coro della cattedrale, con interessante epigrafe che ricorda gli oneri liturgici, la dotazione della cappellania e che gli utensilia necessari erano custoditi nella sacrestia del duomo: «Hic iacet corpus spectabilis Marini Caraczuli dicti Marinoczi qui obiit anno domini 1310 pro cuius anima debet celebrari in aurora omni die in altare maiori missa presbyter Antonius Imperator, presbyter Iacobus Nicia, Antonius de Auria, hebdomadarii habent auri uncias duas, tarenos novem de molendino ubi dicitur ad Dullon [ad Dullolum, a Dogliuolo] et de censibus in platea Portus prope Mirallatum [admirallatum] auri tarenos XXVII, quae pecunia est annexa prebendis eorum cum onere et honore et in ipsa missa debent recipi omnia necessaria de sacristia maioris Ecclesiae de quibus omnibus apparet instrumentum in authetica forma effectum», e cfr. C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 33. 105 Nella cappella di S. Caterina e Margherita dei Zurlo, soppressa sempre per consentire la costruzione della cappella del Tesoro di S. Gennaro, erano i sepolcri di Pietro Piscicelli Zurlo, detto Quarra, signore di Fossaceca (†11 settembre del 1342) e della madre Giovanna Caracciolo (†11 novembre 1330), e cfr. C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 18; vi è anche ricordo del sepolcro di Martuccio Piscicelli Zurlo, figlio di Berteraimo Piscicelli (†1324) e della stessa

Page 34: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

33

Purtroppo, come si è anticipato, non risultano notizie di fonte documentaria o letteraria sulle modalità e i tempi dell’acquisizione dei relativi patronati. Per quanto concerne la famiglia Filomarino, tuttavia, secondo alcune memorie epigrafiche del secolo XVII esistenti nella cattedrale e nella basilica di S. Giorgio maggiore, nel 1298, e dunque quando i lavori dell’edificio angioino erano ancora in corso, per disposizione di Carlo II, Giovanni Filomarino trasferì appunto nella cattedrale, e specificamente nella cappella di S. Nicola posta nel lato destro della chiesa, le spoglie dei suoi antenati già collocate nella cappella gentilizia fondata e dotata, nell’anno 1080, dal dominus Marino di Matteo Filomarino, e posta nella Plevis Sancti Georgii catholice maioris quod est ecclesia Seberiana110. Qualche nuovo apporto finanziario, infine, dové probabilmente venire dai legati testamentari pro fabrica dei quali sussistono peraltro scarsissime notizie soprattutto per gli anni tra il 1299 e il 1315111,

Giovanna Caracciolo, e cfr. C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 19, nonché del miles Enrico Capece de Domo Domnae Oraniae dictus de Aprano (†18 gennaio 1328), e cfr. S. AMMIRATO, Delle Famiglie nobili napoletane, parte seconda, in Firenze, Per Amadore Massi da Furlì, 1651, p. 35. 106 C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 21, menziona i sepolcri di Pietro Capece Baraballo, canonico cimeliarca della cattedrale (†28 maggio 1333) e di Berdella Piscicelli detta Capece (†19 aprile 1343), moglie di Enrico Capece Baraballo († 1 gennaio 1360), tutt’ora esistenti nel transetto destro. 107 Filippo Minutolo (†1303) e Orso Minutolo (†1327), e cfr. C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 22. 108 C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 19, riporta l’iscrizione funebre di Masone Carbone del 6 gennaio 13(...). 109 C. D’ENGENIO, Napoli sacra, cit., p. 22, riferisce le iscrizioni di Guglielmo Tocco, ciambellano del principe di Taranto (†22 settembre 1335), e del figlio abbate Nicola (†18 aprile 1347), nella cappella di S. Aspreno, acquistata però in patronato da Pietro di Tocco, conte di Martina, con atto del notaio Pietro Zerola solo il 7 febbraio del 1370, e cfr. il Catalogo di tutti gli edifizi sacri della città di Napoli e suoi sobborghi, tratto da un ms. autografo della chiesa di s. Giorgio ad forum, a cura di S. D’Aloe, in «Archivio storico per le province napoletane», 8, 1883, p. 115. 110 Nella cattedrale è segnalata la seguente iscrizione del 1647: «Huius templi Aedicula/ Sepulcro exceptus/ Vt Ianuario Magno Neapolis Patrono daretur locus/ Quo Io. Philamarinus ex D. Georgij Maioris Templo/ Maiorum suorum transtulerat cineres MCCIIC»; in S. Giorgio maggiore invece: «Templum a Magno Constantino hic positum/ a Philamarina Gente/ Peruetusta olim illustratum Aedicula/ Quam annuis redditibus/ Marinus Philamarinus Matthaei filius/ Praeclaro tunc Domini titulo insignis Anno MLXXX auita pietate dotauit/ Ioannes Philamarinus anno MCCIIC/ Caroli II/ iussu/ In Pontificalem Basilicam hinc transtulit», che fu posta dai Pii Operai nel 1650 nei pressi dell’altare maggiore per commemorare la concessione a loro favore dell’antica chiesa Severiana da parte dell’abate Francesco Filomarino, e cfr. C. DE LELLIS, Parte seconda, overo supplimento a Napoli sacra di don Cesare d’Engenio Caracciolo, in Napoli, per Roberto Mollo, 1654, p. 14; p. 21; pp. 44-45. 111 Il 7 agosto del 1299, Giovanna Tornupardo (de tribuno Pardo), vedova di Giacomo Cacapice Parrillo, legò 2 tarì in illa opera Sanctae Neapolitanae Ecclesiae; il 23 novembre 1312 il miles Othus (Ottone) Melia legò una somma di danaro non meglio precisata a beneficio fabricae S. Neapolitane ecclesiae; il 18 aprile 1315 Gaitelgrima Cacapice de Dopna (Domna, Domina) Orania dicta Parrillo, vedova del miles Tommaso Cacapice di Sorrento, detto Grosa o Grosso (dictu Groxu de Sirrento), legò una somma di danaro non meglio precisata fabricae maioris Ecclesiae neapolitanae, e cfr. ms. Chiese antiche di Napoli, cit., ff. 15, 15v, 18v. Si discute, infine, della effettiva riferibilità alla cattedrale di un legato pro fabrica di 7 tarì e mezzo contenuto nel testamento di Giovanna Pignitore del 14 febbraio 1308, e cfr. R. DI MEGLIO, Napoli 1308: una

Page 35: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

34

tranne che nel caso del successivo testamento della regina Maria d’Ungheria del 1323, che conteneva un legato di ben 40 once destinate Maioris Neapolitane Ecclesie pro opere ipsius et missis cantandis112. Sulla base delle pur parziali notizie raccolte, è quindi possibile quantificare approssimativamente l’entità dell’apporto finanziario dei diversi protagonisti della fondazione della cattedrale. Come si è osservato, re Carlo II, dal 1296 e almeno fino al 1314 o 1315, per poco meno di vent’anni, destinò all’edificazione della cattedrale la quota delle decime che, conteggiando i soli iura vetera, non sarebbe stata in realtà dovuta alla Chiesa napoletana. Non è possibile quantificare, come si è già rilevato, l’entità dell’apporto in mancanza di dati precisi, ma anche se si fosse trattato solo di 50 once su una media di 300 corrisposte all’anno, si sarebbero conseguite complessivamente ben 1.000 once nel ventennio. A queste dovevano aggiungersi le 900-1.000 once di risparmio fiscale maturate in dieci anni per l’esenzione da ius exiturae sul frumento esportato dall’arcivescovo, nonché le 50 once pagate a valere sull’introito della generalis subventio, e, infine, le circa 43 once per il risparmio fiscale sull’esportazione del miglio, per giungere complessivamente a 2.000-2.100 once circa. L’università di Napoli, invece, avrebbe dovuto versare circa 1.282-1.352 once in un periodo sensibilmente più ristretto, e cioè, secondo l’originaria previsione, negli anni 1299-1301, a fronte invece del rilevato carattere pluriennale delle sovvenzioni regali. L’arcivescovo di Napoli, sulla base dell’unico referto documentale preciso a questo riguardo, destinò de suo, infine, circa 128 once risultanti dalla vendita del miglio esportato113. Certamente, peraltro, la Chiesa napoletana doveva avere fin dai

città cantiere, in «Archivio storico per le province napoletane», 123, 2005, pp. 93-107, il testamento è pubblicato alle pp. 108-113, e M. GAGLIONE, Sulla fondazione della chiesa e dell’ospedale di S. Antonio Abate in Napoli, in «Scrinia. Rivista di archivistica, paleografia, diplomatica e scienze storiche», 4, 2007, pp. 95-96, e nota 30 ibidem. 112 Dal rendiconto degli esecutori testamentari del 31 maggio 1326, e cfr. B. CANTÈRA, L’edificazione, cit., pp. 18-19, e già C. MINIERI RICCIO, Saggio di codice diplomatico formato sulle antiche scritture dell’Archivio di Stato di Napoli, Napoli, F. Furchheim, 1883, Supplemento, parte II, doc. LXXXIII, pp. 101 ss., in part. pp. 120-121: «Subscriptis ecclesiis et personis aliis legatis ipsis per prefatam dominam Reginam in suo ultimo testamento pecunie quantitates subscriptas videlicet… Maiori Neapolitane Ecclesie pro opere ipsius et missis cantandis uncias quadraginta». Come si è peraltro già accennato (cfr. supra la nota 40), un documento del 1308, menziona una cappella fondata dalla regina Maria nella stessa cattedrale. 113 Nel documento del 1294 già esaminato (cfr. la precedente nota 59) non è detto che il ricavato della vendita delle 1.000 salme di frumento l’anno fosse destinato ai lavori della cattedrale, comunque, sulla base dei prezzi già indicati, può quantificarsi il loro valore in 266 once e 20 tarì l’anno, e cioè ad oltre 2.702 once nel decennio.

Page 36: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

35

primi secoli del cristianesimo un patrimonio immobiliare114 del quale non è comunque ben nota la redditività né la continuità nel tempo,

114 Anzitutto, le fonti menzionano il patrimonio fondiario donato da Costantino attingendo alla propria res privata, e le suppellettili sacre offerte dallo stesso imperatore. Secondo l’Autore del Liber pontificalis, nella biografia di Silvestro, che pontificò dal 314 al 335: «Eodem tempore fecit Constantinus Augustus basilicam in ciuitate Neapolim, cui obtulit haec: patenas argenteas II, pens. sing. lib. XXV; scyphos argenteos II, pens. sing. lib. X; calices ministeriales XV, pens. sing. lib. II; amas argenteas II, pens. sing. lib. XV; fara argentea XX, pens. sing. lib. VIII; fara aerea XX. Fecit autem formam aquaeductus per milia VIII; fecit autem et forum in eadem ciuitatem et donum optulit hoc: possessio Macari, praest. sol. CL; possessio Cimbriana, praest. sol. CV; possessio Sclina, praest. sol. CVIII; possessio Afilas, praest. sol. CXL; possessio Nymfulas, praest. sol. XC; possessio insula cum castro, praest. sol. LXXX», e cfr. H. GEERTMAN, Hic fecit Basilicam. Studi sul Liber Pontificalis e gli edifici ecclesiastici di Roma da Silvestro a Silverio, Leuven, Peeters, 2004, pp. 188-189; E. SAVINO, Campania Tardoantica (284-604 d.C.), Bari, Edipuglia, 2005, pp. 27, 30, 31, 35 (per l’identificazione delle località corrispondenti alle possessiones donate); M. J. JOHNSON, The Constantinian Churches of Campania: Texts and Contests, in A. V., Apolline Project, vol. I: Studies on Vesuvius’ North Slope and the bay of Naples, a cura di G. F. De Simone e R. T. Macfarlane, Napoli, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, 2009, pp. 247 ss. Il menzionato (Fecit autem formam aquaeductus…) acquedotto augusteo del Serino fu restaurato nei mesi tra luglio e dicembre del 324 d. C., e cfr. E. SAVINO, Campania Tardoantica, cit., pp. 25, 30, 35, 222; E. COSIMI, Fons Augusteus. Le mura d’Arce di Sarno ed il doppio canale di Palma Campania, in «Gradus», 3, 2008, pp. 23-42. A questa deve aggiungersi la già esaminata concessione dell’imperatore Enrico VI: «super terris Montis Grilli, startia maris mortui de Putheolis, portu de Jubinul... et ecclesia Sancti Angeli de Zippio» (cfr. la precedente nota 50). Alla Chiesa napoletana spettavano anche i beni immobili delle soppresse diocesi di Miseno (B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 88; R. CALVINO, Diocesi scomparse, cit., p. 68, con bibliografia) e di Cuma (cfr. supra alla nota 57). Inoltre, aveva vassalli oltre che a Napoli, anche ad Afragola, Secondigliano, Casoria, Agnano, Panicocoli (Villaricca), Casandrino, Giugliano, Carpignano (Mugnano), Campignano, S. Salvatore de Monialibus (presso Afragola), Lanzasino (presso Arzano), e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 263-265; ms. Chiese antiche di Napoli, cit., ff. 6, 286v, 287v, 288, 290v, 291rv, 294v; altri vassalli infine a S. Pietro a Patierno (cfr. supra la nota 57), e sul rapporto di vassallaggio nei riguardi della Chiesa Napoletana, cfr. C. CERBONE, Afragola feudale, per una storia degli insediamenti rurali del Napoletano, Frattamaggiore, Istituto Studi Atellani, 2004, pp. 27-30. Secondo una notizia riferita dal giurista Matteo d’Afflitto (ca. 1447-1523), inoltre, il casale di Torre del Greco fu concesso alla Chiesa napoletana, verosimilmente in epoca ducale, in pagamento delle decime presenti e future: «Audio ex fama, per quam probantur facta antiqua quod Turris Graeca quae fuit Casale Universitatis Neapolis pro tota decima praeterita et futura tradita fuit maiori ecclesia Neapolitana», e cfr. G. CASTALDI-F. CASTALDI, Storia di Torre del Greco, Torre del Greco, Tipografia elzeviriana Barnaba Cons di Antonio, 1890, pp. 20-21. Il ms. Chiese antiche di Napoli, cit., riporta numerosi transunti e regesti di documenti relativi al patrimonio della Chiesa di Napoli: f. 6v (a favore della chiesa cattedrale di Napoli, ob reverentia beati Januarii, mandato della Regia Camera relativo all’immunitas fiscale, indirizzato a Coluccio d’Afflitto di Scala dohanerius seu fundicarius maioris fundici et dohanae Neap., dal RA 1446 f. 46t); f. 7v, (Landolfo Capece Latro chierico, cimeliarca della cattedrale, ha il possesso di case in platea Capuana spettanti al cimeliarcato); ff. 15v e 16 rv (beni immobili di S. Restituta); f. 286v (greggi e diritti di pascolo nel bosco di Silva Mala e vassalli a Scafati); e cfr. anche l’atto di Carlo I del 24 settembre 1269, in B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 174-175); 290 (re Ladislao, l’11 aprile 1404 disponeva la salvaguardia dello jus herbagii dell’arcivescovo di Napoli contro numerosi abitanti delle villae e casali di S. Agnello ad cambranam, Casavaleria, S. Giorgio, Serino e S. Giovanni ad tuduczulum, in B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 259), e per altre notizie, cfr. lo stesso ms. ai ff. 291rv-292; 292v-293; 303v. L’arcivescovo Giovanni Orsini ordinò la confezione di un «catastum bonorum ecclesiarum omnium civitatis Neapolis», solennemente pubblicato il 2 dicembre del 1353, che costituiva un «inventarium praegrande… in pergameno conscriptum», conservato originariamente nell’arcivescovato, e che, ovviamente, doveva contenere anche l’inventario dei beni e diritti della Chiesa napoletana, ma che, purtroppo, è andato perduto; accanto a questo era anche un registro dei censi e dei diritti dell’Ospedale di S.

Page 37: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

36

ma, quanto alla costruzione della cattedrale, ad eccezione della già ricordata notizia dello stanziamento del ricavato della vendita del miglio, non sono precisamente documentati altri pagamenti o finanziamenti da parte degli arcivescovi per servire ai lavori. In ogni caso, come si è già ricordato, il reddito annuo massimo dell’arcidiocesi di Napoli, comprendente le decime regali e tutti gli altri introiti e rendite patrimoniali, non superò mai, secondo le stime ed in mancanza di dati precisi, le 1.000 once d’oro, valore massimo quest’ultimo che, come si è detto, dev’essere considerato comunque eccezionale, e che certamente non potè essere impiegato integralmente per finanziare i lavori di costruzione dell’edificio. D’altra parte, occorre ricordare che proprio negli anni dei primi sovrani angioini e anche durante la costruzione del duomo gli introiti della Chiesa napoletana si rivelarono spesso insufficienti a far fronte anche a spese ordinarie di modesta entità115.

I documenti angioini esaminati, nel confermare che soprattutto Carlo II non mancò di assicurare un importante sostegno economico alla fabbrica della cattedrale, consentono però di dedurre che il sovrano, e per esso la Curia regis, non gestì direttamente i finanziamenti reali, e non ne controllò l’impiego, come invece era accaduto nei cantieri delle fondazioni di Carlo I. Nel cantiere del monastero cistercense di Realvalle preso Scafati, ad esempio, il

Attanasio redatto da Ilario de Palude da Parma nel 1336, e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 223; per qualche parziale estratto da copie successive del catastum, cfr. L. PARASCANDOLO, Memorie storico critiche diplomatiche della Chiesa di Napoli, cit., vol. II, p. 119, nota 3 (beni spettanti alla Chiesa napoletana in Miseno); vol. III, p. 58, nota 15 (beni spettanti alla Chiesa napoletana in Cuma); vol. III, p. 88, nota 6 (feudi e feudatari della Chiesa napoletana). 115 Così l’arcivescovo Aiglerio, per poter far fronte alle spese di viaggio necessarie per recarsi al Concilio di Lione, fu costretto a richiedere a Carlo I l’anticipazione del pagamento delle decime, e il sovrano la concesse con provvedimenti del 14 e del 19 gennaio del 1274, e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 175; come emerge da provvedimenti pontifici del 29 dicembre 1302 e del 24 gennaio 1303, l’arcivescovo Giacomo da Viterbo aveva richiesto a papa Bonifacio VIII l’autorizzazione a contrarre un prestito di ben 6.500 fiorini d’oro, pari a 1.300 once: «tam pro tuis [dell’arcivescovo] necessariis quam pro Ecclesie Neapolitane negotiis apud Sedem Apostolicam expediendis utiliter, te subire oporteat magna onera expensarum», le somme furono mutuate da «Balducio Floravanti et Iohanne Puccii de Pistorio de Clarento et a Facio Miczoli et Nicolao Galligari de Florentia mercatoribus de Scalarum Societatibus». Occorre considerare anche che il 7 gennaio del 1303 l’arcivescovo Giacomo aveva promesso: «pro communi servitio domini pape et collegii XVII card. 2.000 flor. auri et altra duo consueta servitia pro familiaribus eorumdem» da corrispondersi otto giorni prima del Natale del 1303, poi, l’11 gennaio 1303 era stata data la «executoria de mutuo pro Jacobo, archiepiscopo neapolitano», ed, effettivamente, Giacomo aveva provveduto al pagamento come risultava dall’annotazione del solvit, dunque, essendo il servitium commune pari a un terzo delle rendite annuali della diocesi, tali rendite dovevano ammontare in quel periodo a circa 6.000 fiorini, ovvero a 1.200 once, e cfr. U. MARIANI, Chiesa e Stato nei teologi agostiniani del secolo XIV, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1957, pp. 85 ss., nota 2; p. 86, rendite che evidentemente non bastavano tanto da rendere necessario il ricorso ad un prestito addirittura superiore alle stesse.

Page 38: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

37

giustiziere di Principato somministrava agli expensores operis non solo i fondi necessari per i lavori ma procurava anche le maestranze e i materiali. Le entrate e le uscite erano annotate dagli expensores su di un apposito registro, ed anche il prothomagister e i due praepositi dell’Ordine cistercense tenevano un registro delle uscite. La documentazione contabile era dunque formata e registrata in modo da consentire controlli incrociati sulle spese anche da parte del giustiziere e dei maestri razionali116. Nulla di tutto ciò è invece attestato per la cattedrale napoletana, inoltre, gli stessi documenti angioini confermano che i finanziamenti reali erano versati direttamente all’arcivescovo o a un suo procuratore e non a un funzionario reale117, ed è dunque proprio l’arcivescovo, legato peraltro da complessi rapporti patrimoniali con il re118, che,

116 Per l’organizzazione dei primi cantieri angioini cfr. R. FORGIONE, L’abbazia di Santa Maria di Realvalle: lettura storico-critica delle fonti per un’ipotesi di configurazione dell’impianto angioino, in «Apollo», XX, 2004, pp. 25-67, in part. pp. 33-36, e M. L. DE SANCTIS, L’abbazia di Santa Maria di Realvalle: una fondazione cistercense di Carlo I d’Angiò, in «Arte medievale», II serie, VII, n. 1, 1993, pp. 153-196, e in part. pp. 155-157; e, più in generale, V. FRANCHETTI PARDO, Città, architetture, maestranze tra tarda antichità ed età moderna, Milano, Jaca Book, 2001, pp. 89 ss. 117 Ad esempio, nel provvedimento relativo alla corresponsione delle 50 once (e cfr. la precedente nota 63), si dice che il pagamento deve essere fatto: «venerabili in Cristo patri domino I. Dei gratia archiepiscopo neapolitano… vel suo pro eo nuncio». Quanto ai provvedimenti relativi al pagamento delle decime, compresa la quota destinata specificamente ai lavori della cattedrale, gli stessi sono destinati, ovviamente, direttamente all’arcivescovo ovvero ai suoi procuratori. 118 In alcune occasioni, poiché evidentemente disponeva di maggiore liquidità, l’arcivescovo Filippo prestò danaro al re. Carlo II, per le esigenze del Regno, chiese ed ottenne un prestito di complessive 500 once d’oro, 400 somministrate da mercanti, e 100 dall’arcivescovo di Napoli, dietro il pegno di vasi d’oro e di argento, e di un elmo (galea) d’oro ed un piatto d’oro, cui peraltro il solo arcivescovo rinunciò. Il 25 luglio 1294, Carlo dispose che l’erario di Terra di Lavoro corrispondesse 500 once al magister rationalis della Magna curia Pietro Bodin per il pagamento, tra l’altro, di 100 once all’arcivescovo in restituzione del prestito, e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 181, (e per un «compotum et apodixa Saducti de Adria magister rationalis» della Magna curia e del panecterius Giovanni Roci entrambi statutis super officio grafferiis hospitii regii nel quale era attestata la ricezione di 100 once mutuate dall’arcivescovo di Napoli al re nel 1294, cfr. ms. Chiese antiche di Napoli, cit., ff. 289 e 299, gli altri mutuatori erano i mercanti Gado Gambacorta di Pisa per 200 once, e un Guelficio per 100). Il 4 febbraio del 1301, lo stesso Filippo prestò 100 once di carlini di argento pro urgentibus necessitatibus a Carlo II, e, in particolare, per il pagamento delle spese di trasporto del grano della Regia curia dalla città di S. Maria (Lucera) a Napoli, dove doveva essere venduto per mitigare la carestia imperversante, e così il re stabiliva che con il primo denaro ricavato dalla vendita venisse poi rimborsato lo stesso arcivescovo, e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 184. Vi è poi notizia di una «promissio [provisio?] pro excomputandis» della somma di 200 once a favore dell’arcivescovo Filippo e del clero dell’arcidiocesi, già offerta in subsidium dictae guerrae, in ms. Chiese antiche di Napoli, cit., f. 288. Ancora, nel 1300, l’arcivescovo Filippo, a seguito della concessione da parte del papa a re Carlo II di un’annata di decime pontificie, pagò personalmente al sovrano angioino, in camera regia, la decima dovuta da lui stesso e dai chierici della sua diocesi al pontefice, originariamente da esigersi dal collettore apostolico, l’arcivescovo di Benevento, per 192 once e 26 tarì su 200 once d’oro complessive, e Carlo rilasciò quindi quietanza con lettere patenti del 4 settembre 1300, e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., p. 184. Nell’elenco di baroni e feudatari tassati pro confectione teridarum (teridi o taridi, e cioè navi da guerra leggere usate per il trasporto di cavalli e soldati) l’arcivescovo di Napoli era stato tassato per 60 once, e cfr. ms. Chiese antiche di Napoli, cit., f. 290v.

Page 39: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

38

verosimilmente, gestì e amministrò direttamente i fondi reali destinati alla costruzione della sua cattedrale. Non deve d’altra parte dimenticarsi che proprio l’arcivescovo Filippo Minutolo, durante la costruzione della cattedrale napoletana, fu incaricato dal sovrano della cura aedificii dell’Ospedale di S. Marta di Tripergole presso Pozzuoli, di fondazione reale, e, in particolare, della gestione dei fondi occorrenti ai lavori, come si ricava da un documento del 1301119, segno questo di evidente apprezzamento per le qualità amministrative del prelato, qualità già emerse probabilmente proprio in occasione della costruzione del duomo.

Ritornando ora alla costruzione della cattedrale napoletana, può dunque cautamente ipotizzarsi, benché non sia noto alcun documento al riguardo, che l’arcivescovo avesse deputato all’amministrazione finanziaria e contabile e alla direzione dei lavori alcuni ecclesiastici e laici di sua fiducia, realizzando così una sorta di fabrica in embrione, destinata peraltro, a quel che può supporsi, a cessare di operare una volta conclusi i lavori della cattedrale stessa.

4. Il finanziamento dei lavori di manutenzione straordinaria: crolli e ricostruzioni.

Pur in mancanza di precise notizie documentali, può ragionevolmente ritenersi che, una volta terminati i lavori di costruzione della cattedrale, alla manutenzione ordinaria dell’edificio abbiano provveduto esclusivamente gli arcivescovi. Per quanto invece riguarda la manutenzione straordinaria sono invece noti alcuni interessanti documenti.

Una supplica indirizzata da Giovanni III Orsini, arcivescovo di Napoli (1327-1358), a papa Clemente VI (1342-1352), accenna a un

119 Re Carlo II, che aveva deciso intorno al 1298 la costruzione dell’ospedale di S. Marta di Tripergole a Pozzuoli «pro pauperibus qui pro suis morbis ad balnea puteolana confluerent», incaricò della cura dell’edificio (aedificii cura) l’arcivescovo Filippo, cui venivano pagate le somme necessarie ai lavori, come nel caso delle 135 once d’oro dovute alla Regia curia dall’università di Ascoli Satriano in Capitanata, e per il relativo provvedimento del 19 aprile 1301, cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 184-185, e L. PARASCANDOLO, Memorie storico critiche diplomatiche della Chiesa di Napoli, Napoli, dalla tipografia di P. Tizzano, 1849, vol. III, p. 100, (per un mandato indirizzato a Filippo, arcivescovo di Napoli, per la consegna al nobile Gentile di S. Giorgio, capitano generale di Principato e di Terra di Lavoro, di 50 once percepite dall’arcivescovo stesso sui proventi regi di Pozzuoli da impiegare per la costruzione dell’ospedale, cfr. ms. Chiese antiche di Napoli, cit., f. 288). Sull’Ospedale cfr. anche M. CAMERA, Annali, cit., pp. 77 e 177; R. GIAMMINELLI, Sulla topografia di Tripergole da documenti inediti e poco noti. L’ospedale di Santo Spirito e la Chiesa di Santa Marta, in «I Campi Flegrei. Bollettino di storia, scienze e arte», seconda serie, I, 2004. Per la concessione dell’amministrazione della struttura sanitaria da parte di Carlo II agli ospitalieri di S. Spirito in Saxia di Roma, cfr. G. DROSSBACH, Christliche caritas als Rechtsinstitut: Hospital und Orden von Santo Spirito in Sassia (1198-1378), Paderborn-München-Wien-Zürich, Ferdinand Schöningh, 2005, pp. 193, 208, 276.

Page 40: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

39

crollo della cattedrale verificatosi improvvisamente il 1° aprile del 1343, indipendentemente da eventi sismici. Scriveva, infatti, l’arcivescovo: Giovanni, arcivescovo di Napoli, rappresenta alla Santità Vostra che la chiesa cattedrale napoletana, che era stata sontuosamente costruita come edificio ampio ed eminente, particolarmente grande in altezza e larghezza, il giorno primo di aprile appena trascorso è improvvisamente crollata per gran parte, e ciò che resta è esposto a sua volta al pericolo di crollo se non sarà celermente sorretto utilizzando colonne o altri adeguati sostegni. Il crollo si è verificato, così come si ritiene, anzitutto perché fin dall’originaria costruzione l’edificio fu realizzato su fondamenta deboli, e, inoltre, a causa della fragilità di quelle parti, compresi i pilastri, che per il grande peso e per la loro poca resistenza erano corrose e sono state, infatti, rinvenute quasi ridotte in polvere. Per tali ragioni il predetto arcivescovo, considerando che la stessa chiesa cattedrale è crollata già tre volte in breve tempo, si propone di provvedere a che l’edificio sia riparato in modo tale da poter durare integro a lungo, e, comunque, pur non intendendo risparmiare in alcun modo per l’esecuzione di questi lavori, poiché a causa della grandiosità e sontuosità dell’opera le risorse finanziarie disponibili non sono sufficienti, supplica umilmente la Santità Vostra affinché, così come fece il Vostro predecessore di santa memoria, papa Niccolò IV, che concesse diciotto anni d’indulgenza e diciotto quarantene120 a tutti coloro che avessero prestato il loro aiuto per la costruzione della cattedrale di Orvieto fino al completamento dei lavori, voglia concedere anche a coloro che aiuteranno a portare a termine la ricostruzione della cattedrale napoletana un’analoga indulgenza fino al completamento dei lavori stessi o, comunque, l’indulgenza che Vostra Santità riterrà più opportuna121.

Clemente VI, con fiat dato ad Avignone il 10 maggio del 1343, limitò però l’indulgenza concessa a un solo anno e una sola quarantena. Dalla supplica è quindi possibile ricavare che l’entità dei danni

120 Periodo di quaranta giorni. 121 «Significat S. V. Iohannes, archiep. Neapolitanus, quod eccl. Neapolitana, que in eminentibus et amplis edificiis opere nimium sumptuoso constructa erat, et in altitudine ac latitudine maxima pro magna parte die primo mensis aprilis proxime preteriti subito corruit et residuum est ruine expositum nisi ei celeriter de columpnis et aliis oportunis sustentaculis succurratur, quod contigisse, dicitur, pro eo quod ab inicio posita fuit supra debile fundamentum et etiam propter molliciem lapidum illarum partium, qui infra pilaria, propter magnam gravedinem et ipsorum molliciem, corrosi inter se et quasi redacti in pulverem sunt reperti, et licet idem archiep. ipsam eccl., que iam ter a non longo tempore citra corruisse dicitur, taliter reparare proponat, quod sit opus perpetuo duraturum, et super hoc laboribus et expensis parcere non intendat, quia tamen ad tam grande tamque sumptuosum opus sue non suppetunt facultates, humiliter supplicat, quatenus, more pie me. d. Nicolai pp. IIII, predecessoris vestri, qui omnibus fabrice eccl. Urbevetane manus porrigentibus adiutrices decem et octo annos et decem et octo quadragenas, usque ad ipsius eccl. consummationem, de indulgentiis concessit, porrigentibus manus adiutrices operi eiusdem Neapolitane eccl., usque ad consummationem ipsius, similem indulgentiam, vel prout V. S. placuerit, dignemini misericorditer elargiri», in Regesta Chartarum Italiae. Le suppliche di Clemente VI, a cura di T. Gasparrini Leporace, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1948, vol. I, p. 227, doc. n. 535; per l’esame del documento, cfr. M. GAGLIONE, Crolli e ricostruzioni, cit., pp. 55-72.

Page 41: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

40

conseguenti al crollo era tale da rendere necessari interventi di riparazione, ovvero di ricostruzione, particolarmente dispendiosi, cui lo stesso arcivescovo avrebbe inteso provvedere direttamente e senza risparmio (super hoc laboribus et expensis parcere non intendat), ma poiché le sue risorse non erano sufficienti (non suppetunt facultates), e al fine di incoraggiare la contribuzione dei napoletani, l’Orsini ritenne opportuno chiedere la concessione dell’indulgenza di diciotto anni e diciotto quarantene che era stata già rilasciata da Niccolò IV a beneficio di chi avesse prestato aiuto per la costruzione della cattedrale di Orvieto122. Di un eventuale intervento finanziario reale per la ricostruzione della cattedrale napoletana in quest’occasione non sussistono invece notizie, così come, in realtà, neanche del successo poi concretamente riscosso dal provvedimento di papa Clemente. Altri gravi guasti furono arrecati all’edificio dal terremoto che il 10 settembre del 1349 colpì l’Italia centro-meridionale e soprattutto

122 Questa particolare concessione non è tuttavia menzionata negli Statuti e regesti dell’Opera di Santa Maria di Orvieto raccolti e pubblicati nel sesto centenario dalla fondazione del Duomo da Luigi Fumi, a cura dell’Accademia storico-giuridica di Roma, Roma, Tipografia Vaticana, 1891. Mentre, infatti, negli Statuti del 1421 si accenna ad una indulgenza generale concessa da papa Niccolò IV («ecclesiam...quam recolende memorie quondam S. P. et D. Nicolaus P. P. iiij cum sua Curia illis temporibus apud dictam Urbevetanam civitatem degens suis manibus ipse fundavit, et generalem omnium peccatorum veniam indulxit cunctis fidelibus et devotis dictam Ecclesiam visitantibus et pro eius Fabrica manus porrigentibus adiutrices», in Statuti e regesti, cit., p. 5), il 21 agosto del 1292 papa Niccolò, con bolla indirizzata all’universitas urbevetana, rilasciò una indulgenza di un anno ed una quarantena a chi avesse prestato il suo aiuto per la fabbrica dell’edificio (Statuti e regesti, cit., pp. 89-90, doc. VII). In precedenza, il 13 dicembre 1289, lo stesso pontefice aveva concesso l’indulgenza sempre di un anno ed una quarantena a chi avesse visitato in certe festività (Natività, Purificazione, Annunciazione ed Assunzione della Vergine) la chiesa di S. Maria e la cappella di S. Costanzo (Statuti e regesti, cit., pp. 85-86, doc. IV); quanto alle concessioni di indulgenze ad opera dei suoi successori, cfr. Statuti e regesti, cit., pp. 90-91, doc. VIII (7 agosto 1296, Bonifacio VIII con bolla indirizzata sempre all’universitas concede indulgenza di un anno ed una quarantena a chi presti il suo aiuto alla costruzione); p. 91, doc. IX (3 novembre 1297, Bonifacio VIII con bolla indirizzata sempre all’universitas, su richiesta [expositio] del vescovo e del capitolo, poiché «ad consumationem dicti operis non suppetant facultates» concede indulgenza di cento giorni a chi presti il suo aiuto per la costruzione); p. 91, doc. IX (bis) (3 novembre 1297, Bonifacio VIII concede l’indulgenza di due anni e due quarantene a chi visiti la chiesa e a chi presti il suo aiuto per la costruzione); p. 92, doc. X (25 marzo 1327, Giovanni cardinale diacono di S. Teodoro, legato pontificio, concede centoquaranta giorni d’indulgenza a chi presti aiuto per la costruzione); pp. 92-93, doc. XI (13 febbraio 1344, Clemente VI concede indulgenze diverse, tra i quaranta e i cento giorni, a chi visiti il duomo in occasione della festa del Corpus Domini e successiva ottava); pp. 93-94, doc. XII (1 aprile 1349, il cardinale Annibaldo, vescovo di Frascati, legato pontificio in procinto di recarsi nel Regno di Sicilia, rivolgendosi all’universitas, sempre per ottenere subsidia ad fabricam, concede un’indulgenza di cento giorni); p. 95, doc. XIII (24 gennaio 1377, Gregorio XI estende a chi visiti il duomo di Orvieto nel giorno del Corpus Domini o ne aiuti la fabbrica le stesse indulgenze stabilite dai Pontefici suoi predecessori a favore di chi visitava la basilica di S. Pietro nella festività dell’apostolo). Più in generale, sul ruolo di Niccolò IV quale principale promotore della costruzione: L. RICCETTI, Le origini dell’Opera, Lorenzo Maitani e l’architettura del Duomo di Orvieto. In margine al disagio di una storiografia in A. V., Opera. Carattere e ruolo delle fabbriche cittadine fino all’inizio dell’età moderna. Atti della tavola rotonda di Villa “I Tatti”del 3 aprile 1991, a cura di M. Haines e L. Riccetti, Firenze, Leo Olschki, 1996, pp. 157-256.

Page 42: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

41

Roma, ove, tra l’altro, furono danneggiate le basiliche di S. Paolo e di S. Giovanni in Laterano, come ricorda Francesco Petrarca123. A Napoli, secondo Matteo Villani, rovinarono al suolo il campanile e la facciata della chiesa cattedrale124. Il referto del Cronista fiorentino sembrerebbe attestare in quest’occasione danni più contenuti di quelli derivanti dal crollo del 1343, ma, in realtà, è molto probabile che al momento del sisma la cattedrale in precedenza crollata non fosse stata ancora integralmente ricostruita. Gli arcivescovi che ressero la Chiesa napoletana negli anni successivi si trovarono dunque ad affrontare anche il problema delle riparazioni, e, certamente, ancora nel 1360 i lavori non erano ancora conclusi, come confermano le lettere di papa Innocenzo VI, del 25 giugno di quell’anno, concernenti la concessione d’indulgenze a beneficio di tutti coloro che avessero prestato il loro aiuto per la ristrutturazione dell’edificio, e a vantaggio dei fedeli che avessero assistito alla celebrazione delle feste maggiori nella stessa cattedrale125. La concessione di queste stesse indulgenze fu molto probabilmente richiesta dell’arcivescovo Bertrand de Maisonnais (de Meyshonesio)126, che era stato nominato il 4 giugno 1354, e che morì

123 «Ecce, quod adhuc forsan ignoras, Roma ipsa insolito tremore concussa est tam graviter ut ab eadem urbe condita, supra duo annorum milia, tale ibi nichil acciderit. Cecidit edificiorum veterum neglecta civibus stupenda peregrinis moles; turris illa toto orbe unica que Comitis dicebatur, ingentibus rimis laxata dissiluit et nunc velut trunca caput, superbi verticis honorem, solo effusum despicit; denique ut ire celestis argumenta non desint, multorum species templorum, atque in primis Paulo Apostolo dicate edis bona pars humi collapsa et Lateranensis ecclesie deiectus apex, Iubilei ardorem gelido horrore contristant; cum Petro mitius est actum» (Fam. XI, 7), in Francisci Petrarcae, de rebus familiaribus et variae, a cura di G. Fracassetti, Firenze, Le Monnier, 1862, vol. II, p. 122. 124 «In questo anno, a di 10 di settembre, si cominciarono in Italia tremuoti disusati e maravigliosi, i quali in molte parti del mondo durarono più di … Nella città di Napoli [il tremuoto] fece cadere il campanile, e la faccia della chiesa del vescovado e di santo Giovanni maggiore, e in assai altre parti della città fece grandi rovine, con poco danno degli uomini», così la Cronica di Matteo Villani a miglior lezione ridotta coll’ aiuto de’ testi a penna con appendici storico geografiche compilate da Francesco Gherardi Dragomanni, Firenze, Sansone Coen Tipografo-Editore, 1846, vol. I, cap. XLV, pp. 53-54. Anche l’Anonimo romano nella sua Cronaca aveva dedicato all’evento l’intero capitolo XXII, Dello terratriemulo lo quale fu in Italia, che però è andato perduto. Per ulteriori riferimenti, con riguardo anche alla diversa datazione al 1° anziché al 10 di settembre, cfr. F. PAPENCORDT, Cola di Rienzo ed il suo tempo, Torino, Giuseppe Pomba e comp. editori, 1844, p. 252, nota 1. Altre fonti riferiscono che il terremoto si verificò invece all’alba del 9 settembre, e cfr. M. BARATTA, I terremoti d’Italia, Milano, Bocca, 1901, pp. 51 ss. 125 É. G. LÉONARD, Histoire de Jeanne I.ère: reine de Naples, comtesse de Provence (1343-1382), Monaco-Paris, Imprimerie de Monaco, 1932-1936, vol. III, p. 394, nota 1, che cita dal Reg. Aven. Innocentii VI, t. 24, ff. 560 e 562. 126 In genere, il cognome viene indicato come de Meissenier o Meissonnier, ma, in realtà, si tratta di de Maissonais, da una villaggio del Limousin, e cfr. J. NADAUD, Nobiliaire du diocèse et de la généralité de Limoges, Limoges, V. H. Ducourtieux-Chapoulaud frères, 1863-1882, vol. IV, p. 296; A. LECLER, Monographie du Canton de Saint-Mathieu, in «Bulletin de la Société Archéologique et Historique du Limousin», 31, 1883, pp. 38-39; E. NÈGRE, Toponymie générale de la France, Genève, Librairie Droz, 1998, vol. III, p. 1415. Per un breve profilo biografico di

Page 43: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

42

il 30 ottobre del 1362. L’arcivescovo Bertrand cercò verosimilmente di provvedere alla ristrutturazione dell’edificio anzitutto impiegando le proprie risorse, e infine, come documentano le lettere del suo

quest’arcivescovo, cfr. H. BRESC, La correspondance, cit., p. 12, nota 1; B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 231-232. Da una lettera precedente il 3 settembre del 1363 inviata dal collettore della Camera apostolica Gualferio, abate di S. Severino maggiore in Napoli, al Camerario papale Arnaud Aubert (in H. BRESC, La correspondance, cit., pp. 59-67, doc. n. 22), si ricava anzitutto che l’arcivescovo Bertrand aveva ottenuto da papa Innocenzo VI la speciale autorizzazione a fare testamento, e aveva nominato esecutori con il compito di pagare i suoi debiti personali e di eseguire i legati, i canonici della cattedrale napoletana Bartolomeo Prignano, poi arcivescovo di Acerenza e dottore in decretali, Gagliardo de Siuracho, Giovanni de Pardella che era il segretario di Bertrand, e Pandolo de Surponto, nonché, come principale esecutrice, la stessa sovrana, Giovanna I, la quale aveva delegato in sua vece il giudice Vittore de Dura, segretario reginale. Gli atti compiuti dagli esecutori dopo la morte dell’arcivescovo furono però ben presto oggetto di severe censure per la lesione dei diritti della Camera apostolica. Anzitutto, non si riuscivano a trovare i beni mobili del defunto e, d’altra parte, gli esecutori si erano preoccupati di redigere adeguatamente l’inventario delle attività relitte solo molto tempo dopo la morte dell’arcivescovo, indicando peraltro le sole rendite della mensa arcivescovile e dei funerali, senz’alcuna menzione dei cospicui beni mobili dispersi, inoltre, il collettore apostolico aveva intimato la consegna dei beni spettanti alla Camera solo il 26 maggio del 1363, sicché, nel frattempo, come osservava amaramente il nuovo arcivescovo, «et interim alii non dormierunt», anzi, ben svegli, si erano preoccupati di involare tutto il possibile (in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 4, pp. 11-12, lettera di Pierre Ameilh, del 5 giugno 1363, al Camerario papale Arnaud Aubert; doc. n. 5, pp. 13-14, altra lettera di stessa data e tenore indirizzata a Gaucelme de Déaux, tesoriere di papa Urbano V). Gli esecutori, poi, avevano rifiutato di attribuire alla Camera apostolica 44 once e mezza ricavate dai diritti de funeralibus sostenendo che tale somma era stata destinata al pagamento dei debiti indicati dall’arcivescovo nel suo testamento e dei legati a favore di famigliari e servitori (per inciso, da una lettera del 3 settembre 1363, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. 41, pp. 88 ss., in part. p. 91, emerge che dai mortorii si ricavavano 200 fiorini annui). Avevano inoltre trattenuto libri, ornamenti ecclesiastici, danaro, oggetti preziosi (jocalia) e vasi d’argento, depositandoli presso la certosa di S. Martino, nonostante che, il 2 aprile dello stesso anno, fosse stato reso noto e pubblicato un provvedimento di papa Urbano V che autorizzava il collettore a richiedere ed a ricercare i beni del defunto per la loro attribuzione alla Camera apostolica. Perciò l’abate Gualferio intimò agli stessi esecutori, con l’esclusione però della Regina e del suo delegato per ovvie ragioni di riguardo nei confronti della prima, di restituire tutto quanto sopra indicato, ma costoro si appellarono adducendo di aver agito conformemente ad un privilegio concesso da papa Innocenzo VI. Alla fine, comunque, furono costretti alla restituzione di tutti i beni contenuti in coffris et maletis tra i quali anche 137 once d’argento; gli stessi beni contenuti in coffris et maletis, e cioè in bauli (cofferum, coffrum da intendersi come cista, archa, secondo C. DE FRESNE DU CANGE, Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis, Francofurti ad Moenum, ex officina Zunneriana apud Johannem Adamum Jungium, 1710, coll. 1148-1149) e, probabilmente, in borse, poi, vennero depositati presso il mercante Andrea de Riccardi e i suoi soci (cfr. H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 22, pp. 63-64). L’arcivescovo Ameilh, in particolare, scrivendo a Gaucelme de Déaux, il 3 settembre 1363, in ordine alla distrazione dei beni ad opera degli esecutori, osservava: «[Ecclesia Neapolitana] que est omnino ruinata et que fuit totaliter depredata in duabus preteritis vacationibus non quidam per Cameras, sed per quasdam malas personas, quia uterque predecessor meus tempore mortis [i. e. pestis] morabantur extra ecclesiam et portaverant omnia secum», lamentando le difficoltà incontrate per le sue spese quotidiane, perché non aveva ricevuto né la sesta né la quarta parte dei beni relitti del suo predecessore, e aveva invece consegnato ai collettori apostolici quanto rimaneva, (e cioè alcuni documenti, lectisterniis e minutis utensilibus, mentre erano scomparsi i libri ecclesiastici, gli ornamenti e il vino), e anche tutto quanto era stato sottratto e poi recuperato. Lamentava, infine, di non disporre di utensili se non quelli che aveva portato con sé dalla Francia, oltre a qualche arnese per la cucina, e chiedeva perciò un prestito di 1.000 fiorini, su somme che il collettore pontificio doveva pagare, prestito che l’arcivescovo contava di restituire al momento della vendita del vino greco, cfr. H. BRESC, La correspondance, cit., p. 91, doc. n. 41.

Page 44: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

43

successore, l’arcivescovo Pierre Ameilh127, stabilì nel suo testamento un legato di 340 botti di vino greco acetoso e avariato128, destinando il ricavato della sua vendita a beneficio della fabbrica della cattedrale, definita nell’atto integralmente rovinata al suolo per effetto del terremoto129. Questa disposizione, però, non poté essere utilmente eseguita. Poco dopo la morte dell’arcivescovo Bertrand, infatti, il capitolo cattedrale, senza attendere l’arrivo del successore, vendette il vino greco acetoso oggetto del legato a Giovanni Zurlo e Marino Caracciolo, nobili cavalieri del seggio di Capuana, ricevendone, sembra, denaro da impiegare appunto per le riparazioni della cattedrale130. A seguito di un’ingiunzione dell’arcivescovo Ameilh comminante la scomunica, i due nobili napoletani ammisero di avere acquistato dal capitolo cattedrale il vino per il prezzo convenuto di 100 once, e di conservarne ancora 311 botti, ma di non essere in grado di provare adeguatamente l’avvenuto pagamento. L’arcivescovo Ameilh dispose dunque la vendita del vino rimanente, del valore di circa 300 fiorini131. Da parte loro, lo Zurlo e il Caracciolo lamentarono di aver acquistato il vino esclusivamente animati dalla devozione religiosa e non a fini speculativi, poiché, infatti, non erano mercanti132, mentre i nobili di Capuana e di altri seggi cittadini, oltre che i chierici, lamentarono che i provvedimenti adottati dal nuovo

127 Per un profilo biografico di quest’arcivescovo eletto il 9 gennaio del 1363, e rimasto in carica fino al 1365: D. AMBRASI, Tre arcivescovi napoletani di nazionalità francese. Ayglier, Pierre Amiel, e Guillaume de’ Guasconi, in «Campania sacra» I, 1970, pp. 10-15, docc. nn. 1-2, pp. 22-28; H. BRESC, La correspondance, cit., pp. XXX-LXXII. 128 Il vino greco divenuto poi aceto risaliva alla vendemmia del 1360, e cfr. le due lettere del 23 aprile 1364, pubblicate da H. BRESC, La correspondance, cit., pp. 218-219, doc. n. 105; pp. 221-222, doc. n. 107. 129 «Trecentas et quadraginta vegetes de greco acetoso et corrupto pro fabrica majoris ecclesie Neapolis que passa fuit totalem ruinam tempore terremotus», in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 22, p. 65, lettera scritta prima del 3 settembre 1363. 130 H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 22, p. 65: «Certam pecuniam ab eisdem militibus pro reparatione dicte ecclesie receperunt, ut dicebatur». 131 Di conseguenza, era necessario incaricare una persona di provate capacità perché si occupasse della vendita stessa, ma l’impresa non era affatto agevole perché molte navi avevano già lasciato il porto di Napoli cariche di vino, né vi erano al momento compratori di aceto, che, in genere, veniva utilizzato misto all’acqua proprio sulle navi per il consumo: «Regulariter in navibus ponitur acetum in aliqua quantitate pro potu aqua mixtum»: H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 22, p. 65. Occorreva conseguentemente provvedere anche alla custodia delle botti fino appunto alla vendita o ad altra decisione, svuotando i cellaria, ovvero i magazzini presi in affitto per il deposito delle botti, proprio per fare spazio al nuovo vino greco frutto della vendemmia appena conclusa. 132 H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 22, p. 66: «Dicti milites fecerunt dictam emptionem jam dicti greci in favorem capituli et dicte fabrice predicte ecclesie Neapolis cui afficiuntur quia non sunt mercatores nec consueverunt mercari et multi sunt murmurantes contra me [Golferius], specialiter clerici et nobiles dicte platee et regionis Capuane et aliarum platearum circumstantium dicte ecclesie Neapolitane de reservatione facta quo ad fabricam et reparationem ipsius ecclesie cujus ruynam et defectum dicunt dominum nostrum quando fuit in partibus istis oculata fide vidisse, que reservatio dictam reparationem seu fabricam videtur impedire».

Page 45: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

44

arcivescovo ritardavano le riparazioni della cattedrale. Il vino acetoso legato dall’arcivescovo Bertrand, tuttavia, non era stato ancora venduto nel 1364, dopo quasi quattro anni dalla vendemmia, e, probabilmente, non fu venduto mai133. Le lettere dell’Ameilh conservate in un registro dell’Archivio Vaticano134, d’altra parte, confermano che il vino greco costituiva allora la principale entrata della Chiesa napoletana135, e che al buon esito della sua vendita era legato soprattutto il pagamento degli oneri gravanti sull’arcivescovo quali il servitium136, le procurationes137

133 Si vedano ancora le due lettere del 23 aprile 1364, pubblicate da H. BRESC, La correspondance, cit., pp. 218-219, doc. n. 105; pp. 221-222, doc. n. 107. Peraltro gli esecutori testamentari dell’arcivescovo Bertrand avevano venduto anche il vino greco nuovo, quello cioè della vendemmia del 1362, che si raccoglieva in occasione della festa di Ognissanti, sicché l’arcivescovo Ameilh ne trovò solo una botte e due carretellos, e cioè due barili o botti piccole, e si lamentò perciò di esser stato costretto a vivere elemosinando: «Oportuit me vivere mendicando», e si veda H. BRESC, La correspondance, cit., p. 673, doc. n. 450 (s. d.), ed anche p. 222, doc. n. 107, lettera del 23 aprile 1364, nella quale l’Ameilh dichiarò: «Vere pauperus sum». 134 Registro dal titolo di «Copie litterarum missarum per dominum domino nostro pape, cardinalibus et aliis… », conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano, armadio VIII, vol. 9, opportunamente pubblicato, come si è detto, da Henri Bresc. 135 «Cum Ecclesie Neapolitane reditus quasi omnes consistant in vindemiis», dalla lettera dell’arcivescovo Ameilh del 12 novembre del 1365 indirizzata al papa, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 291, pp. 459 ss., in part. p. 460; e già in una lettera del 2 novembre 1363: «fructus istius Ecclesie quasi totaliter sunt in greco», in questa stessa missiva l’arcivescovo ci informa del fatto che la Chiesa napoletana conseguiva in media 1.000 caude di vino, benché appunto nel 1363 se ne fossero ricavate solo 680, in H. BRESC, La correspondance, cit., pp. 118-120, doc. n. 53, in part. p. 119; la cauda, quauda o queue era una misura vinaria e annonaria francese di valore variabile, ad esempio a Parigi equivaleva a litri 402-419 ca., in altre regioni della Francia a 365-410 litri ca., e cfr. H. DOURSTHER, Dictionnaire universel des poids et mesures anciens et modernes, Bruxelles, M. Hayez Imprimeur de l’Académie Royale, 1840, p. 456, alla Chiesa napoletana sarebbero dunque spettati circa 400.000 litri di vino greco l’anno; ad ogni modo, il vino greco della stessa Chiesa si vendeva in media per 6.000 fiorini complessivi ma la cultura vineraum costava 3.000 fiorini, come risulta dalla lettera del 20 agosto 1363 a Gui de Boulogne e Robert de Geneve, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 21, pp. 58-59; dalla lettera del 6 novembre 1363 indirizzata ancora al cardinale Gui de Boulogne emerge che, in genere, si vendemmiava ancora fino ai primi giorni di novembre, che il vino si vendeva in parte a fine vendemmia e in parte a marzo, e che con il ricavato della prima vendita si pagavano le spese della stessa vendemmia, nonché quelle per il fitto dei contenitori e i compensi dei coloni (partionarii) per complessivi 2.000 fiorini, senza contare le somme da anticipare agli stessi coloni per la preparazione delle vigne alla vendemmia dell’anno seguente, e cfr. H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 49, pp. 106 ss., in part. p. 108. Per inciso, proprio in considerazione della lunga vendemmia napoletana, papa Clemente IV, il 5 gennaio 1267, autorizzò la celebrazione della festa di S. Gennaro non più il 19 settembre, ma l’8 maggio: «quod 13 kal. Octobris quo solet huius festi sollemnitas celebrari, singuli vindemiarum occupati laboribus ab ecclesiarum visitationibus necessario retrahantur», e per il testo del provvedimento, cfr. L. LORETO, Memorie storiche dei vescovi ed arcivescovi della Santa Chiesa Napolitana, Napoli, Dalla tipografia arcivescovile dei fratelli de Bonis, 1839, pp. 99-100 ss. Tra gli altri redditi della Chiesa napoletana in questo periodo, in un frammento di registrazioni di esito e introito del 1364, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 468, p. 723, è annotato solo l’introito di 49 tomola di grano ed orzo ricavati in quattro terreni di proprietà, è inoltre noto un inventario del vasellame d’argento redatto nel 1365, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 474, pp. 728-731. 136 Si tratta del servitium commune, il tributo dovuto dai prelati e dagli ufficiali di curia alla Camera pontificia in occasione della loro nomina, conferma o trasferimento, e corrispondente, in genere, ad un terzo dell’introito, per il primo anno di carica, dell’arcidiocesi, diocesi, abbazia o

Page 46: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

45

e la decima pontificia138, e, ovviamente, anche il finanziamento dei lavori di ricostruzione della cattedrale. Il greco napoletano era particolarmente apprezzato, e, comunque, giudicato anche migliore del pur rinomato vino del Beaune139, e veniva esportato a Genova, in

ufficio ricoperto, e distinto dai servitia minuta o diritti di cancelleria, Kanzleigebühren, dovuti per la redazione dei relativi atti, e cfr. A. GOTTLOB, Die Servitientaxe im 13. jahrhundert: Eine Studie zur Geschichte des Päpstlichen Gebührenwesens, Stuttgart, Verlag von Ferdinand Enke, 1903, pp. 13 ss.; pp. 103 ss.; pp. 111 ss.; e per le varie lettere dell’Ameilh relative alla difficoltà economiche incontrate nel pagamento del servitium e di prestiti ricevuti, cfr. H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 43, pp. 93 ss., in part. pp. 94 e 96, lettera del 21 settembre 1363; doc. n. 47, pp. 102 ss., in part. p. 103, lettera del 30 ottobre 1363, ad Anglic de Grimoard, vescovo di Avignone; doc. n. 49, pp. 106 ss., in part. p. 108, lettera del 6 novembre 1363 al cardinale Gui de Boulogne; doc. n. 53, pp. 118 ss., in part. p. 119, lettera del 2 novembre 1363; doc. n. 75, pp. 157 ss., in part. p. 157, lettera del 16 gennaio 1364; doc. n. 108, pp. 222 ss., in part. p. 223, lettera del 23 aprile 1364 a Geoffroy Sapientis e Jean Berno; doc. n. 194, pp. 336-337, lettera del 18 settembre 1364; doc. n. 215, pp. 362 ss. lettera del 26 gennaio 1365 al cardinale Guillaume d’Aigrefueille; doc. n. 216, p. 364, lettera del 25 gennaio del 1365; doc. n. 235, pp. 391-392, lettera del 10 marzo 1365. 137 Cfr. H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 252, pp. 414 ss., lettera del 6 giugno 1365, con la quale l’Ameilh dichiarava di non poter pagare entro il 1° luglio la procuratio annua, e cioè il contributo dovuto a titolo di concorso nelle spese del legato apostolico nel Regno, il cardinale Gil Alvarez Carrillo de Albornoz (1310-†1367); nonché ibidem, doc. n. 253, pp. 416-417, lettera del 6 giugno 1365; doc. n. 255, pp. 418-419, lettera dell’8 giugno 1365; doc. n. 262, p. 425, lettera del 13 luglio 1365. 138 Si veda, con riguardo alla decima triennale, la lettera del 19 settembre 1365, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 275, pp. 439-441, in part. p. 440, dalla quale risulta che tutti i prelati del Regno erano stati invitati dal cardinale de Albornoz a versare un caritativum subsidium, ma anche che gli stessi erano finanziariamente impotentes come ben sapevano i collettori della decima triennale; l’Ameilh osservava: «circa decimarum recollectionem et procurationem legatorum et aliorum onerum communium solvendorum per clerum» che, poiché negli antichi registri dei collettori era indicato solo che lo specifico vescovo o arcivescovo «pro se et clero civitatis et diocesis sue solvit tantum», senza la precisazione dei singoli benefici tassati salvo che per quelli collegiati ed esenti, i prelati procedevano all’esazione ad arbitrium voluntatis, e costringevano anche i sacerdoti sprovvisti di benefici a corrispondere la decima pro scola, e, cioè, sui proventi delle celebrazioni liturgiche. Quanto specificamente all’esazione della decima nella diocesi di Napoli, da una lettera del gennaio 1364 al papa si apprende che la decima pontificia era stata fissata nell’ammontare di fiorini 600 per l’arcivescovo di Napoli, ma l’Ameilh lamentava che il suo reddito annuale, base imponibile della stessa decima, non raggiungeva affatto i 6.000 fiorini, e che, inoltre, in applicazione delle extravagantes di papa Giovanni XXII, da tale reddito doveva comunque essere dedotta la quota della metà pro oneribus, inoltre l’arcivescovo chiedeva la perequazione con gli altri ecclesiastici della diocesi, che, invece della decima parte dei redditi, corrispondevano solo la sessantesima parte delle loro rendite, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 71, pp. 152-153; ancora sull’impossibilità di esigere la decima annuale, ibidem, doc. n. 259, pp. 422 ss. 139 «Grecum anno isto habui parum valde: non potui atingere ad VII.c botas; mitto autem S. V. quasi primitias eo quod bene et munde factum est et spero quod erit bonum et in suo genere melius quam Belna preterito anno missa S. V. per gentes meas», da una lettera a papa Urbano V, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 56, p. 127, s.d. s.l., ma riportato sotto l’anno 1363. Nella lettera del 30 ottobre 1363 indirizzata ad Anglic de Grimoard, l’Ameilh dichiarava di non poter pagare il servitium né per il giorno di Ognissanti né per marzo 1364, mese in cui avrebbe dovuto ricevere il prezzo del vino greco venduto, e richiedeva perciò una dilazione fino a Pasqua, avendo appreso che il suo vino de Beaune dell’anno precedente non aveva alcun valore, perciò inviava alla Curia Avignonese il suo migliore greco, ricavato in quantità inferiore al consueto, sperando di potere in seguito inviarne altro, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 47, pp. 102 ss., in part. p. 103.

Page 47: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

46

Fiandra e in Grecia140, oltre ad essere regolarmente inviato alla Curia pontificia in Avignone141. Accanto all’impegno finanziario degli arcivescovi nella ricostruzione non mancò però l’intervento reale. Con ogni probabilità, infatti, proprio per provvedere ai lavori di costruzione, Giovanna I (1343-1382), succeduta a re Roberto d’Angiò, già durante l’arcivescovato di Bertrand de Maisonnais, e a beneficio di quest’ultimo, riconfermò la corresponsione delle decime sugli introiti doganali della città di Napoli. Il 6 ottobre del 1363, infatti, la sovrana dispose il pagamento delle decime all’arcivescovo Pierre Ameilh, dichiarando appunto di confermare quanto già concesso al suo predecessore l’arcivescovo Bertrand, richiamando espressamente la già esaminata convenzione intercorsa tra re Carlo II e l’arcivescovo Filippo Minutolo, e destinando le somme dovute in eccesso rispetto al consueto ancora una volta alla (ri)costruzione della cattedrale e, terminati i lavori, alla dotazione delle cappelle destinate al culto memoriale: «pro animabus dominorum Abavi, Proavi et Avi nostrorum, Regum Ierusalem et Siciliae», per le anime, cioè, di Carlo I, abavus, quartus pater, trisavolo della sovrana appunto, Carlo II, proavus, bisnonno, e Roberto, avus, nonno142. Le

140 Un mercante dimorante a Napoli riconobbe infatti un suo debito nei confronti del defunto arcivescovo Bertrand per aver in precedenza acquistato vino della Chiesa napoletana per complessive 38 once, tarì 4 e grani 15, nonché il debito di 134 fiorini per una certa quantità di vino greco «missi apud Brujas in Flandria», di fiorini 63 per il vino greco inviato a Genova, e per il vino greco acetoso mandato «in Romanie partibus», da una lettera databile a prima del 3 settembre 1363, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 22, p. 66. Più in generale, sul commercio del vino nel Mezzogiorno medievale, cfr. G. VITOLO, Produzione e commercio del vino nel Mezzogiorno medievale, in «Rassegna storica salernitana», 10, 1988, pp. 65-75. 141 Oltre ai documenti già citati supra alla precedente nota 139, cfr. una lettera del 18 gennaio 1364, ove si accenna ad una galea di Marsiglia giunta a Napoli che avrebbe dovuto trasportare il vino greco ad Avignone, ma che invece preferì far carico di passeggeri, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 78, p. 161 ss.; in una lettera del 10 aprile 1364 al vescovo di Catania, l’arcivescovo Pierre denunciò che nei giorni precedenti una barca diretta ad Avignone era stata assalita e depredata del carico di 53 botti di vino di proprietà dello stesso arcivescovo, ad opera di due imbarcazioni di Trapani che avevano poi portato il carico nell’isola, e chiese pertanto al vescovo di Catania di operare per fargli avere almeno un risarcimento in danaro, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 100, p. 209; e simili ibidem, doc. n. 107, pp. 221 ss. lettera del 23 aprile 1364; doc. n. 144, p. 271, lettera del 12 luglio 1364; doc. n. 144, p. 271, lettera del 12 luglio 1364; doc. n. 227, pp. 378-380, lettera del 25 gennaio 1365. Con una lettera del 22 ottobre 1364, l’Ameilh ringraziò Roberto di Ginevra (1342-1394), allora vescovo di Thérouanne, per la vendita del vino greco da lui curata, senza specificare su quale piazza, e cfr. H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 203, pp. 348 ss. 142 «Huic Petro Archiepiscopo Regina Ioanna exolvi precipit decimas ecclesiae Neapolitanae debitas et solvi consuetas…confirmans litteras ac privilegium ab eadem regina super hoc indultum quondam Reverendo Patri Berterando Neapolitano Archiepiscopo eius praedecessori expresse repetitis pactis et conventionibus inter Regem Carolum secundum, eius abavum, et ecclesiam Neapolitanam eiusque olim Archiepiscopum…et totum illud quod ultra consuetum hactenus ante ordinationem proavitam regiam in quodam eius privilegio dicte Neapolitanae Ecclesiae indulto forsitan persolvetur pro decima praedicta converti debeat in opificio constructionis dictae maioris ecclesiae usque ad debitam perfectionem illius post autem opificii

Page 48: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

47

numerose lettere dell’arcivescovo Pierre a questo riguardo confermano però non solo le difficoltà incontrate dal prelato nell’ottenimento della conferma della concessione delle decime, ma anche quelle occorse nella successiva esecuzione del provvedimento stesso, e le continue suppliche, e richieste di raccomandazione per i pagamenti rivolte dal presule ai cardinali e al pontefice143. Ad ogni

complementum converteretur pro celebrandis divinis officiis pro animabus dominorum eius abavi, proavi, et avi Siciliae Regnum, in quibusdam cappellis provisis seu factis in dicta ecclesia», e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 232-233, che cita il testo delle lettere reginali da una copia del 31 gennaio 1364: «de quibus quidem reginalibus litteris, publicum documentum ac exemplar fuit celebratum in archiepiscopali eius palatio, Petro archiepiscopo petente, publici tabellionis manu, die ultimo Ianuarii 1364 ind. 2, quod in Regiae Siclae archivo asservatur arca G, fasc. 71». Il ms. Chiese antiche di Napoli, ff. 288v e 289v, precisa anche, che su richiesta dell’arcivescovo Pietro fu formato un: «transumptum provisionis pro solutione decimarum... ad cautelam Simonis Cupiani de Neap. dicti Albatelli cabelloti quartatici, actum Neap. per notarium Cristoforum Campanile de Amalfia, anno 1364, arca C, mazzo 54, n. 3», e che «Petrus archiepiscopus Neapolitanus recipit decimam cabellae panis Neap. a Nicolao Lacio de Neap. credenzerio dictae cabellae in anno II indictionis [1° settembre 1363-31 agosto 1364]» dall’arca K, mazzo 13, n. 30. Le cappelle reali, peraltro, erano state a quell’epoca già realizzate come confermano numerosi documenti concernenti i cappellani, e cfr. L. ENDERLEIN, Die Grablegen des Hauses Anjou in Unteritalien. Totenkult und Monumente 1266-1343, Worms am Rhein, Wernersche Verlagsgesellschaft, 1997, pp. 206-208. Si ha in particolare notizia di una provisio pro gagiis indirizzata ai cabelloti della buczaria a favore del presbitero Francesco Sorrentino, canonico cardinale della cattedrale, e cappellano della cappella reale del duomo, da pagarsi a valere sull’introito della cabella zabarellarum, membro della gabella della buczaria di Napoli; il gagium (compenso) ammontava a 3 once annue e fu portato a 6 once con provvedimento di Giovanna I del 9 maggio 1346, e cfr. ms. Chiese antiche di Napoli, cit., ff. 6v, 7v, 8, 16v, e C. MINIERI RICCIO, Studi storici fatti sopra 84 registri angioini dell’Archivio di Stato di Napoli, Napoli, Tipografia di R. Rinaldi e G. Sellitto, 1876, p. 31. 143 Nella lettera del 24 giugno 1363, indirizzata ad Anglic de Grimoard, vescovo di Avignone, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 9, p. 24, l’arcivescovo Pierre si lamentava del fatto che, nonostante la sovrana avesse confermato le decime al suo predecessore, egli era comunque costretto a munirsi di uno specifico mandato della stessa perché gli esattori non intendevano procedere spontaneamente al pagamento, e proprio per ottenere il mandato reginale richiedeva, infine, la raccomandazione del pontefice: «Preterea cum predecessor meus recuperasset pro se et successoribus decimas regales super dohana, tantum ego et quilibet successorum habemus impetrare novum mandatum executorium ut levatores nobis respondeant de decima supradicta ad quod mandatum obtinendum prodessent michi necessarie littere recomendationis domini nostre pape», di analoghi contenuti un’altra lettera successiva al 29 giugno del 1363, allo stesso destinatario, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 13, pp. 35-36; e la lettera della fine di luglio o inizi di agosto del 1363 a Urbano V, ove l’arcivescovo precisava amaramente di non aver ricevuto che parole al posto delle decime: «quod etiam apparet in meo proprio facto duane in qua nondum habere potui nisi verba et tamen novit Altissimus in quanta sum egestate et quantis expensis extraordinariis gravor», in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 18, p. 55; altre analoghe missive ibidem, doc. n. 43, p. 98 (lettera del 21 settembre 1363); doc. n. 54, p. 122 (lettera del 6 novembre 1363). Le difficoltà nel pagamento derivavano dal fatto che l’introito della dogana era stato già tutto incassato e speso: «Domina regina multum gratiose expedivit michi litteram super facto dohane decime pro isto anno inchoato de mense septembris et pro secuturis; dubito tamen quod non poterit habere effectum de magno tempore, quasi jam est quasi recepta expensa tota duhanna vel quasi», da una lettera degli ultimi mesi dell’anno 1363 a papa Urbano V, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 56, p. 126. Per ulteriori ritardi e problemi nel pagamento delle decime, cfr. la lettera del 23 aprile 1364 a Geoffroy Sapientis e Jean Berno, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 108, pp. 222 ss.; nella lettera del 23 aprile 1364 indirizzata al cardinale Gui de Boulogne, l’Ameilh accenna alle lettere reginali super decime Ecclesie mee, in esecuzione delle quali potè ottenere però solo 150 fiorini dei 700 che gli spettavano, ibidem, doc. n. 111, pp. 226 ss.; altre lamentele nel memoriale al vicario Marcus de

Page 49: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

48

modo, è probabile che a seguito dei gravi contrasti politici sopravvenuti con la sovrana e con il gran siniscalco Niccolò Acciaiuoli l’erogazione delle decime sia stata poi interrotta144. L’arcivescovo Ameilh, comunque, in una lettera dell’aprile del 1364145, precisò che la fabbrica della cattedrale napoletana richiedeva ingenti risorse economiche, e, in un’altra missiva del luglio seguente indirizzata a papa Urbano V, osservò poi che i lavori della cattedrale continuavano seppure non speditamente a causa dell’esiguità dei fondi raccolti, dichiarando però di confidare di poter nuovamente celebrare la messa nell’edificio entro la fine dell’anno. Proprio allo scopo di raccogliere fondi, con questa seconda missiva l’Ameilh richiese al pontefice alcune concessioni, e, specificamente: l’assoluzione di taluni scomunicati per ingiurie rivolte all’arcivescovo Giovanni Orsini146, come già era stato concesso al predecessore arcivescovo Bertrand; la conversione di un certo numero di voti di pellegrinaggio a S. Giacomo di Compostela (commutationes votorum Sancti Jacobi usque ad certum numerum); alcune dispense matrimoniali per matrimoni tra consanguinei entro il quarto grado (dispensationes super matrimoniis scienter in quarto gradu consanguineitatis contractis usque ad certum numerum); alcune assoluzioni da scomunica (absolutiones ab excommunicatione cum penitentie impositione)147.

Marcis, del 18 settembre 1364, ibidem, doc. n. 198, in part. pp. 341-343. Dalla già citata lettera del 3 settembre 1363 a Gaucelme de Déaux, tesoriere di Urbano V, risulta che l’arcivescovo stimava che la decima valesse circa 1.500 fiorini l’anno, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 41, p. 91. 144 Cfr. al riguardo M. GAGLIONE, Converà, cit., pp. 437 ss. Anche la vendita del vino greco della Chiesa napoletana fu ostacolata dal siniscalco reale Ligorio (Gurrello) Zurlo; in particolare, i mercanti non osavano comprare il vino dell’arcivescovo, che gli avrebbe assicurato un incasso di 500-600 fiorini, perché lo Zurlo intendeva confiscarlo e venderlo con la motivazione ufficiale del finanziamento dei lavori di riparazione della città di Napoli (pro reparatione civitatis Neapolitanae), in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 227, pp. 378-380, lettera del 25 gennaio 1365; lo Zurlo, poi, oltre a minacciare i mercanti perché non acquistassero il vino, intimidiva i marinai che avrebbero dovuto trasportarlo, in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 228, pp. 381, lettera del 25 gennaio 1365. 145 Lettera del 23 aprile 1364, ad Arnaud Aubert, camerario apostolico: «Fabrice ecclesie Neapolis que multum indiget», in H. BRESC, La correspondance, cit., doc. n. 107, pp. 221 ss. 146 Si tratta probabilmente di alcuni membri della famiglia Minutolo, e, in particolare, di un Filippo detto Pallocta, di un Ursillus, e di Giovanni Fraynaldi Minutulus e di altri complici che, per motivi non meglio noti, aggredirono l’arcivescovo Giovanni al suo rientro all’arcivescovato da una visita al monastero benedettino dei SS. Severino e Sossio. I Minutolo tesero un agguato al presule nei pressi della chiesetta di S. Stefano ai Mannesi, lo fecero cadere da cavallo e lo colpirono con armi e pietre, e solo l’intervento della gente ne impedì l’omicidio. Gli aggressori furono puniti con la scomunica e l’interdetto, disposti da papa Innocenzo VI con provvedimento del 27 ottobre 1355, ma, in seguito, grazie anche alle pressioni esercitate da Giovanna I, ottennero la revoca delle sanzioni ecclesistiche, e cfr. B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 228-230. 147 Lettera del 5-12 luglio 1364, in H. BRESC, La correspondance, cit., pp. 261-262, doc. n. 135: «Sane, Pater beatissime, fabrica istius ecclesie Neapolitane continuatur, gratia Dei, sed satis

Page 50: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

49

Non è noto tuttavia se il completamento dei lavori sia poi effettivamente avvenuto entro il 1364, ad ogni modo, un transunto eseguito nel 1376 dei precedenti provvedimenti di Giovanna I riguardanti le decime sembrerebbe poter attestare la prosecuzione dei lavori di ricostruzione della cattedrale ancora a quella data, e, comunque, confermare almeno che l’erogazione delle decime in conformità alla nota convenzione tra re Carlo II e l’arcivescovo Filippo era ripresa durante l’arcivescovato di Bernard (III) de Rodez (de Rodes, de Rutena) (1368-1379)148. La presenza degli stemmi dello stesso arcivescovo de Rodez sul trono arcivescovile tuttora esistente, e sugli stalli di legno di noce del coro destinato ai canonici, poi rimosso149, potrebbe però lasciar cautamente dedurre una definitiva sistemazione della crociera entro il 1379, e, forse, la conclusione dei lavori di ristrutturazione della cattedrale. I documenti appena esaminati consentono dunque di ritenere che in occasione dei lavori di ristrutturazione della cattedrale napoletana prevalse l’impegno finanziario e amministrativo degli arcivescovi. Giovanna I contribuì a sua volta, ma piuttosto discontinuamente, provvedendo al pagamento delle decime in conformità alla più volte citata convenzione carolina, mentre la nobiltà del seggio di Capuana intese probabilmente prestare il suo aiuto procedendo all’acquisto del vino acetoso legato dall’arcivescovo Bertrand de Maisonnais, che peraltro era di difficile smercio. Dello specifico intervento finanziario di altre famiglie napoletane non si hanno notizie, ma, in seguito, quando la cattedrale fu ancora una volta gravemente danneggiata per effetto del terremoto del 4 dicembre del 1456150, i del Balzo, i

debiliter propter mei et aliorum modicam caritatem. Spero autem quod poterunt ibi celebrari divina officia infra annum, presertim cum aliquali subsidio S. N. et utinam michi concedere dignaretur… ». 148 «Reverendo Domino Bernardo Archiepiscopo Neapolitano Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinali, transumptum provisionis pro solutione decimarum et quod ultra dicta decima solvet ei converti debeat in opificio constructionis mayori Ecclesiae Neapolitanae usque ad debitam perfectionem ixtius, post cuius complementum convertatur pro divinis officiis celebrandis pro animabus dominorum Abavi, Proavi et Avi nostrorum, Regum Ierusalem et Siciliae, in quiebusdam cappellis factis propterea in dicta Ecclesia Arciv. Neapolitana, per notarium Gurrellum Marmorarum de dicta Civitate coram Antonio de Bolino de eadem civitate ad contractus [iudex], in anno 1376, arc. A maz. 54 n. X», in ms. Chiese antiche di Napoli, cit., ff. 6rv e 288rv, dall’arca A, mazzo 54, numero primo, già pubblicato da M. GAGLIONE, Crolli e ricostruzioni, cit., p. 72, nota 45. 149 B. CHIOCCARELLI, Antistitum, cit., pp. 241-242. 150 Secondo C. D’ENGENIO, Napoli Sacra, cit., p. 5, le famiglie erano quelle dei Caracciolo, degli Orsini, dei Pignatelli, degli Zurlo, dei Dura e altre; invece C. DE LELLIS, Parte seconda, overo supplimento, cit., p. 27, a queste aggiunge la famiglia Baraballo, e ritiene che lo stemma interpretato dal D’Engenio come quello dei Caracciolo fosse invece quello dei Di Transo-Vulcano, e che le insegne identificate con quelle degli Zurlo fossero invece dei Piscicelli, inoltre circoscrive gli interventi delle famiglie indicate al solo finanziamento della ricostruzione dei pilastri, mentre la ristrutturazione della cattedrale sarebbe stata curata da re Ferrante I d’Aragona (1423-1494) trattandosi appunto di una chiesa regia, in ID., Aggiunta alla Napoli

Page 51: M. GAGLIONE La cattedrale e la città. Monarchia, episcopato, comunità cittadina nella Napoli angioina

Mario Gaglione, La cattedrale e la città

50

Capece Zurlo, i Pignatelli, i Capece Piscicelli, gli Orsini, i Caracciolo Svizzeri (Sguizzeri forse Pisquizi), i Dura, gli Aprano, i Baraballo e il popolo offrirono un importante contributo finanziando la realizzazione dei pilastri e degli archi della navata maggiore, come mostravano gli stemmi degli stessi finanziatori apposti sulle opere151.

In conclusione, se nella fase della fondazione della cattedrale soprattutto il re e i napoletani giuocarono un ruolo rilevante per il finanziamento diretto o indiretto dell’impresa, pur non essendo improbabile anche l’impiego di risorse proprie da parte dell’arcivescovo, nelle successive riparazioni ordinarie e straordinarie dell’edificio sembrerebbe che gli oneri economici siano stati invece sopportati soprattutto da quest’ultimo con l’intervento dei sovrani. In questi stessi casi risulta infatti più incerto l’impegno finanziario dei napoletani, sebbene non possa escludersi che tale apparentemente minor coinvolgimento dipenda invece dalle più volte lamentate e gravi lacune documentali, e in particolare, tra le altre, dall’integrale perdita dei protocolli notarili relativi al periodo. Quel che comunque occorre sottolineare è la mancata istituzione di una vera e propria opera o fabbriceria della cattedrale, ente che, come si è già osservato, costituiva nell’Italia comunale il momento di incontro tra l’impegno della città intera e quello del vescovo, destinato com’era ad assicurare la manutenzione dell’edificio con la dovuta continuità. A Napoli la grande assente, per così dire, sarebbe proprio l’universitas che non sembrerebbe aver avvertito la necessità di partecipare stabilmente alla cura della manutenzione dell’edificio lasciata verosimilmente al solo arcivescovo. Tale assenza, tuttavia, può spiegarsi con l’esiguità degli introiti fiscali destinati al “comune” napoletano a fronte invece delle ingenti risorse trattenute dalla corona, esiguità che evidentemente impediva un impegno gestionale e finanziario di lungo periodo.

sacra del D’Engenio, a cura di F. Aceto, Napoli, Fiorentino, 1977, pp. 22-23. Sul sisma del 1456 e sulle sue conseguenze, si veda l’ampio studio di B. FIGLIUOLO, Il terremoto del 1456, Altavilla Silentina, Edizioni Studi storici Meridionali, 1988. 151 Per ulteriori indicazioni sugli stemmi presenti in tredici pilastri su quattordici (il settimo pilastro a sinistra, privo di stemma, fu finanziato dal popolo) e sui lavori di ricostruzione in quest’occasione, si veda F. STRAZZULLO, Restauri, cit., pp. 7-11, e in particolare p. 10.