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NAPOLI MMXIII MARIO GAGLIONE SUGLI STEMMI DELLA PORTA DEL CORTILE DI S. ANTONIO DI VIENNE IN NAPOLI

MARIO GAGLIONE SUGLI STEMMI DELLA PORTA DEL CORTILE DI S. ANTONIO DI VIENNE IN NAPOLI

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NAPOLI

MMXIII

MARIO GAGLIONE

SUGLI STEMMI DELLA PORTA

DEL CORTILE DI S. ANTONIO DI

VIENNE IN NAPOLI

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I. L’Ordine di S. Antonio a Napoli.

Noi invero, così come ci fu consigliato, per il rispetto dovuto alla Santa Madre Chiesa e a Sua Santità il Pontefice, inviammo incontro al cardinale legato tutti i principi della famiglia reale fino a Capua, ed ordinammo alle università di Capua, Aversa e Napoli di prepararsi a ricevere il cardinale con il pallio e i piatti (paramenti1) decorati, i panni di seta ed altri ornamenti, il che fu adempiuto con la dovuta solennità. Il nostro reverendo consorte2 gli si fece invece incontro nella città di Aversa, e anche noi, nell’imminenza del suo ingresso a Napoli, ci recammo per incontrarlo fino a S. Antonio, e ciò il 20 dell’appena trascorso mese di maggio, ed il cardinale fu infine alloggiato nel monastero di San Severino.

Con queste parole Giovanna I d’Angiò (1328?-1382) si rivolgeva a Ludovico di Angiò-Durazzo ed ai conti di Montescaglioso e di Avellino, il 3 giugno del 1344, per render loro noto l’arrivo del cardinale e legato pontificio Aimery de Châlus3, che lei stessa si

1 Il testo edito da Léonard ha plateis probabilmente per paramentis. 2 Si tratta del principe Andrea d’Angiò-Ungheria (1327-1345). 3 Aimery de Châlus (de Chateau Luisant, de Castroluce, Chaslus o anche Chàteluz, Chàtelus), cugino dello stesso papa Clemente VI, dottore in utroque iure a Bologna, canonico della cattedrale di Limoges (1314), arcidiacono di Tours, cappellano papale, uditore della Sacra Romana Rota, governatore di Ferrara per nomina di papa Giovanni XXII, arcivescovo di Ravenna (24 settembre 1322), arcivescovo di Chartres (13 maggio 1332), cardinale presbitero del titolo dei SS. Silvestro e Martino ai Monti (20 settembre 1342), legato pontificio in Lombardia (2 dicembre 1342), legato pontificio in Romagna, Corsica e Sardegna, ed, infine, legato pontificio nel regno di Sicilia, ove restò fino al 1345. Morì il 31 ottobre 1349 ad Avignone, e si veda The Cardinals of the Holy Roman Church,

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era recata di persona a ricevere alle porte di Napoli, nei pressi della chiesa e dell’ospedale di S. Antonio di Vienne 4 che davano appunto nome a quella contrada suburbana.

Quanto alla datazione della presenza nella città di Napoli5 dell’Ordine antonita, come noto deputato all’assistenza ed alla cura dei malati di ergotismo6, la stessa può essere ricostruita sulla base di un atto del re Ladislao d’Angiò-Durazzo (1376-1414) del 26 marzo 1406. Il sovrano, in particolare, disponendo a favore del priore 7 e dei monaci ecclesie et hospitalis Sancti Antonii de Vienna huius nostre civitatis Neapolis, si richiamava ai numerosi privilegi, esenzioni, grazie e concessioni dei suoi predecessori Federico II, imperatore e re di Sicilia, Carlo I e Carlo II d’Angiò, e, più specificamente, al

Biographical Dictionary <http://www2.fiu.edu/~mirandas/bios1342.htm#Chalus> [17 gennaio 2013]. 4 Dalla Littera regine de receptione legati, in É. G. LÉONARD, Histoire de Jeanne I.re reine de Naples comtesse de Provence (1343-1382), Monaco-Paris, Imp. de Monaco-Librairie A. Picard, 1932, vol. I, p. 351, pp. 414-415, n. XIII. 5 Si rinvia in proposito, anche per l’esame di tutti i documenti allo stato noti e citati nella presente nota, a M. GAGLIONE, Sulla fondazione della chiesa e dell’ospedale di S. Antonio Abate in Napoli, in «Scrinia. Rivista di archivistica, paleografia, diplomatica e scienze storiche», IV, 2007, pp. 89-104. 6 Sulla storia dell’Ordine si rinvia a: L. FENELLI, Il tau, il fuoco, il maiale: i canonici regolari di sant’Antonio Abate tra assistenza e devozione, Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, 2006; EAD., Dall’eremo alla stalla: storia di sant’Antonio abate e del suo culto, Roma-Bari, GLF Editori Laterza, 2011; A. FOSCATI, Ignis sacer. Una storia culturale del ‘fuoco sacro’ dall’antichità al Settecento, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2013. 7 Priore, dunque, e non precettore, laddove, almeno secondo Ruffino, da un documento del 24 maggio 1315 risulterebbe che proprio precettore generale di Puglia (Napoli), era un Guglielmo di Poitiers, e cfr. I. RUFFINO, Storia ospedaliera antoniana. Studi e ricerche sugli antichi ospedali di Sant'Antonio Abate, Torino, Effatà, 2006, p. 169, nota 14; in realtà, il documento in questione attribuisce a Guillelmus de Pictavia il solo titolo di preceptor domorum et baylivarum ordinis Sancti Antonii senza ulteriori precisazioni, pur trattandosi dell’affitto della questua in toto regno Appulie et Calabrie, Terre Laboris totumque regno Sicilie tam citra farum quam ultra et insulis Tunisi et Malte. Come sopra anticipato si ritiene comunque che per “precettoria di Puglia” debba intendersi la precettoria generale di Napoli: A. MISCHLEWSKI, Un ordre, cit., p. 20.

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privilegio di ricezione della chiesa e dell’ospedale napoletano sotto la regia protezione da parte di re Carlo II nell’anno 1303, per confermarli pienamente ad ogni effetto.

Pertanto, una chiesa con ospedale di S. Antonio a Napoli sarebbero stati già fondati durante il regno di Federico II, tra il 1198 ed il 1250, e, con maggiore probabilità, proprio nei primi decenni del secolo XIII, e, certamente, quegli stessi edifici erano già esistenti a Napoli almeno dal 1303, anno della menzionata concessione della regia protezione da parte di Carlo II.

Altre notizie sono rispettivamente fornite da una provisio angioina del febbraio del 1335 menzionante l’ospedale di S. Antonio “vecchio”, hospitalis sancti Antonii veteris de Neapoli, già esistente nella regione di Carbonara, nonché da un compotum, e cioè da un rendiconto per l’XI indizione (dal 1° settembre 1342 al 31 agosto 1343), che registra un’erogazione di complessivi 12 tarì (6 ciascuna) per le oblazioni effettuate per volere della regina Giovanna I in entrambe le chiese dedicate a sant’Antonio a Napoli, e ciò probabilmente nella primavera dell’anno solare 1343. Orbene, una delle due chiese menzionate dev’essere appunto identificata in quella “vecchia” di S. Antonio a Carbonara, mentre l’altra è, con ogni evidenza, quella attuale annessa all’ospedale dell’Ordine antonita. Poiché quindi l’atto del 1335 menziona un ospedale “vecchio” di S. Antonio riferendosi appunto a quello di S. Antonio a Carbonara (ovvero

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ai Vergini) fuori la porta di S. Gennaro8, potrebbe in conclusione cautamente ritenersi che, in realtà, il primo sanatorio antonita sia stato stabilito, per evidenti motivi di tutela sanitaria, proprio a Carbonara, in una zona posta, a quei tempi, al di fuori delle mura di Napoli. L’espansione della città avrebbe indotto poi a trasferire l’ospedale nell’area di piazza Carlo III-via Foria, dov’è attualmente la chiesa trecentesca di S. Antonio Abate, all’epoca maggiormente lontana dalle zone abitate.

In conclusione, dunque, sulla base dei documenti appena citati, la chiesa e l’ospedale trecentesco (di S. Antonio nuovo) esistevano almeno dal 1335, e ad essi si riferisce certamente anche la lettera di Giovanna I del 1344 parzialmente riportata in apertura della presente nota.

II. La porta di accesso al cortile della chiesa di S. Antonio in Napoli

Alla più precisa datazione dell’attuale complesso potrebbe peraltro anche contribuire la corretta identificazione delle insegne araldiche che erano presenti sulla porta di accesso al cortile della stessa chiesa.

8 S. Antonio vecchio in seguito divenne grancia dell’abbazia in commenda dei SS. Giovanni e Paolo di S. Maria di Casamari in Veroli, come conferma anche una platea di quel monastero: «Neapoli in ejusque territorio grangiam possidet ecclesiae sancti Antonii veteris in suburbio virginum, ad quam canones et pensiones complurium domorum, praediorumque, quae Neapoli exstant in ejusque territorio, pertinent», in F. FARINA, B. FORNARI, L’architettura cistercense e l’Abbazia di Casamari, Casamari, Edizioni Casamari, 2001, p. 70; C. D’ENGENIO, Napoli sacra, Napoli, per Ottavio Beltrano, 1623, p. 606.

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La descrizione di queste insegne è offerta da Carlo De Lellis9 che così scrive:

…dal vedersi su la porta nell’entrare che si fa al Cortile di questa Chiesa l’Arme regale (de’ re) de Napoli della Casa Angioina del campo azzurro seminato di gigli di Francia d’oro sopra(stati da) il rastello rosso a tre denti, e dall’altro lato destro l’armi pontificali di Gregorio XI … su la riferita porta, in cui sotto delle Regie Arme e Pontificie, si veggono tre altri scudi ne’ quali, in quello di mezzo, è l’arme di S. Antonio, cioè il Tau espresso con lettera T, in quello a mano dritta è un giro o fascia d’intorno con una croce di S. Andrea e negli angoli laterali anche il segno del Tau, et in quello à mano sinistra è il campo partito nella cui metà superiore è un leone andante e l’inferiore è piena d’onde tonde, la quale arme vedesi anche in mezzo dell’arco della porta.

Orbene, l’Arme regale (de’re) de Napoli della Casa Angioina, come sopra descritta, è stata portata da tutti i sovrani angioini a partire da Carlo I, laddove, quanto alle armi pontificali riferite tradizionalmente appunto a papa Gregorio XI (1370-1378) (fig. 1), si è osservato che un emblema identico fu utilizzato non solo da quel pontefice, ma, in precedenza, anche da suo zio papa Clemente VI10 (1342-1352) (fig. 1), il quale pontificò negli anni

9 C. DE LELLIS, Aggiunta alla Napoli sacra, ms. del secolo XVII della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, segnato X B 24, f. 138r. 10 Gregorio XI (Pierre Roger de Beaufort, nacque tra il 1329 ed il 1331, nel castello di Maumont-Rosiers d’Egletons, figlio del conte Guillaume Roger de Beaufort e di Marie Chambon, eletto papa il 30 dicembre 1370, morì il 27 marzo del 1378) e Clemente VI

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tra la fine del regno di Roberto ed il primo decennio di quello di Giovanna I.

1. Stemma della famiglia Roger (portato da papa Gregorio XI e da papa Clemente VI).

Il primo degli altri tre stemmi, attribuiti dal De Lellis ai “costruttori” della porta del cortile e di altri edifici del complesso antonita, è il Tau (azzurro) emblema dello stesso Ordine (figg. 2, 3, 4), come altresì precisa il nostro erudito scrittore.

(Pierre Roger, nato nel 1290 o 1291, nel castello di Maumont-Rosiers d’Egletons, secondogenito di Guillaume Roger, signore di Rosier d’Eglentons, eletto papa il 7 maggio del 1342, morì il 6 dicembre 1352), membri della stessa famiglia portarono entrambi uno stemma: d’argento alla banda d’azzurro accompagnata in capo e in punta da tre rose di rosso bottonate d’oro, ordinate in cinta, e cfr. L. SALAZAR, La chiesa di S. Antonio Abate, in «Napoli nobilissima», 15, 1905, p. 49.

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2. Stemma e sigillo dell’Ordine di S. Antonio.

3. Sant’Antonio e Jean de Montchenu, priore della commanderie antonita di

Chambéry, cellerario dell’abbazia di S. Antonio di Vienne (da una Vita di sant’Antonio del 1426, cod. Med. Pal. 143 della Biblioteca Laurenziana di

Firenze, copista anonimo).

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4. Sant’Antonio e Guigue Robert de Tullins, priore claustrale dell’abbazia di S.

Antonio di Vienna, praeceptor S. Crucis, miniatura di Robert Fournier (dalla Vita di sant’Antonio, cod. I della Biblioteca Nazionale di Malta, copista Petrus

Petri de Istrio).

Per gli altri due, invece, si è avanzata l’ipotesi che si trattasse di quelli di un abate generale e di un precettore (generale) dello stesso Ordine, allo stato non identificati11.

Della porta del cortile menzionata dal De Lellis non vi, è purtroppo più, allo stato, alcuna traccia materiale che consenta ulteriori osservazioni dirette.

11 M. GAGLIONE, Sulla fondazione, cit., pp. 102-103.

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Giovan Battista Chiarini12 attesta che nel 1825: “fu abbattuto il muro settentrionale dell’atrio, onde dalla strada di Foria si scopre bellamente la chiesa a traverso un ben disegnato cancello di ferro”, in questa stessa occasione, probabilmente, fu anche smantellata la porta di accesso al cortile con gli stemmi in questione, sempre al fine di consentire la migliore visibilità della chiesa dalla stessa strada.

In tempi successivi, Luigi Salazar 13 , accennando all’edificio posto proprio di fronte alla chiesa di S. Antonio, ricordò che sul portale di questo era uno stemma di spoglio, tutt’ora ben visibile, probabilmente proveniente da “un più antico portale gotico”14. Lo stemma in questione fu dallo stesso Salazar descritto araldicamente come: “di vajo pieno al capo di (…) caricato da un leone passante di (…) fissante il Tau dell’Ordine di S. Antonio, posto nel cantone sinistro dello scudo15”, ed identificato con quello della famiglia D’Afflitto di Scala, Amalfi e Napoli16.

Lo stemma D’Afflitto (fig. 5), in realtà, è vaiato d’oro e di azzurro, e, dunque, presenta il vaio in luogo delle onde tonde, e, soprattutto, manca della partitura con il leone andante (o passante), a figura intera, come invece risulta nello stemma descritto dal De Lellis. La mancanza del Tau, altresì

12 G. B. CHIARINI, nelle sue Aggiunte a C. CELANO, Notizie, cit., p. 374.

13 L. SALAZAR, La chiesa di S. Antonio Abate, cit., pp. 55-56. 14 Questo stemma in marmo bianco entro uno scudo di tipo francese antico è ancora osservabile sul portale dell’edificio nell’attuale larghetto detto di S. Antonio Abate (cfr. fig. 10). 15 I puntini sospensivi si riferiscono ai colori che il Salazar non poté rilevare e dei quali in effetti non resta traccia sullo stemma superstite. 16 L. SALAZAR, La chiesa di S. Antonio Abate, cit., p. 56.

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segnalato dal De Lellis nel cantone sinistro dello scudo, invece, si spiega agevolmente con la circostanza che gli stemmi D’Afflitto superstiti o attestati dalle fonti non furono evidentemente portati da cavalieri dell’Ordine antonita.

5. Stemma della famiglia D’Afflitto di Scala, Amalfi e Napoli.

L’unico stemma comunque riferibile ai D’Afflitto in una variante recante anche un partito con il leone nascente o uscente (e quindi non a figura intera, come invece nello stemma da identificare), può descriversi araldicamente come: vaiato in palo, d'oro e d'azzurro col capo del secondo al leone uscente del primo, e fu portato dai D’Afflitto del ramo di Bitonto e di Barletta (fig. 6)17.

17 A. VITRANI-F. PINTO, Barletta, stemmi di famiglie nobili, Montagnana, Tip. Teknografica, 2001.

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6. Stemma della famiglia D’Afflitto ramo di Bitonto e Barletta.

Non risulta però che personaggi della famiglia D’Afflitto siano stati membri dell’Ordine antonita. Salazar 18 , menzionando un abate Francesco D’Afflitto, che, nel 1337, fu cappellano maggiore, consigliere e famigliare di re Roberto, ne ipotizzò una qualche relazione con lo stemma da identificare e con la chiesa di S. Antonio. Occorre peraltro rilevare che questo personaggio non risulta essere stato abate (generale) dell’Ordine, e che il De Lellis non precisa affatto di quale abbazia fosse eventualmente titolare, né comunque ne indica l’appartenenza all’Ordine antonita. Tale circostanza, accanto alla non perfetta coincidenza tra lo stemma descritto dal De Lellis (con il leone a figura intera e le onde tonde) e quello dei D’Afflitto di Bitonto e Barletta (recante invece il leone a mezza figura ed il vaio), induce a considerare con molta cautela la tesi dell’identificazione dell’emblema descritto dal De Lellis con quello dei D’Afflitto.

18 L. SALAZAR, La chiesa di S. Antonio Abate, cit., p. 56; C. DE LELLIS, Discorsi delle famiglie nobili, in Napoli, per gli heredi di Roncagliolo, 1671, vol. III, p. 276.

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Se, come in precedenza ipotizzato, si trattasse però, com’è molto probabile, dello stemma di un precettore generale dell’Ordine di S. Antonio a Napoli, le cui insegne furono proprio per tale ragione collocate non solo sulla parete nella quale si apriva la porta, a sinistra degli altri stemmi, ma anche in chiave dell’arco d’accesso al cortile, la ricerca potrebbe concentrarsi sui precettori della precettoria napoletana storicamente documentati.

Purtroppo le notizie in proposito sono davvero frammentarie.

Unici precettori noti, sono, in particolare:

a) un fra Pietro de Gonda o de Grida precettore generale di Napoli, menzionato per l’anno 1307 da Matteo Camera, con riferimento ad un atto con il quale re Carlo II concedeva la protezione reale all’Ordine19;

b) fra Giovanni Guidotti da Pistoia che risulta precettore generale di Napoli e di Puglia, dal 1369 al 1385, anno della sua morte;

c) un Giovanni Capece che, il 14 maggio del 1385, fu nominato da papa Urbano VI precettore generale di Napoli nonché administrator in spiritualibus et temporalibus, ed il 18 settembre dello stesso anno, “contro-abate” (contre-abbé) generale dell’Ordine20;

19 M. CAMERA, Annali delle due Sicilie, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1860, vol. II, pp. 148-149. 20 Nicola Capece “contro-abate” di S. Antonio (9 dicembre 1397) fu nominato tale da Bonifacio IX, A. MISCHLEWSKI, Un ordre, cit., p. 62. Da un atto del 16 marzo 1390

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d) un Antonello Capece che nel 1420 era precettore generale di Napoli, e che fu forse parente di Niccolò Capece, “contro-abate” generale dell’Ordine (1397)21.

e) ed infine Rinaldo di Durazzo, figlio naturale di re Ladislao d’Angiò-Durazzo, del quale si accennerà in seguito (1423 ca.).

Mentre non è possibile effettuare alcun confronto con lo stemma dei de Gonda (de Grida), famiglia allo stato non meglio identificata, può certamente escludersi l’identificazione con quello della famiglia Capece, da descriversi araldicamente come: di nero al leone rampante d'oro coronato del medesimo (fig. 7).

7. Stemma della famiglia Capece.

risulta che a quel tempo era vicario generale dell’Ordine “in tutte le parti della Puglia”, frate Francesco Zomei da Pistoia, già precettore di S. Antonio a Pistoia, e cfr. S. FERRALI, L’Ordine ospitaliero di s. Antonio Abate o del Tau e la sua casa a Pistoia, in A. V., Il Gotico a Pistoia nei suoi rapporti con l’arte gotica italiana, Pistoia, EPT, 1972, p. 200. 21 Cfr. la nota precedente, nonché A. MISCHLEWSKI, Un ordre, cit., pp. 66-67.

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Quanto poi al confronto con lo stemma dei Guidotti di Pistoia, sulla base dello stemmario pistoiese di Giovanni Mazzei e della documentazione della Raccolta araldica e genealogica di Enrico Ceramelli Papiani (1896-1976) oggi all’Archivio di Stato di Firenze 22 , ed escludendo i vari stemmi delle altre famiglie omonime23, risulta che quella di Pistoia utilizzò la stessa insegna araldica in due varianti:

1) di vaio, al capo di rosso caricato di un leone leopardito d’oro24;

2) losangato d’argento e d’azzurro, al capo di rosso caricato di un leone leopardito d’oro.

Del primo tipo si riporta la riproduzione iconografica tratta dallo stemmario del Mazzei (fig. 8)25,

22 Cfr. Archivio di Stato di Firenze, Raccolta Ceramelli Papiani, Famiglia GUIDOTTI DI PISTOIA, fasc. 5792, all’indirizzo <http://www.archiviodistato.firenze.it/ceramellipapiani2/index.php?page=Famiglia&id=4070> [17 gennaio 2013]. 23 Si segnalano varie famiglie omonime con proprie e distinte insegne araldiche: Guidotti di Siena; G. di Lucca; G. di Firenze, Santo Spirito, Ferza; di Firenze, Santo Spirito, Drago; di Firenze, San Giovanni, Drago; Guidotti da Castelfranco, di Sopra di Firenze; Guidotti dalla Romola, di Firenze, San Giovanni, Chiave; Guidotti di Mugello, di Firenze, Santa Maria Novella, Lion bianco e di Firenze, Santa Croce, Lion nero. 24 Lo stemma è analogamente descritto da G. RICHA, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, Firenze, nella stamperia di Pietro Gaetano Viviani, 1756, vol. IV, 2, p. 3; il Capponi precisa: «nella facciata del Convento [del Tau] che guarda a mezzogiorno si vede tuttora l’insegna dell’ordine, sculto in pietra, di elegante lavoro, e l’arme della famiglia Guidotti, portante vai nel lato inferiore, e un leone rampante nella superiore», e cfr. V. CAPPONI, Biografia pistoiese o notizie della vita e delle opere dei Pistoiesi illustri nelle scienze, nelle lettere, nelle arti, per azioni virtuose, per la santità della vita ec. dai tempi più antichi a’ nostri giorni, Pistoia, Tipografia Rossetti, 1878, da <http://www.archiviopistoia.it/Guidotti+Fra'+Giovanni>[17 gennaio 2013]. 25 G. MAZZEI, Stemmi ed insegne pistoiesi con note e notizie storiche, Pistoia, Tipografia Bindo Fedi, 1907, tavola 5.

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8. Stemma della famiglia Guidotti di Pistoia del primo tipo (dallo stemmario

Mazzei).

il secondo, documentato peraltro solo nel 1770, viene riportato in calce, come tratto dalla Raccolta Ceramelli Papiani (fig. 9).

9. Stemma della famiglia Guidotti di Pistoia del secondo tipo (dalla raccolta Ceramelli Papiani).

In definitiva, lo stemma Guidotti di Pistoia del primo tipo sembra, a giudicare dalla descrizione

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sopra riportata, il più vicino a quello indicato a suo tempo da Carlo De Lellis, recante in particolare nel troncato inferiore il partito di vaio che potrebbe essere stato scambiato dal De Lellis per un partito di onde tonde 26 , ed il leone a figura intera, e perfettamente identico a quello ancora in situ sulla facciata del palazzetto posto di fronte alla chiesa di S. Antonio, che reca peraltro l’aggiunta del Tau nel cantone sinistro (fig. 10)27.

10. Confronto tra lo stemma Guidotti (del primo tipo) dallo stemmario Mazzei (a

sinistra) e lo stemma erratico murato nell’edificio del larghetto detto di S. Antonio Abate a Napoli(a destra), recante nel cantone sinistro il Tau antonita.

L’ultimo degli stemmi descritti da Carlo De Lellis, infine, può essere identificato sulla base degli affreschi della Tour de Loives (Montfalcon, Isère),

26 Nello stemma superstite del larghetto S. Antonio i vai (campanelli) hanno l’apice piuttosto arrotondato e le estremità delle basi che non si toccano, tanto da poter essere effettivamente scambiati, ad una osservazione dal basso, per onde. 27 Si veda la nota percedente.

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risalenti al 1344 -134928, e dell’Armoriale dei Gran maestri ed abati dell’Ordine antonita altresì dipinto alle pareti di un corridoio dell’economato mauriziano nella precettoria di S. Antonio a Ranverso (Buttigliera Alta, provincia di Torino)29 , risalente ai secoli XVII-XVIII.

Si tratta, in particolare, dello stemma della famiglia Mitte cui appartennero ben tre abati generali dell’Ordine antonita, ed, in particolare, Guillaume I, terzo abate generale, in carica dal 31 agosto del 1328 al 2 ottobre 1342, data della sua morte30; Ponce II, quinto abate generale, in carica dal 3 novembre 1369 al 15 luglio 1374; ed, infine, Bertrand, sesto abate, in carica dal 25 agosto 1374 al 26 luglio 138931.

28 G. VALLIER, Les peintures murales des Loives de Montfalcon, Valence, Imprimerie de Jule Cèas et Fils, 1891, già in «Bull. de la Soc. départ. d'archéologie et de statistique de la Drôme», 1891, pp. 254-298, in particolare, p. 41 (dell’estratto), tav. VI, n. 22. 29 G. VALLIER, Armorial des Grands-Mâitres et des Abbés de Saint-Antoine de Viennoise, in «Mémoires de l’Académie des sciences, belles-lettres et arts de Marseille», 25, 1881-1882, pp. 101-173, sulla base del manoscritto Stemmi dei precettori o maestri generali e delli Abati commendatarj dell’Ordine di Sant’Antonio di Vienna e di Ranverso, redatto nel 1866-1867, conservato presso l’Archivio dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, copia di un precedente cartone del 1864 opera del frate cappuccino d. Placido da Giaveno, recante però numerose imprecisioni storiche ed araldiche, e degli stemmi affrescati nel corridoio del primo piano del convento antonita di Ranverso, da datare orientativamente ai secoli XVII e XVIII, anche considerando che il primo degli stemmi riprodotti fu oggetto di concessione ad opera dell’imperatore del S. R. I. Massimiliano I d’Asburgo (1459-1519), nel 1502. 30 L’abate Guillaume destinò le rendite della precettoria di Puglia e di quella di Chalon al finanziamento dei lavori dell’abbazia di S. Antonio a Vienne. La precettoria napoletana godeva di numerosi benefici che producevano una rendita di 800 fiorini per l’abate generale e di 25 per l’ospedale, A. MISCHLEWSKI, Un ordre hospitalier, cit., pp. 49, 66-67; p. 137. 31 G. VALLIER, Armorial des Grands-Mâitres, cit., p. 136, p. 139; A. MISCHLEWSKI, Un ordre, cit., p. 137. Si ricordano peraltro anche che portarono lo stesso stemma il precettore generale di Memmingen, Pierre Mitte de Chevrières (1416-dicembre 1479), che entrò nell’Ordine nel 1434, divenendo precettore di Memmingen per designazione dell’abate Humbert de Brion (1438-1459), e ciò dal 1439 al 1479, e si veda A. MISCHLEWSKI, Mitte de Caprariis, Petrus, in «Neue Deutsche Biographie», 17, 1994, p. 576, all’indirizzo: http://www.deutsche-biographie.de/pnd118582836.html >[17 gennaio

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Lo stemma descritto dal De Lellis, peraltro, reca una bordura non caricata dei gigli di Francia, che però non ricorre nello stemma dei Mitte dipinto nella Tour de Loives, risalente alla metà del secolo XIV, mentre la stessa, in tal caso seminata dei gigli di Francia, è presente nelle insegne della famiglia rilevate a Ranverso (fig. 12) ed ancora conservate a Memmingen (fig. 13), ed eseguite certamente in epoca successiva.

Come segno di appartenenza all’Ordine, infine, lo stemma napoletano recava nei due opposti cantoni superiori, sempre secondo la descrizione delellisiana, due Tau che invece si riducono ad uno solo posto nel capo dello stemma Mitte dipinto nella Tour de Loives (fig. 11).

11. Stemma dell’abate Guillaume I Mitte privo della bordura seminata di gigli, recante il

Tau in capo, con le insegne abbadiali (mitra e pastorale), dagli affreschi della Tour de Loives (1344-1349) (Montfalcon, Isère).

2013]; e l’abate generale Théodore Mitte de Saint-Chamond (1495-1527), che portò però uno stemma diverso: G. VALLIER, Armorial des Grands-Mâitres, cit., p. 152.

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12. Stemma dell’abate Guillaume I Mitte recante la bordura seminata di gigli, da un

affresco della precettoria di S. Antonio di Ranverso (secc. XVII-XVIII), (Buttigliera Alta, provincia di Torino).

13. Stemmi affiancati dell’Ordine antonita e del precettore generale di Memmingen,

Pierre Mitte de Chevrières (1416-dicembre 1479) (terracotta policroma del sec. XVII), dalla porta di accesso del priorato (Antonierhaus, fondato nel 1191) di

Memmingen (Baviera).

Incrociando in conclusione i diversi dati cronologici sopra ricordati, sembra potersi concludere che la porta del cortile della chiesa e le insegne descritte dal De Lellis siano orientativamente databili agli anni tra il 1342, anno di inizio del pontificato di Clemente VI e anno di morte di Guillaume I Mitte, ed il 1378, data di morte di Bertrand Mitte, durante il pontificato di Gregorio XI.

La circostanza per cui, in posizione eminente ed al di sopra degli stemmi riferibili all’Ordine, al

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suo abate generale ed al precettore di Napoli, oltre alle insegne dei sovrani angioini erano presenti anche le insegne pontificie potrebbe altresì indurre a ritenere che le stesse siano state apprestate nel periodo in cui Giovanna I, che regnò dal 1343 al 1382, era sottoposta alla tutela pontificia, ed in particolare negli anni della legazione del cardinale Aimery de Châlus, dal 20 maggio 1344 al 24 maggio 1345 32 , o, al più tardi, in occasione di quella successiva del cardinale Bertrand de Deux, giunto a Napoli il 20 novembre 134633 . Tuttavia, una più circoscritta datazione al 1344-1347 mal si potrebbe conciliare con la ben fondata attribuzione di due degli stemmi descritti dal De Lellis al precettore generale di Napoli Giovanni Guidotti da Pistoia.

Tale ultima attribuzione consente, invece, in conclusione, di circoscrivere definitivamente la datazione della porta e delle insegne araldiche descritte dal De Lellis tra il 1369, anno di inizio della precettoria napoletana del Guidotti, ed il 1374 data di morte dell’abate Ponce Mitte, oppure il

32 É. G. LÉONARD, Histoire de Jeanne I.re, cit., vol. I, p. 422, nota 2. 33 Bertrand de Deux (De Deocio, Deucio, De Deaux, De Deaulx, d’Eux), nato a Blauzac (anno?), prevosto di Embrun (1319); uditore delle cause del Palazzo Apostolico dal 1322; arcivescovo di Embrun (26 agosto 1323); in Italia dal 1333 come coadiutore del cardinal Bertrando del Poggetto; legato pontificio nelle terre del Patrimonium Petri (maggio 1335; si insedia a Roma nel dicembre 1335); cardinale presbitero del titolo di S. Marco (18 dicembre 1338); vice-cancelliere di Santa Romana Chiesa fino a circa il 1340; legato in Catalogna, lasciò Avignone il 2 giugno 1344; il 26 agosto 1346 partì dalla stessa città con l’incarico di legato nel regno di Sicilia e di vicario generale in Italia; rientrò a Roma il 17 novembre 1348; scelse di passare all’ordine dei cardinali vescovi, per la diocesi suburbicaria di Sabina (4 novembre 1348); fondò la certosa di Avignone e morì ad Avignone il 21 ottobre 1355, e si veda The Cardinals of the Holy Roman Church, Biographical Dictionary: <http://www2.fiu.edu/~mirandas/bios1338.htm#Deaulx> [17 gennaio 2013]; É. G. LÉONARD, Histoire de Jeanne I.re, cit., vol. I, pp. 624 ss.

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1385, data della morte del Guidotti durante il governo dell’abate Bertrand Mitte.

Deve a questo punto segnalarsi la sostanziale omogeneità di impostazione della decorazione araldica della porta del cortile di S. Antonio a Napoli, come descritta dal De Lellis, rispetto a quella della porta di accesso al monastero del Tau di Pistoia (fig. 14), del quale fu fondatore e precettore lo stesso Guidotti, e della quale si riporta di seguito una riproduzione.

14. Portale del monastero del Tau a Pistoia.

Si noterà dunque che nella parte superiore della rosta del portale pistoiese è anzitutto posizionato lo scudo con lo stemma scaccato di rosso e bianco della Repubblica di Pistoia, sorretto

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da due orsi affrontati e contornato dalle conchiglie (nicchi) simboli di S. Jacopo (Giacomo di Compostela), protettore della città toscana.

Così, analogamente, la porta del cortile della chiesa napoletana recava, come si è detto al di sopra di tutti gli altri, gli stemmi del Regno e del Pontefice, signore feudale di quest’ultimo, evidentemente anche in tal caso quale omaggio allo stato ospitante.

Nel portale pistoiese, ancora, al di sotto, entro una losanga traforata, si apre una finestruola sulla quale è posta a mo’ di grata un Tau di metallo. Sull’architrave, infine, analogamente a quanto si aveva nel portale napoletano, si osservano tre stemmi: quello del Tau al centro, e due laterali, allo stato quasi del tutto scalpellati, e cioè quello del Guidotti quale precettore e fondatore del monastero 34 , e, verosimilmente quello del quarto abate generale dell’epoca, Pierre I Loubet (1343-1369).

La damnatio memoriae inflitta ai due stemmi sopra indicati si nota peraltro anche nella decorazione araldica che incornicia gli affreschi di Niccolò di Tommaso all’interno della chiesa monasteriale, che, infatti, risultano tutti sistematicamente ricoperti o abrasi, come può rilevarsi anche dalla sottostante illustrazione (fig. 15).

34 Si veda la precedente nota 25.

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15. Chiesa del Tau Pistoia, Niccolò di Tommaso, La cacciata dei progenitori dal

Paradiso terrestre.

III. Giovanni Guidotti da Pistoia, breve profilo di un committente.

Orbene, sulla base di tutto quanto sopra osservato è possibile discutere l’opinione tradizionale sostenuta tra gli altri da Cesare d’Engenio, Giovanni Antonio Summonte e Carlo Celano, secondo la quale la chiesa di S. Antonio sarebbe stata fondata dalla regina Giovanna I.

In sostanza, questi autori deducono il patrocinio reale dalla data di esecuzione, nell’anno 1371 ed appunto durante il regno della sovrana, del pregevole polittico di Niccolò di Tommaso35 oggi al

35 Riferita dall’iscrizione riportata sullo zoccolo del primo gradino del trono sul quale è seduto sant’Antonio, nel polittico: MCCCLXXI NICHOLAUS TOMASI DE FLORE[ntia] PIC[tor].

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Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, ma in origine collocato sull’altare maggiore della chiesa, e raffigurante sant’Antonio in trono tra i santi Francesco d’Assisi, Pietro, Giovanni evangelista e Ludovico di Tolosa, nonché dalla presenza, come detto, al di sopra della porta del cortile dell’edificio, delle insegne angioine, riferite con certezza alla stessa sovrana.

In realtà, è improbabile che la chiesa dell’Ordine antonita sia stata fondata da un sovrano angioino (Giovanna I o altri). Deve infatti ricordarsi che ben tre stemmi in mosaico della famiglia Capano di Rocca Cilento (figg. 16,17) sono posti sull’architrave della porta maggiore della chiesa monasteriale, lì dove, in un edificio religioso di regio patronato ed anzi pretesamente fondato direttamente da un sovrano angioino, avrebbero dovuto invece trovare collocazione proprio le insegne regali. Il committente, raffigurato a bassorilievo in ginocchio, alla base dell’arco a sesto acuto assieme ad una figura femminile altresì orante, scolpita sul lato opposto, è stato variamente identificato, ma sempre a titolo di ipotesi ed in mancanza di più precise evidenze, con un Roberto Capano, siniscalco di Giovanna I, coinvolto nell’assassinio di Andrea d’Ungheria, che, in realtà, non apparteneva alla famiglia Capano ma a quella dei de Cabannis, o ancora con Giacomo Capano di Rocca Cilento miles magnae regiae curiae magister racionalis, il quale commissionò altresì, nel 1347, il portale della chiesa di S. Pietro Martire.

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Il personaggio maschile potrebbe invece essere molto cautamente identificato con un Antonio Capano detto Cherza, visconte della baronia del Cilento, menzionato in un atto di Tommaso Sanseverino del 138636, così che il finanziamento dei lavori del portale potrebbe essere giustificato con la devozione di quest’ultimo personaggio per il Santo omonimo.

16. Portale della chiesa di S. Antonio abate a Napoli.

17. Stemma della famiglia Capano di Rocca Cilento.

Inoltre, sui due battenti lignei della porta maggiore della chiesa sono giustapposti, a sinistra, il Tau emblema dell’Ordine antonita, ed, a destra, lo

36 «Nobili viro domino Antonio Capano dicto Cherza vicecomiti baroniae nostrae Cilenti militi socioque nostro», in P. EBNER, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1982, p. 367, nota 14.

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stemma degli Angiò-Durazzo (fig. 16), da datare probabilmente all’epoca di re Ladislao, verosimilmente a seguito dell’avvenuta conferma della regia protezione, nel marzo del 1406, cui si è già fatto cenno all’apertura del presente studio.

Sembra invece doversi escludere che questa insegna durazzesca, proprio per la presenza della corona regale, possa invece essere riferita a Rinaldo di Durazzo, figlio naturale di Ladislao, il quale, in cambio del principato di Capua, ottenne dalla zia, la regina Giovanna II (1373-1435), proprio la precettoria generale di S. Antonio abate a Napoli, come riferisce Loise de Rosa37. A questo proposito, ci si può chiedere in quali circostanze e per quali ragioni Giovanna II poté concedere con un proprio provvedimento la precettoria napoletana a Rinaldo. Occorre al riguardo rilevare che dopo la morte del precettore Guidotti, nel 1385, prima papa Urbano VI (il quale pontificò dal 1378 al 1389), in pieno scisma, e poi papa Bonifacio IX (il quale pontificò dal 1389 al 1404) si adoperarono per rendere autonoma la precettoria napoletana dall’obbedienza

37 N. F. FARAGLIA, Storia della regina Giovanna II d’Angiò, Lanciano, R. Carabba, 1904, pp. 12-13, in nota. Ludovico III d’Angiò, con provvedimento del 17 novembre 1423, richiedeva agli ufficiali di Calabria di assistere nel governo e difesa delle chiese dell’ordine antonita ivi esistenti, Giovanni di Mariano d’Aviano e Ricciardello Calabrese, procuratori del precettore di S. Antonio di Vienna a Napoli, che, a quel tempo era il reverendo Rinaldo di Durazzo, nipote della regina Giovanna II in quanto figlio naturale di re Ladislao e di una sconosciuta gaetana, e cfr. I Registri della Cancelleria Angioina, a cura di I. OREFICE, vol. XXXIV, Napoli, Accademia Pontaniana, 1982, p. 14, doc. n. 56. Rinaldo, signore del casalis Gritiliani (atto di Giovanna II del 1423) già promesso sposo ad una figlia di Giacomo Marzano, conte di Alife, a seguito dei sospetti di tradimento caduti su costui sposò invece Lisola Castaldo, figlia del miles Antonio e di Ceccarella Capece Zurlo. Lisola portò un dote di 200 once e feudi nel territorio di Foggia. Dal matrimonio nacque una Ippolita che sposò Francesco di Bartolomeo Di Majo, ed un Francesco che ebbe per figlio a sua volta un Rinaldo andato sposo a Camilla Tomacelli, G. RECCHO, Notizie di famiglie nobili, Napoli, presso D. A. Parrino, 1717, p. 160.

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all’abbazia generale di Vienne. Sotto il governo del “contro-abate” Niccolò Capece la precettoria napoletana era certamente ormai autonoma da Vienne, sicché solo nel 1420, sotto il precettorato di Antonello Capece, si giunse ad una formale promessa di sottomissione all’abbazia generale francese, benché poi, in concreto, si continuasse a non corrispondere le rendite dovute alla stessa. Nonostante poi un altro atto di formale sottomissione all’abbazia generale del 5 novembre 1443, risulta che le controversie in ordine al pagamento delle rendite continuavano ancora nell’anno 1469 38 . Molto probabilmente, perciò, Giovanna II poté concedere al nipote la precettoria napoletana ormai resa autonoma come se si trattasse di un beneficio ecclesiastico vacante spettante in collazione alla corona.

In conclusione, e ritornando al discorso iniziale, la varietà delle insegne araldiche, riferibili anche a famiglie della nobiltà minore del Regno, come nel caso dei Capano, lascerebbe dunque fondatamente ipotizzare una serie di interventi sugli edifici della chiesa e dell’ospedale, succedutisi nel tempo al di fuori di un programma unitario promosso da Giovanna I, dovendosi in ogni caso escludere una fondazione ex novo, poiché la nuova chiesa di S. Antonio abate, come si è detto, è attestata fin dal 1335, e dunque ben prima dell’inizio del regno di quella sovrana.

38 A. MISCHLEWSKI, Un ordre, cit., pp. 62, 66, 67.

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L’identificazione degli stemmi della porta del cortile, e particolarmente di quelli del precettore Guidotti induce anzi ad individuare in quest’ultimo, e non certamente in Giovanna I, pur con il concorso di altre famiglie napoletane quale quella dei Capano, il principale artefice dei possibili lavori di ristrutturazione della chiesa antonita di Napoli che dovettero probabilmente essere svolti intorno al 1370.

Sul Guidotti, Matteo Villani 39 aveva espresso questo lusinghiero giudizio:

Messer frate Giovanni Guidotti comandatore nella nostra provincia nell’ordine di sant’Antonio, nato nella città di Pistoia non di legnaggio gentile ma di meno che comune, uomo secondo suo stato d’animo grande e liberale, avendo de’ suoi beneficii accolta moneta assai, la quale secondo l’uso corrotto, del quale avemo parlato di sopra, poteane ne’ suoi prossimani convertire, la spese negli edificii magnifichi e nobili, i quali in questo anno fe’ cominciare al luogo dell'ordine suo posto presso alla porta a Faenza, nei quali convertì gran danaio. Avemone fatta memoria in rimprovero dell’ avarizia di molti prelati, i quali spogliano le Chiese ne’ paesi loro e ne’ forestieri a loro sono concedute non curando né l’ira di Dio né l’infamia del mondo.

39 Cronaca di Matteo Villani, in Croniche storiche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani, Milano, Borroni e Scotti, 1848, vol. 6, p. 184.

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Nel settembre del 1352, infatti, il Guidotti, all’epoca preceptor bagliae Sancti Antonii in Tuscia, fondò l’ospedale antonita di S. Miniato al Tedesco, divenuta poi chiesa curata di S. Stefano.

Nel 1358, inoltre, egli fece restaurare la chiesa con il monastero ed ospedale dell’Ordine di S. Antonio in Firenze, al Borgo di S. Jacopo in Campo Corbolini, presso la Porta Faenza, edifici dei quali così scrive Giorgio Vasari40:

Sant’ Antonio era una Chiesa murata all’antica, assai ragionevole, simile a Sant’ Ambrogio, dove abitava in una gran muraglia, e intorno alla Chiesa una congregazione di Preti forestieri, che portavano nel petto il segno e l’ ordine di quel Santo, e ci avevano poi uno spedale di poveri, e intorno un gran ceppo di case, e v’erano allato giardini e compagnie con molte comodità. Così nelle case, come ne’ chiostri vi erano pitture eccellenti di mano di Lippo e di Buonamico Buffalmacco, che tutte furono buttate a terra con tutti questi edifizj , quando si fece il castello o cittadella, che noi la chiamiamo; e la porta a Faenza fu occupata per farne la torre, che è oggi nel mezzo del mastìo principale.

La città di Firenze fu grata al Guidotti della sua munificenza, tanto da concedere a lui ed ai suoi

40 Ragionamenti del Signor Giorgio Vasari sopra le invenzioni da lui dipinte in Firenze nel Palazzo Vecchio con D. Francesco Medici allora principe di Firenze, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1823 p. 114. Nella Vita di Duccio di Buoninsegna, lo stesso Vasari osserva: «fece la chiesa e convento di S. Antonio, che inanzi all’assedio di Firenze era alla porta a Faenza e che oggi è del tutto rovinato», in G. VASARI, Vite, Vita di Duccio da Siena, Trieste, Sezione letterario-artistica del Lloyd austriaco, 1862, p. 150.

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nipoti, con solenne riformagione del 1363, la cittadinanza fiorentina41.

Al 1361-1362 circa deve essere fissata invece la fondazione e la materiale edificazione del monastero del Tau a Pistoia ad opera dello stesso precettore, il quale ne riservò a sé ed alla sua famiglia il patronato42.

Come anticipato, infine, frate Giovanni giunse nella città di Napoli verosimilmente nel 136943, e poco tempo dopo, nell’ambito del probabile rinnovamento della chiesa antonita, dovette commissionare al pittore Niccolò di Tommaso non solo l’esecuzione del sopra menzionato polittico di Sant’Antonio (1371) ma anche gli affreschi del suo

41 G. RICHA, Notizie istoriche, cit., pp. 4-5; il Guidotti ottenne anche la cittadinanza di Perugia, come conferma un atto del 16 febbraio 1379, che lo menziona così: «venerabilis et magnifici domini fratris Iohannis Guidotti de Pistorio apostolice sedis gratia preceptoris ordinis Sancti Antonii Regni Sicilie ultra et citra farum», in «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», 105, 1, 2008, p. 150, doc. VII. 42 L’autorizzazione alla fondazione risale al 29 dicembre del 1360, e per questo documento e gli altri relativi al patronato dei Guidotti, si veda S. FERRALI, L’Ordine ospitaliero, cit., pp. 194 ss. Un Puccinus quondam Fortini Raineri de Floravantibus de Pistorio a sua volta patrocinò, sempre a Pistoia, la costruzione di un altro oratorio dedicato a sant’Antonio nel 1334, S. FERRALI, L’oratorio di S. Antonio abate in Pistoia, in «Bullettino Storico Pistoiese», III serie, 2, 1967. 43 S. FERRALI, L’Ordine ospitaliero, cit., p. 199. Al Guidotti fanno riferimento alcuni documenti inediti dell’Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Pergamene, Firenze, S. Antonio Abate: da atti del 29 novembre 1358 (nonché del 4 maggio 1359 e del 26 maggio 1363, testamento di Melda), risulta che Giovanni era figlio di Guidotto Nardi di Pistoia e di Melda di Manetto di Gianni; da un atto del 23 febbraio 1367 risulta che era sia precettore di S. Antonio di Firenze che di S. Antonio di Pistoia, da poco tempo edificato a sua cura e spese; il primo atto noto che lo menzioni a Napoli risale al 24 novembre de 1372, si tratta, in particolare, di un lodo degli Ufficiali della mercanzia della città di Firenze, in volgare, che lo definisce comandatore di Puglia; un altro atto del 21 gennaio 1380 lo ricorda come «frater Johannes Guidocti de Pistorio, Ordinis Sancti Antonii, monaci monasterii Sancti Antonii Bienne et olim preceptor Sancti Antonii de Florentia et nunc preceptor Sancti Antonii de Neapoli»; un atto del 23 aprile 1382 lo ricorda altresì come precettore di Puglia; infine, è menzionato l’ultima volta in un atto del 23 dicembre 1384, e si ritiene che morisse nei primi mesi dell’anno seguente (1385), si veda altresì lo Spoglio delle cartapecore provenienti dal Bigallo (Inventario 1913, 79) ms., vol. 13, al capitolo Precettoria soppressa di S. Antonio di Firenze venute dal Bigallo, ff. 177 ss.

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monastero del Tau a Pistoia, cui si riferisce un primo pagamento del novembre del 137244.

18. Trittico di sant’Antonio abate, opera di Niccolò di Tommaso (1371) Napoli,

Museo di Capodimonte.

Il trittico con sant’Antonio Abate in trono fra angeli e i santi Francesco e Pietro, Giovanni Evangelista e Ludovico di Tolosa (fig. 18), comunque, contrariamente a quanto in genere si è ritenuto, non costituisce affatto un’univoca celebrazione iconografica angioina tale da farne supporre la commissione ad opera di un sovrano della casa reale e specificamente di Giovanna I. I riferimenti araldici contenuti nel polittico, infatti, come ad esempio il fondo seminato di gigli, potrebbero in

44 L. GAI, Nuove proposte e nuovi documenti sui maestri che hanno affrescato la Cappella del Tau a Pistoia, in «Bullettino storico Pistoiese», III ser., 5, 1970, pp. 75-94.

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realtà esser spiegati con la volontà del Guidotti di celebrare solennemente il patrocinio e la protezione più volte accordati all’Ordine ed alla precettoria napoletana appunto dai sovrani angioini, senza che vi sia stato verosimilmente anche un coinvolgimento diretto di Giovanna, o di un altro membro della famiglia reale, nella commissione della tavola.

L’uso dei gigli angioini, infatti, non implica necessariamente il patrocinio regale, poiché l’insegna araldica angioina fu usata anche in opere non di committenza regia quali, e per tutte, il codice miniato dei Carmina Regia (ms. Royal 6 E IX della British Library di Londra) di Convenevole da Prato, donato dalla città toscana a re Roberto d’Angiò all’atto della sottomissione allo stesso (1335-1340), e recante appunto una ricca decorazione araldica utilizzata per finalità celebrative ed encomiastiche del Sovrano.

Il san Giovanni Evangelista raffigurato nel polittico napoletano è quindi probabilmente il santo protettore del precettore Guidotti, e, per le ragioni già illustrate dovrebbe proprio alludere a lui piuttosto che a Giovanna I. Il san Pietro, invece, costituisce un riferimento alla Chiesa di Roma, feudataria del regno di Sicilia e dalla quale l’Ordine dipendeva direttamente, come peraltro risulta da una bolla pontificia del 10 giugno 129745. Lo stesso Guidotti fu alto funzionario pontificio, ed, in

45 I canonici di S. Antonio erano: «ab omni jurisdictione potestate et subjectione ac dominio archiepiscoporum, episcoporum et ordinarii…eximenda…immediate ac soli Romano Pontifici subjacere», in A. MISCHLEWSKI, Un ordre, cit., pp. 146-155, doc. n. V.

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particolare, ricoprì l’incarico di rettore della provincia di Campagna e Marittima nello stato della Chiesa nel periodo 1365-1367 46 .La rappresentazione del san Ludovico d’Angiò, vescovo di Tolosa deve invece probabilmente esser letta proprio come un omaggio alla casa reale angioina, mentre il san Francesco è citato probabilmente come santo del Tau, segno da lui utilizzato per praticare numerose guarigioni47 , benché, occorre avvertire, mentre per gli antoniti quel simbolo si riferiva alla furcilla alaria (una vel gemina), o potentia come la definisce la bolla del 1297 (habitum vero cum signo quod Potentiam vocant in honorem ipsius Beati Antonii), che costituiva il sostegno materiale dei soggetti “contratti”, che avevano cioè patito contratture degli arti in conseguenza dell’ergotismo48, per il Santo assisiate

46 Intorno al 1366, nel rettorato di Campagna si fronteggiarono due coalizioni: da una parte Ferentino, Alatri, Veroli, Frosinone, Monte S. Giovanni, Baùco, Torrice, Ripi, Guarcino, Vico Collepardo, Trivigliano, Paliano e Serrone, e dall’altra Fumone, Anticoli, Porciano, Ceprano e Pofi, fedeli alla Chiesa ed al rettore Giovanni Guidotti, che aveva cercato di limitare le libertà comunali. In occasione degli scontri tra queste fazioni fu anche distrutta la rocca della città di Ferentino sede del rettore. Il conflitto terminò poi con il perdono generale dei colpevoli, concesso da papa Urbano V con bolla Noverint universi del 18 gennaio 1368, indirizzata al nuovo rettore di Campagna e Marittima Ugone de Bonavillario, e cfr. L. DE PERSIIS, La badia o trappa di Casamari, nel suo doppio aspetto monumentale e storico, brevemente descritta, Roma, Tip. Poliglotta della S. C. di Propaganda Fide, 1878, pp. 106 ss. Già nel maggio-giugno del 1365, lo stesso papa Urbano V aveva incaricato Pietro Bohier (1310 o 1314-1388), vescovo di Orvieto e vicario pontificio a Roma, della revisione dei conti del rettore Guidotti, per accertare l’entità della somma resasi necessaria per recuperare e difendere castelli e terre delle due province, che era risultata certamente superiore agli stipendi del rettore e delle sue milizie, e cfr. E. PETRUCCI, voce BOHIER, Pietro (Petrus Boherius, Boherii, Boerii), in Dizionario Biografico degli Italiani, XI, (1969), all’indirizzo: <http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro bohier_(Dizionario-Biografico)/> [17 gennaio 2013]. 47 E. SCIAMANNA, Il Tau. Origine e tradizione francescana del simbolo, Assisi, Minerva, 2004, con esame delle fonti francescane, pp. 8-15. 48 Cfr. T. RAYNAUDI, In symbolicam S. Antonii Magni imaginem, Gandavi, Ex. Typ. Bernardi Kerchovii, 1659, pp. 47 ss.

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il Tau non era altro che la Croce di Cristo (crux commissa).

19. Simboli antoniti, affresco della precettoria di S. Antonio di Ranverso (secc.

XVII-XVIII), (Buttigliera Alta, provincia di Torino).