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31 anno 8 settembre 1998 rivista trimestrale dell'associazione per l'incontro e la comunicazione tra i popoli MADRUGADA Verranno uomini, uomini nuovi, uomini vecchi, uomini sempre. Verranno tempi migliori e altre verità, altre menzogne… Il nord sarà il sud e il sud sarà il nord. Cambieremo le stelle come pezzi di una scacchiera celeste; cambieremo le idee, i sogni, le allegrie… Verranno uomini nuovi con la nuova Vita, con la nuova aurora.

MADRUGADA - · PDF fileCaro lettore e cara lettrice, vedere contro luce, è un po’ come sapere an-zi tempo; oppure vedere contro sole, al matti-no, appena sveglio, che non sai dove

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31a n n o 8

s e t t e m b r e 1 9 9 8

r i v i s t a t r i m e s t r a l e d e l l ' a s s o c i a z i o n e p e r l ' i n c o n t r o e l a c o m u n i c a z i o n e t r a i p o p o l i

MADRUGADA

V e r r a n n o u o m i n i , u o m i n i n u o v i ,u o m i n i v e c c h i ,u o m i n i s e m p r e .

V e r r a n n o t e m p i m i g l i o r ie a l t r e v e r i t à , a l t r e m e n z o g n e …

I l n o r d s a r à i l s u d e i l s u d s a r à i l n o r d .C a m b i e r e m o l e s t e l l e

c o m e p e z z i d i u n a s c a c c h i e r a c e l e s t e ;c a m b i e r e m o l e i d e e ,

i s o g n i , l e a l l e g r i e …V e r r a n n o u o m i n i n u o v i

c o n l a n u o v a V i t a ,c o n l a n u o v a a u r o r a .

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S O M M A R I O

3 c o n t r o l u c eCent’anni di solitudinela redazione

4 angolo d i l e t turaIl mito di Macondodi Enzo Demarchi

7 e c o n o m i aIpotesi di lavoro sul tema dellapiccola impresa in America Latinadi Paolo Gurisatti

10 d e n t r o i l g u s c i oIl Suddi Bruno Manghi

11 i n c e r c a d ’ a l iVivere o sopravvivere?di Marco Lazzaretto

13 l e t t e r e d a l s u dFra terra e maredi Michele Del Gaudio

15 c o n t r o c o r r e n t eFinché ci sarà un Sud...di Giuseppe Stoppiglia

18 a s u d d e l l a s t o r i aSe avesse vinto Franceschiellodi Oliver Gravier

21 n a z i o n i u n i t eUn tribunale per la storia futuradi Barbara Fabiani

23 i l s u d i n t e r i o r eSulla frontiera contaminatadi Paola Stradi

25 d i a r i o m i n i m oSe io fossi Abdeldi Francesco Monini

27 n o t i z i eMacondo e dintornidi Gaetano Farinelli

31 r e d a z i o n a l eNostalgia di futurodi Chiara Cucchini

direttore editorialeGiuseppe Stoppiglia

direttore responsabileFrancesco Monini

comitato di redazioneOrtensio AntonelloStefano BenacchioGaetano Farinelli

collaboratoriMario Bertin

Corrado BorsettiEnzo DemarchiAndrea GandiniEttore Masina

progetto graficoAndrea Bordin

stampaLaboratorio Grafico BSTRomano d’Ezzelino (Vi)

Stampato in 3.000 copieChiuso in tipografia il 9 settembre 1998

copertina

versi di Dulce Maria Loynaz

fotografia di Pia Ranzato

fotografie

Pia Ranzato

Nostalgia di futuro

Edizioni Lavoro,

marzo 1998

Registrazione del Tribunale di Bassano n. 4889 del 19.12.90La redazione si riserva di modificare e abbreviare i testi originali.

Studi, servizi e articoli di “Madrugada” possono essere riprodotti,purché ne siano citati la fonte e l’autore.

MADRUGADA31

a n n o 8s e t t e m b r e 1 9 9 8

Via Romanelle 12336020 Pove del Grappa (Vi)Telefono (0424) 80 84 07

Fax (0424) 80 81 91

c.c.p. 12794368

E-mail: [email protected]://www.nsoft.it/macondo

Hanno scritto fino ad oggi su Madrugada:Alberton Diego, Alunni Istituto Alberghiero Abano Terme, Alves DosSantos Valdira, Amado Jorge, Anonimo peruviano, Anonimo, AntonelloOrtensio, Arveda Gianfranco, B.D., Benacchio Stefano, Bertin Mario,Bertizzolo Valeria, Bianchin Saul, Bordignon Alberto, Boschetto Benito,Braido Jayr, Brighi Cecilia, Brunetta Mariangela, Callegaro Fulvia,Camparmò Armida, Cardini Egidio, Castellan Gianni, Cavalieri Massimo,Ceccato Pierina, Chierici Maurizio, Colagrossi Roberto, Colli Carlo,Corradini Luca, Correia Nelma, Cortese Antonio, Crimi Marco, CrostaMario, Cucchini Chiara, Dalla Gassa Marcello, Dantas Socorro, DeLourdes Almeida Leal Fernanda, De Marchi Alessandro, De Silva Denisia,De Vidi Arnaldo, Del Gaudio Michele, Demarchi Enzo, Di FeliceMassimo, Di Sante Carmine, Dos Santos Isabel Aparecida, Eunice Fatima,Eusebi Gigi, Fabiani Barbara, Farinelli Gaetano, Ferreira Maria Nazareth,Figueredo Ailton José, Fiorese Pier Egidio, Fogli Luigi, Fongaro Claudioe Lorenza, Furlan Loretta, Gandini Andrea, Garbagnoli Viviana, GarciaMarco Aurelio, Gattoni Mara, Gianesin Roberta, Gomez de Souza LuizAlberto, Gravier Olivier, Grisi Velôso Thelma Maria, Guglielmini Adriano,Gurisatti Paolo, Lazzaretto Marco, Lazzaretto Monica, LazzarinAntonino, Lazzarini Mora Mosé, Lima Paulo, Lupi Michela, ManghiBruno, Marchi Giuseppe e Giliana, Margini Luigia, Masina Ettore,Masserdotti Franco, Mastropaolo Alfio, Matti Giacomo, Medeiros J.S.Salvino, Menghi Alberto, Miguel Pedro Francisco, Milan Mariangela,Milani Annalisa, Miola Carmelo, Monini Francesco, Montevecchi Silvia,Morelli Pippo, Morgagni Enzo, Mosconi Luis, Murador Piera, OrtuMaurizio, P.R., Pagos Michele, Pase Andrea, Pedrazzini Chiara,Pedrazzini Gianni, Pegoraro Tiziano, Peruzzo Dilvo, Peruzzo KrohlingJanaina, Peyretti Enrico, Pinto Lúcio Flávio, Plastotecnica S.r.l., RamaroGianni, Ramos Valdecir Estacio, Ripamonti Ennio, Rossetto Giorgio, RuizSamuel, Sansone Angelica, Santarelli Elvezio, Santiago Jorge, SartoriMichele, Sbai Zhor, Scotton Giuseppe, Sella Adriano, Sena Edilberto,Serato Stefano, Simoneschi Giovanni, Sonda Diego Baldo, SpinelliSandro, Stanzione Gabriella, Stoppiglia Giuseppe, Stoppiglia Maria,Stradi Paola, Tanzarella Sergio, Tessari Leonida, Tomasin Paolo, TonucciPaolo, Tosi Giuseppe, Trevisan Renato, Turcotte François, Turrini Enrico,Vulterini Stefania, Zanetti Lorenzo, Zaniol Angelo, Zanovello Ivano.

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Caro lettore e cara lettrice,

vedere contro luce, è un po’ come sapere an-zi tempo; oppure vedere contro sole, al matti-no, appena sveglio, che non sai dove andare eti guarda sorridendo l’astro nascente. Per que-sto sono permesse a questa penna molte im-proprietà, soprattutto se è un incosciente che siprende la briga temeraria di scrivere.

Attraverso la tromba del guscio entriamo nel-l’atrio del monografico dedicato al Sud, perchécon questo numero tentiamo di percorrere unaomogenea strada divaricante. Servendosi di undizionario tutto da costruire, per cui manca l’e-ditore, ma non la materia, Manghi ci illustra ivari Sud del mondo, senza escludere i nord delSud. Segue Paola Stradi con il suo Sud interio-re, a volte stranito, a tratti poe-ta, a momenti stregone, legatoalla terra, alla fragranza solaredel pane, che si scioglie e spa-sima e prorompe e grida nellasua musica di guitto e di can-tastorie. Forse tu già lo sapevi;ma io che lo avevo letto digiorno e di notte, incupito edesaltato come i suoi personag-gi, ho riscoperto nelle paginedi Demarchi un Macondo piùricco, in cui la donna è il per-no della vita, e non dell’ansia;in cui la solitudine aspira allasolidarietà; e dunque non adomologarsi, ma ad uscire dalrecinto; ed in cui realtà e ma-gia si fondono; in cui la scrittu-ra non è un gioco; non è unimpegno, ma solo poesia.

Olivier Gravier da Velletripropone un’ipotesi storica: seavesse vinto Franceschiello, eaggiunge alla provocazione loscandalo di continuare l’anali-si storica con una favola popo-lare, fatta di prove, di amoriconquistati, perduti e ripresiforse per sempre. Una storiad’Italia di cui i libri non parla-no. Infine Michele del Gaudioci parla di legalità al sud e scri-

ve tre lettere ai fratelli della camorra, ai fratellisacerdoti e ai ragazzi; per spedirle non basta unfrancobollo. Il suo senso, l’ordito e la tessitura,forse ogni notte viene sfilato dal telaio, e ri-composto di giorno tra pianti e grida; richiami,ricami e tarantelle; con pazienza e senza la lo-gica tronfia del potere che vuole stare comun-que sopra.

In controcorrente, con il carrello in controlu-ce, mentre cala il vento che soffia sugli occhi enon vedi l’avversario che ti colpisce al cranio,Giuseppe tenta di ricomporre frammenti di uma-nità, quasi tecnico di montaggio dei sospiri e de-gli aneliti, che è la ricerca di un filo che ha il suonodo nella palpitante vita dell’incontro.

Raccogliendo ad ogni angolo voci, indicazio-ni, notizie, nel grande consesso dell’ONU, Bar-

bara Fabiani delinea la nascitadi un tribunale per fermare larazionalità delle guerre che cioffrono il conto logico di inuti-li massacri.

Ora gli occhi prendono con-fidenza e guardano il quader-no di Francesco alla rubricadiario minimo che raccoglie iframmenti, i petali e le spinedel tempo che ancora battonosulla torre del castello; infuria-no le grida dagli spalti e l’urlodi chi è ferito; s’accende un pe-tardo nel cielo e un fuoco ari-do in fondo agli occhi.

Tornando dalla cena dei ri-cordi, Marco Lazzaretto nonaccende il televisore ma apre ilcassetto delle utopie.

Chiude la Pia, con una se-quenza di foto che racconta dianziani che hanno voglia di fu-turo, anche se da sempre si ten-ta di calare il sipario, perchécosì vuole il ciclo della vita, di-cono; ma prima non dimenti-care la cronologia, a futura me-moria di chi non incide sullelapidi i suoi trofei, e ascolta ilcanto dei trovatori.

La redazione

Cent’annidi solitudine

Scorrendo le pagine di Madrugada

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c o n t r o l u c e

Melina, Grecia, 1979. Sulla soglia

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Cent’anni di solitudine di G. G. Már-quez ha celebrato, l’anno scorso, itrent’anni dalla prima pubblicazione.Naturalmente su giornali e riviste s’èlevato un coro di critici ed esperti percommemorare questo “miracolo” nelboom che la narrativa latino-ameri-cana conobbe a suo tempo. In realtà,non erano mancate le voci dissen-zienti, anche apertamente “critiche”(Pasolini, Fortini, Calvino...), ma i ca-polavori, prima che decretati dai cri-tici, sono riconosciuti dal fiuto dei let-tori: 25 milioni di copie vendute intutto il mondo, un milione e mezzo

solo in Italia. Se è vero che mito è ciò che non è

mai esistito ma è sempre, si può direche col suo romanzo García Már-quez ha creato il mito di Macondo -villaggio simbolo di un continente,anzi «più che un luogo del mondo,uno stato d’animo», com’ebbe a direl’autore in un libro che citerò qui ap-presso (p. 95-96) -, mito che, fuoridel tempo, sfida ogni tempo. Vorreifare qualche considerazione sia pursommaria su questo mito, da tre pun-ti di vista:1) il realismo magico della narrazione;

Il mito di MacondoA sud della scrittura

di Enzo Demarchi

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a n g o l o d i l e t t u r a

Malatya, Turchia, 1979. Generazioni

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2) il personaggio di Ursula;3) la solitudine-solidarietà di un con-tinente.

Realismo magico

Nessuno ha saputo parlarne con piùconcretezza dell’autore stesso. Faròperciò riferimento alle conversazionidi G. Márquez col critico (amico) Pli-nio Mendoza, tradotte e pubblicatenel 1983 negli Oscar Mondadori coltitolo Odor di guayaba. Allo spuntoofferto dal critico: «La manipolazio-ne della realtà nei tuoi libri è statachiamata realismo magico. Ho l’im-pressione che i tuoi lettori europeicolgano la magia delle cose che rac-conti, ma non vedano la realtà che leispira...», Márquez risponde: «Certa-mente, perché il razionalismo nonpermette loro di vedere che la realtànon si esaurisce nel prezzo dei po-modori o delle uova. La vita di tutti igiorni in America Latina ci dimostrache la realtà è piena di cose straordi-narie» (o.c., p. 45). E più avanti:«Quando ero all’università, al primoanno di legge - avevo circa dicianno-ve anni - ho letto La metamorfosi diKafka. Parliamo di questa rivelazione.Ricordo la prima frase: “GregorioSamsa, svegliandosi una mattina, do-po un sonno agitato, si trovò nel let-to trasformato in un enorme insetto”.“Càspita - pensai - così parlava mianonna”. Fu allora che la narrativa co-minciò a interessarmi» (p. 62). E an-cora: «I miei nonni erano discenden-ti di gaglieghi, molte delle cose so-prannaturali che mi raccontavano ri-salivano alla Galizia. Ma credo chequel gusto per il soprannaturale siaanche un’eredità africana... Nella re-gione caraibica, cui appartengo, lasfrenata immaginazione degli schiavinegri africani si è mescolata con quel-la dei nativi precolombiani, con lafantasia degli andalusi e con il cultoper il soprannaturale dei gaglieghi.Questa propensione a guardare allarealtà in modo magico è propria deiCaraibi e anche del Brasile... Credoche i Caraibi mi abbiano insegnato avedere la realtà in una maniera tuttaparticolare, ad accettare gli elementisoprannaturali come qualcosa che faparte della nostra vita quotidiana»(pp. 64-66). Da tutto questo si capiràfacilmente perché G. Márquez nonabbia simpatia per la cosiddetta let-teratura impegnata: «Il dovere di uno

scrittore, e il dovere rivoluzionario -se si vuole - è scrivere bene... La trac-cia (per scrivere Cent’anni di solitu-dine) me l’hanno fornita i racconti dimia nonna. Per lei i miti, le leggende,le credenze della gente facevano par-te, in modo assolutamente naturale,della vita quotidiana. Pensando a lei,mi sono reso conto, di colpo, che noninventava nulla, ma semplicementecaptava e raccontava un mondo dipresagi, di terapie, di premonizioni,di superstizioni che ci era proprio,una realtà molto latino-americana».E la stoccata finale: «Ciò che mi hapermesso di scrivere Cent’anni di so-litudine è stata la semplice osserva-zione della realtà... senza le limita-zioni che i razionalisti e gli stalinistidi sempre hanno cercato di imporle,affinché costi loro minor fatica ilcomprenderla» (p. 73).

Lo stupore dellarealtà quotidiana

A Macondo si è convinti che «la fon-te di creazione è sempre la realtà» eche «l’immaginazione non è altro cheuno strumento per elaborare larealtà»: tra immaginazione e fantasiac’è la stessa differenza che esiste traun essere umano e il burattino di unventriloquo (o.c., p. 39). In ogni realtànon c’è solo un problema da risolve-re, ma un mistero da scoprire, e più sirisolvono problemi più affiorano niti-damente i misteri. L’intelligenza del-la ragione apre la strada all’intelli-genza del cuore: filosofia, scienza,tecnica non potranno mai sterilizzar-ne la meraviglia.

Il personaggio di Ursula

A Macondo c’è la casa dei Buendía (inun primo tempo l’autore avrebbe vo-luto intitolare il romanzo La casa), enella casa c’è una donna, una madre:Ursula Iguarán Buendía. Gesti, parolee azioni di Ursula ricoprono i quattroquinti dell’intero romanzo (dall’iniziofino a pag. 353, su un totale di 426pagine, nella vecchia edizione). Lastraordinaria longevità di UrsulaIguarán è dovuta al fatto che «se mo-riva, il romanzo sarebbe crollato.Quando muore, il libro possiede giàuna tale spinta che non importa ciòche accade in seguito» (o.c., p. 94).

È sempre l’autore a darci la chiave

interpretativa di questo personaggiofemminile: «Credo che le donne so-stengano il mondo in bilico perchénon perda l’equilibrio, mentre gli uo-mini cerchino di spingere la storia. Al-la fine ci si domanda quale delle duecose sia la meno sensata» (ibid.), ed èchiaro a quale risposta inclini G. Már-quez, quando leggiamo, a pagina 133,la chiosa esplicativa: «Le donne so-stengono l’ordine della specie con ilpugno di ferro, mentre gli uomini van-no per il mondo impegnati in tutte leinfinite follie che sospingono la sto-ria». È in questa femminilità matriar-cale che ha radice la duplice caratte-ristica che contraddistingue Ursula: lasua dedizione-fedeltà alla stirpe e lasua religiosità come cultura di vita.

La r’zdora

Ursula è la donna forte (la “r’zdora”,come dicono nelle campagne emilia-ne: la reggitrice, colei che regola eregge le sorti della casa, che porta in-somma i pantaloni) in una casa inte-sa come il luogo della vita e dei suoiriti, l’asse attorno al quale ruota l’uni-verso delle realtà personali, calamitae porto di incontri e ritorni dopo ine-vitabili sbandamenti, crogiuolo capa-ce di accogliere e fondere in un’uni-ca realtà anche abitudini e mentalitàdisparate, come quelle dei gringos (vi-cenda di Piero Crespi). La casa non èsolo di genitori e figli, ma anche degli“affiliati”: di tutti coloro che a qua-lunque titolo vengano accolti in essao per essere allevati ed educati comefigli, o come amici della famiglia. Co-sì Ursula accoglie in casa, sia pure dimalavoglia, il nipote bastardo Arcadio(figlio di José Arcadio e di Pilar Terne-ra, l’altra “donna della realtà”, anta-gonista di Ursula); s’è presa a carico,per farsi aiutare nelle faccende do-mestiche, due indios docili e servi-zievoli, Visitación e il fratello; pocodopo accoglierà l’orfana Rebeca co-me propria figlia. Perfino di Melquía-des - lo zingaro che aveva sedotto lafantasia del marito, José ArcadioBuendía, col miraggio di chimericheinvenzioni - Ursula, dimenticando isuoi vecchi crucci, deciderà che «sa-rebbe rimasto a vivere in casa» perché«nonostante la sua immensa sapienzae il suo ambito misterioso, aveva unpeso umano, una condizione terrestreche lo manteneva imbrigliato ai mi-nuscoli problemi della vita».

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En carne y hueso

Ursula è una donna religiosa, d’unareligiosità (inestricabilmente paganae cristiana insieme) tutta al serviziodella vita. Ha vivo il senso delle per-sone “en carne y hueso”. In lei il per-sonalismo è inscindibile dal vitalismo.Persona è per lei, innanzitutto e fon-damentalmente, corpo: carne e san-gue della stirpe. È nel corpo, indivi-duale e familiare (clan), che si rico-nosce e comunica la persona. Pensierie sentimenti, leggi e ideali, anche ipiù elevati, hanno bisogno di tale in-carnazione per essere umanamentevalidi. Ursula deve tenere in piedi unacasa riscattandola dalle mattane edalla fantasia spropositata del maritoe dal vizio dei figli, continuamente in-vischiati in guerre, nella passione peril gioco con i galli da combattimentoe per le donne di malaffare. Dotata dibuon senso pratico, sa anche investi-re bene i suoi risparmi, pur avendo uninnato senso della giustizia che le farànascondere duecento chili d’oro ri-trovati dentro una statua di S. Giu-seppe, per riconsegnarli a chi gliel’a-veva prestata, e che la farà pregareDio di far ridiventare poveri i figli purdi non vederli schiavi di una vita de-bosciata.

Eppure questa donna “dal cuore in-vincibile” è tutto fuorché un’inven-zione della fantasia: è un personaggioconcepito guardando e ricordandouna realtà impastata di immaginazio-ne. Possiamo ancora una volta crede-re a G. Márquez quando ci dice che«aspetti del carattere di UrsulaIguarán sono in gran parte quelli dimolte donne che ho conosciuto [inprimo luogo, sempre la nonna Tran-quilina]. In realtà Ursula è per me ladonna ideale, nel senso che è il para-digma della Donna, così come io laconcepisco» (o.c., p.23-24). Possia-mo dire che a Macondo il vitalismopersonalistico costituisce l’“animus”femminile-materno della gente latino-americana, vera “ombra” junghianadel suo machismo (cfr. o.c., p.134).

Hablar e falarParlare e favellare

Un’ultima annotazione. Ursula èqualcosa di più di un personaggio, diun ricordo mitico. A differenza infat-ti degli altri personaggi, essa è anchecolei che ricorda, memoria vivente

della casa. La sua vita è presenza con-tinua; più che personaggio da verifi-care è una verifica di tutta la narra-zione: “donna della realtà”, comescrisse Cesare Segre. Ursula è un per-sonaggio “favoloso” alla seconda po-tenza: la parola del narratore-fabula-tore riprende un’altra parola narratri-ce, quella della leggenda popolare,del modo di narrare i fatti del popo-lo, di cui è testimone e maestra lanonna di G. Márquez, donna Tran-quilina. Così parlando (hablar e falar= parlare come fabulare, favellare), lagente crea la propria storia, il proprioambiente di verità umana, “narrando”ciò che è già accolto e tramandato.Tale narrare è un ritrovarsi dell’essereumano mediante una memoria egual-mente lontana dalla cruda fattualità edalla fredda astrazione razionale.“Narrare” è sapere umanamente av-venimenti e cose: l’ignaro è colui chenon sa perché non sa narrare. Ma-condo è un luogo dove non esistonofatti ma “storie”: fatti narrati.

Solitudine e solidarietà

Il terrore di Ursula di fronte alla even-tualità dei figli “con la cosa di maia-le” è superstizioso e vitalissimo insie-me: una superstizione al servizio del-la vita. Esprime la paura ossessiva diun vizio ereditario della stirpe, ripie-gata e incrociata sulla propria solitu-dine, insieme al desiderio di trovarela solidarietà nell’apertura ad altrosangue (altre culture, razze, conti-nenti...). Fedele alla stirpe, Ursula nonla vuole chiusa e condannata in sestessa, nel circolo vizioso del propriosangue, ma quanti scandali non do-vrà patire nella sua casa, nonostantetutti i riti con i quali essa cerca di por-re una barriera a ogni possibile in-crocio consanguineo!

Il tema della solitudine-solidarietàesprime (a livello continentale) il ri-cordo ancestrale della solitudine diavventurieri e desterrados in cercad’una nuova esistenza, che, lontanadalla civiltà consolidata, non potràche contare sulla solidarietà degli es-seri soli, sul desiderio di ritrovarsi sul-la base di una nuova famiglia e unanuova “patria grande”. Il “tempo sto-rico” di prima è stato in qualche mo-do abbandonato per dare inizio auna nuova vicenda umana. Ciò checonta, ciò che permette concreta-mente all’uomo di ritrovarsi e identi-

ficarsi, è il suo appartenere a una stir-pe nuova, a quella razza creola(criollo da criar = allevare ed educa-re) che non si riconosce né della me-tropoli né della nuova terra, né euro-pea né india; gente che non può con-tare né sul proprio passato né sullatradizione indigena, ma solo su sestessa, sulla tradizione da costruirecol proprio sangue. Solitudine e soli-darietà non sono dunque in contrad-dizione tra loro, ma coppia dialetticache compensa una realtà di fondo,quella di un continente che diventa“nuovo mondo” e che, facendo sco-prire agli uomini la solitudine, impri-me anche in loro il marchio-ricercadella solidarietà. In tale contesto e si-tuazione la solitudine non significaisolamento razzista, presuntuoso echiuso, ma soledad-saudade, indi-cante nostalgia d’una presenza, di in-contro e re-incontro, stato d’animonon passeggero e non futilmente sen-timentale, caratterizzato da ricordo esperanza: sentimento congenito allasolitudine in cerca di solidarietà.

Per sapere chi si è

Solitudine-solidarietà esprime anche,come ho già accennato, alla dialetti-ca uomo-donna in una società para-dossalmente “machista” e matriarca-le. In tal senso, alla solitudine di idea-li facilmente visitabili da tante ideo-logie, accolte e digerite alla latino-americana (utopicamente e disinte-ressatamente, contro ogni calcoloideologico-razionale, perché troppoforte è il misticismo e il potere so-gnatore dell’animo latino-americano)fa da contrappeso la solidarietà delsangue e dei legami “cordiali” nellafamiglia, nel villaggio, nella patriagrande, nel mondo abitato da una“razza cosmica”. La stessa solitudine,che sul piano comportamentale ge-nera l’ethos personalistico, il bisognodi relazioni umane concrete e gratui-te, sul piano pratico-operativo provo-ca invece lo sbrigliamento della fan-tasia, la refrattarietà al metodo e allacostanza della ragione calcolatrice.

Macondo è il luogo dove c’è sem-pre bisogno di altri per sapere chi siè, il luogo dell’identità coniugata conl’alterità.

Enzo DemarchiEsperto di letteratura

sudamericana

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Per una rinnovata lineadi cooperazione internazionale

Le iniziative avviate negli ultimi anniin alcune province della RepubblicaArgentina (Santafe e Cordoba) e delBrasile (Rio Grande do Sul, Santa Ca-terina, Paranà) inducono a rifletteresulla possibilità di promuovere espe-rienze di sviluppo endogeno ispirateal modello dei distretti industriali eu-ropei ed italiani in particolare.

Non sono poche le indagini sulcampo, sia pure indiziarie, che con-fermano l’esistenza, in alcuni territo-ri dell’America Latina, di condizioniminime sufficienti per lo sviluppo dipiccole imprese a rete.

Nelle province citate, ad esempio,esistono già una cultura e una tradi-zione industriale di stampo europeo,base indispensabile per una rapida in-tegrazione nell’economia globale; daqualche anno tende a crescere anchel’interscambio commerciale, mentresi rafforza il ruolo delle associazioniimprenditoriali e delle istituzioni lo-cali orientate ad una specifica politi-ca per la piccola impresa.

In queste realtà esiste già una precisadomanda di cooperazione da parte disoggetti collettivi e gruppi di imprendi-tori cui diverse organizzazioni italianeed europee (università, associazioniimprenditoriali, centri di ricerca e ser-vizio per le piccole imprese) possonodare risposte convincenti. Tale doman-da riguarda prevalentemente:

• la formazione di agenti locali disviluppo che siano capaci di interve-nire sui fattori critici del territorio (crea-zione di risorse umane e finanziarie,start-up di centri di servizio reale, co-struzione di relazioni commerciali in-ternazionali, integrazione tra industrie,avvio di patti territoriali) che possanofavorire una rapida germinazione di re-ti integrate di piccole imprese e nonsolo processi di decentramento dellegrandi aziende transnazionali;

• il trasferimento di tecnologie e diknow-how a favore di imprese ogruppi imprenditoriali che, pur aven-do già avviato una propria linea dicrescita industriale o artigianale, han-no bisogno di supporto organizzativoo formativo per estendere la propriapresenza all’interno del Mercosur enel mercato globale (stage pressoaziende partner in Europa).

A questo tipo di domanda le istitu-zioni italiane della cooperazione, inaccordo con strutture formative, as-sociative e di ricerca delle regioni,possono dare risposte concrete intempi brevi.

Condizioni preliminari

Tuttavia è ancora necessario effettua-re un paio di approfondimenti anali-tici prima di giungere ad una fruttuo-sa linea di cooperazione sul tema del-la piccola impresa:

• da un lato, è indispensabile com-pletare l’analisi dei modelli distrettualie non-fordisti di sviluppo presenti inAmerica Latina, per identificare le mo-dalità attraverso le quali questa speci-fica forma di sviluppo industriale (mol-to simile, nel suo DNA, a quella pre-sente in Europa e nel Nordest dell’Ita-lia) ha potuto radicarsi, pur in assenzadi condizioni favorevoli simili a quelledi cui hanno goduto i distretti europei;

• dall’altro, è necessario insisterenella costruzione di occasioni di in-contro tra esperti e tecnici dei duecontinenti, anche attraverso lo stru-mento dello stage o delle visite gui-date in distretti o territori simili del-l’America Latina e dell’Europa, conl’obiettivo di raccogliere elementi cer-ti circa l’effettiva somiglianza dei si-stemi produttivi e dei territori che po-trebbero essere coinvolti in una nuo-va fase di cooperazione (qualità deiprodotti e dei processi, standard tec-nologici e conoscitivi, ruolo delle isti-

Ipotesi di lavoro sul temadella piccola impresa inAmerica Latinadi Paolo Gurisatti

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tuzioni, evoluzione storica degli in-sediamenti, ecc.).

A proposito di questi aspetti, va ri-cordato che già esistono non soloesperienze di ricerca (attuati dalle uni-versità e da istituzioni pubbliche e pri-vate come Cepal, Nomisma, Poster),ma anche esperienze di formazione,stage e scambio tra operatori che ren-dono tutt’altro che astratti e generici inuovi approfondimenti proposti. Que-sti si configurano come premessa ope-rativa per lo sviluppo di più efficaci re-lazioni economiche tra imprenditoridei due continenti, attorno ad un nuo-vo modello di sviluppo basato sullacentralità della piccola impresa.

Progetti di ricerca scientifica

Riveste particolare importanza lo stu-dio dei distretti (o quasi distretti) e deifattori che ne hanno determinato l’o-rigine, perché da tale studio si posso-no ricavare non soltanto indicazionispecifiche sulla piccola impresa su-damericana, ma anche preziosi ele-menti di analisi del fenomeno distret-ti come modello economico genera-le-non contestuale.

La letteratura specializzata dedicagrande attenzione alla ricerca dei fat-tori territoriali che costituiscono unapremessa indispensabile per lo svi-luppo di reti integrate di piccola im-presa (quelle che riescono a compe-tere sul mercato globale). Sembra chesoltanto alcune condizioni ambienta-li favoriscano l’insediamento di unapiccola impresa di successo e che ipolicy maker, come i biologi, debba-no saper intervenire su tali condizio-ni, più che sulle singole unità produt-tive, per ottenere insiemi vitali diaziende capaci di seguire una traiet-toria di sviluppo orientata alle espor-tazioni di prodotti manifatturieri adelevato valore aggiunto.

Per suggerire politiche efficaci di so-stegno alla piccola impresa è dunqueindispensabile definire un modellomultidisciplinare di approccio alle ca-ratteristiche del territorio, secondo glischemi originali elaborati dalla scuo-la italiana di economia industriale chefa capo a Giacomo Becattini, Seba-stiano Brusco, Enzo Rullani, e che hadato vita ad una estesa rete di analisied esperienze innovative in molte re-gioni del Nordest.

Da qualche tempo in America Lati-na si è creata una rete di ricercatori

(RED PYMES MERCOSUR) compostadi esperti argentini, cileni e brasilia-ni, con un elevato grado di professio-nalità, con una grande omogeneitàscientifica e operativa, interessati adialogare con i colleghi italiani.

Si tratta oggi di trovare le modalitàconcrete di cooperazione scientifica,che possano condurre al più presto aelaborare un modello generale di bu-siness administration adatto ai sistemidi piccola impresa.

In questo contesto, è significativoche l’Ambasciata Italiana in Argenti-na, in collaborazione con la Secreta-ria Pymes de la Presidencia e il Mini-sterio de Economia della RepubblicaArgentina, Cepal e BID, abbia avvia-to (Buenos Aires, 27 novembre 1997)un primo seminario di confronto traricercatori dei due continenti propriosul tema dei distretti e delle politicheper la piccola impresa.

Nei prossimi mesi sarà opportunoconcretizzare, non soltanto il prosie-guo della discussione, ma anche l’av-vio di alcuni progetti di interventosperimentali (con gruppi misti di ri-cercatori, in alcune realtà locali piùdisponibili) che diventino l’occasioneper misurare l’efficacia del nuovo ap-proccio analitico.

Progetti di formazione e stageper agenti locali di sviluppo

L’esperienza formativa, promossa dal-la Regione Veneto, dalla Camera diCommercio e dall’Università di Pado-va in due province argentine e in unostato del sud del Brasile negli ultimianni, ha messo in evidenza l’utilità dicorsi finalizzati a selezionare giovanilaureati sudamericani (con una forteomogeneità culturale rispetto alle co-munità residenti nell’area cosiddettadella Terza Italia) interessati ad un pe-riodo di formazione in Italia.

Tale esperienza dimostra che giova-ni motivati a svolgere un ruolo diagenti locali di sviluppo, formati allascuola dei distretti e delle istituzionidella piccola impresa italiana, sono ingrado di svolgere, una volta rientratinel paese d’origine, una funzionechiave a favore dello sviluppo dellapiccola impresa. Alcuni di essi sonostati in grado di assumere incarichi di-rigenziali nelle istituzioni economicheoppure di diventare consulenti perconsorzi di imprese e associazioni.

La stessa esperienza pilota dimostra

però che l’Italia non è organizzata peroffrire ai giovani ospiti di altri paesiuna proposta formativa organica, ar-ticolata in sessioni teoriche ed espe-rienze pratiche, corsi e fasi di stage inazienda o in centri di servizio, checoncorrano a costruire competenzemanageriali adatte a far nascere e agovernare reti di piccola impresa.

A questo proposito sarebbe oppor-tuno immaginare un ruolo più attivodelle università e dei corsi post-uni-versitari del Nordest (CUOA), oggiscarsamente propensi ad entrare nelcircuito internazionale della forma-zione qualificata. E un ruolo attivo po-trebbe essere svolto anche dalle isti-tuzioni che sono a diretto contattocon le imprese (Tecnopadova, TrevisoTecnologia o il Centro Produttività delVeneto, il Citer o l’Aster dell’EmiliaRomagna, il Cosmob delle Marche)che potrebbero intervenire nell’orga-nizzazione delle fasi di stage.

Non c’è dubbio che la possibilità diosservare direttamente il funziona-mento di reti efficienti di piccola im-presa (calzaturieri della Riviera delBrenta o della zona di Montebelluna,ceramisti di Sassuolo, mobilieri dellazona di Pesaro), stringere contatti conricercatori e tecnici europei, discute-re con dirigenti di centri di servizio,sia un’esperienza formativa essenzia-le nel curriculum di un agente localedi sviluppo, di rilevanza pari, se nonsuperiore, alla preparazione teorica.

Progetti ditrasferimento tecnologicoper tecnici e imprenditori

Proprio strutture come quelle nomi-nate, che già oggi sono coinvolte inprogetti finalizzati alla cooperazioneinternazionale e allo sviluppo dellerelazioni culturali con le comunitàitaliane all’estero, potrebbero essereprotagoniste di un processo di inno-vazione nel campo delle relazioni traimprese delle aree considerate.

Oggi, infatti, le istituzioni naziona-li preposte all’interscambio tra singo-le aziende europee e dell’America La-tina (Camere di Commercio e ICE nelnostro caso) limitano il proprio impe-gno alla promozione di incontri ge-nerici tra tecnici e imprenditori.

Le missioni all’estero, anche quelleavviate in accordo con le associazio-ni, tengono conto raramente della di-mensione territoriale dello sviluppo

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economico e della specializzazioneeffettiva dei gruppi di imprese coin-volti; non sempre vengono preparateda opportuni approfondimenti tra tec-nici e da sopralluoghi preliminari agliincontri tra imprenditori.

L’ossessione di produrre risultati tan-gibili a breve, in termini di volumed’affari e progetti di joint venture trasingoli operatori, allontana le istitu-zioni nominate dall’obiettivo di favo-rire l’incontro tra sistemi locali e im-prese minori.

Il coinvolgimento sistematico diaziende speciali, centri di servizio oaltre strutture analoghe vicine ai di-stretti italiani, nella predisposizionedelle analisi preliminari agli incontritra operatori e nella selezione tecni-ca dei sistemi interessati a specificiprogetti di scambio, potrebbe con-correre ad un netto miglioramentodelle relazioni tra piccole imprese deidue continenti.

L’avvio di iniziative che compren-dano il trasferimento di know-how daparte di tecnici italiani in distretti del-l’America Latina, ma anche l’acquisi-zione di know-how da parte di tecni-ci sudamericani in stage in alcuni di-

stretti italiani avrebbe una dupliceconseguenza:

- da una parte di avvicinare tra lorointeri sistemi e non soltanto singoleimprese, con ricadute ampie e auto-matiche, sia sul sistema donatore chesul sistema beneficiario;

- dall’altra di preparare il terreno apossibili intese tra imprenditori, orien-tate al lungo periodo e trasferimenti ditecnologie e capitali a rischio control-lato, perché adeguatamente preparati.

Conclusioni

In America Latina le imprese italia-ne, soprattutto quelle minori, sonochiamate a sperimentare un nuovomodello di internazionalizzazione. InBrasile, Argentina, Cile, esse non pos-sono sperare di esportare prodotti sen-za realizzare opportuni accordi di coo-perazione e trasferimento tecnologico.

Nelle comunità italiane ed europeedell’America Latina esse possono tro-vare non soltanto un riferimento ami-co, dal punto di vista culturale e com-merciale, ma anche un partner strate-gico per l’innovazione. Trasferire

know-how e tecnologie, esperienzetecniche e di mercato, adattare l’e-sperienza italiana a realtà socioeco-nomiche così lontane, costringe ad unlavoro di autoanalisi e di revisione deimodelli tecnici e organizzativi impie-gati, che non può non avere effetti po-sitivi sulle imprese italiane.

Il coinvolgimento di strutture di ri-cerca interessate a definire un modellodi management per i sistemi di picco-la impresa e di centri di servizio quali-ficati rende inoltre meno rischiosa l’e-ventuale partecipazione al progetto.

Nei prossimi mesi sarà dunque im-portante raccogliere l’ultimo elemen-to che manca: la volontà politica discommettere sulla produttività del-l’incontro tra sistemi di piccola im-presa, centri di ricerca scientifica ecentri di servizio, recuperando risor-se per un progetto di cooperazione in-novativo, finalizzato a produrre le ba-si di uno sviluppo endogeno anche inAmerica Latina.

Paolo GurisattiDocente all’UniversitàCa’ Foscari di Venezia.Istituto Poster, Vicenza

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Galizia, Spagna, 1977. Pescatori tra le cassette del pesce

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Per imparare a muoversinella dimensionedel pianeta

Mezzogiorno, meridiane, potrebbero apparireparole poetiche, ricche come sono di riferi-menti all’astro, alle ore, al calore. Purtroppo ciarrivano logore, distanti dalle loro nobili origi-ni, fruste dell’abuso che se ne fa nel lessico po-litico ordinario.

E quindi diciamo Sud: termine più vasto, piùoscuro e indeterminato, ma più adatto a co-scienze che imparano a muoversi nella dimen-sione del pianeta.La modernità ha gradual-mente sostituito l’immagine del Sud in quantonatura, luoghi, terre lontane, con un Sud dellepersone, dei popoli, delle civilizzazioni. Anchese, sullo sfondo, ilmodo d’essere uo-mini richiede pursempre un riferi-mento alla specialenatura che accogliee che sfida.

Resta tuttavia un la-scito della primitivaottica dell’esplorato-re: il fatto che quasisempre il Sud si fadefinire dal Nord. E,anche quando si ri-bella e accusa, fini-sce per accettare co-me punto di parten-za la definizione dialtri.

La principale con-seguenza è che delSud si tende a parla-re generalizzando,affastellando cosediverse.

È questo un modoterribile per liquida-re l’estrema varietàdi esperienze, la ric-chezza delle diver-sità, mentre appuntobisognerebbe parla-re dei Sud, sia a pro-

posito della nostra penisola e ancor più di in-teri continenti.

Eppure, anche a prezzo di questa straordina-ria semplificazione, l’idea di Sud è servita a da-re ragione della tanta ombra che serpeggia nel-la vita del Nord. Oggi più che mai, quandoproprio il Nord ricco e sviluppato secerneumori neri, insicurezze, ostentando qua e làquello strano fenomeno che è la “rabbia deibenestanti”.

Il conflittoè nei Sud

Ma tutto ciò può ancora una volta servire: per-ché avverte che i problemi del Sud (almeno del

nostro) non creanosenso di colpa alcu-no... E che, quindi,far conto sulle pro-prie originali energiediventa obbligatorio.

Più che il tradizio-nale conflitto tra iNord e i Sud, il con-flitto è nei Sud. Spe-cialmente quando ac-cettiamo l’idea, nelcaso italiano, che, siapure in termini tal-volta inaccettabili, ungrande cambiamen-to c’è stato, con ve-loce crescita di ric-chezza privata, di co-noscenza, di consu-mi. Il falso populistadi una società immo-bile e arretrata è giun-to alla fine.

Piangersi poveri earretrati significa to-gliere al Sud la suadignità e la sua spe-ranza, rinunciare al-le giuste battaglieche vanno mitemen-te, ma tenacemente,combattute.

Il Sud

di Bruno Manghi

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Galizia, Spagna, 1977. Nonna e nipote

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L’incontro con i vecchi amici

Ero a cena con degli amici che nonvedevo da molto tempo, ragazzi del-la mia età, ventitré anni: alcuni eranocompagni di classe, altri conosciuti inparrocchia; insieme abbiamo condi-viso molte esperienze ma poi, per va-ri motivi, ci siamo persi di vista. Erocontento di rivederli, avevo tante co-se da raccontare ed ero curioso di sa-pere di loro, della loro vita, del lorolavoro, dei loro progetti, dei loro so-gni. Ero euforico quella sera, prima dipartire, finalmente rincontravo i mieiamici, ma mi resi subito conto cheavevo di fronte a me quattro personetotalmente diverse da come le avevolasciate. Per tutta la sera abbiamo ri-cordato il passato, commentando ognianeddoto con «...quelli sì che eranobei tempi!». Non volevo credere chemiei amici vivessero già di ricordi, conlo sguardo rivolto al passato, timorosidi guardare in faccia il loro futuro.

Rassegnazione e diffidenza

Ciò che mi ha lasciato perplesso diquesto incontro è stato vedere i mieiamici condividere una posizione diinerzia e apatia rispetto al trascorreredella loro vita, quasi naufraghi in undestino padrone del loro futuro.

Le loro energie sembravano imbri-gliate da una sorta di rassegnazione chenon permetteva loro di ribellarsi e di ri-prendere in mano le redini della pro-pria vita, riscoprendo la gioia di vivere.

Questa rassegnazione li portava adifendersi e a far proprio uno stato didiffidenza: diffidenza verso lo stato,la società, gli affetti e, non ultimo, dif-fidenza verso l’altro. Non fidarsidell’“altro” era considerato normale,questo li portava a non riconoscere eaccettare l’“altro” e la sua diversitàcome risorsa e quindi a non affronta-re in modo libero il rapporto molto

spesso succube di pregiudizi, di pre-supposti, discriminazioni e modelliche ci costruiamo a priori.

Osservandoli mi rendevo conto chenon era solo un problema loro: devoammettere che anch’io non sempreriesco a scorgere dietro un volto unarisorsa, non sempre riesco a “ringra-ziare Dio” per questa o quella pre-senza e mi capita perciò di giudicarea priori le persone, di etichettarle e dichiudere ogni possibilità di rapporto.Superficialità o ingenuità?

Se fossimo tutti astronauti

Quella sera, quindi, è stata per meun’occasione per pensare un po’ allamia vita, a ciò che più mi irrigidiscedavanti ad una persona, a ciò cheblocca lo scorrere di quell’energia po-sitiva che passa per un sorriso o conun abbraccio.

C’è una cosa che mi ha sempre li-mitato nel rapporto con l’altro: l’in-contro per me era sempre carico diaspettative, forse avevo la pretesa dicambiare la realtà che mi circondavae tutte le mie energie erano veicolateall’esterno, tutte le mie attenzioni era-no riposte fuori dalla mia persona.Queste aspettative però, portavanocon sé spesso rabbia, delusione, ama-rezza o una gioia artificiosa ma, so-prattutto, mi impedivano di scoprirela gratuità nel rapporto con l’altro.

Solo ora inizio a scoprire la potenzadell’incontro nella dimensione di unospazio gratuito, in cui i margini entrocui oscillano le mie emozioni si dila-tano fino a toccare estremi mai rag-giunti: il quotidiano assume un valo-re diverso, il volto dell’altro viene ri-pulito da tutto ciò che mi impediva divedere l’originalità e l’unicità dell’uo-mo. Solo così tutto ciò che mi circon-da si riappropria del suo reale valore.

Ecco ciò che mi emoziona e mi stu-pisce: riscoprire attorno a me una

Vivere o sopravvivere?

di Marco Lazzaretto

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realtà nuova e vedere tutto da una di-versa prospettiva, che mi permette discavalcare ogni ostacolo e andare al-l’essenza delle cose e delle persone.

Mi sento così proiettato in una di-mensione più ampia del mio quoti-diano e spesso mi capita di immagi-narmi astronauta, a guardare giù ver-so la Terra e di vederla e sentirla co-me un unico nucleo familiare: misento davvero cittadino del mondo, o,meglio, figlio di questa Terra, con tut-to il carico di responsabilità ed emo-zioni che ciò comporta.

Rispolverandoil cassetto delle utopie

Quella sera, a cena con i miei amici,si ricordava quando, anni fa, si ritor-nava a casa dai molti campi scuolatrascorsi insieme, carichi di bei pro-positi, di speranze, di attese, puntual-mente rinchiusi nel cassetto delle uto-pie perché li ritenevamo dovesseroessere nascosti.

Ed io affermavo che era il momentodi riaprire quel cassetto, di rispolvera-

re quelle antiche ma sempre attualiutopie. Loro hanno risposto che tuttoera inutile, che non sarebbe servito aniente, da soli non si cambia nulla.

Mi chiedo se questa rassegnazionesia irreversibile e come possa io esse-re testimone di un messaggio di spe-ranza.

Credo che dentro ad ognuno di noici sia un’energia positiva più o menorepressa, che si può liberare e ciò èpossibile nella misura in cui riuscia-mo a manifestarci all’altro con libertà,gratuità, verità e, così facendo, sare-mo i migliori testimoni di un messag-gio di speranza e di vita.

Evitare gli eventi che ci presenta lavita, rinchiudersi nel proprio guscio, èun po’ come morire e di quella sera hola sensazione che avrei potuto farequalcosa per i miei amici. Ora sono si-curo che i sogni e le utopie rinchiusinel cassetto non si conservano mamuoiono e allora liberiamoli per, fi-nalmente, vivere e volare controvento.

Marco LazzarettoStudente universitario

di Architettura

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L’Avana, Cuba, 1993. Juan

«Pero aquì abajocerca de las raìceses donde la memorianingùn recuerdo omitey hay quienes se desmuereny hay quienes se desviveny asì entre todos logranlo que era un imposibleque todo el mundo sepaque el sur también existe».

«Quaggiùvicino alle radiciè dove la memorianessun ricordo dimenticae ci sono coloro che muoionoe coloro che vivonoe così tutti raggiungonoquello che era impossibileche tutto il mondo sappiache anche il Sud esiste».

[Mario Benedetti, Uruguay]

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Cari fratelli della camorra,negli ultimi venti anni le nostre stra-de si sono irrimediabilmente separa-te. Voi avete scelto la legge della vio-lenza e del dio denaro; vi siete orga-nizzati militarmente; siete diventatiimprenditori e profondi conoscitoridella Borsa; avete privato molte per-sone del bene più prezioso: la vita; al-cuni li avete eliminati solo perché fa-cevano il loro dovere.

Ma la colpa è tutta vostra?Se non ci fossero stati bisogni e di-

ritti negati, assenza delle istituzioni,identità fra organi dello Stato e ma-laffare, corruzione, clientelismo, fa-voritismo, raccomandazioni, rasse-gnazione, l’associazione mafiosa sa-rebbe stata una barca senza remi, av-viata alla deriva.

Ed invece! Vi abbiamo ghettizzatoin baracche e casupole, senza alcuncomfort, senza gli elementi minimi disopravvivenza civile. Vi abbiamo tra-

sformato da onesti lavoratori in fuci-na di voti dei nuovi re del Meridione.Vi abbiamo negato i più elementaristrumenti di crescita sociale.

E mentre noi ingrassavamo, anchesulla vostra pelle e i vostri delitti, pre-tendevamo che foste cortesi ed edu-cati; che accettaste la povertà comedono divino; che non desideraste lenostre automobili fiammanti e i nostritelevisori.

Vi chiedo umilmente perdono per lenostre responsabilità.

Anche voi ne avete; e sono tante.Avete scelto di agire in modo assurdoe scervellato. Vi siete serviti di armi eviolenza solo per beneficiare deglistessi falsi miti del mondo borghese,senza pensare ad un modo democra-tico e non violento di lotta.

Per favore, ritornate a pensare. Re-cuperate la vostra dignità. Aiutateci aricostruire la nostra.

Riflettete. Gli affiliati alla camorrahanno una vita media di trent’anni.Tutti i morti ammazzati delle guerrefra clan sono giovanissimi. Conviene,per pochi anni di agiatezza e di esal-tazione, rinunciare alla propria vita?

Vi chiediamo di fare una scelta: diuscire dal vicolo cieco del consumi-smo con tutte le sue appendici; dinon fidarvi delle promesse dei soliticapi-bastone; non contano più nulla.

Di certo noi continueremo a lotta-re; contro la parte del vostro animoche propende alla sopraffazione e al-la violenza; ma anche a favore diquella parte, che si fa sentire timida-mente e vi sussurra la bellezza del vi-vere “liberi”, del fare un lavoro sano,del crearsi una famiglia, dell’abbrac-ciare i figli con tenerezza, senza ti-more di essere colpiti improvvisa-mente da una scarica di pallottole.

E quando andrete a votare, utilizza-te bene quell’arma micidiale che è ilvoto. Pretendete il rispetto dei vostridiritti; non elemosinate ciò che vispetta.

Fra terra e mareLa cultura della legalità

di Michele Del Gaudio

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Nazaré, Portogallo, 1977. I pescatori

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Non ci illudiamo che tutto ciò av-venga in tempi brevi e ci impegniamoa fare, comunque, la nostra parte.

Vi voglio bene.

Cari fratelli sacerdoti,che operate nelle zone di camorra edi mafia, grazie per il vostro diffici-le lavoro, fatto di impegno, di diffi-coltà, di minacce, grazie per quelloche fate.

Vorrei però esortarvi a fare di più. Èdifficile individuare le cause vicine eremote delle deviazioni mafiose, manon possiamo negare che un’ampiafascia della popolazione dà il suoconsenso, diretto o indiretto, al pote-re camorristico. Se siamo sinceri finoin fondo, dobbiamo ammettere chesiamo un po’ tutti responsabili del-l’attuale situazione di degrado dellenostre terre.

Ed allora si impone in modo peren-torio di ridisegnare il concetto di per-sona perbene, di brava persona, dibravo ragazzo.

Sono in tanti che continuiamo a de-finire con tali termini, pur essendo ca-duti in manette o visitati da un’infor-mazione di garanzia. Ma no, è unbravo ragazzo, l’ha fatto per inge-nuità, in fondo si è dovuto inchinareal sistema; sentiamo dire da tanti inrelazione a questo o a quell’arrestato.

Aiutateci a ripensare la definizionedi brava persona, aiutateci a far capirealla gente che è disdicevole dal puntodi vista civile e religioso comprare si-garette di contrabbando, acquistare, aprezzi stracciati, impianti stereo ruba-ti; chiedere favori e raccomandazioniin genere e, soprattutto, quando altrine avranno degli svantaggi.

Avete ragione, non potete non stig-matizzare i comportamenti sessualidei divorziati, la religione cattolica ri-tiene indissolubile il matrimonio, macome sarebbe bello se foste duri edimpassibili anche nei confronti di co-loro che non ammazzano, ma ruba-no agli altri la loro dignità o la ven-dono magari per un certificato.

Non ci fraintendete, altro è uccide-re, altro è comprare sigarette di con-trabbando, ma l’una condotta è lega-ta all’altra; per poche migliaia di liresi legittima un sistema in cui si frega-no miliardi e non si disdegna l’omici-dio, pur di raggiungere i propri scopi.

Ed allora, cari fratelli sacerdoti,

uniamo insieme le forze sane ed im-pegniamoci a ricostruire nella gentevalori comuni al cristianesimo e allaCostituzione repubblicana.

Voi avete un compito difficilissimo,unitamente alla famiglia e alla scuo-la: quello di insegnare la vita. Fate al-lora una scelta, dite da che parte sta-te, comprendete che oggi si è piùmissionari nelle zone mafiose che inAfrica o in America latina. È impor-tante lottare “gioiosamente”, comeamava dire Paolo Borsellino, per con-dannare i camorristi irriducibili, al li-mite negando loro i sacramenti; eprospettando una vita di serenità eperdono per coloro che hanno anco-ra un cantuccio del loro cuore di-sponibile al dialogo.

E alle competizioni elettorali, datepure delle indicazioni ai fedeli, malimitatevi a prospettare dei parame-tri, dei criteri per l’individuazionedella persona da votare, ma non in-dicate nomi e liste, altrimenti ri-schiereste di condizionare il liberovoto della gente.

Se potete, capite che è importantelavorare per la vita eterna, ma è al-trettanto imprescindibile impegnarsiper migliorare la vita sulla Terra.

Camminiamo insieme con amoreper formare dei buoni cristiani, maanche dei buoni cittadini.

Vi voglio bene.

Cari ragazzi,fino a qualche anno fa lavoravo sola-mente, poi mi sono accorto che eranecessario impegnarsi nel civile e nelsociale. Ho, in particolare, comincia-to a girare le scuole di tutt’Italia perfarvi capire che la cosa più importan-te nella vita sono i sentimenti e gliideali; per diffondere fra voi una co-scienza collettiva della legalità. Nonmi importano le vostre scelte future,ideologiche e partitiche, ma mi sta acuore che, da destra o da sinistra, ab-biate, quando vi siederete al tavolodella politica, un denominatore co-mune: la cultura della legalità.

E l’incontro con voi mi è sempre diconforto. Perché voi credete a quelloche dico. Cercate disperatamente difarmi capire che attendete delle indi-cazioni; che vorreste tanto liberarvidei disvalori che vi stiamo insegnan-do come genitori, docenti e istituzio-ni. I nostri messaggi sono ossessiva-

mente indirizzati verso la vittoria delpiù bello, del più ricco, del più forte.

Ma a voi non interessano solo ilrock e le discoteche, ancor di più visentite presi dall’amore, l’amicizia, lasolidarietà, l’uguaglianza, la giustizia.

Io vi trovo ragazzi entusiasti, cheascoltano attenti, che applaudono,si commuovono, si affollano attornoa me, dopo il dibattito, per parlareancora; che mi scrivono lettere bel-lissime.

Quando ero poco più che un ra-gazzino sono diventato giudice. Hocercato di essere onesto e indipen-dente, ma ho trovato contro di meproprio le istituzioni, che mi doveva-no difendere. Ho continuato la mialotta non violenta a mafia e corruzio-ne. Ed oggi ho incontrato voi, che da-te un senso alla mia vita.

Il silenzio non basta più

Continuate così. Rifiutate i compro-messi; siate intransigenti sui valori;convincete con amore chi sbaglia; ri-fiutate il metodo del «saperci fare»;non chiedete mai favori e raccoman-dazioni; votate in modo consapevo-le, non per ottenerne dei vantaggi.

Tanti di voi si sono «schierati», han-no fatto una scelta: contro la mafia, lacorruzione, il favoritismo, la rasse-gnazione. Fatelo tutti. Il silenzio nonbasta più: bisogna parlare, denuncia-re, agire. Bisogna essere «normali»,cioè onesti, leali, corretti, anche seoggi diventarlo ha un significato ever-sivo. È il momento di una “nuova Re-sistenza”, per certi versi più difficiledi quella degli anni Quaranta; allorai partigiani morivano sui monti, ma ilnemico era ben individuato: il nazi-sta, il fascista. Oggi il nemico si insi-nua dappertutto: fra i nostri familiari,i nostri amici, in noi stessi; spesso ciaccorgiamo che basta una telefonataper risolvere il problema, e la faccia-mo, vendendo la nostra dignità.

No, ragazzi, godetevi la vita, inna-moratevi, siate felici, ma diventatepartigiani della «nuova resistenza» enon abbiate mai paura di pensare.

Vi voglio bene.

Michele Del GaudioÈ nato nel 1952 a Torre

Annunziata, dove risiede.Entrato giovanissimo in

Magistratura, pratica a Salerno.Ha pubblicato per Editori Riuniti.

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Aprirsi ad un nuovo ascolto

Talvolta mi capita di restare silen-zioso in una riunione di amici, ditrovarmi incapace di pensare, di av-vertire un contatto con le paroleascoltate.

Così pure mi accade di restare pa-ralizzato di fronte ad un foglio bian-co, senza riuscire ad esprimere idee,sensazioni, ricordi… A volte, devoammetterlo, sono come assente difronte agli accadimenti del vivere, an-che a quelli personali; è come se ilmio cuore fuggisse e rifiutasse diesporsi agli eventi. Talvolta, però,quando dentro di me l’agitazione (ela paura) si acquietano un po’ e ritro-vo un germoglio di fiducia, allora gliavvenimenti, la concretezza del vive-re sono più liberi di risuonare e il fo-glio bianco mi appare meno inquie-tante… e inizia il dialogo.

Affinché questo accada, è forse in-dispensabile che accetti la mortifica-zione del silenzio, l’aridità, il nonsenso dell’assenza, il dolore della mia

pochezza: paradossalmente sono pro-prio questi che possono aprire ad unnuovo ascolto.

Il bisogno di sognare

Un poeta peruviano, mentre era inesilio in Messico per le sue idee so-ciali, scrisse una lettera alla sorellapiù piccola, in cui cercava di spie-garle perché aveva provocato tantodolore a sua madre. Le diceva duecose che mi sembrano importanti:«Ho dovuto amare le rose e le mareedi giugno, ed allo stesso tempo lagiustizia: ho dovuto amare il bello edil giusto».

I poveri hanno bisogno anche di ge-sti gratuiti… sia nostri, sia quelli chenascono tra di loro.

Il divario tra ricchi e poveri si è ap-profondito, ma la realtà più grave èche oggi i potenti del mondo cerca-no di rubare ai popoli del Sud il lorodiritto all’utopia, al sogno, al proget-to di una società più giusta ed ugua-litaria.

Mi ricordo del profeta Gioele, quan-do, descrivendo la terribile situazio-ne del popolo ebreo, diceva: «Stavaper perdere l’allegria». Se un popoloperde l’allegria, tutto è finito.

Dal modernoal postmoderno…

La cultura in cui tutti noi siamo cre-sciuti e abbiamo trascorso la nostragiovinezza, è stata la cultura moder-na, detta anche della secolarizzazio-ne. Una cultura che poneva molta fi-ducia nell’uomo, nella sua raziona-lità, nella sua autonomia, nella suacapacità di risolvere tutti i problemidell’umanità con l’aiuto della tecni-ca. Un uomo guidato da grandi idea-li, utopie e ideologie ben definite chesi fondavano su delle verità assolute

Finché ci sarà un Sud…Il senso della storia

di Giuseppe Stoppiglia

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c o n t r o c o r r e n t e

«Se voi avete il diritto di

dividere il mondo in italiani e

stranieri, allora vi dirò che, nel

vostro senso, io non ho patria e

reclamo il diritto di dividere il

mondo in diseredati ed oppressi

da un lato,

privilegiati ed oppressori

dall’altro».

[Don Milani,

Lettera ai cappellani militari]

«Hanno strappato i nostri frutti,

hanno tagliato i nostri rami,

hanno bruciato il nostro tronco,

ma non hanno potuto uccidere

le nostre radici».

[Popolo Vuh]

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di libertà, di progresso, di sviluppo edi benessere per tutti.

Ci troviamo, però, ora, ad esseresempre più immersi in una cultura co-siddetta postmoderna, nata in granparte in reazione agli eccessi e allecontraddizioni della cultura moderna.Dopo aver sperimentato la violenza ela spersonalizzazione che può causa-re ogni sistema e ogni ideologia tota-litaria, sostenuta da una razionalitàsempre più scollata dalla vita reale eche prende sempre meno in conside-razione la persona e le relazioni in-terpersonali; dopo aver constatato chei sogni di un progresso tecnico senzalimiti si stanno ritorcendo negativa-mente, in alcuni casi in modo cata-strofico, sulla persona, sulla natura esull’umanità presente e futura, la cul-tura postmoderna riposa piuttosto sul-l’immediatezza (non si cerca più tan-to lontano), sull’individualismo (nonsi guarda più tanto attorno), sull’irra-zionale, sulla sensazione del mo-mento («Va’ dove ti porta il cuore»),sulla verità del momento, su un im-pegno preciso del momento, senzamirare né troppo in alto, né troppolontano e senza arrischiarsi in com-promessi a lungo termine (matrimo-nio o vita religiosa).

… alla frammentazione

La cultura postmoderna porta in sé unrifiuto viscerale di tutto ciò che si pre-senta come assoluto, normativo pertutti, coercitivo e uniformante, a co-sto di incorrere in una frammentazio-ne detta anche atomizzazione dellavita, della conoscenza e della mora-le in cui ciascuno diventa il criteriodella verità stessa. Una frammenta-zione in cui ogni disciplina come lafilosofia, l’etica, l’economia, la psi-cologia, l’informatica, la medicina, lagenetica si sviluppano automatica-mente secondo la propria verità. Unaframmentazione che rende schizofre-nici e che incute un grande senso dismarrimento, di precarietà e d’insicu-rezza che si cerca di appagare inva-no ricorrendo al supermercato disempre nuovi desideri e soddisfazio-ni immediate, incentivate dai massmedia e offerte dalla società dei con-sumi.

D’altra parte, questa cultura post-moderna si mostra profondamente ri-spettosa di ciò che è originale, at-tenta al vissuto e a tutto ciò che vie-

ne sperimentato personalmente; at-tenta al singolo individuo, alla suastoria personale. Si mostra anche ge-losa della proprietà intima, del pro-prio buon vivere e star bene a tutti ilivelli: fisico, psichico, spirituale, acosto di ricorrere alle più svariate te-rapie esotiche, nonché a stregoni,oroscopi, divinazioni ed astrologie diogni tipo.

Perfino la sfera religiosa e spiritua-le, messa fra parentesi dalla secola-rizzazione, viene ora recuperata, an-che se ridotta ad una dimensione per-sonale, intimistica, gratificante, conuna chiara propensione al miracoli-smo, al sensazionale, al magico e al-l’esoterico. Una comprova si può tro-vare osservando i titoli dei libri espo-sti nelle vetrine delle librerie.

L’intuizione di Macondo

Sotto la spinta di questa frammenta-zione, che rompeva pure le nostreidealità sessantottine, nell’estate del1988, prendeva consistenza l’intui-zione Macondo.

Abbiamo accettato di aprire una sfi-da. Attingendo dai valori condivisidella nostra cultura, ci ha affascinatol’idea di costruire una laicità del mes-saggio cristiano e la promozione diun rapporto di scambio, alla pari, conaltri popoli e culture.

Per aggredire un orizzonte così am-pio, il nostro tentativo si è sviluppatosu tre percorsi:1 - gettare un ponte fra testimonianzae utopia;2 - l’incontro: crocevia di esperienze;3 - il Sud o i Sud.

Un pontefra testimonianza e utopia

La testimonianza è un dar conto di sénel mondo, come presa di posizionedi fronte alla realtà.

Lo strumento prescelto per testimo-niare è stato quello del processo edu-cativo, della parola scritta, della co-noscenza diretta dell’altro attraversol’incontro.

Ciò ha prodotto un’attività formati-va tesa all’obiettivo di trasformare laconoscenza in coscienza, di dar vitacioè, attraverso la parola, a ipotesi incui i dati dell’esperienza si mutano inelementi di consapevolezza interiore.Consapevolezza da parte delle per-

sone di acquistare coscienza del lororapporto con gli altri come un datofondamentale; riconoscendo, del re-sto, che la vera natura di questo rap-porto non può che condurre alla fon-dazione di una vita sociale, basatasulla giustizia che ha come fine l’a-more... e non solo. Ma anche a ciòche preme di più all’immensa mag-gioranza degli oppressi: il riconosci-mento della loro dignità, la certezzadel loro diritto, la speranza del loro ri-scatto in una conquistata fratellanza.

L’utopia è, invece, ricerca della verità:una verità che è collocata nel futuro e,in quanto utopica, in qualcosa che èsempre “oltre” il dato di fatto reale.

L’utopia è anche rifugio dal deside-rio senza oggetto immediato, che ra-senta la pazzia. Intendo verità pazzequelle del vangelo, che sorreggono lachiamata di Cristo: «Lascia il padre ela madre e seguimi», in contrapposi-zione ai piccoli precetti che regolanole esistenze cosiddette ragionevoli eche si possono riassumere nel consi-glio dominante: «Pensa ai fatti tuoi,non ti impicciare, non cercare guai».

L’incontro:crocevia di esperienze

Il viaggiare ha la funzione di cono-scere il valore degli uomini, ma è an-che incontro-scontro di culture diver-se, scoperta delle dimensioni dell’i-dentità nel rispecchiamento con l’al-terità, accettazione della propria sin-golare diversità, percorso per giunge-re alla relazione come ad una comu-nione delle differenze.

Il viaggio è ricerca delle proprie ra-dici nei termini di una dinamicità del-le origini, dove ha trovato forma il no-stro nucleo vitale... A. Camus scrive-va: «Il viaggio è come una scienza piùgrande e più grave: ci riporta a noistessi». Viaggiando e imparando aviaggiare, apprenderemo la fonda-mentale pluralità dell’io, le diversetappe che costituiscono i vari appro-di del nostro nomadismo interno; sa-remo in grado di attraversare le pe-nombre, di entrare nell’oscurità, ditrovare il coraggio di non coprire glispecchi, di ascoltare noi stessi, di an-dare verso l’altrove.

E se l’esistenza è soprattutto un cam-mino, occorrerà, in primo luogo, ri-conquistare il senso delle stagioni del-la vita, la pedagogia delle generazio-ni, sperimentando il racconto di sé.

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Il Sud o i Sud

Il mondo, visto dalla parte dei popo-li, è come formato da radici su cui sialimenta la liberazione; radici checercano il diritto di esistere, almenoper il tempo di prendere la parola edi descrivere e sperimentare uno odue sogni. Il nemico delle radici chevogliono divenire popolo è l’assenzadella storia. Il nord del mondo l’ha se-questrata per sé: imponendo le suedefinizioni, le sue regole, i suoi indi-catori, i suoi confini. Entra nella sto-ria chi ha la carta d’identità dellacompatibilità.

I popoli, come emigranti illegali,zingari, clandestini, apolidi, possonoessere accettati solo se trovano pro-tettori, non importa di che colore; de-vono rispettare la preesistenza nor-mativa del Nord (o del centro, che èuna traduzione aggiornata e sottile delpiù tradizionale nord, perché includetutti gli spezzoni di nord che si im-piantano nei tanti sud di tutti i conti-nenti).

Questo sequestro della storia da

parte del Nord ha reso la storia stessamolto ripetitiva, tesa fra una recessio-ne economica e l’altra, tra un equili-brio armato e l’altro.

Proponiamo la tesi che fare politi-ca al Nord ha senso oggi, forse, solose significa raccontare la storia delmondo dalla parte del Sud (o delleperiferie). Non tanto per dare riso-nanza di solidarietà (o, almeno, nonsolo), ma soprattutto per ritrovare ledimensioni reali della storia e viver-la non accontentandosi dei fumettiche ne propone il nord. È necessario,per lungo tempo, essere sbilanciaticon loro, perché si abbia, insieme, lapossibilità di scrivere la storia non an-cora scritta.

Per sopravvivere a millenni

Il Sud, con la sua scuola, porta con séla memoria ed il segno della diversità,della dialettica, della sperimentazio-ne, dell’autonomia. Il suo modellochiede di includere e riconoscere ilqualitativo, le speranze, gli errori.

Vuole apprendere e usare indicatoriche abbiano a che fare con la vita enon solo con le banche. Per questovorremmo essere portatori di un’in-tuizione, che può avere forme infini-tamente diverse, ma nei suoi terminiessenziali si possa riformulare così:«Ci piacerebbe di più un mondo nelquale il diritto alla felicità sia di tutti».

La speranza va più lontana dell’atte-sa e perciò guai a chi si ferma all’atte-sa, dove l’avvenire viene verso di me,ma io non vado verso di lui. La spe-ranza non dice cosa posso attendereda questo ambiente, ma cosa posso fa-re al di là di questo ambiente.

Scriveva Ignazio Silone: «La scien-za può cambiare ogni trenta o cin-quant’anni, mentre l’utopia può so-pravvivere a millenni; può durarequanto l’inquietudine del corpoumano».

Pove del Grappa, settembre 1998

Giuseppe StoppigliaFondatore e presidente

dell’Associazione Macondo.

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Budapest, Ungheria, 1990. Eroi finti donne vere

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Se fosse prevalsa l’ipotesi federalistadi Gioberti, il Risorgimento si sareb-be concluso e la storia dell’Italia uni-ta sarebbe cominciata da dove ogginon siamo ancora arrivati e da dovetutti convengono che è utile ripartire.

Molte furono le cause per cui non siottenne allora questo risultato: la si-tuazione internazionale (che aveva ri-preso a muoversi già nel ’21 dopo l’in-gessamento della Santa Alleanza), lamiopia politica delle classi dirigentidegli stati preunitari a sud dell’Appen-nino tosco-emiliano, il vuoto econo-mico di più di mezza Italia (Stato Pon-tificio e Regno delle Due Sicilie) cheprovocava il capitalismo settentriona-le ad occuparne l’enorme mercato in-terno (cioè senza dazi), il tradizionaleopportunismo dei Savoia impazienti didismettere la secolare casacca di prin-cipotti locali, l’inconsistenza militaredel Regno delle Due Sicilie…

Che il Risorgimento non fosse statouna lotta dei “popoli” d’Italia per l’u-nità lo denuncia, a chi avesse volutointenderlo, l’insignificanza sociale deiplebisciti e, a chi avesse voluto rile-varlo, il programma politico di fare gliItaliani, una volta fatta l’Italia.

Tutto cambiòtutto rimase al Sud

Nel regno del Sud, in particolare, tut-to gattopardescamente cambiò (il re,il parlamento, il governo, lo statuto,le alleanze, la capitale, la lingua) per-ché tutto restasse tale e quale (le ba-ronie feudali, i signori, i latifondi, lamalaria, la disoccupazione, il bandi-tismo nell’interno, il lazzarismo nel-le escrescenze urbane).

Anzi, le cose andarono peggioran-do durante i primi cinquant’anni, l’e-poca d’oro del trasformismo: il capi-talismo settentrionale non solo oc-cupò il concupito mercato meridio-nale, ma addirittura si accanì a de-

molire, o almeno a indebolire, qua-lunque struttura (cantieri navali, fab-briche tessili, ingegneristica civile,università) e perfino qualunque at-trezzo (fino ai frantoi e ai telai) chepotessero competere o contrastare an-che da lontano gli interessi del Nord;le terre promesse non essendo statedistribuite e i massacri essendo statiperpetrati a Bronte, non restava piùche fare la guerra nell’unico modonoto e possibile, il brigantaggio, e,dopo la sconfitta, null’altro restavache emigrare: verso le Americhe el’Australia, o in Inghilterra e in Fran-cia, se in Europa; significativamente,non in Italia del nord.

Una favola per capire

Se avesse vinto Franceschiello (o al-meno non avesse perso in quel mo-do), il popolo meridionale non sareb-be sprofondato nella incomprensionepiù totale (un canto popolare confon-deva incredibilmente «Giuseppe Ema-nuele e Vittorio Garibaldi»), né avreb-be tanto amaramente vissuto la suaperdita di identità (Dicìti si nun è nufattu stranu: nascìu ’n Sicilia, e sugnu’talianu!), né avrebbe opposto al po-tere nazionale un lungo insuperabilescanzonato rancore (Guvernu ’talianu,ti ringraziu – ca pi pisciari nun si pa-ga daziu – e ca pi farsi na ca… canta-ta – nun c’è bisognu di carta bullata!).

Se avesse vinto Franceschiello, leuniversità meridionali non si sareb-bero consunte nella produzione del-la retorica pomposa e sterile dei filo-logi o in quella verbosa e autosoddi-sfatta dei “paglietta”, ma sarebbe con-tinuata ininterrotta la serie dei Basile,dei Vico, dei Genovese, dei Gianno-ne, delle Pimentel-Fonseca...

Se avesse vinto Franceschiello, l’in-tellighenzia meridionale non avrebbeproposto il conservatore e immobileideale dell’ostrica, ma quello pro-

Se avesse vinto Franceschiello

di Olivier Gravier

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gressista e popolare del Naturalismo,cui il Verismo continua tuttavia ancoroggi ad essere incomprensibilmenteaccostato.

Se avesse vinto Franceschiello, l’I-talia non avrebbe indossato il costu-me uniforme e la maschera funebredi Pulcinella (peraltro evirato di tuttala sua antica potenza rivoluzionaria),ma quello veritiero e vivace di Arlec-chino (anche lui, in questa involu-zione, ridotto a furbastro servo dimolti padroni).

Una vittoria amara

Se tutto questo fosse avvenuto, avreb-be vinto Franceschiello, ma non il reborbone, bensì il protagonista di quel-la stupenda fiaba che è il Conto dellaTerra dove nascono la Luna e il Sole.

Ci stava una signora che si chiama-va Francesca. Si sposò ed ebbe un fi-glio. Il marito morì, e lei disse: «Oragli metto il nome mio». E lo chiamòFranceschiello. Il ragazzo si fece gran-de e andava a scuola. Un giorno, al-la scuola andò il Mago, tutto vestitoper bene, come un signore, a cercareun’anima innocente. Adocchiò Fran-ceschiello, ma il ragazzo non volleseguirlo. Allora il Mago andò dallamadre e disse che era lo zio, e lechiese di imprestargli il ragazzo, etanto fece che la convinse.

Allora se lo portò, e camminava,camminava... Arrivarono ad un postodove ci stava una pietra che si aprivae dopo un poco si chiudeva. Per que-sta pietra si scendeva abbasso ad unagrotta. Lo zio disse a Franceschiello discendere e gli diede tutte le istruzio-ni su quello che doveva fare laggiù.Franceschiello dovette scendere. Su-bito trovò i leoni con le bocche aper-te che buttavano fuoco, ma non ebbepaura e andò avanti. Più in là trovò lefontane che buttavano fuoco: non eb-be paura, e passò. Infine incontrò ilGuerriero. Come lo vide, gli disse:«Dammi l’anello che tieni al dito».Quello allungò la mano, e glielo die-de. Allora Franceschiello tornò sottola pietra. Sopra c’era lo zio, che vole-va prima l’anello. Il ragazzo già pen-sava che quello, quando si era presol’anello, se ne andava, e lui rimanevalà abbasso, perché così stava fatto ilfatto: che chi si pigliava l’anello, do-veva lasciare un’anima innocente.Mentre che dicevano sì e no, si ri-chiuse la pietra. Il vecchio se ne andò,

e il ragazzo rimase là abbasso.Girò e rigirò per la grotta, mangian-

do le more, per tanti anni che si fecegrande, giovane, bello assai e con icapelli ricci e un paio di occhi esper-ti. Un giorno si trovò in un giardinodove c’erano tanti pomi d’oro. Lì cistava una cassa, e se la riempì. Per ilpiacere si fregava le mani, e allorasentì dire: - Comanda, padrone! Fi-nalmente capì che era l’anello che te-neva al dito, e gli disse: - Subito a ca-sa mia. Subito si ritrovò a casa dellamamma, che manco lo riconoscevapiù, e le raccontò ogni cosa, comeerano andati i fatti.

Franceschiello si innamora

Tutte le mattine Franceschiello, quan-do si alzava, dalla finestra sua vedevasempre una bella ragazza sul terraz-zo del palazzo di fronte che lo guar-dava guardava... La mamma gli disseche quella era la figlia del re. France-schiello mandò la madre a portare alre un cestino di quei pomi d’oro. Il rele rispose: - Di’ a tuo figlio che se sivuole sposare mia figlia, mi deve fareun palazzo dirimpetto al palazzo mio.Quando fu la sera, Franceschiello co-mandò l’anello: - Mo mi devi fare unpalazzo in tre giorni, che deve staredirimpetto a quello del re. In capo atre giorni il palazzo era lì, il re gli die-de la figlia, si sposarono, si misero nelpalazzo...

Un giorno il re disse a France-schiello: - Andiamo a fare una battu-ta di caccia. Si misero a cavallo, epartirono. All’improvviso France-schiello si accorse che non teneva l’a-nello, ché se l’era scordato la mattinasopra alla cassa...

Il Mago si era messo in cammino earrivò fino a là. Quando vide il pa-lazzo, subito capì che la cosa venivadall’anello. Si prese un cerchio dianelli d’oro, e andava dicendo: - Chitiene anelli vecchi, gli dò i nuovi! Laserva convinse la Reginella a dargliquell’anello vecchio sopra alla cassa.Quando il Mago ebbe l’anello fatatofra le mani, disse: - Subito la Reginel-la con tutto il palazzo dove spuntanola Luna e il Sole!

Franceschiello perde la sposae incontra tre animali

Quando il re e Franceschiello torna-

rono a casa, non trovarono né la ca-sa, né la Reginella, né niente. Il re dis-se: - Io lo sapevo che questa era ope-ra di magia. Ora ti dò tre anni, tre me-si, tre giorni, tre ore e tre minuti ditempo: se non porti mia figlia, mettoil bando che dove ti trovano, ti devo-no tagliare la testa!

Franceschiello si pigliò il cavallo esi mise in cammino. Si fece notte. Co-sì, per non farsi mangiare dagli ani-mali feroci, se ne salì sopra una quer-cia, e il cavallo stava sotto. Si presen-tarono il Leone, l’Aquila e la Formicae litigarono tutta la notte per man-giarsi il cavallo. All’alba, France-schiello scese dall’albero e fece leparti: la testa del cavallo alla Formica(- Così trovi ricovero, e puoi scavare),la carne all’Aquila (- A te, perché nontieni denti) e gli ossi al Leone (- A te,perché tieni i denti forti).

In ricompensa, il Leone gli diededue peli del collo (- Quando litighicon qualcuno, di’: Cristiano sono, eLeone ho da diventare!), l’Aquila duepenne (- Quando devi fare un lungocammino, di’: Cristiano sono, e Uc-cello ho da diventare!) e la Formicauna zampetta (- Quando devi entrarein qualche parte dove non puoi en-trare, di’: Cristiano sono, e Formica hoda diventare!).

Franceschiello provò. Si mise lepenne sulla lingua, disse la parola, ecominciò a volare. E volando volan-do vide una luce lontano lontano so-pra a una cima di montagna. Al vec-chio della casetta chiese: - Voglio sa-pere dove sta la Luna e il Sole. Lo sa-peva un altro vecchio ancora più lon-tano, su un’altra montagna, che glidisse: - Va abbasso a quella valle: làci sta un massaro che tiene tante pe-core. Là sta la Luna e il Sole.

Lotta con il Porcospinoe fine della favola

Arrivò dal massaro, che gli diede die-ci pecore da pascere: - Però non an-dare in quel tale bosco, che là ci stail Porcospino, che ti mangia. France-schiello portò le pecore nel bosco, esi mise sotto un albero a suonare il fi-schietto. La sera riportò le pecore conle pance gonfissime, che il massaro ele figlie rimasero maravigliati. Il gior-no dopo, lo stesso. Uscì il Porcospi-no: - Stamattina faccio un bel bocco-ne: dieci pecore, il cane undici, la pa-gnotta dodici, e il padrone tredici!

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Franceschiello si mise i peli di leonesulla lingua, disse la parola, e comin-ciarono ad afferrarsi. Si diedero bottidi tuono tutta la giornata. Le pecoresi erano fatte così grasse che non cela facevano a camminare. Noi ci dob-biamo mettere di guardia per vederequesto dove porta le pecore - diceva-no le figlie del massaro.

E la mattina dopo lo seguirono, e vi-dero che Franceschiello combattevanel bosco col Porcospino: - Ah, seavessi una zuppa di pane e vino, tisquarterei come una gallina, diceva ilPorcospino. - Ah, se avessi una zup-pa di pane e latte, ti squarterei comeuna gatta, diceva Franceschiello. - Mase noi te la facciamo la zuppa di pa-ne e latte - chiesero la sera le ragazze- tu veramente lo squarti come unagatta? - Sì, rispose lui.

Là vicino, dopo il bosco, ci stava ilpalazzo di Franceschiello con la mo-glie e il Mago. Quando fu notte, Fran-ceschiello ci entrò, mettendosi lazampetta di formica sulla lingua. - Tuti devi far dire come fare per farlo mo-rire, le ordinò Franceschiello. Il Magole disse: - Devono uccidere mio fra-tello il Porcospino. A quello gli esceuna colomba da corpo. Quella co-lomba fa un uovo. L’uovo me l’hannoa sbattere in fronte per morire.

Quando Franceschiello si ritrovò acombattere col Porcospino, le ragaz-ze gli buttarono la zuppa. Quattromorsi, se la mangiò, acchiappò il Por-cospino e lo squartò. Ne uscì la co-lomba, che fece l’uovo. Lui se lo misein tasca, e se ne andò. Tornò dalla mo-glie. - L’uovo me lo sono procurato:adesso ti devi far dire l’anello dove lotiene. - L’anello lo tengo cucito nellacoscia sinistra, rivelò il Mago alla Re-ginella. - E adesso mi devi direquand’è che dorme e quand’è che stasveglio. - Statti accorto - disse la regi-nella - che quello, quando tiene gliocchi aperti, dorme, e quando li tienechiusi, vede! Quando lo vide con gliocchi aperti, Franceschiello gli schiac-ciò l’uovo sulla fronte, gli squartò lacoscia, e si pigliò l’anello. Poi si con-gedò dal massaro con le figlie.

Erano passati tre anni, tre mesi e tregiorni: mancavano solo le tre ore e itre minuti. Pigliò l’anello e disse: - Su-bito a casa mia! Quando il re, la mat-tina, si andò ad affacciare e vide il pa-lazzo, gridò: - È tornato Franceschiel-lo. È tornato.

Allora si fece una grande festa, contutto il paese imbandierato!

Riprendendo il filo della Storia

Nei successivi cinquant’anni ed oltre,un abbozzo di unità nazionale co-minciò ad intravedersi, ma a cheprezzo!

Dapprima la Grande Guerra (pre-sentata come la Quarta Guerra d’in-dipendenza) per conquistare una “ter-ra da pipa” che, a quanto si sa, il Kai-ser avrebbe data gratis se l’Italia fosserestata neutrale (O Gorizia, tu sei ma-ledetta!), ma che doveva farsi perchéciò era utile all’industria (del Nord),mentre nessuna attenzione era dedi-cata all’agricoltura (del Sud e delNord: ma il Sud aveva solo quella!),per cui furono ripetute ai contadini-soldati le sperimentate bugiarde pro-messe del Risorgimento.

Poi il Fascismo, il partito unico, l’i-talianità, e con essa La Noia per laborghesia cittadina e tante Fontamareper i cafoni. E a magnifica conclusio-ne, la Seconda Guerra Mondiale, l’I-talia distrutta e divisa nella guerra ci-vile, Napoli novantacinque volte bom-bardata, e il Regno del Sud che sichiude a trappola sul piccolo re vile efuggiasco, postuma vendetta dell’in-trepido e sfortunato Franceschiello.

E poi la nottata che non finiva mai,la riforma agraria eternamente all’or-dine del giorno, e di nuovo l’emigra-zione, questa volta per il boom versoil Nord, dove però non si affittava aimeridionali e ai cani; le mani sullacittà, non solo quella fisica; e sempre

la disoccupazione, e la camorra lamafia la ’ndrangheta la Corona Uni-ta, e il Sud palla al piede (e cattiva co-scienza), e la questione meridionaleirrisolta questione nazionale.

Eppure dal centro-sud partono ilneorealismo, il teatro di Viviani equello di Eduardo, le edizioni Later-za, la letteratura (penso a Vittorini), laricerca storica (Sciascia, per fare unnome), la riscoperta del glorioso pas-sato (la Magna Grecia, le città vesu-viane, il Regno Normanno, FedericoII, le Repubbliche Marinare, la scuo-la salernitana, la rinascenza angioina,lo splendore aragonese e giù giù finoalla Napoli del 1799 e al Parlamentodel 1820-1821...) e delle immensetragedie (eruzioni e terremoti, guerre,carestie, pesti, esazioni, rivolte, re-pressioni...).

Forse la metafora più pura delle am-biguità e delle contraddizioni del Sudè offerta dalla maschera tragicomicadi Totò, ipotetico principe di Bisanzioe certissimo morto di fame, costrettoa fare il guitto per tirare a campare:

«Torno nella miseriaperò non mi lamentoMi basta di sapereche il pubblico è contento»(Applausi).

Olivier GravierDocente e preside di

scuola media superiore.Risiede a Velletri.

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Paratì, Brasile, 1989. Maria Lucia cantava tutte le sere per i suoi compagni di ospizio

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Come un avamposto ai confini dellagalassia, il palazzo della Fao si è tra-sformato in uno spazioporto in cuihanno attraccato 160 delegazioni di-plomatiche di altrettanti mondi. Im-possibile, per un appassionata di fan-tascienza, non fare questo accosta-mento, per le migliaia di uomini edonne presenti nelle cinque settima-ne di lavori della Conferenza delleNazioni Unite per la creazione di unaCorte Penale Internazionale, e a cuiho potuto assistere tra i membri dellastampa accreditata. Centinaia di trat-ti somatici oggettivamente molto di-versi e diversamente composti su cen-tinaia di volti. Interpretazioni dellepersonalità culturali esibite nell’abbi-gliamento. Camminavo attraversandoil flusso di lingue inafferrabili sussur-rate al di sotto delle lingue ufficiali, emi sentivo un po’ fuori posto, perché“fuori posto” era il posto giusto.

Tutti questi popoli si sono riuniti sot-to la convinta appartenenza comuneal genere umano, nel tentativo di di-fendersi dalla crudeltà che questastessa umanità è capace di infligger-si. Col Trattato di Roma, per la primavolta nella storia, i crimini di guerra,il genocidio e i crimini contro l’uma-nità sono riconosciuti come avveni-menti lesivi dell’intera comunità uma-na e non traumi solo per la nazioneche li subisce. Eppure, questo obiet-tivo che sembrerebbe indiscutibile hasollevato forze contrarie e interessicosì forti e particolari che, veramen-te, viene da pensare di apparteneretutti a mondi lontani.

Un difficile lavorodi tessitura

Come dicevo, ho assistito ai lavoridella Conferenza tra la stampa ac-creditata. Ogni mattina l’ufficio stam-pa forniva tutta la documentazioneaggiornata, comprese le bozze degli

articoli del trattato che erano statiprovvisoriamente negoziati, e il pro-gramma quotidiano delle conferenzestampa. Ogni giorno i giornalisti era-no messi al corrente dal portavoce uf-ficiale sui lenti progressi dei lavori;un incontro tecnico spesso deluden-te, che veniva compensato dalle con-ferenze stampa di alcune delegazio-ni. Poche cose sono tanto istruttivesulle potenzialità del linguaggio co-me l’osservazione dei minuetti dia-lettici tra i diplomatici e i giornalisti.Dopo di che, sia i primi che i secon-di si immergevano nell’altra dimen-sione parallela della Conferenza,quella determinante, cioè il livellodegli accordi a latere e dei contattiinformali. I membri delle organizza-zioni non governative (oltre 250 ongrappresentate delle 800 della coali-zione delle ong a sostegno della Cor-te), sostenuti da una determinazioneimpressionante, continuavano il loroestenuante lavoro di convinzione sututti i fronti, e con grande professio-nalità e organizzazione fornivanoquotidianamente alla stampa i reso-conti dei lavori da un punto di vistadel tutto diverso.

Gli ostacoli dellesocietà degli interessi

A tre giorni dalla scadenza della con-ferenza le negoziazioni erano ancoratutte da giocare.

Gli Stati Uniti non hanno smessoper un attimo di ostacolare la crea-zione di una Corte su cui essi non po-tessero esercitare un controllo diret-to, attraverso il Consiglio di sicurez-za dell’Onu, in cui hanno il diritto diveto; inoltre, il mandato politico da-to alla delegazione Usa dall’ala piùconservatrice del congresso america-no, a maggioranza repubblicana, di-ceva chiaramente che nessun cittadi-no americano doveva correre il ri-

Un tribunaleper la storia futura

di Barbara Fabiani

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schio di comparire davanti ad un tri-bunale internazionale. I soldati ame-ricani in missione, sparsi per il mon-do, devono restare al di sopra diun’indagine internazionale sul lorooperato. Un’arroganza sostenuta daun realismo politico di ferro, che ri-badiva l’indispensabilità del sostegnoamericano affinché le azioni dellaCorte potessero avere effetto. Dando-ci ripetizioni sullo statalismo più chesulla sovranità nazionale, la Cina hasostenuto tutte le obiezioni degli Usacontro una Corte realmente indipen-dente dal Consiglio di sicurezza e dal-l’autorità degli Stati. Una strana cop-pia davvero, che però non ha stupitochi aveva intuito, già da prima, che letirate d’orecchie di Clinton a Jiang Ze-min sui diritti umani in Cina, si riferi-vano più a porre i presupposti per l’e-sportazione di un modello di “societàdegli interessi” che non di una “so-cietà dei diritti”. La Francia, come alsolito molto convinta del suo ruolo,ha avuto le stesse obiezioni da super-potenza degli Stati Uniti, dimostran-dosi solo in ultima istanza più ragio-nevole, ma contribuendo sensibil-mente a condurre le negoziazioni ver-so la costosissima mediazione del-l’opting out, per cui i paesi firmataridel trattato potranno chiamarsi fuoridalla giurisdizione della Corte sui cri-mini di guerra per un periodo di set-te anni. Tra i rimanenti membri delConsiglio di Sicurezza, il Regno Uni-to, da buon gentleman, si è tenutolontano dalla mischia, e l’orso russo,indebitato fino al collo, ha fatto il pe-sce in barile per tutta la Conferenza.

Oggigiorno nulla stimola la vanitàdei governi più di una bella Confe-renza internazionale sui diritti umani,e l’India - «la più popolosa democra-zia del mondo» - dopo aver allarma-to il mondo con i test nucleari ha pon-tificato sulla criminalità dell’uso dellearmi atomiche. Altri paesi, come Tur-chia e Srilanka, sono venuti alla con-ferenza con i loro incubi affollati diterroristi curdi e tamil, e non ritrovan-do il terrorismo elencato tra i criminicontro l’umanità hanno deciso che laCorte non fa al caso loro (il terrorismoè incluso insieme al traffico di drogain allegato al Trattato, in attesa di unapossibile evoluzione della discussio-ne). Israele, che tanto ha patito il cri-mine di genocidio, invece, ha ritenu-to lo Statuto fin troppo “personalizza-to”, criticando l’inclusione tra i crimi-ni di guerra della «deportazione e tra-

sferimento di civili nei territori occu-pati» e non ha pertanto aggiunto lasua firma al Trattato. Una decisoneche aggraverà la profonda dissonanzacognitiva che la metà della popola-zione israeliana deve affrontare quan-do confronta la sua storia, punteggia-ta dalla persecuzione, con la cruda ra-gion di stato del suo presente. Moltipaesi arabi e altre democrazie debolihanno duramente contestato l’assen-za della pena di morte tra le peneconsiderate, e pur se sostenitori di untribunale libero dalle ingerenze delConsiglio di Sicurezza dell’Onu, si so-no dimostrati ben più rigidi riguardoad una reale indipendenza dell’azio-ne del procuratore dagli Stati.

La condizione Kirsh:per una società di diritti

Eppure un Tribunale si è fatto. Duran-te l’ultima seduta del Comitato d’In-sieme, presieduto dal canadese Kirsh,i tentativi di Usa, Cina e India di ria-prire le negoziazioni sono stati re-spinti a maggioranza, e alla fine è sta-ta accettata la bozza del trattato re-datta proprio dal mediatore Kirsh,esprimendo il voto rigirando le tar-ghette con il nome dello Stato, se-condo un rito proprio delle assembleedelle Nazioni Unite. Il trattato poi èpassato all’Assemblea Plenaria (ed ec-co di nuovo prepotente la sensazionedi essere ad un raduno intergalattico)dove il trattato è stato votato con 120voti a favore, 7 contrari e 21 asten-sioni. Hanno tenuto duro le forze e levolontà di chi ha capito la portata diquesta decisione, anche da un puntodi vista politico, delle relazioni inter-nazionali. L’Europa, il Canada, l’Au-stralia e la Nuova Zelanda, per i pae-si occidentali, molti paesi dell’Ameri-ca latina e dell’Africa, la Corea delSud, coraggiosamente distante dalleposizioni di un’Asia nel complessodiffidente, sono riusciti ad ottenereuna mediazione che, seppure benlontana dall’essere completamente

adeguata (come hanno fatto notare leorganizzazioni non governative), èriuscita a non consegnare proprio ma-ni e piedi legati la Corte alle grandipotenze.

Per Ecuba:a difesa delle donne

Dal punto di vista dell’evoluzionedella cultura giuridica, per la primavolta nella storia sono stati ricono-sciuti, sia come crimini di guerra, siacome crimini contro l’umanità, i cri-mini a carattere sessuale. Lo stupro,la prostituzione forzata, la sterilizza-zione forzata, la gravidanza forzata,anche per la legge dei governi nonfanno più parte delle regole dellaguerra. Sono passati oltre duemila an-ni da quando, dalle pagine di Euripi-de, Ecuba piangeva con le figlie e lenuore il loro destino di bottino diguerra degli achei. Quel 17 luglioscorso tutte le Ecuba della storia sonostate ascoltate. Anche i bambini, fi-nalmente, vengono riconosciuti comeparticolari soggetti coinvolti dallaguerra, e con il diritto di non parteci-parvi.

Firmato dalla maggioranza delle de-legazioni, il trattato verrà trasportatoin tutti i punti cardinali del mondo,esposto ai rispettivi organi legislativiper essere ratificato. Per entrare in vi-gore il trattato ha bisogno di 60 ratifi-che. Si prevede che serviranno tre oquattro anni, dopo di che, come pre-vede lo Statuto stesso, passati sette an-ni dall’entrata in vigore, si potrà apri-re una nuova conferenza per even-tuali cambiamenti ed emendamenti.

«Stiamo lavorando per un tribunaleper il prossimo secolo» - ha detto Wil-liam Pace, presidente della coalizio-ne delle ong durante una conferenzastampa, come dire un tribunale per lastoria futura.

L’obelisco etiopico di Axum, quasipronto ad essere rimosso dal piazza-le davanti al palazzo della Fao - peressere restituito alla nazione africanaalla quale era stata saccheggiato -, sitrasforma nella prua di questa astro-nave ideale, puntata verso un univer-so umano vasto quanto quello dellestelle.

Barbara FabianiLaureata in sociologia.

Giornalista pubblicista.Risiede a Roma.

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Le tracce che segnano il confine geo-grafico tra territori conducono inevi-tabilmente ad una riflessione sull’in-spiegabile mistero della diversità; è

straordinario pensare come margininaturali o fittizi, anche se non semprecostitutivi di identità di popolo, in-fluiscano sulla formazione di uomini,di politiche, di società.

Limiti che esaltano Babeli innume-revoli, disponendo l’impronta di vitadi ciascuno di noi attraverso catego-rie assimilate o imposte, scelte o su-bite; categorie che si neutralizzanodal centro alla periferia, assumendol’irresistibile sapore dell’incontro difrontiera dove niente è puro, tutto èmisto e di necessità contaminato.

Ma dove è situata oggi la frontiera?Dove il Sud, il Nord, dove la lineareale che circoscrive identità caratte-rizzanti a tal punto da determinarnespecificità?

Luoghi, territori

«Altre lingue, altre parole, altri sguar-di. Anche altri modi di stare seduti.Stanchezze depositate negli occhi,nei muscoli, nelle ossa. E colori inu-suali della pelle, sulla pelle che rac-contano di lontane provenienze. Ep-pure queste lontananze dell’Altro sitrasferiscono istantaneamente, all’at-to dell’incontro, nei miei saperi piùveri e sedimentano una conoscenzafattuale che annulla all’istante ogniestraneità»1.

Sud. Oramai il termine è talmentedilatato nel suo ambito di significatoche quasi se ne dimentica la conno-tazione specificamente geografica; ilSud non rappresenta più paesi speci-fici, ma evoca territori che potrebbe-ro avere uno, cento, mille nomi.

Non più popoli di origine certa maprovenienze complesse, vite varie edincrociate, dove la storia di ciascunoacquisisce importanza ed unicità at-traverso le esperienze del viaggio,dell’insicurezza, della precarietà.

Viene dal Sud non più il classicoemigrante con valigia a spago ma il

Sulla frontieracontaminata

di Paola Stradi

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Tepoztlan, Messico, 1991. Feliciano lo scultore

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giovane con tanti dubbi, troppi studied un debole presente; e, paradosso,al suo posto rimane a raccogliere gliavanzi di un territorio sofferente un al-tro giovane di un altro Sud, quello la-cerato da guerre e miserie semprenuove, che offre colori a noi primasconosciuti, lingue mai immaginate,volti inconsueti.

«Donna d’Africa, presenza nel miomondo. Non Altra da me se non perla speciale qualità delle tue afflizioni,per il gusto dei tessuti colorati e per ilposto che occupi, in questo precisomomento, sul vagoncino della me-tropolitana.

[...]Modi diversi di attraversare gli even-

ti sulla terra, cercandosi in un senso ecercando le radici condivise del sen-so»2.

Il tempo, la lentezza

«Se l’economia è mondializzata dalXVI secolo, solo oggi si assiste aduna vera economicizzazione delmondo. La vita nella sua totalità vie-ne sempre più ridotta alla sfera eco-nomica, mentre l’utile diviene il cri-terio per eccellenza di misurazionedel bene»3.

La civiltà industriale e postindustria-le, modello pressoché unico della so-cietà occidentale, ha sviluppato il con-cetto di tempo secondo due riferimen-ti essenziali: la macchina e la meta.

La sincronia della macchina-orolo-gio è la misura di un tempo monetiz-zato, enfatizzato dalla sua finalità in-trinseca: l’accumulo e la multinazio-nalità del capitale.

Ma esiste un tempo interno quelloche accompagna affetti ed emozioni(il kairos greco) che ha invece carat-teristiche diverse: è soggettivo, di-scontinuo, sovrapposto.

È questo il tempo che valorizza leazioni non produttive e che spessocede alle seduzioni della perfetta sin-cronia tecnicista, lacerando storie, ter-ritori, culture.

Così, i Sud del mondo, luoghi di ri-produzione di economie omologan-ti ed omologate, non possono cheaffidare alla ciclicità di un rito spes-so mediato, lo spazio per vivere ilcorpo, le relazioni, il movimento rit-mico.

Esiste un tentativo di resistenza:avanzare gli spazi all’affanno, allacorsa e assaporare l’intimità rubata al

tempo economico, recuperando il gu-sto della lentezza.

«Solo attraverso la restaurazionedella vita intima, del principio di re-sponsabilità personale (contro le mo-rali utilitarie e il conformismo dellasocietà di massa), sarà possibile de-colonizzare il nostro immaginario ecreare un’idea di sviluppo radical-mente nuova»4.

Il suono, la danza

«Ci sono città che poggiano sull’ac-qua, altre sul vuoto. Napoli sta su unamollica di tufo interrotta da spelonche,cave sotterranee, canali perduti. Il ter-remoto che si carica sotto di essa tro-va camere d’aria in cui rimbomba aonde, canta, ringhia. Giovanni nell’A-pocalisse, l’ultimo dei Libri, ha prova-to a scrivere quel suono»5.

Suoni, rumori; note prolungate dicanti antichi che sanno di terra e pas-sione coesistono con pianti e litanie,vecchie e nuove.

Splendore e tirannia della natura:paesaggi traboccanti musica di vitadiventano minaccia di terrore, assor-dante e cupo lamento di terra che tre-ma, di montagna che slitta, di mareche inonda. Arso e dilatato il silenziodel sole che secca, devastante il ritmodella pioggia che distrugge.

«Jesce sole, Jesce sole, Jesce solenun ce fai chiù suspirà...»6.

«…e la terra se spacca e sgravasolo chi tene alla fatica di mill’ann

de sudore»7.

Le musicalità mediterranee evoca-no suoni propiziatori, auspici e spe-ranze, ricerca di riscatto. Denuncia-no, subiscono e con tono aspro si im-pongono con forza, sensualità, dispe-razione.

Sono le note di vita e di civiltà cheappartengono alle anime ultime,quelle dei personaggi della letteratu-ra di frontiera latino-americana (Ama-do, Mutis, Belli, Blanco e numerosis-simi altri) e di tutte le letterature an-che minori più o meno conosciute,spesso mal distribuite e non sempretradotte in italiano.

Anime salve, le definisce FabrizioDe André nel suo lavoro condottocon Ivano Fossati nel 1997; lavoro diricerca che nelle radici coglie il sen-tire, nell’etnica del suono trovaespressione di vissuto. I due cantau-

tori genovesi (altro mondo, altro Sud)insieme riescono a fondere parole,musica e territorio con slanci emoti-vi fortissimi e con la consapevolez-za di essere sempre mediatori privi-legiati.

Assolutamente insulse, invece, le in-finite e mielose riproduzioni di auto-ri vari su melodie neutre e tranquille;irritanti e fastidiose perché patinate elontane dalle proiezioni del reale,funzionali solo al mercato e all’im-maginario del disimpegno.

Tanti Sud, come tanti Nord: metafo-re di animi e stili di vita che valicanofrontiere e che in modo trasversalepercorrono popoli e persone.

Incontro di abitudini che, se curiosidel ciò che resta fuori di noi, ci aiu-tano a ritrovare il senso del nostrosommerso sagomando altri spazi, al-tre recettività.

Il salmo 78 racconta di Dio checonduce Israele nel deserto: E li portòal suo confine santo (verso 54).

La notizia è che l’incontro tra i duepersonaggi dell’Antico Testamentonon avviene in un bel centro, ma al-l’estremità di un territorio, a un con-fine. Si incontrano nella schiavitù d’E-gitto, poi lo scambio della Legge av-viene nella profondità del deserto8.

Paola StradiRicercatrice della Cisl.

Impegnata nell’Associazione“Rosa Bianca”.

Risiede a Roma.

1 R. Curcio, Metrò, Sensibili alle foglie,

1994, pag. 76.2 Ibidem, pag. 71, 75.

3 S. Latouche, in L’Unità, mercoledì 2 di-cembre 1997.

4 S. Latouche, op. cit.

5 E. De Luca, In alto a sinistra, Feltrinelli,1994, pag.41.

6 «Esci sole, esci sole, non ci far più so-spirare».Nuova compagnia di canto popolare, Je-sce sole, ed. Musicali Emi, 1977.

7 «E la terra si spacca e si libera solo a chiresiste alla fatica di mille anni di sudore».La moresca, Oje Madonna fance chio-vere, ed. Musicali Avvenimenti, 1997.

8 E. De Luca, Alzaia, Feltrinelli, 1997,pag. 29.

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Alla televisione sono rimasto a boccaaperta. Ma com’è possibile? L’onda difango di Sarno me la ricorderò tuttala vita, tornerà nei miei sogni comeun grande blob.

Prima del fango, ignoravo l’esi-stenza di un paese di nome Sarno.Un paese dimenticato del Sud di-menticato. Come il Belice, come l’Ir-pinia. Anche i morti di Sarno nontrovano pace. Anche i sopravvissutidi Sarno aspettano. Aspettano, aspet-tano, aspettano la ricostruzione, e in-tanto arrostiscono dentro i containerroventi.

• • •

Gabriele Albertini è il sindaco di Mi-lano. Probabilmente non passerà allastoria, ma la storia recente di Milanolo aiuta parecchio. Dopo Pillitteri, co-gnato di Craxi e ladro patentato, do-po Formentini, leghista ruspante conla faccia da mastro birraio, Albertiniriesce a fare la sua figura. Ma non siaccontenta, vuole passare per “uomodi mondo”, soprattutto vuole “appa-rire”, apparire il più possibile. Perciò,si è fatto fotografare in mutande, an-corché di Valentino.

A parte le mutande, Albertini hapensato di dare una ripulita alla ca-pitale del Nord. Non nel senso ditangentopoli - che invece è venuto ilmomento di metterci una pietra so-pra - ma sbarazzandosi delle mi-gliaia di barboni, vagabondi, tossicie terzomondiali che infestano i par-chi della città. Così ha telefonato al-la questura. E la questura di Milano,forse per celebrare degnamente ilcentenario delle malefatte del Co-mandante Bava Beccaris, ha preso lacosa serissimamente. La sera stessa,folte squadre di agenti accompagna-ti dai famosi rottweiler, i cani adde-strati a colpire alla gola, hannosgombrato i parchi dalla feccia co-smopolita.

Questa volta, però, Albertini non s’èfatto fare una foto ricordo.

• • •

Una pietra sopra, un colpo di spu-gna, una amnistia: chiamatela comevolete, ma il concetto non cambia.Quello che conta è che i ladri di ierisono diventati i perseguitati di oggi.Basta un po’ di esilio (esilio?!) e ancheCraxi può sognare un ritorno da eroe.

Berlusconi vuole una commissioned’inchiesta contro gli abusi di tan-gentopoli. Ci riuscirà, perché i son-daggi sono con lui. Perché gli italia-ni, gli stessi che hanno incoronato DiPietro, trasformandolo da PubblicoMinistero in Angelo Sterminatore,hanno voglia di cambiar disco.

Altro giro, altra corsa.

• • •

Fede è un leccapiedi di Berlusconi?Liguori è fazioso? Il TG3 è peggio diTeleKabul? A quanti si lamentano deldecadimento del “giornalismo televi-sivo” andrebbe rinfrescata la memoria.C’è stato di peggio. Sembra impossibi-le, ma è così. Negli anni Settanta edOttanta, il giornaleradio di GustavoSelva non era solo becera propagan-da, ma cinismo allo stato puro. Da quiil nomignolo di Gustavo Belva.

Ho rivisto Gustavo Belva - ora fa ildeputato per Alleanza Nazionale -ospite di uno speciale televisivo sul-l’emergenza clandestini. La belva nonsolo non ha perso il vizio del cinismo,ma l’ha talmente coltivato dentro disé, che alla fine si è mangiato la bel-va. Parlava di cosa avrebbe fatto, lui,ai clandestini, di come avrebbe man-dato l’esercito a presidiare i nostri4.000 chilometri di spiagge (l’ideadelle baionette sul bagnasciuga l’a-veva già avuta il Duce).

Guardavo Gustavo Belva e a poco apoco la sua faccia si è come liquefat-

Se io fossi Abdel

di Francesco Monini

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ta per lasciar posto solo all’odio.Un’ondata di odio usciva dal televi-sore e puntava dritto contro di me.

Giuro che ho avuto paura.

• • •

Io, se fossi Abdel. Tu, se fossi Abdel.Abdel è morto. Aveva forse 25 anni.

Era algerino, forse però era tunisino.Lascia una famiglia, perché si imma-gina che anche uno come Abdel deb-ba aver avuto un padre e una madre,ma non sappiamo dove.

Il Ministro dell’Interno ha promessodi fare piena luce sulla vicenda.

L’avevano portato in carcere dopo la“battaglia di Lampedusa”, dove l’e-sercito e la polizia italiana avevanoduramente combattuto l’invasore.

Strani invasori, armati solo della lorodisperazione. Arrivati dopo un viaggioallucinante, soffocati dentro una ba-gnarola, affamati, ammalati, distrutti.

Sì, va bene, ma insomma!: «L’Italiadeve pur difendersi da questa inva-sione!».

Ma che invasione d’Egitto!Ma se io, ma se tu fossi al posto di

Abdel.

• • •

Pino Daniele quest’anno ha fatto so-lo un concerto. Nella sua Napoli.

Volevo andarci, ma ho pensato cheforse ero di troppo. Era quasi un fattoprivato, un incontro speciale tra unacittà che cerca di risorgere e un suofiglio musicista che ha trovato nei

suoni di Napoli i suoni di un interomondo, di un Sud sotterraneo e uni-versale. Lui sì, Pino Daniele, è “Ani-ma mundi”, non quella furbetta di Su-sanna Tamaro.

Sono però andato a sentire a Peru-gia il concerto di Caetano Veloso edè stato come farsi cullare da un lun-ghissimo sogno.

C’erano sul palco quattro ragazzigiovanissimi. Quattro ragazzi raccoltidalle strade di Salvador Bahia. Suona-vano tutte le percussioni possibili edimmaginabili. E altre ancora. E ride-vano tra loro. Ballavano. Giocavano.

La musica di Napoli, la musica diSalvador, la musica del Mondo. C’èun suono universale, fatto di millesuoni che si incrociano, si toccano, sirincorrono, si scambiano le parti, vi-vono in pace.

Gli uomini invece no.

• • •

Pantani ha un cuore antico.Io, come tutti - qualche volta è pro-

prio bello sentire dentro di sé esatta-mente quello che sentono tutti gli al-tri - mi sono emozionato nel vederequesto omino pelato alzarsi sui peda-li e volare via.

Pantani è la fatica, è la montagnache ammazza il respiro. È la giusta ri-vincita contro una sorte che ti ha ri-servato solo incidenti e ruzzoloni. È ilciclismo vero contro lo sport del do-ping e del computer. Un uomo solosulla vetta – “solo” un uomo - controi superuomini costruiti in laboratorio.

Pantani è anche simpatico. È mode-sto, semplice, sincero. Generoso eleale. Sfortunato ma ostinato. “Uno dinoi”, o, piuttosto, la parte migliore dinoi: quella parte di cui spesso ci di-mentichiamo.

No, Pantani non assomiglierà mai al-la incultura, alla ignoranza, alla vana-gloria, al consumismo immemore di unaltro grande campione, Alberto Tomba.Ma quanto ci metterà la televisione auccidere il Pantani che c’è in Pantani?Sei mesi, un anno? Quando lo vedre-mo a braccetto con Pippo Baudo, ospi-te d’onore al concorso di Miss Italia, acena con l’onorevole tal dei tali?

Dai, Pantani, stringi i denti, è quiche comincia il vero Tour!

Francesco MoniniDirettore responsabile di Madrugada.

Vive a Ferrara.Lavora in una cooperativa libraria.

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Kayseri, Turchia, 1979. Il desco fuori di casa

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18 aprile 1998 - Padernodel Grappa. Treviso. Scor-rendo le pagine del diario diun remoto istituto tra le mon-tagne, trovo una vecchia in-tervista condotta da MatteoGrandese al professor Fari-nelli dal titolo corroso: farcadere il muro. E dietro ilmuro la pazienza di chi hacoltivato l’orto; ed ha pre-parato il pranzo con gli ami-ci con le punte di garofano,la salvia ed il rosmarino, ilbasilico e festeggia con l’el-leboro la pazzia di aversconfinato senza precipita-re nel baratro.

19 aprile 1998 – Thiene(Vi). Festa de Il Piccolo Mis-sionario. Ho un vago ricor-do di quando leggevo la pic-cola rivista, che faceva al-lora concorrenza al Vitto-rioso, al Monello. Ora l’a-vevo persa di vista e me laritrovo tra le foglie fragili del-la cronaca. Picciolo piccio-lo direbbe Pirandello.

22 aprile 1998 – Resana(Tv). È un paese vicino a Ca-stelfranco, la patria del Gior-gione. Amor sacro e amorprofano, che si copre pudi-co con la mano. A sera, do-po cena, una riunione indettada Stocco Fausto per mette-re insieme tutte le associa-zioni di volontariato della zo-na in una grande festa che siterrà verso la fine di Giugno.Un’impresa. Quando Ulissesi avventurò nel mar Egeonon sapeva cosa lo aspetta-va. Il gruppo che si incontranel centro sociale di Resanaè cospicuo, rappresenta mol-te associazioni locali; le do-

mande vertono sul perchédella festa e a che scopo; conquale identità, e continuità.Le risposte: farsi conoscere;uscire allo scoperto; avereuna funzione sociale; è sta-ta invitata anche una trom-betta che declami le bellez-ze della festa, e la loro im-prevedibile folgorazione. Tut-to bene. Fausto ha ripetuto,ripreso, riemerso dalle suecarte e dal suo entusiasmo ilprogetto e le speranze. Al-l’incontro era presente ancheil cronista improprio.

25 aprile 1998 – Auronzo(Bl). La Parrocchia di SanCarlo di Padova invita Giu-seppe a tenere un ritiro didue giorni. Gli esercizi han-no una funzione preparato-ria atletica; i momenti diesercitazione e sforzo sonodi vario genere. La con-troindicazione a tale alle-namento è la vanità.

1 maggio 1998 - Viareg-gio. Convegno dei preti ope-rai. Se il seme non cade perterra e non muore non por-ta frutto. Non che sia versol’estinzione; anzi, il suo si-gnificato assume forza nel-l’ambito della caduta dellareligione intesa come recintoprivilegiato in cui Dio puòessere gettonato, e si pro-pone non dico all’inizio (ahila presunzione) ma sulla sciadi una religione, che sia scel-ta di vita e proposta di spe-ranza dell’uomo e di Dio.

5 maggio 1998 - Bassanodel Grappa (Vi). Istituto Re-mondini. La responsabile delsettore culturale, Marina Ca-

povilla, e il preside prof. Da-vide Danielli hanno organiz-zato un incontro sul tema“Educare alla mondialità”.Sono utili in proposito alcu-ni editoriali di Cem Mondia-lità a firma di Arnaldo de Vi-di che sviluppa tale pensie-ro. Protagonisti dell’incontroi ragazzi e il nostro Presidenteche, partendo da vecchi fil-mati registrati nell’era d’orodelle video camere condotteda registi futuribili, ha pre-sentato l’altra faccia della lu-na. Le nostre paure non na-scono dal mistero nascostodietro la pelle dei nostri similisconosciuti. Il tremore nasceinvece dall’inabilità alla re-sponsabilità, la quale è frut-to della scoperta di sé, che siprotende senza ramificarsicome la gramigna; ma per co-struire un mondo dai lin-guaggi polifonici.

Mentre scrivo mi cadonosul capo le ciliege, le albi-cocche, le nespole cinesi;cadono perché sono matu-re e sono tante; e dicono chesi muore di fame, perché sia-mo in troppi! Molti erano iragazzi presenti.

8 maggio 1998 - Isola Vi-centina. Provincia di Vicen-za. Convegno sul volonta-riato, organizzato da Isolacomunità solidale. Sono tregiornate di festa; con qual-che momento di riflessione,sull’onda delle immagini,dei ricordi e dei contro cam-po, un po’ come nei film diFellini quando nel bel mez-zo ti si presenta un clownche ti fa tanto ridere da far-ti pensare. La festa aveva loscopo di finanziare un pro-

getto; ma anche di aprire alterritorio la conoscenza diuna realtà solidale, che an-cora non trova uno sboccopolitico; perché al di là de-gli umori può crescere unascelta che privilegi la rela-zione, invece della compe-tizione; che dia spazio allosviluppo umano e non soloalla crescita esponenziale.E che la festa continui. Allafesta era presente GiuseppeStoppiglia, come relatore pa-dano metropolitano.

9 maggio 1998 – Marosti-ca (Vi). Paese delle castagnee delle ciliegie; del torneointernazionale degli scac-chi. Si è tenuto un convegnosu Veneto, paese di emigrantie di immigrati. Osservavo iltitolo e non capivo lo spo-stamento tra il participio pre-sente, e il participio passa-to; che è un consolidato. Mipareva più esatto dire: emi-grati al passato, ed immi-granti al presente, un feno-meno in moto.

Sette comuni con Maro-stica e varie associazioni delcircondario hanno prepara-to la giornata intensa di in-contri con le scuole al mat-tino e con i cittadini tutti alpomeriggio. C’è stata laproiezione di un documen-tario sulla emigrazione. Unatavola rotonda e dibattito;conduttore il fondatore diMacondo; partecipanti Pao-lo, Cecilia, Massimo, Gigi,Gore, Ayachi.

Nel pomeriggio introducepadre Roberto Zaupa; se-guono i relatori: Tridente,Melandri, Menegatti, Bi Vin-cent, Ben Hmida.

Macondo e dintorniCronaca dalla sede nazionale

di Gaetano Farinelli

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Grande partecipazione almattino; inferiore al pome-riggio. La giornata rientranell’attività dei sette comu-ni “Paceinsieme”. La sco-perta della diversità comeveicolo di vita e di pace; ol-tre i recinti che impedisco-no ai bambini di raccoglie-re le ciliege che cadono da-gli alberi, che si alleggeri-scono nel fruscio dei passe-ri e nella brezza della not-te. Forse se ne cibano le stre-ghe e i vampiri, per evitarepericolose infusioni nei ser-vizi sanitari.

15 maggio 1998 - Venezia.Tessera. Arriva Maria dal Bra-sile. Biondi i capelli, occhichiari. Passo navigante, do-po il lungo viaggio sui cielidell’Atlantico. L’autista pren-de le valige e l’accompagnaalla Ford Escort millesei, an-nata da revisione. Vedere icieli tersi tra mare e terra;sentire i profumi di prima-vera. Ascoltare le voci, chesi confondono sui toni, masi ritrovano nella decodifi-cazione dell’umore italico.Sedere a tavola, nella fra-granza del pane; e nell’o-dore acre del taleggio. E sco-prire che l’Italia non è tutto,eppure ti manca tanto (quan-to sta scritto sopra l’ho tro-vato nel taccuino di un vec-chio navigatore, che amavale donne di fiori). Resterà perla festa e per i due matrimoniparentali dell’anno.

16 maggio 1998 - Taranto.E dici Angelica, e ti vengo-no incontro i giovani di Ma-condo. È stata una grande fe-sta, in cui sono state coin-volte le scuole, gli alunni egli insegnanti; ma anche lacittadinanza. La partecipa-zione è stata gioiosa. La co-municazione tra le persone;gli interventi dei relatori han-no raccolto il filo dei desi-deri e dei segnali (ne cito so-lo alcuni: Mario Bertin, San-dro Marescotti, GiuseppeStoppiglia). Affascinante larelazione Per un umanesimometiccio aperta da Mario,

che mette in guardia dal pe-ricolo dell’omologazione,nel processo di globalizza-zione, in cui si parla una so-la lingua: tecnica ed econo-mica dell’inglese; ma si ri-prenda il dialogo tra le cul-ture, e si riscopra il valorefondante della diversità, checostituisce l’uomo nel rap-porto, e non nella quantitàdelle informazioni; seguivapoi il teatro di Pinocchio, incui il pubblico veniva coin-volto dai burattini, dagli at-tori; la musica concludevala grande giornata. Coinvol-ti responsabili di associazio-ne, di parrocchia. Insomma,si racconta che Taranto or-mai superava la festa di Bas-sano, che pur si preannun-cia dai toni enfatici. I centrisi spostano; le periferie si ani-mano. E soffia una brezza dimare; e dal monte fischia unvento che con sé porta pe-tali di rosa. Sulla pelle rugo-sa degli umani spuntano te-tra e pentaedri che brillanorichiami dal capo ai piedidella penisola, isole com-prese. Per ulteriori informa-zioni telefonare ad Angelicae giovani di Macondo, sen-za dimenticare il prefisso.

17 maggio 1998 - Ferrara.Redazione di Madrugada. Siallarga la redazione di Ma-drugada e si consolida nel-le funzioni. I nuovi nomi so-no Paola Stradi, Stefano Se-rato, Andrea Pase, RobertaGianesin. La discussione ver-te sull’obiettivo primo di Ma-drugada, che è di formare illettore alla mondialità. Poipassa alla volontà di dareuna impostazione più omo-genea, meno frammentaria,alla rivista, con un serviziomonografico di almeno do-dici pagine che ogni volta,con articoli brevi, illustri untema, un soggetto.

23 maggio 1998 - Bassa-no del Grappa (Vi). CentroInformaGiovani. Conferen-za stampa in preparazionedella festa nazionale di Ma-condo. Erano presenti tre te-

state di giornali locali: La vo-ce dei Berici, Il Giornale diVicenza, e Il Gazzettino, conAngelo, Alessandro e Chia-ra. Anche lo scorso anno sia-mo stati ospiti di Informa-Giovani, uno spazio acco-gliente. Giuseppe ha pre-sentato i relatori della tavolarotonda del mattino; soffer-mandosi sul significato edu-cativo delle loro presenze;oltre che testimonianza diuna resistenza che pullulaovunque, nonostante la vio-lenza aperta e subdola cuisono sottoposti uomini e don-ne; anche quest’anno al ta-volo le presenze femminilisono di rilievo. Non sarà undibattito, ma un momento diascolto della testimonianza.Rosalina, Khalida, Benito, Jo-sé, Michele sono i nomi. Al-tri particolari puoi trovare tragli arretrati dei quotidiani so-pra citati. Erano presenti pu-re Alberto Bordignon, gran-de organizzatore della festae dintorni, e Farinelli a bor-do tavolo, in fondo per chientra. Il sole sulle dieci; nu-vole rade a quota duemila,veloci come sparvieri.

27 maggio 1998 - Arriva-no gli ospiti della festa na-zionale: Rosalina Tuyuc dalGuatemala con il figlio Pa-blo ed una ragazza. Sonoospiti prima presso Renato,poi di Giorgio e Sonia. Ro-salina è deputata e leaderdel movimento delle donnee presidente dell’associa-zione delle vedove del Gua-temala, moltissime purtrop-po a causa dei, lunghissimi,trentasei anni di repressio-ne in Guatemala.

28 maggio 1998 - Arrivadal Brasile José Trevisol, di-scendente di italiani emigratiin Brasile. Fa parte del grup-po dirigente del Movimen-to dei Sem Terra, costituitoda circa cinque milioni diaderenti, che tentano di ri-tornare alla terra, da cui so-no stati allontanati nel pro-cesso di industrializzazionee urbanesimo, nonché di uso

esclusivo delle terre per laproduzione di monocoltu-re, come il caffè, il cotone,la canna, eccetera. Sarà ospi-te presso la famiglia De Bor-toli Roberto e Ilenia.

Trevisol e Rosalina sono ri-cevuti dal Consiglio Comu-nale di Venezia. Hanno poitenuto una conferenza stam-pa in cui hanno illustrato lafunzione propositiva del Mo-vimento dei Sem Terra; e ildiritto alla denuncia ed allaindignazione da parte deiguatemaltechi. Sempre a Ve-nezia hanno incontrato unaclasse di studenti di Trevisocui hanno comunicato consemplicità ed immediatezzale aspirazioni dei loro paesi.

29 maggio 1998 - Padova.Convegno di due giorni suLa cooperazione decentra-ta cui partecipa anche la Ro-salina Tuyuc. José invece siincontra con il CTM (com-mercio terzo mondo) e coni responsabili di Mani Tese,coi quali il Movimento SemTerra ha già un rapporto dicollaborazione.

30 maggio 1998 - Arrivadall’Algeria Khalida Mes-saoudi, accompagnata dallaPia Ranzato che ha curato illibro pubblicato da EdizioniLavoro e Macondo Libri, Congli occhi della parola De-mocrazia e resistenza in Al-geria. Il libro raccoglie alcu-ni interventi e relazioni tenutida Khalida in Italia. Deputa-ta nel Parlamento algerino dal1997, è stata condannata amorte dagli integralisti isla-mici. Per questo vive in unasemi clandestinità.

31 maggio 1998 - Bassanodel Grappa (Vi). Festa Na-zionale. Tutti hanno tra le ma-ni i pieghevoli viola, su cuiemerge il fiore giallo dellafantasia, cui non posso ab-bandonarmi per non brucia-re quel poco di credibilità cheormai sfugge al cronista in-volontario. Il presidente diMacondo presenta il tema, ilsignificato dell’incontro; il

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perché delle testimonianze.E di volta in volta presenta irelatori; chiamerà pure qual-cuno sul palco a dare la suatestimonianza umana. Poi,nella sala Da Ponte, inizianole testimonianze degli ospi-ti. Breve, ma intenso, da par-te di Rosalina, il quadro sulGuatemala e la sua gente; ilclima di paura e di sospettoin cui vive la popolazione,eppure profondo lo spirito diresistenza per costruire untessuto democratico. La Co-munità internazionale puòaiutare il processo democra-tico, che punta al riconosci-mento dei diritti dei popoliindigeni, i Maya di ieri e dioggi espropriati di tutto, cuiè rimasta solo la dignità di fa-re fronte al processo di eli-minazione e omologazione.

Renato accompagna nellatraduzione dallo spagnolo;la sala è accogliente, i postia sedere quasi al completo.Sulla porta di ingresso la Bas-sano Tv ha intervistato Kha-lida. Intanto prende la paro-la José dai capelli biondi egli occhi chiari; ma sono evi-denti nel suo aspetto i segnidi una terra e di un costumeche è brasiliano: l’immedia-tezza, l’impeto e la dolcez-za. Parla a voce alta e de-nuncia l’ingiustizia perpe-trata su di popolo condan-nato a vivere ai margini del-la sua terra, proprietà ingiu-stificata di pochi, che non lacoltivano; proprietari di car-ta, e pistoleros, che la leggedifende; quella dell’ordine.Una terra vasta come un con-tinente; ricca di vita e di ma-terie prime, che rifiuta il de-grado della sperequazione epropone una convivenza dipace e giustizia.

Battimani. Ora il presiden-te presenta l’algerina. I ca-pelli rossi, la voce chiara, losguardo sicuro; forte e riso-luta come il popolo berberocui appartiene. Da cui pro-venivano pure sant’Agostinoe Tertulliano. Tutti conoscia-mo la tragedia dell’Algeria; equalcuno ricorda la fatica concui negli anni sessanta si era

liberata dal dominio france-se. Ora è accesa la lotta peril potere tra il partito di go-verno e gli integralisti isla-mici. Khalida fa parte di unpartito che condanna le stra-gi degli integralisti, ma criti-ca il governo nella gestionedel potere. In particolare leisegue il Movimento di libe-razione della donna, che inAlgeria, anche a causa di unacondiscendenza per il parti-to islamico, è tenuta in unostato di inferiorità. Il suo la-voro è, dunque, insieme po-litico e culturale; una lotta al-l’interno delle istituzioni, maanche un percorso di risco-perta della donna e della suadignità, anche a partire dal-la cultura islamica. Françoisaccompagna nella traduzio-ne Khalida dal linguaggio im-mediato e travolgente, e chemette in difficoltà il tradutto-re che insieme deve traspor-re in lingua e tenere il filo in-visibile dello spirito che tra-spare sugli occhi e si camuf-fa nel suono dell’idioma al-gerino. Scivola sulla pedanadi centro il cine operatoremalpagato, che riprende im-magini e suoni; indietreggiae saltella. Ora il testimonepassa a Michele Del Gaudio,giudice di Salerno; cui nonbastano le condanne cometrofei di guerra; quello da co-struire è la coscienza dellalegalità. Questo sarà un pro-cesso educativo che potrà co-stituirsi nel rapporto coi gio-vani, nel contatto con le isti-

tuzioni educative. Alla ricer-ca quindi di una risposta ve-ra, anche se non ultima; ol-tre il ruolo ed all’interno diuna cultura umana in cui lapersona è l’assoluto.

Prende la parola Benito Bo-schetto, ex direttore alla bor-sa di Milano. Affronta il rap-porto tra economia e politi-ca; passa attraverso le mu-tazioni della globalizzazio-ne; coi suoi miti e coi suoiinganni. L’ora ormai è avan-zata; chi non ha prenotatoil pasto dovrà farsela diret-tamente coi cuochi. Benitoprocede sui processi; avan-za ipotesi, propone una co-scienza non succube (ter-mine complicato dalla co-niugazione impropria delsuccubì, succubò del caroTotò) del processo econo-mico; perché l’economianon è una scienza astratta,ma uno strumento che ha daservire alla liberazione de-gli uomini; non un inciam-po in cui battono la testa i“meno intraprendenti”, chesono la maggioranza.

Dietro la schiena dei testi-moni cala il grande striscio-ne che i giovani di Macon-do hanno allestito con il te-ma a caratteri cubitali, chetrovi scritto a chiocciola sulfiore giallo del pieghevoleviola: “Possono tagliare...”con quel che segue. Poi ca-la anche il sipario bianco,perché l’operatore cinema-tografico sta allestendo la sa-la per la proiezione del po-

meriggio. Dobbiamo lasciarela sala. Ora il pubblico ap-plaude sul palco. Molti s’av-vicinano ai relatori per ve-derli, per toccarli; per sen-tire che ci sono ancora uo-mini e donne che hanno laforza interiore di resistere alfuoco e all’indifferenza.

Segue il pranzo; serviziovelocissimo, ma sostanzio-so; non avrebbe certo sfa-mato Morgante il gigante, manon di solo pane vive l’uo-mo. Intanto nella palestra ibanchi, gli stand delle asso-ciazioni, raccoglievano fiu-mi di gente e distribuivanofumetti di informazioni; e ri-cevevano oboli di carta e di-stribuivano vapori di incen-so, corone di madreperla; li-bri bianchi e libri variopinti.Croste d’autore, crostate dicasalinghe; effluvi, e catinelledi pinga, ponga, e limoni ver-di, non fritti, con zuccherodi canna, o di bietola, bian-co e cristallino. Voci sussur-ranti, mimiche informative ebeneauguranti. Volti atteg-giati al sorriso, alla riflessio-ne, all’ascolto, al dibattito;alla battuta cordiale, popo-laresca, burlesca, simpatiz-zante. Insomma un incrociodi passi e di sussulti; di infor-mazioni e di passaparola.Fuori della palestra la musi-ca ultima batte il ritmo chesi trasmette alle pareti ed ailaminati. Non c’è il sole equesto attutisce il calore chesicuramente sarebbe soffo-cante in questo spazio purampio, ma affollato. Il Cen-tro Giovanile di Bassano ciha accolto generosamentenei suoi spazi; ha accolto consimpatia le nostre attività.Nuova esperienza per noi,ma sicuramente positiva. Gra-zie! Numerose le presenzealla festa; macchine ovun-que nelle vie adiacenti; nel-la piazzetta delle poste lemacchine erano ammontic-chiate fino a quattro, cinquestrati; con l’impegno ciclo-pico di chi doveva salire alsesto strato e prendersi il ca-mioncino familiare, per tor-nare a casa; ma chi ci vole-

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Tetela del Volcan, Messico, 1992. Nonno e nipote

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va più tornare, a casa? Sonostate bevute tre cisterne d’ac-qua; la quarta non era pota-bile. Due tini di vino, unofermo, l’altro in ebollizione;una carretta di maccheroni;due buoi: uno olandese amacchie grandi, l’altro mu-schiato. Maiali, scolopendre;patate farcite; un torrente dibirra, due ruscelli di coca. Ilconto su Visa, che paghi al-la fonte, in ritardo.

2 giugno 1998 - Abano Ter-me (Pd). Chiude la fatica del-la serie di conferenze aper-ta a febbraio con Emergen-za Chiapas, oggi conclusada don Albino Bizzotto im-pegnato sul tema Diritto al-la speranza: un camminodifficile verso la pace. Tutticonoscono don Albino, fon-datore di Beati i costruttoridi pace. La sua relazione di-venta una testimonianza divita, esperienza concreta dailuoghi di guerra. Il gruppodi Padova ha celebrato inquesto modo l’anniversariodella carta dei diritti del-l’uomo, usando comunqueun termine provocatorio,Utopia, l’utopia dei diritti.

5 giugno 1998 - Sarzano(Rovigo). Giuseppe parla suCome incontrare i giovani;molti parlano dei giovani,dei loro comportamenti; masu quale sentire e quali co-dici bisogna interpretare perentrare in rapporto con loro,affinché le riflessioni non sia-no bordate o fischi a mezz’a-ria che giudicano, senzacomprendere? A questa do-manda non ha dato risposta,cercando invece il filo di con-giunzione nella disponibilitàal rapporto e nell’ascolto daparte dell’adulto.

6 giugno 1998 – Bergan-tino (Rovigo). Si è allestitauna mostra, e si è tenuto unincontro sulla educazionealla “donazione” di organi,del sangue e del midollo.Nella sala parrocchiale uncentinaio di persone, costi-tuite da quanti hanno do-

nato oppure ricevuto. Stop-piglia ha sviluppato una re-lazione sul tema: Donazio-ne: impegno e gioia.

8 giugno 1998 - Borso delGrappa (Tv). Finale e pre-miazione del torneo calci-stico “Macondo”, che ha an-ticipato e seguito la festa na-zionale. Sugli spalti una tifo-seria acclamante; sulla pe-dana i vincitori ricevono gliapplausi e il meritato pre-mio dalle mani del presi-dente di Macondo, che haseguito le partite più emo-zionanti; e si congratula conAlberton Bordignon che haallestito il torneo, e ne haseguito le fasi programma-tiche con l’equilibrio del-l’infiammare senza metterea ferro e fuoco.

13 giugno 1998 - Pove delGrappa (Vi). Scene da un ma-trimonio. Baldassare e Chia-ra salutano gli amici ed i pa-renti che sono nella navatagrande e unica della chiesadi san Vigilio. Il celebranteinvita i presenti a parlare du-rante la omelia; salgono pa-renti ed amici, tra sussulti eprorompere di parole ed ef-fusioni. Canta il coro; il mae-stro Giorgio batte il tempo esvirgola sui nasi dei cantori.Fremono i muri della chiesaantichi; ma non ci sono ri-schi di crollo. Sulla piazzet-ta antistante un furgone bi-posto, con salotto retrostan-te, accoglie gli sposi tra ap-plausi, campanelli, clacson,sorprese, e rallegramenti. Te-lereporter, fotografi ad ognigesto, ad ogni sbandamen-to, ad ogni fremito; tuttocompreso, Iva inclusa. Glisposi emozionati prima e do-po la cerimonia, contenutanei centodieci minuti e qual-che spicciolo di riserva. Lenozze di Pove si sono pro-tratte oltre la mezzanotte,perché non cali la notte sulvelo della sposa e la luce delgiorno sorprenda in piedi losposo. Ritmi nostrani ed eso-tici, brasiliani e spagnoli, ita-liani hanno smosso cavalie-

ri e dame, longilinei e bre-vilinei, grassocci e scavati dadiete monastiche, bufali, gaz-zelle e qualche piccolo pa-chiderma da cortile; gli altriin piedi, a guardare.

15 giugno 1998 - Venezia.Maria parte per il Brasile pas-sando per Roma. Tiene nel-la tasca un libro; nella borsai ricordi dell’Italia e qualchespicciolo. Prepara la casa perquanti arriveranno a luglio.

20 giugno 1998 - Pove delGrappa (Vi). Si riunisce lasegreteria di Macondo. Man-cano Monica e Giampaolo,per impegni di famiglia; e lafamiglia è un pilastro. Al-l’ordine del giorno: la veri-fica (non organizzativa) del-la festa nazionale di Ma-condo. I campi scuola del-l’estate. Il coordinamentonazionale: il luogo sarà Po-ve del Grappa; la data è fis-sata per la fine di ottobre dal-le ore 10.00 alle ore 17.00.I viaggi in America Latina.Anche Stefano Benacchioandrà in Brasile e visiterà inparticolare il sud del Brasi-le. Apre i lavori Giuseppe,chiude Gianni. Erano pre-senti anche alcuni ospiti nonpaganti, con diritto di paro-la. Particolare attenzione al-la festa e le sue priorità: latestimonianza del mattino ela socializzazione dei socidi Macondo. Inoltre il ca-lendario dei campi scuola.

21 giugno 1998 – Resana(Tv). Piccolo centro vicino aCastelfranco, terra del Gior-gione. Da tre giorni si svol-ge l’incontro e la festa delleassociazioni non profit del-la zona. Fausto Stocco delgruppo Scout di Resana, esocio di Macondo, ha lan-ciato l’idea alle associazio-ni di mostrarsi insieme inpubblico, per essere cono-sciuti e per confrontarsi conil sociale ed il politico. Mol-te le associazioni presenti.Ci sono stati momenti di fe-sta e spazi di confronto congruppi, persone e nomi di

spicco. Frequentata la tavo-la rotonda delle ore 18.00;vi partecipavano don Ciotti,don Albanesi, GianfrancoBettin, vicesindaco di Vene-zia, Vera Slepoj, Felice Cas-son e il professor Enzo Gui-dotto su Giustizia - Ingiusti-zia cui si può far fronte at-traverso la denuncia, dove-rosa, anche se rompe con lealleanze di potere; e attra-verso il rapporto e l’acco-glienza dell’altro. Introduce-va e accompagnava i relato-ri con domande e provoca-zioni Giuseppe Stoppiglia.

Un grande tendone dellacapienza di milleseicentopersone ha dato spazio alconcerto, al teatro ed al ca-baret. In alto, stretti stretti,ci stavano anche gli angelidi seconda classe, che nonaveva strappato il bigliettodi prevendita. C’era la tavo-la di Macondo carica di li-bri e di idee; Patrizia, Die-go, Stefano e Cecilia dietroil banco, senza barricarsi.

23 giugno 1998 – Vicen-za. Arriva da Parigi JulianaPinto, figlia di Lucio Flavioche abbiamo avuto ospite loscorso anno alla festa na-zionale, ed ha ricevuto il pre-mio a Roma “Colombe perla pace”. Si fermerà in Italiapresso gli amici di Macon-do per tutta l’estate.

26 giugno 1998 - A Como,Giuseppe Stoppiglia parlaad un gruppo di militanti sin-dacali su Globalizzazione:risorsa o rapina. Tutti ricor-dano “Il grande Dittatore”che si passava sul naso e sulculo il grande globo map-pamondo; forse metafora diun mondo che si può do-minare; ma basta niente, lapercezione dell’umano con-tenuto nell’ironia di Charlotper forse...

Gaetano FarinelliInsegnante di lettereal liceo scientifico.

Componente la redazionedi Madrugada.

Risiede a Pove del Grappa.

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«Sogniamo,

in questo freddo granaio,

un universo di cose umili.

E senza di esse, non c’è ricordo

né fedeltà, né il futuro ha senso,

né il passato onore».

[Adrienne Rich]

Per loro il tempo è passato, la vita è quasi ter-minata.

Carichi di anni, di rughe e di acciacchi, i vec-chi mi sembrano dei condannati senza appello.

La vita attiva, l’incalzarsi dei mutamenti me lipresentano come inadeguati, lenti, fuori posto.

E così li svuoto, e li rendo invisibili.Non colgo i loro volti, e dietro questi, le loro

vite, le loro storie, i loro incontri… Le loro gioie,i dolori, i problemi, le astuzie e le tragedie.

Non colgo ad uno ad uno gli anni che, nono-stante siano tanti, non sono ancora finiti.

So che li aspetta la morte…Ma c’è ancora un bacio da donare, una per-

sona da abbracciare, una pietanza da cuocere,un piacere da fare. E c’è ancora un sogno da col-tivare, perché i vecchi, come me, per vivere han-no bisogno dei sogni.

Chiara Cucchini è insegnante di lettere nellascuola media superiore.

Si ringrazia l’autrice Pia Ranzato e le EdizioniLavoro di Roma per aver concesso a Madruga-da l’utilizzo di fotografie e citazioni del libro No-stalgia di futuro.

Nostalgia di futuroLe immagini di questo numero

di Madrugada

di Chiara Cucchini

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Teteala del Volcan, Messico, 1992. Doña Rosa sgrana il mais per preparare le tortillas

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