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MAHATMA GANDHI
Il ritratto
Gandhi non appariva un eroe, guardando il suo aspetto: aveva un corpo minuto, pelle ossa a causa
dei troppi digiuni. Aveva una grossa testa rapata, le orecchie sproporzionate e fuori misura. Era
malamente avvolto da una stoffa bianca, da cui si potevano intravedere i consumati sandali da
monaco e portava sempre degli occhialini di ferro.
Nonostante ciò riuscì a mettere in ginocchio l’impero inglese; costringendolo a lasciar libera l’India,
oramai da più di un secolo colonia inglese.
I luoghi di Gandhi
Hanno detto di lui
Gandhi era un uomo molto saggio e stimato da tutti i suoi discepoli. Per esempio, Lord Mountbatten
viceré dell’India, affermò “Mahatma passerà alla storia al pari di Buddha e di Gesù”. Anche Einstein
lo riteneva un grande genio politico dell’epoca affermando che “Le generazioni future faticheranno
a credere che un uomo simile si sia aggirato realmente su questa terra”. Ma c’è anche chi lo
definiva un “fachiro seminudo” come Churchill, il primo ministro inglese.
Gandhi e Lord Mountbatten ad un incontro
Le parole per capire
Ahimsa: significa nonviolenza, amore verso gli altri e capacità di comprensione. Ahimsa è un
attributo dell’anima e deve essere praticato in ogni faccenda della vita ed è contro il pensiero
malvagio, l’invidia, l’odio e la menzogna. Una guerra prepara sempre un’altra guerra e Gandhi volle
spezzare questo circolo d’acciaio introducendo tra i popoli le leggi della ahimsa che affidava al
popolo indiano questa missione: un intero popolo doveva rispondere con la nonviolenza alla
violenza di chi l’opprimeva poiché essa è invincibile impedendo all’avversario di colpire.
Coolie: è un’ espressione che definiva i braccianti agricoli, che poi venne attributo agli Indiani di
qualunque condizione (dottor coolie…) in senso dispregiativo e discriminatorio.
Satyagraha: significa forza (agraha) e verità (satya). E’ un mezzo di lotta non-violenta che nasce
dalla forza dell’amore e della verità. Nel maggio del 1915 nei pressi di Ahmedabad Gandhi fonda il
Satyagraha Ashram, una comunità dove viveva con la sua famiglia e gli amici coltivando i campi e
studiando. Secondo Gandhi: “ Satyagraha non è semplicemente una dottrina politica, è una
professione di fede, è ricerca della verità”.
Disobbedienza civile: inizia con l’hartal ad Amritsar dove la popolazione si trova a pregare, senza
lavorare e a digiuno.
Khadi: significa telaio. Veniva visto come rimedio per placare le tragiche carestie e lo stato di
grave povertà della popolazione agricola dell’India, anche se è vero che l’artigianato domestico,
offrendo al contadino indiano una fonte integrativa di reddito, l’avrebbe aiutato a sopravvivere.
Ricordando che prima della colonizzazione inglese tutti i villaggi erano auto sufficienti, le donne
tessevano i propri abiti e questo dava loro dignità. Per Gandhi il telaio a mano, oltre che
rappresentare la soluzione di un problema pratico, aveva anche un significato ideale. Il filatoio a
mano era per lui simbolo della dignità del lavoro; il simbolo dell’uguaglianza delle classi sociali,
perché anche un ricco doveva filare, e se non produceva doveva mangiare ciò che non gli
apparteneva. Nel 1921 ventimila Indiani, fra cui numerosi membri del Congresso finirono in
prigione. Gandhi venne condannato a sei anni di reclusione: quando il giudice condannò Gandhi, gli
rese omaggio inchinandosi al condannato e Gandhi ricambiò l’inchino. Due anni dopo Gandhi,
malato, venne liberato.
Caste: le caste, o gruppi dell’induismo erano suddivisi in:
-brahman, o sacerdoti
-kshatriya, o guerrieri
-vaisya, o mercanti
-shudra, o lavoratori.
Al gradino più basso c’erano gli intoccabili, che non avevano né voce né diritti e dovevano svolgere
solo i lavori più umili, senza ricevere nessuna istruzione.
Gli intoccabili o paria erano anche chiamati “fuori casta” perché non appartenevano a nessuna
casta. Tutte le persone appartenevano a un gruppo sin dalla nascita e nessuno poteva cambiarlo.
Gandhi apparteneva ai vaisya, ma poteva svolgere qualsiasi lavoro a quell’epoca.
Harjian: significa “figli o popolo di Dio”. Era il nome con cui Gandhi chiamava gli “intoccabili”.
Mahatma: significa “anima grande”. Lo scrittore Rabindranath Tagore diede questo nome a Gandhi
per la particolare personalità carismatica che aveva.
Le sue battaglie
● Il Sudafrica
Nel 1893, Gandhi, giovane avvocato, venne mandato nell’Unione Sudafricana per trattare, per
conto di una casa di commercio del Kathiawar, un affare legale molto complicato; il salario
non era molto alto, ma lui accettò e si imbarcò per Durban.
Durante il viaggio in treno venne discriminato per il colore della pelle e gli venne ordinato di
trasferirsi nella terza classe, nonostante avesse un regolare biglietto di prima classe. Il
capotreno lo cacciò dal vagone, lasciandolo per strada e tutti gli albergatori si rifiutarono di
ospitarlo per il colore della pelle. Quando arrivò a Pretoria una sentinella di guardia davanti al
palazzo del presidente Kruger lo spinse giù dal marciapiede di malo modo dicendogli “il
marciapiede è per i bianchi”. La sera, a casa di un ricco mercante musulmano, Gandhi cerca
di trovare una motivazione agli avvenimenti successi sul treno e con gli albergatori,
conversando con gli invitati a quell’incontro. Dopo qualche mese di soggiorno a Pretoria,
Gandhi era al corrente di tutte le condizioni in cui gli Indiani si trovavano nell’Africa
meridionale. I colonizzatori bianchi erano spaventati dal numero di migranti che cresceva
rapidamente. I bianchi, temendo di essere presto in minoranza, cercavano di rendere la vita
degli indiani molto difficile con persecuzioni sistematiche, tasse insopportabili, umilianti
restrizioni della libertà personale e si trinceravano dietro la colour bar, un contratto che
impediva agli uomini di colore i contatti con i bianchi. La lite per cui era stato inviato a
Pretoria ormai si era conclusa con un verdetto soddisfacente per entrambe le parti, perciò si
preparò a partire, quando vide un giornale in cui si annunciavano misure che privavano i
cittadini di garanzie. Per questo decise di restare e condividere le sofferenze degli indiani e
combatterle con loro. A tale proposito fondò il “Natal Indian Congress”, un’ assemblea
rappresentativa degli interessi indiani in Africa. Perciò venne aggredito, malmenato e a stento
sfuggì a un linciaggio, ma nonostante ciò non provò rabbia verso queste persone. Gandhi
tornò in India, dove venne ricevuto come un eroe nazionale, ma l’incontro più importante fu
quello con Gokhale, che gli dedicò gli ultimi mesi della sua vita prima della morte prematura.
il Gokhale diede molti insegnamenti a Gandhi e lui ubbidì, abbandonando il guardaroba
europeo dopo aver dettato le riforma da pellegrino. Per un anno viaggiò per tutta l’India in
vagoni ferroviari di terza classe spostandosi a piedi di villaggio in villaggio. In questo modo
riuscì a conoscere uomini e donne di diverse razze, appartenenti a diverse religioni e culture e
situazioni sociali. Sui treni si indignò per il comportamento scorretto, rozzo e sporco. Scoprì i
limiti dei villaggi, ma anche i loro punti di forza.
● La marcia del sale
Gandhi era consapevole dell’esistenza di numerose tensioni in India: la crisi economica
mondiale determinò un calo dei prezzi di vendita dei prodotti agricoli e il disagio si riflesse nel
peggioramento del consumo dei beni primari nelle aree rurali. Egli annunciò un programma
diviso in undici fasi, di vitale necessità, il cui accoglimento da parte degli inglesi sarebbe
equivalso alla concessione dell’indipendenza. Gandhi decise di richiamare gli indiani a una
ribellione, per scrollarsi di dosso le tasse sul sale, procurandoselo autonomamente. La scelta
di Gandhi di sfidare la legge del sale rispecchia la sua mentalità originale; non solo
rappresenta il tipo di sfida politica più adatto, ma si basa su un disagio reale sufficiente a
trasformare pochi cristalli di cloruro di sodio in un forte grido di libertà per gli indiani.
La marcia del sale si svolse proprio perché, quando i cittadini indiani andavano a comprare il
sale, dovevano pagare una tassa in più, che era troppo alta per il popolo indiano.
Il 2 marzo 1930 Gandhi scrisse una lettera a Lord Irwin, un politico britannico, per avvisarlo
della disobbedienza civile, in quanto gli Inglesi avevano fatto del possesso illegale di sale un
crimine legalmente perseguibile. Soltanto la nonviolenza organizzata avrebbe potuto fermare
la violenza organizzata dal governo britannico, ma Gandhi sapeva che lanciandosi nella non
violenza avrebbe dovuto correre un rischio. Il funzionaro di governo, rispondendo a Gandhi si
limitò a esprimere il rincrescimento per il proposito del Mahatma.
La mattina del 12 marzo Gandhi lasciò l’asram di Sabarmati con settantotto seguaci disposti
anche a morire, per percorrere a piedi i trecentosettanta chilometri che li separavano dalla
spiaggia di Dandi, dove l’acqua marina evaporando lascia sulla battigia uno spesso strato di
sale. I nomi dei partecipanti alla marcia del sale vennero pubblicati, a beneficio della polizia,
su “Young India”. Gandhi ormai sessantenne aprì il corteo con passo deciso e sicuro, con uno
sguardo sereno, vestito col khadi e impugnando il bastone da pellegrino. Ma non usò mai il
cavallo che lo seguiva ovunque nel caso la fatica fosse stata eccessiva. Il corteo avanzò di
villaggio in villaggio, dove moltitudini di fedeli attendevano di incontrare il Mahatma; molti nel
corteo cedettero alla fatica, con le piaghe dei piedi completarono il viaggio su un carro tirato
dai buoi, ma non Gandhi. Gandhi fece la marcia in nome di Dio, accolse l’occasione come un
pellegrinaggio, una maniera per conversare con i contadini dei temi a lui più cari: per
esempio la filatura a mano, l’igiene, la tolleranza verso gli “intoccabili” e il vero significato
della non-cooperazione.
Dopo ventiquattro giorni giunsero a Dandi, dove tutti entrarono in acqua per il bagno rituale
di purificazione. Tornando sulla sabbia, il Mahatma si diresse verso il luogo deve il sale si era
depositato in spessi strati, ne raccolse una manciata e questa fu l’impresa più grandiosa.
L’intera India fu presa dalla follia del sale che si vendeva in contrabbando nelle città e nei
villaggi, mentre l’impero diede il via agli arresti. In tutta l’India ci furono degli scontri e gravi
incidenti, la polizia a cavallo caricò i manifestanti che si erano sdraiati a terra, i cavalli si
impennavano e indietreggiavano.
Tre giorni dopo venne dato l’ordine ai soldati di spegnere la rivolta; essi però si rifiutarono di
sparare sulla moltitudine di musulmani disarmati: erano tutti Indù. La notte del 4 maggio
trenta guardie entrarono nell’accampamento di Karadi e puntarono una torcia in faccia a
Gandhi, annunciandogli l’arresto. Venne arrestato a causa della Regulation XXV, una legge
che fu introdotta nel 1827 e permetteva al governo di sottoporre ogni individuo alla
detenzione preventiva.
Dopo il rituale di preghiera il Mahatma partì per Yeravda. La guida del movimento passò alla
poetessa Sarojini Naidu che a capo di duemila membri del congresso si diresse verso le saline
di Dharsana. I poliziotti all’improvviso iniziarono a picchiare e bastonare i manifestanti. In
pochi secondi il campo si trasformò in una carneficina di uomini barcollanti e coperti di
sangue. Webb Miller, corrispondente della United Press scrisse:” In diciotto anni, non ho mai
visto uno spettacolo altrettanto straziante di quello di Dharsana. Ricordo un uomo erculeo,
immobile, simile a una statuo di un gladiatore romano.; lo stavano picchiando in testa. Io mi
trovavo a cento metri da lui, e lo guardavo: continuavano a colpirlo finchè il turbante si
disfece e apparve un ciuffo legato sulla sommità del cranio. Ancora qualche bastonata e i
capelli si sciolsero e il sangue cominciò a colare dai neri capelli penzolanti. Lui rimane li, ritto
finchè non cade con il volto a terra per un colpo particolarmente violento. Il sergente bianco
era tanto sudato per lo sforzo che la sua Sam Brown gli macchiava la tunica bianca. Tirò
indietro il braccio per la stangata finale ma poi crollò, le mani lungo al corpo.” Quel sodato
disse rivolto al presidente: ”Non serve a niente, non si può picchiare un disgraziato che ti sta
di fronte a quel modo.”
I luoghi della Marcia del sale
● La nascita dell’India
Il 20 febbraio 1947 il Primo Ministro Atlee annuciò che avrebbe trasferito tutto il potere in
mani indiane responsabili e annunciò che il nuovo vicerè sarebbe stato Lord Mountabatten.
Gandhi venne a sapere del Congresso, il quale propose la spartizione del Punjab, cioè il
Punjab sarebbe stato diviso in due parti: una parte restava dell’India, mentre l’altra andava al
Pakistan; Mountbatten, per impedire la divisione, desiderò di incontrare Gandhi. Quest’ultimo
presentò un suo piano: voleva formare un governo centrale provvisorio. Poichè non potè
accettare un governo guidato del Congresso, dovette stare lui stesso a capo.
La politica gandhiana stava per chiudersi: nessuno lo ascoltava. Il Mahatma si fermò a Delhi,
in un quartiere degli “intoccabili”, detto Bhangi Colony dove ogni sera si teneva un raduno di
preghiera. Molti musulmani non sopportarono che in una cerimonia indù si recitassero versi
dal Corano e cominciarono a mandare lettere a Gandhi chiedendo di non ostacolare la
creazione del Pakistan indipendente. Dall’altra parte gli indù scrissero lettere accusando
Gandhi di essere parziale nei confronti dei musulmani e iniziarono a chiamarlo Mohamed
Gandhi.
Intanto mentre Gandhi cercava di portare avanti la pacificazione delle due comunità,
musulmane e indù, Mountbatten procedette verso la data del 15 agosto, giorno
dell’Indipendenza, creando due nuovi stati indipendenti. Arrivò il 15 agosto e due minuti
prima di mezzanotte: il vicerè annunciò l’indipendenza e Nehru, il leader della nuova guardia,
pronunciò il suo primo discorso nel quale disse che, a mezzanotte, tutto il popolo indiano si
sarebbe svegliato per celebrare l’uscita dal passato e l’entrata nel futuro. Ma quel giorno
Gandhi non era presente: il 15 agosto si trovava a Calcutta a pregare e a digiunare.
Poche ore dopo l’annuncio dell’indipendenza, venne sostituito l’Union Jack con una bandiera
tricolore indiana in tessuto khadi e vennero create delle mappe del Punjab e del Bengala,
elaborate in fretta con la scarsa conoscenza e con decisioni illogiche.
Il Bengala orientale rimase con l’80% della produzione mondiale di juta senza uno
stabilimento per la tessitura; il Punjab indù rimase senza neanche una prigione e il Sikhistan,
con capitale Lahore, rimase per sempre separata da Tempio d’oro di Amritsar. Ma la cosa
peggiore fu che molti villaggi e molte strade vennero tagliate a metà durante la divisione.
La violenza si scatenò subito dopo l’indipendenza: vennero stuprate donne musulmane e,
durante l’incendio ad un tempio di Lahore, morirono bruciati vivi più di 100 sikh.
Nel frattempo, a Patiala, bande di sikh diedero la caccia ai musulmani. Si stava svolgendo in
quel periodo, non una guerra civile, ma disordini legati a motivi etnici, religiosi e vendette
personali. Pochissimi morirono per un colpo di pistola proprio perchè le armi usate erano
sciabole, pugnali, falci, accette, randelli oppure anche sassi raccolti per strada.
Carovane composte da profughi marciarono a piedi, verso i confini, e i soldati restarono nelle
caserme a oliare le armi e a lucidare gli stivali, invece di assicurare la pace.
Quando si venne a saper che Calcutta sarebbe rimasta nell’India e non in Pakistan, i
musulmani chiesero la presenza di Gandhi per proteggersi dal futuro Grande Massacro.
Morte e funerali
Il 28 Gennaio 1948, alle ore 4 e 30 di pomeriggio si tenne a Delhi l’ultimo discorso di Gandhi.
Gandhi salì sulla pedana, accompagnato da due donne, per parlare ancora dell’amore
universale.
Dopo aver finito il suo discorso, Gandhi si mosse tra la folla e tutti si inchinarono e si
spostarono per farlo passare e fu qui che un uomo, Nathuram Godse, estremista induista, si
inchinò, tirò fuori dalla tasca una pistola e sparò tre colpi su Mahatma. Quest’ ultimo cadde e
l’ unica cosa che potè dire fu:”Oh, Dio!”.
Quel giorno in India vi fu un silenzio e non si accese nessun fuoco; all’alba, il figlio di Gandhi,
Devadas e i discepoli lavarono il Mahatma secondo il rito indù e a quel punto Gandhi era
pronto per il suo ultimo viaggio verso la cremazione.
Gandhi venne avvolto in una coperta cosparsa di rose e venne chiesto di lasciargli il busto
scoperto perchè nessun soldato aveva il torace come il suo.
Il Mahatma aveva un’antipatia verso le macchine, infatti la sua bara venne trainata con
quattro corde robuste e parteciparono un milione di persone al funerale.
Ci vollero 5 ore per giungere alle sponde del sacro fiume Jumma e qui attendevano 700 mila
persone per la processione.
La bara funebre di Gandhi fu composta da ciocchi di sandalo, noci di cocco e canfora. Il corpo
del Mahatma venne cremato e il suo sorriso scomparve tra le fiamme. Le ceneri vennero
raccolte in una borsa di cotone e messe in un’urna di rame.
L’11 febbraio 1948, al dodicesimo giorno dopo la cremazione, le asthi di Gandhi vennero
portate in un treno speciale ad Allahabad, precisamente a Triveni e il Primo Ministro liberò le
sue ceneri nelle acque dei sacri fiumi Gange, Jumma e Saraswati.
Così se ne andò un uomo, che, per settantotto anni, lottò per la libertà del proprio Paese.
Ha detto
Secondo Gandhi nonviolenza significa “cosciente sofferenza” e non sottomissione alla volontà
dei malvagi. Infatti non chiede all’India di praticare la nonviolenza perché sia debole, ma
vuole che la pratichi, essendo cosciente della propria forza e del proprio potere.
La nonviolenza è la più grande forza, più potente di ogni grande arma che l’umano possa
inventare.
Parminder, Elisa e Marcello