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Rivista di Filologia e Letterature Ispaniche XII 2009 Estratto Edizioni ETS

Mañana No Nos Vamos

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Sobre "Tierra Roja" de A. Sastre.

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Page 1: Mañana No Nos Vamos

Rivista di Filologiae Letterature Ispaniche

XII2009

Estratto

Edizioni ETS

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ORIOL MIRÓ MARTÍ

Principios del ciceronianismo bembiano a la luz del De imita-tione

FRANCISCO JAVIER ESCOBAR BORREGOLa obra poética de Juan de la Cueva en el entorno sevillano(con un excurso sobre sus vínculos con Diego Girón y Fernan-do de Herrera)

NICOLETTA LEPRILa Clementina di Ramón de la Cruz, Calderón e il tema del-l’incesto

RAFFAELLA NENCINILo spazio negato.La huerta in Doña Perfecta e Tristana di B. Pérez Galdós

VALERIA TOCCOStrategie narrative e implicazioni etiche ne A Morte de Jesus

ENRICO DI PASTENA«Mañana no nos vamos».Tierra roja, una Fuente ovejuna mineraria di Alfonso Sastre

ELISABETTA SARMATITessiture intertestuali.Memorie letterarie in Nubosidad variable di Carmen MartínGaite

GIUSEPPE DI STEFANODiego Catalán y el romancero

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INDICE

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UN OMAGGIO A SUSANA BOMBAL

ALESSANDRO MARTINENGO

Presentazione

GABRIELE BIZZARRIDi reliquie e souvenirs: l’epifania discreta delle “cose” in Tresdomingos di Susana Bombal

GIULIA POGGII riflessi della coscienza(Borges, Virginia Woolf e Susana Bombal)

RECENSIONI

GIUSEPPE DI STEFANOEl canon poético en el siglo XVI. Edición dirigida por BegoñaLópez Bueno. Sevilla, Grupo PASO - Universidad de Sevilla:Secretariado de Publicaciones, 2008, pp. 380

ENRICO DI PASTENALope de Vega, ¿De cuándo acá nos vino?, ed. Delia GavelaGarcía, Kassel, Reichenberger (Teatro del Siglo de Oro. Edicio-nes críticas, 156), 2008, pp. 458

ROSA MARÍA GARCÍA JIMÉNEZAriza, Manuel, Insulte usted sabiendo lo que dice y otros es-tudios sobre el léxico, Madrid, Arco/Libros, 2008, pp. 274

LIBRI RICEVUTI

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1 Cfr. A. Sastre, «Nota para esta edición», in Tierra roja, Hondarribia, Hiru, 1992, p. 5.«Escribí Tierra roja al año siguiente del estreno de Escuadra hacia la muerte y después de unviaje por Huelva en el que conocí las condiciones de vida de los mineros de Riotinto. […]Grandes proyectos. Grandes esperanzas. Grandes problemas y angustias que uno trataba dedepurar en sus escrituras y tentativas teatrales». Tutte le citazioni dall’opera sono tratte daquesta edizione.

2 F. Caudet, Crónica de una marginación. Conversaciones con Alfonso Sastre, Madrid,Ediciones de la Torre, 1984, p. 41.

«MANANA NO NOS VAMOS».TIERRA ROJA, UNA FUENTE OVEJUNAMINERARIA

DI ALFONSO SASTRE

Sus pisadas […] parecían aspirar no a llevarle más lejos,sino más alto.

Juan Pedro Aparicio

Alfonso Sastre si è già conquistato convinti apprezzamenti nel cir-cuito teatrale spagnolo con Escuadra hacia la muerte, quando, conclusala composizione de La mordaza, nel 1954 scrive Tierra roja. Abbozza ilcanovaccio dell’opera ad aprile ma ne comincia la scrittura, protrattasiper circa un mese, solo ad ottobre. Esattamente due anni dopo, nell’ot-tobre del 1956, a Parigi (dove trascorre circa sei mesi grazie a una bor-sa della UNESCO, dopo essere stato processato in patria dal “Tribunalde orden público”) realizza alcuni ritocchi, tra cui la significativa “co-da” che cambia il significato dell’opera e ce ne consegna la versionedefinitiva. Occorrerà attendere ancora diversi anni perché, nel 1963(Madrid, Bullón), la pièce veda la luce nel volume dall’esplicito titoloCuatro dramas de la revolución, assieme a El pan de todos, GuillermoTell tiene los ojos tristes e En la red.

Alla base della composizione di Tierra roja è uno stimolo tratto dauna esperienza concreta. In occasione di un viaggio a Huelva, nel 1953,il drammaturgo entra in contatto con la difficile realtà socioeconomicadei minatori di Riotinto. È lo stesso autore a chiarirlo1, con parole cheoffrono anche una prima e letterale spiegazione del titolo, il che, d’altrocanto, non ne cancella le scoperte risonanze metaforiche, come vedre-mo: «Conocí Riotinto, el paisaje, la tierra roja, además había llovido eldía que yo estuve allí y parecía realmente una tierra ensangrentada»2.La pigmentazione del terreno si deve alla presenza del rame, che colora

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3 Madrid, Aguilar, 1967, p. 347.

anche le acque del vicino e omonimo fiume, il Río Tinto giustappunto.Lo sfruttamento del minerale, in questi luoghi realizzato sistematica-mente sin dalla dominazione romana (con precedenti che risalgono aTartesso e ai Fenici), conobbe il suo apogeo nel XIX secolo, quandovenne sviluppata anche l’estrazione in cunicoli sotterranei. Nel 1873 unconsorzio britannico acquisì le miniere per 92 milioni di pesetas e fondòla Rio Tinto Company Limited, che ha lasciato una impronta visibilenella organizzazione urbanistica dei sobborghi del vicino centro abitatoe riaffiora nella fantomatica compagnia che nell’opera rappresenta laforza antagonista dei minatori. Nello stesso 1954 le miniere furono na-zionalizzate. Attualmente, solo una minima parte delle antiche installa-zioni è ancora attiva e alcune zone sono state adibite a parco minerario.

Lo spunto iniziale di Tierra roja, in altre opere della produzione diSastre desunto dalla cronaca, emana dunque dal contatto diretto con lasofferenza dei lavoratori e prende forma in un’opera in cui particolar-mente scoperta diviene la ambientazione spagnola. Ciò è corroboratopure da quanto scrive lo stesso autore nella «Noticia», datata maggio1958, che precede il dramma nelle sue Obras completas. Sastre vi mani-festa l’intendimento di svincolarlo da uno specifico aggancio localisticoma solo, significativamente, per estendere la portata delle tematichetrattate anche ad altre località spagnole e alla loro storia recente3, forsenon escludendo i tormentati anni che precedono la Guerra civile (valea dire che persino i richiami extratestuali si distinguono qui dalla ac-centuata indeterminatezza spaziale di opere precedenti, mentre si con-ferma uno sforzo di universalizzazione comunque radicato in Spagna,nonché la forte vocazione mimetica del testo):

Es inútil tratar de encuadrar Tierra roja, de un modo preciso, en la geografía oen la historia de España. El lugar de la acción se parece, eso sí, a las minas de Rio-tinto – en cuya tierra roja tuve la idea de escribir el drama –, pero nunca hubo allí,que yo sepa, tales incendios, ametrallamientos y violencias, que, sin embargo, co-mo tantos hechos dolorosos y crueles, han sido una realidad en parecidas circuns-tancias y en otras tierras de España. En este sentido, Tierra roja tiene mucho quever con la Historia. Quiero decir que los hechos a que asistimos en el drama hansucedido de un modo o de otro, en una o en otra tierra de España, y en uno o enotro momento de su historia reciente. Así, Tierra roja, que no es – como digo – unadescripción geográfica ni un relato histórico, ni siquiera una fábula encuadrada enun fondo histórico preciso, es un drama que pretende dar cuenta de la realidad.

È fuor di dubbio che nel giovane Sastre la conoscenza diretta delle

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4 «Me impresionó mucho Riotinto. Me contaron el problema de los jubilados, que losechaban de las casas… De modo que el problema de Río Tinto era real. Era así», Caudet,Crónica de una marginación, p. 41.

5 Una ricca disamina, incentrata prevalentemente sulla narrativa, si trova ora in B. Del-miro Coto, Literatura y minas en la España de los siglos XIX y XX, Oviedo-Gijón, Funda-ción Juan Muñiz Zapico - Ediciones Trea, 2003.

6 È noto che fu una esplosione avvenuta il 4 maggio 1954 nella miniera di Ribolla a de-terminare un profondo cambiamento esistenziale in Bianciardi.

dure condizioni di vita dei minatori, sfruttati come forza lavoro di cuiliberarsi, senza alcuna forma di sostegno, non appena smettono di esse-re produttivi, produce una profonda impressione4. Il vivo sentimentodi solidarietà che ne scaturisce si traduce nello sforzo di dar voce arti-sticamente a una ipotetica rivendicazione da parte dei lavoratori, in an-ni nei quali l’autore ancora ignorava parte dei trascorsi battaglieri diRiotinto, particolarmente veementi alla fine del XIX secolo, come chia-rirò più avanti. La circostanza che nell’opera dà il la alla rivolta è stret-tamente veridica: la prassi da parte della compagnia di riappropriarsi,una volta esaurito il ciclo lavorativo dei prestatori d’opera, delle abita-zioni loro concesse. Ma nell’adottare il tema del lavoro minerario, dellosfruttamento dell’uomo sull’uomo e il suo pendant di rivendicazione edi lotte sociali, Sastre aggiungeva idealmente la propria a una lungasuccessione di opere che si è ritagliata un suo specifico spazio letterarioanche nella tradizione ispanica, in particolare tra la seconda metà del-l’Ottocento e la prima metà del secolo successivo. Basti ricordare, conle comprensibili diversità di prospettiva e solo a mo’ di esempio, alcunispunti della Marianela galdosiana (1878), il cap. XV de La Regenta(1884) e la quasi dimenticata Teresa (1894) di Clarín; già nel secoloXX, il dramma Daniel (1907) di Joaquín Dicenta, i romanzi La aldeaperdida (1903) di Armando Palacio Valdés o El vencido (1949) di Ma-nuel Andújar passando per le “novelas-reportaje” di Manuel CigesAparicio (Los vencedores, 1908; Los vencidos, 1910)5, o ancora, in am-bito latinoamericano alcune poesie di César Vallejo e in particolare ilsuo romanzo El tungsteno (con una princeps madrilena del 1931), op-pure i più recenti racconti del boliviano Víctor Montoya (Cuentos de lamina, 2000). Anche in Italia il tema è stato trattato sia da autori di in-dubbia rilevanza, come il Verga di «Rosso Malpelo» (in Vita dei campi,1880) e il Pirandello di «Ciàula scopre la luna» (in Novelle per unanno, 1907), sia, in chiave saggistica e negli stessi anni di Tierra roja, daLuciano Bianciardi e Carlo Cassola nei Minatori di Maremma (1956)6,nonché da scrittori di minore proiezione come il siciliano Angelo Petyx

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7 La segnalazione è di J.C. Mainer, «Prólogo» a Delmiro Coto, Literatura y minas, p. 13.8 Traggo il dato da una lettera di Alfonso Sastre, datata a Hondarribia nel luglio 2009,

nella quale il drammaturgo risponde ad alcune domande da me postegli. Colgo l’occasioneper ringraziarlo della sua cortesia.

(La miniera occupata, 1957) nel contesto postbellico delle coeve lottesociali. Solo di qualche anno fa è Tempo perduto (1997) di Bruno Ar-paia, romanzo di un autore italiano che tuttavia utilizza come sfondo larivolta asturiana del 1934, evento che ha impresso, come noto, una im-pronta profonda e quasi immediata alla produzione letteraria spagnola(e straniera, se si pensa a Révolte dans les Asturies, 1936, di Camus e al-tri tre autori). E tornando alla Spagna, merita senz’altro di essere ri-chiamato il racconto («Bondad oculta») che apre Vidas sombrías(1900), il primo libro di Pío Baroja che il non ancora trentenne scritto-re, figlio dell’ingegnere-direttore delle miniere di Riotinto, ambienta inquesto luogo pur senza precisarlo nella narrazione7.

Curiosamente Sastre, all’epoca anch’egli non ancora trentenne,quando scrive Tierra roja non conosce direttamente Germinal, Daniel,El tungsteno (li leggerà soltanto più tardi)8. Combina dunque una pre-sentazione realistica del mondo minerario con una impostazione chedialoga consapevolmente e in più di un aspetto con il teatro classicospagnolo, in particolare per quel che attiene al tema della rivendicazio-ne della giustizia da parte degli umili. L’autentico e indubbio modelloè, in tal senso, la tragicomedia lopiana Fuente Ovejuna, sebbene il moti-vo del conflitto tra nobile e vassalli fosse costitutivo delle comedias decomendadores. La questione mineraria, del resto, conosce uno sviluppoinusitato solo nell’Ottocento e riceve un potenziamento decisivo con laRivoluzione industriale, in una fase storica in cui il carbone diviene im-prescindibile nella alimentazione delle macchine a vapore. Agli inizi delXIX secolo (tra le prime miniere di profondità a lavoro continuo perl’estrazione del prezioso combustibile fossile consta quella di TowerColliery nel Galles meridionale, Regno Unito, che venne aperta nel1805) si schiude una nuova fase di una storia lunga e tormentata, con-traddistinta nel corso dei decenni, in particolare in vari paesi dell’Euro-pa e poi, sempre più spesso, negli altri continenti, da un alto grado diconflittualità tra le rivendicazioni salariali e per il miglioramento dellecondizioni di vita dei minatori e le compagnie minerarie. Una storiache continua tutt’oggi a mietere vittime. La stessa realtà delle minieredi Riotinto ha conosciuto pagine oscure: nei primi giorni del febbraio1888 una protesta contro le emanazioni tossiche e le ricadute sull’am-

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9 I fatti hanno ispirato il romanzo El corazón de la tierra di Juan Cobo Williams (Barce-lona, Plaza & Janés, 2001) e l’omonimo film (2007) diretto da Antonio Cuadri.

10 Da ora innanzi abbrevio Tierra roja e Fuente Ovejuna rispettivamente in TR e FO.11 «Yo pregunté: “¿Cómo no ocurre nada aquí [en Riotinto]?” Y dijeron: “Cómo va a

ocurrir algo si ya ha habido una historia trágica? Ha habido huelgas heroicas en los años 20y 30”» (Caudet, Crónica de una marginación, p. 41). Al riguardo si può consultare Mª D.Ferrero Blanco, «La huelga minera de Río Tinto de 1920. El diagnóstico del conflicto segúnSir Rhys Williams, enviado de los Rothschild», Revista de estudios regionales, 67, 2003, pp.247-305. Cfr. anche, per il periodo immediatamente precedente, J.M. Pérez López, Sindica-lismo minero en Huelva. La huelga de 1913 en las minas de Rio Tinto como paradigma de ac-ción colectiva desde los órganos de representación obrera, Riotinto, A.D.R. Cuenca Minera deRiotinto, 2007.

12 Drama y sociedad, Madrid, Taurus, 1956, pp. 149-151.

biente circostante provocate dal processo a cielo aperto di calcificazio-ne della pirite del rame riunì migliaia di persone accorse dall’intera re-gione. Su ordine del Governatore Civile di Huelva, i militari aprirono ilfuoco sui dimostranti provocando più di cento morti. Nonostante le ri-chieste provenienti da settori repubblicani, e grazie ai buoni uffizi dellacompagnia mineraria, i fatti non trovarono nel resto del paese l’eco checi si sarebbe potuto attendere9; le parole di Pablo in merito al silenzioche è calato intorno alla repressione sanguinaria di cui è stata vittima lacomunità dei minatori (TR, pp. 97-98)10 potrebbero facilmente esserecollegate a questo e a simili accadimenti in altre miniere (richiamerò abreve alcuni di essi). Occorre tuttavia tenere presente che Sastre evocatali conflitti solo in modo generico nella «Noticia» introduttiva citatapiù sopra e che non è a conoscenza delle proteste di Riotinto del 1888negli anni in cui compone la pièce, mentre menziona, diversi anni do-po, scioperi nelle stesse miniere risalenti agli anni venti e trenta11.

Come sia, non stupisce che Sastre sia tornato a Lope, ben presentenell’orizzonte culturale prebellico ad altri autori ideologicamenteschierati; basti pensare al Miguel Hernández di Hijos de la piedra, seb-bene questi risolva il debito con l’ipotesto lopiano ricorrendo a una ci-fra formale aulica, per la quale i suoi minatori e pastori si esprimono inuna prosa fortemente connotata in chiave poetica, secondo scelte chemolto divergono da quelle di cui si vale Sastre, il quale peraltro solo inanni recenti si è accostato da lettore a questo specifico testo di Hernán-dez. A metà degli anni cinquanta anche in veste di critico Sastre riven-dica la persistenza del modello teatrale secentesco, dando a un brevis-simo capitolo, il XVI, della seconda sezione del suo Drama y sociedadun titolo esplicito: «De la importancia precursora del teatro clásicoespañol y de la vitalidad de sus mitos»12. E ancora nella «Noticia» in-

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13 Obras completas, pp. 347-348.14 Cfr. ora Caudet, Crónica de una marginación, p. 41. In precedenza si sono occupati di

questa influenza M. Ruggeri Marchetti, Il teatro di Alfonso Sastre, Roma, Bulzoni, 1975, pp.88-90, e B.E. Weingarten, «Variations on the Fuenteovejuna Theme: Alfonso Sastre’s Tierraroja», in Letras peninsulares, Autunno 1993/Inverno 1993-1994, pp. 363-371.

15 Si ricordi ad esempio il suo successivo e personale rifacimento («refundición libre»secondo la definizione dell’autore) de El asalto de Mastrique, con il titolo di Asalto a unaciudad, non privo di un sostanziale riorientamento ideologico: cfr. E. Di Pastena, «Asalto auna ciudad. Lope de Vega riletto da Alfonso Sastre», in Anuario Lope de Vega, 10, 2004, pp.9-19. Di recente ha analizzato nel complesso le riscritture sastriane G. Balestrino, La escritu-ra desatada. El teatro de Alfonso Sastre, Hondarribia, Hiru, 2008 (sull’opera in questione,cfr. pp. 135-139).

16 Ruggeri Marchetti include il dramma nel gruppo di opere della fase di «rivolta con-tro l’ingiustizia» dell’autore; le caratteristiche di tale gruppo vengono chiarite ne Il teatro diAlfonso Sastre, pp. 71-101.

17 «Arte como construcción» venne pubblicato in Acento cultural (2 dicembre 1958,pp. 63-66) e poi raccolto in A. Sastre, Anatomía del realismo, Barcelona, Seix Barral, 1965,da cui cito: il frammento riportato si trova a p. 17.

troduttiva a Tierra roja nelle sue Obras completas sottolinea che «corres-pondía a un dramaturgo español la tarea de glosar y replantear enalgún sentido uno de nuestros mitos dramáticos más queridos, en elcual se halla potencialmente una fecunda línea del teatro moderno:Fuenteovejuna»13. Sulla scorta delle sue riflessioni e soprattutto sullabase di una analisi di Tierra roja, questo dramma può essere ritenuto,inter alia, un consapevole omaggio all’opera di Lope14. Sastre la avevaletta nella edizione curata da Américo Castro (Madrid, Colección Uni-versal, Espasa-Calpe, con una prima edizione del 1919 e diverse riedi-zioni successive) e alla sua rappresentazione, per la direzione di scenadi Cayetano Luca de Tena, aveva assistito presso il Teatro Español diMadrid (nell’ottobre del 1944 – o più verosimilmente – nel giugno del1947). Com’è noto, al Fénix poi il drammaturgo tornerà in veste di ori-ginale adattatore15.

Del resto, il Sastre di questo periodo è un autore oltremodo preoc-cupato dal tema della giustizia sociale16, prima ancora che da quellodella libertà; lo confermerà con la successiva Muerte en el barrio, dovesi riaffaccia il ricorso alla responsabilità collettiva come momentaneaschermatura per far fronte alle conseguenze legali di un linciaggiocommesso dagli abitanti di un quartiere ai danni di un medico indiret-tamente colpevole della morte di un bambino. E in un passo di «Artecomo construcción» l’autore scriverà: «Entre las distintas provincias dela realidad hay una cuya representación o denuncia consideramos ur-gente: la injusticia social en sus distintas formas»17. L’elemento centrale

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18 Sulla politicizzazione dell’opera, in particolare negli anni della Repubblica (1931-1936) e del tricentenario della morte di Lope, si veda E. García Santo-Tomás, La creacióndel “Fénix”. Recepción crítica y formación canónica del teatro de Lope de Vega, Madrid, Gre-dos, 2000, pp. 331-372. Come esemplificazione della diversità di mire con cui si potevaadottare Lope, si ricordino le considerazioni in chiave nazionalista di un J. Mª Pemán (Algu-nos valores fundamentales del teatro de Lope de Vega, Buenos Aires, Cumbre, 1942), oppurele parole di E. Giménez Caballero, adattatore di Fuente Ovejuna nella versione del 1944 delTeatro Español, che considera un dovere del «Movimiento español» il recupero di quest’o-pera di Lope, «la primera […] unitaria e imperial» (in A. Peláez Martín, «Lope de Vega enla programación de los teatros nacionales y en festivales de España», in Lope de Vega, come-dia urbana y comedia palatina. Actas de las XVIII Jornadas de Teatro Clásico, eds. F.B. Pedra-za e R. González Cañal, Almagro/Cuenca, Festival de Almagro/Universidad de Castilla-LaMancha, 1996, p. 89).

che accomuna Fuente Ovejuna e Tierra roja risiede nel riconoscimentodella intrinseca dignità degli umili, nel decoro morale di chi si trova inuna posizione gerarchicamente e socialmente inferiore e dunque espo-sto ai soprusi di coloro che detengono il potere politico e/o economi-co. Questo non impedisce che l’orizzonte ideologico di Sastre, è benesottolinearlo subito, differisca profondamente da quello di Lope. Que-sti è interessato a celebrare il potere aggregante della monarchia diFernando il Cattolico e, con essa, della monarchia assoluta, in contra-sto con la nobiltà feudale (e opportunamente Sastre ha segnalato le im-plicazioni “progressiste” che tale posizione poté assumere nella fasestorica in cui si diede); l’autore novecentesco si misura, come vedremo,con una visione embrionalmente marxista della società. Eppure Sastrepare trovare nel dramma del Fénix un alimento per la sua fascinazionerivoluzionaria. In ciò, pur situandosi sul versante creativo e muovendodall’intuizione di ben altri orientamenti ideologici, non si allontanavanella sostanza da storiografi influenti come a suo tempo era statoMenéndez Pelayo, autore nel secondo Ottocento di una lettura “d’epo-ca” di Fuente Ovejuna, da lui recepita come opera “democratica” e ri-voluzionaria, o da riletture militanti come quelle realizzate nel-l’U.R.S.S. bolscevica (emblematica quella del 1º maggio 1919 presso ilTeatro Lenin di Kiev ad opera di Konstantin Marzanov, fortemente ri-duttiva del ruolo dei monarchi) o dallo stesso Lorca con «La Barraca»(eliminazione delle figure dei re e del Maestre, rinuncia all’azione “se-condaria”) e che in ambito critico nei primi quattro decenni del Nove-cento ancora persistevano in Spagna, convivendo con altre, ugualmen-te politicizzate, di ben diverso segno18. Poco importa che dagli anniquaranta, da Casalduero in poi, stesse cambiando l’orientamento criti-co tardoottocentesco e ci si sforzasse di spostare l’accento sull’orizzon-

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19 Cfr. T. Kirschner, El protagonista colectivo en «Fuenteovejuna», Salamanca, Universi-dad de Salamanca, 1979, pp. 32 ss.

20 Cfr. al riguardo le parole di A. Castilla, «Diez años de teatro universitario en Españay América (1958-1968)», in L. García Lorenzo (ed.), Aproximación al teatro español univer-sitario (TEU), Madrid, C.S.I.C., 1999, p. 256. Più recentemente, Á. Facio ha ritenuto che laversione di Castilla fosse caratterizzata da un «pesimismo victimista y folklórico, al vestir laescena del tormento con ropajes de Semana Santa y suprimir la escena ulterior en que se ce-lebra el éxito de los cazurros resistentes» («¿La Fuenteovejuna que soñó Bakunin?», in Lacomedia villanesca y su escenificación. Actas de las XXIV Jornadas de Teatro Clásico de Alma-gro, eds. F.B. Pedraza Jiménez, R. González Cañal, E. Marcello, Almagro, Servicio de Publi-caciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, 2002, p. 33).

21 Situazione che pure lo aveva favorevolmente impressionato: nella lettera indirizzata-mi da Sastre (e menzionata sopra, n. 8), questi in effetti sottolinea che nella lettura di Fuente

te formale dell’opera19. E poca importanza ha anche il fatto che a parti-re dalla metà degli anni sessanta, la storiografia accademica, soprattut-to con Salomon e Aubrun e sulla scorta di una ricostruzione del qua-dro storico-economico, ritenga Fuente Ovejuna un testo antifeudale efilomonarchico, volto a mettere in evidenza il ruolo accentratore dei ReCattolici e la loro funzione di freno dinanzi alle spinte centrifughe diuna nobiltà arcaizzante. È indubbio, oltre che comprensibile e legitti-mo, che le interpretazioni filologicamente fondate non abbiano argina-to né impedito altre dall’angolatura etica e politica; un esempio in pie-no franchismo di una rilettura in chiave sociale e antitirannica viene of-ferto dalla messa in scena del dramma curata da Alberto Castilla e dalTeatro Nacional Universitario, che si impose al Festival Internazionaledi Nancy del 1965; sopprimendo la sequenza in cui si festeggia il suc-cesso degli abitanti del paese (la rappresentazione termina infatti con ilgrido «Fuenteovejuna lo hizo» e la resistenza popolare alla tortura), laversione accentua il contenuto libertario e dolorosamente “democrati-co” dell’opera20.

Dal canto suo, memore della creazione lopiana di un protagonistacollettivo in FO, Sastre si premura di conferire nobiltà d’animo alla suacomunità di minatori. In particolare è nel Quadro V che più scopertodiviene il parallelismo tra il suo dramma e quello di Lope. Si tratta del-la sequenza nella quale la polizia cerca di estorcere ad alcuni dei mina-tori i nomi degli ideatori della rivolta, degli autori dell’incendio dellaresidenza della compagnia e degli uccisori dell’ispettore delle miniere.Le analogie rispetto a Lope sono diverse. Al di là di quella evidente percui si concorda una risposta comune (per quanto Sastre non ripropon-ga la situazione lopiana di teatro nel teatro con i contadini a “provare”quanto diranno al giudice)21, è a una figura di anziano che si deve la

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Ovejuna lo colpirono in primo luogo il fatto che gli abitanti del paese «hicieran un ensayodramatizado de lo que habían de decir cuando el pesquisidor los torturara, y, segundo, lacomicidad de la situación cuando Mengo es torturado».

22 Così si esprimeva la sua fonte principale, F. de Rades y Andrada, Crónica de las tresórdenes de Santiago, Calatrava y Alcántara, Toledo, Juan de Ayala, 1572, fol. 80, col. a: «ySus Altezas siendo informados de las tiranías del Comendador mayor, por las cuales habíamerescido la muerte, mandaron se quedase el negocio sin más averiguación». Qui e nelle al-tre citazioni modernizzo le grafie.

trovata dell’assunzione collettiva della responsabilità dei disordini:

EL VIEJO. […] Todos le dimos el primer navajazo al inspector… Todo lo he-mos hecho entre todos. ¿Te das cuenta? (TR, 74)

ESTEBAN. […] Los Reyes han de querer / averiguar este caso, / y más tan cercadel paso / y jornada que han de hacer. / Concertaos todos a una / en lo que habéisde decir. […] Morir / diciendo: ¡Fuente Ovejuna! / Y a nadie saquen de aquí.(FO, vv. 2085-2093)

Vi sono corrispondenze non casuali anche tra i torturati in ciascunadelle opere, rispettivamente quattro (Esteban, un ragazzo, Pascuala,Mengo) e tre (Minero II, El Viejo, Minero I). In entrambe le circostan-ze si accentua la vulnerabilità degli interrogati: Sastre ripropone le fi-gure dell’anziano e di un attante timoroso (Minatore I), dal quale haovviamente espunto le venature comiche più grossolane, visibili anchefisicamente nel corpo del “rollizo” Mengo, colui che tra i personaggi diFO più s’accosta al tipo del gracioso. Tanto Mengo come il Minatore Ifanno la propria parte, anche se quella di quest’ultimo è più ingrataperché deve fronteggiare l’estremo tentativo di chi lo interroga, negan-dosi alla delazione persino dinanzi alla minaccia di uccisione degli abi-tanti del villaggio, tra cui senza dubbio donne e bambini. Si noti che inquesto modo Sastre recupera quanto Lope aveva proposto per sined-doche nella sequenza in cui venivano torturati anche una donna e ungiovanetto.

L’innovazione macroscopica realizzata da Sastre risiede nello sciogli-mento del quadro: laddove i Re Cattolici concedono il loro perdonoperché costretti a soprassedere (e Lope ha molta cura di sottolinearequesto elemento: «Pues no puede averiguarse / el suceso por escrito, /aunque fue grave el delito, / por fuerza ha de perdonarse», FO, vv.2442-2445)22, la reazione del capitano di polizia alla impossibilità di in-dividuare uno o più responsabili determinati è quella di dar luogo auna rappresaglia indiscriminata: «Han sido todos. Pues bien: ¡Todosvan a ser castigados! Que salgan dos secciones del cuartelillo y ame-

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23 Cfr. El pan de todos, Hondarribia, Hiru, 1992, p. 21.24 P. Ysàs, «La imposible paz social. El movimiento obrero y la dictadura franquista», in

Historia del presente, 9, 2007, pp. 7-25. Cfr. anche gli articoli ora pubblicati in Historia con-temporánea, 20, 2008, con il coordinamento di M. Abdón e più generalmente sulla societàdel tempo e sulla protesta sociale, alcuni dei contributi del volume collettivo, per la curadello stesso studioso, La España de los cincuenta, Madrid, Eneida, 2008. Per un tratteggiodella specifica situazione del mondo minerario in quegli anni, si veda R. García Piñeiro, Losmineros asturianos bajo el franquismo (1937-1962), Madrid, Fundación 1º de Mayo, 1990.

trallen el pueblo! ¡Que lo ametrallen! ¡Que lo pasen a sangre y fuego!¡Comunique mi orden a los tenientes!» (TR, 79). Il perdono reale, conil relativo passaggio degli abitanti di Fuente Ovejuna sotto la giurisdi-zione della corona, è il culmine della pièce lopiana; la risoluzione san-guinaria in Sastre è invece spunto per la riflessione, per i suoi stessipersonaggi, sul succedersi, solo in apparenza invariabile, dei cicli stori-ci e motivo, nel tempo, di lacerazione e sensi di colpa per colui che hareso possibile con la sua iniziativa la ribellione. La problematica tornanell’azione, stavolta segnatamente individuale, dell’eroe di GuillermoTell tiene los ojos tristes. Non a caso anche di Pablo, come del Davidprotagonista de El pan de todos quando era bambino23, si dice che ab-bia «gli occhi tristi» (TR, 44). La dura repressione a cui vengono sotto-posti gli abitanti della località può e deve certamente essere messa inrelazione con il passato immediato o lo stesso presente politico dellanazione. Gli scioperi catalani e dei Paesi Baschi degli anni 1947-1949,le proteste del 1951, più tardi le agitazioni del triennio 1956-1958 equelle, particolarmente intense, del 1962 parlano della profonda insod-disfazione sociale, in particolare dei settori operaio e minerario, soprat-tutto nell’enclave asturiano (si ricordi lo sciopero di La Camocha,Gijón, nel 1956), dinanzi alle pretese di «pacificazione sociale» delfranchismo, come ha recentemente ribadito P. Ysàs24. Molti di questiscioperi erano una reazione all’incremento dei prezzi ed esigevano unaumento dei salari, e quantomeno permisero di ottenere nella “décadabisagra” dei cinquanta delle migliorie retributive che per la prima voltadalla fine della Guerra Civile assicurarono ai salari il recupero del po-tere acquisitivo del periodo prebellico. Ad ogni modo, già prima del-l’avvento del regime franchista, le lotte minerarie avevano scatenato di-versi episodi di repressione violenta; abbiamo già ricordato le vicendedel 1888, che riguardano direttamente Riotinto, ma è d’obbligo men-zionare di nuovo, per la loro virulenza, anche gli eventi delle Asturiasnell’ottobre del 1934. In Tierra roja il fatto che i minatori possano con-tare solo sulla propria combattiva irriducibilità nel tentativo di ottene-

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25 Cfr. Rades, Crónica de las tres órdenes, fol. 79v, col. b.26 Cfr. P. Martínez-Michel, Censura y represión intelectual en la España franquista. El ca-

so de Alfonso Sastre, Hondarribia, Hiru, 2003, p. 113.

re un miglioramento delle proprie condizioni di vita implica un attaccoimplicito da parte di Sastre alle istituzioni economiche, sociali e dun-que politiche che tollerano questo stato di cose o, peggio, lo spalleggia-no, privando alcuni uomini della loro dignità.

Merita di essere segnalato l’elevato grado di violenza che Sastre tra-spone nel trattamento della situazione. La violenza, soprattutto evocataverbalmente, era già presente in Lope (e, con dovizia di dettagli, nellastessa fonte storica a cui questi attingeva25). Tuttavia, le indicazioni discena di TR sono al riguardo reiterate e assai esplicite:

Un policía se acerca al Minero II, le pega en la cara. Lo derriba. Lo patea.(TR, 76)Lo cogen entre los dos y lo arrastran fuera de la escena. Se oyen golpes y gemidos

dentro. (TR, 77)Le pega. El Viejo trata de cubrirse la cara torpemente. Recibe un puñetazo en el

estómago. (TR, 77)El capitán le pega. (TR, 77)Recibe un golpe. Gime. (TR, 77)Le pega. Se tambalea. (TR, 77)

Le percosse non toccano al terzo interrogato, al quale basta la pres-sione psicologica cui è sottoposto per trovarsi in una situazione difficil-mente sostenibile, ma sono sufficienti a provocare la morte del perso-naggio del Vecchio. Tale morte anticipa quella delle altre vittime indi-fese, donne e bambini giustappunto, che subiranno la repressione inpaese. È pur vero che Sastre non nega un barlume di umanizzazione auno degli oppressori (il Sergente versa una lacrima per il morto, suoamico), ma se consideriamo che la gran parte di quanto segnalato nelleindicazioni di scena si sarebbe dovuta svolgere sotto lo sguardo deglispettatori – a differenza di quel che accadeva in Lope – si intendono lepreoccupazioni di uno dei censori, Bartolomé Mostaza, al quale vennesottoposta l’opera nel 1958, a seguito della richiesta di autorizzazioneper la messa in scena presentata da Fernando de Granada:

La manera en que coloca en el interrogatorio a policías y acusados hace que laobra no pueda ser autorizable. Repito que no es la intención social, a la que nohay nada que oponer, sino la torpe manera de realizar las escenas de los interroga-torios, lo que hace que la obra se transforme en un verdadero mitin contra lasfuerzas del orden, sean cuales fueren éstas26.

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27 Più in generale, la vita sugli scenari di questo dramma è stata praticamente nulla.Sastre ricorda qualche isolata rappresentazione in America Latina in circuiti teatrali indi-pendenti, verosimilmente in Uruguay («Nota para esta edición», cit., p. 5). Martínez-Michel, Censura, p. 199, n. 180 segnala effettivamente che «fue representada con éxito enMontevideo».

28 Cfr. Martínez-Michel, Censura, p. 112.29 Cfr. C. González Martínez e M. Ortiz Heras, «Control social y control policial en la

dictadura franquista», in Historia del presente, 9, 2007, pp. 27-47. In precedenza, M. OrtizHeras, «Instrumentos legales del terror franquista», in Historia del presente, 3, 2004, pp.203-222. Si vedano anche, dello stesso autore, «Terror y violencia política en Castilla-LaMancha», in F. Alía (coord.), La Guerra Civil en Castilla La-Mancha, setenta años después,Cuenca, UCLM, 2007, pp. 178-195; e di J.I. Álvarez Fernández, Memoria y trauma en lostestimonios de la represión franquista, Barcelona, Anthropos, 2007.

E in effetti l’autorizzazione non venne concessa. Né allora né mail’opera è potuta giungere sulle scene in Spagna27. Prima della sua pub-blicazione, nel 1963, riaffiorano in uno dei funzionari preposti alla cen-sura analoghe remore:

[…] el autor mantiene su tesis de que la tragedia sorda del orden social injustosólo puede ser destruida por la tragedia revolucionaria. Ha de señalarse la brutali-dad de la policía con los detenidos y, sobre todo, la del capitán ordenando ametra-llar al pueblo […]. De referirse a España, sería aconsejable su supresión, por ob-vias razones. Con esta salvedad puede autorizarse28.

Nella circostanza fu il Direttore Generale di Cinematografia e Tea-tro ad autorizzare verbalmente la pubblicazione dell’opera. La presen-za della violenza in scena in questi anni è una costante in Sastre: bastipensare al modo in cui viene ucciso il caporale Goban in Escuadra ha-cia la muerte. In altri casi, è la prolungata evocazione di una morte ac-caduta fuori scena a catalizzare l’attenzione: accade nell’uccisione diKrappo ne La mordaza. Sono esplosioni, tuttavia, che nelle due operemenzionate assumono significati diversi: affatto risolutiva nel primo ca-so (come in Prólogo patético) quanto liberatoria nel secondo (in modoaffine a quanto avverrà in Guillermo Tell). Permane in questi testi il co-mun denominatore per il quale la eliminazione di una figura dispoticarappresenta un momento di svolta possibile o effettiva. In Tierra roja,la violenza racchiude nel suo manifestarsi la patente denuncia di unacondizione che non può giovarsi di alcuna tutela legale, di alcuna istan-za di potere superiore che riconosca i diritti dei lavoratori e garantiscauna autentica concordia sociale, tanto più se si considera che è taleistanza, la dittatura franchista, nella realtà storica di quegli anni a farericorso all’arbitrio e al sopruso29. Alla luce di quest’ultima dimensione

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30 Cfr. Crónica de las tres órdenes, fols. 79v-80.

può apparire comprensibile che la violenza abiti tante sequenze delteatro impegnato di Sastre, non solo dell’opera che stiamo consideran-do; ma occorre sottolineare la evidenza – in definitiva una manifesta-zione di coraggio – con cui il drammaturgo la presenta in scena.

Rivela una certa contiguità rispetto a Lope pure l’assalto alla sededel potere (la casa del commendatore diviene ora la residenza dellacompagnia), con il corollario della sua distruzione (in Lope apparivapure il saccheggio, vv. 1996-1999, desunto da Rades30). La enumerazio-ne degli avversari uccisi, in una conversazione tra l’anziano Pedro e Pa-blo nel Quadro IV, svolge amplificandola la funzione strutturale disim-pegnata in Lope dalla concitata relazione di Flores ai Re Cattolici, in-perniata sulla uccisione di Fernán Gómez e sulla devastazione della suadimora, spazio investito anche di risonanze pubbliche. Viene inoltre ri-preso un certo gusto per il dettaglio truculento: cfr. in particolare «Hahabido varios linchamientos. Han arrastrado el cuerpo del inspector delas minas por el suelo» (TR, 63), in relazione all’offesa che si reca allespoglie di Fernán Gómez (FO, vv. 1977-1991; 2069-2070).

Analogamente a quel che accade in FO, è l’intervento di una figurafemminile, alla fine del Quadro III (p. 57), a rompere gli indugi e a sca-tenare lo scoppio delle violenze. E come in Luces de bohemia (scena11, una delle tre aggiunte nella versione del 1924), si produce la mortedi un innocente per antonomasia, un bambino, a causa di uno sparovagante. In Valle-Inclán le tragiche grida della madre, pur permeated’un retoricismo in sintonia con il registro dominante nell’opera («Ne-gros fusiles, matadme también con vuestros plomos», p. 157), non in-ducono i presenti a una reazione; anzi Valle privilegia, certamente di-stanziandosene e in chiave critica, la voce di personaggi che tendono agiustificare la repressione, per quanto brutale. In Sastre, invece, la don-na – più avanti si chiarirà che è vedova d’un minatore (TR, 65) –, senzanecessità di gridare, spinge la comunità ad agire:

LA MUJER. (hierática) El niño estaba mamando de mi pecho y de pronto lo hasoltado. Sus pañales se están manchando de sangre. Esa bala ha sido para él. Hamuerto (Un silencio. Nadie se mueve. La voz de la Mujer se hace trémula para conti-nuar con una extraña exaltación.) Ahora incendiaréis la casa de los ingleses y losmataréis a todos. ¿Qué esperáis ahora? ¿Es éste un pueblo de hombres? Quierover una hoguera esta noche… Muertos colgados de los árboles… Iréis todos a ha-cerlo… Han matado a mi hijo… ¡Tiene que correr mucha sangre…!

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31 Crónica de las tres órdenes, fol. 79v, col. b: «[…] antes que [el Comendador] acabasede espirar, acudieron las mujeres de la villa, con panderos y sonajes a regocijar la muerte desu señor; y habían hecho para esto una una bandera, y nombrado capitana y alférez».

È uno dei pochissimi passi del testo in cui le ragioni della teatralitàsi impongono a quelle del più rigoroso e consapevole mimetismo. Lasua importanza è ribadita dal fatto che viene richiamato più avanti daalcune esplicite parole di Pablo, che così si riferisce alla donna: «Ahoracomprendo. […] Su mirada de odio. Tenía el hijo muerto en los brazosy no lloraba. Eso lo desencadenó todo» (TR, 65).

L’intervento del personaggio femminile, soprattutto nella frase «¿Eséste un pueblo de hombres?», ricorda la celebre invettiva con cui Lau-rencia, dopo aver subìto la probabile violenza del commendatore, apo-strofa violentemente suo padre e gli uomini del suo villaggio (FO, vv.1723 ss.); in particolare si veda: «¿Vosotros sois hombres nobles? /[…] / Liebres cobardes nacisteis; / bárbaros sois, no españoles. / ¡Gal-linas, vuestras mujeres / sufrís que otros hombres gocen!» (vv. 1753,1768-1771). Ci imbattiamo dunque in una situazione analoga, sebbenerisulti scatenata da un diverso dato di partenza: in un caso la violenzacarnale subìta da Laurencia, nell’altro la intollerabile ingiustizia patitada una madre.

Di nuovo, le donne svolgono un ruolo importante nella sollevazione;con loro agisce la stessa Inés, nonostante ad un certo punto perda isensi (TR, 62): «PABLO. Parecía una pequeña furia de un lado paraotro. PEDRO. Todas las mujeres se han portado bien, ¿verdad? PABLO.Sí». In ciò le spose e le figlie dei minatori sono memori dell’esempiodelle combattenti del conflitto civile, evocate nel Quadro I (TR, 18:«[…] Hubo hasta una guerra… Y las mujeres se dejaban ametrallar alpie de las barricadas y morían… Así son las mujeres de nuestro país…De esta raza son…»), nonché delle donne di Fuente Ovejuna: in Lopealle parole di Laurencia (FO, vv. 1774-1777: «¡Vive Dios, que he detrazar / que solas mujeres cobren / la honra, de estos tiranos, / la san-gre, de estos traidores!») fanno riscontro la volontà di Pascuala e Jacin-ta di vendicarsi di Flores (vv. 1908, 1914-1915), l’inseguimento di Or-tuño da parte della stessa Laurencia (vv. 1916-1918) e il racconto diFlores, che rievoca l’accanimento femminile sul corpo esanime diFernán Gómez (vv. 1980-1983). Tutto ciò configurava, sulla base dellanarrazione di Rades31, che Lope individualizza, una presenza rilevantenel quadro della sollevazione generale. Un aspetto di cui Sastre non èdimentico.

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32 Cfr. F. García Lorca, Primer romancero gitano. Llanto por Ignacio Sánchez, ed. M.García-Posada, Madrid, Castalia, 1988, p. 108.

33 Cfr. Ruggeri Marchetti, Il teatro di Alfonso Sastre, pp. 76-77.34 Di nuovo mi riferisco alla missiva dell’autore citata alla n. 8.35 Questa potrebbe essere, in subordine alla chiara pregiudiziale ideologica, una delle

ragioni del durissimo giudizio estetico che il Direttore Generale di Cinematografia e Teatro(o, secondo altri, un mero censore) emise sull’opera: «La obra es del peor estilo en todos losaspectos incluyendo el teatral. Se trata de una burda trama bajamente demagógica en la queunos pobrecitos mineros son explotados hasta la muerte por una empresa sin sentimientos,y cuando aquéllos tratan de hacer frente a su situación, la policía al servicio de los del capi-tal los ametrallan y arrasan sin contemplaciones a los mineros. […] No comprendo cómouna compañía profesional presenta esta obra y supongo que el autor lo único que pretendees marcarse un tanto aportando una obra más a su repertorio prohibido» (Martínez-Michel,Censura, pp. 113-114; B. Muñoz Cáliz, Expedientes de la censura teatral franquista, Madrid,Fundación Universitaria Española, 2006, vol. 1, p. 112, attribuisce la valutazione a un cen-sore anonimo, forse A. Timermans). Il riferimento è alla compagnia di Fernando de Grana-da, mentre le parole finali manifestano, come sottolinea Martínez-Michel, il grado di usura acui sono già arrivate le relazioni tra l’Amministrazione e Sastre.

La forza che si oppone ai minatori viene modellata non già su unospunto letterario bensì sulla base di dati reali. Il testo rende infattiesplicita la provenienza della compagnia che detiene il controllo delleminiere, menzionando «la residencia de la Compañía, donde viven losingleses» (TR, 16). Si noti che anche Lorca s’era servito degli stessi ter-mini per riferirsi al concreto paesaggio andaluso in cui cala la vicendadella gitanella di «Preciosa y el aire» (vv. 11-12: «las blancas torres /donde viven los ingleses»)32. Dal canto suo, tra i personaggi sastriani,persino l’unico poliziotto a meritarsi un nome proprio, il sergente Ra-fael, manifesta il proprio odio verso gli esponenti della compagnia:«SARGENTO. Sí, porque engordan [sus representantes] con la sangre deeste pueblo. Los odio. No hay nada como nuestra tierra. Esos tíos ru-bios me dan asco» (TR, 56). La parte conclusiva delle sue parole, rife-rendosi al peculiare aspetto fisico degli impiegati, torna a evidenziarnela appartenenza etnica. In verità – ed è uno degli aspetti di interessedell’opera e una delle difformità rispetto a Fuente Ovejuna – la compa-gnia è un nemico tentacolare che non appare direttamente in scena,poiché si avvale di emissari o del braccio repressivo e acritico dell’auto-rità poliziesca (simili forme di sottomissione cieca al potere si manife-stano anche in Guillermo Tell tiene los ojos tristes)33. Nel dotare la suaopera di una parvenza di patriottismo antibritannico, Sastre si sforzava,per sua stessa ammissione34, di dissimulare la lotta di classe su cui ine-vitabilmente finiva per imperniarsi la trama.

Uno dei potenziali nèi dell’opera potrebbe essere riscontrato nelmanicheismo della presentazione delle forze in agone35, anche se, come

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36 Sastre allude criticamente e in più occasioni alla inclemenza delle condizioni di lavo-ro: «PABLO. Ayer tuvieron que sacarme [de la mina]. Me puse enfermo, como mareado…No sé si podré resistirlo…» (TR, 12); «esa agonía de la mina» (TR, 89); «TERESA. Ya verácómo salen los hombres de la contramina después de una jornada de trabajo. Ya verá cómosale usted si le mandan trabajar en los pozos» (TR, 91). Non manca qualche concreto detta-glio sulla vita mineraria (ad esempio, all’aria aperta si lavora una ora di più rispetto a chiscende nei pozzi, TR, 92) o qualche nota ambientale: il paesaggio lunare non permette colti-vazioni («Con los humos de la fundición no crece nada», TR, 22), per cui il minerale si im-pone a ogni altro frutto della terra.

vedremo, gli stessi personaggi positivi distano dall’essere a tutto tondo;d’altro canto, occorre riconoscere, prima ancora dell’oggettiva miseriain cui storicamente si dibattevano i minatori, che la invisibile capacitàmanipolatrice del potere economico rappresenta il bersaglio ulterioredi una denuncia, per Sastre necessaria e urgente, degli effettivi pericoliinsiti in un impiego della forza lavoro privo di una autentica regola-mentazione. Di fatto, nelle parole dell’anziano Pedro la compagnia vie-ne assimilata a un vampiro («decimos que nos chupa la sangre», TR,21), secondo una metafora non estranea a nuove rielaborazioni nellanarrativa di Sastre (ad esempio, in alcuni dei racconti de Las noches lú-gubres, Madrid, Horizonte, 1964), e che recupera l’immagine centraledi Tierra roja, evocata nel titolo – dove era suggerita da un dato paesag-gistico referenziale – ed esplicitata in diversi momenti: il sangue. Ladurezza delle condizioni di lavoro fa della compagnia una sorta di en-tità antropofaga36, che, con le sue esigenze non risparmia neanche chi èal suo servizio in ambito burocratico (si veda l’asservimento dell’impie-gato umiliato, TR, 48).Sic stantibus rebus, un dialogo tra sfruttati e sfruttatori nell’opera

non viene mai autenticamente prospettato. Semplicemente, non ne esi-stono le condizioni. In Lope, una lamentela emblematica di FernánGómez, comunicata come uno sfogo a uno dei suo complici e sottopo-sti («El mundo se acaba, Flores», FO, v. 1048), manifestava come ilcommendatore si negasse ad accettare quei cambiamenti nella ricezio-ne di alcuni istituti feudali che pure percepiva intorno a sé. In Sastre, lafantomatica compagnia parrebbe puntare alla conservazione delle con-dizioni di sfruttamento che, in una sorta di neofeudalesimo, essa pre-tende di estendere dal terreno avuto in concessione a coloro che vi so-no impiegati. La carenza di una adeguata cornice legale di tutela è unadenuncia ricorrente nelle opere che trattano del mondo minerario, co-me osserva nella sua monografia Delmiro Coto, il quale ricorda comeuna ampia fetta della “literatura minera” eviti di adottare concreta-

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mente la miniera come spazio narrativo e spesso si serva di mediatori eosservatori esterni (medici, sacerdoti, sindacalisti, ecc.) per manifestar-ne la disumanità. Dal canto suo, Sastre insiste sugli effetti deleteri delledure condizioni in cui si sviluppa il lavoro minerario e, soprattutto, diquesto mondo cerca di offrire uno sguardo dal di dentro: la necessitàdi disvelamento della alienante realtà lavorativa viene assolta ricorren-do a un nuovo arrivato tra i minatori. Sarà la condizione “ingenua” diPablo a giustificarne l’indignazione e a permettere il tentativo di rivol-ta. La situazione in cui si imbatte viene ben illustrata nella sequenzache culmina il Quadro I con il breve e doloroso discorso dell’anzianominatore Pedro, in occasione del suo brindisi d’addio ai compagni dilavoro e alla vita in miniera. La sequenza è degna di nota poiché il di-scorso assurge a bilancio della vita di ogni minatore e non della solaesperienza individuale di Pedro, e perché questi rende esplicito il colle-gamento tra il colore della terra e il sangue di chi la lavora, insistendosu quella che può definirsi, come detto, l’immagine centrale dell’opera.Quanto al primo elemento, viene messa in evidenza la ciclicità di que-ste esperienze, un motivo che conosce in Tierra roja anche una elabora-zione strutturale che solo la aggiunta conclusiva, frutto, come si è det-to, di una integrazione di Sastre successiva alla stesura di gran parte deltesto, permette di superare: all’arrivo, molti anni addietro, di un giova-ne Pedro in miniera, un analogo sciopero era già stato represso nel san-gue. La circolarità delle situazioni acuisce la percezione della inconsi-stenza di chi vive la vita senza lasciare «huellas en la tierra» (TR, 25).Quanto alla imagery, più ancora che sull’incontro con il peculiare pae-saggio che avrebbe costituito lo sfondo della esistenza di Pablo, richia-merei l’attenzione sul riferimento alla pioggia che accresce oltremodola percezione di ostilità e di desolazione della landa circostante: «Laprimera vez que vi esta tierra no me gustó… Tenía dieciocho añoscuando llegué… Este paisaje rojo me pareció muy triste… Yo venía deuna tierra de campos verdes y esta tierra roja me encogió el corazón…¿Y en esta tierra roja iba a vivir yo? Por entonces había habido unahuelga y habían matado a varios mineros… y me pareció que la tierraestaba roja de su sangre… No, yo no quería vivir aquí… Me acuerdode que empezó a llover y al día siguiente, cuando me levanté, se habíaformado en los caminos como un barro sangriento…» (TR, 24). Sastreconferisce alla memoria della sua creatura letteraria il dettaglio relativoalla pioggia attingendolo, si ricorderà, dalla propria diretta esperienza(cfr. n. 2).

Inizialmente è la mancanza di rassegnazione a differenziare il giova-

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37 Ruggeri Marchetti, Il teatro di Alfonso Sastre, p. 86.38 Lettera privata dell’autore citata alla n. 8.

ne Pablo dai suoi compagni. Con questa figura, torna nel teatro di Sa-stre un personaggio “segnato”, suo malgrado, da una macchia del pas-sato. Del resto, a fatica si troverebbe nella produzione teatrale deldrammaturgo un eroe monoliticamente positivo e immune da umanedebolezze. La “colpa” di Pablo assomiglia a quella del personaggio diGermán de El cubo de la basura (uccidere chi si è macchiato di un ol-traggio verso una donna, in una sorta di personale riattualizzazione delclassico tema dell’onore): si tratta, è bene sottolinearlo, di un tentativodi farsi giustizia da sé pur senza essere direttamente coinvolti nell’offe-sa subìta, di un intervento privo di una autentica motivazione politica eche risulta essere una ennesima declinazione della violenza. E ancoranel presente della sollevazione, un po’ come il Frondoso di Lope, Pa-blo si direbbe spinto ad agire semplicemente dalle circostanze, oltreche dalla propria indignazione ed insofferenza. Egli avverte intensa-mente la necessità d’un cambiamento (rivelatrice, in questo senso, labattuta che rivolge a Pedro: «PEDRO. Dios quiera que no ocurra nada.Dios lo quiera… PABLO. No. Dios quiera que ocurra algo, señor Pe-dro», TR, 49), ma non è portatore di una visione politicizzata deglieventi. A suo tempo Ruggeri Marchetti colse acutamente in Pablo e nelJoven che appare alla fine dell’opera la proiezione della dialettica tral’anarchico che Sastre non era più e il marxista che ancora non era di-ventato37. E recentemente Tierra roja è stata definita dal suo autore l’o-pera «de un aprendiz de marxismo»38. La protesta che – per la faseideologica che attraversava e per gli oggettivi impedimenti del momen-to storico – egli non poteva promuovere nella realtà, venne immaginatanell’opera. Appare, ad ogni modo, significativo che il Giovane cheguarda a un futuro diverso non avverta la necessità di opporsi a coloroche l’hanno preceduto. Semmai, la sua visione completa e potenzia l’o-perato dei predecessori, restituendogli un valore e dunque un significa-to diverso. Il rischio implicito – i figli ereditano le questioni irrisoltedei padri, ma da essi si distanziano – viene scongiurato. Dopo La mor-daza, Sastre pare assai meno interessato al conflitto tra le generazioni.Forse anche la sua maturazione anagrafica contribuì a quello che potéessere, in precedenza, una rielaborazione di vicissitudini personali (inparticolare dei contrasti con la figura paterna). Il fatto è che questa as-senza potenzia la compattezza della comunità dei minatori.

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E forse nella configurazione del personaggio collettivo risiede l’ele-mento di continuità di maggior spessore rispetto a FO. Il riconosci-mento della intrinseca dignità dei minatori non viene messo in discus-sione in nessun momento – nemmeno quando li richiama a una reazio-ne, Pablo perde il rispetto per i suoi interlocutori; e il loro agire nonfarà che accrescerlo agli occhi del lettore –. Sono varie le modalità cheil drammaturgo adotta a tal fine: all’unità di intenti anche transgenera-zionale cui si accennava, e che viene a confermare il monolitismo cheera stato opposto alla pressione degli interrogatori, possiamo aggiunge-re alcuni elementi tipizzanti nel tratteggio della comunità. Uno ha ache vedere con il consumo di alcol da parte dei minatori: essi berrannoper trovare coraggio, come il Minatore I (TR, 41); per solidarizzare inattesa dell’inevitabile arrivo della polizia (TR, 44); per stordirsi dinanzial timore degli avvenimenti, scatenando un riso grottesco (così è per ilbarcollante Minatore III in TR, 45). Solo episodicamente (come nell’u-briachezza dei due minatori che partecipano al brindisi d’addio di Pe-dro, TR, 23) il tratto stempera in segno di abbrutimento o sfiora il pa-tetismo. Prevale piuttosto un senso di condivisione: bere insieme divie-ne soprattutto un segno di cameratismo, come manifesta la taverna,spazio in cui si svolge il Quadro II, e che può assurgere a principaleluogo di socializzazione.

Nel tratteggio dei minatori Sastre si vale anche di una minuscola ve-natura comica – unico accenno in tutta l’opera – nella storiella spiritosaraccontata dal Minatore III (TR, 54), che anche in ciò ricorda il tipo diMengo, personaggio che a Lope consente di riattivare la mescolanzatra comico e tragico così grata al gusto barocco.

Analoga funzione svolge la musica (aspetto sinora del tutto ignoratoda chi si è occupato del rapporto tra Sastre e Lope): in attesa dell’albache renderà manifesto agli occhi della compagnia che è in atto unosciopero, un minatore intona una “minera”, ovvero un canto di minie-ra volto a celebrare la dura vita dei suoi abitanti: «¡En qué soledad meencuentro! / Sólo la luz del candil / y mi compañero muerto» (TR, 45).Nonostante la differenza di tema, ritengo esista una affinità funzionalenell’uso del canto e della musica rispetto a Lope. In Fuente Ovejuna lecanzoni segnalano l’atteggiamento ingenuo dei villani verso il commen-datore (vv. 529-544, 591-594), la loro devozione ai Re Cattolici (vv.2028-2030, 2035-2042, 2047-2055, 2061-2067) e sanciscono il rito dipassaggio che è il matrimonio tra Laurencia e Frondoso (vv. 1546-1569), con alcune delle immagini che dialogano con il resto dell’opera(in particolare la «niña en cabellos» si oppone alla «Laurencia, desme-

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39 La articolerà teoricamente nel manifesto «Arte como construcción» e soprattutto inAnatomía del realismo (entrambi citati sopra, alla n. 17), che ripropone, come parte del ca-pitolo di apertura, il lavoro precedente, per poi procedere a una revisione degli stessi appor-ti critici dell’autore sul realismo dal 1949 (cfr. «Encuentro con el realismo», in particolarealle pp. 25-26). Ma non si dimentichi il già citato Drama y sociedad, specialmente alle pp.69-72 e 125-128, e si ricordi che nel 1960 Sastre fonderà, con José María de Quinto, ilG.T.R. (Grupo de Teatro Realista).

lenada» dell’indicazione di scena successiva al v. 1711). Nel complessoi canti contribuivano a caratterizzare lo spirito dei popolani; il pur bre-ve inciso sastriano, appena accennato se paragonato allo sviluppo delmotivo in Lope, si muove tuttavia nella stessa direzione, conferendo di-gnità alla drammatica condizione del loro vivere.

È nella diversa rilevanza concessa alla trama amorosa che possiamocogliere una chiara differenza tra Lope e Sastre. L’amore è una dellefondamenta, non solo tematiche, della Comedia nueva. Sastre si mo-stra assai meno interessato a sviluppare in un modo che non sia acces-sorio tale dimensione. Il fatto che Inés sposi Pablo permette di ap-prezzare la forza d’animo e la tempra delle donne che popolano il mi-crocosmo minerario, ad acuire il futuro senso di colpa di Pablo (vistoche nel massacro causato dalla rappresaglia poliziesca trovano la mor-te anche i genitori di lei), a suggerire la presenza di una circolarità(che, come detto, verrà negata solo nell’ultima scena dell’Epilogo):come a suo tempo Pedro, anche Pablo ha una figlia, Teresa, il cui no-me, stando alle parole dello stesso Sastre, solo casualmente è lo stessodella protagonista della pièce che Clarín dedicò al mondo minerario.Se in Lope il libertinaggio sessuale del tiranno ne esacerbava le tareetiche e il comportamento antisociale, Sastre preferisce concentrarsi,anche strutturalmente (non c’è subplot in Tierra roja), sulle implica-zioni socioeconomiche del conflitto, dal Fénix recuperato en passant(FO, vv. 2399-2401: «ALCALDE ESTEBAN. […] Las haciendas nos ro-baba / y las doncellas forzaba, / siendo de piedad extraño»). Il di-scorso sastriano si richiama a una dimensione politica il cui profilo sista precisando negli anni in cui il drammaturgo compone l’opera. Daquesto punto di vista, Tierra roja è rilevante nella sua evoluzione tea-trale, in quanto con essa egli va confermando la sua concezione dellarealtà come fondamento dell’arte e del realismo come procedimentoartistico39, si misura con le preoccupazioni concrete dell’uomo inquanto soggetto storico e si lascia alle spalle le remore metafisiche o idilemmi morali di opere precedenti come Prólogo patético o El pan detodos, interrogandosi piuttosto sulle modalità con cui alimentare una

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40 Cfr. per tutto questo le considerazioni di Ruggeri Marchetti, Il teatro di Alfonso Sa-stre, pp. 84-85, e F. Anderson, Alfonso Sastre, New York, Twayne, 1971, p. 109.

41 Caudet, Crónica de una marginación, p. 41: «En Tierra roja hay represión contra to-dos. El castigo es colectivo. He querido hacer una metáfora de la guerra civil española».

lotta che ha già assunto tratti sovraindividuali40.Inoltre, più di un elemento dello scontro si ricollega alla Guerra civi-

le, in una sorta di ideale continuità (corroborata dalle stesse parole diSastre41) che trasforma l’opera in una potente metafora di quel conflit-to e dei suoi pesanti strascichi nella società postbellica: in primis, il ruo-lo disimpegnato dalle donne durante i combattimenti. Attraverso la fi-gura di Inés, continuatrice ideale delle combattenti del 1936-1939, Sa-stre mette infatti in relazione la vicenda familiare di Pablo con il con-flitto fratricida, suggerendo in qualche modo come i minatori siano glieredi delle rivendicazioni irrisolte del recente passato (TR, 18). E in ef-fetti, nel Quadro II il Vecchio rivela a Pablo che l’ultimo fremito di ri-bellione tra i minatori è serpeggiato quindici anni prima, in occasionedi un lungo e ostinato sciopero (TR, 33). Se si ipotizza che la vicenda silega alla più stretta attualità, e si considera che Sastre compose questaparte del testo nel 1954, un semplice calcolo permette di situare l’ulti-ma mobilitazione cui si allude nel 1939, anno decisamente emblemati-co. Qualora si intendesse interpretare con certo rigore queste date, laconclusione del dramma, per quanto esso sia stato composto in chiaveprevalentemente realista, avrebbe luogo in un imprecisato futuro, dalmomento che Pablo, protagonista in gioventù dello sciopero e delle ri-vendicazioni, appare ormai anziano e sul punto di abbandonare la mi-niera. Ma le allusioni a un partito organizzato che si evincono dalle pa-role del Joven, in una sorta di cortocircuito temporale, parrebbero farsieco delle speranze albergate dai settori militanti della resistenza internaantifranchista della metà degli anni cinquanta; in tal modo, e implicita-mente, forse si aggiunge un altro significato al “rosso” denotativo (terradi miniere di rame) e connotativo (terra imbevuta del sangue dei suoilavoratori) che è dato rinvenire nel testo, ovvero: terra pronta a essereriscattata attraverso la lotta comunista. Infine, terzo elemento di richia-mo alla Guerra, occorre segnalare le esplicite parole del Giovane nellascena conclusiva dell’Epilogo: «JOVEN. Conozco cosas peores [de lamina] […] Claro que sí… Una guerra… El campo de concentración…La cárcel… ¿De verdad le parece que esto es lo peor del mundo?».Questa nuova figura, incarnazione della speranza di cambiamento, por-ta su di sé, come Pablo, una macchia sociale, per cui ha conosciuto il

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42 Cfr. J. Paulino, «Acción, tiempo y espacio en el teatro de Alfonso Sastre», in Onceensayos en busca de un autor: Alfonso Sastre, coord. J.Á. Ascunce, Hondarribia, Hiru, 1999,p. 173.

carcere; ma a differenza dell’altro, il suo “crimine” possiede una matri-ce politica. Come Pablo a suo tempo, è un proscritto (TR, 19 e 92), ma,novità decisiva, possiede coscienza ideologica del suo operato e appar-tiene a una cerchia organizzata che intende combattere l’ingiustizia.

Tali contenuti emergono nella seconda e ultima scena dell’Epilogo,che dialoga chiaramente con il Quadro I. La situazione è speculare (unminatore anziano sul punto di partire, uno giovane che giunge); il pa-rallelismo è potenziato dal fatto che nell’avvio dell’ultima scena ancheil nucleo familiare di Pablo prevede una figlia (TR, 90), per cui la Tere-sa di oggi svolge il ruolo informativo della Inés di ieri. Tuttavia, la parteconclusiva della scena spezzerà la analogia con la sequenza di apertura,chiarendo che la struttura dell’opera non è un cerchio ma una spirale:il Giovane con le sue parole restituisce un significato alle azioni passatedi Pablo, risvegliando in lui una coscienza nuova. Credo che meriti diessere sottolineato il fatto che Pablo rievochi nell’occasione il motivocentrale de La mordaza, ovvero il silenzio: «Durante algún tiempo na-die habló de aquello… Y se estaba mal en aquel silencio… Era… co-mo si tuviéramos la boca cosida» (TR, 98). A riprova del fatto che la ri-vendicazione politica della libertà di pensiero e di espressione e quellaeconomica per la miglioria delle condizioni delle classi lavoratrici an-davano di pari passo e che ora si colorano di una più decisa sfumaturacollettiva. Da rimarcare è inoltre la forte discontinuità temporale delledue scene dell’epilogo rispetto a quanto precede e persino tra di esse(nella prima sono trascorsi dieci anni dal tempo della repressione san-guinaria; nella seconda Pablo sta per andare in pensione): in tale usodel tempo, prevalente nel teatro di Sastre42, risiede uno sforzo di stori-cizzazione che consente di alimentare speranze di cambiamento.

In definitiva, se Sastre ha indubbiamente inteso dialogare con Lope –del quale apprezza il tratteggio degli umili e la vis “modernizzatrice” –,ha infine scritto un’opera che lo conduce a un impegno nuovo, tinta diun ottimismo forse un poco autoimposto e certo alimentato dalle sueletture marxiste (e lo stesso ambiente parigino poté non essere estraneoallo scioglimento infine ideato), comunque sino ad allora non riscon-trabile con la medesima nettezza nella sua produzione, con l’eccezionedella parte conclusiva de La mordaza. Per chi rasentava i trent’anni e siavvicinava sempre più decisamente a posizioni filomarxiste era tempo

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di grandi aspettative, condivise da una società che nel 1956 darà chiarisegnali di convulsione. In particolar modo per chi visse quella stagione,che tali aspettative non si siano concretizzate appieno forse importameno dell’averle nutrite.

Enrico Di PastenaUniversità di Pisa

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Finito di stampare nel mese di febbraio 2010in Pisa dalleEDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected]

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