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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito DOSSIER Armi, evoluzione della specie FOCUS Annalena Tonelli A 10 anni dalla morte Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 PRIMO PIANO Siria, le incognite che restano Monstrum ANNO XXVII NOVEMBRE 2013 9 Mare

Mare Monstrum...Conigli. Ecco che allora il mare s’è tra-sformato, ancora una volta, in un “Mare Monstrum” che si ostina ad inghiottire ad ogni piè sospinto, come famelico

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M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

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DOSSIERArmi, evoluzione della specie

FOCUSAnnalena TonelliA 10 anni dalla morte

Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

PRIMO PIANOSiria, le incognite che restano

Monstrum

ANNO XXVII

NOVEMBRE2013 9

Mare

MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM) Presidente (APM): MICHELE AUTUOROLa rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI.Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: 06 66502632. Hanno collaborato a questo numero: Mario Bandera, Roberto Bàrbera, LuciaCatalano, Roberto Catalano, Francesco Ceriotti, Suor Azia Ciairano, Franz Coriasco,Riccardo Cristiano, Francesca Lancini, Luciana Maci, Davide Maggiore, Paolo Manzo,Pierluigi Natalia, Enzo Nucci, Alfonso Raimo, Mariella Romano, Maurizio Simoncelli,Giacomo Tabita, Alessandro Zappalà.Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.Foto di copertina: Afp Photo / Alberto Pizzoli Foto: Afp Photo / Ua-Onu Ist / Tobin Jones, Afp Photo / Tauseef Mustafa, Afp Photo /Anwar Amro, Afp Photo / Daniel Leal-Olivas, Afp Photo / Alexander Klein, Afp Photo /John Cantlie, Afp Photo John Macdougall, Afp Photo / Pornchai Kittiwongsakul, Afp PhotoEdward Parsons Ho / Unhcr, Afp Photo Eric Feferberg, Afp Photo / Jacques Demarthon,Afp Photo / Brendan Smialowski, Afp Photo / Jim Watson, Afp Photo / Filippo Monteforte,Afp Photo Eric Baradat, Afp Photo / Saul Loeb, Afp Photo / Jalal Al-Halabi, Afp Photo /Karam Al-Masri, Afp Photo / Ho / Shaam News Network / Ammar Al – Arbini, Afp Photo /Bulent Kilic, Afp Photo Pool / Gregorio Borgia, Afp Photo / Osservatore Romano, AfpPhoto Martin Bernetti , Afp Photo / Juan Mabromata , Afp Photo / Ali Burafi , Afp Photo /El Pais / Fernando Pena, Gianni Cesena, ilaria De Bonis, Archivio Missio, Franco Nicolai,Josè Soccal, Alex Zappalà.Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Benemerito € 30,00; Estero € 40,00.Modalità di abbonamento: versamento su C.C.P. 70031968 intestato aPopoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e Missione

Cod. IBAN IT 57 K 07601 03200 000070031968Stampa: Graffietti stampati - S.S. Umbro Casentinese km 4,5 - Montefiascone (VT)Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono.

Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana.Chiuso in tipografia il 25-10-2013Supplementi elettronici di Popoli e Missione:MissioNews (www.missioitalia.it)La Strada (www.giovani.missioitalia.it)

Fondazione MissioSezione Pontificie Opere Missionarie

Via Aurelia, 796 - 00165 Roma

Don Michele Autuoro, DirettoreDr. Tommaso Galizia, Vice DirettoreDon Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazionedella Fede (C.C.P. 63062723)Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo (C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525)Segretario Nazionale dell’Opera dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632)Alessandro Zappalà, Segretario Nazionale Missio Giovani (C.C.P. 63062855)

Numeri telefonici PP.OO.MM.Segreteria di Direzione 06 6650261Amministrazione 06 66502628/9P. Opera Propagazione della Fede 06 66502626/7P. Opera S. Pietro Apostolo 06 66502621/2P. Opera Infanzia Missionaria 06 66502644/5/6P. Unione Missionaria 06 66502674Missio Giovani 06 66502640Opera Apostolica 06 66502641Fax 06 66410314

“Popoli e Missione”Centralino 06 6650261Direzione e Redazione 06 66502623/4Segreteria 06 66502678Settore abbonamenti 06 66502632Fax 06 66410314

Indirizzi e-mailPresidente Missio [email protected] Missio [email protected] Missio [email protected] Missio [email protected] Propagaz. della Fede [email protected]. Pietro Apostolo [email protected] Infanzia Missionaria [email protected] Unione Missionaria Clero [email protected] Opera Apostolica [email protected] Missio Giovani [email protected] e Missione (Redazione) [email protected] Popoli e Missione (Direttore) [email protected] [email protected] Amministrazione [email protected]

PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESELa Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare:

PER UN LEGATO· di beni mobili

«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzio-nali dell'Ente».

· di beni immobili

«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente».

Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected])

PER UNA EREDITÀ«... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sedea Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specifi-care quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni miaprecedente disposizione testamentaria». È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione che

sia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inol-

tre che la sottoscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cogno-

me del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamento

viene scritto.

INTENZIONI SS. MESSE

l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzionedelle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.

Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I -ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511

1P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 3

Il Mare Mediterraneo, quello che ilatini avevano battezzato “Mare No-strum”, è ormai un immenso cimi-

tero liquido. Come ricorderanno i nostrilettori, lo scorso 3 ottobre abbiamo ri-cevuto la triste notizia dell’ennesimamattanza avvenuta nelle acque anti-stanti l’isola di Lampedusa. Carneumana, proveniente dalla sponda afri-cana, affogata dall’egoismo umano erecuperata a brandelli sulla spiaggia deiConigli. Ecco che allora il mare s’è tra-sformato, ancora una volta, in un “MareMonstrum” che si ostina ad inghiottiread ogni piè sospinto, come famelico ti-tano, le proprie vittime inermi: uomini,donne, vecchi e bambini. I commentisulla stampa nostrana – a parte la co-raggiosa denuncia di papa Francescoquando ha esclamato a gran voce «Ver-gogna!» – purtroppo sono stati, in molticasi, espressione del “pensiero debole”tipico del modo di fare informazionenel Bel Paese. Luoghi comuni, paroleche si dissolvono come bolle di saponee ciarpame di chi specula sulle altruidisgrazie. Non resta, allora, che fare si-lenzio, come auspicato dallo stessoFrancesco, riflettendo, col cuore e conla mente, sul mistero del dolore e so-prattutto sulle responsabilità umane (dinoi tutti) di fronte a quei corpi cui èstato negato il diritto di “fuggire” edunque di “esistere”. Per non parlare

dei sopravvissuti, colpevoli d’un reatoincomprensibile alle menti pensanti,quello di una presunta clandestinità,quasi fosse un peccato essere riusciti asalvare la pelle.Ma che razza di Paese è il nostro, in cuila politica s’è svuotata di senso e di si-gnificato, dove l’ignoranza è trasversalea tutte le corporazioni? Lungi da ognidisfattismo, non resta che invocare laredenzione, attraverso una decisa as-sunzione di responsabilità collettive epersonali. Per favore, non chiediamocidov’è Dio, ma dov’è l’uomo «creato asua immagine e somiglianza». La rispo-sta, a pensarci bene, è una sola: l’ab-biamo lasciato annegare nel mare dellosquallore, dell’indifferenza e dell’egoi-smo più becero e arrogante.Anche noi cristiani, che, solitamente,assolviamo noi stessi con la pretesad’essere credenti, dovremmo avere ilcoraggio di confessare la nostra paleseomertà. Quella di non dare voce aisenza voce, a coloro che vivono nei bas-sifondi della Storia, dimenticati da tuttoe da tutti. Purtroppo, spesso, duole do-verlo scrivere, è la demagogia a pren-dere il sopravvento, manipolando le co-scienze, col risultato che, come ilsacerdote e il levita della parabola delBuon Samaritano, passiamo oltre. Di-menticare che i problemi delle periferiedel mondo, quelle in cui si muore

EDITORIALE

“Maredi GIULIO ALBANESE

[email protected]

(Segue a pag. 2)

»

Monstrum”Monstrum”

8

Indice

EDITORIALE

1 _ “Mare Monstrum”

di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ Siria, le incognite che restanoMoniti della Storiae giudizi di Diodi Riccardo Cristiano

ATTUALITÀ

8 _ Desaparecidos e ItaliaProcesso Condor al viadi Ilaria De Bonis

13 _ Effetto Franciscus

Film & cartoons

di Paolo Manzo

FOCUS

14 _ Dieci anni fa morivaAnnalena TonelliIo sono nobody

di Miela Fagiolo D’Attilia

L’INCHIESTA

19 _ Come si misurano crescita,benessere e felicitàAl di là del Pildi Chiara Pellicci

SCATTI DAL MONDO

22 _ Il Papa ad Assisi dopo LampedusaA cura di Emanuela PicchieriniTesto di Pierluigi Natalia

PANORAMA

26 _ La protezione dei beni culturali in aree di crisiUn monumentoci salverà di Giacomo Tabita

DOSSIER

29 _ Mercati proibiti e nonArmi, evoluzione della speciedi Davide Maggiore

37 _ Filo diretto con l’economiaL’attivismo silenziosodi Ilaria De Bonis

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

38 _ Un presidente per il bene comuneLa teologia di Nyereredi Roberto Catalano

4

29

P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 32

per inedia e pandemie, dove sicombattono guerre sanguinosein nome del “dio denaro” o im-perversano regimi dittatorialiche tutelano, sempre e comun-que, interessi faziosi, significa,davvero, essere fuori dal tempoe dalla Storia. Soprattutto, perdirla con papa Bergoglio, asse-condare la “globalizzazionedell’indifferenza”, è un gravis-simo misfatto contro Dio econtro l’uomo.

(Segue da pag. 1)

VITA DI MISSIO

58 _ Pontificia Opera di San Pietro ApostoloEcco a cosa servono le offertedi Chiara Pellicci

61 _ Missio GiovaniL’amore di una mammadi Alex Zappalà

62 _ Intenzione missionariaI frutti della missione

in America Latinadi Francesco Ceriotti

63 _ Inserto PUMPassare accanto, passare oltredi Alfonso Raimo

42 _ Pontificio Collegio EtiopicoAfrica all’ombra del cupolonedi Ilaria De Bonis

44 _ MutamentiDemocrazia diretta e potentatiVerso una governance

popolaredi Luciana Maci

46 _ L’altra edicolaObama e la SiriaSe l’uomo prende il posto di Diodi Ilaria De Bonis

49 _ Posta dei missionariTutto è puro per i puria cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE

52 _ ControcorrenteCome potenziare il dono?di Mario Bandera

53 _ MusicaElhaida & Son:Incroci parallelidi Franz Coriasco

54 _ LibriUmanizzare lo spread

di Mariella Romano

54 _ Usa e getta: si chiama donnadi Lucia Catalano

56 _ Ciak dal mondoVado a scuolaI sogni nella cartelladi Miela Fagiolo D’Attilia

3P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 3

8 1419

OSSERVATORI

BALCANIL’ex Jugoslavia ai saldidi Roberto Bàrbera

AMERICA LATINA PAG. 12

Flussi migratori al contrariodi Paolo Manzo

AFRICA PAG. 17

Festival del cinema nello slumdi Enzo Nucci

DONNE DI FRONTIERE PAG. 28

Giustizia e castigodi Miela Fagiolo D’Attilia

ASIA PAG. 39

Attacco all’Occidentedi Francesca Lancini

GOOD NEWS PAG. 41

La più alta dell’Indiadi Chiara Pellicci

PAG. 9

4 P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 3

PRIMO PIANO Siria, le incognite che restano

Q ualcuno può anche aver tiratoun sospiro di sollievo. Ma quandoBarack Obama ha pronunciato

l’ormai celebre discorso del 10 settembrescorso, il pensiero è dovuto andare moltoindietro nel tempo, addirittura a quelprimo maggio del 305 d.C. che in tutti isussidiari scolastici viene ricordato perl’annuncio delle dimissioni da imperatoreromano di Diocleziano, che preferì ritirarsinella natia Croazia.

Dopo aver mobilitato la sua invicibilearmada verso il Mediterraneo, il presi-dente Usa forse non ha soltanto ri-nunciato a una guerra avventurosa,ma potrebbe aver anche lasciato chel’Europa, il dialogo, le ragioni del vivereinsieme, lo spazio euro-mediterraneovenissero sacrificati sull’altare di altri,opposti interessi, che passano innanzi-tutto per la violazione dei diritti del-l’uomo. Forse è la sua visione del mondo,enunciata nel celebre discorso del Cairo,che riduce i problemi del tempo presentea dispute inter-abramitiche, la ragione

di questa decisione. Forse, assai piùprobabile, è la sua visione neo-isola-zionista, frutto della grande novità cheil suo Paese non ha più bisogno del pe-trolio mediorientale, essendo a un passodall’autosufficienza energetica, e pre-ferisce ri-orientare la sua corazzataverso l’immensità del Pacifico e deicommerci con le sue tigri.L’esito di questa scelta strategica èenorme soprattutto per noi europei.Economicamente e culturalmente. L’asserusso-persiano, che già assicura a Moscae Teheran il controllo dei giacimenti

Moniti della Storia

di RICCARDO [email protected]

e giudizi di DioMoniti della Storia

e giudizi di Dio

5P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 3

la luce del futuro! Con particolare fer-mezza condanno l’uso delle armi chi-miche! Vi dico che ho ancora fissenella mente e nel cuore le terribili im-magini dei giorni scorsi! C’è un giudiziodi Dio e anche un giudizio della storiasulle nostre azioni a cui non si puòsfuggire!».Ma nella risoluzione votata all’unanimitàdall’Onu, di questo “giudizio della storia”non v’è traccia. Non solo, nonostantequanto esplicitamente indicato nel rap-porto degli ispettori dell’Onu, non si fa

cenno a chi abbia usatole armi chimiche, non sichiede alla giustizia in-ternazionale di accertarela responsabilità e giu-dicare chi lo ha fatto, manon si impone, pena leinevitabili sanzioni, il ri-spetto dell’impegno as-sunto a distruggere quegliarsenali.Ecco perché questa riso-luzione viene vissutacome un tradimento. Inessa non vi è neanche il

riferimento a quanto dolore abbianocausato, nei due anni e mezzo trascorsi,le armi tra i civili inermi. Civili sradicaticon ferocia dalle loro case, causandosei milioni di profughi (interni o esterni)su una popolazione di 22 milioni dipersone nel complesso, con il ricorsoalla pulizia etnica nelle città di

petroliferi centroasiatici collegandolial Golfo Persico, ora si completerebbe,con la conquista della Siria, nel controllodei possibili itinerari delle pipe-lineche potranno portare il petrolio e ilgas in Europa, visto che la Siria spaccala trasversale sunnita che unisce l’ArabiaSaudita alla Turchia.Questa scelta strategica ha significatol’abbandono del mondo arabo, almenoai loro occhi, per via del tradimentoumano, politico e culturale da partedi chi ha voltato loro le spalle dopoun genocidio cominciato due anni e

mezzo fa e culminato nelmassacro chimico.Era stato papa Francesco,all’Angelus del primo set-tembre, dopo il tragicobombardamento chimicodi alcuni sobborghi di Damasco, un’areaurbana convenzionalmente chiamataGhouta, a dire: «Quanta sofferenza,quanta devastazione, quanto dolore haportato e porta l’uso delle armi in quelmartoriato Paese, specialmente tra lapopolazione civile e inerme! Pensiamo:quanti bambini non potranno vedere

Scongiurato il pericolo di una guerraamericana alla Siria, grazie allamediazione diplomatica, rimane oral’incognita dell’uso e produzione diarmi chimiche, delle responsabilitàpolitiche, dell’interferenza delletante potenze straniere. Esoprattutto delle ragioni profondeper cui gli Usa abbiano detto no allacrociata siriana. Noi ricordiamosopra ogni cosa il monito del papa:«C’è un giudizio di Dio e anche ungiudizio della Storia sulle nostreazioni a cui non si può sfuggire!».

»

«Quanta sofferenza,quanta devastazione,quanto dolore haportato e porta l’usodelle armi in quelmartoriato Paese,specialmente tra la popolazione civile e inerme!».

PRIMO PIANO

Vittima dei suoi stessi errori e orrori“colonialisti” e dei suoi incubi, l’Occi-dente, infatti, guarda con giusta os-sessione l’orrore del terrorismo ma non

vede il feroce sviluppoteocratico.Dalle colonne del presti-gioso quotidiano beiru-tino L’Orient Le Jour, ilprofessor Antoine Cour-ban ci invita ad andareindietro nel tempo, al 331a.C. per ricordarci delgiorno in cui Alessandroil Grande, con la vittoriacontro il persiano DarioIII a Gaugamela, creòquello spazio euro-me-diterraneo che produsse

l’ellenismo e poi il Mare Nostrum, quellospazio cioè di incontro tra i popoli del-l’Europa occidentale, orientale e dell’altra

dell’esercito lealista, di una nuova armadi distruzione di massa, come docu-mentato nel nord del Paese dall’agenziaAnsa: il lancio sui centri abitati nonpiù di bombe, come èaccaduto per due anni,ma di enormi serbatoidi plastica riempiti di ac-qua, spranghe di ferro,detriti, cemento.Il giudizio della comunitàinternazionale su tuttoquesto è stato sospeso,messo in lista d’attesaforse, ma non agli occhidi chi ha patito. E di quipurtroppo sta scaturendouna rottura epocale tra“noi” e il mondo islamico.Rottura che va capita nel suo significato,cioè tradotta: è la rottura con l’islamche esiste nel Mediterraneo.

Qusayr, Idlib, Hama, Homs. Era dalleguerre balcaniche che non si verificavauna tragedia umana di simili proporzionie un city killing, teorizzato proprio aitempi degli orrori balcanici, di taletaciuta e devastante dimensione. Quasayr,Idlib, Hama, Homs sono città nelle qualinon solo è stata compiuta una sistematicapulizia etnica ai danni della maggioranzasunnita, ma nelle quali sarà anche im-possibile tornare, essendo stati bruciati,come documentato da immagini inop-pugnabili per Homs, tutti i documenticomprovanti proprietà immobiliari. Chipotrà dire «qui c’era casa mia», «questaè casa mia», «io vivevo qui»?Ecco come si è trasformata una protesta,nata pacifica e rispettosa dell’uomo, inun terreno di coltura di estremismi,terrorismi e fanatismi orribili, inevitabilee forse calcolata conseguenza di unorrore che ha visto il varo, da parte

Vittima dei suoi stessi errori e orrori“colonialisti” e dei suoi incubi, l’Occidenteguarda con giustaossessione l’orrore del terrorismo ma non vede il ferocesviluppo teocratico.

6 P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 3

tolico, protestante, ortodosso,e l’islam.Ciò significherebbe, concludeCourban, la fine dello spazioeuro-mediterraneo e la na-scita, di comporto, di unospazio euroasiatico, nel quale«l’Europa sarebbe una sempliceappendice geografica dellaRussia». Non è certo un casoche Mosca si sia affrettata, adifferenza dell’Europa, a “com-prarsi” la Grecia e Cipro, oltreche ad aprire Gazprom a Bei-rut. Fidarsi dei persiani vabene, ma lo sbocco del petroliodell’asse Iran-Iraq-Siria sulMediterraneo deve essere rus-so. Solo così si ha la certezzache il Mediterraneo diventiun mare chiuso, e l’Europapriva di spazi strategici. Forse è perquesto che il premier britannico se l’èpresa tanto quando un oscuro burocraterusso gli ha detto che la Gran Bretagnaè una piccola isola. Sa bene che nelpassato non è stato vero, ora sì però. Enon riesce a trattenere la rabbia davantia un oscuro burocrate che dice inmodo così plateale la verità.Ora le conseguenze di tutto questo ri-schiano proprio di avvicinarsi, minac-ciose e inquietanti, a passi tanto evidentiquanto poco rilevati. Sul modello ira-cheno, in tutto il Levante, cioè in Siriama anche in Libano, è evidente il peri-colo di una frammentazione in entità“confessionalmente omogenee”. La finedel sogno di diventare “cittadini conpari diritti” in Stati nazionali sembradestinata a riportare tutti, compresi icristiani d’Oriente, in entità tanto omo-genee quanto identitarie, geografica-mente vicine ma umanamente separatedall’incomunicabilità. Sarebbe un colpo,un rinculo drammatico per tutti, inclusele Chiese cristiane, che proprio nellaconvivialità islamo-cristiana, nella loroappartenenza alla cultura araba, ave-vano trovato la bussola della rinascitagrazie a Giovanni Paolo II e alla sua

esortazione apostolica post-sinodaledel 1997, nella quale si dice: «Vorreiinsistere sulla necessità per i cristianidel Libano di mantenere e di rinsaldarei loro legami di solidarietà con il mondoarabo. Li invito a considerare il loroinserimento nella cultura araba, allaquale tanto hanno contribuito, comeun’opportunità privilegiata per con-durre, in armonia con gli altri cristianidei Paese arabi, un dialogo autenticoe profondo con i credenti dell’islam.Vivendo in una medesima regione,avendo conosciuto nella loro storiamomenti di gloria e momenti di diffi-coltà, cristiani e musulmani del MedioOriente sono chiamati a costruire in-sieme un avvenire di convivialità e dicollaborazione, in vista dello sviluppoumano e morale dei loro popoli. Inoltre,il dialogo e la collaborazione tra cristianie musulmani in Libano può contribuirea far sì che, in altri Paesi, si avvii lostesso processo».Ora il rischio è che il circuito si capo-volga e che l’identitarismo confessionaledopo aver destrutturato gli altri Statiarabi faccia andare in soffitta anchelo Stato-simbolo della convivialità isla-mo-cristiana, il Libano.

sponda del Mediterraneo. Il punto diconfine di questo spazio, rispetto al-l’altro grande spazio, quello guidatodall’impero persiano, è stato fissato aGaugamela nella Mesopotomia. L’in-vasione dell’Iraq nel 2003 e i suoitragici sviluppi e ora la guerra siriana,riportano l’influenza di Teheran finoalle coste del Mediterraneo: ma chiprenderebbe questa grande rivincita anome e per conto di una grandissimae intramontabile cultura, purtropposarebbe il khomeinismo che se ne èimpossessato, lasciando rancorosi e in-capaci di reciproca comprensione i po-poli delle due sponde del Mediterraneo,segnati dall’esperienza dei tre mono-teismi, l’ebraismo, il cristianesimo cat-

Siria, le incognite che restano

7P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 3

Sotto:

Profughi siriani nel campo di Qah, al confine con la Turchia.

8 P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 3

ATTUALITÀ Desaparecidos e Italia

Uscire sprovvisti di documenti potevaequivalere ad una sentenza di morte. Abassa voce si parlava di delitti, di tor-ture, di sparizioni...».Così “Il cardinale e i desaparecidos” diFernando Elenberg e Bruno Passarelli.Gli autori narrano, tra le altre cose,delle posizioni assunte in Argentina dal

di ILARIA DE [email protected]

ProcessoCondor «Q uell’inverno argentino

del 1976 fu orribile. Unasensazione di angoscia

aveva invaso tutti. Quando calava lasera, le strade delle città si svuotavano.

nunzio apostolico Pio Laghi che optòper l’aiuto e il tentativo di salvare vite«non potendo scegliere di schierarsipubblicamente». E riferiscono dell’operadi padre Enzo Giustozzi, che contribuìa mettere in salvo i tanti perseguitatidalla dittatura militare di Rafael Videladal 1976 al 1978. Soprattutto esiste

9

r al via

rante la dittatura”. (Il testo verrà re-censito nel numero di dicembre diPopoli e Missione).La maxi operazione repressiva, orchestratadalle dittature militari con il consensodei servizi segreti americani per contrastareil comunismo, prese il nome di PlanCondor e coinvolse in quegli anni nonsolo l' Argentina, ma anche i militaridi Cile, Uruguay, Brasile, Paraguay. Tra levittime ci furono anche centinaia di cit-tadini italiani emigrati in America Latina.«Sul finire del 1979 – racconta il nunzioapostolico - ebbi la certezza che la vio-lazione dei diritti umani fosse divenutasistematica e la condannai». In quegli anni bui, oltre 30mila personefurono rapite, chupade (risucchiate), tor-turate, uccise. Ogni mercoledì i dissidenti,legati e bendati, da Buenos Aires venivanoimbarcati su aerei cargo e poi gettati inmare.

di Roberto Bàrbera

OSSERVATORIO

L a crisi mondiale ha presentato il contoalle economie deboli nate dalla dissolu-

zione dell’ex Repubblica federale. I bilanci diSlovenia, Croazia, Bosnia e Erzegovina, Mon-tenegro, Macedonia e Kosovo sono in rossoe così non resta che vendere per tentare diguadagnare tempo. Per la Serbia il bilanciopotrebbe apparire positivo, ma in realtà nonè del tutto così.Lubiana, che fin dal momento della sua “in-dipendenza” si considerava un Paese europeoe non balcanico e guardava agli altri ex socidella Socijalisticka Federativna Republika Ju-goslavija,(SFRJ) con superiore distacco, sitrova oggi con un Pil in picchiata e il redditomedio passato in tre anni da 24.367 a 22.193dollari. La disoccupazione è quasi al 10%. AZagabria non va meglio ed anche la Croaziavede un collasso del Prodotto interno lordo:quest’anno il Paese è a crescita zero. LaBosnia e Erzegovina, creatura artificiale par-torita dalla comunità internazionale comeStato bifronte, composto da due entità separatein casa e tra loro non dialoganti, per questomotivo è nella immobilità politico-economicaassoluta.Per salvare il salvabile i diversi governi dell’exJugoslavia svendono quello che è rimasto dasvendere. Deutsche Telekom è pronta a com-prare Telekom Slovenija e Telekom Croazia,mentre l’aeroporto di Lubiana è sul mercato.Zagabria sta liquidando Croatia osiguranje ela Banca delle Poste (Hpb); cinesi ed indone-siani vorrebbero assorbire la Croatian Airlines.Gli Emirati Arabi, invece, hanno divorato laJat serba e Belgrado sta per cedere TelekomSerbia, l’aeroporto Nikola Tesla della capitale,Elektroprivreda e l’azienda farmaceutica Ga-lenika Zemun. In Bosnia-Erzegovina sonoben 10 le grandi aziende ai saldi e 24 piccolee medie stanno per finire all’asta. In Monte-negro i capitali stranieri comprano suoli edavviano iniziative imprenditoriali in una quasicolonizzazione del Paese, mentre la Macedoniasta cedendo il 49% delle Poste e il gruppomanifatturiero del tabacco Prilep. Lo scenarionon è incoraggiante e le conseguenze delfrazionamento voluto dal nazionalismo asuon di guerre alla fine non sembrano esserestate di giovamento per nessuno.

L’EX JUGOSLAVIA AI SALDI

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una “lista” dei tanti salvati proprioda José Mario Bergoglio, a quel tempoprovinciale dei gesuiti. «Ciascuno deibeneficiari della protezione di Bergogliodice di aver personalmente assistito alsalvataggio di almeno una ventina dipersone», scrive Nello Scavo in “La listadi Bergoglio, i salvati da Francesco du- »

L’11 ottobre scorso si èaperta a Roma l’udienzapreliminare della parteitaliana del ProcessoCondor. Sono imputati 35esponenti delle dittaturelatinoamericane, a partireda quella Argentina,complici negli anniSettanta di un’alleanzarepressiva control’opposizione politica. Ilregime militare di RafaelVidela praticò l’omicidio dimassa, la desapariciòn. Gliimputati rispondono oradel sequestro e dellatortura di 23 cittadiniitaliani. Eppure in Italia latortura non è reato.

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ATTUALITÀ

La polizia «si impadroniva del ricercato,lo colpiva brutalmente, lo incappucciavae lo trascinava nelle auto o nei camion.Il resto del commando, quasi sempre,distruggeva o svaligiava la casa. Sullavittima cadeva uno spesso e inviolabilesilenzio», si legge ancoranel libro di Elenberg ePassarelli che riportanonel dettaglio alcune te-stimonianze.Lo scorso 11 ottobre aRoma si è finalmenteaperta l’udienza preli-minare del processo ita-liano al Piano Condor:gli imputati (la loro etàva dai 64 ai 92 anni)devono rispondere oradel sequestro e dellatortura di 23 cittadiniitaliani ritrovati mortio vittime di desapari-ciòn.Ma quello romano non è che un singolotassello del maxi processo latinoameri-cano avviato a Buenos Aires il 5 marzo2013, considerato «un evento storicounico nella lotta contro l’impunità per icrimini commessi dai governi», ha detto

Amnesty International. Le indagini deigiudici sono cominciate negli anni No-vanta, per terminare, oltre 10 anni dopocon l’apertura di questo grande giudiziocontro l’impunità.

L’INTERNAZIONALE DELLA MORTEFinora infatti, soprattuttoin Argentina, erano statiprocessati solo alcuni re-sponsabili per casi speci-fici, non tutti gli ideatoridel Plan Condor, che oraviene considerato comeun’unica grande opera-zione criminale transna-zionale. «Ciò che lo ca-ratterizzò fu l’approfittaredelle relazioni tra gli Statiper sequestrare le personee chiedere informazioniutili a far sparire gli op-

positori», hanno spiegato alcuni giudici.Insomma si trattò di una vera e propriainternazionale del terrore. I vertici politicitramite i loro sicari con la complicitàdelle dittature amiche, ricercavano op-positori, membri della guerriglia comu-nista, collaboratori dei comitati rivolu-

zionari, come i Tupamaros in Uruguay.Nella folle caccia alle streghe finironodentro studenti, semplici simpatizzanti,sindacalisti, ignari conoscenti dei gruppidi guerriglieri. Gli archivi segreti sul PlanCondor ritrovati nel 1992 e resi pubblicidal giudice paraguaiano Josè AugustìnFernàndez, contano 50mila persone as-sassinate, 30mila scomparse, 400milaincarcerate. Nonostante l’evidenza delloro crimine, i militari si trinceraronodietro il paravento della “missione”politica nella lotta al comunismo.

In quegli anni bui, oltre30mila persone furonorapite, chupade

(risucchiate), torturate,uccise. Ogni mercoledì i dissidenti, legati ebendati, da BuenosAires venivanoimbarcati su aerei cargoe poi gettati in mare.

A fianco:

Un’antropologa argentina recupera i restidi una delle vittime della dittatura militarein Uruguay.

Da sinistra: l’ex dittatoreargentino Reinaldo Bignone,al potere dal 1982 al 1983,l’ex dittatore Jorge RafaelVidela, il medico della Scuoladi Marina di Meccanica JoseLuis Magnacco, e l’ex ufficialedella Marina argentina RubenFranco. I quattro imputati sonostati giudicati durante ilprocesso che si è svolto aBuenos Aires nel 2010.

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Alla fine Videla venne condannato nel2012 a 50 anni di carcere, ma ha semprenegato la sua colpevolezza.«I militari, prigionieri della loro superbia,non si arrestarono di fronte a nulla. In-sistettero nella spudoratezza di professarela loro fede cristiana e di argomentareche difendevano i principi evangelici,come l’ammiraglio Massera avrebbe en-fatizzato in una memorabile intervistagiornalistica, mentre il suo agire eramostruosamente anticristiano e antievangelico», scrive ancora Elenberg.«I familiari cercavano i desaparecidosovunque, ma la ricerca era straziante evana – racconta padre Giustozzi -. Leautorità del commissariato più vicinoadducevano sempre le stesse ragioni:

non avevano sentito parlare di loro. IlComando militare di zona dava inva-riabilmente risposte negative. La giustizianon li conosceva».

L’ITALIA E IL CONDORIl procedimento aperto aRoma dopo oltre 10 annidi indagini, e per il quale ilnostro governo si è infinecostituito parte civile, seguedue precedenti processi. Altermine dei quali è statochiesto il rinvio a giudiziodell’ex ammiraglio EmilioMassera e di un gruppo di ex ufficiali, trai quali Alfredo Astiz detto “l’Angelo biondodella morte”, il terribile traditore delle

madri di Plaza di Mayo, condannato al-l’ergastolo.Dopo le pesanti condanne inflitte a setteimputati, resta ancora in sospeso il

giudizio sui carnefici dialtri 23 nostri concit-tadini. I reati attribuitiagli imputati vannodall’omicidio plurimoaggravato, al sequestrodi persona, alla tortura.Adalberto Soba fu tor-turato e ucciso nella tri-stemente famosa offi-cina Orletti di Buoenos

Aires, usata come copertura delle orribiliesecuzioni: suo figlio Sandro di otto anniassistette all’agghiacciante episodio

Desaparecidos e Italia

Gli archivi segreti sulPlan Condor ritrovati nel1992 contano 50milapersone assassinate,30mila scomparse,400mila incarcerate.

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e poi non rivide mai più suo padre. I rumori dell’officina coprivano le gridadelle vittime. Questa perversa coperturaè raccontata nel commovente film diBechis, “Garage Olimpo”. «Avevo paura di chiudere gli occhi e di-menticare i dettagli di quello che avevovisto – ha dichiarato Sandro Soba 40anni dopo, nel corso del processo argen-tino –. Sapevo che un giorno o l’altroavrei dovuto raccontarlo a qualcuno. Ecosì ci sarebbe stata giustizia». A Roma compariranno davanti al giudicei famigliari delle vittime diallora. Tra queste Daniel Al-varo Banfi, sequestrato il 13settembre 1974 ad Haedo,in provincia di Buenos Airese il cui corpo è stato ritrovatoil 29 ottobre di quell’anno,insieme a quello di altri dueuruguaiani di origini italiane,a 159 km dalla capitale. Eramilitante del movimento deiTupamaros. Andrés Hum-berto Domingo Bellizzi eraun militante di ResisteciaObrero Estudiantil ed è ancora desapa-recido.Gli imputati, si legge nell’atto di accusadella procura di Roma, avrebbero se-questrato e torturato «un numero rilevantedi persone per i loro presunti rapporticon i citati movimenti politici» e avrebbero«concorso alla uccisione di molte di esse».È proprio il senso della giustizia quelloche viene ripristinato nel corso di lunghiprocessi come questo, che forse non ve-

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ATTUALITÀ Desaparecidos e Italia

dranno mai lo scontare della pena degliimputati per via dell’età avanzata. Mache consentiranno ai figli dei perseguitatidi ottenere ascolto, liberare il flusso deiricordi, sentirsi finalmente riconosciuticome uomini e donne che hanno subitol’enorme torto della Storia. In Italia purtroppo la tortura e la sparizioneforzata non sono ancora considerati reatipenali perseguibili: una grande falla,questa, che la giurisprudenza dovrà prestocolmare ma che la politica sinora nonha preso in esame come dovrebbe.

«L’Italia deve assoluta-mente migliorare la suanormativa in modo chepossa perseguire i reati– spiega Daniele Perissidell’organizzazione TrackImpunity Always, (Trial),con sede a Ginevra –.Questo significa che ilnostro codice penalenon ha recepito gli ob-blighi internazionali.L’Italia ha ratificato laconvenzione delle Na-

zioni Unite contro la tortura ma poi nonha modificato il suo ordinamento».Nell’ambito di importanti sentenze i giu-dici italiani hanno affermato che questafalla impedisce loro di procedere allapunizione di fatti gravissimi. «La domandaè: se vi saranno condanne per gli imputati,queste verranno eseguite?», si chiedeuno degli avvocati di parte civile, ArturoSalerni. La risposta non appare affattoscontata.

L’ultimo rapporto Onu che fotografa iflussi migratori “permanenti” nella

prima metà del 2013 rivela che ormai unapersona su 30 al mondo vive in un Paesediverso da quello in cui è nata. Il totaleammonta a 232 milioni, un incremento dioltre il 70% rispetto al 1990, quando i mi-granti erano appena 154 milioni. Oggi 26milioni di questi migranti sono latinoame-ricani, i cosiddetti latinos, in gran partemessicani e centroamericani che hanno la-sciato le loro case per andare a vivere negliStati Uniti, il Paese che - secondo le nuovestatistiche Onu - accoglie più immigrati almondo, quasi 46 milioni in tutto. Dopo lacrisi del 2008 il “sogno americano” perònon “tira” più così tanto e la notizia da sot-tolineare, in realtà, è un’altra: oggi il Mes-sico è diventato una terra d’immigrazione.Complice la sua crescita economica - nel2011 e 2012 superiore a quella di tutti glialtri Paesi del continente, Canada, Brasilee Usa compresi - negli ultimi due anni iflussi migratori di messicani verso gli StatiUniti sono stati più che controbilanciati da-gli ingressi di statunitensi nel Paese dellatequila. Insomma, il Messico sembra esserediventato un target migratorio per quegliStati Uniti che solo nel 1994 davano addi-rittura inizio alla costruzione di un inutilemuro per frenare l’entrata dei latinos ille-gali. Gli statunitensi residenti in Messicoper lavoro sono passati dai 60mila del 2009ai 70mila del 2012. A questi si devono ag-giungere però almeno 350mila minori conpassaporto Usa rientrati in Messico con iloro genitori a causa della crisi americana.«Stanno emergendo nuovi Paesi, sia di ori-gine che di destino, dei flussi migratori»conferma John Wilmoth, direttore dell’Un-Desa, il Dipartimento economico socialeOnu che ha redatto lo studio pubblicato asettembre. Il mondo di oggi, insomma, va“al contrario” rispetto agli anni Novanta.

di Paolo Manzo

FLUSSI MIGRATORIAL CONTRARIO

OSSERVATORIO

AMERICALATINA

In Italia la tortura e lasparizione forzata nonsono considerati reatipenali perseguibili:una grande falla,questa, che lagiurisprudenza dovràpresto colmare.

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U n cartone animato e due film sulla sua vitae le sue opere. Anche se sono trascorsi

alcuni mesi dalla sua nomina al soglio di Pietro,oltre ad essere diventato un simbolo universale,papa Francesco è riuscito anche nell’impresa difare breccia in tempi record – cosa non facile –nel cuore non sempre tenero del mondo delcinema. Il cartoon è già uscito lo scorso 26 giugnoe potete vederlo on line sul sito catolic-link.comin 18 lingue, italiano compreso, con la bella vocenarrante di Alessandro Nicoletti.L’idea è venuta ad un gruppo di universitari chehanno così lanciato la prima biografia animata on line di un pontefice. «Siamo convinti che per ilmondo la Chiesa rap-presenti un’immensaricchezza, che può es-sere compresa solo senoi cattolici decidia-mo di comunicarla»,spiegano sul loro por-tale gli studenti.Un invito raccolto su-bito da AlejandroAgresti, regista ar-gentino nato a Bue-nos Aires, la stessacittà di papa Bergo-glio, e che da anni faincetta di premi - neha vinti 25 sinora - ead Hollywood è ormaidi casa. Con l’appog-gio fondamentale del-la Warner, infatti,Agresti sta preparan-do da mesi Historia de un cura (Storia di unprete), un film biografico sulla vita di Jorge MarioBergoglio che dovrebbe uscire il prossimo anno.A rappresentare papa Francesco sul grande schermosarà l’attore Rodrigo de la Serna, già famoso peravere impersonificato Alberto Granado, il compagnodel Che Guevara, nel celebre film “I diari della

di Paolo [email protected]

motocicletta” del regista brasiliano Walter Salles.L’argentina Pampa Films e l’iberica PentagramaFilms sono le altre due case di produzione coinvoltein questo ambizioso progetto che, con la tecnicadel flash-back e del flash-forward, inizierà con lascena della partenza da Buenos Aires dell’alloracardinale Bergoglio per andare a Roma e partecipareal conclave del marzo scorso che poi lo avrebbe

nominato papa. «Ilfilm si concentreràsoprattutto su dilui come persona»,rivela Agresti.«Saranno rappre-sentati brevementei momenti culminedella sua vita», con-tinua il regista, «maconfesso che sonopiù preoccupato diaddentrarmi nellasua personalità,concentrandomisulla decisione diseguire la sua vo-cazione e su comesia riuscito a com-binare la fede conla ragione dopoavere studiato dai

Gesuiti per 14 anni, prima di essere ordinatoprete». Varrà la pena vedere questo film, che saràgirato tra Italia, Argentina e Germania, al pari diDer Freund der Armen (L’amico dei poveri), unamega-produzione curata dal produttore-sceneg-giatore tedesco Christian Peschken che dovrebbeuscire nelle sale entro Natale 2014.

FILM & CARTOONS

Eff

etto

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FOCUS Dieci anni fa moriva Annalena Tonelli

Io sono nobody

Io sono nobody

Dormiva solo quattro oreper notte, il suo ritmo dilavoro era senza soste.Mangiava una ciotola difagioli e riso a pranzo equalche galletta. Di suonon aveva che due tuniche,uno scialle, un paio disandali, regalati daqualcuno che l’aveva vistaandare in giro scalza.Annalena Tonelli,missionaria laica nel Cornod’Africa per 33 anni, ci halasciato un grande esempiodi servizio al Vangelo. E oggi ci chiediamo: cosaresta di lei tra i somali?

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S ono passati dieci anni da quel 5ottobre 2003, ma gli spari da-vanti all’ospedale di Borama

sembrano un rumore fermo nel tempo.Tutto accade in pochi istanti. Unadonna si accascia a terra in una pozzadi sangue, mentre due uomini fuggononel buio. Ad Annalena Tonelli restanosolo poche ore di vita. Il personale del

Tb Center, fondatodalla volontaria for-livese, cerca di soc-correre quel corpomagro, esanime. Do-nano sangue nel di-sperato tentativo disalvarla ma non c’èpiù nulla da fare. Sispegne così, a 60 anni,la missionaria cheaveva scelto di dedi-care tutta la vita ai“suoi” somali, convin-ta che solo chi si fapovero e sofferentecome le persone chele sono date, può es-sere tramite dell’amo-re di Cristo per i fra-

telli. Se non fosse stata uccisa, il giornodopo Annalena avrebbe visto completatauna nuova ala del suo ospedale per lacura della tubercolosi con 200 postiletto e una struttura sanitaria in cuioltre 1000 malati trovavano cure, cibo,accoglienza. Forse i fondi per l’amplia-

mento venivano dai 100mila dollaridel Premio Nansen dell’Alto Commis-sariato per i rifugiati, assegnatole aGinevra nel giugno 2003. O forse congli aiuti economici di amici e sostenitorisparsi in tutto il mondo, dal Centromissionario diocesano di Forlì, ma so-prattutto dal Comitato per la lottacontro la fame nel mondo (di cui avevaanimato la nascita agli inizi degli anniSessanta).Nella Forlì degli universitari cattolicidel secondo dopoguerra, era stata moltoattiva nell’aiuto agli emarginati dellaperiferia della sua città, con una aperturadel cuore che l’avrebbe portata alle“periferie del mondo”, sull’esempio dei“cenciaioli per amore” dell’abbé Pierre,uno dei maestri di Annalena insieme aRaoul Follereau, Teillard de Chardin,Charles de Foucauld, Martin LutherKing e Gandhi. «La vita ha senso solose si ama. Non c’è che una sola tristezzaal mondo: quella di non amare», dicenella testimonianza resa in Vaticano,dove nel 2001 era stata chiamata inrappresentanza del mondo del volon-tariato e che rappresenta il suo testa-mento spirituale. Di sé diceva: «Io sononobody», nessuno, disprezzando ogniforma di protagonismo e di riconosci-mento personale. Lo diceva non soloper ricordare Cristo che era sopra di leima anche per sopravvivere e continuarea lavorare in un contesto difficile peruna donna «sola, bianca e cristiana».Magrissima, il volto rugoso, illuminatoda due immensi occhi azzurri: questaera Annalena dopo 33 anni nel Cornod’Africa, prima in Kenya a Wajir eMerka, poi in Somalia, nella Mogadiscioin fiamme dell’inizio degli anni Novanta(nel 1989 viene ucciso il vescovo, mon-signor Salvatore Colombo) e successi-vamente a Belet Waine e Borama, inquella particolare regione autonomadel Paese che è il Somaliland.Ricorda monsignor Giorgio Bertin, ve-scovo di Gibuti, e compagno di tantianni di vicissitudini, che oggi «il nomedi Annalena è ancora vivo, così come »

di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA

[email protected]

Magrissima, il voltorugoso, illuminato dadue immensi occhiazzurri: questa eraAnnalena in missionenel Corno d’Africa,prima in Kenya aWajir e Merka, poi inSomalia, nellaMogadiscio infiamme dell’iniziodegli anni Novanta.

FOCUSFOCUS

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il ricordo di una persona straordinariache ha donato tutta se stessa, conforte immaginazione e volontà. Il suoesempio vivo e forte è la parte miglioreche rimane nella memoria dei somali.Anche se non viene detto esplicitamente,tutti sanno bene che era cristiana eper questo scomoda». E mentre la po-polazione continua a soffrire dei malidi sempre – povertà endemica e malattiecome la Tbc e l’Aids - nell’ultimo de-cennio il Somaliland ha vissuto uncerto sviluppo delle strutture sanitariee oggi c’è un ministro della Sanità,Hussein Muhumed Mohamed, anchese i servizi pubblici sono ancora minimie nelle mani di privati, soprattutto nel

Sud del Paese. «Al Nord invece – conti-nua monsignor Bertin - anche se il So-maliland è uno Stato non riconosciutodalla comunità internazionale, le isti-tuzioni cosiddette statali hanno capitoche è un dovere essere al servizio dellapopolazione. E anche questo è un segnodell’attività e dell’esempio di Annalena.Di lei e non solo: bisogna ammettereche ci sono stati altri che hanno portatoavanti la stessa battaglia, pagando aloro volta questo servizio con la vita,come Graziella Fumagalli, uccisa nel1995 a Merka, e suor Leonella Sgorbati,delle suore della Consolata, vittima aMogadiscio di un agguato nel settembre2006». Donne che hanno perso la vita

al servizio dei somali, in una terra incui i cristiani sono una minoranza dimosche bianche, come spiega il vescovodi Gibuti: «Si sente la mancanza di unatestimonianza come quella che ha sa-puto dare doctor Tonelli. Non abbiamotrovato un’altra Annalena, non è statopossibile sostituirla con qualcun altro.La Chiesa è diventata più povera, pur-troppo. Pochi mesi fa ho mandato unsacerdote della diocesi di Mogadiscio(ma che vive a Gibuti) in Somaliland

Sopra:

Mogadiscio devastata

dalla fine degli anni Novanta.dalla guerra civile che prosegue

Dieci anni fa moriva Annalena Tonelli

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strutture di cura, come il Tb CenterManyatta a Wajir (seguito oggi daiCamilliani), come il sanatorio di BeletWaine, come il centro di cura per 500malati di tubercolosi a Merca (dovenel Natale del 1993 va a trovarla lagiornalista Ilaria Alpi, che di lì a pochimesi sarebbe stata uccisa), come l’ospe-dale di Borama, una cittadina di 100milaabitanti, nel Nord-Ovest del Somaliland,affidatole dall’Organizzazione Mondialedella Sanità (Oms) nel 1996.Doctor Tonelli, laureata in legge madiventata medico nei lunghi anni diassistenza ai malati, aveva messo apunto un nuovo metodo di cura dellaTbc, chiamato Dots, che abbrevia laterapia da 18 a sei mesi, approvato nel1993 dall’Oms e poi applicato in moltealtre aree del mondo. Annalena conosceil nome di ogni ammalato, accogliel’uomo ferito che bussa alla sua porta,perché fratello, perché figlio di un Dioche non ha bisogno di nomi e definizioni,

perché è il Padre di tutti.Nei suoi pazienti vedeva«il Signore che tutti igiorni ci sorride nel sor-riso dei nostri simili, tuttii giorni ci dice che soffrenella sofferenza degli al-tri, tutti i giorni ci offremille occasioni di farcistrumento di amore nellesue mani» come scrivevaad un amico prete, rive-lando la forza di unaspiritualità tenace, tem-prata dalle prove. Du-rante il ricovero insegna

a leggere, a scrivere, a tradurre il Coranodall’arabo in somalo, perché ognunosia libero dall’ignoranza e dalle super-stizioni, dai pregiudizi e dalle tradizionicruente come l’infibulazione delle bam-bine. La chiamano hooyedeen, mamma,per la sua capacità di farsi carico ditutti. Lavora 12 ore al giorno e passabuona parte della notte a pregare escrivere ai benefattori, condivide il

per valutare le possibilitàdi riutilizzare una chiesadi laggiù che è rimastanelle nostre mani. È riu-scito ad incontrare il co-siddetto ministro degliEsteri e alcuni cattolicistranieri che temono di esporsi e attirareattenzioni “sgradite”».Annalena sperimentava ogni giornosulla sua pelle quanto fosse difficilelavorare in un contesto segnato daiconflitti interclanici ma il desiderio di«gridare il Vangelo con la vita» era piùforte di ogni altra cosa. Il suo caratteredeterminato e per nulla incline ai com-promessi le permette di costruire grandi

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«Subito doposorridendo mi ha dettodi non aspettarmi aiutoda lei perché aveva un carattere autoritarioma dopo qualche mese mi ha chiesto di andare a Borama ad aiutarla per qualchesettimana».

»

G li attori ed i registi non sfilano sul redcarpet, i film non sono preceduti da po-

lemiche sui giornali, nessuno indossa elegantivestiti da sera ma la magia del cinema quisi respira a pieni polmoni come non succededa decenni a Venezia o Cannes. Su unoschermo gonfiabile si proiettano i 30 filmatiin competizione: video musicali, opere nar-rative e di informazione comunitaria, docu-mentari. La maggioranza di questa plateanon è mai stata prima al cinema ed è incre-dibile leggere l’emozione della “prima volta”,specialmente sui volti dei bambini, quandoassistono ad un inseguimento in auto sulgrande schermo. Siedono a terra o restanoin piedi perché non ci sono sedie. Ma questonon ha impedito a 20mila spettatori diseguire a Nairobi la terza edizione delloSlum Film Festival nelle baraccopoli di Kibera(la più affollata d’Africa con i suoi 600milaabitanti) e Mathare.La rassegna è nata in sordina nel 2011 ma ilsuccesso della manifestazione ha impostoagli organizzatori un potenziamento che ilprossimo anno potrà contare su nuovi par-tner. L’obiettivo del Festival è di far conoscereal pubblico quali sono le condizioni di vitanelle baraccopoli urbane con la promozionedella creatività degli artisti che vivono edoperano in questo ambiente. Ma – avvertonogli organizzatori – non vogliamo in alcunmodo legittimare l’esistenza degli “insedia-menti informali”, che la sociologia occidentaledefinisce slum: semmai favorire la collabo-razione tra i tanti gruppi attivi e favorire ildialogo sulla necessità di trasformare le co-siddette bidonville in luoghi vivibili.Tra i lavori presentati anche produzioni pro-venienti da Nigeria ed India. Attori, registi,cameramen erano emozionati proprio comebambini a mostrare le loro opere ad unpubblico rapito dal cinema. La scena finaledi un film in cui un ragazzo sfugge all’inse-guimento della polizia è stata salutata condieci minuti di applausi. Per concludere: indue settimane di proiezioni all’aperto nonsi è verificato nessun incidente o fatto degnodi entrare nella cronaca nera. A volte i “mi-racoli” avvengono anche negli slums.

di Enzo Nucci

FESTIVAL DEL CINEMANELLO SLUM

OSSERVATORIO

AFRICA

ma che dalla preghierasi trasforma e sente ilservizio dei poveri comemomento di estasi. Dalei si imparava ad averefiducia in Dio, unendol’abbandono di stampoislamico alla confidenzafiliale dei cristiani».

UN CARATTERE DIFFICILEAnnalena era un cavallonon facile da imbrigliareche andava là dove nes-suno si sarebbe avven-turato. Alessandra Bozza,healt consultant pressol’ospedale di Boramache, opera sotto la su-pervisione del Coopi -Cooperazione interna-zionale. «Ho conosciutoAnnalena a Nairobi nel1995, dopo la sua espul-sione dal Sud Somaliae da allora ci siamo in-contrate spesso, ognivolta che mi recavo aBorama per la mia atti-vità nella cooperazione.In periodi in cui ero li-bera, l’ho aiutata nellaorganizzazione del la-boratorio. Ricordo checenavamo insieme nellasua casa e restavamo achiacchierare nei pochimomenti liberi che siconcedeva. La conver-sazione era sempre fo-calizzata sul lavoro nelpieno rispetto delle no-stre differenze e dellereciproche convinzioni.

Quando ci siamo conosciute dovevodecidere se tornare in Italia o rimaneree continuare quello che avevo iniziatoin modo indipendente. Il suo consiglio

cibo degli ammalati, sem-bra instancabile nella suainflessibile dedizione. Ri-corda Silvio Tessari di Ca-ritas italiana, suo colla-boratore per tre anni aMerca: «Non era né una“umanitaria né una vo-lontaria”. Era un carattereostinato, per certi aspettiruvido. Non le piacevanoi media, i professionistidella cooperazione sen-z’anima, chi voleva metterti in riga,chi faceva il furbo. Era soprattutto unamistica, folle di Dio, folle dei poveri.Non una mistica che nella preghiera

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FOCUSFOCUS Dieci anni fa moriva Annalena Tonelli

è stato chiaro: “Vai avanti per quelloche senti giusto, senza timori, e ci riu-scirai”. Subito dopo sorridendo mi hadetto di non aspettarmi aiuto da leiperché aveva un carattere autoritarioma dopo qualche mese mi ha chiestodi andare a Borama ad aiutarla perqualche settimana».

L’OSPEDALE DI BORAMAEppure Annalena era capace di tenerezzee addirittura di “viziare” i piccoli por-tatori di handicap del Centro che avevacreato accanto all’ospedale che oggiporta il suo nome e dove, continuaAlessandra, «tutti ricordano Annalena;anche chi non l’ha conosciuta perso-nalmente, ne parla con riconoscenzaed affetto. La stele sul luogo dove èstata uccisa nell’ospedale è un luogorispettato». E conclude raccontando:«Abbiamo passato un Natale insieme aBorama ed abbiamo assistito alla messanella sua casa: eravamo un piccologruppo di persone, diverse per fedi econvinzioni, ma unite nell’amicizia conAnnalena e purtroppo solo io sono an-cora viva di quel piccolo gruppo». Oggil’ospedale intitolato alla Tonelli funzionaregolarmente ed è probabilmente ilmigliore presidio ospedaliero per tu-bercolosi in funzione in Somaliland. Ifondi per il suo funzionamento vengonodal programma Global Fund per il rag-giungimento dei goals del Millennio(sconfiggere tubercolosi, Hiv e malaria)e del Coopi. Una cinquantina di personesono la task force sanitaria, compostada medici locali e infermieri diplomati.Tra loro alcuni sono di religione cristiana.Il passaggio di Annalena in quest’angoloremoto del Somaliland non è stato di-menticato. Del resto, citando Theillardde Chardin, diceva: «Non sono, né posso,né voglio essere un maestro. Prendetedi me ciò che vi aggrada e costruite ilvostro edificio. Non ambisco che di es-sere gettato nelle fondamenta di qual-cosa che cresce».

Oggi l’ospedaleintitolato alla Tonellifunziona regolarmenteed è probabilmente il migliore presidioospedaliero pertubercolosi in funzionein Somaliland.

Come si misurano crescita, benessere e felicitàL’INCHIESTA

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Che un’organizzazione come le Nazioni Uniteconsiderasse la “felicità” un parametro damonitorare per poter avere informazionifondamentali sugli Stati del mondo, è qualcosa chefino ad un decennio fa non si immaginava neanche.Eppure oggi è realtà, scritta nera su bianco nelsecondo “Rapporto annuale sulla Felicità delmondo” uscito nel settembre scorso. L’indicatoredel Prodotto interno lordo (Pil), che per decenni l’hafatta da padrone sulla scena mondiale, sembraaver perso l’esclusiva nei consessi internazionali.Ma cosa c’è al di là del Pil?

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Al di là del Pil

Al di là del Pil

Network (Sdsn), cioè il Segretariato del-le Nazioni Unite che studia le soluzioni peruno sviluppo sostenibile, stili un rappor-to annuale sulla Felicità del mondo, chetiene conto di variabili diverse da quelleeconomiche. Uscito nel settembre scor-so, questo rapporto è il secondo che le Na-zioni Unite pubblicano, perché garanti-re la felicità dei cittadini è «la vera sfidadi tutti i Paesi del mondo», si legge nel-l’introduzione al documento curato daJeffrey Sachs, professore della Columbia

L’INCHIESTA

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(con Danimarca, Norvegia, Svizzera, Pae-si Bassi, Svezia che si aggiudicano i pri-mi cinque posti della classifica mondia-le). L’Italia si trova al 45esimo posto. Infondo il Togo, preceduto da Rwanda, Bu-rundi, Repubblica Centrafricana e Benin.Eppure, se si considera il Pil del continen-te africano, si riscontra un aumento co-stante di anno in anno. Una dimostrazio-ne di come il Pil non descriva più il be-nessere di una società.A mettere in discussione per la prima vol-ta la validità dell’indicatore “Prodotto in-terno lordo” fu il presidente statuniten-se Robert Kennedy nel 1968 all’Universi-tà del Kansas, tre mesi prima di essere uc-ciso. Spiegò che i successi di un Paese nonpossono essere descritti sulla base del Pilperché esso «comprende anche l’inquina-mento dell’aria e la pubblicità delle siga-rette. Non tiene conto della salute, dellaqualità dell’educazione o della gioia deimomenti di svago. Non comprende la bel-lezza della poesia o la solidità dei valorifamiliari o l’onestà dei nostri pubblici di-pendenti o la giustizia nei nostri tribuna-li. Il Pil non misura né la nostra arguzia,né il nostro coraggio, né la nostra saggez-za, né la nostra conoscenza, né la nostracompassione, né la devozione al nostroPaese. Misura tutto, in breve, eccetto ciòche rende la vita veramente degna di es-sere vissuta».Ci sono voluti più di 40 anni affinchél’egemonia dell’indicatore Pil venisse

di CHIARA [email protected]

Non che oggi il parametro “Prodot-to interno lordo” abbia persoimportanza: continua ad essere il

misuratore della ricchezza di un Paese ea catalizzare gli ossequi e la deferenza deigovernanti dei singoli Stati e degli orga-nismi internazionali. Ma da qualcheanno a questa parte, si cominciano aprendere in considerazione anche altri pa-

rametri, ad obiettare all’efficacia delPil nel quantificare il benessere,a scalzarne il dominio. Così suc-

cede che il Sustainable De-velopment Solutions

University e consigliere speciale del Se-gretario generale delle Nazioni Unite. I ri-sultati che scaturiscono da questo rappor-to permettono un’analisi più articolata ri-spetto a quella che si può dedurre dallavalutazione del semplice Pil. Nelle interviste realizzate ai cittadini dei

130 Paesi coinvolti in que-sta ricerca, sono stati pre-

si in considerazione variaspetti che contribuiscono a vi-

vere la felicità: condizione eco-nomica, salute, relazioni sociali si-gnificative, libertà, sicurezza,emozioni, aspetti di corruzione,generosità. I più felici sono risul-tati i cittadini del Nord Europa

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zio nelle valutazioni di organismi istitu-zionali nazionali e internazionali. Ecconealcuni: l’Indice di sviluppo umano (Hdi daHuman Development Index), ideato daglieconomisti Mahbib ul Haq (pakistano) eAmartya Sen (indiano) per le Nazioni Uni-te, perché venisse affiancato al Pil che nonteneva conto di fattori macroeconomicicome l’alfabetizzazione e la speranza divita; l’Indice di sostenibilità ambientale(Epi), progettato per integrare gli obiet-tivi ambientali delle Nazioni Unite e svi-luppato dalla Yale University e dalla Co-lumbia University in collaborazione con ilForum economico mondiale e il Centro co-mune di ricerca della Commissione euro-pea; l’indicatore alternativo di Felicità in-terna lorda (Fil), che misura la qualità del-la vita e il progresso sociale, utilizzato giàdal 1972 nel Regno del Buthan, piccoloStato dell’Asia, per contrastare il Pil.Recentemente anche l’Italia si è impegna-ta nell’elaborazione di un nuovo parame-tro, il Bes (Benessere equo sostenibile),strumento messo a punto dal Consiglionazionale dell’Economia e del Lavoro(Cnel) e dall’Istituto nazionale di Statisti-ca (Istat) per misurare il benessere dellasocietà italiana. Caratteristica di questoindicatore è che la sua ideazione non è av-venuta esclusivamente nei palazzi degliorganismi istituzionali ma anche con ilcontributo di cittadini, parti sociali, mon-do dell’associazionismo.«La solidità scientifica e la legittimazio-ne democratica del percorso seguito – silegge sul sito istituzionale www.misure-delbenessere.it - consentono di dire che,da oggi, il nostro Paese è dotato di unostrumento tra i più avanzati al mondo permonitorare le condizioni economiche,sociali e ambientali in cui viviamo, infor-mare i cittadini e indirizzare le decisionipolitiche e quelle individuali».L’auspicio è che, ovunque nel mondo, leletture della realtà che gli innovativi in-dicatori forniscono diventino essenzialinella stesura delle leggi che verranno.D’ora in avanti non più (o non solo) as-servite alle grandezze economico-finan-ziarie.

Come si misurano crescita, benessere e felicità

messa in discussione dall’opinione pub-blica mondiale. Oggi sono molti gli stu-diosi che invocano altro, in un dibattitointernazionale che prende sempre piùcampo e insiste su come benessere e fe-licità da una parte e crescita economicadall’altra siano concetti sempre più di-sgiunti. Il professor Zyg-munt Bauman, sociologoe filosofo polacco di origi-ni ebraiche, teorico della“società liquida”, nel suo li-

che nell’ambito ecologico: «Le quantitàrichieste dalla prospettiva di crescita il-limitata dei consumi finirebbero per ren-dere insostenibili anche le migliori tecno-logie green. Quindi la green-economy haun senso solo se serve a darci il tempo disuperare un’economia incentrata sul

consumo verso un’eco-nomia orientata al be-nessere, alla felicità».Mentre la professores-sa Laura Castellucci,economista dell’Uni-versità Roma Tor Ver-gata, rincara: «Quandoun Paese taglia le sueforeste per venderlecome legno e non le ri-pianta, date le regolecontabili ad oggi inuso, il Pil cresce. Ladeforestazione sembraquindi una produzione,mentre è chiaramenteuna riduzione di capi-tale naturale».Sicuramente le crisidegli ultimi anni (am-

bientale, finanziaria, economica, sociale)hanno accelerato la necessità di adotta-re nuovi indicatori di carattere ambien-tale e sociale che valutino lo stato e il pro-gresso di una società. Si sono così diffu-si nuovi indicatori che, a diverso titolo econ differenti margini, hanno trovato spa-

Garantire la felicità deicittadini è «la vera sfidadi tutti i Paesi delmondo», si leggenell’introduzione al“Rapporto annuale dullaFelicità del mondo”curato da Jeffrey Sachs,professore dellaColumbia University econsigliere speciale delSegretario generale delleNazioni Unite.

Veduta del porto antico di Copenhagen, capitaledella Danimarca. Il Paese nordeuropeo è risultato

primo nella lista del rapporto annuale sullaFelicità nel mondo, redatto dal Sustainable

Development Solutions Network (Sdsn), delle Nazioni Unite.

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bro “L’arte della vita” lan-cia una sfida alle societàopulente: «Lascio ai letto-ri decidere se la coercizio-ne a cercare la felicitànella forma praticata nel-la nostra società di consu-matori, renda felice chi viè costretto». Anche l’eco-nomista francese SergeLatouche (che già i letto-ri di Popoli e Missioneconoscono per due succes-sive interviste pubblicaterecentemente), teoricodella “decrescita felice”,sostiene l’urgenza di un cambio di para-digma rispetto al modello di crescita ba-sato sulla produzione e l’accumulo di mer-ci. Andrea Masullo, direttore scientificodi Greenaccord onlus, associazione cul-turale di ispirazione cristiana per la sal-vaguardia del Creato, mette in guardia an-

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S C A T T I D A L M O N D O

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di PIERLUIGI [email protected]

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IL PAPA AD ASSISI DOPO LAMPEDUSA

LE PIAGHE DI DIO

Le piaghe di Dio ci sono ancora. Cristo risorto le haconservate. La Chiesa deve spogliarsi di ogni mondanità,ma anche della tranquillità apparente che danno lestrutture. Dobbiamo farci strumenti di pace, comeFrancesco d’Assisi che andò in Terra Santa dalSaladino in epoca di crociate. Si può sintetizzare inquesto la visita o, meglio, il pellegrinaggio sulle ormedel Santo, del 4 ottobre scorso ad Assisi compiutodal primo papa che ha voluto assumerne il nome. Lavisita, nel giorno del patrono d’Italia, è stata segnatadal dolore per la tragedia consumatasi in quell’ultimolembo meridionale d’Italia che è l’isola di Lampedusa.Una tragedia tra le più gravi dei flussi migratori nelMediterraneo, ma non isolata né certo da considerarecasuale. Ci sono infatti scelte precise, nazionali e in-ternazionali, in quella che papa Francesco ha chiamato«globalizzazione dell’indifferenza», all’origine di unastrage che in un ventennio ha reso il Mediterraneol’immensa tomba di 25mila persone, contando solole vittime accertate.Anche ad Assisi papa Francesco ha scelto comeprima tappa il dolore, la malattia e, insieme, l’umanitàprofonda e invincibile che è in ciascuno, nel lebbrosoabbracciato da san Francesco, come nel genitore diun disabile che a volte arriva a chiedersi dove sia Dioe cosa siano gli uomini. Al Seraficum, dove vengonocurati ragazzi con gravi disabilità, il papa si è soffermatocon ciascuno di loro, rivolgendo a quelli che possonovedere e sentire sorrisi e parole di conforto e d’amore,e parlando agli altri il linguaggio delle carezze. Poi haricordato che bisogna mettere al centro dell’attenzionesociale e politica le persone più svantaggiate e cheinvece le famiglie si trovano sole nel farsi carico diloro. Il papa ha detto che le piaghe, quelle stimmateche anche Francesco d’Assisi ha avuto sulle mani,sui piedi, sul costato, sono per l’eternità il segno delRisorto. Gesù «presente e nascosto nell’Eucaristia,dietro la semplicità e la mitezza di un pane, come èugualmente nascosto in questi ragazzi, in questibambini, in queste persone. E ha bisogno di essereascoltato».Poco dopo, al vescovado, nella sala della spoliazionedi san Francesco, il papa si è concentrato sulla mon-danità spirituale, chiedendo una Chiesa, «povera eper i poveri». Ed ha ricordato che «non possiamo fareun cristianesimo più “umano”, senza croce o senzaGesù, senza spoliazione: così diventeremmo cristianidi pasticceria, delle cose dolci, ma non cristiani »

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S C A T T I D A L M O N D O

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IL PAPA AD ASSISI DOPO LAMPEDUSA

davvero». Occorre quindi «spogliarsi dell’io orgoglioso edistaccarsi dalla brama di avere, dal denaro, che è un idoloche possiede». Perché la Chiesa non può farsi coinvolgerenel rimprovero alla cecità del mondo, al quale «non importase c’è gente che deve fuggire dalla schiavitù, dalla fame efuggire cercando la liber tà e con quanto dolore tante voltevediamo che trovano la morte», con un riferimento esplicitoa quanto accaduto il giorno prima a Lampedusa.Dopo aver usato, il 3 ottobre scorso, la parola «vergogna»

per la tragedia dei migranti, il giorno successivo, durantela messa nella piazza antistante la basilica di san Francesco,il papa ha parlato di «un giorno di pianto» E il suo sguardosi è allargato al mondo, con l’invocazione che cessino iconflitti armati che insanguinano la terra, che tacciano learmi» e si ascolti il «grido di chi soffre e muore per il terro-rismo e le guerre, specie in Siria, nella Terra Santa tantocara a Francesco d’Assisi, nel Medio Oriente, in tutto ilmondo».

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L’ attualità e l’importanza della tutela del Beni culturali nel corso dei con-flitti armati risaltano in maniera più evidente se si pensa alla guerra

nella ex Jugoslavia, alla seconda guerra del Golfo in Iraq o alla tragediadella Siria. Alcuni dati statistici significativi dell’Ufficio federale svizzero diBerna indicano, ad esempio, che circa il 70% dei Beni culturali che fino-ra sono stati distrutti nel mondo è scomparso a causa di guerre e di al-tri atti di violenza; solo circa il 30% di essi è perduto in seguito a catastro-fi o deperimento naturale.Le guerre, che non sono mai questioni prettamente militari, colpiscono

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La conservazione dei luoghi chetestimoniano la cultura e la storia di

un popolo non sono solo pietre eforme corrose dal tempo. Ma una

preziosa eredità da preservare comeinvestimento per il futuro, sia in

termini economici e turistici, sia,come spiega l’archeologo Giacomo

Tabita, in termini di visibilitàdell’identità nazionale di un popolo.

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sempre la popolazione e le infrastrutture ci-vili (e per questo il tessuto urbano di unacittà è spesso danneggiato, specialmentenei più importanti luoghi storici come mu-sei e monumenti). Se oggi si parla di “guer-re totali” che prevedono anche la distruzio-ne mirata di Beni culturali, come già è av-venuto nel 2001 in Afghanistan, la tutela diquesti permette di preservare per le futu-

entoverà

re generazioni i simboli della memo-ria di ogni nazione, mentre la cono-scenza del patrimonio storico con-sente a ciascun popolo di riappro-priarsi dell’identità culturale per rico-noscerla come propria. In tal modo,ciascuno Stato può relazionarsi conaltri Stati se gli interlocutori sonomossi da coscienza civica e da vo-lontà politica di confronto, per apri-re un varco ad una politica di pacetramite la mediazione civile tra cul-ture anche profondamente diverse traloro.La protezione dei Beni culturaliquanto fa parte del diritto internazio-

nale umanitario? Moltissimo e non si do-vrebbe dubitare di questo. In effetti, la di-struzione di un Bene culturale non riguar-da meramente il Bene stesso. Con la suadistruzione, in verità, si colpisce ciò che rap-presenta per il Paese.Con la protezione dei Beni culturali non sicerca soltanto di proteggere monumenti eoggetti, ma la memoria delle genti, la co-scienza e l’identità collettive che sono co-scienza, anima di ciascun individuo. In ve-rità, noi non esistiamo al di fuori della fa-miglia e della società in cui viviamo; se

La Società italiana per la protezione dei Beni culturali

I n sinergia con analoghi organismi e sostenendo i riferimenti istituzionali sia nazionali cheregionali e locali, la Società italiana per la protezione dei Beni culturali (Sipbc onlus) si pre-

figge di diffondere ed applicare i principi contenuti nelle convenzioni internazionali per il rispettoe la salvaguardia dei Beni culturali da qualsiasi rischio, sia in tempo di pace che durante i con-flitti armati, secondo quanto sancito dall’Unesco e ratificato dall’Italia. La Sipbc onlus, chedal 2008 ha un protocollo d’intesa con il Ministero dei Beni e delle Attività culturali, è rap-presentante italiana di un organismo che opera a livello internazionale e si occupa delle pos-sibilità tecniche e pratiche di protezione dei giacimenti cultuali in tutti i casi di calamità o ri-schio, promuovendo l’avvio di iniziative concrete finalizzate alla sensibilizzazione nel quadrodella protezione civile, e conducendo specifici corsi formativi soprattutto nell’ambito delle forzearmate e delle istituzioni culturali, universitarie e scolastiche di ogni ordine e grado. Sipbconlus partecipa al coordinamento delle azioni da intraprendere a favore della protezione deiBeni culturali da parte della Difesa nazionale, in stretta collaborazione con le forze armateper assicurare la protezione dei giacimenti culturali italiani alle generazioni future del nostroPaese. Obiettivo specifico sin dal tempo di pace (perché è nel tempo di pace che si preparae si pianifica l’intervento durante le emergenze), è la sensibilizzazione dell’opinione pubblica,smuovendo le coscienze molte volte sopite e prese da personalismi, con l’unico scopo di tu-tela del patrimonio, visto e valutato nell’insieme dei suoi valori e dei suoi significati.

G.T.

»

Circa il 70% dei Beniculturali che finorasono stati distrutti nelmondo è scomparsoa causa di guerre e dialtri atti di violenza;solo circa il 30% diessi è perduto inseguito a catastrofi odeperimento naturale.

Le macerie dell’antico minaretodella moschea degli Omayyadi adAleppo, patrimonio dell’Unesco,andato distrutto durante gli scontritra i ribelli e l’esercito delpresidente siriano Bashar al-Assad.

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qualcuno non ci riconosce, noi non siamoniente. Non c’è dubbio, pertanto, che le di-sposizioni di tutela dei Beni culturali sianorilevanti per il diritto internazionale umani-tario. I punti in comune tra la Convenzio-ne di Ginevra e la Convenzione dell’Aja inquesto campo, in caso di conflitti armati,sono troppi per dubitare del loro profondolegame e tutto il movimento internaziona-le della Croce Rossa eMezzaluna Rossa è coin-volto nella protezione deiBeni culturali perché sioccupa di ogni aspettodella protezione delle vitti-me di guerra. Se protegge-re la vita umana è compi-to che si assolve con lapresenza nei luoghi dovec’è sofferenza, un Beneculturale è l’essenza stes-sa della vita di un’intera co-munità. Una comunitàmuore se perde la propriamemoria storica (la storiadelle civiltà mesopotamiche, ad esempio,finisce con la morte delle lingue cuneifor-mi, così come la storia greca finisce conla chiusura delle scuole filosofiche di Ate-ne per volontà di Giustiniano nel 529).Più recentemente, in Afghanistan i Talibanhanno osteggiato il dialogo di pace cancel-lando la memoria di un patrimonio cultu-

rale archeologico che è simbolo della pos-sibile convivenza tra Occidente e Oriente.La difesa del patrimonio culturale in aree dicrisi recupera ed esalta dunque il valore siadella conoscenza che della pace. I Beni cul-turali sono capaci di favorire e incoraggia-re il confronto e l’incontro tra culture diver-se perché attraverso la conoscenza delleopere d’arte si apprezzano i valori miglio-

ri di una società che nonriconosciamo e che defi-niamo pertanto con il ter-mine generico di “stranie-ra”. L’illecito contro i Beniculturali però nasce già intempo di pace e in conte-sti nazionali, a causa del-la mancata partecipazio-ne della società alla custo-dia collettiva di un Beneche innanzitutto non si co-nosce e che, per questaragione, non può esseresentito come Bene pubbli-co. Le associazioni cultu-

rali, dunque, devono intervenire per diffon-dere la conoscenza del patrimonio sul ter-ritorio locale, per promuovere l’incontro eil confronto culturale, per garantire il dibat-tito anche su esperienze pratiche, per evi-tare la perdita dei Beni culturali, sempre afianco delle istituzioni sia in tempo di paceche di guerra.

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In Afghanistan i Talibanhanno osteggiato il dialogo di pacecancellando la memoriadi un patrimonioculturale archeologicoche è simbolo dellapossibile convivenza traOccidente e Oriente.

U na giurista africana, Fatou Bensouda, 51anni, è da un anno procuratore capo

della Corte penale internazionale (Cpi).Gambiana e musulmana, sposata con duefigli, Bensouda è stata scelta tra 52 candida-ti selezionati tra i 121 Stati membri del tri-bunale. La Cpi è un tribunale indipenden-te delle Nazioni Unite che persegue i respon-sabili dei crimini di guerra e ora sta indagan-do su sette Paesi: Uganda, Repubblica de-mocratica del Congo, Darfur (Sudan), Repub-blica Centrafricana, Kenya, Libia e Costad’Avorio. Nel 2011, prima che prendesse ilposto di Luis Moreno Ocampo a capo del-la Corte penale internazionale, il Time ave-va collocato Bansouda al 64esimo posto nel-la classifica delle 100 personalità più influen-ti del mondo, due gradini dopo il presiden-te nigeriano Goodluck Jonathan, entrambii soli africani della prestigiosa lista.La giurista gambiana è la prima donna afri-cana a dirigere un tribunale internazionale.Scrive di lei il magazine americano che «do-vrà dare un nuovo vigore per contribuire allapacificazione delle situazioni di crisi nel mon-do». Dopo essere stata procuratore genera-le al tribunale di Bangui, ministro della Giu-stizia del discusso presidente gambianoYahya Jammeh, dal 2001 al 2004 è stata le-gal advisor per il Tribunale internazionaleper il Rwanda (Tpir) ad Arusha in Tanzania.In questo impegno si è dimostrata inflessi-bile e oggi del nuovo ruolo di capo della Cpi,dichiara: «Certe persone mi definiscono unburattino degli occidentali. Ma la realtà è di-versa. Sono i Paesi africani che richiedonomaggiormente l’intervento della Cpi rispet-to alle altre regioni del mondo. Ci sono mi-gliaia e migliaia di vittime in ogni caso su cuiindaghiamo. Si tratta di crimini molto gra-vi. La Cpi è praticamente l’unica istituzioneche agisce per quelle vittime. I leader afri-cani accusati di tali crimini si atteggiano oraa vittime della giustizia internazionale. Que-sto è un insulto alle vere vittime di questeatrocità».

di Miela Fagiolo D’Attilia

GIUSTIZIA E CASTIGO

OSSERVATORIO

DONNE INFRONTIERA

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di Davide [email protected] 29P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 3

MERCATI PROIBITI E NON

Armi,evoluzionedella specie

PER ACCUMULARLE VIENEIMPIEGATO IL 2,5% DEL PILMONDIALE E NEANCHE LEOPERAZIONI DI PACERIESCONO A FARNE PIÙ AMENO. PROIBITE,“INTELLIGENTI”, CHIMICHE OFUTURIBILI, LE ARMI HANNOUNA SOLA COSA INCOMUNE: TENERLE SOTTOCONTROLLO È IMPOSSIBILE.

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P er le armi non c’è crisi: secondo lo Stockholm In-ternational Peace Research Institute (Sipri) nel

2012 la spesa mondiale nel settore ammontava a1.753 miliardi di dollari, il 2,5% del Pil globale.Rispetto al 2011 si può parlare di un calo, ma è ilprimo dal 1998 e corrisponde solo allo 0,5% deltotale: oggi le spese militari restano più alte che nel1988, quando il muro di Berlino era ancora in piedi.Nella corsa quasi ininterrotta agli armamenti, sonoWashington, Mosca e Pechino a guidare la graduatoriadelle spese, da non confondere però con quellarelativa all’import-export di armi (vedi box a pag.32).Come nell’economia mondiale, gli Stati Uniti primeggiano,la Cina insegue, la Russia riemerge rapidamente;tuttavia gli Usa, impegnati a lasciarsi alle spalle lemissioni in Afghanistan e in Iraq, hanno ridotto del6% il budget, mentre per Cina e Russia gli acquistisono cresciuti rispettivamente del 7,8 e del 16%. Inassoluto, però, la macchina da guerra americana hadivorato, nel 2012, molte più risorse di quelle degli

Stati rivali: 682 miliardi di dollari (4,4% del Prodottointerno lordo) contro i 166 di Pechino (2,2%) e i90,7 di Mosca (4,4%).Le armi che continuano ad accumularsi non servonosolo a rinnovare gli arsenali o ad alimentare l’illusionedella deterrenza, secondo l’abusato detto si vis pacem,para bellum: molte sono impiegate nei 32 conflittiancora in corso - secondo i dati raccolti dall’Universitàdi Uppsala - nel 2012, o nella maggior parte (l’eccezionepiù rilevante sono quelle dell’Ocse) delle 47 missionidi pace censite dal Sipri a settembre dello stessoanno.Le armi, ovviamente, sono state - e ancora sono -usate anche per operazioni di carattere offensivo,basate di volta in volta su risoluzioni Onu, sulla re-sponsibility to protect - pure teorizzata dalle NazioniUnite, allo scopo d’impedire crimini come il genocidio

SOPRA: Corazzato di fabbricazione russa per le strade di Maalula, in Siria.

o la pulizia etnica - o sul molto contestato“diritto d’ingerenza umanitaria”. Tra legiustificazioni, anche il presunto possessoda parte del nemico di armamenti proibiti,come per la seconda guerra irachena,nel 2003. Paradossalmente, tuttavia, amolte operazioni di peace enforcing, ea guerre dichiarate “umanitarie” o “di-fensive” negli ultimi 15 anni è stato im-putato il superamento di limiti simili. Lenorme internazionali - almeno per quegliStati che vi aderiscono - infatti, non proi-

biscono solo l’uso di armi chimiche e biologiche, o laproliferazione di quelle nucleari, ma anche alcunearmi convenzionali - come quelle incendiarie e i laseraccecanti - o le cosiddette bombe a grappolo (clusterbombs).Un esempio dell’insufficienza dei trattati è proprio laguerra in Iraq: già poche settimane dopo la dichiarazionedi “missione compiuta” da parte del presidente GeorgeBush jr, diversi organi di stampa internazionali stimavanoche 10mila bombe a grappolo inesplose fosserosparse per il territorio iracheno. Gli Stati Uniti, infatti,non sono tra i firmatari della convenzione che le ban-disce; allo stesso modo, Washington ha detto di nonconsiderare una violazione delle norme sulle armichimiche l’uso di fosforo bianco, in grado di bruciarela carne umana, durante i bombardamenti su Falluja.Accuse per l’impiego di questa sostanza sono staterivolte anche all’esercito israeliano, da ultimo durantel’operazione Piombo Fuso del 2008 nella Striscia diGaza: questo ha spinto Israele - che ha comunqueparlato di un uso conforme alle norme internazionali- a rivedere la sua posizione sull’utilizzo del fosforo.

Non sono state solo le armi proibite amettere in imbarazzo eserciti di ogni pro-venienza e missioni internazionali: bastipensare alle cosiddette “bombe intelligenti”.Il sogno impossibile di un’arma ca-

Nobel contro le armi chimiche

«Grazie al lavoro dell’Opac, l’uso delle armi chimiche nonè più un tabù». Con questa motivazione il Comitato

per il Nobel per la pace, ha motivato l’assegnazione del presti-gioso premio all’Organizzazione per la proibizione delle armichimiche (Opac). L’importanza del lavoro ventennale di questaorganizzazione è stata messa in evidenza durante l’ultima crisisiriana. Pochi giorni prima della notizia dell’assegnazione delNobel per la pace 2013, il Segretario generale delle NazioniUnite, Ban Ki-moon, ha promosso una missione internazionaleOnu-Opac, con 100 uomini che opereranno sul territorio siria-no per controllare lo smantellamento dell’arsenale chimico delregime di Assad. «Quanto accaduto in Siria, dove sono stateusate queste armi, riporta in primo piano la necessità di incre-mentare gli sforzi per eliminare questi armamenti» si leggeinfatti nella motivazione del comitato di Oslo, dove sarà conse-gnato il premio il prossimo 10 dicembre. Fondata nel 1997 perdare attuazione al Trattato di interdizione all'uso delle armi chi-miche firmato nel 1993, l'Organizzazione per la proibizionedelle armi chimiche ha sede all'Aja e per la missione in Siriafarà base a Damasco e a Cipro e si articolerà in tre fasi chedovrebbero concludersi nel giugno 2014 con la distruzione dioltre mille prodotti tossici sul territorio siriano. M.F.D’A.

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pace di colpire solo l’obiettivo designato - evitandovittime civili - è vecchio ormai: dispositivi controllati adistanza furono testati da statunitensi e tedeschi giàdurante la Seconda Guerra mondiale, e la tecnologiaprogredì durante gli anni Sessanta. Né i prototipi ra-dioguidati, né le bombe a guida laser, né gli ordignipiù moderni equipaggiati anche con sistemi GPShanno però mantenuto le promesse.I generali statunitensi, durante la prima guerra delGolfo, valutarono all’80% la precisione di alcunebombe a guida laser, ma le cifre reali superarono dipoco il 40%, lo stesso dato registrato dai britannici inKosovo nel 1999. E all’inizio degli anni 2000, secondoesperti citati dall’Associated Press, il 50% era unobiettivo ancora non raggiunto. In più, anche senzacontare la possibilità di guasti ai sistemi “intelligenti”,l’idea stessa della guerra aerea può essere messa incrisi, come durante il recente conflitto libico, dalla pre-senza - a volte usata come atroce strategia bellica - di

I l mercato delle armi è anche un business, e quando si parla diexport militare la guerra fredda russo-americana sembra non

essere finita. I dati dello Stockholm international peace researchinstitute (Sipri) sull’argomento (relativi agli anni 2008-2012) sidiscostano parzialmente da quelli sulle spese, campo in cui la Cinaha intaccato il vecchio bipolarismo. Nella lista dei più grandi esportatoridi sistemi d’arma (major weapons), infatti, Washington e Mosca oc-cupano il primo e il secondo posto con quote, rispettivamente, del30% e del 24%, mentre il 5% di Pechino la pone al quinto posto,dopo Francia e Germania.Va notato che questa graduatoria dell’istituto di Stoccolma tieneconto del volume dei trasferimenti, non del loro valore finanziario. Lacosa non impedisce alla Cina di essere comunque seconda tra gli im-portatori (attira il 6% dei flussi totali) ma spiega anche perché a pre-cederla non siano gli Usa (fermi al 4% come Algeria, Singapore e Au-stralia, e superati anche da Pakistan e Corea del Sud, con il 5%) mal’India: questa doppia addirittura il rivale asiatico, arrivando al 12%.Visti i Paesi acquirenti, non stupisce il fatto che quasi la metàdell’import delle armi - per l’esattezza il 47% - finisca in Asia eOceania. Nel quadriennio 2003-2007, ricorda il Sipri, questo dato sifermava al 41%, ma rispetto ad allora si sono ridotte significativamentele quote dell’Europa (passata dal 22% al 15% del totale) e persinodel Medio Oriente (dal 22% al 17%). Quanto all’Africa, nelle ultimerilevazioni pesa solo per il 9% sul totale, ma questa percentuale èquasi raddoppiata rispetto al 5% di quattro anni prima. Sonodunque i Paesi emergenti ad attirare la quota più grande di questomercato, cioè proprio quelli «in cui, secondo la maggior parte deglianalisti, il potenziale per l’esplosione di conflitti regionali è piùalto», come scrivevano ad agosto 2012 Richard Grimmett e PaulKerr nell’ultima versione del loro rapporto per il Congresso degliStati Uniti, intitolato Conventional Arms Transfers to DevelopingNations.Com’è facile immaginare, anche in questo segmento di mercatoStati Uniti e Russia dominano la graduatoria: tra il 2008 e il 2011questi due Paesi, insieme, figuravano come fornitori in più di dueterzi (il 69,5%) dei contratti conclusi in materia. Washington, dasola, totalizzava oltre il 54%, per un valore di 113 miliardi di dollari;Mosca si “accontentava” di 31 miliardi, pari al 15%. E statunitensi -ancora secondo il Sipri - sono sette delle 10 più importanticompagnie produttrici di armi, a partire dai colossi dell’aviazioneBoeing e Lockheed Martin. Nell’elenco, insieme alla britannica BAESystems e alla Eads, europea, c’è anche l’italiana Finmeccanica, chenel 2011 ha venduto armi per più di 14,5 miliardi di dollari (controgli oltre 36 della Boeing). Mancano invece i dati delle aziendecinesi: che venda o che compri, Pechino lo fa in silenzio.

D.M.

Chi compra, chi vende e chi guadagna

A DESTRA: Il 47% delle armi importate da Cina e India finisce in Asia eOceania. Sono i Paesi emergenti, infatti, ad attirare la quota più consistentedel mercato internazionale di armi

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documento del think tank britannico Royal UnitedServices Institute si spinge addirittura a parlare di “etàdella malinconia” per le forze di terra. Un giudizio chenon tiene conto dei morti ancora provocati dalle armida fuoco “leggere” come fucili o pistole (vedi box apag. 34) o dalle mine antiuomo, veri e propri killer di-menticati. Nel solo 2011, a quasi 15 anni dall’entratain vigore del trattato che dovrebbe proibirle, oltre4.200 persone ne sono state colpite, secondo gliultimi dati della Campagna internazionale per il bandodelle mine terrestri (Icbl).In altri sensi, però, i teatri di guerra tendono effettivamentea staccarsi dalla superficie terrestre, e persino dalmondo fisico. Tre anni dopo l’inchiesta del New YorkTimes che rivelò l’esistenza del virus Stuxnet, usatocontro gli impianti nucleari iraniani, il conflitto ciberneticosembra essere più di una possibilità, con Paesi comeSiria e Cina, accusati addirittura di stipendiare pirati »

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obiettivi militari in zone popolate da civili. Né a questacritica sfuggono gli aerei senza pilota comandati a di-stanza, i droni, protagonisti di una delle ultime evoluzionidella tecnologia.Nonostante i suoi limiti, l’aviazione resta ancora oggi ilfulcro degli interventi armati, per ragioni strategiche,ma anche politiche - operazioni senza uomini sulterreno sembrano più accettabili all’opinione pubblica- e persino economiche; pesano, in questo senso, icosti delle guerre in Afghanistan e Iraq. Un recente

Le norme internazionali nonproibiscono solo l’uso di armichimiche e biologiche, o la proliferazione di quelle nucleari, ma anche alcune armi convenzionali.

informatici per colpire gli interessi dei nemici.La prossima frontiera potrebbe essere lo spazio: armianti-satellite furono sperimentate da Usa e Urssdurante la guerra fredda ma in quel campo non siarrivò ad un’escalation. Negli ultimi anni, però, sia sta-tunitensi che cinesi hanno mostrato di poter colpiregli oggetti che orbitano intorno alla Terra: questa pro-spettiva potrebbe avere gravi ripercussioni, innanzitutto,sulle comunicazioni globali. I trattati in materia - il piùimportante è del 1967 - non escludono esplicitamentel’uso di armi convenzionali fuori dall’atmosfera terrestre;comincia dunque a diffondersi l’idea di un loro ag-giornamento, in modo che le “guerre stellari” restinopossibili solo al cinema.

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A FIANCO:Esposizione di vari tipi di mine terrestri. La Campagna internazionaleper la loro messa al bando segnala che nel 2011 oltre 4.200 personesono state colpite dalle mine anti-uomo.

Armi leggere, numeri pesanti

S embra paradossale ma sono le armi leggere «le vere armidi distruzione di massa», per usare le parole dell’ex segretario

generale dell’Onu, Kofi Annan. Pistole, fucili, mitragliatori,«venduti a eserciti, forze di polizia, ma anche a privati, hannoprovocato, tra il 2004 e il 2007, oltre 208mila morti», cioè circa52mila, in media, all’anno. A ricordarlo è Giorgio Beretta,analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal)di Brescia, che cita i dati più recenti dei ricercatori svizzeri diSmall arms survey (Sas). Secondo le stime ci sono circa 875milioni di queste armi in circolazione nel mondo e il girod’affari supera gli 8,5 miliardi di dollari.

Beretta, quali sono i controlli su questo commercio?«La legge italiana, per esempio, vieta l’esportazione di armiverso Paesi in stato di guerra, o che sostengono il terrorismo, oin cui avvengono violazioni gravi dei diritti umani. In più,prevede - come fanno anche diversi Paesi occidentali - che perle partite di armi ad uso bellico sia certificato il destinatariofinale e che la vendita riceva un’autorizzazione governativa.Questo deve avvenire anche nel caso che il Paese a cui sonostate fornite intenda cederle poi ad altri, per evitare le cosiddette“triangolazioni” (trasferimenti con destinatario finale diverso daquello autorizzato, ndr)».

E per quelle che non hanno un uso solo militare, comele semi-automatiche, ma sono altrettanto pericolose?«Per queste armi - che sono la parte più consistente e di cui

l’Italia è il maggior esportatore mondiale - ci sono menorestrizioni sul destinatario finale: non può essere un Paese sotto-posto a misure di embargo, né una ditta inserita nella black listdelle aziende che fanno “triangolazioni”, ma la certificazione èmeno specifica e non serve l’autorizzazione governativa in casodi rivendita. Proprio questo è all’origine di quella che Smallarms survey definisce la “zona grigia”».

Cosa significa?«È la zona indefinita del commercio di armi. Non esistono datiprecisi, ma abbiamo valutato già qualche anno fa che esiste untraffico illecito pari al 5-10% del totale mondiale, a fronte di un60-70% di commercio legale. Il restante 20-30% è la zonagrigia, in cui si verificano spesso triangolazioni. Questa è l’areapiù pericolosa, che la comunità internazionale dovrebbe monitoraremaggiormente».

In questo senso, quali sono i pregi e i limiti del Trattatosul commercio di armi convenzionali - (Att) nell’acronimoinglese - approvato nell’aprile scorso dall’Assemblea ge-nerale dell’Onu?«Il pregio fondamentale del trattato è che finalmente esiste,dopo una discussione durata un decennio, ma comincerà adessere valido solo quando 50 Paesi l’avranno ratificato: oggipochi l’hanno fatto. È positivo che riguardi anche alcune armileggere e di piccolo calibro. Purtroppo le cosiddette “armicomuni” e le munizioni restano fuori. Una volta in vigore,dunque, andrà monitorato, migliorato e rafforzato».

(a cura di Davide Maggiore)

M olto si è parlato delle armi chimiche usate inSiria, nonché della minaccia della proliferazione

nucleare connessa all’Iran e alla Corea del Nord. Con-temporaneamente si è taciuto delle armi convenzionaliusate nel conflitto siriano che hanno fatto sinora100mila morti stimati e milioni di profughi. Spesso,dunque, le informazioni sono imprecise e lacunose.Anzitutto le armi vengono suddivise in due grandigruppi, quelle convenzionali (pistole, fucili, cannoni,aerei, carri armati, navi, ecc.) e quelle di distruzione dimassa (nucleari, biologiche e chimiche). Le armi con-venzionali a loro volta vengono suddivise, da un lato,in armi piccole e leggere (pistole, fucili, mitra, bombea mano, bazooka, lanciamissili, mine,munizioni, ecc.) in base al criterio dellatrasportabilità ad opera di uno o dueuomini; dall’altro lato, in maggiorisistemi d’arma (aerei, elicotteri, navi,sottomarini, carri armati, cannoni, ecc.).Le armi piccole e leggere sono quellelargamente utilizzate nei cosiddetticonflitti dimenticati, nelle guerre asim-metriche tra eserciti regolari e forze diopposizione armata, che spesso uti-lizzano forme di combattimento di

di Maurizio [email protected]

tipo partigiano o addirittura di stampo terroristico.Tale uso diffuso è connesso alla trasportabilità, allafacilità d’utilizzo, al basso costo e alla semplice manu-tenzione.Queste sono caratteristiche che, invece, non appar-tengono ai maggiori sistemi d’arma, prevalentementeutilizzati da forze governative. Basta pensare alla com-plessità di un aereo o di un sottomarino per comprenderela diversità sia dei budget necessari per l’acquisto, siadella preparazione del personale ad esso addetto.Tra le armi di distruzione di massa (nucleari,biologiche/batteriologiche e chimiche) le prime sonostate usate direttamente in Giappone nel 1945, dandopoi vita sia ad una corsa agli armamenti nucleari, siaad una serie di esperimenti (oltre 2mila) condotti nelnostro pianeta. Dopo il picco delle 80mila testate rag-giunte durante la Guerra Fredda, ad oggi gli arsenalinucleari risultano così composti: la Russia possiede8.500 testate, gli Usa 7.700, la Francia 300, la Cina250, la Gran Bretagna 225, Israele 80, il Pakistan 100-120, l’India 90-110, la Corea del Nord 10, per untotale stimato di 17.300.Dal 1968 vige il Trattato di non-proliferazione (Tnp),teso ad impedire la diffusione delle armi nucleari e aspingere i Paesi che già le hanno a distruggerle. SoloUsa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna possonodetenerle, mentre gli altri Paesi firmatari s’impegnanoa non dotarsene e ad utilizzare la tecnologia

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Non solo Siria:armi chimiche gran bazar

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Le armi vengonosuddivise in due grandigruppi, quelleconvenzionali e quelledi distruzione di massa.

nucleare solo in campo civile. Successivamente(1996) è stato siglato il Trattato sul bando totale degliesperimenti nucleari (Ctbt), per cui gli Stati partes’impegnano, senza alcuna eccezione, a non effettuareesperimenti nucleari sul loro territorio e a non inco-raggiare o partecipare a tale tipo di esperimenti inaltri Stati, con il fine di limitare lo sviluppo, l’aggiorna-mento e la creazione di nuove generazioni di arminucleari. Firmato da 180 Stati e ratificato da 148,tuttavia, il Ctbt può entrare in vigore solo dopol’avvenuta ratifica da parte di 44 Stati con capacitànucleare avanzata. Fra questi, Usa, Cina, Egitto, Iran,Israele e Indonesia non hanno ancora proceduto aratifica, mentre altri, quali India, Pakistan e Corea delNord, non l'hanno ancora firmato.Le armi biologiche/batteriologiche sono basate su or-ganismi viventi o sostanze infette da essi derivate,usati per produrre malattie e morte in uomini, animalie piante. Data la loro estrema pericolosità e l'enormedifficoltà a gestirne l'uso (le epidemie non si fermanoalle frontiere), nel 1972 è stato firmato il Trattato Bwc,cioè la Convenzione che vieta la messa a punto, lafabbricazione e lo stoccaggio delle armi batteriologiche

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Firmato da 180 Stati e ratificato da 148,tuttavia, il Trattato sul bando totale degliesperimenti nucleari può entrare in vigoresolo dopo l’avvenuta ratifica da parte di 44 Stati con capacità nucleare avanzata.

(biologiche) o a tossine e che disciplina la lorodistruzione. Ad esso aderiscono 170 Paesi, ad eccezionedi Israele, Sud Sudan, Angola, Ciad e altri 12 Paesi mi-nori.Analogamente è avvenuto per le armi chimiche, usatedurante la Prima guerra mondiale e poi solo saltuaria-mente (dall'Italia nell'avventura coloniale in Africa, daigiapponesi in Cina durante la Seconda guerra mondiale,dagli Usa nel Vietnam, dal governo iracheno contro icurdi, ecc.). Chiamate il "nucleare dei poveri", le armichimiche sono relativamente facili da realizzare adopera di industrie chimiche, magari già operanti inambito civile e, quindi, senza particolari investimenti.Possono agire sull'epidermide (vescicanti), sull'apparatorespiratorio (asfissianti), sul sistema nervoso (nervini),con effetti più o meno letali. Va sottolineato che il lorouso spesso non ha costituito garanzia di vittoria. Proprioper le difficoltà nella gestione di esse, nel 1993 si èriusciti a giungere alla Convenzione sulle armi chimiche(Cwc), che vieta definitivamente lo sviluppo, ladetenzione e l'impiego delle armi chimiche in ogni si-tuazione, anche come risposta ad un'aggressione contali armi. A questa convenzione peraltro non hanno

aderito Angola, Corea del Nord, Egitto, Siria e Somalia,mentre hanno firmato, ma non ratificato, Israele eMyanmar. Anche se recentemente la Siria si è dettadisponibile a rinunciare al proprio arsenale chimico,tale dismissione non sarà né facile né di breve durata,sia per la situazione di guerra civile in atto, sia per lacomplessità delle operazioni di smantellamento.

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Filo direttoCON L’ECONOMIA

I cittadini oggi sono sostenu-ti da un associazionismoche incide direttamente sul-

l’economia reale, che a sua vol-ta fa capo ad attivisti dallecompetenze più tecniche.«L’economia, quella bella e uti-le, che adesso vince i premi No-bel, ha dimostrato che una ge-stione efficiente dei beni comu-ni si può fare solo a partire dauna democrazia partecipata»,dice Monica Di Sisto. La prote-sta di piazza è forse meno “ru-morosa” e visibile di dieci annifa ma molto più incisiva. Lospartiacque? Certamente lacontestazione al G8 di Genovache «ha segnato, sebbene inmodo traumatico, il passaggioalla maturità dell’attivismo».Oggi tutto quello che succedenel mondo è legato all’econo-mia: «le alternative non sonopiù naif e “fricchettone”: sonoalternative che propongono so-luzioni», spiega.

Vediamo meno “presenze”di piazza, meno manifestazio-ni di protesta, almeno in Ita-lia. Perché?

«Oggi per dare concretezza alla protesta devi essereanche un tecnico: non è facile capire e spiegare l’eco-nomia, ancora meno mobilitare le masse. Abbiamo ache fare con una realtà sfaccettata e i “saperi” checo-esistono all’interno delle campagne sociali e di sen-sibilizzazione, sono spesso più avanzati di quello ac-cademico. Detto ciò non è facile trascinare la gentein piazza: ci sono meno bandiere ideologiche, non tut-to è nero o bianco, per fortuna. Il bello è che per mol-to altro siamo diventati più incisivi: sul territorio suc-cedono cose concrete e trasformazioni partecipate.

Quali ad esempio?«Le associazioni di Roma, ad esempio, sono tutto unfiorire di iniziative impensabili anche solo all’inizio del

millennio: spazi socializzati, gente che fa produzioneartistica, asili per i bambini, attività sociali e ricrea-tive. Un welfare auto-organizzato senza necessaria-mente una connotazione politica. Si parte dalla pro-fonda periferia romana per arrivare all’occupazione delteatro Valle nel cuore di Roma. All’interno dello spa-zio occupato Scup (Sport e cultura popolare), ex mo-torizzazione civile di San Giovanni, un gruppo di psi-cologhe fa counselling familiare. È la prima occupa-zione sportiva di un palazzo abbandonato. Ci sono poile fabbriche riconvertite, come le Officine Zero, alla sta-zione Tiburtina, occupate dagli operai in cassa inte-grazione, gli studenti e i precari, e trasformate in unlaboratorio sperimentale.

Sul versante delle istituzioni invece, quanto con-ta la società civile organizzata?Il tentativo di essere presenti ai tavoli istituzionali èsempre più forte. Certo, le istituzioni comunitarie nonne tengono ancora conto come dovrebbero… A mesuccede di frequentare i dialoghi della CommissioneCommercio dell’esecutivo di Bruxelles con la socie-tà civile. Ci sono Ong competenti, con personale gio-vane, molto preparato, seduto accanto all’industria-le della carne o dell’automobile. Vengono ascoltati tut-ti assieme, quando già gli altri però li hanno riuniti inseparata sede. Durante i 130 incontri bilaterali dei ne-goziati commerciali Usa-Ue non c’erano associazio-ni, solo i sindacati europei.

Che pensi di lobby di potere esclusivo come il fa-moso gruppo Bildenberg?Di questi tavoli se ne conosce uno, ma ce ne sono cen-tinaia… Se lavori sui negoziati commerciali ti rendiconto di quante lobby esistano. Il dato da segnalareè che gli operatori che realmente riescono a stare sul-le filiere globali sono in realtà pochissimi. Bisogna dareforza a chi fa da contraltare a queste lobby e poi farcapire alle persone che anche loro hanno un potere.Se c’è una magia che Bildenberg possiede è quelladi autonominarsi, ma noi siamo molto più potenti per-ché siamo tanti e più preparati di un tempo. La tute-la dell’ambiente e l’attenzione al clima ad esempio,sono temi urgenti che mobilitano tutti.

Ilaria De [email protected]

L’INTERVISTA: MONICA DI SISTO

L’ATTIVISMO SILENZIOSO

Monica Di Sisto

IN QUESTO MONDO CHEINCROCIA CRISI GLOBALI

E SOLUZIONI LOCALI, ILCONSUMATORE-

CITTADINO È SEMPRE PIÙPROTAGONISTA DEL

CAMBIAMENTO. «OGGITUTTO È DANNATAMENTEPIÙ COMPLESSO, MA PIÙ

STIMOLANTE E MENOIDEOLOGICO DI PRIMA»,

SPIEGA MONICA DI SISTO,GIORNALISTA SOCIALE,

ATTIVISTA, LOBBISTAESPERTA DI TAVOLI

NEGOZIALI COMMERCIALI,ED IDEATRICE DEL

PROGETTO [FAIR]WATCH.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

La teologia di NyerereLa teologia di Nyerere

Lo chiamano Baba wa taifa, il padre dellapatria, Mwalimu, il maestro, e ancora oggi, aquasi 15 anni dalla morte avvenuta nel1999, colpisce vedere le sue fotodappertutto, nei luoghi pubblici come nellecase private. Julius Kambarage Nyerere,primo presidente della Tanzania, è unapresenza simbolo, quasi un elemento delDna nella vita e nell’immaginario della gente.

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di ROBERTO [email protected]

Un presidente per il bene comune

«G li Usa colpiscono i talebani con idroni e loro rispondono con gli

attentati. I kamikaze che si sono fatti esplo-dere nella chiesa anglicana di Peshawar loscorso 22 settembre rappresentano unattacco indiretto all’Occidente - e quindianche agli europei - che sostiene la guerracontro il terrorismo in Afghanistan e inPakistan». Così, missionari che operano interritorio pachistano e che non possonoessere citati per motivi di sicurezza, spiega-no a Popoli e Missione il più grave attaccoalla minoranza cristiana locale dove sonomorte oltre 80 persone. Secondo le nostrefonti sarebbe errato parlare di conflitti reli-giosi, anche quando gli attacchi terroristicicoinvolgono i due orientamenti dell’islam,sciiti e sunniti. I motivi delle frequenti vio-lenze (il 30 settembre scorso a Peshawarc’è stato anche un attentato al mercato)sarebbero soprattutto politici ed economici,anche se non si possono trascurare diffe-renze sostanziali di mentalità, che riguarda-no per esempio i diritti delle donne. Gli scii-ti, minoritari nel Paese, sarebbero più favo-revoli all’istruzione delle figlie femminerispetto ai sunniti, corrente islamica di cuifanno parte appunto anche i talebani.Nel Pakistan occidentale, al confine conl’Afghanistan, ci si scontra per il controllo diingenti risorse come il gas naturale, chefanno gola anche all’amministrazione sta-tunitense, e per ragioni autonomiste: ilBalucistan, ad esempio, lotta per la separa-zione da Islamabad da 67 anni, ovvero daquando il Pakistan divenne indipendente. Ilprimo ministro Nawaz Sharif vorrebbeavviare un processo di dialogo con i taleba-ni più per l’interesse nazionale che perquello delle minoranze religiose. I talebani,secondo i missionari, darebbero più fasti-dio al governo e all’esercito che ai cristiani.Il gioco di equilibri è talmente complessoche Islamabad non riesce neppure ad abo-lire la legge sulla balsfemia, fonte di ingiu-stizie contro le minoranze, ma sostenutadagli estremisti islamici. In questo comples-so scenario le minoranze religiose sonoancora una volta un capro espiatorio.

di Francesca Lancini

ATTACCO ALL’OCCIDENTE

OSSERVATORIO

ASIA

N«Dobbiamo creare un’Africa che il restodel mondo guarderà con ammirazione,dicendo: se davvero volete vedere gentelibera che vive realizzando gli ideali diuna società civile, allora andate inAfrica. Questo è il continente dellasperanza per la razza umana». Era il1960 quando il leader tanzaniano pro-nunciava queste parole. Non avrebbemai tradito la sua prospettiva.

SOCIALISMO AFRICANOProfondamente religioso – era diventatocristiano a 21 anni per scelta - e verostatista, Nyerere ha sempre mantenuto

il senso di un’adeguatadistinzione fra l’ambitoreligioso e quello politico,senza separare le due sfe-re, ma mirando ad ar-monizzarle in modo vi-tale. Da subito avevachiarito, alla vigilia del-l’indipendenza, cheavrebbe guidato un go-verno che non era prontoa tollerare distinzioni dirazza, di tribù e di reli-gione. Il suo slogan era:«Tanu haina dini» (cioè:

Tanu Tanganika National Union nonha religione). Sono i suoi membri alivello personale che ne hanno una.La filosofia politica del leader tanzanianosarebbe stata formulata più chiaramentenella Dichiarazione di Arusha del 1967.In essa proclamava la ujamaa (comunità- fratellanza), come tipo di socialismoafricano. «Il vero socialista africano –affermava – non considera una classedi uomini come suoi fratelli e un’al- »

el mio viaggio in Tanzania hoparlato con chiunque: giovani,meno giovani, vescovi cattolici,

persone comuni, cristiani, musulmani.Immancabilmente si finiva a parlare diNyerere. Originario di Batiama, sullasponda orientale del lago Vittoria, inquello che allora, nel 1922, era ancoraTanganica, Nyerere apparteneva all’etniazanaki, ma la sua visione politica hasempre respirato un’aria universale, lon-tano dal tribalismo. Era un panafricanoconvinto.

Nyerere appartenevaall’etnia zanaki, mala sua visionepolitica ha semprerespirato un’ariauniversale, lontanodal tribalismo. Era unpanafricano convinto.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

avessero letto inmodo erroneo la suacollaborazione con laCina di Mao Tse Tung,per la costruzione del-la grande rete ferro-viaria che avrebbeunito il Paese alloZambia. Nel corso diun recente convegnodi vescovi, tenutosinel pressi di Dar es

Salaam, tutti mi hanno parlato congrande stima, non solo politica, diquesto uomo, capace di ispirare ancheuna corrente della vivace teologia afri-cana, detta appunto “teologia dellaujamaa”. Nel 2005 nella sua diocesi

non di modificare o alterare,la struttura tradizionaledella società africana. «Sitratta di costruire un nuovoordine – affermava – par-tendo dalle radici africane[…] per creare in tutta laTanzania delle comunitàeconomiche e sociali in cuitutti gli uomini possanolavorare e vivere insiemeper il bene comune, fa-cendo cooperare fra loro le diverse co-munità per il bene dell’intera nazione».

TEOLOGIA DELL’UJAMAA

La sua testimonianza cristiana come sta-tista resta esemplare, nonostante alcuni

tra come suoi nemici naturali. Consideratutti gli uomini come suoi fratelli, inquanto membri di una famiglia che con-tinua ad allargarsi». Un socialismo, dunque,che si fondava sulla famiglia estesa afri-cana che coltiva i campi in comune econdivide la stessa casa: la povertà la sisente solo quando il vicino è molto piùricco. Resta famoso il suo biglietto diauguri inviato ai vescovi del Paese, inoccasione del Natale del 1967. Riportavala frase ripresa dagli Atti degli Apostoli(At 2,44): «Ed avevano ogni cosa in co-mune».Pur radicato nella tradizione del suocontinente, Nyerere non ignorava leistanze della modernità. Tuttavia il suoimpegno era quello di modernizzare,

Naturalmente nonsono mancate leresistenze allafilosofia di Nyerere,soprattutto nelle zonedove c’era piùsviluppo e ricchezza.

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Un presidente per il bene comune

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natale – Musoma – si è aperta la causaper la sua beatificazione.Naturalmente non sono mancate le re-sistenze alla filosofia di Nyerere, soprat-tutto nelle zone dove c’era più sviluppoe ricchezza. Il fine della ujamaa era direalizzare kujitegemea – quella che Gan-dhi aveva chiamato swaraj – autogestioneed autosufficienza. Nonostante critiche,problemi ed avversità, il piano di quelloche venne chiamato negli anni Sessantae Settanta la via africana al socialismo,fu realizzato in molti villaggi.Inoltre, per un consolidamento del suoprogetto, Nyerere aveva capito che eranecessario tener conto anche del grandeproblema del tribalismo. Per questo ilgoverno cominciò a trasferire la gente

da un posto all’altro, approfittando del-l’età scolare e delle scuole medie inferiori.Se l’educazione primaria avveniva vicinoa casa, quella secondaria doveva essere

assicurata in un’altraprovincia. Il governopagava anche per ilviaggio e l’ostello el’educazione era gra-tuita. Questo processoha significato per lagente perdere la cul-tura iniziale e origi-naria, ma si è favorital’integrazione dellapopolazione.

SUPERARE LE BARRIE-RE DEL TRIBALISMO

La Tanzania è una parte dell’Africa doveormai non esistono più problemi fra letribù. Il swahili, inoltre, è la lingua ditutti ed ha unificato il Paese, superandole barriere dei vari idiomi tribali. Lospirito della politica di Nyerere, per altroscritto nella Costituzione, è ancora vivoanche se la globalizzazione sta lasciandoun segno e la politica è cambiata. Glisviluppi storici con l’avvento di Idi Aminin Uganda e la conseguente guerra fra idue Paesi, scelte forzate imposte dalFondo monetario internazionale, hannocambiato profondamente la ujamaa,che rappresenta tuttavia una fase im-portante della Tanzania ed una potenzialescelta anche per altri Paesi del conti-nente.L’uomo, al centro della propria comunità,resta il messaggio di questo statista can-didato alla santità. «Il fine della Chiesa èl’uomo – aveva dichiarato nel 1979 vi-sitando la casa generalizia dei padri diMaryknoll a New York – la sua dignità eil suo diritto a svilupparsi in libertà.Tutte le istituzioni umane, compresa laChiesa, sono fondate per servire l’uomo.[…] La Chiesa dovrebbe trovarsi in primafila ad attaccare ogni struttura […] cheopprima gli uomini e che neghi loro ildiritto ed il potere di vivere da figli diun Dio amorevole».

S e fosse solo una statua - anche se ma-stodontica, anche se la più alta dell’In-

dia - l’evento in sé lascerebbe il tempo chetrova. Ma la grandezza del monumento èun messaggio che intende mostrare pla-sticamente l’immensità della misericordiadi Gesù ed è l’emblema di un santuarioche è meta di pellegrini di ogni fede. Luogodi preghiera e meditazione, Dayasagar(che letteralmente significa “oceano di Mi-sericordia”) si trova a 15 km dalla città diSagar, nel villaggio di Khajooria Guru, Statoindiano di Madhya Pradesh.La statua rappre-senta Gesù bene-dicente, è alta 13metri, pesa 1,5tonnellate ed èposta su un basa-mento di cementodi 30 metri. Realiz-zata in materialetermoindurente,misura 5 metri dilarghezza e uno diprofondità.Benedetta il 30settembre scorsodal cardinale Ge-orge Alencherry,arcivescovo mag-giore della Chiesacattolica siro-ma-labarese, alla pre-senza di oltre 20vescovi e di pelle-grini provenientida Stati Uniti, Ca-nada, Francia,Germania e Italia,la statua ha riunitointorno a sé mi-gliaia di indianicristiani e non cri-stiani, tutti devotidella Divina Mise-ricordia.

di Chiara Pellicci

LA PIÙ ALTA DELL’INDIA

OSSERVATORIO

GOODNEWS

L’uomo, al centro dellapropria comunità,resta il messaggio diquesto statistacandidato alla santità.«Il fine della Chiesa èl’uomo» avevadichiarato nel 1979.

Nella foto:

18 Ottobre 1999. La folla accompagna ilferetro di Nyerere, morto alcuni giorni primaa Londra. L’ex presidente della Tanzaniariposa a Butiama, sua città natale.

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

P er raggiungerlo si sale su in alto fin dove crescono le rose piùprofumate di Roma. E dove svettano le antenne radio più potentidella capitale. Attraversando piazzali bianchissimi, viali alberati e

chiese, occhio alla stella polare del cupolone, lo si intravede tra lefronde. Il Pontificio Collegio Etiopico è qui, nel cuore della Città delVaticano, da quasi cento anni. Giunti in vetta incontriamo un fratevestito col semplice saio e un paio d’occhiali da sole: è Dawit Worku, ilrettore.«Papa Francesco prima o poi verrà a visitarci: qualcuno mi dice chepotrebbe farlo all’improvviso, anche oggi, senza annunci e noi loattendiamo con grande gioia!», dice Dawit, 40 anni, etiope, uomo daimodi pacati e dalla sottile vivacità intellettuale. Suor Stella ci offre ilcaffè nel refettorio, dove regna un bel silenzio: «Questo collegio èperfetto per la meditazione e la preghiera – mi bisbiglia in un orecchiol’anziana colombiana che è qui da appena 20 giorni –: è un luogosilenzioso e mistico». E anche ricco di storia.«I pontefici hanno sempre dimostrato la loro benevolenza. Prima lastruttura ospitava seminaristi, oggi alloggia sacerdoti etiopi o eritrei

giunti a Roma per proseguire glistudi universitari». La generosità dei papi si intuiscedalla decisione di mantenere questocollegio entro le mura del Vaticano,quasi per non spezzare il filo che dasempre li lega alla Chiesa del NordAfrica. Forse perché, come disse PioXI, «il nero sta bene sul bianco comela pupilla nera si accorda con ilbianco dell’occhio». Questa strutturaoggi ospita anche le riunioni delleConferenze episcopali di Etiopia edEritrea.

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La generosità dei papi siintuisce dalla decisionedi mantenere il Collegioentro le mura delVaticano, quasi per nonspezzare questo filo cheda sempre li lega allaChiesa del Nord Africa.

Africa all’ombra del cupolonedi ILARIA DE BONIS

[email protected]

Frate cappuccino, appassionatodella filosofia di Jean PaulSartre, esegeta del pensatoremistico Zara Yacob, hainsegnato per anni nei seminaridi Addis Abeba. Oggi, ad appena40 anni, l’etiope Dawit Worku èil rettore di un luogo specialenel cuore del Vaticano: il Pontificio Collegio Etiopico, un pezzo d’Africa tenacementevoluto dai papi.

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A pag.42:

Il rettore del CollegioEtiopico, Dawit Worku.A fianco:

Due sacerdoti ospiti dellastruttura in Vaticano.In basso:

Uno scorcio dell’edificionel quale ha sede ilPontificio Collegio.

In realtà le origini del collegio risalgonoai primissimi pellegrini abissini che apartire dal lontano 1350, partivano dal-l’Etiopia, percorrendo per mesi e mesi iltragitto faticoso che dal deserto li portavaprima ad Alessandria, poi a Gerusalemmeed infine a Roma. Pregavano nella chiesa di santo Stefanodegli Abissini, costruita nel 440 ed eranoospiti dell’annesso ospizio. Durante ilpontificato di Leone X il complesso vennetrasformato in un monastero e destinatoai monaci che venivano a riposarsi altermine dei loro pellegrinaggi. «Solomolto dopo venne costruito questo Col-legio pontificio, un vero e proprio istitutodi accoglienza, una casa che dal 1919 al1980 ospitava seminaristi e che oggi ac-coglie sacerdoti diocesani» di rito orientale. «Quest’anno abbiamo 16 sacerdoti tranoi: 14 vengono dall’Etiopia e due dal-l’Eritrea». Li si intravede in cortile e nellabella cappella del collegio. E i rettori? «Dopo tanti anni, dal 2012 ilcollegio è stato riaffidato all’ordine deiFrati minori cappuccini», dice con soddi-sfazione Dawit. Gli chiediamo di rac-contare come è avvenuta la sua nomina.«Ero a Roma per finire gli studi; hodiscusso la tesi di dottorato il 27 febbraio2012. Dopo aver consegnato la tesi stavoper rientrare definitivamente in Etiopia- ride sotto i baffi mentre racconta -.Ma due giorni dopo mi chiama il padregenerale e mi dice: “Dawit io e te dob-

biamo parlare”. “Ma come - faccio io -ci siamo visti a Roma due giorni fa, chenovità c’è adesso?”. “Ci hanno richiestoun servizio in Vaticano”. Non credevo aquello che sentivo. Mi ha detto: “Ti hannonominato rettore del Collegio etiopico”.L’unica cosa che ho risposto è stata: “Perfavore, cercate qualcun altro”. Gli hodomandato tempo ma lui ha replicato:“Allora prima di cena fammi avere la tuarisposta!”». E naturalmente la risposta èstata sì.Si tratta di un servizio diplomatico, acontatto con i vescovi ma anche con glistudenti che vivono qui e frequentanole diverse università. «Sono tornato a casa solo due volte que-st’anno: la prima per partecipare ad unaconferenza, e la seconda per presentarela mia tesi di dottorato suZara Yacob».Di questo filosofo abissino,vissuto nel 1600, il rettoreconosce ogni sfumatura delpensiero: ha scritto una tesidi dottorato sul mistico chesi rifugiò in una grotta.«Era un professore di sacrescritture ma quando ha vistopersecuzioni e guerre è scap-pato ed è diventato un ere-mita e lì è iniziata la sua ri-flessione filosofica: se Dioha creato l’uomo – diceva -e l’uomo è buono, perché le

guerre? Yacob ha criticato anche il mo-nachesimo, il digiuno, ecc. e alla fine hadetto: “Dio è buono quindi la creatura diDio è buona”. È contro i divieti e lerigidità del monachesimo. Possiamo direche Yacob cerca di combattere tuttoquello che rende più dura e castigata lavita».Dawit ci stupisce non poco quando glichiediamo qual è il suo filosofo preferito.«Jean Paul Sartre – risponde senza esita -re – . Mi piace perché grazie alla letturadi pensatori atei riconfermo ogni voltala mia fede». E ci piace immaginare chenei giardini del Vaticano tra le rose e lefontane antiche, si aggiri di tanto intanto un filosofo etiope amico dei pon-tefici, che legge Sartre e commenta ilVangelo.

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Pontificio Collegio Etiopico

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MUTAMENTI Democrazia diretta e potentati

di regolazione». E si distingue in modopreciso da government, che indica invecel’aspetto istituzionale del governare.Da diversi anni è in corso un dibattitosulle modalità con cui viene gestita lagovernance mondiale. Se finora a guidarebuona parte del pianeta è stata la de-

mocrazia dei potenti e delle lobby eco-nomiche, da tempo vari soggetti in varieparti del mondo cercano di realizzareuna democrazia inclusiva che prevedala partecipazione alla pari di tutti gliinteressati a una determinata regola-mentazione (in inglese si parla di modello

I l governo del mondo nelle maninon più e non solo dei governanti,ma anche e soprattutto dei “gover-

nati”: la governance mondiale è un fe-nomeno che si sta evolvendo sotto inostri occhi.Già il termine è di per sé indicatore diun mutamento storico-politico perchési riferisce, come spiega Sandro Chignola,docente di Filosofia politica all’Universitàdi Padova, al «modello di relazioni chesi consolida tra gli attori pubblici eprivati partecipanti al processo decisionalenell’ambito di un determinato settore

di LUCIANA [email protected]

Verso unagovernance

popolare

Verso unagovernance

popolareLe decisioni politiche ed economiche mondiali sonostate prese finora da lobby e summit ristretti tra ipochi “grandi” che contano. Sempre di più, però, si fastrada una democrazia dal basso fatta di gruppi dipressione, società civile organizzata, cittadini in reteche rompono gli schemi.

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sottolinearne l’obsolescenza. Sulla suariforma è in corso un annoso dibattito,ma per ora nulla di fatto.Altrettanto insoddisfacenti come modellodi governance mondiale sono ritenuti ivertici tra i capi di Stato e di governo,quali il G7 (decollato nel 1975 e compostoda Stati Uniti, Germania, Giappone,Francia, Regno Unito, Canada e Italia),poi diventato G8 nel 1998 con la Russia.Nato per trattare questioni economichee valutarie, si è trasformato in forumcon aspirazioni di leadership sui principalidossier dell’agenda politica global. Lacrisi economica e i mutati equilibri mon-diali hanno avuto come conseguenza ilpassaggio di consegne dal G8 al G20nel 2009. Però il timone resta in manoai leader politici ed economici.In ambito strettamente finanziario è datempo al centro delle critiche la gover-nance del Fondo monetario internazio-nale (Fmi). Nel 2010 ha approvato unnuovo sistema di distribuzione dellequote e dei voti (dando più peso aiBrics, cioè Brasile, Russia, India, Cina,Sudafrica), ma non è ancora effettivoperché non ratificato da alcune nazioni,tra cui gli Usa.Si tratti di Onu, Fmi o G8, le decisionivengono sempre prese dai rappresentantidei governi. Proprio per questo, a marginedei mega-vertici istituzionali, si svolgono

spesso conferenze parallele,controvertici e manifesta-zioni di protesta da partedi movimenti no-global,associazioni pacifiste egruppi di pressione dellasocietà civile organizzata.Un movimento di conte-stazione pacifica, OccupyWall Street, è nato nel set-

tembre 2011 per denunciare gli abusidel capitalismo finanziario e si è con-cretizzato in una serie di dimostrazionia New York davanti alla sede della Borsa,considerata l’epicentro della finanzamondiale.Anche in Europa è sempre più forte lavolontà di partecipazione della società

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civile ai tavoliche contano,anche se il pas-saggio non èancora avvenu-to. Il popolo siorganizza e siinforma, è pre-sente virtual-mente. In questocontesto può es-sere inquadrata la fioritura di movimentipolitici nati dalla Rete: lo svedese Pirat-Partiet, un analogo partito in Germaniae il Movimento 5 Stelle in Italia. Un fe-nomeno sintomatico del bisogno deicittadini di trovare un canale di comu-nicazione alternativo a quelli istituzionalie del potere rivoluzionario della Rete.Ma, come in un gioco di scatole cinesi,da diversi mesi il mondo si sta interro-gando sulla necessità di modificare lastessa governance di internet, fino aquesto momento sostanzialmente inmano agli statunitensi che per primi nehanno colto e amplificato le potenzialità.Al vertice dell’Itu (agenzia Onu per letelecomunicazioni) del 2012 a Dubai siè consumato lo strappo tra Usa e Ue dauna parte, che tifano per una Reteauto-governata (però di fatto in manoai big della internet economy), e Cina eRussia più altri Paesi dall’altra, che pun-tano su una stretta sorveglianza gover-nativa. Ma di recente Fadi Chehadé,presidente e Ceo dell’Icann, potenteente no-profit americano che distribuiscei domini internet, ha lanciato una pro-posta che va nella direzione di unanuova governance: «Serve un’istituzionemultistakeholder – ha detto - che riu-nisca governi, aziende, esperti dell’In-formation and Communication Techno-logy, accademici ed esponenti della so-cietà civile. La Rete è diventata troppoimportante perché le decisioni venganoprese da una sola istituzione. E questanon può essere l’Itu, che rappresenta igoverni».Se se n’è accorto chi lavora per i “potenti”,la svolta potrebbe essere vicina.

multistakeholder). È unaforma di partecipazionepopolare che cresce ein certi casi smonta learchitravi del potere uf-ficiale prima che agi-scano.Da tempo ha iniziato ascricchiolare il modelloOnu, principale struttura di organizza-zione intergovernativa. Il fatto stessoche la Carta di San Francisco del 1945attribuisse il seggio permanente e ildiritto di veto nel Consiglio di Sicurezzaalle potenze vincitrici della Secondaguerra mondiale (Stati Uniti, Russia,Cina, Regno Unito, Francia), non fa che

Da diversi anni è incorso un dibattitosulle modalità con cuiviene gestita lagovernance mondiale.

Da tempo hainiziato ascricchiolare ilmodello Onu,principale strutturadi organizzazioneintergovernativa.

L’altra

S embra che non ne faccia più una giusta ormai: qual-cuno in Occidente lo giudica troppo bellicoso e pros-simo alla politica interventista di Bush, qualcun altro

in Medio Oriente lo accusa di codardia e falso pacifismo.In generale Barack Obama è sempre meno popolare sia in Oc-cidente che tra gli arabi e gli israeliani, i quali, per opposteragioni hanno stigmatizzato la marcia indietro del Presiden-te rispetto alla “crociata” siriana.

edicola

di ILARIA DE [email protected]

Obama e la Siria

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LA NOTIZIA

LA DIPLOMAZIA SEMBRA FINORAAVER AVUTO LA MEGLIO RISPETTOALLA CRISI SIRIANA. BARACK OBAMAIL 10 SETTEMBRE SCORSO HACHIESTO AL CONGRESSO AMERICANODI RITARDARE IL VOTOSULL’INTERVENTO MILITARE USACONTRO LA SIRIA, PER DARE UNACHANCE ALLA SOLUZIONE POLITICA.LA STAMPA INTERNAZIONALE HAESPRESSO GIUDIZI CONTRASTANTISUL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI,CHE COMUNQUE PERDE CONSENSI.

SE L’UOMOPRENDE IL POSTO

DI DIO

SE L’UOMOPRENDE IL POSTO

DI DIO

di ILARIA DE [email protected]

ve Gilbo -. Questi personaggi fiutano la de-bolezza a distanza come fossero cani dacaccia e capiscono che, anche se l’opera-zione americana fosse portata avanti, sa-rebbe simile ad un leggero schiaffetto, e chesubito dopo Assad potrebbe tranquillamen-te riprendere le sue operazioni usando ae-rei, missili, tank o semplici coltelli da ma-cellaio».Il giornalista Hagay Segal su Yedi’ot Ahro-not scrive qualcosa di analogo, azzardan-do un giudizio storico: «Barack Obama nonriceverà medaglie al valore. Gli storici lo de-rideranno – dice –. Scriveranno che nel 2012il presidente fissò una red line per i sirianie quando questi la oltrepassarono nel2013 fece ogni sforzo per sottrarsi al pro-prio dovere (…). Il linguaggio corporeo delpresidente suggerisce determinazione mala sua azione comunica debolezza».Per la stampa araba dei Paesi anti-Assad,Obama è ugualmente codardo, ma stavol-ta l’Iran non c’entra: la non-guerra alla Si-

ria, secondo i media sauditi equelli degli Emirati Arabi Uni-ti, è il segno che gli Usa nonhanno intenzione di schierarsicon la popolazione civile iner-me. E che dunque non difende-ranno gli arabi dal terrorismo diStato. In una lettera aperta alpresidente, il noto opinionista diAl-Arabiya, tv di Dubai, scrive-va settimane fa: «Mr Obama, adesser franchi, noi non abbiamoaltri che lei». Un attacco milita-re «è l’ultima chance». Al-Ara-biya è considerata l’emittentetelevisiva più allineata con isauditi ma in generale un po’per tutti i giornali arabi la discri-

minante non è tanto quella famosa “linea rossa” ormai var-cata da Assad che avrebbe usato armi chimiche contro i ci-vili (sebbene questa certezza sia oggi tramontata), quanto piut-tosto la violenza dimostrata dal presidente nel reprimere larivoluzione fin dall’inizio. Come dire, la linea è stata oltrepas-sata già da tempo, perché nessuno ha fatto niente? Gli Usasono gli unici cui il mondo arabo si rivolge, non avendo un’Eu-ropa di riferimento.

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«Se gli Stati Uniti sono così indecisi ed esitanti (sulla Siria, ndr)cosa succederà vis à vis con l’Iran?». Se lo chiede con preoc-cupazione Amos Gilbo sul quotidiano israeliano Ma’ariv nel-l’editoriale titolato “I malvagi sorridono”. La stampa ebraicaè evidentemente delusa e definisce i ripensamenti di Obamasu un attacco armato contro Assad «una debolezza perico-losa» che non lascia presagire nulla di buono per quanto ri-guarda il nemico israeliano numero uno dopo la Palestina:l’Iran.«Non credo serva molta immaginazione per figurarsi le fac-ce soddisfatte dei malvagi di Teheran, Damasco o Beirut – scri- »

In generale BarackObama è sempremeno popolare sia inOccidente che tra gliarabi e gli israeliani, i quali, per opposteragioni hannostigmatizzato lamarcia indietro delpresidente rispettoalla “crociata” siriana.

alleati. Certamente anche dall’Europa il presidente avrebbe ri-cevuto poco sostegno e comunque le opinioni pubbliche eu-ropee ed americane sono sembrate fin dall’inizio per niente con-vinte della necessità di questo attacco militare. Il francese LeFigaro scrive: «Ad esser sinceri, Obama ha cercato di replica-re sistematicamente ai dubbi e alle domande degli americani

circa la necessità di un’azione militare limi-tata in Siria…». C’è riuscito fino ad un certopunto, poi ha desistito.In definitiva, che lui fosse convinto o menodi questa guerra, il popolo americano stavol-ta non sarebbe stato con lui. Bastava guar-dare la rete, leggere i tweet, farsi un’idea del-l’aria che tirava tramite video e news on line.I social network hanno fin dall’inizio smon-tato le certezze sull’uso delle armi chimicheda parte del regime. Poi, tra gli eventi più at-tesi e più efficaci, è giunta la parola del papa.È arrivata la veglia per la pace di Francesco.«Guerra e violenza hanno il linguaggio del-la morte», ha detto il 10 settembre scorso. Ei quotidiani europei hanno così trovato i loro

titoli di prima pagina. «Quando l’uomo si lascia affascinare da-gli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto diDio – ha detto papa Francesco - rovina tutto: apre la porta allaviolenza, all’indifferenza e al conflitto».

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L’altraedicola

Obama e la Siria

«Che cosa ha fatto il presidente americano finora? – scriveil quotidiano panarabo Al-Hayat – Nulla!». Sotto scacco è lanon-azione più che il non-intervento armato. Non azione po-litica, diplomatica, fisica. L’altro motivo di critica nei confron-ti di Obama è la verosimile dipendenza da Israele: «Il gover-no israeliano che nelle sue fila annovera anche criminali diguerra, vuole che gli Usa distruggano ciò cherimane della Siria. Ancora più importante –scrive sempre Jihad el-Khazen di Al Hayat –Israele vuole che gli Stati Uniti attacchinol’Iran e distruggano il suo programma nuclea-re, cosicché Israele possa essere l’unica po-tenza nucleare della regione, minacciandoPaesi vicini e lontani».Di tutt’altro avviso sono naturalmente rus-si e cinesi. Fin dall’inizio pro-Assad. Per i pri-mi, sia il famoso discorso di Obama che haritardato il voto del Congresso americano, siail successivo parere negativo del Congresso,sono stati un successo diplomatico. «Non ri-cordo un altro simile successo della diploma-zia russa. Dico: bravo!», twitta così RT, unadelle tv di Stato russe.L’Iran plaude alla marcia indietro: Jomhuri-Ye Eslami, quoti-diano iraniano, scrive che Obama si è reso conto del fatto chesarebbe stato isolato se avesse attaccato. Non avrebbe avuto

«Barack Obama nonriceverà medaglie al valore.Gli storici lo derideranno.Scriveranno che nel 2012 il presidente fissò una red

line per i siriani e quandoquesti la oltrepassarono nel2013 fece ogni sforzo persottrarsi al proprio dovere».

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Tutto è puroper i puri

Tutto è puroper i puri

S ono le nove del mattino e il soleè già lì che fa il suo lavoro. Fuo-ri il paesaggio corre veloce come

il bus dove siamo saliti. La gente è benstretta, stiamo tornando verso casa el’aria che penetra dai finestrini porta unpo’ di refrigerio. L’enorme zaino che ten-go tra le mie gambe mi dà stabilità e mipermette di rendere inossidabile la mia

posizione. Il bus siferma: spero chequesta sia una fer-mata che facciascendere un po’ dipersone, invecesulla banchina cisono una decina dipasseggeri chetentano di salire.L’autista prende ilmicrofono e avvisa:«Ya està!» (cioè: ètutto pieno!). Lepersone insistono ad entrare. La pressio-ne è molta e il pudore di non toccare ilvicino viene superato dalla condizionedell’assenza di spazio.Suor Dionella Faoro, missionaria france-scana elisabettina, che da molti anni vivequi in Ecuador, mi guarda per capire seva tutto bene. Mi sorride e io faccio al-trettanto. Una mamma con un bambi-no di circa quattro anni riesce a farsi spa-zio e salire sul bus. Si rivolge a suor Dio-nella, ma non riesco a sentire cosa ledica. Dagli altoparlanti esce una frase:«Nos vamos!» (si parte!). Mi giro e vedoche il bambino di quattro anni è avvol-to dalle braccia di suor Dionella. Lamamma è di fronte, ma non ha nessunappiglio dove potersi tenere. Poco male,tanto siamo talmente “pigiati” che an-che se ci fosse una frenata non potreb-be cadere nessuno.Suor Dionella ha le spalle appoggiate aduna delle pareti del bus e questo le per-mette di dare più sicurezza al bambino.Il piccolo è tranquillo, come se stesse vi-vendo nella condizione più normaledel mondo, anche se ogni tanto con losguardo cerca la mamma. Il mio sguar-do, invece, non riesce a staccarsi da quel-la immagine. È bellissimo vedere lamissionaria che esprime tutta la sua ma-ternità nei confronti del piccolo e altret-tanto commovente vedere la fiducia cheil bambino ripone nella suora. Le ferma-te si susseguono una dopo l’altra e »

Ripenso a Gesùquando lungo la strada diCafarnao presein braccio unbambino el’immagine cheho di fronte non è moltodifferente.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

la missionaria stringe forte il piccolo.Mi chiedo: perché questo non capita piùin Italia? Perche qualcuno ci ha tolto ilpiacere di vivere un rapporto di vicinan-za con i bambini? Come può crescere unbambino senza avere fiducia nel pros-simo? Queste domande affollano lamia testa e non riesco però a trovare unavera risposta.Ripenso a Gesù quando lungo una stra-da di Cafarnao prese in braccio unbambino e l’immagine che ho di fron-te, probabilmente, nel contenuto non èmolto differente.Ripenso anche ai “Promessi Sposi”, aquando fra Cristoforo si rivolse a fra Fa-zio così: «Omnia munda mundis» (tut-to è puro per i puri). Non credo che inEcuador studino Alessandro Manzoni, macredo che il concetto l’abbiano ben chia-ro in testa.

Josè Soccal

Centro missionario diocesano di Belluno

I farmacidei poveri

I cappuccini in Benin sono impegna-ti da 25 anni nell’opera di primaevangelizzazione nelle tre missioni di

Cotonou, Ouidah (antico centro di com-mercio degli schiavi e di diffusione delvoodoo) e Ina, che in lingua baribà si-gnifica “venite”.Dopo 33 anni di vita missionaria, di cui23 passati in Madagascar e poi in Con-go, ora sono in missione a Ina da dueanni e mezzo. In questo piccolo centroho potuto mettere a frutto i miei studi

di medicina con la specializzazione inmalattie tropicali e ho curato tanti am-malati utilizzando anche i principi del-la medicina tradizionale.Il vescovo di N’Dali, monsignor MartinAdjou Moumouni, ha creato una gran-de realtà, l’ospedale San Padre Pio nelcuore della diocesi, e mi ha nominato di-rettore della Commissione per la salutedella diocesi. Mi occupo quindi di tuttii dispensari e sono cappellano del-l’ospedale inaugurato nel settembre2012 e dove, in tempi record, è stato tut-to attrezzato con la massima efficienza.Un miracolo per queste zone così pove-re, realizzato grazie agli aiuti provenien-ti dall’Italia. Dirigo anche il padiglionedi “Medicina naturale e ricerca” dove stu-diamo l’applicazione dei principi attividelle piante per attingere dalla natura imedicamenti. Ci sono molti principiche ancora non sono stati abbastanzavalorizzati e applicati perché non c’è sta-to uno studio approfondito. Ma sono

a cura diMIELA FAGIOLO

D’[email protected]

Posta dei missionari

convinto che questa è la “medicina deipoveri” perché nella natura, nelle pian-te (foglie, cortecce, radici, frutti, ecc.) c’ètutto quello che serve per guarire mol-tissime malattie. Ho formato una perso-

na del luogo, che conoscebene tutti i tipi di piantedella sua terra e le prati-che d’uso dei guaritori dacui la gente del postocontinua ad andare. Adesempio: nelle nostre te-rapie naturali usiamol’aloe vera, che unita almiele o ai principi attivi dialtre piante può curaremolte malattie, esaltandoil potere immunitario del-l’organismo. Usiamo l’aloeanche per combattere lamalaria, mentre piantecome la pervinca mada-gascariensis viene adope-rata anche in certe formedi tumore.

È molto importante incrementare la ri-cerca sperimentale in laboratorio per au-mentare il numero dei medicinali prodot-ti a basso costo e con una percentualedi principi attivi più alta rispetto aquella usata dalle case farmaceutiche.Così riusciamo ad offrire cure efficaci abassissimo prezzo, mentre i farmaci in-dustriali hanno prezzi inabbordabili perchi vive in Paesi poveri. Attualmente stia-mo cercando di realizzare un giardinobotanico con le piante più interessantidal punto di vista terapeutico, con mol-ti problemi per mantenere il patrimonionaturale. I prodotti che prepariamo ri-forniscono la farmacia dell’ospedale diN’Dalì. Nel futuro mi piacerebbe creareuno scambio, portando in Benin alcunepiante nostrane (come camomilla, parie-taria, valeriana, gramigna) e portando inEuropa l’antico patrimonio terapeuticodella vegetazione dei Paesi africani.

Fra Franco Nicolai

Frati minori Cappuccini

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Sono convinto che questa è la “medicina deipoveri” perché nella natura, nelle piante (foglie,cortecce, radici, frutti, ecc.) c’è tutto quello cheserve per guarire moltissime malattie.

L’adesione di chi accetta di seguire Cristo e il messaggio di liberazione che Lui hainnestato nel cuore stesso dell’umanità hanno bisogno di una robusta fede per essere

vissuti con coerenza in una società secolarizzata e pluralista come quella nella quale siamo inseriti.La persona che aderisce a Cristo non può limitarsi a fare questo atto solo intellettualmente obasandosi su concetti razionali che lo soddisfano. Il cristiano pratica la sua fede perché Cristo lo haafferrato, egli non è l’uomo del senso religioso: questo è importante ma non è ancora la fede.In chiusura di questo importante Anno della Fede, aperto da Benedetto XVI, che si conclude inoccasione della festa di Cristo Re, resta chiara la caratteristica della fede cristiana, cioè l’interazionecontinua tra colui che dice: «Io cerco la verità» e Cristo che gli risponde: «Io sono la via, la verità ela vita».La fede per i cristiani è quel modo di essere e di pensare che, prima di una conquista personale,frutto della volontà, è un dono di Dio. Però, l’espressione “la fede è un dono” non è da intendersinel senso che “a chi gli è dato, gli è dato e chi non l’ha ricevuto non può farci nulla”: è probabile che

chi l’ha ricevuto debba tenerselo comeun dono prezioso e chi non ce l’ha –questo dono - può sempre decidersi amettersi in ricerca.In ogni caso il dono della fede non è daintendere come un privilegio o garanziao, come velatamente si pensa, comeun’assicurazione per conquistarsi il Pa-radiso. Esso è da intendere come un’as-sunzione di responsabilità che impegnaa mostrare e a far sapere anche aglialtri ciò che si sa grazie alla fede, cioèche il mondo in cui viviamo non è unmondo orribile, brutale, che non ha sen-so, ma il senso del cosmo, del mondoe della coscienza di ogni persona, graziealla fede, si illumina in funzione di Cristo.Coerentemente a ciò, l’esistenza cheviviamo assume un senso pieno e veroproprio perché il dono della fede ci per-mette di vedere la realtà che ci circondae di viverla come l’ha vissuta Gesù diNazareth.Questa realtà l’hanno capita bene i mistici.

Santa Teresa D’Avila diceva appunto: «Nada te turbe, nada te espante, solo Dios basta» (Nulla titurbi, nulla ti spaventi, solo Dio ti basta). In questa semplicità siderale è racchiusa una delle piùgrandi affermazioni della coscienza e dell’animo umano: che Dio è tutto, che nella vita si possonoattraversare i sentieri più impervi e i deserti più aridi, ma la fede in Dio è sufficiente alla coscienzadi ogni essere umano, l’importante è credere che Lui è accanto a te e cammina sempre al tuofianco. Ciò non significa assolutamente che il credente non abbia momenti di sconforto, amarezzao scoraggiamento. Ma al termine di questo Anno della Fede, ci accorgiamo che la nostra fede inquanto dono è una conquista non del tutto raggiunta. Chiedere al Signore come dicevano i discepoli:«Credo, ma tu o Signore aumenta la mia fede» è un modo ancora attuale per essere e rimanere inquesta società testimoni credibili di Gesù Cristo.

Mario [email protected]

Comepotenziareil dono?

Comepotenziareil dono?

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lungo peregrinare per l’Europa (da Londraa Praga), per poi approdare, trascinato dauna fan incontrata in discoteca, a Shym-kent, terza città della popolosa ex repubblicasovietica. Dopo mille peripezie il nostrosvolta, grazie al web e a YouTube, conuna simpatica parodia di un classico diSting, Englishman in Shymkent che inbreve diventa un vero tormentone. Son

canta in un idiomatutto suo, mischian-do il kazako all’ita-liano, l’inglese alsuo dialetto (è ori-ginario di Paestum).Adesso riempie glistadi e si sta facen-do ricco cantandoai matrimoni deinuovi vip e tycoon

locali; nel frattempo,come spesso acca-de in casi del gene-

re, anche in Italia qualcuno s’accorgedi lui (DeeJay Tv gli ha dedicato unospeciale), ma non ha alcuna intenzione

MU

SIC

A

di mollare il suo Eldorado: «La gente èaperta – ha dichiarato a La Stampa –hanno le 128 come negli anni Settanta,ma pensano in grande. Ci sono 140 diverseetnie, capisci? Qui nessuno si sente stra-niero: aspettano tutti il boom!».Elhaila Dani invece è albanese. Lei “il suc-cesso” l’ha trovato proprio qui da noi, an-dando a vincere la prima edizione di The

voice of Italy di Rai2. L’italiano l’ha imparatodavanti alla tv in quel di Tirana, finchéalcuni talent scout l’hanno invitata a cercarefortuna qui da noi, dopo che l’anno scorsos’era aggiudicata il Top Fest, una speciedi Sanremo albanese. E adesso tra i suoinuovi fan c’è già il presidente Berisha, etra i suoi più entusiastici sponsor addiritturaCocciante, che pare le abbia già scrittouna canzone su misura per il suo primoalbum italiano. Un sogno che echeggiaquello del connazionale ballerino KleidiKladiu, sbarcato da una carretta del marequalche anno fa, e quello più recente diDaniel Adomako, il bresciano-ghanesetrionfatore mesi fa di Italia’s Got Talent.Due storie, due belle favole se vogliamo,che dicono molto anche su una globaliz-zazione meno perversa di quella che so-litamente riempie le cronache planetarie.Il futuro ci dirà se trattasi di semplici transitidi meteore o di qualcosa di più duraturo.Perché come predicano tutti quelli che cel’hanno fatta davvero, il problema del suc-cesso non è riuscire ad agguantarlo, mariuscire a tenerselo stretto...

Franz Coriasco

[email protected]

Elhaida & Son:Elhaida & Son:

INCROCI PARALLELIINCROCI PARALLELI

R ecentemente le bizzose cronache delmusic-business hanno portato alla

ribalta due storie e due personaggi moltodiversi tra loro, ma che ben esprimonoquanto strane possano essere le stradeche portano al successo in questo piccolomondo baluginante. Il 26enne Son Pascal– al secolo Pasquale Caprino – è qui inItalia ancora un Carneade di belle speranze,ma, incredibile a dirsi,diventato una star ad-dirittura nel lontano echiacchieratissimo Ka-zakistan. Alle spalle un

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Usa e getta: si chiama donna

R imettere l’uomo al centro dell’economia. Recuperare “il bene”e non solo “i beni”. Perché in una società in cui la politica è

stata sostituita dagli indici di Borsa e «il mercato è diventato laprincipale grammatica delle relazioni sociali, anche nelle scuolee negli ospedali», il recupero di temi come «la cura e la festa, ildono e la comunità», consente di ritrovare la dimensione etica emorale dell’economia. È il senso di “Economia con l’anima” diLuigino Bruni, professore ordinario di Economia all’UniversitàLumsa di Roma, docente all’istituto universitario Sophia di Loppiano(Firenze) ed editorialista di Avvenire.«Con questo libro - introduce Anna Pozzi - il professore ci guidaattraverso i temi della crisi, per indicarci poi le parole della speranzae del cambiamento. E lo fa non con statistiche, dati o percentuali,ma attraverso percorsi di senso e significato, che recuperano ladimensione “umana” dell’economia. Il che non significa nascondereo mistificare i tempi difficili che stiamo vivendo. Ma significaprovare a guardarli con occhi e occhiali, ovvero strumenti, diversi.E anche a raccontarli con categorie non scontate».«Ci siamo accorti - spiega l’autore - che gli indici di Borsa e lospread non sono faccende lontane per gli addetti ai lavori, masono capaci di cambiare i governi, i nostri bilanci familiari, i nostri

progetti di vita. E allora dobbia-mo occuparcene tutti, abitandodi più questi luoghi che se re-stano disabitati dai cittadini, allalunga diventano inumani».Una lucida analisi della crisi chemette in evidenza le incongruen-ze del mondo bancario che haridotto il credito anche alle im-prese virtuose; dell’Europa chevive «la crisi più profonda dallasua fondazione» e del capitali-smo «cui abbiamo dato vita soprattutto in Occidente». C’è qualcosadi sbagliato, secondo l’autore, che «non ha a che fare con lafinanza e forse neanche con l’economia, perché si gioca a unlivello della nostra cultura molto più profondo».«La crisi che stiamo sperimentando - spiega ancora Bruni - ècome una febbre che segnala che qualcosa non va nell’organismo.E siccome la febbre dura da tempo e la temperatura aumenta, lafebbre va presa molto sul serio».

Mariella Romano

Umanizzare lo spread

Luigino Bruni

ECONOMIA CON L’ANIMAEdizioni Emi - € 12,00

blicità bugiarde. Ad attenderle una catena,grande, robusta, più forte di ogni desideriodi libertà, simbolo di una schiavitù som-mersa che grida, silenziosa.Il libro “Schiave. Trafficate, vendute, pro-stituite, usate, gettate. Donne”, (San Paolo),colpisce per realismo, per la sua denunciaintrisa inspiegabilmente di speranza. Nientecensure, niente da nascondere per le autrici,Anna Pozzi, giornalista di Mondo e Mis-

sione, e Suor Eugenia Bonetti, missionariadella Consolata, il mal d’Africa nel sangue,combattente pacifica sul fronte dei dirittiumani. Insieme sono riuscite a presentareun mosaico di testimonianze, tasselli di

vite, frammenti di quotidianitàvenuti a galla dagli abissi deldegrado più infimo del nostroBel Paese. Le protagonistesono coperte, per sicurezza,

da nomi di fantasia, ma le storie sono fintroppo vere, raccontate in pagine che tra-spirano coraggio, con parole capaci di leg-gere dentro la coscienza di una opinionepubblica italiana quasi del tutto inerme.«La prostituzione non è un fenomeno nuovo;ciò che è nuovo è che questo commercioglobale sfrutta l’estrema povertà e vulne-rabilità delle molte donne e minorenni im-migrate: le schiave del XXI secolo». Alzala voce suor Eugenia, cercando di sfondareil muro di silenzio, di indifferenza che cir-conda il tema. Nel cuore del testo cinqueparole chiave per analizzare il problema:traffico, schiavitù, clienti, prevenzione erepressione, vie d’uscita. Battiti dolorosi,fotografie eloquenti e crude della tratta.Ma anche alcuni spiragli di salvezza.

Lucia Catalano

«Q uando mi hanno proposto di venirein Italia ero felicissima. Era un so-

gno. Mai avrei potuto immaginare quelloche mi avrebbero costretta a fare». È lavoce di un “angelo nero”, una delle tanteombre che popolano dal tramonto i nostrimarciapiedi. Storie di migrazioni volontarieo forzate, storie di prostituzione. Migliaia

di donne di prove-nienze diverse matutte attratte, abba-gliate dai “finti para-disi” sbattuti in primopiano dai media oc-cidentali e da pub-

LIB

RI

Anna Pozzi e Eugenia Bonetti

SCHIAVETRAFFICATE, VENDUTE, PROSTITUITE,USATE, GETTATE. DONNE.

Edizioni San Paolo - € 18,00

PER CONOSCEREPAPA FRANCESCO

Umiltàla strada verso Dio

Jorge Mario Bergoglio

FRANCESCO

GUARIRE DALLACORRUZIONE

GIANNI VALENTE

FRANCESCO UN PAPA DALLA

FINE DEL MONDO

PUOI INVIARE IL TAGLIANDOANCHE VIA FAX al n. 051/327552o telefonare al n. 051/326027PRIVACY: Ai sensi dell’art. 13 del d.lgs 196/2003 in materia di protezione dei dati personali la informiamo che i dati raccolti vengono trattati nel rispetto della legge. Il trattamento dei dati sarà correlato all’adempimento di fi nalità gestionali, amministra-tive, statistiche, di recupero crediti, ricerche di mercato, commerciali e promozionali su iniziative offerte da EMI della Coop. Sermis ed avverrà nel pieno rispetto dei principi di riservatezza, correttezza, liceità e trasparenza, anche mediante l’ausilio di mezzi elettronici e/o automatizzati. I dati personali conferiti saranno trattati anche con mo-dalità elettroniche e telematiche da EMI per gestire la registrazione al sito ed erogare i servizi riservati agli utenti registrati, ivi compresa la partecipazione ai nostri blog e, ove selezionato, per inviare la newsletter del sito. I dati raccolti potranno essere comunicati a Partners commerciali della EMI, il cui elenco è disponibile presso il Re-sponsabile Dati. Il conferimento dei dati è facoltativo. Tuttavia il mancato conferimento degli stessi non permette di esaudire la richiesta di registrazione e comporterà la mancata elargizione dei servizi previsti. In ogni momento si potranno esercitare i diritti di cui all’art. 7 del d.lgs 196/2003, fra cui cancellare i dati od opporsi al loro utilizzo per fi nalità commerciali, rivolgendosi al Responsabile Dati della EMI, Via di Corticella 179/4 - 40128 Bologna o anche via e-mail a: [email protected]

TAGLIANDO DI RICHIESTACompila e spedisci in busta chiusa, affrancando come lettera, a:

SERMIS-EMI Editrice Missionaria Italiana - Via di Corticella 179/4 - 40128 BolognaSì desidero ricevere i volumi sotto elencati nelle seguenti quantità (in cifre):

Francesco, un papa dalla fi ne del mondo Umiltà, la strada verso Dio Guarire dalla corruzione

Ciao, sono Francesco La lista di Bergoglio

Quanto ordinato verrà inviato all’indirizzo indicato qui sotto. Non invio denaro ora ma pagherò con: Bollettino Postale che mi invierete Bonifi co bancario (dati IBAN nella ricevuta all’interno del pacco)

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VADO A SCUOLA

J ackson, 10 anni, prima dell’alba siarma di cartella, tanica d’acqua e ba-

stone e lascia il suo villaggio rurale inKenya. Il passo è veloce ma la strada èlunga: 15 chilometri pieni di solitudine edi rischi. Che effetto fa passare tra lealgide giraffe, nascondersi per evitare lastizza di un elefante o raccogliere unfrutto selvatico e mangiare la “merendina”tra i cespugli della brousse? Ce lo raccontail film “Vado a scuola” una produzionefrancese del regista Pascal Plisson, pre-sentata con successo all’ultimo Festivaldel cinema di Venezia.Il film racconta i percorsi di quattro piccoli

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noscono la durezza dell’esistenza ma che- dice - hanno tutta la forza e l’allegriadella loro età. «Questi bambini non sonoattori: volevo che continuassero a viverela loro vita e che rimanessero se stessinonostante la nostra presenza. Ho anchefatto il viaggio a scuola con ciascuno diloro diverse volte, così ho potuto veramentecapire com’era, cosa succedeva duranteil cammino. Ho voluto che si comportas-sero con naturalezza, li lasciavo percorrereil loro cammino verso la scuola liberamentee mi posizionavo sulla strada per filmarli».

scolari di altrettante aree del mondo:dal Kenya di Jackson alle montagnedel Marocco di Zahira, dalla Pata-gonia di Carlito, alle sponde delGolfo del Bengala di Samuel. Im-mersi in panorami e climi diversi, ibambini sono accomunati dallastessa sete di emancipazione edalla convinzione che la conoscenzasia il primo gradino della scalaverso lo sviluppo della persona.Zahira ha 11 anni e il velo le coprei capelli, insieme alle compagneZineb e Noura è diretta alla Junior

School Asni: è talmente motivataa diventare una donnapoliziotto che incoraggiale amiche a superare stanchezzae difficoltà pur di arrivare intempo alla meta. Zaino sullespalle e una borsa in mano dacui occhieggia una gallina davendere al mercato, la ragazzinaha già imparato che la vita èun lungo percorso lungo il qualefermarsi significa arrendersi.Non a caso il regista Plissonintroduce il film parlando diquesti bambini come di eroi.Piccoli uomini e donne che co-

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I sogni nellacartella

vivere su una rudimen-tale carrozzella con cuiogni mattina affrontastrade sterrate, sabbio-se e paludi, spinto daidue fratelli più piccolicon un coraggio e unaallegria commoventi.Samuel, Emmanuel eGabriel sembrano una“macchina umana”, tra-scinano un peso enor-me, aggiustano in modorudimentale ruote ar-rugginite, affondano inbuche che mettono arepentaglio la sedia diSamuel, impegnato a

raccontare storie che rivelano la sua bril-lante intelligenza e uno spiccato sense of

humor. Dice ancora il regista: «Non èpossibile immergersi in questo tipo diprogetto e poi lasciare le persone che haiincontrato dove le hai trovate, come seniente fosse. Sono ancora in contatto

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E mentre le quattro storie scorrono inparallelo, ecco Carlito che lascia il villaggiotra le valli della Patagonia per affrontare i25 chilometri quotidiani in groppa al suocavallo Chiverito. Insieme alla sorellinaMicaela, attraversa paesaggi mozzafiato,dalle cime andine innevate alle valli apertebattute dal vento di quella terra alla “finedel mondo”. Felici, nel vento, le guancerosse come mele, i due fratelli corronoverso il futuro che inizia dalle loro classi:Carlito sarà veterinario per aiutare gli al-levatori di bestiame della zona e la sorellinauna maestra che insegnerà ai loro figli.Ma la storia più bella è quella di Samuel,figlio di una poverissima famiglia di pe-scatori in un villaggio nel sud Madurai,sul Golfo del Bengala. Colpito dalla po-liomielite a 12 anni, Samuel è ridotto a

con i bambini. Abbiamo acquistato unasedia a rotelle per Samuel più adatta allesue esigenze. I bisogni di Carlito e Zahirasono diversi e abbiamo lavorato con lescuole e con le organizzazioni che li sup-portano. Ogni bambino deve essere aiutatoa sviluppare il proprio potenziale, sia cheviva in un angolo sperduto del pianeta,sia nelle nostre città».Fuori da ogni retorica, il film ci raccontadi bambini veri, che domani e nei giornidopo ancora si troveranno ad affrontarele stesse difficoltà e gli stessi percorsiper accedere ad un’istruzione che permolti altri coetanei più fortunati con lascuola dietro casa, è magari solo un ob-bligo noioso. Il film è dedicato a tutticoloro che lottano per migliorare se stessie il mondo che li circonda. Perciò andrebbefatto vedere in tutte le scuole italiane.Soprattutto agli studenti che si sentonofurbi a marinare le lezioni.

Miela Fagiolo D’Attilia

[email protected]

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VITA DI MISSIO

C hissà quante volte un donatore,nel momento in cui si apprestaa fare un versamento postale o

un bonifico, si chiede: «Dove finirannoquesti soldi?». Poi, con lo spirito della so-

vono annualmente alla Pospa conl’obiettivo di illustrare le attività pasto-rali svolte, le novità della famiglia se-minariale, le gioie dei corsi conclusi e lagrazia delle ordinazioni celebrate.Di recente, al segretariato nazionale ita-liano della Pospa è arrivata la relazio-ne del Seminario Sacro Cuore di Poona-mallee, nel distretto del Chennai, arci-diocesi di Madras-Mylapore (India).Questa struttura offre un programma di

zi economici per la costruzione dei Se-minari e il mantenimento dei semina-risti delle Chiese del Sud del mondo - èfacile ottenere una risposta completa,precisa ed esaustiva alla domanda cloudell’offerente: basta entrare in uno dei30 Seminari sostenuti dalla Pospa, perconoscerne attività annuali e stile di vita.Ovviamente non è possibile visitarliconcretamente, partendo per il Pakistano il Burundi. Ma è possibile affacciarsialle loro finestre, informandosi su cosasuccede tra le mura di queste struttu-re e, soprattutto, divenendo partecipi deicammini personali e comunitari che visi compiono. Per farlo, sono preziose le

Pontificia Opera di San Pietro Apostolo

di CHIARA [email protected]

lidarietà e della fiducia, si risponde chevale sempre la pena essere generosi, chel’importante è donare, che «chiunque nebeneficerà, andrà bene…».Per i 15mila benefattori del Segretaria-to nazionale italiano della PontificiaOpera di San Pietro Apostolo (Pospa) -che assicura in maniera regolare i mez-

Ecco a cosaservono le offerte

relazioni che i rettori dei Seminari scri-

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ADOTTA UN SEMINARISTA

A lla Pontificia Opera di San PietroApostolo (Pospa), che sostiene le

vocazioni sacerdotali delle giovani Chie-se, attualmente sono affidati circa 78milaseminaristi distribuiti in poco meno di mil-le Seminari.Il Segretariato nazionale italiano si occu-pa del sostegno di 30 seminari con cuiè in contatto diretto attraversi i rettori:molti di loro si premurano di tenere ag-giornati i benefattori sui percorsi scola-stici dei seminaristi e sulle attività svol-te negli istituti.Se anche tu desideri accompagnare ilcammino vocazionale di un giovaneafricano, asiatico, latinoamericano odell’Oceania fino alla sua ordinazione sa-cerdotale, puoi farlo attraverso l’adozio-ne missionaria: si tratta di pregare per luie di sostenerlo con un contributo eco-nomico annuale di entità libera, da ga-rantire per cinque anni (versabile anchein un’unica tranche). A puro titolo di

orientamento si indicano le seguentisomme, rateizzabili in cinque anni:• adozione parziale: € 250 (contributo

minimo al mantenimento di un se-minarista per un quinquennio);

• adozione totale: € 2.600 (manteni-mento completo di un seminaristaper un quinquennio).

A chi attiva un’adozione viene inviato unattestato con la foto e i dati essenziali delseminarista e, ogni anno, una lettera conl’aggiornamento del suo cammino sco-lastico. Una volta che il seminarista vie-ne ordinato sacerdote, l’offerente ne ri-ceve notizia con l’arrivo a casa del ricor-dino preparato per l’occasione.

Per maggiori informazioni:Pontificia Opera di San Pietro ApostoloVia Aurelia 796 - 00165 RomaTel. 06/66502621; Fax 06/66410314E-mail: [email protected]

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formazione per sacerdoti della durata disette anni, garantito da 16 insegnantiche risiedono con gli studenti e 22 vi-siting professors. L’anno pastorale ap-pena concluso ha visto la partecipazio-ne di 224 studenti, provenienti da diver-se diocesi del Tamil Nadu, Andhra Pra-

gono dalle 9.00 alle 12.30 con un inter-vello a metà mattina; alle 5.45 c’è la ce-lebrazione comunitaria dei vespri. A tur-no ogni classe prepara riflessioni sullaParola di Dio e ognuno condivide con glialtri le esperienze pastorali che vive nelfine settimana nelle varie parrocchie »

desh e Kerala.Ma come si svolge la vita quotidiana diun seminarista? La relazione descrive neldettaglio gli orari della giornata: svegliaalle 5.25 di ogni mattina, ritrovo alle6.00 per le lodi in comunità, celebrazio-ne della messa alle 6.45; le lezioni si svol-

della diocesi: organizzazione del coro,servizio all’altare durante le celebrazio-ni, insegnamento del catechismo airagazzi e ai giovani, visite ai malati ne-gli ospedali e nelle singole case.Ci sono poi degli obiettivi puntuali econcreti che i seminaristi cercherannodi raggiungere nell’anno pastorale ap-pena iniziato: recitare il Rosario singo-larmente, ogni giorno con un’intenzio-ne particolare per la Chiesa universale;trascorrere un’ora della giornata davan-ti al Santissimo Sacramento: molti stu-denti trovano fondamentale questomomento per una crescita spirituale;scegliere ogni settimana un versetto del-la Bibbia e farlo risuonare nel cuore per-ché la Parola diventi parte della vitaquotidiana; potenziare l’uso dell’ingle-

la giusta importanza al valore del tem-po proprio e altrui; curare l’orto del Se-minario per contribuire anche concre-tamente con il proprio lavoro manua-le al mantenimento delle spese delvitto.La dettagliata relazione ri-porta poi un lungo ca-lendario con gli appun-tamenti che si sono sus-seguiti nell’anno accade-mico 2012-2013. Tra que-sti segnaliamo il Giornodei nuovi Sacerdoti, che èstato celebrato il 24 gen-naio scorso: i 41 nuovi or-dinati nell’ultimo annosono tornati per un giornonel loro Seminario e quihanno celebrato l’Eucaristia

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esprimendo i loro sentimenti di grati-tudine verso tutti gli offerenti chehanno permesso loro di raggiungerequesto traguardo. Anzi, questa nuovapartenza.Non dimentichiamo che se tutto que-sto è stato possibile e potrà esserlo an-cora, è soprattutto grazie ad ogni sin-golo benefattore.

Pontificia Opera di San Pietro Apostolo

trati durante il giro del mondo:questi regali verranno simbolica-mente portati a Gesù Bambino il 25dicembre, insieme alle gioie e alle an-sie dei tanti ragazzi incontrati in ogniangolo del pianeta, lungo il cammi-no. Da Betlemme poi il tragitto ripren-de, stavolta, però, con lo zaino col-mo dei doni ricevuti dal Salvatore.C.P.

MISSIO RAGAZZI

L’Avvento è alle porte e l’appuntamen-to con i nove giorni che preparano allasolennità del Natale si rinnova an-che quest’anno. Per i Ragazzi missio-nari è stata preparata una Novenadal titolo: “Zaino in spalla… Desti-nazione mondo – Passando per Be-tlemme”, disponibile in un opusco-lo tascabile di poche preziose pagi-ne, ricche di spunti e attività da rea-lizzare.Missio Ragazzi per ogni giorno – dal16 al 24 dicembre – propone un ver-bo che indica un atteggiamento daimparare e una strada da percorre-re. Lo zaino deve essere vuoto e ca-piente, perché possa riempirsi coni tanti doni offerti dai popoli incon-

Novena di Natale condestinazione mondo

PER INFO RIVOLGERSI ALPROPRIO CENTROMISSIONARIO DIOCESANO O

CONTATTARE:MISSIO RAGAZZI, Via Aurelia 796 - Roma; tel. 06/66502644-645;[email protected];www.ragazzi.missioitalia.it

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VITA DI MISSIO

se anziché della lingua locale, per per-fezionarlo e rendere più efficace la com-prensione del Magistero della Chiesa; ac-quisire la virtù della puntualità e dare

DIALEX ZAPPALÀ* - [email protected]

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In ospedale la vita non siferma mai, neppure di not-te. Neppure con le piogge

fitte. E’ sempre un via vai digente, di nascite e di morti.Quella sera l’ospedale di Cu-mura, una delle periferie di Bis-sau, capitale della Guinea Bis-sau - dove mi trovavo ad ac-compagnare un gruppo diragazzi italiani in una delleesperienze di viaggio missio-nario con Missio Giovani - erastranamente silenzioso.Pioveva e io giravo per i cor-ridoi in attesa di assistere ad unparto: volevo rei-innamorarmidella vita dopo spiacevolieventi che mi avevano spiri-tualmente provato. Credevoche assistere ad un parto fos-se ciò che ci voleva, ma ave-vo già perso due occasioni inaltri giorni. Quella notte avreiatteso sveglio, ero deciso.Dall’altra parte della città, nello stesso momento, una giova-ne donna africana, Amalia, sudava freddo sdraiata su una stuo-ia, in casa. Si piegava per le fitte al grembo: le acque le sierano rotte e il momento di dare alla luce il suo bimbo eravicinissimo ormai. Domingo, suo marito, era rientrato velo-cemente in casa tutto bagnato per il violento temporale chesi era abbattuto sulla zona; Amalia continuava a dimenarsie a soffocare grida di dolore. Una luce forte illuminò tuttala stanza: stavolta non era un fulmine, ma i fari della macchi-na arrivata per accompagnarli in ospedale.Lei si alzò a fatica sorretta dal marito. Ogni buca era un do-lore fortissimo al ventre, le sembrava di morire, spalancava

SPAZIOGIOVANI

gli occhi e la bocca cercando dicacciar via le fitte ma queste non siplacavano. Domingo le stringeva lamano bagnata.Ancora sobbalzi, ancora fiumi di fan-go ad impedire il cammino, anco-ra dolori lancinanti.Domingo le asciugava il sudore.Arrivati nei pressi dell’ospedale diCumura, gestito dalle suore missio-narie francescane di Maria Immaco-lata, il guardiano notturno cominciòad urlare in direzione della casa del-le sorelle e di corsa uscì suor IrmaIda.Lo sportello posteriore dell’autovenne aperto e Irma Ida si accovac-ciò a terra a soccorrere la donna. Aquel punto anch’io mi avvicinai aloro. Ho ancora la pelle d’oca a ri-cordarlo. Ad un certo punto rie-cheggiò il vagito del bimbo e io ti-rai un sospiro di sollievo: era nato!Ma la gioia durò poco.

Vedevo un uomo piangere violente-mente e sbattere i pugni sul tetto della macchina, Irma Idacorrere dentro con in braccio il piccolo; le gambe della ma-dre prive di vita, richiuse e coperte da un lenzuolo blu.Domingo era disperato: Amalia era morta dando alla lucela propria bimba, ma sorridendo fino alla fine. Questa gio-vane donna africana, quella notte mi ha insegnato ad ama-re la vita sempre e comunque, a sorridere alla vita in ogni istan-te, a donarmi totalmente senza misura, poiché solo nel donototale di sé si genera amore.

*Segretario nazionale Missio Giovani

L’AMORE DIUNA MAMMAL’AMORE DIUNA MAMMA

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Intenzione missionaria

Novembre 2013

P er ben comprendere e vivere l’invito a pregare per-ché le Chiese dell’America Latina, come frutto del-la missione continentale, mandino missionari ad al-

tre comunità di credenti, è utile interrogarci su cosa si-gnifica essere e vivere da cristiani. E’ una riflessione im-portante che aiuta ad essere veramente persone che han-no ricevuto il battesimo e sollecita a non dimenticare glieffetti di quel sacramento che, purtroppo, è poco cono-sciuto e, ancor meno, vissuto.Il battesimo rende figli di Dio coloro che lo ricevono e lifa membri della famiglia divina, «familiari di Dio», comedice Paolo nella lettera agli Efesini (Ef 2, 13). Romano Guar-dini, parlando al cristiano annota: «In questa esistenza tusei te stesso; ma in modo tale che tu lo sei in Cristo. Eglivive in te; appunto perciò tu pervieni alla tua consisten-za più propria». Infatti, nella lettera ai Galati, Paolo dicedi se stesso: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal2, 20) sottolineando con questa affermazione che, per mez-zo della fede, nel cristiano, Cristo diventa, in qualche modo,il soggetto di tutte le azioni vitali del credente. Occorre,pertanto, ricordare quanto annota Guardini circa la fedecristiana: «Credere significa porsi rispetto a Cristo in modotale che egli divenga fondamento della propria esisten-za, principio e fine della propria esistenza, principio e finedel movimento della vita, criterio e forza». L’intenzionemissionaria di questo mese, mentre realizza nella preghie-ra un fraterno rapporto con i fratelli delle Chiese dell’Ame-rica Latina, ci sollecita a non dimenticare i meravigliosieffetti che il battesimo realizza in noi, ma a farne un veroprogramma di vita.

Perché le Chiese dell’AmericaLatina, come frutto della missionecontinentale, mandino i missionariad altre Chiese.

di FRANCESCO [email protected]

VITA DI MISSIO

I frutti della missione inAmerica Latina

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di ALFONSO [email protected]

ca alla Chiesa nuove modalità di pre-senza e di servizio è passare. Egli, in-fatti, «passò beneficando e risanan-do tutti coloro che stavano sotto ilpotere del diavolo» (At 10,34ss).Questo verbo esprime la libertà di unservizio che si realizza nella gratui-tà e che non si lascia corrompere dal-

la tentazione di fer-marsi a godere i bene-fici del proprio lavoro.Il ministero di Gesù èlegato al modello delpredicatore itinerante(«gli uccelli del cielohanno i loro nidi, levolpi le loro tane, il Fi-glio dell’uomo non ha

dove posare il proprio capo») e Lucaricorda che «passava per città e vil-laggi, insegnando, mentre cammina-va verso Gerusalemme» (Lc 13,22).Sulle affollate sponde del Giordano,Giovanni fissò lo sguardo su Gesùche passava (Gv 1,36) tra i pellegri-ni penitenti. A Nazaret Gesù passòin mezzo ai compaesani infuriati epronti ad ucciderlo (Lc 4,30). A Ge-rico il cieco, incuriosito dal grandeclamore, si sentì rispondere: «Passa

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I N S E R T O P U M

Passare accanto,passare oltre

Gesù il nazareno!» (Lc 18,35) e, sem-pre nella stessa città, un uomo dinome Zaccheo, per poter vedereGesù, salì su un sicomoro «poichédoveva passare di là» (Lc 19,4).Gesù passa in una realtà immersa nelpeccato (Giordano), passa in uncontesto segnato dal rifiuto (Naza-ret) e passa in un mondo intristitodalla sofferenza (Gerico); e questopassaggio di Gesù sortisce effetti be-nefici perché, come dice il Salmo 64,«al tuo passaggio stilla l’abbondan-za».È, però, nella parabola lucana delbuon samaritano che questo verbomanifesta la sua ricchezza nella di-stinzione tra il passare oltre del sacer-dote e del levita e il passare accantodel samaritano. Il passare accan- »

Abbandonando luoghi comu-ni, pregiudizi e timori, siamospinti a concepire un’auten-

tica pastorale della strada, nello spi-rito di quella conversione tanto pre-dicata e sostenuta dall’episcopato ita-liano. Incoraggiati dalle afferma-zioni di recenti documenti e dalle sol-lecitazioni dei decen-nali Orientamenti pa-storali, coltiviamo ilproposito di «dare a tut-ta la vita quotidianadella Chiesa […] unachiara connotazionemissionaria», operandocambiamenti «nella pa-storale e nelle forme dievangelizzazione», assumendo «nuo-ve iniziative» (Comunicare il Vange-lo in un mondo che cambia). Que-sta auspicata creatività pastorale ciporta a vedere la strada come luogoprivilegiato di evangelizzazione, se-guendo lo stile di Gesù, «il primo epiù grande evangelizzatore», chefece della strada la sua casa e la sua“scuola”.Il verbo che meglio esprime il mini-stero di Gesù e che, pertanto, indi-

LA MISSIONEAFFIDATA DA

GESÙ È QUELLA DI PASSARE

ACCANTO AD OGNIUOMO «PIAGATO

NEL CORPO ENELLO SPIRITO».

mente, a rivedere i propri piani e acompiere deviazioni impreviste. Pas-sare accanto all’altro significa passar-gli tanto vicino da coprirlo con la no-stra ombra, come ci suggeriscel’evangelista Luca (At 5,15) nel de-scrivere i benefici operati tra il po-polo da Pietro e gli altri apostoli. Pie-tro non si vergognò di ammettere che

to è l’unica condizione per poter ve-dere e intervenire. Troppo comodovedere le cose da una certa distanzaper poi stabilire da che parte passa-re. Quando ci limitiamo a vedere lecose da lontano, prevale quasi sem-

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P O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

GAMIS BOLOGNA

O gni anno il Gamis del seminario regionale flaminio (cioè del-la Romagna e Bologna) promuove alcuni incontri per anima-

re la comunità alla dimensione missionaria della Chiesa e delle no-stre chiese. In ottobre, in sinergia con il Gruppo di animazione vo-cazionale, organizza una veglia di preghiera, aperta da una testi-monianza di un missionario ad gentes delle nostre diocesi, segui-ta da un’intera notte di adorazione a turni.Ci è sembrato molto opportuno invitare i direttori dei Centri mis-sionari delle nostre otto diocesi in occasione della visita dell’in-

caricato delle Pontificie Opere Missionarie, sia per offrire un tagliodiocesano alla serata, sia per dare la possibilità ai seminaristi diavere un contatto coi direttori. L’incontro si apre con la messa pre-sieduta dal missionario visitatore, continua con la cena per grup-pi diocesani e nell’incontro comunitario in cui chiediamo anche aidirettori di prendere la parola in riferimento al tema e alle solleci-tazioni proposte.Il Gamis promuove anche una serata di condivisione delle espe-rienze estive che i seminaristi hanno fatto presso missionari del-le loro diocesi o insieme a formatori del Seminario regionale o dio-cesani. Nella scorsa estate alcuni seminaristi di Rimini sono an-dati in Senegal e in Romania con il loro rettore, altri di Faenza con

Fare rete sul territorio

pre la tentazione di passare oltre. Lamissione affidata da Gesù alla Chie-sa, e in essa a tutti i battezzati, è quel-la di passare accanto ad ogni uomo«piagato nel corpo e nello spirito» perpoter versare sulle sue piaghe «l’oliodella consolazione e il vino della spe-ranza». È un incarico rischioso e pre-zioso, perché la induce, inevitabil-

EGLI «PASSÒBENEFICANDO E

RISANANDO TUTTICOLORO CHE STAVANOSOTTO IL POTERE DELDIAVOLO» (AT 10,34SS).

QUESTO VERBOESPRIME LA LIBERTÀDI UN SERVIZIO CHE SI REALIZZA NELLA

GRATUITÀ.

I N S E R T O P U M

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un’anonima vita cristiana e si conser-vano antichi privilegi.La Chiesa scopre la sua ragion d’es-sere nel vivere tra gli uomini e per gliuomini, in quello spirito di servizioche manifesta e realizza la benevolen-za di Dio per tutti, senza distinzio-

ne di sorta. Solo seguendo lo stile diGesù, solo facendo nostri i suoistessi sentimenti, solo provando lasua compassione, avremo la certez-za che il passare tra gli uomini nonsarà mai un “essere di passaggio” oun “passeggiare”.

Nel maggio scorso papa Fran-cesco, all’Assemblea inter-

nazionale delle Superiore gene-rali, ha detto che «la povertà teo-rica non ci serve. La povertà siimpara con gli umili, i poveri, gliammalati nei quali tocchiamo lacarne di Cristo povero».E subito ho pensato alla missionedi Korogho, nel Nord della Cos-ta d’Avorio, dove opera la Con-gregazione delle Figlie dellaCroce, nata in Francia nel 1807(oggi diffusa in nove Paesi),

dopo un provvidenziale incontrotra i due santi fondatori, sant’An-drea Uberto Fournet e santaGiovanna Elisabetta Bichier desAges.Dal 1965 sono presenti a Ko-rogho anche le Missionarie del-la Provincia italiana: qui su richi-esta del vescovo hanno fondatoil Collegio St. Elisabeth perragazze di ogni etnia e religione;una missione educativa che con-tinua fino a oggi, con l’accoglien-za nella scuola anche dei ragazzi

e con esiti decisamente positivi.Ma il “grido” dei poveri dispersinella savana, dei bambini e deimalati, continuava a giungere alcuore delle missionarie, orientan-dole verso altre scelte, come lafondazione del Centro Don Orio-ne per bambini con handicap e,nel 2000, del Centro Giubileo SanCamillo per l’accoglienza deimalati mentali, dove hanno ri-conosciuto una chiamata tuttaspeciale a servire Cristo neifratelli più emarginati, abbando-nati nelle strade e nella savana oincatenati a dei ceppi.Nel Centro ricevono assistenzamedica, ma soprattutto un’inten-sa “terapia” di accoglienza e diamore fraterno e una educazioneal lavoro in una fattoria, dove ognisettimana si alternano dieci am-malati guidati da due persone cheli assistono nei lavori di coltura

e nell’allevamento del bestiame.Ultimamente due pazienti hannoraggiunto traguardi importanti:Doferé è stato assunto pressouna farmacia di Korogho e Michelha guadagnato una borsa di stu-dio e sta frequentando una scuo-la professionale. È questa la ri-compensa per le generose mis-sionarie che, nonostante i con-flitti interni che dal 2002 affliggo-no la Costa d’Avorio, sono rima-ste tra la loro gente, continuan-do con coraggio il servizio ai piùpoveri e agli esclusi, cantando nelcuore il Magnificat con le paroledella fondatrice: «Benedico ilSignore, perché istruire i poverie curare i malati è imitare ilMaestro stesso».

Suor Azia CiairanoResponsabile animazione

missionaria USMI

RELIGIOSE

EDUCARE E GUARIRE

un sacerdote della Facoltà teologica sono stati in Guatemala, men-tre un altro è stato in Zimbabwe presso una missionaria diocesa-na. L’intero gruppo del primo biennio è stato presso un fidei do-

num di Faenza, rettore al Seminario cattolico della Russia.Cerchiamo anche di partecipare al Convegno missionario nazio-nale e di animare una Via crucis dei venerdì di Quaresima, carat-terizzandola con il materiale relativo ai missionari martiri, che sonosempre presenti alla memoria della nostra comunità anche gra-zie alla figura di un nostro ex alunno, padre Daniele Badiali, di cuiè in corso il processo di beatificazione e cui è intitolata un’aula del-la Facoltà teologica.

Don Mirko Santandrea, vicerettore

proprio nel suo passare tra gli uomi-ni e nel suo frequentare i pagani sta-va “rendendosi conto” che Dio nonfa preferenze di persone. È così di-versa questa ombra del discepolo chepassa da quella del “campanile” den-tro la quale si consuma, spesso,

RUBRICHE appassionate e ATTIVITÀ da realizzareper giovani lettori, educatori e catechisti interessati a:

mondo, Vangelo, pace, stili di vita, equità, rispetto del Creato, missione, popoli, culture.

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