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Maurizio Bazzoli Stagioni e teorie della società internazionale

Maurizio Bazzoli Stagioni e teorie della società internazionaleLe origini moderne della diplomazia (p. 61) IV. La stagione illuministica della società internazionale 67 1. Continuità

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Maurizio Bazzoli

Stagioni e teoriedella società internazionale

Bazzoli-stagioni-fronte 11-11-2005 15:00 Pagina 1

Bazzoli M.
Stagione e teorie della società internazionale
Queste pagine sono tratte da un volume della collana "Il Filarete" pubblicato da LED Edizioni Universitarie. Cliccando su questo frontespizio si accede alla pagina web dedicata al volume.
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SOMMARIO

Premessa (di Marco Geuna) 7

PARTE PRIMA

Le stagioni della società internazionale

I. I presupposti storici 111. Ordine interno e ordine internazionale (p. 11) – 2. Erasmo e la Respu-blica christiana (p. 17) – 3. Sovranità interna e sovranità esterna (p. 20)

II. I presupposti di metodo 271. La prospettiva internazionale e le sue valenze (p. 27) – 2. Ordine in-ternazionale e società internazionale (p. 29)

III. La stagione westfaliana della società internazionale 351. Interessi degli Stati e società internazionale (p. 35) – 2. Architetturaconcettuale dell’‘equilibrio di potenza’ (p. 37) – 3. Valenze dello jus gen-tium come concetto internazionalistico (p. 42) – 4. Sviluppi dello jus gen-tium e il ‘diritto di guerra’ (p. 46) – 5. Dallo jus gentium allo jus publicumeuropaeum (p. 57) – 6. Le origini moderne della diplomazia (p. 61)

IV. La stagione illuministica della società internazionale 671. Continuità e discontinuità tra l’età di Westfalia e l’età dei Lumi (p. 67)– 2. La République des Lettres (p. 69) – 3. Dalle relazioni diplomatiche al‘sistema diplomatico’ (p. 71) – 4. Progetti di pace internazionale (p. 74)– 5. Il progetto kantiano di società internazionale (p. 82)

V. La stagione concertativa della società internazionale 89

VI. Aspetti attuali della società internazionale 931. Fattori di mutamento nelle relazioni internazionali del mondo con-temporaneo (p. 93) – 2. La crisi della sovranità nazionale e della ‘politica

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estera’ (p. 95) – 3. Aspirazioni istituzionali della società internazionale:esigenze e resistenze (p. 98) – 4. Il problema della pluralità dei soggettiinternazionali (p. 99)

VII. Antinomie della società internazionale post-moderna 1011. Antinomie giuridiche, istituzionali e politiche della società internazio-nale (p. 101) – 2. La società internazionale tra grandi potenze e piccoliStati (p. 107) – 3. La società internazionale e le aporie della pace inter-nazionale (p. 110) – 4. La fisionomia politica della società internaziona-le (p. 111)

Bibliografia di riferimento 117

PARTE SECONDA

Teorie dell’ordine e della società internazionale

Avvertenza 125

I. Pensiero politico e prospettiva internazionale nell’età moderna 127

II. La concezione pufendorfiana della politica internazionale 139

III. L’idea di ordine internazionale nell’Europa di Montesquieu 173

IV. L’ordine internazionale secondo Mably:dal Droit public de l’Europe ai Principes des négotiations 199

V. Doveri dell’ambasciatore e ordine internazionalenell’Enbaxador (1620) di Juan Antonio de Vera 215

VI. L’ideologia dell’ambasciatore nel tardo Seicento:L’Ambassadeur et ses fonctions di Abraham de Wicquefort 245

VII. Ragion di Stato e interessi degli Stati.La trattatistica sull’ambasciatore dal XV al XVIII secolo 267

VIII. Un concetto di lunga durata: la ‘monarchia universale’ 313

IX. L’equilibrio di potenza nell’età moderna. Dal Cinquecentoal Congresso di Vienna 3231. Fortuna e ambiguità dell’idea di equilibrio (p. 323) – 2. L’equilibriocome principio d’ordine (p. 334) – 3. Il carattere moderno del concettodi equilibrio (p. 344) – 4. La natura del concetto di equilibrio (p. 354) –5. La funzione del concetto di equilibrio (p. 371)

X. Piccolo stato e teoria dell’ordine internazionale nell’età moderna 387

SOMMARIO

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PREMESSA

Maurizio Bazzoli non è stato soltanto uno studioso di vasti interessi e distraordinaria cultura, ma anche un docente appassionato ed esigente. Fi-no a pochi giorni prima della morte, avvenuta il 16 ottobre 2004, avevalavorato per rivedere e correggere il testo de Le stagioni della società in-ternazionale, le pagine di quella che troppo modestamente chiamava ‘ladispensa’. Se è vero che erano nate dagli appunti di un suo corso di Sto-ria delle dottrine politiche, ed erano destinate in primo luogo agli stu-denti, quelle pagine rappresentano in realtà molto di più. Maurizio Baz-zoli vi ricostruisce, per grandi modelli, i diversi modi in cui la società in-ternazionale è stata concettualizzata in età moderna e contemporaneadalla cultura europea. Per un verso, esse costituiscono dunque una sinte-si eccellente dei suoi studi degli ultimi quindici anni sui concetti e le teo-rie moderne della politica internazionale, per l’altro, lasciano intravede-re, in particolare nei capitoli finali sulla società internazionale contempo-ranea e le sue antinomie, quali sarebbero stati o avrebbero potuto esserei suoi nuovi terreni di ricerca. Quelle pagine vengono ora pubblicate,nella prima parte di questo volume, nella convinzione che, per l’ammire-vole equilibrio conseguito tra sintesi concettuale e indicazione di nodiproblematici ancora da esplorare, possano costituire per tutti, studenti estudiosi affermati, una pregevole introduzione alla storia del pensieropolitico internazionalistico.

Se la prima parte del libro testimonia quanto fosse di largo respiro,impegnativa ed esigente, l’attività didattica di Maurizio Bazzoli, la secon-da parte consente di apprezzare ancora una volta, e con grande rimpian-to, la qualità del suo lavoro strettamente scientifico. Amici e colleghi del-la Facoltà di Lettere e filosofia, dove aveva insegnato per più di due de-cenni, hanno voluto raccogliere e ripubblicare dieci suoi saggi, apparsi

TESTATINA DESTRA

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nel corso degli anni in sedi diverse, che consentono di seguire le tappedel suo percorso di ricerca e apprezzarne a pieno l’originalità. MaurizioBazzoli aveva via via individuato come suo ambito di studi specifico, oper lo meno prevalente, le teorie dell’ordine e della società internazionale.Se i lavori di storia del pensiero politico sono ancora in gran parte dedi-cati alle dottrine o alle teorizzazioni, descrittive o prescrittive che siano,dell’ordine politico interno, Maurizio Bazzoli aveva rivendicato con for-za la necessità di studiare le teorie dell’ordine e della società internazio-nale, formulate in età moderna e contemporanea, e di approfondire poile relazioni da esse tematizzate tra ordine interno e ordine internaziona-le. I saggi qui raccolti, originariamente apparsi in atti di convegni e in ri-viste, restituiscono la trama problematica e l’unitarietà della sua ricerca.Accanto a studi sulle concezioni della politica internazionale elaborate daimportanti pensatori sei-settecenteschi, da Pufendorf a Montesquieu, e alavori su alcuni concetti-chiave della politica internazionale moderna, daquello di ‘monarchia universale’ a quello decisivo di ‘equilibrio di poten-za’, vengono ripubblicati suoi saggi su un genere letterario a lungo tra-scurato, la trattatistica sull’ambasciatore fiorita tra XV e XVIII secolo.

Pubblicare Le stagioni della società internazionale e raccogliere i suoistudi più recenti di argomento internazionalistico vuol dire, per tutti noi,continuare in qualche modo il dialogo con Maurizio Bazzoli. La sua pre-senza, il suo rigore e il suo sorriso, le sue osservazioni critiche e i suoisuggerimenti di lettura, continueranno a mancare a noi, suoi colleghi eamici. Siamo convinti, però, che i suoi lavori rimarranno a lungo unostrumento importante per la comprensione della tragica serietà e deidrammatici vincoli della politica.

Marco Geuna

PREMESSA

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9I PRESUPPOSTI STORICI

Parte Prima

LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

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10 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

Queste pagine hanno la loro lontana origine nel corso di lezioni di Storia delledottrine politiche per l’anno accademico 1998-1999 e ne sono in certe parti unosviluppo. Presuppongono quindi in larga misura (salvo quanto figura nelle notea pie’ di pagina) i numerosi riferimenti che vengono di solito forniti nelle lezionidi un corso di questa disciplina, specialmente quando sia dedicato a un temacosì ‘trasversale’ come quello della ‘società internazionale’.

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11I PRESUPPOSTI STORICI

I

I PRESUPPOSTI STORICI

1. ORDINE INTERNO E ORDINE INTERNAZIONALE

La distinzione tra ordine interno e ordine internazionale è un prodottotipicamente moderno. Non che l’‘altro da sé’ in senso politico (o in qua-lunque altro modo inteso, in termini di distinzione e/o di avversione)non fosse noto alle civiltà antiche, ma esso era piuttosto percepito in ter-mini che definiremmo, con espressione contemporanea, di ‘politica este-ra’. La differenza è notevole: nel primo caso essa non è solo empirica maanche concettuale, nel secondo è meramente empirica e pratica. Sussistedel resto una profonda analogia tra questa considerazione e ciò che a-vrebbe osservato, nel XVIII secolo, il filosofo e politico inglese DavidHume a proposito della nozione di equilibrio di potenza. Egli notavache essa non era affatto sconosciuta e praticata anche nel mondo antico,ma che solo l’età moderna ne avrebbe ricavato un principio concettuale,ossia un consapevole criterio teorico di condotta politica 1. Sicché solol’età moderna giunge a una distinzione perché, a una prassi che era statapropria anche dell’età classica e medioevale, unisce anche una riflessioneconcettuale su tale prassi, in una delle molteplici forme di cui il pensieromoderno è capace (filosofica, utopica, letteraria, etico-religiosa, giuridi-ca, ecc.).

Un apporto significativo a questo processo di modernizzazione nonpoteva venire (volendo seguire le tradizionali scansioni storico-cronolo-giche) dall’età medioevale, la quale non poteva concepire la distinzionetra i due ordini per molteplici ragioni. Non solo perché la sua intellet-

1 D. Hume, Of the balance of power, in Political discourses, Edinburgh 1752, trad.it. Sull’equilibrio di potenza, in Discorsi politici, Torino 1959, p. 104 ss.

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12 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

tualità e le sue stesse forme di cultura civile si inscrivevano nel quadrogenerale di quell’universalismo cristiano che è il riferimento comune allegenti più diverse al di là di ogni genere, differenza, limite o confine. Maanche perché quell’universo adombrava sì una straordinaria varietà ecomplessità di concrete realtà locali, ma si rivelava sostanzialmente inca-pace di trovare la propria ragion d’essere al di fuori della propria pecu-liarità locale, comunale, cittadina, oppure al di fuori della dialettica sto-rico-politica (in un certo senso ‘epocale’) tra le due autorità dell’Imperoe del Papato. Il rapporto tra autorità e potere, quale vige in tutto il qua-dro dell’universalismo cristiano, si configura come la condizione storicache impedisce le condizioni contestuali entro le quali i rapporti tra i po-teri possono assurgere all’esclusività delle loro relazioni interne ed ester-ne. Quel peculiare rapporto, allo stesso modo in cui nega l’essenzialitàdella politica come dimensione autonoma, nega di conseguenza la possi-bilità delle relazioni tra l’interno e l’esterno degli Stati come centri auto-nomi di decisione politica. Questa concezione svalutativa della politica,di così lungo periodo da collegare tra loro il pensiero della Patristica equello di Lutero, poggiava su un fondamentale presupposto: negare cheil potere politico, in qualunque forma storica si presentasse, potesse es-sere autorizzato a rappresentare ciò che contraddistingue l’auctoritas, os-sia il principio etico-religioso di giustizia. Basta leggere il De civitate Deidi Agostino, vescovo di Ippona (IV-V secolo) per scoprire che i rapportifra le varie potestà politiche sono fondamentalmente assimilabili a quellitra «bande di ladroni» 2. Nessuno spazio, all’interno di questa concezio-ne, per immaginare, e soprattutto giustificare, un possibile rapporto traordine interno e ordine internazionale.

Questa concezione dell’universo, del mondo e della vita pubblicanon potrà dirsi del tutto dissolta nemmeno nell’età del Rinascimento, nelcui contesto intellettuale il Cinquecento rappresenta bene, con la suastraordinaria ricchezza, il travagliato passaggio tra una concezione (quel-la della Respublica christiana) che tende a privilegiare ancora la visioneapolitica dell’auctoritas (autorità), rispetto a quella politica della potestas(potere 3), luogo concettuale ormai privilegiato delle varie forme della

2 Agostino, De civitate Dei, IV, 4: se si prescinde dall’imperativo cristiano di giusti-zia, «che cosa sarebbero mai i regni se non bande di ladroni? E che cosa sono le bandedi ladroni se non piccoli regni?». Diventa così addirittura plausibile che all’imperatoreAlessandro il Grande un pirata dica che infesta il mare «per lo stesso motivo per il qua-le tu infesti il mondo; ma poiché io lo faccio con una piccola nave sono chiamato pirata,mentre tu, che lo fai con una grande flotta, sei chiamato imperatore».

3 Naturalmente non si può fare a meno di semplificazioni concettuali. In realtà nél’auctoritas è coestensibile con l’‘autorità’, né la potestas lo è con il ‘potere’. Non sempreil linguaggio della politica è in grado di registrare i mutamenti, talvolta assai profondi,

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13I PRESUPPOSTI STORICI

politica interna e internazionale. Negava, l’idea stessa della Respublicachristiana, la plausibilità di confini o limiti: lo affermava espressamente ilgrande umanista fiammingo Erasmo da Rotterdam tra la fine del XV el’inizio del XVI secolo, quando diceva che «il Reno un tempo separava iGalli dai Germani, ma non separa oggi un cristiano da un altro cristia-no»; e, ancora, che «i Pirenei levano una barriera tra Spagnuoli e Fran-cesi, ma non spezzano la comunità della Chiesa; il mare divide gl’Inglesidai Francesi, ma non intacca la comunanza di religione» 4. E questo af-fermava Erasmo proprio quando l’erompere vitale e disordinato dei na-scenti Stati nazionali poneva invece quei limiti e confini come condizio-ne del loro diritto di esistenza.

Persino nella letteratura utopica, che, conformemente agli idealiumanistico-rinascimentali, produce modelli di città e di comunità ideali,che ambiscono a essere ‘perfette’ nella loro architettura strutturale e nel-la loro interna disciplina civile e sociale 5, il valore coesivo della convi-venza pacifica e autosufficiente può venire contraddetto dalla necessitàdelle relazioni con l’esterno, e non solo per esigenze difensive. L’urgenzarealistica dei nuovi canoni della politica internazionale si insinua tra lepieghe dell’irenismo umanistico del pensiero utopico: si nota ad esempioin un amico e corrispondente di Erasmo, l’umanista inglese ThomasMore 6, autore di un’opera assai celebre come l’Utopia (1516). In una se-zione dell’opera, dedicata alla guerra e alle milizie, si palesa già un certomodo di pensare la politica anche nella sua dimensione internazionale,come dimostra la necessità per gli utopiani (per quanto abbiano in«sommo orrore la guerra») di predisporre tutto ciò che serve non soloper misure di difesa, ma anche di offesa verso l’esterno, secondo canoniche sembrano persino prefigurare una visione delle relazioni fra gli Statitipica della teoria della ‘ragion di Stato’ e degli ‘interessi degli Stati’ 7.

che caratterizzano la dinamica categoriale nel suo sviluppo storico. Però è vero che ilconcetto politico di potere e quello correlativo di potenza contrassegneranno in modotendenzialmente esclusivo le forme della politica, interna e internazionale, già all’iniziodel XVII secolo.

4 Erasmo da Rotterdam, Querela pacis (1517), trad. it. Il lamento della pace, a curadi L. Firpo, Torino 1967, pp. 71-72. Sulla concezione di Erasmo si veda, qui, il paragra-fo successivo.

5 Cfr. L. Firpo, Lo Stato ideale della Controriforma. Ludovico Agostini, Bari 1957;L. Firpo, L’utopismo, in Storia delle idee politiche, economiche e sociali, dir. da L. Firpo,Torino 1987, vol. III, pp. 811-888; M. Eliav-Feldon, Realistic utopias. The imaginary so-cieties of the Renaissance (1515-1630), Oxford 1982.

6 Lord Cancelliere d’Inghilterra dal 1529, Thomas More viene imprigionato nel1534 e messo a morte da Enrico VIII per non aver voluto sottoscrivere l’‘Atto di suc-cessione’, che implicava la supremazia del re in materia ecclesiastica.

7 Cfr. T. Moro, Dell’ottima forma di Stato e della nuova isola di Utopia, a cura diL. Firpo, Napoli 1979, l. II, pp. 265-281.

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14 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

Le necessità del rapporto tra ordine interno e ordine internazionale,cioè la nuova prospettiva internazionale, non trascurano nemmeno la fi-gura del consigliere della corte principesca del Rinascimento, come mo-stra soprattutto Il Cortegiano (1528) di Baldassar Castiglione, che sugge-risce l’immagine emblematica dell’intellettuale colto e raffinato, il cui al-tissimo compito è di tenere lontano il principe dall’ignoranza, dalla pre-sunzione e dalle passioni del volgo, sempre «fiera selvaggia e infida».Non ha poi molta importanza, per ciò che interessa qui, che la sua figurasia, di fatto, molto lontana dalla concreta realtà dei personaggi delle cor-ti italiane. Quel che importa è che il cortegiano sia versato nelle virtùpratiche, nella pratica di governo e nelle sue difficili arti; e che quindi siachiamato a consigliare non solo su questioni intellettuali, di gusto, di sti-le e di opportunità relative all’ordine interno, ma anche su scelte di ordi-ne internazionale, di relazioni tra gli Stati, non importa se minori. Delresto, non andava nascendo all’insegna del Cortegiano la figura (ossial’immagine mai utopica, nonostante il velo delle forme umanistiche) del‘perfetto ambasciatore’, cioè di colui che rappresenta per eccellenza leragioni (e meglio diremmo gli interessi) del principe verso l’esterno?

Certo tutto questo accadeva quando ormai la Riforma protestanteaveva lavorato a frammentare ciò che la Respublica christiana pretendevaancora di coniugare in termini universalistici. Valori ormai troppo anti-chi o almeno desueti (come la pax christiana di Erasmo da Rotterdam), oformule troppo nuove (come l’idea e la pratica della tolleranza civile epolitica) non servivano più ad attenuare il concetto e il significato spessotragico di ‘confine’ (non importa se religioso o politico, o l’uno e l’altroinsieme). E del tutto anacronistico, a questo punto, appare anche il‘grande progetto’ di Guillaume Postel 8 di ripristinare i fasti antichi della‘monarchia universale’. Il suo De orbis terrae concordia esce quando laprima metà del Cinquecento è ormai abbondantemente consumata, eimproponibile oramai è anche l’idea tutt’affatto medioevale che vi vieneproposta. L’intento di Postel (che sembra animato da una sorta di co-smopolitismo ante litteram, ma che rivela invece il riecheggiamento diidealità umanistiche sempre più contrastanti con la realtà anche religiosadel tardo Rinascimento) è di ripristinare un mondo politico universalisti-co reso solidale da un cattolicesimo come espressione istituzionalizzatadi un cristianesimo ragionevole, ossia ricondotto ai suoi valori universali.Ma sotto il velo dell’universalismo, o dell’internazionalismo ‘cosmopoli-

8 Sull’interessante figura del francese Postel (1510-1581) si veda il capitolo che glidedica P. Mesnard, L’essor de la philosophie politique au XVIe siècle, Paris 1952², trad.it. Il pensiero politico rinascimentale, a cura di L. Firpo, Bari 1964, vol. II, pp. 67-101.

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15I PRESUPPOSTI STORICI

tico’ di Postel, si cela alla fine, addirittura dichiaratamente 9, il disegnoimperialistico della Corona di Francia con la sua legge salica come leggeuniversale del ‘re cristianissimo’, destinata a unificare l’intero mondo.L’internazionalismo si converte così in imperialismo, sotto l’urgenza de-gli interessi dinastici della monarchia cattolica di Francia che ha già lar-gamente avviato al proprio interno l’opera di ‘pacificazione’ politico-reli-giosa e che, al suo esterno, contende ormai all’impero di Spagna il pri-mato di potenza internazionale.

Non che fosse mancata, già all’inizio del Cinquecento, una potentelezione realistica della politica, che per decretare la crisi della Respublicachristiana non aveva nemmeno bisogno di nominarla. Non è solo il Ma-chiavelli del Principe (1513) o dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Li-vio (1517) a dare il segno del mutamento profondo della politica comeespressione del mutato contesto storico europeo nei rapporti di forza,potenza e mentalità. Del resto già nei Discorsi non mancano importantiriflessioni circa il rapporto tra ordine interno e ordine internazionale:non altrimenti potrebbe intendersi la stessa articolazione in tre «libri», ilprimo dei quali è centrato sul tema del «conservare» uno Stato, il secon-do sul tema dell’«ampliare» (cioè dell’ingrandimento di uno Stato) e ilterzo sul tema delle trasformazioni di Stati e principati politici, delle «ri-voluzioni» (cioè dei mutamenti radicali) e della decadenza delle re-pubbliche 10. E il fatto stesso che Machiavelli ponga i due ordini inter-no ed esterno in stretto rapporto «effettuale» tra loro seguendone la di-namica storico-politica, dimostra che la loro distinzione era per lui undato concettualmente acquisito, ancorché dimostrato secondo il suo ca-ratteristico metodo ‘scientifico’ e soprattutto le sue principali fonti: l’e-sperienza diretta e la storia antica. Ma è soprattutto il (non meno impor-tante) Machiavelli delle relazioni diplomatiche presso vari paesi fuorid’Italia a far comprendere quanto il Segretario fiorentino, nei primi de-cenni del Cinquecento, fosse in anticipo rispetto ai suoi contemporanei.Perché nelle corti e nelle città libere d’Europa la distinzione tra ordineinterno e ordine internazionale era già una dimensione praticata giacchéin varia misura imposta da quelle circostanze che gli stati italiani, invece,ancora trascuravano nel loro significato più profondo, culturale e politi-co. Ce ne danno conferma vari scritti ‘diplomatici’ machiavelliani, qualisoprattutto il Rapporto di cose della Magna (1508, poi rielaborato nel Ri-

9 Cfr. G. Postel, De la république des Turcs, p. 2, cit. in Mesnard, Il pensiero politi-co rinascimentale cit., p. 100: «la concordia del mondo per la pace universale; di esso iomi dichiaro cosmopolita, desiderando vederlo concorde sotto la Corona di Francia».

10 I più significativi riferimenti sono a N. Machiavelli, Discorsi, l. I, capp. 4 e 5; l. II,capp. 3 e 4; l. III, cap. 1.

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16 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

tracto delle cose della Magna 11), composto in occasione della missionecompiuta in Tirolo, con Francesco Vettori, presso l’imperatore Massimi-liano d’Asburgo; e ulteriore conferma la dà anche il Ritracto di cose diFrancia (1510-1512), frutto anch’esso delle riflessioni sulle nuove formedella politica internazionale, quali i negoziati per i trattati di alleanza po-litico-militare (ad esempio quella, appunto, del 1504, tra Firenze e il redi Francia Luigi XII di Valois-Orléans).

Nemmeno la forte e ‘accomodante’ influenza di Francesco Guicciar-dini riuscì a stemperare la forte lezione realistica di Machiavelli, magaricelata, in Italia e in Europa, sotto il velo della storiografia di Tacito, o al-trimenti dissimulata. E fu quindi, nel corso del Cinquecento, la trasfor-mazione di quella lezione nella dottrina e nella pratica politica della ‘ra-gion di Stato’ a dislocare in termini nuovi e diversi il rapporto tra aucto-ritas e potestas. Quando Giovanni Botero, ormai verso la fine del secolo(1589), distingue tra «fondare», «conservare» e «ampliare» un dominiopolitico, svalutando oramai apertamente la prima delle tre accezioni,non fa altro che configurare la distinzione tra ordine interno e ordine in-ternazionale secondo le apparenti contrapposizioni tra le esigenze conti-nuistiche di un’etica religiosamente connotata e quelle innovative di unadinamica storica che tende a omologare le ragioni della politica al di làdelle diversità confessionali.

Stato è dominio fermo sopra popoli e Ragione di Stato è notizia dimezzi atti a fondare, conservare ed ampliare un dominio così fatto. Egliè vero che, sebbene assolutamente parlando ella [la Ragion di Stato] sistende alle tre parti suddette, nondimeno pare che più strettamente ab-bracci la conservazione [ordine interno] che l’altre, e dell’altre piùl’ampliazione [ordine internazionale] che la la fondazione. […] E seb-bene tutto ciò che si fa per le suddette cagioni si dice farsi per Ragionedi Stato, nondimeno ciò si dice più di quelle cose che non si possonoridurre a ragione ordinaria e commune. 12

Esauritosi ormai ogni rapporto con un’auctoritas etico-religiosa, protago-nista del potere di decisione politica non è più nemmeno il principe, ma

11 Un breve compendio del Ritracto, ossia il Discorso sopra le cose d’Alamagna e so-pra l’Imperatore, sarà composto da Machiavelli, a mo’ d’‘istruzione’, per Giovanni So-derini e Piero Guicciardini, inviati dalla Repubblica fiorentina presso l’imperatoreMassimiliano d’Asburgo.

12 G. Botero, Della ragione di Stato, Venezia 1589, l. I, cap. 1 (cfr. G. Botero, Dellaragion di Stato e delle cause della grandezza delle città, Bologna 1990, rist. dell’ed. vene-ziana). Quando Botero parla di «notizia di mezzi», sottintende ormai che la politicadebba avere il compito scientifico di studiare le condizioni di vita materiale dello Stato,sia nella sua struttura interna, sia nei suoi rapporti con gli altri Stati.

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17I PRESUPPOSTI STORICI

ormai l’oggettività impersonale dello Stato. La definizione di ‘ragion diStato’, data dal cattolico Botero, poteva essere condivisa (ed effettiva-mente lo fu, sul piano storico) a tutte le latitudini europee, confessionalie politiche. Alla fine del Cinquecento, sul piano della cultura politica, ladistinzione tra ordine interno e ordine internazionale è ormai una realtànuova e imprescindibile. ‘Nuova’ perché i nuovi soggetti della vita inter-nazionale non sono più l’auctoritas, il Papato e l’Impero (del resto iniziaqui la lunghissima crisi dell’idea stessa di ‘monarchia universalis’, desti-nata alla fine a convertirsi nell’idea di ‘dispotismo internazionale’), bensìgli Stati nazionali in via di formazione, le grandi repubbliche in cerca diaffermazione e i potentati minori che in varia maniera (e con tutti i mez-zi) aspirano al riconoscimento del loro potere. Ma realtà anche ‘impre-scindibile’, come si è detto, perché in tutti questi nuovi soggetti la logicadella politica impone realisticamente di riconoscere che la salvaguardiadel benessere (ossia dell’interesse) dell’ordine interno postula una cre-scente preoccupazione per i propri interessi nell’ordine internazionale(interessi degli Stati).

A sancire questo processo di profonda trasformazione mancava unostrumento concettuale che agisse contemporaneamente sul piano del di-ritto e della politica coniugandole intimamente e indissolubilmente, sullabase di una teoria giustificativa che, sfruttando i canoni della tradizionedell’umanesimo giuridico, risolvesse le esigenze private e civili di unaconfessione particolare in un’etica pubblica e politica. A tutto questoprovvide la teoria della sovranità di Jean Bodin (solida nei presupposti ericca nelle sue implicazioni) quando il secolo non si era ancora compiu-to, né era cessata ancora in Francia e in Europa la tragica stagione delleguerre civili di religione.

(SEGUE)

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35LA STAGIONE WESTFALIANA

III

LA STAGIONE WESTFALIANADELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

1. INTERESSI DEGLI STATI E SOCIETÀ INTERNAZIONALE

Il quadro storico complessivo dell’età moderna fino alla fine del Sette-cento è contrassegnato dalla persistenza del primato europeo nelle rela-zioni internazionali nonostante l’allargamento degli orizzonti geografici,economici e politici e, in questo quadro, dai progressi delle relazionieconomiche e diplomatiche tra gli Stati d’Europa. Di pari passo con ilprocesso di perfezionamento dello ‘Stato moderno’, con i relativi pro-grammi di organizzazione burocratica e amministrativa, si consolida ilprocesso di affermazione degli Stati nazionali territoriali, in uno scenariointernazionale caratterizzato dal moltiplicarsi dei soggetti di potenza(Stati piccoli, medi e grandi), ai quali verranno aggiungendosi, in parti-colare nel corso del Settecento, la Russia e la Prussia. Il ‘sistema europeodegli Stati’, quale consegue dai trattati di Westfalia del 1648, diviene unfattore decisivo nella riflessione politica proprio perché è, in primo luo-go, un imprescindibile e concreto dato storico. La crisi della potenza de-gli Asburgo, nel corso del Seicento, lascia sempre più spazio all’afferma-zione della potenza della Francia; ma dopo almeno la pace di Utrechtdel 1713, e per tutto il XVIII secolo, il quadro internazionale sarà carat-terizzato soprattutto dal confronto tra la Francia e l’Inghilterra, ossia trale due maggiori potenze in lotta per l’egemonia non solo in Europa maanche nelle colonie.

Il modello di ordine internazionale dominante nel corso dell’interaetà moderna segna la definitiva riduzione della concezione unitaria euniversalistica dell’‘autorità’ (etico-religiosa) a una concezione del ‘pote-re’ (giuridico-politico) per sua natura configurabile in soggetti moltepli-

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36 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

ci, nonché la progressiva affermazione del potere sovrano come unica,esclusiva e incondizionata fonte di legittimazione delle decisioni di poli-tica estera, indipendentemente dal tipo di regime interno. Con la defini-tiva cessazione dei conflitti civili di religione dopo il 1648, è esplicita latendenza ad avvalorare il principio del non-intervento negli affari internidi ogni singolo Stato. L’ordine internazionale è determinato dal ‘sistemaWestfalia’, ossia da una struttura dei rapporti internazionali incardinatasu un duplice principio: l’assoluta sovranità esterna degli Stati e l’indero-gabilità delle ‘ragioni di Stato’ e degli ‘interessi di Stato’ nelle relazionireciproche. A questi due princìpi corrispondono, in modo conseguente,sia la teoria sia la prassi relative a vari ambiti dell’attività internazionale:economico (politica economica protezionistica del mercantilismo), am-ministrativo (organizzazione delle scienze camerali nel quadro del pro-cesso di burocratizzazione dello Stato moderno), diplomatico (organiz-zazione istituzionale della diplomazia residente e sempre maggiore arti-colazione delle funzioni diplomatiche). In particolare, sul piano della teo-ria, il modello dominante di ordine internazionale si fonda su due fattorifondamentali: sulla sostanziale convergenza giuridico-politica fra la teo-ria giusnaturalistica e la teoria della ‘ragion di Stato’ o degli ‘interessi de-gli Stati’, tramite il comune riferimento all’elemento concettuale della‘sovranità esterna’ e alle sue prerogative; e, conseguentemente, sulla ri-duzione dei criteri di rappresentazione e di giustificazione dell’ordine in-ternazionale alla logica del ‘sistema di Stati’. A conferma di ciò, si puòconstatare come il concetto di equilibrio di potenza 1 sia una rappresen-tazione talmente ‘forte’ dell’ordine internazionale corrispondente al ‘si-stema Westfalia’, da prolungare la sua fortuna ben oltre questo periodo,dominando il campo anche in pieno Settecento. A un tempo principioteorico e pragmatico, criterio politico e strumento di propaganda, essorisponde contemporaneamente alle esigenze postulate sia da un criteriodescrittivo della politica internazionale, sia dalla prassi storica della poli-tica di potenza. Infatti, a rendere più mediato il confronto e il conflittoper l’egemonia tra grandi potenze nazionali, questo principio intervienenon solo in maniera pressoché esclusiva sul piano teorico (in sostanzialeassenza di alternative), ma anche con larga diffusione delle sue applica-

1 Sull’argomento, si veda più estesamente al paragrafo successivo. È da notare cheil principio dell’equilibrio di potenza, geneticamente riferibile alla cultura politica chesostanzia la trattatistica della ‘ragion di Stato’ e degli ‘interessi degli Stati’, è tuttavia ac-colto e incorporato (per così dire) nelle teorie giusnaturalistiche dello jus gentium. Ac-cade quindi che anch’esso, al pari delle prerogative del concetto di ‘sovranità esterna’,operi come strumento concettuale e pratico di relazione e collegamento tra la dottrinadegli ‘interessi degli Stati’ e le teorie giusnaturalistiche (nonostante l’impianto sistema-tico etico-giuridico-politico di queste ultime).

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37LA STAGIONE WESTFALIANA

zioni pratiche, se non altro per il necessario coinvolgimento delle poten-ze minori negli equilibri regionali, nei quali si va sempre più articolandocomplessivamente il quadro europeo.

Rispetto a questi dati strutturali della realtà storico-politica interna-zionale, l’immagine di società internazionale tende a divergere da quelladell’ordine internazionale per ragioni molteplici e tra loro differenti o perla specifica natura, o per il tipo di esigenza e di motivazione delle sueformulazioni. Gli sviluppi dell’idea di società internazionale nel XVII se-colo si articolano, e a un tempo si compendiano, in due principali acce-zioni: le forme giuridiche (valenze e sviluppi dello jus gentium) e le for-me diplomatiche (la diffusione delle relazioni diplomatiche). Benché si-curamente riferibile, almeno per qualche aspetto, all’idea di società in-ternazionale, ognuna delle due accezioni indicate non la rappresenta pe-rò in maniera esclusiva e soprattutto esaustiva: o perché presuppone al-meno in parte il modello di ordine internazionale dominante, o perchécontribuisce in varia maniera, e al di là della sua intenzionalità, a perpe-tuarne la logica e i caratteri. Sicché, non solo a livello teorico, ma anchesul piano delle opinioni e delle sensibilità diffuse, nessuna di questeespressioni produce un modello efficacemente alternativo a quello del-l’ordine internazionale come sistema internazionale di Stati-potenze etale da condizionare una prassi di tipo realistico largamente consolidata.

(SEGUE)

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89LA STAGIONE CONCERTATIVA

V

LA STAGIONE CONCERTATIVADELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

Il quadro storico nel primo ventennio del XIX secolo è contrassegnatodall’allargamento della scena internazionale sui versanti atlantico, medi-terraneo ed europeo-orientale, ma il centro della politica internazionalerimane ancora il continente europeo. Gli equilibri del ‘sistema degli Sta-ti’ d’Ancien Régime, messi in crisi dalla Rivoluzione francese e dall’e-spansionismo politico-militare napoleonico, vengono sostituiti dall’allean-za concordata al Congresso di Vienna del 1814-1815 tra Austria, Russia,Prussia e Inghilterra, ossia tra le maggiori potenze vittoriose sul tentativodi ‘impero universale’ di Napoleone 1. La ‘Santa Alleanza’ tra Austria,Russia e Prussia, a cui aderiscono l’Inghilterra, le potenze minori e gli al-tri Stati del Continente, consente così una sorta di stabilità egemonicavoluta, garantita e mantenuta dalle grandi potenze europee. Questo nuo-vo equilibrio politico-militare entra in crisi a causa soprattutto di duefattori, uno interno, l’altro esterno a tale disegno egemonico: il conflittodi interessi tra Inghilterra e Russia e l’affacciarsi sulla scena internazio-nale del contrasto storico tra il legittimismo dinastico di Austria, Russiae Prussia e i movimenti nazionali e liberali europei.

1 È da notare che l’impero napoleonico offre occasione all’ultimo esempio storicodi accusa di ‘monarchia universale’ da parte della pubblicistica e della propaganda av-versarie. Dopo di allora tale formula accusatoria, peraltro largamente usata nel corsodell’età moderna, non ricorrerà più. Sul concetto di ‘monarchia universale’ dal Medioe-vo al XVII secolo cfr. F. Bosbach, Monarchia Universalis. Ein politischer Leitbegriff derfrühen Neuzeit, Göttingen 1988, trad. it. Monarchia universalis: storia di un concetto del-la politica europea, secoli 16-18, Milano 1998, nonché, per il progressivo mutamento delsuo significato, M. Bazzoli, Un concetto di lunga durata: la ‘monarchia universale’, «IlPensiero Politico» 24 (1991), 1, pp. 67-74 [infra, pp. 313-321].

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90 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

In questo periodo l’ordine internazionale è garantito da una sorta di‘governo internazionale’ delle potenze maggiori, che svolgono sul pianopolitico-militare un’azione di controllo sulla pluralità degli Stati delContinente. Il ruolo della diplomazia è rivolto contemporaneamente adue obiettivi: il mantenimento dell’equilibrio tra le potenze maggiori e ilcoordinamento degli interventi politico-militari sugli Stati minori o mar-ginali. La struttura gerarchica di questo modello di ordine internazionale(storicamente corrispondente al periodo della ‘Restaurazione’) poggia suun assunto ed evidenzia, a un tempo, una contraddizione: l’assunto con-siste nella intangibilità dei regimi interni legittimati dalla Restaurazionecome condizione per la stabilizzazione del sistema europeo; la contrad-dizione sta nel fatto che mentre il principio del non-intervento negli affa-ri interni viene rigorosamente rispettato tra le potenze maggiori, vieneinvece sostanzialmente negato nei rapporti tra queste e gli Stati subordi-nati, rispetto ai quali il cancelliere austriaco Metternich afferma, anzi, ildiritto di intervento armato. Questo modello di ordine internazionale èl’ultimo, nel corso storico, a presupporre l’identità Europa-mondo; e in-fatti entrerà in crisi con l’affacciarsi sulla scena politica internazionale,già a partire dagli anni Venti e Trenta del secolo XIX, degli Stati Unitid’America, degli Stati dell’America latina e di quelli dell’Oriente medi-terraneo.

L’immagine di società internazionale corrispondente a questo quadroemerge sia dalle petizioni di principio contenute nelle risoluzioni delCongresso di Vienna e nel documento costitutivo della ‘Santa Alleanza’,sia dalla sostanziale ‘universalità’ dell’assemblea di Stati coinvolti nell’Al-leanza, sia infine dalla procedura dei ‘congressi internazionali’ origina-riamente concordata tra le potenze vincitrici sull’Europa napoleonica.

Circa il primo punto, il fine dell’alleanza era certamente quello digarantire la pace internazionale, come appare chiaro dal Patto costituti-vo, ispirato dallo zar Alessandro I e firmato il 26 settembre 1815 2. Lapace, concepita secondo i canoni del pensiero romantico, è il valore ri-corrente nella caratteristica fraseologia paternalistica e mistico-religiosadi questo documento, che identifica il «bene del mondo» nel manteni-mento della pace tra gli Stati europei. La condizione della pace è postanella consapevolezza dei sovrani di essere «membri di una medesima na-zione cristiana» guidata dalla Provvidenza divina, a cui spetta di regolare

2 Il documento del Patto della Santa Alleanza (pubblicato nel 1816) venne firmatodallo czar Alessandro I di Russia, dal re di Prussia Federico Guglielmo III e dall’impe-ratore d’Austria Francesco I d’Asburgo. Aderirono al Patto la Francia, il regno di Sar-degna, i Paesi Bassi e la Svezia; non vi aderirono l’Inghilterra, per motivi di prudenzapolitica, e la Santa Sede, per motivi politici e religiosi.

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91LA STAGIONE CONCERTATIVA

gli obblighi reciproci tra i sovrani, i loro popoli e i prìncipi alleati 3. Maal di là della retorica solidaristico-cristiana di cui ridonda l’intenzionalitàpacifista, l’aspetto di valore che caratterizza questa immagine di societàinternazionale va tuttavia ricercato anche nella disponibilità, verificatasinel corso del Congresso di Vienna, a sottoscrivere impegni che assumo-no un significato filantropico, come ad esempio la dichiarazione di prin-cipio circa l’abolizione della tratta degli schiavi, «perché repugnante aiprincipi di umanità e della morale universale» 4.

Circa il secondo punto, va osservato che in effetti alla Santa Alleanzafinirono col partecipare, sia pure in tempi diversi e con differenti moti-vazioni e intenzioni, quasi tutti gli Stati europei del tempo (ad eccezionedello Stato pontificio, che non vi partecipò al pari dell’Impero ottoma-no). Il governo congressuale dell’Europa della Santa Alleanza appareperciò, in questo senso, ‘universalmente’ rappresentativo, tanto quantopotrebbe esserlo una sorta di confederazione o alleanza internazionaleaperta anche agli Stati minori; in essa però non viene posta in discussio-ne la diseguaglianza politica conseguente al riconoscimento del principiogerarchico, dato che la guida effettiva dell’Europa è riservata al diretto-rio delle grandi potenze.

Infine, circa il terzo punto, va osservato che nel quadro del Congres-so di Vienna e della Santa Alleanza viene proposta programmaticamenteuna prassi concertativa della politica internazionale 5 che costituisce unelemento di novità rispetto sia al pluralismo ‘anarchico’ degli Stati d’An-cien Régime (ancorché giustificato secondo il principio d’equilibrio), siasoprattutto al personalismo monocratico dell’impero napoleonico. Ben-ché dall’intesa tra le potenze maggiori non scaturisca una organizzazionepermanente (com’era nelle intenzioni originarie del Ministro ingleseCastlereagh), tuttavia il proposito di affrontare i problemi internazionaliattraverso convocazioni ‘congressuali’ tra le potenze, al fine di adottareeventuali decisioni sulla base di un comune consenso, è certamente un

3 Cfr. il testo del Patto (redatto originariamente in francese) in F. Gaeta - P. Villa-ni (a cura di), Documenti e testimonianze. Antologia di documenti storici, Milano 19692,pp. 603-604.

4 Propugnata soprattutto dall’Inghilterra, ma avversata dalla Spagna, la risoluzio-ne di condanna della tratta degli schiavi venne approvata l’8 febbraio 1815 e inclusanell’Atto finale del Congresso di Vienna. Non divenne tuttavia norma immediatamenteed effettivamente applicata nemmeno per quei paesi che l’avevano firmata.

5 Cfr. l’art. 6 inserito dal Ministro inglese Castlereagh nel testo della QuadrupliceAlleanza del 20 novembre 1815. Questo articolo prevedeva riunioni periodiche tra lepotenze, allo scopo di studiare le misure per il mantenimento della pace in Europa (cfr.H. Nicolson, The congress of Vienna: a study in allied unity, 1812-1822, London 1946,trad. it. Il Congresso di Vienna. Saggio sull’unità degli alleati, Firenze 1952).

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92 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

aspetto caratteristico di questo tipo di società internazionale. Indipen-dentemente dalla effettività storica di questa prassi congressuale interna-zionale, e soprattutto delle interpretazioni che, secondo i propri interessinazionali, ne danno di fatto i singoli appartenenti al direttorio delle po-tenze maggiori, tuttavia questo fattore procedurale contribuisce indub-biamente alla stabilità delle relazioni internazionali fra gli Stati europei.

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93ASPETTI ATTUALI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

VI

ASPETTI ATTUALI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

1. FATTORI DI MUTAMENTO NELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI

DEL MONDO CONTEMPORANEO

Il quadro internazionale dell’età contemporanea tra la fine del XIX seco-lo e la fine del XX presenta alcune significative caratteristiche strutturalie tendenze generali. Intanto, vanno registrati i profondi mutamenti de-terminatisi nel corso storico rispetto all’età moderna, dopo 350 anni daitrattati di Westfalia del 1648. Ciò che nella generale rappresentazione siera configurato come il ‘sistema europeo degli Stati’, fondato sul princi-pio della sovranità assoluta su un territorio, sulla supremazia del poterecivile su quello religioso, e sullo Stato come soggetto esclusivo delle rela-zioni giuridico-politiche internazionali, si è progressivamente trasforma-to. Combinandosi con l’idea di nazione, lo Stato sovrano è venuto deter-minandosi come ‘Stato nazionale’, che già a partire dal XIX secolo hacontribuito ad accentuare, anziché ad attenuare, il carattere instabile e‘anarchico’ 1 delle relazioni internazionali, fino al tragico epilogo della

1 Sul carattere strutturalmente anarchico delle relazioni internazionali convergononumerose e autorevoli interpretazioni: ad esempio quelle di R. Aron, Les désillusions duprogrès. Essai sur la dialectique de la modernité, Paris 1969; M. Wight, The balance ofpower and international order, in A. James (ed.), The bases of international order,Oxford 1973; H. Bull, The anarchical society. A study of order in world politics, London1977; S. Hoffmann, L’ordre international, in M. Grawitz - J. Leca (éds.), Traité de sciencepolitique, vol. I. La science politique comme science sociale. L’ordre politique, Paris 1985.Al di là delle diverse motivazioni, argomentazioni e metodologie d’indagine circa i pro-blemi della teoria (o ‘scienza’) internazionalistica, tutte queste interpretazioni ricono-scono l’importante ascendente storico-genetico dell’‘anarchia internazionale’ nella teo-ria giusnaturalistica dello jus gentium, specialmente nell’accezione hobbesiano-pufen-

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94 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

prima e della seconda guerra mondiale nel corso del secolo XX. Nellasua progressiva esasperazione, così come nei suoi vari contenuti, il fatto-re della nazionalità ha infatti, da un lato, moltiplicato le occasioni di lot-ta per l’egemonia tra grandi potenze nazionali, mentre dall’altro ha mor-tificato, e in tal modo accresciuto ed esasperato, le aspirazioni rivendica-tive degli Stati minori.

Nell’epoca presente si assiste a un accelerato mutamento degli equi-libri e delle gerarchie di potenza nell’intero scenario internazionale. Sitratta dei mutamenti conseguiti, in primo luogo, dalle due guerre mon-diali, poi dal tormentato processo di decolonizzazione, quindi dal crollodel regime sovietico e dal sistema di Stati che vi faceva riferimento, infi-ne dalle influenze e interferenze dei fondamentalismi e dei neo-naziona-lismi di ogni genere. Nel complesso, il quadro è maggiormente e accele-ratamente instabile per vari motivi: soprattutto per il moltiplicarsi deisoggetti delle relazioni internazionali, delle occasioni delle loro iniziati-ve, nonché dei tipi, delle forme e delle circostanze di tali iniziative. Aisoggetti o attori internazionali tradizionali, ossia gli Stati reciprocamentericonosciuti negli accordi e trattati internazionali, si sono venuti aggiun-gendo quelli che, per vari processi recenti e meno recenti di disaggrega-zione politica, aspirano a ottenere un riconoscimento internazionalecome nazioni indipendenti (Armeni, Curdi, Palestinesi, ecc. e, in genera-le, le «nazioni senza Stato» 2). Andrebbe aggiunta la capacità di iniziativainternazionale di soggetti che, già appartenenti a strutture politiche ditipo confederativo, aspirano a una ancor maggiore autonomia, oppure diquelli che, già disponendo di una relativa autonomia amministrativa al-l’interno di uno Stato unitario, aspirano o a potenziarla all’interno diuna struttura di tipo confederativo, o a conquistare senz’altro l’indipen-denza (Baschi, Corsi, ecc.). Da questo punto di vista parrebbe in crisi,più che lo ‘Stato nazionale’, lo ‘Stato unitario’, sia nazionale, sia multina-zionale. Se poi la prospettiva si allarga dall’Europa all’Asia e soprattuttoall’Africa, ci si rende conto di quanto il quadro internazionale sia sensi-bile anche ai contrasti, più o meno endemici e motivati talvolta anchedalla diversità di religione, tra etnie e gruppi tribali. Inoltre, dimensionidella vita dei popoli quali ad esempio l’economia internazionale, un tem-

dorfiana. Circa le caratteristiche di questa riflessione si veda l’antologia a cura di L. Bo-nanate, Diritto naturale e relazioni tra gli Stati, Torino 1976.

2 Cfr. A. Melucci - M. Diani, Nazioni senza Stato, Milano 1992² (Torino 1983¹).Dagli anni Ottanta a oggi, il problema è andato notevolmente ampliandosi e arricchen-dosi di implicazioni ulteriori, anche per effetto di una maggiore articolazione dei criteriosservativi che hanno messo in luce la complessità dei fenomeni connessi: cfr. ad esem-pio A. Petrillo, Lento ritorno a casa. Note sulle ‘piccole patrie’, «Filosofia politica» 15(2001), 3, pp. 411-429.

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95ASPETTI ATTUALI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

po subordinate e condizionate a volta a volta alle politiche dinastiche,agli interessi delle sovranità, agli espansionismi nazionali e coloniali, alleesigenze militari imposte dall’egemonia continentale, emergono ora co-me ambiti in varia misura autonomi di determinazione delle relazioni in-ternazionali. Capaci di iniziative autonome sulla scena internazionale so-no del resto, proprio per il loro carattere supernazionale o transnaziona-le, i maggiori gruppi economici multinazionali.

Insomma, il quadro complessivo è tale che, a rigore, non si potrebbepiù parlare di ‘sistema internazionale’ su scala mondiale allo stesso modoe nello stesso senso in cui se ne era potuto parlare dopo il 1648 e, in sca-la crescente, fino alla prima metà del XIX secolo. L’odierno processo diglobalizzazione sembra mettere in discussione quanto rimane dell’archi-tettura del ‘sistema Westfalia’ molto più di quanto abbiano fatto la Rivo-luzione francese, le guerre napoleoniche, la Santa Alleanza, il Trattato diVersailles e gli accordi di Yalta. Non sono mutati soltanto il quadro sto-rico e le ideologie che hanno contribuito, talvolta prepotentemente, aprovocarne la trasformazione a partire almeno dalla seconda metà del-l’Ottocento. Vanno mutando anche le categorie concettuali che hannopresieduto alla rappresentazione sintetica dell’ordine internazionale eche hanno prodotto, nel corso della storia, modelli descrittivi e a untempo giustificativi della politica internazionale 3.

(SEGUE)

3 Per un quadro articolato delle dinamiche relative alla globalizzazione, in rappor-to al tema dell’‘interesse nazionale’, cfr. V.E. Parsi, Interesse nazionale e globalizzazione.I regimi democratici nelle trasformazioni del sistema post-westfaliano, Milano 1998.

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101ANTINOMIE DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE POST-MODERNA

VII

ANTINOMIEDELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE POST-MODERNA

1. ANTINOMIE GIURIDICHE, ISTITUZIONALI E POLITICHE

DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

Forse la miglior prova di questo paradosso, e a un tempo del persistentecondizionamento dell’ordine internazionale sulla società internazionale,sta nel carattere antinomico dell’odierno bagaglio concettuale e praticodella società internazionale secondo il profilo giuridico, istituzionale epolitico.

La prima antinomia riguarda la natura e la funzione del ‘diritto in-ternazionale’, a cui pure si guarda come a un mezzo conforme alla socie-tà internazionale perché mira a risolvere le controversie mediante proce-dure razionali e consensuali anziché mediante il conflitto armato. Vaperò constatato che l’idea di un ordine giuridico universale che prescin-da da una concreta prassi pattizia tra Stato e Stato non ha alcun riscon-tro pratico 1. È vero, da un lato, che il ricorso al diritto internazionalecome mezzo privilegiato di composizione delle controversie internazio-nali è formalmente e costantemente auspicato dalla generalità degli Stati;ma è altrettanto vero, dall’altro lato, che questo stesso diritto è privo, perla sua natura non meno che per la sua genesi storica, di un vero poterecollettivo sanzionatorio, ed è perciò necessariamente rispettoso delleprerogative sovrane degli Stati nazionali. Mentre dunque si riconosceche il ricorso allo strumento del diritto anziché a quello delle armi è con-

1 Tale constatazione non è affatto contraddetta dalla funzione mediatrice di orga-nizzazioni internazionali (a cominciare dall’ONU) la cui natura e struttura presupponeappunto la prassi pattizia tra singoli Stati e potenze.

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102 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

forme a un valore irrinunciabile e costitutivo della società internazionale,nello stesso tempo, trattandosi più di un diritto tra gli Stati che di un di-ritto sovranazionale, esso è condizionato, come complesso di mezzi e diprocedure, al riconoscimento degli Stati come soggetti internazionali acui, di fatto, non è applicabile alcuna sanzione. Ne è prova il caratteresostanzialmente pleonastico della Corte Internazionale di Giustizia (or-gano collegato all’ONU e che ha storicamente sostituito la Corte perma-nente di giustizia internazionale, collegata alla Società delle Nazioni),alla quale infatti possono rivolgersi gli Stati, ma non i singoli individui.Ancora, ne sono prova le difficoltà che incontra (non per caso) la recen-te iniziativa, sostenuta da larghi settori dell’opinione pubblica in varipaesi e da numerose personalità del mondo del diritto, della cultura edella politica, di istituire, e soprattutto di far funzionare efficacementenel quadro dell’attuale diritto internazionale, un Tribunale internaziona-le per i diritti umani, ossia la Corte Penale Internazionale, competente agiudicare i crimini più gravi commessi contro l’intera comunità interna-zionale (aggressione, crimini di guerra, genocidio, ecc.) 2.

La tesi secondo la quale il diritto internazionale è tradizionalmentela forma regolatrice delle volontà sovrane nei loro reciproci rapporti, equindi supremo principio normativo dell’organizzazione politica inter-nazionale 3, è dottrina che oggi non risulta contraddetta, tantomeno so-stituita, da altra secondo la quale il diritto internazionale non sarebbepiù la forma giuridica che regola esclusivamente i rapporti fra Stati 4.

(SEGUE)

2 Lo Statuto della Corte penale internazionale, con sede a Roma, potrà però entra-re in vigore dopo la ratifica di almeno 60 Stati; il Parlamento italiano lo ha ratificatocon la legge del 12 luglio 1999, n. 232. La Corte si basa sul principio che possano esseresottoposti al suo giudizio per reati contro l’umanità coloro contro i quali gli Stati di ap-partenenza non possano o non vogliano procedere penalmente per questo tipo di reati.La Corte è però autorizzata ad agire nei confronti dei cittadini di quegli Stati che abbia-no preventivamente ratificato il suo Statuto. È proprio la questione della ratifica a crea-re le maggiori difficoltà a tale istituzione, perché con essa gli Stati rinuncerebbero, al-meno in linea di principio, a esercitare una prerogativa fondamentale della loro sovra-nità interna, ossia il giudizio in materia penale sui propri cittadini nel proprio territo-rio. È da notare che per gli Stati che riconoscono ai Capi di Stato stranieri (anch’essisuscettibili di essere penalmente perseguiti dalla Corte) la prerogativa dell’immunità, laratifica dello Statuto del Tribunale penale internazionale comporterebbe una modificacostituzionale.

3 H. Bull, The anarchical society. A study of order in world politics, London 1977,p. 140 ss.

4 È la tesi sostenuta oggi da molti e che risale a L. Oppenheim, International law,London 1905, vol. I, cap. I.

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111ANTINOMIE DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE POST-MODERNA

4. LA FISIONOMIA POLITICA DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

È infatti sul piano politico che, nel rapporto tra fine e mezzi, vengononecessariamente convergendo il dato storico-strutturale della molteplici-tà dei soggetti internazionali e il dato di valore della società internaziona-le. Si tratta, in sostanza, di dare risposta a due interrogativi: in primoluogo, come imporre che la coerenza tra politica interna e politica ester-na dei molteplici soggetti internazionali risponda a criteri riconosciuti econdivisi non solo nella prassi e nelle procedure internazionali, ma an-che, contestualmente, nella prassi e nelle procedure della politica interna;in secondo luogo, come garantire che questo processo avvenga secondoun criterio sintetico che consenta il libero confronto dei dissensi, non

14 I conflitti di natura religiosa che sconvolgono in questi ultimi tempi vari scenari,soprattutto nel medio e vicino Oriente, sono eloquente dimostrazione della insuscetti-bilità dei vari fattori confessionali di lavorare nel senso della pacificazione tra i popoli ele religioni.

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112 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

meno che la loro pacifica composizione. Non vi è nessuna possibilità direndere coestensibili la ‘società internazionale’ e la ‘democrazia interna-zionale’ (quale che sia il significato che possa essere dato a tale espressio-ne) se i molteplici soggetti indipendenti non obbediscono all’imperativodi darsi, come diceva Kant, una ‘costituzione repubblicana’, ossia (comediremmo oggi) un ordinamento di democrazia liberale nel quale le deci-sioni della sovranità esterna siano soggette al controllo istituzionale-co-stituzionale e a quello dell’opinione pubblica.

Nondimeno, anche rispetto a una prospettiva minima della ‘societàinternazionale’ 15, va constatato un dato palesemente contraddittorio: os-sia che (non diversamente dai numerosi progetti di pace internazionalefioriti nel corso dell’età moderna) anche la massima organizzazione in-ternazionale della nostra epoca, l’ONU, è statutariamente indisponibilea mettere in discussione il problema della natura dei regimi interni 16.Fin dalle sue origini essa ammette infatti regimi diversi, comprese le dit-tature, salvo poi pretendere che queste si adeguino, nel loro comporta-mento internazionale, a procedure e valori (in primo luogo il rispetto deidiritti dell’uomo e la priorità dell’individuo-come-valore) incompatibilicon la natura e il carattere dei propri ordinamenti interni, e comunquecon la prassi della propria politica interna. Non è naturalmente in di-scussione l’utilità di una sede internazionale aperta al dibattito e al con-fronto: il riconoscerlo è persino una banalità, tanto quanto il pretendereche tale sede costituisca l’assoluto strumento risolutivo di ogni contro-versia. Ma il riconoscere questo non toglie che le persistenti difficoltàdell’ONU derivino in primo luogo dall’aver trascurato il fondamentale

15 Mi riferisco in particolare a D. Zolo, Cosmopolis. La prospettiva del governo mon-diale, Milano 1995. Dello stesso autore si vedano anche La forza del ‘pacifismo debole’.In difesa di un libro controverso, «Teoria politica» 13 (1997), 2, pp. 113-123 (in cuiZolo risponde alle obiezioni dei vari critici di Cosmopolis) e, inoltre, I signori della pace.Una critica del globalismo giuridico, Roma 1998.

16 Cfr. lo Statuto delle Nazioni Unite, cap. I («Fini e princìpi»), art. 2, paragrafo 7:«Nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire inquestioni che appartengano essenzialmente alla competenza interna di uno Stato, néobbliga i Membri a sottoporre tali questioni ad una procedura di regolamento in appli-cazione al presente Statuto; questo principio non pregiudica però l’applicazione di mi-sure coercitive a norma del cap. VII». Naturalmente la sostanziale intangibilità dellecompetenze riferibili alla ‘domestic jurisdiction’, e quindi l’altrettanto sostanziale unila-teralità o discrezionalità interpretativa dei singoli Stati, non sono affatto limitate o con-dizionate da altri articoli dello Statuto dell’ONU riguardanti, ad esempio, le questionicoloniali, il mantenimento della pace internazionale e la tutela dei diritti umani (cap. VIIdello Statuto). Solo il terzo punto potrebbe riguardare la politica interna. Ma, di fatto,gli unici casi in cui l’ONU è intervenuta hanno riguardato la Somalia e il Ruanda: nonper caso ‘piccoli Stati’ e, per giunta, paesi in cui il potere sovrano ‘nazionale’ era dissol-to in una situazione di perdurante guerra civile.

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113ANTINOMIE DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE POST-MODERNA

rapporto di coerenza tra politica interna e politica internazionale, e dal-l’aver in tal modo legittimato a priori una contraddizione: ossia pretende-re che un medesimo Stato si comporti sul piano internazionale come pa-lesemente, quanto legittimamente 17, non sia tenuto a comportarsi (né ineffetti si comporta) nel proprio ambito interno.

Tutto ciò induce a un’unica conclusione: che allo scopo di conteneregli sviluppi della politica internazionale entro limiti ragionevolmentecontrollabili, la prospettiva della società internazionale non solo autorizzaa sottoporre a giudizio il tipo di regime interno, ma anzi impone di farlo.Quand’anche fosse vero che ‘gli stati democratici non si sono mai affron-tati con la guerra’, potrebbe non essere vero che ‘la democrazia stessa èuna garanzia contro il conflitto armato’ 18. Ove poi quest’ultima afferma-zione pretendesse di avere valore assoluto, potrebbe risultare contrad-detta per almeno due ragioni: sia perché il grado di bellicosità delle de-mocrazie va necessariamente relazionato, nel confronto politico-interna-

17 Anche per questo motivo non è condivisibile l’opinione di Bobbio il quale, rife-rendosi alla caratteristica attuale dell’ordine internazionale, ammette che «il sistematradizionale dell’equilibrio continua a convivere a fianco del nuovo sistema [rappresen-tato dalle Nazioni Unite] avviato dal processo di democratizzazione». Ma aggiunge che«il contrasto tra i due sistemi, conviventi e tra loro concorrenti, può essere illustrato dalpunto di vista della distinzione, ben nota ai giuristi, tra legittimità ed effettività. Il nuo-vo è legittimo sulla base del consenso tacito o espresso della quasi totalità dei membridella comunità internazionale che hanno creato e mantengono in vita l’Organizzazionedelle Nazioni Unite, ma non è efficace. Il vecchio continua ad essere effettivo, puravendo perduto, rispetto alla lettera e allo spirito dello Statuto delle Nazioni Unite,ogni legittimità» (cfr. N. Bobbio, Il terzo assente. Saggi e discorsi sulla pace e sulla guer-ra, a cura di P. Polito, Torino 1989, pp. 225-226). Ora, legittimare a priori, da partedell’ONU, qualunque tipo di regime interno, equivale a rendere discutibile proprio ladichiarazione di illegittimità circa il ‘vecchio’ sistema. Non si vede, infatti, chi possacontinuare a seguire il tradizionale sistema dell’equilibrio (che, secondo Bobbio, sareb-be illegittimo) se non quelle stesse potenze mondiali e quegli stessi Stati che, appunto,«hanno creato e mantengono in vita l’Organizzazione delle Nazioni Unite» e che do-vrebbero comportarsi secondo la lettera e lo spirito dello Statuto dell’ONU. Il punto èche lo stesso Statuto dell’ONU contribuisce a rendere legittimi entrambi i sistemi, sia ilvecchio sia il nuovo; e non può dichiarare illegittimo il vecchio sistema se non ne di-chiara contestualmente illegittima la fonte primaria, ossia ogni ordinamento internocontrastante con la libertà dell’opinione pubblica, con il rispetto e la tutela dei dirittiumani, in sostanza con la prassi costituzionale-istituzionale liberaldemocratica.

18 Al proposito è molto significativo il confronto tra due opere: L. Bonanate, Etica epolitica internazionale, Torino 1992, e A. Panebianco, Guerrieri democratici. Le demo-crazie e la politica di potenza, Bologna 1997. Andrà d’altra parte osservato che, in giudi-zi di questo tipo (e a parte il caso peculiare e sui generis dello Stato di Israele), il termi-ne stesso di ‘democrazia’ senza aggettivi porta con sé degli equivoci: come è provato dalfatto storico che almeno le democrazie ‘popolari’ si sono vicendevolmente aggreditemilitarmente più volte nell’ultimo mezzo secolo (tra i casi più noti, quelli dell’Ungherianel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968).

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114 LE STAGIONI DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

zionale, alla persistenza reale di regimi non democratici e di comporta-menti non democratici; sia perché la società internazionale è, appunto,una prospettiva, un processo storico che non può garantire automatica-mente la pace perpetua. La quale in verità appare un fine così alto, e adun tempo così remoto, da proporsi come obiettivo di una filosofia dellastoria e, a termini più ravvicinati, da impegnare e pretendere semmai piùun responsabile comportamento morale dai singoli individui, che unutopistico comportamento etico dagli Stati. Come già notava Voltaire,«la sola pace perpetua che possa essere stabilita tra gli uomini è la tolle-ranza» 19. Ed è, questo, un ammonimento prezioso, ove non sfugga l’in-fluenza che il principio della tolleranza può esercitare sul rapporto trapolitica interna e politica internazionale. Il suo opposto, l’intolleranza, èinfatti la negazione dell’individuo-come-valore, perché nasce da una du-plice presunzione: di stabilire quale sia il bene e quale il male per gli uo-mini sia all’interno sia all’esterno degli Stati, e anche di imporre quantostabilito dai governi con la forza e con la violenza.

La società internazionale si accontenterebbe quindi di un obiettivopiù modesto della ‘pace perpetua’: un obiettivo che consenta di ampliareprogressivamente gli spazi di prevedibilità del comportamento interna-zionale degli Stati e, in questo modo, di contenere le occasioni di guerrain termini ragionevoli, ossia controllabili. Ciò significa che, intesa nelsenso anzidetto, la società internazionale deve costituire una tendenza ir-reversibile che, nella dialettica storica con l’ordine internazionale, sia ef-fettivamente in grado di condizionarne la struttura e gli sviluppi. È diffi-cile dire se, di per sé, il processo di globalizzazione apra vie di svilupposecondo una linea necessariamente compatibile con quella tendenza irre-versibile; e anzi sembra presentare, al momento, aspetti contraddittori.Molto potrebbe fare la coscienza morale di ogni individuo; molto anchela capacità di persuasione delle istituzioni religiose, se queste non fosse-ro talvolta indotte a condizionare la funzione del loro magistero a conte-nuti ideologici opinabili e perciò (data la ragion d’essere di ogni magiste-ro religioso, che per sua stessa natura pretende di rappresentare la veritàin modo assoluto ed esclusivo 20) suscettibili di diventare essi stessi occa-

19 Voltaire, Della pace perpetua, del dottor Goodheart (1769), in Id., Scritti politici, acura di R. Fubini, Torino 1964, pp. 809-837: 809. È superfluo osservare che proprio latolleranza, soprattutto nei suoi aspetti civili e politico-istituzionali, è uno dei valori par-ticolarmente contraddetti e umiliati nei regimi interni non solo di molti Stati rappre-sentati nell’Assemblea delle Nazioni Unite, ma anche di una grande potenza che siedeaddirittura nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU in qualità di membro permanente.

20 Il più ovvio riferimento è, nel momento presente, a ogni forma di integralismofondamentalista come fonte attuale o potenziale di destabilizzazione e di azione terrori-stica.

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115ANTINOMIE DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE POST-MODERNA

sione di conflitto 21. Molto di più può fare perciò, nella direzione diun’auspicata coerenza tra politica internazionale e politica interna, unconsenso politico sempre più orientato e ampio, soprattutto nelle orga-nizzazioni internazionali. La condizione politica dell’‘etica dei dirittiumani’ postula una relazione necessaria tra pace internazionale e prioritàdell’individuo-come-valore all’interno di ogni Stato. Fino a quando que-st’ultimo e fondamentale obiettivo non verrà realizzato, la logica degli‘interessi degli Stati’ e dell’ordine internazionale avrà il sopravvento sullasocietà internazionale. Fino a quando le organizzazioni internazionali (acominciare dall’ONU) non si porranno, direttamente ed efficacemente,il problema dei regimi interni degli Stati membri, la società internaziona-le rimarrà un obiettivo ideale, tanto altamente morale quanto inevitabil-mente inefficace.

21 Si allude qui alla capacità delle istituzioni religiose, quali che siano, di influenza-re i comportamenti individuali, e solo attraverso questa indiretta via di influenzare icomportamenti internazionali. Cosa ben diversa, rispetto a tale capacità d’influenza, èinvece la potenzialità progettuale delle istituzioni religiose circa la costruzione politicadi una società internazionale, giacché i suoi contributi risultano, a oggi, non esenti dacontraddizioni soprattutto in merito al problema della preferibilità, a priori, di uno spe-cifico tipo di regime interno.

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123PENSIERO POLITICO E PROSPETTIVA INTERNAZIONALE

Parte Seconda

TEORIE DELL’ORDINEE DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

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124 TEORIE DELL’ORDINE E DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

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125PENSIERO POLITICO E PROSPETTIVA INTERNAZIONALE

AVVERTENZA

I saggi che compongono la seconda parte del volume sono stati pubbli-cati, o sono in corso di pubblicazione, nelle seguenti sedi:

I. Pensiero politico e prospettiva internazionale nell’età moderna, «IlPensiero Politico» 25 (1992), 1, pp. 107-116.

II. La concezione pufendorfiana della politica internazionale, in V. Fio-rillo (a cura di), Samuel Pufendorf filosofo del diritto e della politi-ca, Atti del Convegno internazionale (Milano, 11-12 novembre1994), Napoli, La Città del Sole, 1996, pp. 29-72.

III. L’idea di ordine internazionale nell’Europa di Montesquieu, in A. Po-stigliola - M.G. Bottaro Palumbo (éds.), L’Europe de Montesquieu,Actes du Colloque de Gênes (26-29 mai 1993), Napoli, Liguori,1995, pp. 53-76.

IV. L’ordine internazionale secondo Mably: dal «Droit public de l’Euro-pe» ai «Principes des négotiations», in F. Mazzanti Pepe (a curadi), Costituzione e diritti fondamentali in Mably, Atti della Giorna-ta di Studio (Genova, 25 novembre 1998), Genova, Name, 2001,pp. 43-57.

V. Doveri dell’ambasciatore e ordine internazionale nell’«Enbaxador»(1620) di Juan Antonio de Vera, in A.E. Baldini (a cura di), Rivol-te, ragion di Stato e ordine politico tra Cinque e Seicento, ConvegnoTorino, 16-17 ottobre 2001, in corso di pubblicazione a Milano,presso Franco Angeli.

VI. L’ideologia dell’ambasciatore nel tardo Seicento: «L’Ambassadeur etses fonctions» di Abraham de Wicquefort, in G. Borrelli (a cura di),Prudenza civile, bene comune, guerra giusta. Percorsi della ragion di

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126 TEORIE DELL’ORDINE E DELLA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

Stato tra Seicento e Settecento, Atti del Convegno internazionale(Napoli, 22-24 maggio 1996), Napoli, Adarte, 1999, pp. 203-220.

VII. Ragion di Stato e interessi degli Stati. La trattatistica sull’ambascia-tore dal XV al XVIII secolo, «Nuova Rivista Storica» 86 (2002), 2,pp. 283-328.

VIII. Un concetto di lunga durata: la ‘monarchia universale’, «Il PensieroPolitico» 24 (1991), 1, pp. 67-74.

IX. L’equilibrio di potenza nell’età moderna. Dal Cinquecento al Con-gresso di Vienna, in M. Bazzoli (a cura di), L’equilibrio di potenzain età moderna. Dal Cinquecento al Congresso di Vienna, Milano,Unicopli, 1998, pp. V-XLV.

X. Piccolo stato e teoria dell’ordine internazionale nell’età moderna, inE. Gabba - A. Schiavone (a cura di), Polis e piccolo stato tra rifles-sione antica e pensiero moderno, Atti delle Giornate di Studio (Fi-renze, 21-22 febbraio 1997), Como, Edizioni New Press, 1999,pp. 76-93.

Ringrazio i direttori delle riviste, i curatori e gli editori dei volumi, in cui so-no stati stampati per la prima volta i saggi di Maurizio Bazzoli, per averne per-messo la ripubblicazione. Sono grato, altresì, al Comitato Scientifico della Col-lana «Il Filarete» per averne eccezionalmente consentito la raccolta e la ristam-pa nel presente volume.

Ringrazio di cuore, infine, Fernanda Caizzi per la pronta disponibilità e lacompetente determinazione con le quali ha seguito la preparazione del volumee reso possibile la sua pubblicazione in tempi molto rapidi.

Marco Geuna