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Mensile del Movimento Federalista Europeo Poste Italiane SpA-Sped. A. P. - DL353/2003 (conv. L27/2/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Pavia, anno XXXV Fondato da Altiero Spinelli nel 1943 settembre 2008 415 L’analisi della relazione intercorrente tra la moneta ed il potere spinse i federalisti europei, nell’anno in cui Nixon decretò l’inconvertibilità del dollaro in oro (1971), a giudicare non matura la proposta di Triffin per un’evoluzione dei diritti speciali di prelievo sul Fondo Monetario Internazionale fino a costituire una vera e propria moneta mondiale. L’equilibrio bipolare e l’egemonia americana sul mondo occidentale rendevano allora necessaria (e possibile) soltanto l’unificazione monetaria europea. Scrisse Albertini: “lo scopo economico è quello di trasformare un gruppo di monete nazionali, con delle possibilità internazionali limitate e subordinate, in una moneta nazionale (europea) che copra tutto lo spazio in questione. Si tratta pertanto di adoperare il mezzo politico...” (Le problème monetaire et le problème politique européen, in le Fédéraliste, n. 3/ 1972). Il MFE perseguì tenacemente tale obiettivo fino alla creazione dell’euro. Lo stesso Triffin si convinse dell’attualità della proposta e si dedicò esclusivamente al progetto d’unificazione monetaria dell’Europa. La fine della guerra fredda e del congelamento del mondo in due blocchi contrapposti (1991) ha favorito lo sviluppo di nuove potenze regionali e ha ridistribuito i pesi economici sulla scena mondiale. Purtroppo, in contraddizione con questa realtà, ha incoraggiato anche il tentativo degli Stati Uniti di stabilire un governo unilaterale del mondo. Quando Bush ha risposto all’attacco dell’undici settembre (2001) non come ad un’emergenza criminale, ma in termini di guerra preventiva globale “con noi o contro di noi”, secondo le sue parole, ha posto le premesse perché il declino dell’egemonia americana subisse una brusca accelerazione. L’esito è stato disastroso per il mondo, soprattutto per quanto riguarda la disponibilità di beni pubblici globali, quali la pace, la sicurezza, la legalità, la sostenibilità energetica ed ambientale del modo di produzione e dei modelli di consumo, l’equità RIVENDICHIAMO UNA NUOVA BRETTON WOODS (segue a p. 2) Bronislaw Geremek (1932-2008) merita di essere ricordato dai federalisti perché la sua vita rappresenta l’esemplare testimonianza di come un sincero democratico sia riuscito a percorrere, grazie al suo coerente e costante impegno nella politica attiva, il difficile cammino che, dall’Europa divisa dalla guerra fredda, ha avuto come punto di approdo naturale il federalismo europeo. Geremek – sopravvissuto grazie alla fuga dal ghetto di Varsavia, durante la seconda guerra mondiale – avrebbe potuto accontentarsi dei suoi successi accademici. Era uno storico del medioevo europeo noto a livello internazionale. Ma non lo ha fatto, perché ha sentito il dovere di militare attivamente in Solidarnosc, contro l’oppressivo regime comunista polacco e sovietico, subendo un breve periodo di prigione durante il regime del generale Jaruselski. Dopo la fine del comunismo, è stato Ministro degli esteri della Polonia democratica e, da quella posizione, ha potuto constatare quanto fosse importante, per il consolidamento della gracile democrazia polacca, l’ingresso del suo paese nell’Unione europea. Dopo l’allargamento a Est dell’Unione, Geremek ha partecipato, come deputato nel Parlamento europeo, alla costruzione della democrazia europea, per unire ancora più strettamente il destino della sua patria d’origine a quello degli altri popoli europei. Da questa GEREMEK: UN MILITANTE DELLA DEMOCRAZIA EUROPEA (segue a p. 6)

Mensile del Movimento Federalista Europeo · L’analisi della relazione intercorrente tra la moneta ed il potere spinse i federalisti europei, nell’anno in cui Nixon decretò l’inconvertibilità

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  • Mensile del Movimento Federalista Europeo

    Poste Italiane SpA-Sped. A. P. - DL353/2003 (conv. L27/2/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Pavia, anno XXXV

    Fondato da Altiero Spinelli nel 1943

    settembre 2008 415

    L’analisi della relazione intercorrente tra la moneta edil potere spinse i federalisti europei, nell’anno in cuiNixon decretò l’inconvertibilità del dollaro in oro (1971),a giudicare non matura la proposta di Triffin perun’evoluzione dei diritti speciali di prelievo sul FondoMonetario Internazionale fino a costituire una vera epropria moneta mondiale. L’equilibrio bipolare el’egemonia americana sul mondo occidentale rendevanoallora necessaria (e possibile) soltanto l’unificazionemonetaria europea. Scrisse Albertini: “lo scopoeconomico è quello di trasformare un gruppo di monetenazionali, con delle possibilità internazionali limitate esubordinate, in una moneta nazionale (europea) checopra tutto lo spazio in questione. Si tratta pertanto diadoperare il mezzo politico...” (Le problème monetaire etle problème politique européen, in le Fédéraliste, n. 3/1972). Il MFE perseguì tenacemente tale obiettivo finoalla creazione dell’euro. Lo stesso Triffin si convinsedell’attualità della proposta e si dedicò esclusivamente alprogetto d’unificazione monetaria dell’Europa.

    La fine della guerra fredda e del congelamento delmondo in due blocchi contrapposti (1991) ha favorito losviluppo di nuove potenze regionali e ha ridistribuito ipesi economici sulla scena mondiale. Purtroppo, incontraddizione con questa realtà, ha incoraggiato ancheil tentativo degli Stati Uniti di stabilire un governounilaterale del mondo. Quando Bush ha rispostoall’attacco dell’undici settembre (2001) non come adun’emergenza criminale, ma in termini di guerrapreventiva globale “con noi o contro di noi”, secondo lesue parole, ha posto le premesse perché il declinodell’egemonia americana subisse una bruscaaccelerazione. L’esito è stato disastroso per il mondo,soprattutto per quanto riguarda la disponibilità di benipubblici globali, quali la pace, la sicurezza, la legalità, lasostenibilità energetica ed ambientale del modo diproduzione e dei modelli di consumo, l’equità

    RIVENDICHIAMOUNA NUOVA BRETTON WOODS

    (segue a p. 2)

    Bronislaw Geremek (1932-2008) merita di esserericordato dai federalisti perché la sua vita rappresental’esemplare testimonianza di come un sincerodemocratico sia riuscito a percorrere, grazie al suocoerente e costante impegno nella politica attiva, ildifficile cammino che, dall’Europa divisa dalla guerrafredda, ha avuto come punto di approdo naturale ilfederalismo europeo.

    Geremek – sopravvissuto grazie alla fuga dal ghettodi Varsavia, durante la seconda guerra mondiale –avrebbe potuto accontentarsi dei suoi successiaccademici. Era uno storico del medioevo europeo notoa livello internazionale. Ma non lo ha fatto, perché hasentito il dovere di militare attivamente in Solidarnosc,contro l’oppressivo regime comunista polacco esovietico, subendo un breve periodo di prigionedurante il regime del generale Jaruselski. Dopo la finedel comunismo, è stato Ministro degli esteri dellaPolonia democratica e, da quella posizione, ha potutoconstatare quanto fosse importante, per ilconsolidamento della gracile democrazia polacca,l’ingresso del suo paese nell’Unione europea. Dopol’allargamento a Est dell’Unione, Geremek hapartecipato, come deputato nel Parlamento europeo,alla costruzione della democrazia europea, per unireancora più strettamente il destino della sua patriad’origine a quello degli altri popoli europei. Da questa

    GEREMEK:UN MILITANTEDELLA DEMOCRAZIAEUROPEA

    (segue a p. 6)

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 20082

    distributiva, la stabilità monetaria. Gli Stati Unitihanno perso l’egemonia (sia in senso gramsciano/culturale che nella dimensione realista/strategica)su tutti questi terreni.

    Mai le sorti del potere politico e quelle dellamoneta sono apparse così strettamente legate agliocchi degli stessi americani. Come ha sintetizzatoChalmers, “noi non stiamo pagando veramente peri costi della guerra. Cinesi, Giapponesi ed altriinvestitori asiatici lo stanno facendo. Noi stiamomettendo i costi sul loro conto ed alimentando il piùgrande deficit statale ed il più grande deficit dellepartite correnti nella moderna storia economica.Presto o tardi, il militarismo ci porterà allabancarotta” (Nemesis. The Last Days of theAmerican Republic, Metropolitan Books, New York,2007). I detentori di attività finanziarie denominatein dollari, desiderosi di diversificare le riserve ed iportafogli, si sono rivolti all’euro, provocandone unapprezzamento non commisurato allapartecipazione dell’euro-zona alla formazione deglisquilibri globali (la sua bilancia corrente è insostanziale pareggio). Monete che erano ancorateal dollaro (come lo yuan cinese, le monete dei Paesidel Golfo, il real brasiliano ed il peso argentino) sisono staccate da esso per cercare ancoraggio inpanieri regionali più corrispondenti alla realecomposizione valutaria del proprio commerciointernazionale e per dare avvio a vere e proprieunioni monetarie euro-like.

    Nel 2005, i federalisti europei, operando ilnecessario aggiornamento del rapporto strategicofra la loro azione europea e quella mondiale, hannoritenuto giunto il momento di riprendere il progettodi Triffin e di tanti economisti che lo hannopreceduto: Keynes col bancor a Bretton Woods eindietro almeno fino a John Stuart Mill. Abbiamoelaborato una proposta concreta (A. Iozzo, A.Mosconi, The Foundation of a Cooperative GlobalFinancial System. A New Bretton Woods to confrontthe crisis of the international role of the US dollar, inThe Federalist Debate, n. 2/2006), che è statadibattuta nel Movimento a livello europeo edapprovata all’unanimità dal XXV Congresso delWorld Federalist Movement - Institute for GlobalPolicy, nel 2007. L’idea è che gli Stati Uniti nonpossano continuare a finanziare senza lacrime ildeficit con l’estero conseguente all’eccesso dellaspesa privata e pubblica (burro e cannoni) rispettoai risparmi, con moneta che possono essi stessiemettere, inflazionare e svalutare, ma che tutti iPaesi debbano utilizzare una world currency unit:con funzioni analoghe a quelle svolte dall’europeancurrency unit (ecu) nella fase precedente lacreazione dell’euro; con la sovrintendenza del FMI,trasformato in un vero e proprio Consiglio dei ministridell’economia dell’ONU, come già proposto da Delors;gestita dalla Banca dei regolamenti internazionali;sotto la vigilanza di un'Authority mondiale per ilcontrollo dei mercati e dei loro controllori.

    L’esigenza di sottoporre a controllomultilaterale e più democratico la creazione di

    liquidità internazionale ha acquisito un caratteredi drammatica urgenza con la bancarotta delsistema finanziario americano. Il salvataggio deiprincipali istituti di credito fondiario, banched’affari e compagnie d’assicurazione, mediante iltrasferimento dei loro attivi in sofferenza al bilanciodegli Stati Uniti, apre interrogativi molto piùinquietanti di quelli cui pretende dare risposta.

    La FED ha impiegato, a partire dall’estate del2007, mezzi finanziari e di persuasione di unadimensione senza precedenti per impedire che lacrisi finanziaria travolgesse definitivamente ilruolo internazionale del dollaro. In un primomomento, si disse trattarsi di una crisi finanziarialimitata al settore dei mutui sub-prime, una crisi diliquidità (debiti a lungo termine finanziati con fondiliquidabili a breve) che si sarebbe risolta conprestiti della banca centrale al sistema per ilperiodo necessario a rendere liquidi gli attivi. Benpresto si dovette ammettere una ben più grave crisidi solvibilità (fondi delle banche e risparmi gestitidalle loro emanazioni investiti in attivisopravvalutati o inesigibili). Molti assets sirivelarono non soltanto sopravvalutati, maneanche valutabili, a causa dell’impossibilità diformazione del prezzo per assenza di compratori edella vastità della diffusione del contagioattraverso derivati e cds, credit default swaps. Simanifestò allora una crisi di fiducia. La FED e laBanca d’Inghilterra accettarono, come collateralidei prestiti concessi al sistema, gli assets inesigibilio invendibili, procedendo così di fatto anazionalizzazioni bancarie finanziate con ricorsoalla creazione monetaria. Il FMI valutò le perdite adun trilione di dollari, sulla base di una discesa del3% dei prezzi immobiliari negli Stati Uniti.Economisti indipendenti la stimarono in tretrilioni, ipotizzando che fosse necessaria unariduzione dei prezzi delle case del 20% perchétornassero i compratori e si formassero prezzieffettivi. Altri avanzarono il sospetto che la crisi nonriguardasse solo il settore dei mutui e che ben altri“affari” fossero stati finanziati con sistemi “creativi”di produzione di carta a mezzo di carta. Sta di fattoche a settembre (2008) la FED stessa è statatravolta ed è rimasto in prima linea il debitosovrano degli Stati Uniti.

    A questo punto, non si tratta più soltanto di una“catastrofe” finanziaria (Strauss-Kahn), ma di unacrisi che investe il ruolo del dollaro come principalemoneta internazionale, il futuro di New York comecapitale indiscussa della finanza globale (ed, aruota, quello delle ambizioni di Londra), lacredibilità delle autorità di vigilanza e delle agenziedi rating, la fede stessa nel culto totalizzante delmercato globale de-regolamentato. La crisi deldollaro si unisce al fallimento del tentativoamericano di esercitare in modo unilaterale il ruolodi gendarme mondiale e rende ancor più manifestala fragilità dell’egemonia americana. I seguaci delfondamentalismo di mercato abbandonanol’ideologia di cui furono fino a ieri zelanti edinteressati propagandisti, a mano a mano che si

    Segue da p. 1: RIVENDICHIAMO ...

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 2008 3

    manifesta l’opportunità di trasformare in debitopubblico i fallimenti privati. Secondo le ricette neo-liberali di Milton Friedman, codificate nelConsenso di Washington ed imposte ai Paesidebitori poveri dal FMI, i cambi flessibili avrebberoimpedito la formazione di squilibri fondamentali,mentre le privatizzazioni avrebbero favoritol’efficienza. Invece, mai squilibri sono stati tantogravi e duraturi e mai si è assistito a così colossaliappropriazioni di risorse pubbliche da parte diristrette élites, come quelle sperimentate in Russia,in America latina, nel Sud-est asiatico ed in Africa,in applicazione della vulgata dell’Università diChicago. Secondo la celeberrima curva di Laffer, ladetassazione del reddito dei ricchi avrebbespostato il risparmio dalle classi dissipatrici aquelle risparmiatrici, favorito gli investimenti ed ilreddito, ripagato lo Stato con un maggiore gettitofiscale. Invece il risparmio americano è andato azero ed anche sotto zero, consumi e guerre sonostati finanziati dal resto del mondo in misura del 6-7% del PIL annuo degli Stati Uniti e la stessaglobalizzazione, priva di governo, è passata congravi traumi dalla spinta deflattiva esercitata dainuovi lavoratori a basso salario a quella inflattivaderivante dal loro accesso ai consumi.

    La scelta di fronte alla quale il mondo si trova èquella tra la sovranità assoluta degli Stati nazionali(coi suoi corollari: guerra monetaria,protezionismo, recessione e peggio) e lacondivisione della sovranità, in primo luogo quellamonetaria, attraverso una riforma radicale delleistituzioni economiche internazionali (FMI, BM,OMC ed altre). Un solo Paese non può fornire i benipubblici necessari al funzionamento del mercatoglobale, cioè: le istituzioni di un libero mercato(regime della proprietà, contratti, antitrust), laregolazione ed il controllo della moneta e dellafinanza, alcuni standards sociali e lavorativicomuni, una politica globale dello sviluppo equalche limitazione al perseguimento del profitto,in funzione della conservazione dell’ambiente edella solidarietà globale.

    L’euro è già una componente importante delleriserve, dei portafogli e dei panieri valutari, ma nonpuò sostituire il dollaro come moneta mondiale.Una staffetta come quella dalla sterlina al dollaronon è ripetibile. Nel 1944, a Bretton Woods, gli StatiUniti erano il solo Paese vincitore, producevanooltre la metà del PIL mondiale, possedevano tutte leriserve auree e le chiavi del credito internazionale.Oggi, il potere economico è molto più ripartito.Inoltre, un euro-standard ricadrebbe, come già ildollar-standard, nel dilemma di Triffin(dipendenza della liquidità internazionale dallabilancia dei pagamenti di un’Area). Infine, l’euro èancora una moneta senza governo. Non si tratta,quindi, di passare da un’egemonia ad un’altra, madi fondare sulla cooperazione internazionale unnuovo sistema monetario e finanziario.

    Può essere utile aprire una parentesi perricordare che la libertà di movimento dei capitali, icambi fissi e l’autonomia monetaria degli stati

    nazionali costituiscono un “terzettoincompatibile”. Possiamo esemplificarequest’immagine di scuola con i regimi monetari chesi sono succeduti. Primo caso: si persegue la libertàdei movimenti di capitale ed una relativa stabilitàdei cambi sacrificando l’autonomia monetaria.Questo è il caso del gold standard durantel’egemonia britannica, in cui l’oro svolge il ruolo diauto-tutela necessario nel diritto primitivo,fondato sulla forza; ma è anche il caso dell’UEM, incui l’euro svolge, al contrario, almeno nell’Areainteressata, il ruolo di moneta cartaceacorrispondente al diritto sviluppato, fondato sullacondivisione della sovranità (Mario Albertini,1972). Secondo caso: il governo dell’economia

    (segue a p. 4)

    Sabato 20 settembre 2008, si è riunita a Milano laDirezione nazionale del MFE. Il dibattito è statointrodotto dalle relazioni del Presidente Guido Montani(sulla crisi dell’ordine internazionale, sulle opportunitàche si prospettano per l’azione federalista e sul senso dellamozione “No a una elezione farsa” presentata dallapresidenza e dalla segreteria, v. a p. 5) e del SegretarioGiorgio Anselmi (sul futuro del Trattato di Lisbona, lostato della campagna in Italia ed i prossimi appuntamenticongressuali). Sono poi seguite le relazioni del vice-Presidente dell’UEF, Sergio Pistone, sulle questioni che siprofilano in vista del Congresso di ottobre e del Direttoredell’Istituto Spinelli, Domenico Moro, sull’esito delseminario di Ventotene. Poiché, oltre alla mozione sulleelezioni europee, sono state presentate altre trerisoluzioni, i proponenti sono stati invitati ad illustrarle, inapertura del dibattito. Hanno perciò preso la parola: LucioLevi per la mozione organizzativa (v. a p. 4); AntonioLongo per quella sulla crisi finanziaria internazionale (v.a p. 8); Alfonso Sabatino per la dichiarazione sullaGeorgia (v. a p. 9).

    Al termine della discussione, nel corso della quale ilTesoriere Matteo Roncarà è intervenuto per illustrare lostato del tesseramento, la Direzione ha deciso quantosegue:

    1. ha approvato all’unanimità le quattro mozioniproposte;

    2. si è associata all’invito rivolto dal Tesoriere allesezioni affinché accelerino il completamento deltesseramento 2008;

    3. ha espresso viva soddisfazione per il successodell’edizione 2008 del seminario di Ventotene e si èassociata ai ringraziamenti che il Direttore Moro harivolto ai militanti della GFE per il contributodeterminante che essi hanno offerto alla suaorganizzazione.

    Milano, 20 settembre 2008: riunita la Direzionenazionale del MFE

    LE DECISIONIDELLA DIREZIONE

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 20084

    internazionale (occidentale) è affidato agli Statinazionali nell’ambito dell’egemonia americana eviene perseguita la stabilità dei cambi attraversoun rigido controllo dei movimenti di capitale.Siamo nel regime di Bretton Woods, il gold-exchange standard in vigore dal 1944 al 1971. Apartire dal 1971, la potenza egemone deveprivilegiare l’autonomia monetaria dei singoli Statie la liberalizzazione del mercato dei capitali. Sientra così in un regime di cambi fluttuanti rispettoal dollaro, il dollar standard. Con la creazionedell’euro (1998), ha fine il dollar standard, almenoin senso tecnico, e si entra nell’attuale regimemulti-valutario, caratterizzato dalla crisi del ruolointernazionale del dollaro.

    Il sistema a più monete di riserva e più panieridi riferimento, che si sta spontaneamenteformando e del quale faranno parte (per citare glisviluppi più prossimi all’euro-zona) il rubloconvertibile e la moneta del Golfo, rappresenta unafase evolutiva, ma non ancora sufficiente agarantire le tre funzioni della moneta (mezzo discambio, riserva di valore e unità di conto), postecontinuamente a repentaglio dalle fluttuazioni deicambi. La loro volatilità comporta perdite colossaliin occasione delle periodiche crisi valutarie,continui elevatissimi costi di transazione e dicopertura dei rischi, tassi d’interesse più elevati,immobilizzo di riserve valutarie altrimenti inutili.Soltanto con un’unità di conto mondiale (ed, inseguito, con una moneta unica) si potrà governarela globalizzazione con un metro stabile ed ugualeper tutti (si pensi, ad esempio, alla quotazione delpetrolio e del gas) senza troppo sacrificare la libertàdi movimento dei capitali.

    Occorre proporre la convocazione di unaConferenza internazionale per la fondazione di unnuovo sistema monetario mondiale, che abbiainizialmente a riferimento un paniere unico di

    monete, sull’esempio dell’ecu che precedette l’euro.L’Unione economica e monetaria europeacostituisce, infatti, un buon esempio perun’analoga Unione a livello mondiale.Innanzitutto, il suo successo suscita ammirazionee genera progetti euro-like in tutto il mondo. L’euroha consentito di difendere l’unità del mercatoeuropeo dalla forza distruttiva della fluttuazionedei cambi, di abbattere i costi di transazione e itassi d’interesse, di rafforzare il sistema bancarioed il mercato finanziario e di creare sedici milionidi posti di lavoro. In secondo luogo, la sua strutturasopranazionale costituisce un modello: il valoredell’euro non è legato alle sorti di un Paese, madell’UEM; la BCE è un’istituzione di tipo federaleche persegue l’obiettivo primario della stabilitàmonetaria, che è un bene pubblico dell’Unione edanche un diritto umano. A Bretton Woods si scelseil dollaro e si respinse il bancor proposto da Keynes.A Maastricht, al contrario, non si è scelto il marcotedesco, ma l’euro, una moneta unica la cuigestione è condivisa fra i partecipanti all’Unioneeconomica e monetaria.

    Soltanto l’Eurozona può promuovere l’iniziativadi una conferenza internazionale. La forza del suomodello raccoglie ampi consensi fra quanti hannointeresse alla libertà degli scambi, in primo luogonei Paesi esportatori di petrolio, gas e materieprime, oppure destinatari di massiccidecentramenti produttivi. Il suo peso nelcommercio mondiale rende credibile la proposta disubordinazione della libertà degli scambiall’adozione di regole comuni per il governo dellaglobalizzazione. La forza della sua moneta rendepossibile il varo di un paniere comune parzialeanche nel caso improbabile, ma non impossibile,che gli Stati Uniti non facciano parte del gruppo deiprimi aderenti al nuovo Sistema monetario.

    Alfonso Iozzo e Antonio Mosconi

    Segue da p. 1: RIVENDICHIAMO ...

    La Direzione nazionale del Movimento Federalista Europeoinvita

    le Sezioni e i Centri regionali del MFE a intervenire nella campagna elettorale europea con l’obiettivo di suscitare unmovimento di opinione tramite la convocazione di Convenzioni dei cittadini europei a livello locale e regionale, che

    - mettano a confronto i candidati con i federalisti e i movimenti della società civile,- denuncino il tentativo dei partiti di spartirsi le cariche dell’UE prima che si conosca il risultato delle elezioni,- politicizzino le elezioni europee, agitando i grandi temi della pace come valore supremo del progetto europeo, dellacittadinanza di residenza, del servizio civile europeo, del reddito minimo garantito, dell’unificazione delle politichedell’immigrazione e dell’energia, di un piano per la ricerca, l’innovazione tecnologica e lo sviluppo sostenibile, del seggioeuropeo nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del trasferimento del controllo delle armi nucleari all’ONU, della riforma delsistema monetario internazionale ecc.- trasmettano al Parlamento europeo petizioni su ciascuno di questi temi, in modo che emergano chiaramente le grandi finalitàche ispirano la campagna per il governo europeo e per la Costituzione europea.

    Milano, 20 settembre 2008

    MOZIONE SULL'ORGANIZZAZIONE DI CONVENZIONIDEI CITTADINI EUROPEI A LIVELLO LOCALE

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 2008 5

    NO A UNA ELEZIONE FARSA

    I CITTADINI EUROPEI HANNO IL DIRITTO DI SCEGLIERECHI GOVERNERA’ L’EUROPA

    La Direzione nazionale del Movimento Federalista Europeo

    ritiene- che la crisi nel Caucaso mostri ancora una volta come la mancanza di un governo europeo democratico consufficienti poteri di politica estera, incluse adeguate forze militari, impedisca all’Unione europea di assicurarel’indipendenza e la sicurezza dei suoi cittadini nei confronti delle minacce alla pace provocate dai contrasti perla leadership mondiale tra USA e Russia; contrasti che l’Europa riuscirà a superare solo con proposte di riformadell’ordine mondiale che vadano al di là delle anacronistiche alleanze militari della guerra fredda;- che l’Europa stia pagando con una crescita nulla gli effetti della crisi finanziaria generata negli USA e rischi disubire ulteriori pericolosi contraccolpi sul suo sistema bancario, nonostante l’Unione monetaria, perché non haun efficace governo dell’economia; non esiste un Ministro europeo del Tesoro che risponda di fronte al Parlamentoeuropeo della politica economica europea e la Commissione europea non ha risorse di bilancio sufficienti perpromuovere un efficace piano europeo per la crescita sostenibile, di cui la richiesta del Ministro Tremonti dipotenziare la BEI potrebbe rappresentare un primo passo;- che l’Unione europea non riesca ad esprimere né una politica estera né una politica economica unitaria a causadel paralizzante diritto di veto, che consente a ciascuno dei 27 paesi membri di bloccare le decisioni comuni,privando così la Commissione dei poteri necessari per agire efficacemente, come dimostra il caso esemplare degliapprovvigionamenti energetici, che diventerebbero più sicuri e convenienti se l’Unione europea si presentasseunita nei confronti della Russia e dei paesi produttori di petrolio;- che la situazione di stallo e di impotenza in cui versa l’Unione, dopo il No irlandese al Trattato di Lisbona, sia stataprovocata dalla difesa del diritto di veto anche nella procedura di ratifica del Trattato, mentre sarebbe statopossibile – e più saggio – applicare il principio della doppia maggioranza dei cittadini e degli stati dell’Unione, giàadottato nel Trattato di Lisbona per le decisioni del Consiglio dei Ministri;- che l’elezione europea del giugno 2009 possa diventare l’occasione per avviare la creazione di uno spaziopubblico europeo, a condizione che i partiti abbandonino la vecchia pratica consociativa di spartirsi le maggioricariche europee all’insaputa dei cittadini, prima del voto europeo, avvalorando così l’immagine di un Parlamentoche non ha poteri e non fa politica, perché non esprime una maggioranza di governo;

    chiede ai partiti europei- di designare pubblicamente agli inizi della campagna elettorale, nella prossima primavera, il proprio candidatoa Presidente della Commissione europea e di organizzare dei dibattiti televisivi pan-europei tra i diversi candidatiaffinché gli elettori possano prendere conoscenza diretta dei diversi programmi elettorali dei partiti, o dellecoalizioni, che hanno proposto la candidatura; l’Unione europea, oggi percepita come una grande burocrazia,deve diventare un’Unione politica, con un governo democratico, capace di affrontare le grandi emergenzemondiali;- di sfruttare l’elezione europea del 2009 per superare il divario di fiducia tra i cittadini e le istituzioni europee,manifestatosi in occasione dei referendum nazionali in Francia, in Olanda e in Irlanda, rilanciando il processocostituente europeo su nuove basi; i partiti europei raccolgano la sfida lanciata dal leader della campagna per ilNo in Irlanda, Daclan Ganley - che ha chiesto al Parlamento europeo un referendum pan-europeo su un testo“breve e leggibile” - proponendo che gli elettori, possano con un referendum europeo affidare un mandatocostituente al prossimo Parlamento europeo, attivando così sulla base di un mandato popolare la procedura direvisione dei Trattati;

    chiede ai governi europeidi rendere subito esecutivo il Trattato di Lisbona tra i paesi che lo hanno già ratificato.

    Milano, 20 settembre 2008

    MOZIONE IN VISTA DELLE ELEZIONI EUROPEE

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 20086

    posizione, ha denunciato con coraggio il tentativodemagogico e persecutorio del governo Kaczynski contro icittadini sospettati di aver collaborato con il passato regimecomunista. Geremek, come sincero liberale e democratico, erapronto a denunciare le violazioni alle libertà personali, daqualsiasi parte provenissero.

    Nel corso di questo difficile percorso politico, Geremek hasostenuto posizioni democratiche e patriottiche, ma nonfederaliste. Anzi, come Ministro degli esteri ha inizialmentedifeso il principio della sovranità nazionale, forse comeretaggio storico della passata condizione della Polonia che,nel quadro del Comecon, considerava la salvaguardia dellasovranità nazionale come l’unica linea di difesa contro lapolitica egemonica dell’URSS. Tuttavia, ha saputo liberarsi diquesto vischioso passato. La sua autonoma scoperta delfederalismo testimonia esemplarmente come un democratico,devoto alla sua causa, senza alcun compromesso con il poterenazionale, alla fine riconosca come necessaria latrasformazione dell’Unione in una federazione.

    Vi sono due episodi, di poco precedenti la sua morte, chemostrano senza equivoci la convergenza del pensiero politicodi Geremek con il federalismo europeo. Il primo, che chiariscelo sfondo culturale entro il quale si può comprendere la suaazione politica, è la valutazione (vedi qui di seguito) delprocesso di unificazione europea e in particolaredell’allargamento. Geremek osserva che “a differenza dellecomunità nazionali, l’Europa è una comunità scelta”. Conquesta osservazione, mostra di avere compreso a fondo lamistificazione generata dal nazionalismo, per il quale si èpolacchi, francesi o tedeschi dalla nascita, come se lanazionalità fosse un fatto naturale e non l’imposizione di unpotere sovrano. Lo stato nazionale impone un’identità chiusae monolitica, incompatibile con altre identità. L’Unioneeuropea libera i cittadini da questa prigione culturale,allargando il ventaglio delle loro scelte di vita. L’Europa haconsentito alle giovani generazioni, quelle che nonconservano il ricordo delle guerre e dei campi diconcentramento, di concepire il proprio futuro in uno spazioaperto, senza frontiere. L’Europa, osserva giustamenteGeremek, “è un insieme nel quale i cittadini hanno più chealtrove la possibilità di dire che vogliono vivere insieme”.

    Per quanto riguarda l’allargamento, Geremek confuta latesi di chi sostiene che esso è la causa dell’indebolimento dellospirito europeo e della nascita del populismo euroscettico.Questa causa va piuttosto ricercata nel ritorno delnazionalismo in forme nuove, mentre l’allargamento deveessere considerato un successo, ai fini stessi dell’avanzamentodell’integrazione europea. Infatti, osserva Geremek, è ancorapiù evidente oggi, nell’Europa a 27, di quanto non lo fosse

    nell’Unione più ristretta, che non c’è progresso se non sisupera il principio dell’unanimità nelle decisioni. “Benchétalvolta occorra accettare che il proprio Paese sia messo inminoranza su questo o quell’argomento di interesse europeo,il voto maggioritario sarebbe espressione di questa comunitàdi interessi”.

    Il secondo episodio riguarda la sua reazione al risultatonegativo del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona, cheGeremek considerava necessario per consentire all’Unione diaffrontare le sfide contemporanee. A suo avviso, infatti, ilTrattato avrebbe allargato la sfera “del metodo comunitarioche è stato alla base di tutti i successi dell’UE”. Per superarel’ostacolo del No irlandese, Geremek ha proposto, come pocoprima avevano fatto i federalisti italiani, l’organizzazione diun referendum europeo in occasione delle prossime elezionieuropee. “Ciò che non si può realizzare sulla base dei trattatiesistenti – sosteneva Geremek – può essere sottoposto ad unaconsultazione popolare a livello dell’Unione europea,organizzata nello stesso giorno in tutti i paesi membri. Una odue domande precise concernenti il sistema di voto europeo,una campagna di informazione sul tema, un dibattito in tuttal’Europa sul problema, e gli europei sarebbero chiamati alleurne (si potrebbe fare in occasione delle prossime elezioni delParlamento europeo): il Consiglio e il Parlamento saprebberoche cosa fare dopo una tale consultazione” (v. Le Monde, 28giugno 2008). Questa proposta, prevalentemente rivolta aipropri colleghi del Parlamento europeo, sembra essere cadutanel vuoto. Non tutti i deputati europei hanno il medesimocoraggio e la medesima libertà di pensiero. Vale, tuttavia, lapena di ricordare, in proposito, un’osservazione di JeanMonnet: “Quando un’idea corrisponde alla necessità della suaepoca, cessa di appartenere agli uomini che l’hanno inventataed è più forte di coloro che la devono realizzare”. La necessitàdi superare il divario di fiducia tra i cittadini e le istituzionieuropee è sempre più evidente. Si può pertanto sperare che laproposta di un referendum europeo per chiamare i cittadinieuropei a decidere del futuro dell’Unione non venga lasciatacadere e che si imponga ai politici europei.

    Geremek ha individuato con precisione il nodo crucialeche deve essere sciolto dagli europei e ha fatto propostecoraggiose per superare l’impasse in cui versa la costruzioneeuropea. Il suo obiettivo era realistico, coniugava interessi eideali: si proponeva di “federare gli europei in politichecomuni che mettano l’accento sull’interesse europeo”. Unatragica fatalità ha impedito che la sua azione politica siaffermasse e si compisse. Ma, se un’avanguardia didemocratici europei, dentro e fuori il Parlamento europeo, siimpegnerà a continuare la sua lucida marcia verso lademocrazia sovranazionale, la Federazione europea si farà.

    Guido Montani

    Segue da p. 1: GEREMEK ...

    Il 16 giugno 2008, Bronislaw Geremek ha partecipato, conAlessandro Profumo, a un dibattito a due voci organizzatodall’Unidea-UniCredit Foundation, in collaborazione conl’Accademia Casa della Carità, sul tema “Allargamentoeuropeo. Nuove cittadinanze, nuove sfide”. Di seguito,riportiamo i passi più significativi del suo intervento,pubblicati sul sito di UniCredit Group, e su La Repubblica.

    “Mi trovo qui a parlare dell’Europa in un momento in cuil’Unione europea viene messa alla prova in modo

    L’Europa secondo Geremek: “una comunità scelta dai cittadini”drammatico. Per me la UE non è solo un progetto economicoo politico, ma un sogno che non credevo potesse realizzarsi nelcorso della mia vita. Guardo quindi ai risultati del referendumirlandese con dispiacere e inquietudine. Certamente non sitratta solo di un incidente di percorso, ma piuttosto di una crisidi fiducia nell’unità europea. Non possiamo più tornare alTrattato di Nizza, ma dobbiamo cercare di comprendere lanuova situazione in cui si trova la UE per fronteggiarla,superare il momento contingente e chiederci dove andiamo.

    Se immaginiamo l’Europa all’orizzonte del 2020-2030

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 2008 7

    con il Trattato di Lisbona come punto di partenza delcambiamento, ci appare come una federazione di nazionisolidamente riunite, finalmente con un numero di telefono adisposizione (quello che era tanto mancato a Kissinger), unacomunità vera e propria fondata su una volontà politicacondivisa, articolata su politiche comuni di solidarietà,nuovamente in sintonia con le proprie ambizioni secolari epreoccupata dei diritti e dei timori dei suoi cittadini.

    Ora viene data un’opportunità a tutta l’Europa diprefigurarsi questo mondo di prosperità e di pace condivisaalla quale si potrà arrivare anche grazie ai processi diallargamento. Fino al 2004, anno detto del 'big bang',l’allargamento appariva come un evento naturale e nonsuscitava controversie. Poi si è presa coscienzadell’importanza storica di questo processo che comportava lariunificazione di Est e Ovest, di Oriente e Occidente che hadato all’Europa un volto nuovo. Per la prima volta questocontinente conosce un’unificazione politica volontaria, non sitratta più di estendere la sovranità di un Paese o di un imperoa spese della sovranità degli altri (...)” (Uninews, 30/6/08).

    “(...) Ci sono stati molteplici commenti - e troppo spessopessimisti - sull’allargamento che ha avuto luogo nel 2004. Siè sentito dire che tale allargamento, mal preparato e malcondotto, aveva contribuito ad alimentare alcuni movimenti didissenso da parte dell’opinione pubblica dei Paesi membri datempo, come il patetico episodio degli 'idraulici polacchi' inFrancia e come lo smacco dei referendum in Francia e neiPaesi Bassi ha confermato nel 2005. Si è detto anche che nellospecifico questo allargamento avesse fatto entrare nellacomunità alcuni membri con una coscienza troppo limitatadell’interesse generale europeo, che questo allargamento erala causa scatenante delle tendenze populiste sulle quali alcunigoverni euroscettici prosperavano. Certo, niente di tutto ciò ètotalmente falso, ma al contempo nulla di tutto ciò è totalmentevero. Queste tendenze populiste interessano tutti i Paesidell’UE, vecchi e nuovi membri, e sembrano piuttosto legateagli sconvolgimenti economici e sociali creati dallaglobalizzazione, più che dall’allargamento in sé e per sé.Inoltre, la difesa degli interessi nazionali non ha mai cessatodi esistere durante i momenti clou della costruzione europea:semplicemente, all’epoca queste tendenze nazionaliste eranocontrobilanciate e perfino sublimate da un autentico spiritoeuropeo, forte e condiviso, che oggi si è alquanto infiacchito.Infine, è giusto: gli allargamenti e in particolare gli ultimi due,avrebbero dovuto essere illustrati (e sostenuti) meglio pressole opinioni pubbliche dei Paesi membri da più vecchia data.Occorre tuttavia arrendersi all’evidenza: a quattro anni didistanza dall’allargamento 'big-bang', sarebbe disonestoconfutare il successo di questo avvenimento eccezionale, cheha infine riunificato un continente diviso per così lungotempo. Si è trattato di un successo in termini di crescita e discambi commerciali, prima di tutto.

    (...) C’ è stato anche un chiaro successo di immagine ...Alla fine di giugno, la Slovenia ha lasciato la presidenza dell’Unione europea alla Francia e ancor prima di cominciare atirare un bilancio dettagliato di questi sei mesi di presidenzaslovena, sarà opportuno riconoscere quanto meno una cosa:questa presidenza ha dimostrato che l’ allargamento dell’UEpuò essere considerato una vittoria di primo piano dello spiritoeuropeo. Troppo spesso nel corso della storia dell’edificioeuropeo si è voluto considerare l’allargamento dell’ Unioneeuropea alla stregua di un ostacolo frapposto al perseguimento

    dell’integrazione. In sostanza, l’obiettivo originario è semprestato la costruzione di un’Europa politica, e al termine lacreazione di una UE forte, capace di far sentire la propria fortevoce e di difendere sullo scacchiere internazionale le soluzionieuropee. Ebbene, è vero che l’adesione di alcuni nuovimembri non è stata sempre semplice né esente da conseguenzeindesiderate sulla volontà di integrazione politica, ma opporsiall’allargamento e all’approfondimento - come spesso si faistintivamente - significa dar prova di una certa miopia in fattodi integrazione europea: in effetti si dovrebbe difendere anchel’interpretazione opposta, di chi crede che è l’allargamento adaver condotto e portato a un approfondimento. Poiché più si ènumerosi e diversi, più pressante si fa l’esigenza di ricorrereal voto maggioritario, principale meccanismo propulsore delmetodo comunitario e dell’integrazione degli Stati membri.(...) Dietro la sfida di uno spazio pubblico europeo, c’è un’altrasfida, quella della convivenza: perché gli europei voglionovivere insieme? Questa è la domanda giusta che occorre porsiper definire che cosa è la 'comunità degli europei'. Lo spaziopubblico presuppone 'luoghi comuni', un forum, un’agorànella quale i cittadini di una comunità politica si incontrano.Ma a differenza delle comunità nazionali, l’Europa è unacomunità scelta, un insieme nel quale i cittadini hanno più chealtrove la possibilità di dire che vogliono vivere insieme, chelo auspicano davvero. Potrebbe trattarsi di una questione diricordi: 'Il passato determina l’avvenire'. Per noi che ci siamoformati alla scuola delle nazioni europee, la memoriacollettiva delle nostre rispettive comunità nazionali sembragiustificare il nostro voler vivere insieme. Ernst Renan dicevache in fatto di memoria collettiva i lutti contano molto più dellevittorie: le nazioni europee paiono aver fatto proprio questopensiero e hanno basato la loro volontà di convivere, unitinella diversità, sul superamento di un passato comune, fatto didolori, lacrime e sangue e sulla ricerca di un avvenire di pacee di benessere condiviso. 'Uniti nella diversità': sussiste ineffetti il problema dell’ articolazione del livello nazionale edel livello europeo. Tra i ricordi nazionali e la memoriaeuropea comune, tra le identità nazionali e le identità europee,la tensione è spesso molto semplicemente quella che esistesempre e comunque tra interesse generale (europeo) einteressi particolari (nazionali). Quando Jacques Delorsparlava di una 'federazione di Stati-nazione', ricordavasoprattutto a che punto le nazioni siano la forza, l’anima, lasostanza stessa dell’ Europa, e non il suo contrario. Il metodocomunitario e lo spirito europeo non si sono mai sviluppati asfavore delle nazioni: si tratta piuttosto di farli convergerenella coscienza condivisa di una comunità di interessi. Benchétalvolta occorra accettare che il proprio Paese sia messo inminoranza su questo o quell’argomento di interesse europeo,il voto maggioritario sarebbe espressione di questa comunitàdi interessi. Il concetto di interesse europeo può forse risultarestrano, perché non preesiste alla sua formulazione. L’interessenazionale, invece, prende forma nell’espressione sovrana delpopolo (secondo Rousseau): lo ritroviamo anche nelletendenze storiche di una nazione e nelle sue scelte in terminidi sicurezza, preferenze e valori. Su scala europea, sono leistituzioni europee quelle incaricate di formulare questointeresse europeo: sono esse il luogo privilegiato nel qualel’interesse generale della comunità europea prende forma,abbracciando e superando gli interessi nazionali consideratipiù limitati, perché la diversità è una inconfutabile ricchezza,ma deve giustamente essere equilibrata e controbilanciata

    (segue a p. 8)

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 20088

    dalla ricerca di unità. Lo storico francesce Marcel Ganchetriteneva anche che l’unificazione europea non potesserealizzarsi se non tramite le nazioni: egli aggiunse anche, conun po’ di pertinenza, che il giorno in cui non esisteranno piùnazioni che vogliano l’Europa, non ci sarà più l’Europa. Ladomanda fondamentale, pertanto, è la seguente: come farnascere e alimentare un tale desiderio? Sicuro, si potrebbesperare di federare gli europei in politiche comuni che mettanol’accento sull’ interesse europeo. Che cosa vogliono fareinsieme gli europei? A che cosa serve l’Europa? Secondo ilparere di taluni, essa è troppo grande per poter trattare diproblemi locali che devono restare di competenza dellecomunità nazionali, e al contrario è al contempo troppopiccola per poter esercitare una sua influenza sui problemimondiali, che sono di competenza della mobilizzazione

    internazionale. Ma ciò significa dimenticare tutte le domandeche si presentano agli Stati membri e che non possono trovarerisposta se non in seno all’Europa, come la lotta alcambiamento del clima, la solidarietà in materia di energia ol’elaborazione di una politica dell’immigrazione comune,coerente e al contempo umana. Se poi si riflette a fondo, sicomprende che l’essenziale per l’UE è dotarsi di unadimensione politica reale, in grado di alimentare la solidarietàtra gli europei. Pertanto, i due grandi cantieri che si aprono ainostri occhi rispondono a un unico principio: dare fondamentopratico al sentimento di appartenenza. Occorre prima di ognialtra cosa dare un contenuto al concetto di cittadinanzaeuropea che è oggi ridondante. E subito dopo occorreinaugurare un’educazione dei cittadini all’Europa. In un certosenso, se vogliamo, è giunta l’ora di 'fare gli europei', dopoaver fatto l’ Europa”. (La Repubblica, 15/7/08)

    MOZIONE SULLA CRISI FINANZIARIA MONDIALELa Direzione nazionale del Movimento Federalista Europeo, riunitasi a Milano il 20 settembre 2008

    constata- che la crisi finanziaria, partita un anno fa dall’America, ha investito oramai l’intero pianeta, producendo insolvenze

    di istituzioni di dimensioni globali, mettendo a repentaglio i risparmi di milioni di famiglie e distruggendo centinaiadi migliaia di posti di lavoro;

    - che questa crisi si sviluppa contestualmente alla crisi energetica ed alimentare che ha visto, sempre nell’ultimo anno,un aumento strepitoso dei prezzi delle materie prime e dei prodotti finali, con una ripresa dell’inflazione,parzialmente contenuta in Europa grazie alla forza ed al successo dell’euro, unico vero Ôscudo’ a difesa dei cittadini;

    - che questa crisi segue ed amplifica la crisi del dollaro, espressione del livello insostenibile del debito esteroamericano, appesantito, anno dopo anno, dal deficit delle partite correnti;

    ritiene- che la crisi finanziaria non sia soltanto una crisi di liquidità, di solvibilità e di fiducia, ma anche e soprattutto una

    crisi dell’egemonia americana, che si manifesta sia nella crisi del dollaro come moneta internazionale, sianell’incapacità crescente di fornire quei 'beni pubblici globali' necessari per il governo dell’economia mondiale –la sicurezza, la legalità, l’equità e lo sviluppo sostenibile – in mancanza dei quali il mercato è incapace diautogoverno;

    - che il mercato globale, con il fallimento del tentativo americano di assicurare unilateralmente il governodell’economia mondiale, non è più in realtà governato da nessuno;

    - che, invece, il mercato globale richiede le istituzioni necessarie al suo corretto funzionamento: le regole sullaproprietà e l’antitrust, la sorveglianza ed i controlli dei mercati finanziari e delle banche, gli interventi di politicaeconomica volti a garantire lo sviluppo sostenibile, la solidarietà e la difesa globale dell’ambiente;

    indica- nella sovranità assoluta degli Stati nazionali la fonte reale del disordine monetario e finanziario internazionale che

    potrebbe sfociare anche in guerre monetarie, forme di protezionismo e regressione sociale;- nella nascita di un 'governo europeo' responsabile della politica estera e di sicurezza, con poteri fiscali e di bilancio,

    la via più diretta per far emergere con chiarezza l’alternativa davanti alla quale si trova oggi l’Europa ed il Mondo;- nella trasformazione delle attuali istituzioni economiche mondiali (Fondo Monetario, Banca Mondiale e WTO) in

    istituzioni sopranazionali a sovranità condivisa, in grado cioè di operare nell’interesse generale dell’umanità, la viaper costruire un ordine nuovo ordine economico e finanziario mondiale, basato sulla democrazia e sullaresponsabilità nei confronti dei popoli;

    chiedealla Commissione Europea ed alla Banca Centrale Europea di prendere l’iniziativa per convocare una Conferenzainternazionale, una nuova Bretton Woods, con il compito di:1) ridisegnare il sistema monetario internazionale sulla base di un world standard, volto cioè a creare un’unità di conto

    riferita ad un paniere di monete (world currency unit), quale primo passo verso la 'moneta mondiale'2) riformare le attuali istituzioni economiche mondiali in senso sopranazionale, di attribuire all’ONU le risorse proprie

    necessarie e di creare un’Authority di vigilanza mondiale dei mercati finanziari;impegna

    le proprie strutture territoriali a sviluppare la “Campagna per il governo europeo e la Costituzione federale” ancheattorno a questi temi, per far crescere nell’opinione pubblica europea il bisogno di un rilancio del processo diunificazione politica dell’Europa, in tempi rapidi e verso uno sbocco di tipo federale.

    Segue da p. 7: L'EUROPA SECONDO GEREMEK ...

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 2008 9

    E' DISPONIBILE IL VOLANTINO PER LA CAMPAGNA

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 200810

    La crisi di agosto in Georgia ha rivelato la fragilitàdell’ordine mondiale esistente e riaperto inaspettatamentescontri armati e scenari da guerra fredda. Dietro il conflitto nelCaucaso è emerso lo scontro di potere tra Washington e Moscaper il controllo delle vie di trasporto degli idrocarburi dall’areadel Caspio all’Europa occidentale che si inserisce nellastrategia di accerchiamento perseguita da tempo dagli StatiUniti nei confronti della Russia. Inoltre, il tentativo incautodel Presidente della Georgia di riprendere il controllodell’Ossezia del Sud, una regione separatista sotto controlloOSCE dal 1993 come la vicina Abkhazia, e il successivointervento militare della Russia con il riconoscimentounilaterale dell’indipendenza di queste due regioni, hannoriproposto, come per il Kosovo, il problema dellaproliferazione di micro pseudo Stati, spesso inefficienti ecorrotti, fonti di disordine internazionale, sulla base delnefasto principio dell’indipendenza e della sovranitànazionale assoluta.

    Gli europei hanno dovuto prendere atto che l’“espansione” della NATO, oltre i suoi confini attuali, rischiadi creare situazioni di conflittualità con la Russia e diinstabilità mondiale. Senza una vera politica estera e disicurezza, sostenuta da strumenti di difesa e da una visionepuntuale dei propri interessi comuni, anche in campoenergetico, essi rischiano di essere trascinati in conflittipericolosi accesi da altri alle porte di casa.

    L’intervento tempestivo della Presidenza di turnodell’Unione europea, espressa dalla Francia, ha messo inevidenza le potenzialità di una politica estera e di sicurezzaeuropea e i suoi limiti attuali. Infatti, il Presidente NicolasSarkozy si è mosso di propria iniziativa, aprendo un negoziatocon Mosca sul cessate il fuoco, senza attendere un mandatoufficiale da parte dei partner europei. In questa occasione, la“virtù del principe”, per ricordare Machiavelli, è stataaccompagnata dalla “fortuna” in quanto ha potuto conseguiretre risultati grazie all’emergere di fattori obiettivi.

    Innanzitutto, la Presidenza francese è riuscita ad evitare laspaccatura tra “vecchia e nuova Europa” che avevacaratterizzato le posizioni tra governi europei al tempodell’intervento americano in Iraq. Di fronte alla crisigeorgiana, anche i paesi baltici, la Polonia e la RepubblicaCeca hanno dovuto riconoscere oggettivamente chel’allargamento della NATO alla Georgia e all’Ucraina nonaccrescerebbe la loro sicurezza, come invece può essereottenuto con una atteggiamento coeso e fermo dell’UnioneEuropea nei confronti della Federazione russa. Mosca, daparte sua, ha capito che il proseguimento dell’azione militarecontro Tbilisi era politicamente insostenibile per le reazioniprovocate in Europa e nel mondo e quindi ha aperto alnegoziato una volta affermato il principio che non tolleratentativi di destabilizzazione ai propri confini. Washington,infine, ha dovuto prendere atto di trovarsi nella condizione dinon potere intervenire, militarmente e politicamente, asostegno dei propri alleati e delle proprie strategie nelCaucaso.

    LA CRISI DELLA GEORGIA E LA POLITICA ESTERADELL'UNIONE EUROPEA

    Dichiarazione della Direzione nazionale del MFE

    Se l’iniziativa francese e il quadro di potere internazionalehanno offerto all’Unione europea la possibilità di accreditarsicome soggetto capace di mediare un cessate il fuoco, di inviarepropri osservatori per monitorare il rispetto degli accordi e diconvocare una Conferenza internazionale sul futuro dellaregione, rimane aperta la sfida vitale della sicurezza europeae mondiale. Gli strumenti forniti dai Trattati europei in esseree dall’auspicabile entrata in vigore del Trattato di Lisbona nonsono assolutamente rispondenti alla dimensione del compitoche richiede interventi in più direzioni e capacità di governodelle sfide esterne.

    Il compito non è semplice, vanno definiti obiettivi estrumenti conseguenti.

    Innanzitutto, l’Unione europea deve risolvere la ferita deiBalcani occidentali ed estendere l’allargamento alla Turchia.Il passo è decisivo per dare risposta al separatismo etnicoemerso sul nostro continente dopo la dissoluzione dell’exJugoslavia e dell’Unione Sovietica e rilanciare in altre aree ilproprio modello di integrazione sopranazionalemulticulturale fondato sulla riconciliazione tra popoli e lacostruzione della pace.

    Per quanto riguarda la politica di vicinato con i paesidell’Europa orientale, è compito dell’Europa valorizzare icanali già disponibili del Consiglio d’Europa e dell’OSCE peravviare una cooperazione strategica con la Russia e i rimanentipaesi della Confederazione degli Stati indipendenti ai finidello sviluppo economico, del rafforzamento dellademocrazia e dello Stato di diritto, del superamento deiconflitti interetnici locali.

    La creazione di una Comunità/Agenzia dell'energia traUnione europea e Federazione russa costituirebbe di per sé unpasso strategico in questa direzione. La stabilizzazionepolitica dell’area è però condizione prioritaria per la sicurezzaeuropea anche in campo energetico. Naturalmente ogni intesaeuropea con la Russia deve coinvolgere gli Stati Uniti, oggi incrisi di orientamento strategico, nel rilancio del progettogorbacioviano di una “casa comune”.

    Infine, nell’ambito del superamento del compito storicodella NATO, l’UE non può fare a meno di dotarsi di un propriosistema di sicurezza militare, decisivo anche a fini di coesioneinterna (vedi paesi baltici, Polonia e Repubblica Ceca), e diporlo a disposizione dell’ONU come primo passo di un Pattomondiale di sicurezza, aperto a tutte le potenze disponibili delmondo industrializzato e del mondo emergente, per ilcontrollo degli armamenti e gli interventi in situazioni di crisi.

    Stabiliti gli obiettivi, rimane aperto l’impegno dei governi,delle forze politiche e della società civile per la costruzionedegli strumenti. Il prossimo appuntamento delle elezionieuropee del 2009 offre agli europei l’occasione per decideresul proprio futuro, di chiedere il rilancio dell’iniziativacostituente: per dare all’Unione europea un governo federaleeuropeo capace di parlare con una sola voce nel mondo e diimpegnarsi per la costruzione di un nuovo ordine mondialefondato sull’imperativo kantiano della pace.Milano, 20 settembre 2008

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 2008 11

    La globalizzazione dell’economia reale e finanziaria poneda tempo il problema del suo governo democratico. Essa poneanche il problema del ridimensionamento del ruolo che, nelcorso degli ultimi secoli, i paesi occidentali (Europa e StatiUniti) hanno avuto nel creare le basi politiche e materiali delsuo avvento. Su questo tema, sono recentemente usciti inFrancia due libri, in un momento certamente non felice né perla sponda americana dell’Atlantico, né, tantomeno, perl’opzione che viene avanzata. Il primo è quello di EdouardBalladur (Pour une Unione occidentale entre l’Europe et lesÉtats-Unis, Parigi, 2007) già Primo Ministro francese, el’altro è quello di Hervé de Carmoy (L’Euramérique, Parigi,2007), vice-Presidente europeo della Trilaterale e giàresponsabile di primarie istituzioni finanziarie europee. I duelibri si collocano, dal punto di vista delle tesi sostenute, tra illibro di C. Streit (Union now - A proposal for an AtlanticFederal Union of the Free, New York,1939) e quello di S.Huntington (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordinemondiale, 1997). La prospettiva di fondo è indicativa diquanto le situazioni di potere consolidate (“li ordini vecchi” diMachiavelli) impediscano di vedere quando esse comincianoa sgretolarsi e, cosa più grave per due personalità europee,quanto difficile sia battersi per il nuovo (“li ordini novi”).Quella discussa nei due libri è comunque un’idea di cui si parlada almeno 70 anni e, oggi come allora, i paesi interessati sonosostanzialmente gli stessi. Vi sono, però, anche differenzesignificative, come il fatto che se, alla fine degli anni ’30,l’Europa era divisa e preda del nazismo e gli Stati Uniti nonsvolgevano ancora il ruolo di potenza mondiale, oggi, l’UE èun soggetto attivo della politica mondiale e gli USA sono unapotenza in evidente declino. Ma la vera differenza di fondo èun’altra: i due Autori definiscono l’Occidente come unacomunità di valori basata sulla separazione tra stato ereligione, sul rispetto dei diritti umani ed individuali, sullalibertà, la democrazia e il mercato (dimenticando, però, lagiustizia sociale). Ma, nella misura in cui, contrariamenteall’esperienza storica europea, di fatto non li pensano comevalori universali, essi sembrano escludere che si possaperseguire una politica mondiale che li promuova anche nelresto del mondo, senza dover ricorrere, come fanno oggi gliUSA, ai marines o a Guantanamo.

    Certo, teoricamente, una possibile reazione alridimensionamento del ruolo dell’Occidente è quella dellaricerca di una maggiore compattezza tra i paesi che si ritienene facciano parte. Ma posta in questi termini, la propostarischia di risolversi unicamente in una posizione di chiusuraverso il resto del mondo e di rinuncia a proporre una politicaper il governo democratico della globalizzazione. Questo è, inbuona sostanza, quanto si può ricavare, come conclusione,dalla lettura dei due testi sul tema di una maggior unificazionetra Unione europea e Stati Uniti. A sostegno della loro tesi, idue Autori avanzano il fatto che, sul piano economico, le duesponde dell’Atlantico sono le aree maggiormente integrateper quanto riguarda gli scambi commerciali, gli investimentidiretti esteri realizzati da ciascuna area geografica sul mercatodell’altra ed il mercato dei capitali (e di ciò gli europei si

    UNA VIA ATLANTICAAL GOVERNO DELLA GLOBALIZZAZIONE?

    stanno accorgendo a loro spese, proprio in questi giorni). Cosìcome si ricorda che, sul piano militare, Unione europea e StatiUniti sono partner nella NATO, pur trattandosi, ma perresponsabilità europea, di una partnership squilibrata. Èpossibile dunque che, nonostante la grave crisi finanziariainternazionale che proprio l’Occidente sta attraversando,l’opzione dei due Autori resti ancora sul tappeto. Può pertantoessere utile richiamare le proposte contenute nei due testi, se nonaltro per avere presenti dei criteri con cui valutarle criticamente.

    Tutti e due gli Autori (per la verità più Balladur di deCarmoy) ritengono che l’Unione europea debba fare dei passiavanti verso la costituzione di una vera e propria federazioneeuropea, benché il progetto, a loro avviso, richiederà ancoradel tempo, soprattutto per le difficoltà che permangono sullavia di un’unica politica estera e di sicurezza. Inoltre,un’osservazione che anche qui vale per entrambi, essi nonprendono in considerazione, come prospettiva attorno cuilavorare, la rifondazione delle istituzioni nate a BrettonWoods nel 1944, con la sola eccezione della riforma delConsiglio di sicurezza dell’ONU. Le proposte concrete che idue avanzano sono, però, significativamente diverse. SeBalladur pensa all’istituzione di un Consiglio esecutivo diquella che chiama Unione Occidentale e che deve riunire ognitre mesi, sul modello delle riunioni del Consiglio europeo deiCapi di Stato e di governo, il Presidente degli USA ed ilPresidente dell’UE, de Carmoy propone invece larealizzazione di una Comunità dell’energia euro-americanasul modello della CECA europea.

    Entrambe le proposte si fondano tuttavia su presuppostideboli, di cui uno è evidente e riguarda l’attuale assettoistituzionale dell’Unione, che non le consente di formulareuna qualunque linea di politica estera che abbia il respirorichiesto dall’alternativa discussa dai due Autori. L’altropunto debole riguarda non tanto l’attuale fragilità americanasul fronte della politica estera (ed interna), ma piuttosto il fattoche gli Stati Uniti non sembrano in grado di fare proprio unprogetto come quello prospettato dai due esponenti francesi.Come può, infatti, essere credibile e accettabile da parte degliUSA un’idea di questo tipo, se gli americani non sono riuscitia portare a termine, anzi lo stanno addirittura mettendo indiscussione, il progetto del North American Free TradeAgreement, che è solo un pallido surrogato della CECA? GliStati Uniti, in effetti, sembrano strutturalmente incapaci dicondividere la sovranità con altri Stati, in un settore qualsiasidella loro vita politica o economica. L’attuale crisi che stannoattraversando e che sta sensibilmente ridimensionando il loropotere potrebbe, forse, paradossalmente, preparare il terrenoad una proposta politica che superi il tradizionalemultipolarismo. De Carmoy suggerisce l’istituzione di unaComunità per l’energia. L’idea sembra buona, sia conriferimento al settore preso in considerazione, l’energia, siacon riferimento all’istituzione che viene proposta, unaComunità sul modello della CECA. Il punto è che non develimitarsi alle due sponde dell’Atlantico, ma comprendere imaggiori produttori di fonti di energia ed i maggiori

    (segue a p. 12)

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 200812

    consumatori. L’obiettivo, solo apparentemente è menoambizioso di quello suggerito da Balladur. In realtà, non saràdi facile realizzazione, soprattutto perché mette in discussioneil modello economico americano che, occorre ricordare, nonè compatibile con una politica di sviluppo sostenibile. Bastirammentare, da un lato, che se il cittadino americanoconsumasse la stessa quantità di energia ed immettessenell’atmosfera la stessa quantità di anidride carbonica di uncittadino europeo, gli USA da soli consentirebbero di farfronte agli obiettivi che il Protocollo di Kyoto assegnaall’intero pianeta. E, dall’altro, non si deve dimenticare cheGeorge Bush, all’Earth Summit del 1992 sostenne conarroganza che “the American way of life is not negotiable”.Bush padre parlava poco dopo il crollo dell’URSS e la parzialevittoria che aveva riportato nel corso della prima guerraall’Iraq. Gli USA sembravano, dunque, all’apice del loropotere sul resto del mondo. Solo i federalisti osavanosostenere che, in realtà, il potere americano era una “tigre dicarta” (dove qui, parafrasando l’uso che del termine facevaMao Zedong e perché non ci siano equivoci, per “carta” siintendono non solo i dollari, ma anche tutto l’armamentariofinanziario di cui gli americani hanno inondato le tasche deirisparmiatori di tutto il mondo). Oggi, dopo sette anni dioccupazione dell’Afghanistan e cinque anni di occupazione

    dell’Iraq senza che gli USA abbiano ancora trovato una viad’uscita, e dopo che la crisi georgiana si è risolta grazieall’intervento europeo - così come, probabilmente, la crisifinanziaria internazionale si risolverà con l’interventoeuropeo e di altri paesi -, gli americani dovranno prendere attoche, per loro, è finito un ciclo politico durato oltre mezzosecolo. Il fatto, però, che se ne possa aprire uno nuovo,dipenderà in misura prevalente dall’Unione europea ed ilsettore energetico potrebbe essere il terreno di prova perl’avvio del processo di unificazione mondiale, così come laCECA ha messo in moto il processo di unificazione europea.Perché la proposta di de Carmoy, aperta a tutti i paesi dispostia parteciparvi, abbia seguito occorre, dunque, che qualcunoprenda l’iniziativa e questo qualcuno non può che essere l’UE,che dovrebbe promuovere la costituzione di una Comunitàmondiale dell’energia e dell’ambiente e portarla avanti conchi ci sta. Per farlo, tuttavia, essa deve essere capace didecidere e di agire. Per questo è importante che il Trattato diLisbona entri in vigore da subito tra i paesi che l’hannoratificato e che il Presidente della Commissione europeavenga eletto in base ad una competizione elettorale, nel corsodella quale tutti i principali partiti avranno presentato il lorocandidato alla presidenza e che si responsabilizzisull’attuazione di un programma politico europeo.

    Domenico Moro

    L’Istituto di Studi Federalisti “Altiero Spinelli”, con lacollaborazione della Regione Lazio, del Comune diVentotene, della Rappresentanza in Italia della Commissioneeuropea, e grazie al lavoro dei militanti federalisti, soprattuttogiovani, che ne hanno curato l’organizzazione, ha promosso,nella suggestiva cornice dell'Isola, la XXVII edizione delseminario nazionale di Ventotene e la XXV edizione di quellointernazionale nella settimana dal 31 agosto al 5 settembre.

    Quest’anno, la settimana dedicata ai giovani è statapreceduta da un seminario internazionale di due giorni (30 e31 agosto) sul tema “Which model of Federalism for 21st

    Century Europe?”. Un incontro che potrebbe rappresentare ilprimo di una serie di appuntamenti annuali sul futurodell’Unione europea fra docenti, ricercatori, studiosiinteressati a sviluppare una riflessione sulle radici delfederalismo, la sua evoluzione, la sua attualità nel mondocontemporaneo, al fine di creare una rete tra centri studi.

    Oltre al Presidente ed al Direttore dell’Istituto AltieroSpinelli, Guido Montani e Domenico Moro, che hannopromosso l’iniziativa, queste due intense giornate di lavori –aperte dall’indirizzo di saluto del Sindaco Assenso - sono stateanimate dagli interventi di: Elisabeth Alber, Istituto per glistudi sul federalismo e il regionalismo, Bolzano; StephanCollignon, London School of Economics e CollegioSant’Anna, Pisa; David Coombes, University of Limerick,Irlanda; Brendan Donnelly, Direttore di Federal Trust,Londra; Giovanni Gasparini, Senior Fellow, Istituto AffariInternazionali, Roma, David Grace, Segretario del JamesMadison Trust, Gran Bretagna; Hazem Hanafi. ArabFoundation for Federal Studies, Cairo, Alfonso Iozzo,Presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Roma; RichardLaming, Direttore di Federal Union; Lucio Levi, Università di

    Ventotene, 31 agosto-5 settembre 2008

    CONCLUSA CON SUCCESSO L'EDIZIONE 2008DEL SEMINARIO DI VENTOTENE

    Torino; Antonio Padoa Schioppa, Università Statale, Milano;Sergio Pistone, Università di Torino; Paolo Ponzano,Segretariato generale della Commissione europea, Bruxelles;Lucia Serena Rossi, Università di Bologna; Nicolas Schmitt,Institut of Federalism, Università di Fribourg.

    L’Aula magna dell’edificio scolastico ha ospitato i lavoridei circa 110 partecipanti al seminario nazionale, provenientida quasi tutte le regioni italiane e selezionati dalle sezioni delMFE. Al seminario internazionale, svoltosi in parallelo inun’altra aula della scuola, hanno preso parte circa 50 giovaniprovenienti da molti paesi, europei ed extra europei(Argentina, Egitto, Stati Uniti, ecc.). A proposito dellapresenza dei giovani, va ricordato che, quest’anno, le richiestedi partecipazione sono state circa il doppio di quelle dell’annoprecedente. Inoltre, numerosi militanti della GFE e del MFEhanno partecipato all’appuntamento provvedendopersonalmente al vitto e all’alloggio.

    L'apertura del seminario, al quale è pervenuto un calorosomessaggio del Ministro Frattini (v. a p.13) è avvenuta nelpomeriggio di domenica 31 agosto ed è stata preceduta da unasimpatica esibizione della banda di Ventotene. Lamanifestzione iniziale è consistita in una tavola rotonda,presieduta dal vice-Presidente dell’Istituto Spinelli, GabrielePanizzi, su “Il Parlamento europeo dalle sue origini al Trattatodi Riforma”. Alla tavola rotonda hanno preso parte GiuseppeAssenso, Sindaco di Ventotene, Giorgio Anselmi, Segretarionazionale del MFE, Pier Virgilio Dastoli, Direttore dellaRappresentanza in Italia della Commissione europea,Agostino Coinu, Direttore della Regione Lazio e SilvioD’Arco, Ass. alle attività produttive della Provincia di Latina.

    Nei giorni seguenti, si sono avvicendate le relazioni adopera di esponenti del MFE e della GFE, seguite dai lavori di

    Segue da p. 11: UNA VIA ATLANTICA ...

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 2008 13

    gruppo e quindi dai dibattiti in plenaria. Hanno preso la parolaLucio Levi (“Il federalismo come nuovo pensiero politico e lacrisi della politica”), Alfonso Iozzo e Olivier La Rocca (“Laproposta dei federalisti per un nuovo ordine economico –monetario mondiale”), Matteo Roncarà e Federico Brunelli(“Il federalismo organizzato in Italia, in Europa e nelmondo”), Guido Montani (“Una politica europea e mondialeper lo sviluppo economico sostenibile”), Antonio Longo edElena Montani (“L’aspetto di struttura del federalismo: statofederale e principio di sussidiarietà”), Alfonso Sabatino(“Verso una politica estera europea: L’Unione europea ed iBalcani”), Nicola Vallinoto e Simone Vannuccini(“L’Europa federale come modello per il governo dellaglobalizzazione”), Domenico Moro (“La strategia del MFEper il rilancio del processo costituzionale europeo”).

    Il seminario si è chiuso venerdì 5 settembre con una tavolarotonda su “Un governo federale europeo ed una Costituzioneeuropea”. Sotto la presidenza della Presidente dell’UEFMercedes Bresso, sono intervenuti Massimo Contri,Segretario nazionale della GFE, Stefano Milia, vice-Segretario del MFE, Giacomo Filibeck, Presidentedell’ECOSY (Giovani Socialisti Europei), Massimo Pineschi,dell’Ufficio di Presidenza della Regione Lazio e LucianoVecchi, dell’Ufficio di presidenza del PSE. Il dibattito dellatavola rotonda si è concentrato sulla necessità che i partitipolitici europei, in vista delle elezioni europee del 2009,presentino un loro candidato alla Presidenza dellaCommissione europea. A favore di questa posizione si sono

    espressi Mercedes Bresso e Giacomo Filibeck. Al termine deilavori, il Sindaco di Ventotene, Giueseppe Assenso, haportato i saluti dell’Amministrazione a tutti i partecipanti.

    Argomenti analoghi a quelli trattati nel corso delSeminario nazionale sono stati presentati anche in quellointernazionale da relatori appartenenti a GFE, MFE, JEF, UEFe, per la prima volta, da relatori appartenenti al WorldFederalist Movement, rappresentato, tra gli altri,dall’Executive Director Bill Pace. Nel corso di questoseminario, è stata sperimentata la formula delle relazionimattutine (due o tre) seguite dal dibattito nei gruppi, con ireport dei lavori di gruppo e i dibattiti in plenaria spostati alpomeriggio.

    Nei giorni del seminario, una delegazione di organizzatorie partecipanti ha fatto visita al cimitero di Ventotene allatomba di Altiero Spinelli e di Luciano Bolis, salutati dalbiografo di Spinelli, Piero Graglia, con un commosso ricordo.

    Si è anche tenuto, presso il parco del Municipio, un eventoserale di presentazione della biografia di Altiero Spinelli,vincitrice del premio Capalbio 2008, a cura di Piero Graglia,con interventi dello stesso autore, di Gabriele Panizzi, delPresidente della JEF Samuele Pii, di Francesco Gui,Segretario del Comitato Spinelli e di Marco De Nicolò,dell’Università di Cassino.

    Varie agenzie di stampa diffuse su siti internet e alcuniquotidiani hanno dato notizia del seminario.

    Federico Brunelli

    “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve esserepercorsa e lo sarà”. Una delle caratteristiche di Altiero Spinelliè stata quella di utilizzare tutti i mezzi e le forme di azione asua disposizione pur di raggiungere il fine ultimo da luiperseguito. Ecco perché è con queste fiduciose parolepronunciate da Spinelli nel Manifesto di Ventotene, quantomai attuali, che voglio rivolgere le mie più vivecongratulazioni alla Regione Lazio che ha voluto ricordare,anche attraverso il tradizionale Seminario di formazionefederalista, un grande italiano, ma anche il comune spiritoeuropeo che ha animato e continua ad animare tutti noiall’insegna di una strada che è stata percorsa, e ancora lo sarà.Voglio rivolgere altresì un augurio a tutti i giovani cheprenderanno parte a questa XXVII edizione: guardate avanti,ragazzi, percorrete la strada, e sappiate sviluppare in voi stessila forza necessaria e la fiducia indispensabile per mantenere econsolidare un’Europa del futuro sempre più libera, forte eunita, giusta e solidale, che sappia innanzitutto rispondere aibisogni reali e ideali dei suoi cittadini.

    Altiero Spinelli lo ricordiamo e lo celebreremo sempreperché dinamico protagonista di quel pantheon di “padrifondatori” dell’Europa, insieme a Jean Monnet, RobertSchuman, Alcide de Gasperi, Konrad Adenauer e Paul-HenriSpaak. La sua è stata un’azione multiforme, orientata verso“una sola causa” (come ha sottolineato in diverse occasioni ilPresidente Giorgio Napolitano): la causa del processo diunificazione dell’Europa e della creazione a termine di unoStato federale europeo. Non siamo ancora giunti allacreazione degli “Stati Uniti d’Europa”, ma io credo cheSpinelli sarebbe stato fiero, e forse anche sorpreso, delleenormi conquiste sociali, economiche e politiche che la suaamata Europa ha ottenuto fino ad oggi. Poter studiare

    liberamente in qualsiasi paese dell’UE, poter pagare con lastessa moneta, attraversare la frontiera da cittadino europeo,avere una robusta cooperazione giudiziaria, un molteplice econtinuo scambio di idee, sapere che esiste una carta dei dirittifondamentali, che l’Europa si è investita in prima fila per laprotezione dell’ambiente. Insomma, sapere che l’Europa c’è,e che difende con fermezza i valori nei quali abbiamo semprecreduto.

    La recente ratifica del Trattato di Lisbona, con votounanime del Parlamento italiano, è stata un’ulterioreconferma di quanto sia vigorosa questa energia, tutta italiana,che vuole ad ogni occasione confermare, con coerenza, lalunga tradizione del nostro Paese quale stato membro più pro-europeo, forte sostenitore di un’Europa dei popoli, primaancora che degli Stati. L’Italia si è impegnata a dare rispostevisibili sui grandi temi che toccano la vita quotidiana delledonne e degli uomini, impegnandosi a cancellare quellecostruzioni burocratiche, complicate, difficili da leggere eancor più difficili da comprendere. La ratifica italiana è unulteriore omaggio alla nobile passione di Spinelli, eall’insostituibile contributo italiano al rafforzamento diquesta Unione.

    L’Europa che abbiamo costruito è un’entità storica,geografica, culturale, e ormai un motore di solidarietà e disviluppo da cui dipendono molte prospettive. Il legato delnostro futuro si fonda su un’assunzione precisa diresponsabilità. La via da percorrere non è facile, né sicura. Avoi giovani, il compito di testimoniare i successi di oggi e diaprire nuovi capitoli della storia. Incamminatevienergicamente verso nuovi e gloriosi traguardi, sottol’impulso di questo spirito italiano ed europeo che dobbiamosaper difendere con orgoglio.

    INDIRIZZO DI SALUTO AL SEMINARIO DI VENTOTENEDEL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCO FRATTINI

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 200814

    OSSERVATORIO FEDERALISTA

    Un articolo pubblicato sul Corrieredella Sera dell’8 settembre 2008 a firmadi Mario Sensini, riporta come segue laproposta, avanzata dal Ministro GiulioTremonti di creare un fondo sovranoeuropeo per contrastare la crisi in atto inEuropa.

    Trasformare la Banca Europea per gliInvestimenti in un grande strumento perfinanziare infrastrutture dicomunicazione ed energia, per stimolarela domanda e aiutare l’Europa a usciredalla crisi. Il governo italiano è pronto arilanciare la carta dei grandi investimenticontinentali: non con debito pubbliconazionale, scomputando le grandi operedal deficit dei singoli paesi, odell’Unione (con gli eurobond), ma conun vero e proprio fondo sovrano,trasformando la Bei in una grande CassaDepositi e Prestiti europea.“Chiederemo alla UE uno studio sullapossibilità di creare su scala europea unostrumento che esiste già in molti paesi, edè accettato, come la Cassa Depositi inItalia, la Caisse de Dépot in Francia e laKFW tedesca” ha detto ieri il Ministrodell’Economia, Giulio Tremonti,chiudendo il workshop Ambrosetti aCernobbio.

    “L’economia è in crisi e lo vediamoovunque in Europa: solo un grande pianodi investimenti pubblici può far uscirel’Unione dalla crisi globale”. “A questanon possiamo rispondere con soluzioninazionali” ha detto Tremonti,aggiungendo che “un fondo sovranoavrebbe non solo un grande valoreeconomico, perché abbiamo la monetapiù forte del mondo e non la usiamo, maanche politico. Sarebbe unostraordinario simbolo di reazione allacrisi da parte dell’Europa unita”.

    La proposta di Tremonti, che puntaanche a un passaggio politico delprogetto al Parlamento europeo, saràpresentata “già al prossimo Ecofinstraordinario di Nizza” del 12 settembre.“E non ci vengano a dire che si tratta diuno strumento poco ortodosso perché giàesiste (anche se la Cdp italiana è ancoraÔun gigante dormiente’), o che è unafabbrica di debito” ha aggiunto ilMinistro, appoggiato anche dalSegretario del PD, Walter Veltroni,sull’esigenza di sfruttare la leva europea.Una convergenza “positiva, anche seancor più importante sarebbe il sostegnodella sinistra in Europa” ha commentatoTremonti, tornato a Cernobbio per laseconda volta in veste di ministro (...).

    Gli europarlamentari del PD hannoannunciato, incontrando i cronisti oggi (3settembre) a Bruxelles, che chiederanno didecidere la collocazione europea del Partito- ovvero il gruppo di appartenenza deglieletti a Strasburgo – entro la Conferenzaprogrammatica prevista in autunno,probabilmente a novembre. “Quella sarà lasede giusta per sciogliere questo nodo”, hadetto il capo delegazione del PD nel gruppoPSE, Gianni Pittella, sottolineando che “èurgente definire la questione per parteciparealle scelte europee, e in particolare la nominadella nuova Commissione UE, e perpreparare adeguatamente la campagnaelettorale”, in vista dell’elezione del nuovoEuroparlamento, a giugno.

    A proposito delle scelte europee, glieuroparlamentari del PD hanno riferito divoler rilanciare la proposta del Movimentofederalista europeo di proporre unacandidatura rappresentativa per lapresidenza della Commissione UE, da

    sostenere con un ampio schieramentoriformista che comprenda sia il PSE chel’Alleanza liberaldemocratica (Alde).“Vogliamo che il PD intraprenda il più prestopossibile quest’iniziativa politica, definendouna candidatura per la presidenza dellaCommissione sulla base di un programmariformista, e con quali forze condividerla”,ha spiegato Gianluca Susta, capodelegazione degli europarlamentaridemocratici nel gruppo Alde. “Intendiamomantenere la nostra identità, ma ancherifiutare qualsiasi ipotesi di splendidoisolamento”, ha precisato Pittella, scartandol’ipotesi di creare “un gruppo isolato del PD”nell’Europarlamento, e annunciandol’intenzione di “lavorare per unaaggregazione più ampia”. (Apcom, 3/9/08).

    In precedenza, questa proposta era statasostenuta dall’on. Rutelli, durante laEuropean Summer School organizzata nellaprima settimana di luglio dal PD a Bruxelles.Secondo il resoconto comparso su Europa

    del 5/7/08, “L’accordo di ferro tra socialisti ePPE per l’indicazione dei futuri Presidentedel Parlamento europeo e della Commissione(già identificati rispettivamente nelsocialdemocratico tedesco Schulz e nelpopolare portoghese Barroso, che verrebbeconfermato nel suo ruolo) è uno dei principaliostacoli sulla strada del centro-sinistraeuropeo. Ci ha provato Rutelli, ieri, ascardinarlo, proponendo di presentare inalternativa 'due candidature di altissimoprofilo, capaci di imprimere una svolta aun’Europa in crisi e che siano candidature delcentro-sinistra europeo', cioè indicate con unaccordo tra socialisti e liberaldemocratici.Sui nomi, spiega il co-Presidente del PD aEuropa 'qualche idea ce l’ho, ma non è questoil momento di metterli in campo'. Ne tracciaperò il profilo: 'Figure come Jacques Delors,Jean Monnet, Vaclav Havel o AltieroSpinelli, grandi personaggi che hanno avutoil coraggio dell’Europa e che oggi lariprendano in mano'”.

    Il leader della Campagna irlandese per ilNo, Daclan Ganley, chiede la convocazionedi un referendum europeo sul Trattato diLisbona ... “Posso affermare, come cittadinoche ha letto il Trattato ed ha condotto unacampagna su questo tema, che esso èantidemocratico ed inaccettabile per lamaggioranza del mio paese. E non credoneppure che sia accettabile per lamaggioranza dei cittadini negli altri paesi”,ha affermato Ganley nel corso di un dibattitopubblico nel Parlamento europeo, svoltosi il2 settembre.

    Secondo Ganley – che non ama esseredefinito “anti-europeo” – il Trattato diLisbona non ha futuro, tuttavia, se dovesseessere rivitalizzato, l’unica strada possibilesarebbe quella di tenere un referendum pan-europeo.

    Nel riconoscere la necessità di un nuovotrattato, adeguato alla situazioneinternazionale attuale, Ganley ritiene che lasola formula accettabile sarebbe quella di untesto “breve, leggibile e sul quale ognunopossa votare”. (Euobserver del 4/9/08)

    GLI EUROPARLAMENTARI DEL PD: SI’ ALLA PROPOSTAFEDERALISTA SUL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE

    TREMONTI PROPONE LA CREAZIONEDI UN FONDO SOVRANO EUROPEO

    DACLAN GANLEY:UN REFERENDUMEUROPEOSUL TRATTATODI LISBONA

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 2008 15

    OSSERVATORIO FEDERALISTA

    Nove mesi. Un autunno già quasiiniziato, un inverno, una primavera: alleelezioni europee di inizio giugno la sinistrarischia di veder congelata per chissà quantotempo dentro i rapporti istituzionalidell´Unione la deriva a destra che vamanifestandosi in quasi tutti i Paesi delcontinente. Il pericolo incombe non solosulla sinistra, ma anche su quelle parti delcentro democratico e liberale che noncondividono i sussulti di nazionalismo, distrisciante xenofobia, di egoismo sociale eregionale, le terapie economiche lacrime esangue.Che non condividono i colpi inferti aquelle creature tanto “europee” che sono ladifesa dei diritti civili, il welfare, le pariopportunità, la distribuzione equa dei redditi.Bisognerebbe trovare il modo e la forza peropporre, a un Consiglio UE che saràespressione della destra triumphans, uncontrappeso democratico e progressista: nonsolo un parlamento in cui i rapporti di forzasiano il più possibile favorevoli (cosa chedipenderà dall´andamento del voto paese perpaese), ma anche un´idea, una propostapolitico-istituzionale che spazzi via, intanto,la rassegnazione con cui parte della stessasinistra, dello stesso Pse, guardano allatrincea sulla quale sperano di limitare i danniin attesa di tempi migliori: e cioè un accordo,come se ne sono fatti negli ultimi anni, inbase al quale si riconosce ai governi di destrae di centro-destra il diritto di scegliersi lapropria guida della Commissione (in questocaso Barroso), che viene consacrato anchedai governi di centro-sinistra e riceve ilplacet del PSE in parlamento in cambio diuna “staffetta” alla guida dell´Assemblea.Due anni e mezzo di presidenza del

    Parlamento, che dovrebbe toccare, dopoun esponente del PPE, all´attualecapogruppo del PSE, il tedesco MartinSchulz. Non disprezzabile, come piatto dilenticchie, ma sempre lenticchie sono...

    Anche a chi si rifiuta di considerarlo -come si dice in Italia? - un inciucio, questaprospettiva non piace. In certi ambienti delPSE, per esempio tra certi esponenti dellaSPD come la vice-Presidente Andrea Nahlese altri altrettanto propensi a preferirel´alleanza con la sinistra della Linke e con iVerdi alla grosse Koalition, presso certisocialisti francesi, belgi e olandesi, e anche inItalia, sta maturando l´idea di lavorare a unaltro scenario: un´alleanza di tutte le forzeprogressiste (socialisti, parte delle forze allaloro sinistra, Verdi, liberal-democratici) chesi presenti alle elezioni proponendo unproprio candidato alla presidenza dellaCommissione.

    L´idea riprende, in parte, la proposta di“Notre Europe”, un think-tank fondato a suotempo da Jacques Delors e diretto poi daTommaso Padoa Schioppa, di permettere ai

    cittadini di votare direttamente, alle elezionieuropee, il nome del Presidente dellaCommissione. Nell´attuale assettoistituzionale però questo non è possibile: ilTrattato di Nizza, in forza fino a che nonentrerà in vigore quello di Lisbona, prevedeun voto di fiducia del parlamento sui nomiproposti per l´esecutivo dai governi. Non èpoco, come sa chiunque ricordi la clamorosabocciatura di Rocco Buttiglione, ma certonon è abbastanza. E unire le forze sul nome diun candidato, per dire ai governi e alConsiglio questo è l´uomo che noi vogliamo,è possibile già adesso.

    Il piano è ancora al livello deipourparler, ma chi lo sostiene ha due ottimiargomenti. Il primo è che, a differenza diquanto si potrebbe pensare anche a valutareal massimo l´impatto della (prevedibile)ondata elettorale di destra, i rapporti tra ladestra da una parte e lo schieramentoprogressista dall´altra non sono affatto cosìdisastrosi. Nel parlamento attuale, i socialisti(215), i liberal-democratici del gruppo Alde(102), i Verdi (42), le sinistre del GUE (41)detengono, con 400 deputati, unaragionevole maggioranza dei 785 seggicontro il PPE (285), la destra dello UEN (44),gli indipendenti (24) e i non iscritti (32), intutto 385, fra loro, peraltro, assaidisomogenei. Il secondo argomento è quellodegli effetti politici. L´indicazionesovranazionale di un candidato Presidentecontribuirebbe ad “europeizzare” le elezionidi giugno che rischiano di esserecondizionate pesantemente dai temi“domestici”, specie nei Paesi in cui si voteràcontemporaneamente per le elezioninazionali o per le amministrative, certo menofavorevoli ai progressisti. Inoltre,l´indicazione di un candidato a lui alternativocostringerebbe Barroso e chi lo appoggia aduscire allo scoperto, abbandonando il falsoecumenismo sotto il quale rischia di passareuna composizione della Commissionepesantemente condizionata dalla destra edagli interessi nazionali. Ci sarebbe, infine,un vantaggio tutto “italiano” perché lacostituzione di uno schieramentoprogressista sdrammatizzerebbe, dentro efuori il PD, la vexata quaestiodell´appartenenza, o no, al gruppo del PSE.

    C´è un “ma”, ovviamente. Un candidatodi tutti i progressisti è una bella idea, ma perora non ha una faccia né un nome. Pare chenei giorni scorsi ci siano stati dei contatti conGiuliano Amato, ma, a parte il fatto che uncandidato italiano a così breve distanza dallapresidenza Prodi raccoglierebbecomprensibili obiezioni, sembra che a luistesso sia stato detto che a Barroso, giàsponsorizzato da governi “importanti”, nonci sarebbe alternativa. Un candidato tedescosarebbe un insulto a Schulz e rischierebbe di

    lacerare la SPD. In Francia ci sarebbeFrançois Bayrou, ma non è mai stato capo delgoverno (una condizione suggerita dallatradizione) e la sua stella non brillaparticolarmente. Più chances potrebberoavere il cancelliere austriaco AlfredGusenbauer l´ex capo del governo finlandesePaavo Lipponen e, se si volesse dare unsegnale di innovazione, una donna come lacommissaria polacca agli Affari regionaliDanuta Hübner (non è stata capo del governo,ma Ministro degli Esteri) o la commissariaalle Relazioni istituzionali MargotWallström, leader di fatto deisocialdemocratici svedesi. Insomma, se cifosse la volontà politica, un nome sitroverebbe.

    È presto per prevedere come andrà afinire lo schema per ora soltanto abbozzato,ma intanto c´è utile materia di riflessione, inItalia, per il PD, per le forze alla sua sinistrae per tutti i progressisti. (Paolo Soldini,l'Unità, 12/9/08)

    L’UNITA’: UN LEADER PER LA SINISTRA EUROPEA

    I Ministri delle Finanze delle seimonarchie petrolifere del Golfo hannoadottato mercoledì 17 settembre 2008, aDjeddah, un progetto di accordo per lacreazione di una unione monetaria e diun Consiglio monetario, destinato adiventare la Banca centrale del Golfo.

    “Non c’è alcun ostacolo alla monetaunica”, ha affermato il governatore dellaBanca centrale del Quatar, lo sceiccoAbdallah Ben Saoud Al-Thani, il cuipaese garantisce attualmente lapresidenza del Consiglio dicooperazione del Golfo (CCG, cheriunisce l’Arabia saudita, il Bahreïn, gliEmirati arabi uniti, il Kuwait, l’Oman e ilQuatar). I Ministri delle finanze dei Seihanno concordato un progetto di“convenzione per un’unione monetaria”e lo statuto di un Consiglio monetario, invista di creare una moneta unica che gliStati membri sperano di varare nel 2010,come ha dichiarato il Segretario generaledel CCG. Il documento sarà sottopostoal Vertice annuale dei Capi di Stato delCCG, che avrà luogo entro la finedell’anno a Mascate. (Notizia comparsasul sito: http://www:trends.be)

    VERSO UNAMONETA UNICAPER LEMONARCHIEDEL GOLFO

  • L'UNITA' EUROPEA settembre 200816

    OSSERVATORIO FEDERALISTA

    Caro direttore, il Consiglio europeostraordinario che Sarkozy ha convocato sullacrisi georgiana dovrà misurarsi con due nodi:il binomio sovranità/autodeterminazione e lastrategia verso la Russia. Sul primo nodopesa l’eredità balcanica, e cioè l’omogeneitàetnica come fondamento dell’identitàstatuale (...) un gioco del domino infinito,fonte di ulteriori conflitti e tragedie.

    La strada non può che essere un’altra:porre a fondamento di ogni Stato non l’etnia,ma la cittadinanza, l’uguaglianza dei diritti,la tutela delle minoranze. Un buon esempioviene proprio dall’UE che ai suoi nuovimembri ha posto come condizione diadesione il riconoscimento di diritti perminoranze spesso discriminate.Valga pertutti il caso baltico (...).

    E, dunque, dal Vertice europeo vengauna duplice richiesta: Mosca riconoscal’intangibilità della sovranità di Georgia,Armenia e Azerbaigian, di cui l’Unioneeuropea si sente garante. Tbilisi e le altrecapitali caucasiche riconoscano, entro ipropri ordinamenti, forme di autonomia perle minoranze. Obiettivi naturalmente nonacquisibili solo con dichiarazioni diprincipio, ma attraverso un percorsonegoziale che l’Unione europea, insiemeall’OSCE e all’ONU, deve promuovere finoa giungere ad una Conferenza regionale perla stabilità del Caucaso.

    Ma la crisi georgiana pone anche il tema

    della Russia e della sua aspirazione ad unruolo di leadership coerente con il suo pesodemografico, territoriale, militare edeconomico.Rivendicazione che peraltroavanzano anche Cina, India, Brasile,Sudafrica e altre nazioni emergenti. E non sicapisce perché riconoscerla a loro e non aMosca.

    Una politica di contenimento oaddirittura di accerchiamento non potrà cheirrigidire ancora di più la Russia, rischiandodi aggravarne i caratteri autocratici eautoritari. Al contrario, serve una politica diengagement e di relazioni positive chesolleciti Mosca a uscire dalla presunzione diautosufficienza e ne favorisca una pienainclusione nella comunità internazionale.

    Vale la pena di ricordare che nel ’97,prima di procedere al suo allargamento, laNato e i suoi Paesi membri vollero siglarecon la Russia l’Atto di Parigi, che definivaprincipi, obiettivi e strumenti di unasicurezza europea comune. E quando sidecise l’allargamento dell’UE, fu precisascelta di Bruxelles sottoscrivere con Moscaun Accordo di Partenariato e Cooperazione edi delineare la strategia europea di vicinato.

    Né è un caso che UE e Russia, proprioqualche settimana fa, abbiano avviato inegoziati per un nuovo e più ampio Accordodi partnership per realizzare politichecomuni nell’energia, nella ric